Quaderni d’Archivio Rivista dell’Associazione Amici dell’Archivio Storico di Empoli Anno I, n.1, 2011 Quaderni d’Archivio Rivista dell’Associazione Amici dell’Archivio Storico di Empoli c/o Archivio Storico Comunale di Empoli Via Torricelli, 58a Empoli Redazione Vanna Arrighi, Franca Bellucci, Paolo Santini, Leonardo Giovanni Terreni, Stefania Terreni Direttore responsabile Paolo Santini Copertina e ideazione grafica Daria Biondi Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Firenze al n. 5822 in data 04/03/2011 Il presente volume è stato stampato con il contributo della Banca di Credito Cooperativo di Cambiano INDICE Franca Bellucci, Per presentarsi: un’ associazione e una rivista 5 Paolo Santini, Empoli verso il 2019 9 Parte I Da Magazzino del Sale a Museo del Vetro Vanna Arrighi, Le origini del Magazzino: la Gabella del sale 15 Giuseppina Carla Romby, Il Magazzino del Sale e l’architettura dell’utile nella Toscana moderna 29 Francesca Capecchi, Progetti, disegni e cartografia dell’edificio nel XIX secolo 37 Leonardo Giovanni Terreni, Martina Filippi, Walter Maiuri, Indagini archeologiche nell’area del Magazzino del Sale 43 Marco Frati, Verso una lettura stratigrafica del Magazzino del Sale di Empoli 49 Silvia Ciappi, Stefania Viti, Il Museo del Vetro nei locali del Magazzino del Sale 55 Fonti e bibliografia 57 Parte II Studi ed esperienze in archivio Daniele Lovito, La grande guerra in una piccola città: Empoli durante la prima guerra mondiale 63 Andrea Bruscino, Studi sugli Ebrei a Empoli fra Medioevo ed Età moderna. Ricerche compiute e lavori in corso 65 Anna Castellacci, Empoli di fine Ottocento: un’esperienza didattica 71 Franca Bellucci, Storia, memoria e poesia intorno alla ricorrenza del 1260 a Empoli 75 Irene Fabii, Una nuova guida per l’Archivio storico comunale 79 I Venerdì in archivio: 2007-2011 83 Tavole 87 Per presentarsi: un’associazione ed una rivista Presentarsi al pubblico con questa rivista, “Quaderni d’Archivio”, è il secondo passo importante di una determinata realtà empolese. Il primo è stato quello di riconoscersi come interessati a quella ricerca storica che dà piena visibilità alle fonti. Di questa curiosità, e di questa curiosità condivisa, ci siamo accorti partecipando ad una iniziativa culturale: quella dei “Venerdì in archivio”, le conversazioni storiche offerte ogni mese da oltre tre anni presso l’Archivio storico di Empoli, nei locali riorganizzati dell’edificio di via Torricelli. Il passaggio di quelle esposizioni ci ha lasciato delle memorie comuni. Le abbiamo vissute come una potenzialità utile per quanti, come noi, vogliono mantenere l’interesse vivo e documentato per gli assetti di questa città. Di qui il primo passo: nell’estate del 2009 ci siamo dati una identità, costituendo formalmente l’associazione Amici dell’Archivio Storico, ottenendo come sede lo stesso archivio, per il cortese ascolto da parte del Sindaco. Come dire, dalla recezione individuale delle informazioni, siamo passati a riconoscere un atteggiamento culturale collettivo, che si fa baricentro per potenziare le energie e guardare al futuro. Ora che siamo aggregati, apprezziamo più chiaramente la varietà di interventi culturali che si appoggiano ad un archivio storico e in generale agli archivi. In Italia si definiscono “storici”, per precise normative di legge, gli archivi pubblici che conservano i documenti prodotti, quando hanno cessato la loro funzione viva. Le disposizioni furono emanate con lo stato unitario, ma riguardano anche tutto quello che di pubblico è stato prodotto nei lunghi secoli anteriori all’Unità, certo secondo uffici e servizi pubblici cambiati nel tempo, conosciuti da chi ha competenza storica: funzionari appositi – ed iniziative archivistiche specifiche, anche investendo in inventari o incontrandosi con altri archivi territoriali di enti e privati – mediano l’accesso degli utenti. Bisogni individuali di documentarsi, bisogni civici di ricostruzioni e revisioni animano quotidianamente gli uffici dei depositi. Ma il percorso di ricerca anima ugualmente, ovviamente a diverso livello e con diverse abilità, tutta un’altra gamma di utenti, gli operatori culturali più o meno professionalizzati in ambito storico. Gli stessi “Venerdì in archivio” li hanno fatti ben apprezzare: studio5 si, docenti e studenti universitari, ricercatori, appassionati di ricerche storiche si succedono nelle conversazioni mensili in performances pubbliche delle loro ricerche. Definendo dunque le possibili attività degli Amici dell’Archivio Storico, abbiamo ravvisato utile il conservare traccia, per quanto possiamo, di questi passaggi. Abbiamo anzi osservato che la ricchezza virtuale di conoscenze ed informazioni raggiunte dalla ricerca intorno al nostro territorio rischia di disperdersi, di girare a vuoto nel caso che non si raccolgano, se non in volumi, almeno in indici scritti, di facile accesso per la collettività. Di qui l’idea di uno strumento operativo dell’associazione che attestasse iniziative e ricerche svolte nella sede: appunto, questa rivista che ora presentiamo, “Quaderni d’Archivio”. L’operazione a cui ci accingiamo ci appare utile. È alla portata delle nostre capacità operative? È chiaro che fra noi, soggetto proponente da una parte, dall’altra gli storici ricercatori e il pubblico che desideriamo incontrare, occorrono i ponti adeguati. L’operazione “rivista”, appunto, diventa possibile con il comitato di redazione, nonché con la garanzia di un comitato di garanti. Ma è importante che il nostro progetto abbia precisi connotati, per costruire in buona sintonia i vari ponti. Il nostro impegno culturale ha come base la passione, e a simile entusiasmo invitiamo sul territorio il pubblico dei lettori. Una passione intrisa di consapevolezza: dei limiti nostri, costituiti dalla parzialità di temi, occasioni, letture; ma anche di tensione a conoscenze metodiche che vogliamo ci caratterizzi, di cui la valorizzazione delle fonti è un segno cospicuo. Non è il solo dato che desideriamo nei produttori culturali. Riflettendo su ciò che fa qualità, crediamo che questa dipenda da paziente ricerca, inquadramento adeguato in sfondi di cui è percepita l’ampiezza, bibliografia aggiornata allo status quaestionis, onestà di dichiarazione degli intenti personali. Ai divulgatori ideali, poi – quindi ai redattori – chiediamo di raggiungere il pubblico che condivide la nostra passione. Lo prefiguriamo come pubblico che segue le pagine scritte con curiosità critica, confrontandosi, aggiornandosi, rimandando a personali approfondimenti. Che tiene il filo conduttore, in base alla pregnanza di quello che ascolta, facendo leva dunque sul dato narrativo in base alla leggerezza dei costrutti e l’efficacia della parola. Ben inteso, pensiamo ad un pubblico smaliziato che dall’apparato di parole ed epiteti non si lascia sopraffare, compos sui ben più che di fronte ad una rappresentazione scenica. A teatro, se 6 non sbaglio, il filosofo greco definiva più saggio chi più si dimentica di sé! Ma la lettura di una rivista è altra cosa. Insomma, il pubblico ideale è adulto, avvertito, proiettato sul nuovo costruttivo. Come “nuovo”, si dirà, se si parla di archivi? No, non è un abbaglio, è una convinzione. Nel “nuovo” vi è l’inconfrontabile, se si vuole, qualcosa di misterioso e di incommensurabile. Il che dà sapore di avventura. Per fortuna, non tutto è riducibile al grigiore dell’ovvio. Ma come sarebbe ingenuo non percepire il lato del ripetuto in qualunque espressione, pur nuova – se è linguaggio –, così la storia dovrebbe essere progetto, dunque “nuovo”, entro la mappatura data dalle fonti, dunque dagli archivi. L’archivio non è antitesi del nuovo. Certo è limite che non può essere sforzato dall’onestà intellettuale; ma che pone domande diverse ad ogni originale sensibilità, ad ogni individualità, in combinazioni infinite. La ricerca ha bisogno anche di gioco, se leale; ripugna invece al barare, all’occultamento dell’operazione in corso. La ricerca, infine, ha bisogno di bellezza, se questa è linearità, leggerezza formale, espressione: un orizzonte che vogliamo sommessamente tenere d’occhio, come tendenza. Nell’ambito dei format di cui si sente dire, i progetti degli Amici dell’Archivio Storico assomigliano un po’ all’educazione permanente: attività non finalizzate a particolari scopi o ambizioni, ma che esercitano una passione stabilizzata, capace di crescere in modo sufficientemente organizzato. Propongono un’educazione, si può dire, fra pari, dove tutti ci sentiamo a nostro agio, rispettandoci nelle diversità personali e culturali. Un ambiente, dunque, non specifico per giovani, ma in cui anche i giovani possono ritrovarsi, con soddisfazione e libertà: in un percorso, una volta tanto, che non è di impostazione gerarchica, dove l’anziano ha tutto da dare e niente da assumere, il giovane tutto da ricevere e nulla da dire. Uno spazio fecondo perché fuori schema. Qui tutti, indipendentemente dall’età, non cessano di farsi domande, di sentire rovelli ed emozioni. Circoscritto, certo, è il tema che si offre, quello della comunità locale. Non è affatto un tema minimo. Varrebbe la pena di confrontare istituzioni e ritmi locali con altri vicini così come con lo scenario generale, misurandone sintonie e contrapposizioni. Potrebbe essere, per giovani in formazione, e tanto più per professionisti della scuola, un campo di prove, di laboratori e di programmazioni. Chissà. Comunque luoghi accoglienti come la rivista e come lo stesso edificio reale dell’archivio 7 moltiplicano le opportunità per tutti. L’associazione crede importante dare vita alla rivista, anche per l’arricchimento della qualità del vivere cittadino: al rapido crescere del livello di istruzione della popolazione, è normale corrisponda anche l’incremento dei momenti di organizzazione culturale e di assunzione di responsabilità. La rivista ha un taglio innovativo, con la sua attenzione al “farsi” del territorio e della popolazione – neutro! per nulla scontato il progresso –. Ne è simbolo stesso l’edificio che ci ospita, con i suoi volumi di pratiche secolari, richiamo a concretezza e variabilità delle condizioni in una comunità i cui stessi confini si ridisegnano nel tempo. Si mutano i pieni ed i vuoti, l’antitesi di pubblico e privato è problematica e reversibile. Mentre l’archivio incombe con la sua massa e la sua energia, ci ricorda le reti, effettive o virtuali, dell’organizzarsi del singolo nella comunità. Nella scelta del tema prevalente del primo numero, è sembrato appropriato sintonizzarsi con il “farsi luogo” di quel Museo del Vetro, che, indubbiamente, raccoglie tante progettualità, dell’Amministrazione, di scienziati e maestranze: che, soprattutto, cura ed espone una delle pagine più incisive e coinvolgenti per la popolazione empolese, nelle fasi recenti. Scendiamo infine nell’arena. La fiducia superi il tremore. Franca Bellucci 8 Empoli verso il 2019 Una rivista come “Quaderni d’Archivio” nasce per dare voce agli studiosi, agli storici, ai semplici appassionati, che vogliano far conoscere le loro ricerche realizzate in ambito locale, con l’obiettivo di condividerne i risultati. Abbiamo scelto, per il periodico che avrà cadenza annuale, un taglio che coniughi il rigore della ricerca storica con uno sforzo divulgativo per allargare l’ambito dei potenziali lettori. Le caratteristiche scelte per la rivista facilitano questo obiettivo: una prima parte, monografica, consentirà di fare il punto su un determinato argomento raccogliendo vari interventi e punti di vista. In questo numero, che si occupa del Magazzino del Sale, i contributi ne ricostruiscono la storia a partire dalle sue origini e dalle funzioni svolte ricostruendo per quanto possibile i cambiamenti intervenuti fino alla sua nuova funzione di sede del Museo del Vetro, con una bibliografia aggiornata e una serie di illustrazioni che integrano il testo. La seconda parte della rivista, Studi ed esperienze in archivio, presenterà schede e brevi saggi su tesi di laurea, ricerche specialistiche, attività didattiche svolte in archivio, eventuali recensioni e un resoconto delle attività organizzate dall’Archivio Storico Comunale in collaborazione con l’Associazione Amici dell’Archivio. In ogni numero Quaderni d’Archivio presenterà lo stato dell’arte e delle nuove ricerche su un tema individuato di volta in volta, mentre ospiterà articoli e saggi brevi individuati o pervenuti alla redazione. Sono tanti gli obiettivi che ci poniamo, pur consapevoli dei nostri limiti oggettivi e soggettivi, ma siamo certi che potremo dare un contributo in vista di una scadenza importante, anche se apparentemente molto lontana, dicembre 2019, in cui si celebreranno i novecento anni della “nuova” fondazione di Empoli. Andare alla ricerca delle tracce del passato di una città, di una comunità, di luoghi, di persone, è sempre un’avventura entusiasmante. Per lo studioso è pane quotidiano, per lo storico è spesso una sfida, per l’appassionato diviene talvolta una ragione di vita; per chi semplicemente ha voglia di conoscere la storia del suo paese, della sua città, di una società, o delle idee che hanno attraversato le menti dei suoi antenati, è parte di una cultura, parte piacevole, eppure necessaria e indispensabile, 9 del lungo e faticoso percorso di formazione culturale di un individuo. La ricerca storica con tutte le sue difficoltà, quella vera, che si dipana spesso lontano dai riflettori e dalle prime pagine, quella che accontenta lo studioso solo dopo anni di impegno e di duro lavoro fra le carte d’archivio, quella che altrettanto spesso delude anche il più accorto dei ricercatori, sarà il nostro punto di riferimento costante. La ricerca del documento che non si trova, di quel documento che da qualche parte dovrebbe essere e potrebbe darci la soluzione di anni di fatica, anni spesi a sfogliare registri, a tentare di decifrare scritture antiche apparentemente illeggibili, nell’oscurità e nel silenzio. Asceta medievale immerso in un contesto fuori dal tempo? Macché, studioso del ventunesimo secolo, in viaggio perenne per gli sterminati fondi dei nostri straordinari archivi. Scrigni preziosi, per la gran parte sconosciuti, tanti documenti dal contenuto ignoto, che piano piano tornano alla luce; una luce che, sempre con lentezza e circospezione, si fa via via più intensa, fino a disvelarci il senso delle cose, le intime correlazioni della storia. Può succedere anche che la ricerca si fermi, e lo studioso, suo malgrado, non trovi le prove che supportano la sua tesi, magari fondata su indizi che erroneamente aveva ritenuto facilmente dimostrabili, in maniera definitiva e certa, inconfutabile; è difficile, il mestiere di storico. Ma altrettanto spesso capita che, giunto al termine delle sue fatiche, lo studioso non abbia garantito nemmeno lo spazio per rendere noto al pubblico il risultato della sua ricerca. Circostanza paradossale, in verità piuttosto frequente. E allora, una rivista come quella che andiamo a presentare al pubblico con questo primo numero, nasce per dare voce a quei tanti studiosi, agli storici, ai semplici appassionati, che vogliano far conoscere le loro ricerche. Sono tanti gli obiettivi che abbiamo davanti, l’abbiamo detto, e ci piace pensare che questo sia il primo breve passo di una lunga e faticosa marcia verso una meta importante, proprio quella del dicembre 2019, i fatidici nove secoli dalla “nuova” fondazione di Empoli. Costruire il futuro ricostruendo il passato è stata nei secoli trascorsi un’ambizione per tanti popoli, spesso è stata un’utopia. Oggi pare non interessare più, sembra che il passato nell’idea di molti sia un recinto chiuso, e la storia sia ormai inutile, al punto che in tanti nella società attuale si chiedono quale sia il suo posto nella formazione culturale di una persona. D’altra parte, è più semplice dimenticare che ricordare. Fa anche como10 do dimenticare,- e far dimenticare-, fa comodo a chi la storia vorrebbe maneggiarla secondo il suo uso e consumo. E allora accanto alla storia è necessario che su queste pagine trovi spazio anche la memoria. Ci saranno le “stanze” della memoria, da costruire giorno dopo giorno, lentamente, da tirar su con tanti mattoncini, tanti frammenti da reperire, ricomporre, tante storie, tante memorie affidate spesso al ricordo, alla voce, al pensiero e soprattutto ai documenti, agli oscuri e gelidi, ma non polverosi, scaffali d’archivio. Stanze che potranno portare un contributo alla costruzione di una casa. Qui ci sarà posto. Ci potremmo chiedere, oggi, che significato abbia: ognuno ha una risposta, ma noi ce lo chiederemo continuamente, e cercheremo di rispondere con i fatti, con quei frammenti della memoria rispolverati, frammenti finora condannati all’oblio da far tornare alla luce, consapevoli del fatto che un paese senza memoria è un paese senza futuro. Non serve avere alle spalle una storia, anche una “grande” storia, senza la memoria. Corre l’obbligo di un’ultima avvertenza; la memoria che cercheremo di recuperare non ha limiti cronologici, e spazierà volutamente nei meandri della storia, soprattutto di quella con la esse minuscola. E allora, siccome da una parte bisogna cominciare, andiamo ad una memoria lontana. E cominciamo da Empoli. Paolo Santini 11 Parte I Da Magazzino del Sale a Museo del Vetro 13 VANNA ARRIGHI Le origini del Magazzino: la Gabella del sale Il commercio del sale era considerato fino dai tempi più antichi una “regalia”, cioè un diritto esclusivo di chi esercitava la sovranità, data l’importanza fondamentale rivestita da questa sostanza tanto nell’alimentazione che nella conservazione del cibo. Sembra che già ai tempi dell’impero romano ai soldati venisse data, come parte della remunerazione, una certa quantità di sale, da cui derivò la parola “salarium” che poi estese il suo significato fino a comprendere qualsiasi compenso a cadenza regolare. Non meraviglia pertanto che il sale diventasse uno dei principali cespiti di tassazione e che la tassa del sale costituisse uno delle più cospicue voci di entrata nella finanza pubblica dell’Italia centro settentrionale fra la fine del Duecento e l’età moderna. L’importanza di questa imposizione tuttavia, insieme alle modalità della sua applicazione, travalicavano il fatto puramente economico per acquisire un preciso e preponderante interesse politico: l’imposizione della gabella del sale fu non solo la manifestazione del con- trollo della città sul territorio circostante ma anche uno strumento per esercitare il controllo stesso, in quanto le clausole relative al sale formavano parte integrante e non secondaria dei patti di sottomissione dei comuni minori alla città dominante. L’estensione dell’imposizione coatta del sale in buona parte dell’Italia settentrionale nell’ultimo ventennio del Duecento, fu la prova di forza dei comuni maggiori sia nei confronti delle città sottomesse, sia verso i declinanti poteri signorili sul territorio, che si fecero difensori dell’indipendenza della distribuzione. Il comune di Firenze non fece eccezione a questa tendenza generale e le prime notizie in area fiorentina di regolamentazione del commercio del sale sono costituite da una Provvisione del 24 marzo 1298 che stabiliva che nessun abitante della città e contado potesse acquistare il sale se non da incaricati del comune di Firenze e ne fissava il prezzo a soldi 12 lo staio. Da allora in poi i provvedimenti relativi a questa materia divennero numerosissimi e fra 15 VANNA ARRIGHI questi rientra anche la costruzione del magazzino del sale di Empoli, poco dopo la metà del XIV secolo La prima notizia della presenza di un magazzino o meglio, di una canova del sale in Empoli, si trova nel più antico registro di deliberazioni del comune, conservato nell’archivio comunale. Riguarda una seduta del 6 aprile 1365 quando il consiglio generale del comune si riunì con il seguente ordine del giorno: “Cum hoc sit quod comune Empoli teneatur et debeat ad petitionem comunis Florentie fieri facere canovam salis et saline in dicto castro Empoli et vendere de sale volentibus emere...placet dicto consilio et consiliariis providere, stantiare et deliberare quod dicta canova fiat in dicto castro ita et taliter quod dictum comune Empoli non incurrat in aliqua pena” (ACE, Comunità 2,12r). [Poiché il comune di Empoli è tenuto ed obbligato, su richiesta del comune di Firenze, a far fare una canova del sale e salina nel castello e vendere sale a chi lo vuole acquistare … piace al consiglio ed ai consiglieri provvedere, stanziare e deliberare che detta canova sia fatta in modo da non incorrere nella pena stabilita per i contravventori] L’intervento del comune di Firenze, che spinge le comunità soggette a dotarsi di un apposito locale in cui stivare il sale che avrebbero dovuto comprare nella quantità e con i prezzi e le modalità stabiliti dalla città dominante, si basava appunto sulla rivendicazione del ruolo di detentore della pubblica 16 autorità. Contestualmente, nella stessa seduta del 6 aprile, su proposta del consigliere Antonio di ser Martino Paglia, si approvò anche la delega ai consoli, di provvedere a tale costruzione, dando loro facoltà di spendere quanto avessero ritenuto necessario. Dopo il primo provvedimento del 1299 che assegnava ad incaricati del comune la privativa della vendita di sale, un ulteriore passo avanti fu fatto dal comune di Firenze con la Provvisione del 19 aprile 1318, che fissava per le comunità del contado una quantità prestabilita di sale da acquistare annualmente, calcolata in base al numero di abitanti ed alla quota di Estimo (la stima della capacità contributiva di ogni popolo e comune, in base alla quale veniva calcolata l’imposta diretta, cifra che veniva rivista e variata ogni cinque anni), nella misura di sei staia di sale per ogni centinaio di lire di Estimo. Per poter fare un esempio concreto, relativo al caso di Empoli, bisogna però prendere in considerazione i dati relativi al 1356, che è il primo anno per il quale disponiamo della cifra di Estimo assegnata al popolo di sant’Andrea a Empoli, pari a lire 1900; a questa data tuttavia la proporzione fra Estimo e l’acquisto forzato LE ORIGINI DEL MAGAZZINO: LA GABELLA DEL SALE di sale era già aumentata, essendo stata fissata a 20 staia di sale per ogni centinaio di lire di Estimo; si può pertanto calcolare approssimativamente per tale anno una imposizione di 380 staia di sale, al prezzo imposto, che in questo periodo era di 20 soldi lo staio. A livello locale spettava poi ai rappresentanti eletti allo scopo dal consiglio comunale distribuirlo ai vari capi-famiglia e farselo pagare, in modo da poter poi effettuare i relativi pagamenti ai Maestri del sale, gli ufficiali fiorentini incaricati di questa mansione. Ogni popolo o comune era collettivamente responsabile della quota assegnatagli e talvolta, nel caso che rimanessero quantità di sale invendute, queste dovevano essere ridistribuite fra gli altri contribuenti. La quantità di sale imposta alle comunità (ovviamente quelle che, come Empoli, non potevano vantare alcun privilegio o patto in deroga in questa materia) crebbe progressivamente e fu disancorata dall’Estimo, a partire dal 1396, quando si attribuì una quota uguale ad ogni abitante del contado maggiore di 3 anni “di qualunque sesso e condizione, anco ecclesiastici di qualsiasi dignità”, consistente in un quarto di staio, da pagarsi al prezzo di lire 6 lo staio. Tale quantità obbligatoria crebbe costantemente negli anni suc- cessivi: nel 1641, ad esempio, la quantità di sale imposta al popolo di sant’Andrea a Empoli era salita a 568 staia, ma non si conosce il numero delle famiglie che se la dovevano ripartire; purtroppo la dispersione dei documenti relativi al sale ci fa disporre solo di dati molto saltuari e difficilmente confrontabili. Quella sul sale pertanto, benché costantemente chiamata “gabella” nelle fonti contemporanee, nome col quale si designavano le imposte indirette sui consumi (a Firenze e nel contado ne esistevano numerosissime: sul vino, sulla carne, sulla stipula dei contratti, cui si aggiunse verso la metà del secolo XVI quella odiosissima sul macinato), si configurava in realtà come un’imposta mista, nella quale il rapporto tra gettito e consumo è più teorico che reale. Il prezzo del sale al consumo veniva mantenuto artificiosamente molto più alto del costo alla produzione, in modo da coprire con il gettito della sua vendita una grande parte delle spese del comune di Firenze; inoltre la difformità di prezzo costituiva una costante tentazione a prendere il sale delle zone a basso costo per smerciarlo in quelle a prezzo più alto. La preoccupazione di prevenire i furti e le frodi aventi per oggetto il sale tenne impegnati per seco17 VANNA ARRIGHI li i legislatori fiorentini e toscani e raggiunse talora livelli da paranoia: ad esempio, nel 1701 fu intimato al podestà di Montaione di far “rimurare e disperdere l’acqua salsa sorgente in quel di Castelfalfi” e nel 1704 fu emesso un apposito editto per proibire di raccogliere il sale marino che naturalmente veniva a formarsi nelle cavità degli scogli. Nel periodo del Principato mediceo furono presi vari provvedimenti per razionalizzare l’imposta e per armonizzare le differenze più vistose fra le diverse zone (dal 1554 al dominio fiorentino si era aggiunto lo stato di Siena, dotato di normativa assai diversa in materia). Senza tentare di esaminare i numerosissimi e talvolta contraddittori provvedimenti su questa materia, basterà dire che le caratteristiche di fondo della gabella del sale erano le seguenti: imposizione del consumo annuo procapite di una certa quantità di sale, variabile da uno fino a tre chili a testa; la differenza di prezzo per l’acquisto del sale da parte di ogni singola comunità, che variava in genere secondo la distanza dai luoghi di produzione; la differenziazione del prezzo per ogni abitante, in base a generici livelli di reddito stabiliti dal centro ed applicati a livello locale (“benestanti”, “comodi”, “miserabili”). 18 Per gestire il complesso sistema di produzione, trasporto e distribuzione del sale, che prevedeva continui controlli, accompagnati dalla necessità di verbalizzarli minuziosamente, si rendeva necessaria la presenza di una complessa gerarchia di impiegati ed addetti: c’erano i doganieri, con il compito di acquistare il sale, organizzarne il trasporto a Firenze, provvedere allo stoccaggio e alla distribuzione, il tutto sotto l’attento controllo dei Maestri del sale, quattro cittadini fiorentini che a rotazione venivano designati a questo compito. Poi a livello locale c’erano i canovieri, che dovevano levare ogni quattro mesi la quantità di sale assegnato alla rispettiva comunità e distribuirlo ai cittadini. In questa fase della loro attività si avvalevano della collaborazione del cancelliere comunitativo, che consegnava loro l’elenco dei contribuenti con le quote di sale loro assegnato e di quella del podestà, al quale dovevano fornire l’eventuale elenco dei contribuenti morosi e degli inadempienti, per l’inevitabile perseguimento. Si ha notizia tuttavia che, almeno nel caso di Empoli, la gabella del sale venisse spesso appaltata. Le varie comunità e popoli del dominio fiorentino dovevano quindi acquistare una grande quantità di sale e dovevano pertanto dotarsi LE ORIGINI DEL MAGAZZINO: LA GABELLA DEL SALE di un luogo per lo stoccaggio, oltre che di personale incaricato della distribuzione alle famiglie. Di qui la necessità di avere una canova, termine che designa tanto l’incetta di sale che il luogo fisico della sua conservazione e distribuzione, luogo che poteva essere chiamato anche “magazzino del sale” o “dogana del sale”. L’ambiente doveva avere precise caratteristiche: una struttura robusta per reggere alla pressione esercitata sul pavimento e sulle pareti dai mucchi di sale, essere riparato dall’umidità e dalle infiltrazioni di acqua ed essere vicino alle vie di comunicazione terrestri e fluviali per facilitarne il trasporto. Si può presumere che fino dall’inizio fosse stato scelto per questo scopo un locale situato nel luogo ove ancora oggi sorge il “magazzino del sale”, cioè all’angolo fra le attuali via Ridolfi e via Chiara, benché l’edificio attuale sia molto diverso nell’aspetto e assai più grande nelle dimensioni del luogo scelto a questo scopo dalla deliberazione trecentesca. La nostra ipotesi si basa su una notizia ricavata dal Catasto del 1427, quando, nel censimento fiscale indetto per quell’anno furono per la prima volta inserite le descrizioni degli immobili posseduti da ogni capo-famiglia del dominio fiorentino. Nella “portata” di tal Andrea di Filippo Betti, soprannominato “Ghavarra”, abitante a Empoli, si menziona infatti una casa così descritta: Una casa posta in detto popolo nel castello d’Empoli, presso alla porta ad Arno, [confini:] I via, II la canova del sale, III una cappella di santa Reparata IV la chiesa di santa Maria a Pagnana Mina (oggi Spicchio) La porta ad Arno è da intendersi quella della cinta muraria trecentesca, poiché la costruzione dell’ultima cerchia cominciò, com’è noto, verso la metà del secolo XV: questa porta rappresentava allora il passaggio dal centro abitato al porto fluviale, prima che il corso dell’Arno venisse deviato ed assumesse l’assetto attuale, risalente al secondo Ottocento. La zona, contigua alle mura, appare essere stata allora quasi del tutto priva di abitazioni, poiché a parte il Betti e la chiesa di Spicchio, nessun altro contribuente nei Catasti del XV secolo denuncia la canova del sale come confinante. È mia opinione che tale magazzino fosse stato ricavato in un ambiente contiguo o addirittura appartenente alla stessa cinta muraria poiché seguendo la storia della casa del Betti nei suoi vari passaggi di proprietà lungo tutto il secolo XV viene talvolta citato come confinante, in alternativa alla canova del sale, il comune di Firenze che, com’è noto, era proprietario delle fortificazioni di 19 VANNA ARRIGHI Empoli fino a quando, tra la fine del secolo XV e i primi anni del successivo, essendo ormai stata ultimata la costruzione di una nuova cerchia muraria, le mura precedenti, con le relative porte e torri di guardia furono smantellate e vendute a privati. Non è infatti del tutto chiaro dalle fonti documentarie a nostra disposizione quale fosse l’assetto proprietario del magazzino nei secoli XIV e XV; soltanto nel tardo secolo XVI emerge con chiarezza che tale ambiente apparteneva alla comunità di Empoli, la quale tuttavia potrebbe averla acquistata dal comune di Firenze in occasione della già menzionata dismissione della cerchia muraria trecentesca. Ad una proprietà fiorentina ed ad una ubicazione all’interno delle fortificazioni fa pensare anche una lettera dei Capitani di Parte Guelfa, la magistratura fiorentina che si occupava, tra l’altro, delle strutture difensive, al podestà di Empoli del 26 giugno 1535 (ACE, Giusdicenti 121) che ordina di “rassettare il magazzino del sale di cotesta terra in tale forma che stia bene et che questo magistrato ne resti bene satisfacto”. Presumibilmente il locale aveva riportato danni in occasione dell’assedio del 1530 e a cinque anni di distanza non si era ancora provveduto a ripararli. 20 Ci sembra di capire che il passaggio alla comunità sia avvenuto non contemporaneamente allo smantellamento della seconda cinta muraria, ma più tardi, forse in occasione di una nuova “privatizzazione” di ripe e carbonaie avvenuta negli anni settanta-ottanta del ’500, ma non si sono potute fino a questo momento reperire prove documentarie decisive. Sempre su prove indiziarie si basa il nostro assunto che il magazzino del sale ed il cosiddetto “arsenale” fossero in realtà la stessa cosa e che questo nome al locale presso la porta ad Arno sia derivato dal fatto che durante l’assedio vi fossero state messe le munizioni, fatto sta che dopo il passaggio di proprietà del magazzino alla comunità questo fu affittato a privati e che nei relativi documenti fiscali si parla di “arsenale e non più di “magazzino del sale”. Nel 1639 poi il magazzino fu affittato all’ “ufficio del sale” e ritornò all’uso primitivo. Intanto lungo il secolo XV l’importanza di Empoli come luogo di stoccaggio del sale era aumentata: dopo l’acquisto di Pisa (1406) e soprattutto il definitivo assoggettamento da parte del comune di Firenze (1472) di Volterra, che con le sue sorgenti di acqua salsa, le cosiddette “moie”, costituiva il luogo privilegiato dell’approv- LE ORIGINI DEL MAGAZZINO: LA GABELLA DEL SALE vigionamento di sale per Firenze ed il suo dominio, si fissarono definitivamente i percorsi per il suo trasporto e distribuzione, prima legati ai mutevoli rapporti politici esistenti con i due comuni minori. A questo punto Empoli divenne una tappa fondamentale sulla via del sale, soprattutto per quello che arrivava da Volterra, che veniva trasportato per via di terra fino a Empoli, passando per S. Ottaviano e Gambassi, attraverso quella che col tempo verrà chiamata “via Salaiola” o, in alternativa, “via Volterrana”; in ognuna di queste tappe il sale veniva controllato e pesato, per scoraggiare le frodi; a Empoli il sale arrivava distribuito in sacchi sigillati e bollati, accompagnato da polizze e quaderni contabili per il riscontro del loro numero e peso. Il trasporto veniva effettuato di solito da carrettieri selezionati, che avevano dovuto fornire preliminarmente precise garanzie. Poiché infatti il sale aveva difformità di prezzo, anche notevole, fra una zona e l’altra della Toscana, se ne temeva il contrabbando e il furto; i controlli erano perciò continui durante il percorso dalle saline ai luoghi di concentrazione. A Empoli i sacchi di sale venivano stivati nel magazzino e poi potevano essere in parte caricati sul- le chiatte e mandati via Arno fino a Signa, per raggiungere Firenze e le zone del Casentino, oppure distribuiti per via terrestre agli incaricati di altri comuni circostanti, anche di quelli non proprio vicini del medio Valdarno e della Valdinievole. Benché le saline di Volterra rappresentassero, specialmente dopo il 1472, la fonte di approvvigionamento principale, a Empoli arrivava anche per via fluviale da Pisa il sale marino, detto “alla trapanese”, che giungeva da Castiglione della Pescaia e da Portoferraio; di esse veniva tenuta contabilità separata, in quanto anche il costo era diverso. A riprova dell’importanza fondamentale del sale nelle società di antico regime abbiamo il fatto che su di esso venivano preferibilmente fatte gravare le imposizioni straordinarie indette per sopperire a emergenze finanziarie: ad esempio, quella verificatasi nel gennaio 1537, a poca distanza dall’ascesa al trono del giovanissimo Cosimo I de’ Medici, quando fu indetta una imposizione di almeno diecimila staia di sale da porre in vendita forzosa al prezzo di lire nove lo staio, con la motivazione degli “accidenti novamente occorsi qui nella ciptà e […] de’ pericoli che a quella sovrastano” (Cantini, I, 1804, pp.122-125), dove tuttavia ci si preoccupa di precisare che è 21 VANNA ARRIGHI stato scelto il sale come mezzo di reperimento straordinario di risorse finanziarie per rendere l’imposizione “più universale possibile”. Il sale era poi scelto, a preferenza del denaro contante, sempre scarso in tutto il periodo considerato, per fare dei donativi o elemosine agli enti religiosi e assistenziali. Ben presto fu necessario riconvertire ad uso del commercio del sale e della relativa amministrazione altri edifici: il mulino sull’Arno, esistente almeno dal XIV secolo ed originariamente adibito alla macinazione dei cereali, fu in un’epoca imprecisata, ma antecedente al 1543, (ACE, Giusdicenti 131, p. 9) trasformato in “mulino del sale”, toponimo che ancora oggi serba la memoria del luogo dove si trovava. Esso doveva servire alla produzione di sale fine per usi alimentari e per questo aveva bisogno di un deposito annesso ove stivare i sacchi di sale, prima e dopo la macinatura, nonché di un piccolo scrittoio per contabilizzare attentamente tutte le operazioni. Dalla fine del secolo XVII cominciò a diffondersi l’uso del sale colorato e pertanto fu necessario allestire un altro magazzino, all’estremità di via del Giglio, prospiciente l’attuale piazza della Vittoria, come deposito per il sale rosso. La fabbricazione del sale 22 rosso, iniziata a partire dalla legge del 27 novembre 1664, sfruttava un metodo, scoperto dall’accademico del Cimento Antonio Oliva (1624-1689) per colorare il sale mediante l’aggiunta al processo di estrazione di una sostanza vegetale, detta “verzino” o “fernabucco”, nonché di allume. Fu uno dei metodi escogitati per contrastare la vendita illegale di sale, fiorentissima a causa delle differenze di prezzo esistenti fra una zona e l’altra del granducato di Toscana e fra quest’ultimo ed il confinante stato pontificio, nonostante i minuziosi controlli, l’attenta e prolissa regolamentazione della materia e la severità delle pene previste per i contravventori. Fu stabilito che nelle zone di confine si consumasse solo sale rosso, in modo da poter riconoscere celermente le eventuali frodi; in seguito, e per lo stesso motivo, si distribuì esclusivamente sale rosso agli enti religiosi ed assistenziali che usufruivano di prezzi ridotti o addirittura di distribuzioni di sale gratis. Intanto, almeno dal 1572, era cambiato il modo di determinare la quantità di sale assegnata alle singole comunità. A partire dalla legge del 29 gennaio di quell’anno, nei frequenti provvedimenti che interessavano questa materia si comincia a menzionare la “congregazione dei LE ORIGINI DEL MAGAZZINO: LA GABELLA DEL SALE sali”, una commissione composta prima da quattro poi da sei membri, tutti scelti fra i “grand commis” del granducato, con il compito di stabilire ogni sei anni la quota obbligatoria di sale che ogni comunità doveva levare; inoltre, per ancorare la distribuzione finale ai cittadini su basi il più possibile oggettive, fu fatto obbligo ai cancellieri comunitativi di inviare con la stessa periodicità alla Deputazione il conto esatto degli abitanti e delle bestie esistenti nel territorio di loro competenza. Trae origine da questo provvedimento la serie archivistica dei “quadernucci del sale”, sorta di ruoli d’imposta in cui erano elencati i capi-famiglia per ciascuno dei popoli su cui si estendeva la competenza del cancelliere comunitativo, che di solito abbracciava più podesterie e comunità, con il numero dei componenti della rispettiva famiglia, definiti icasticamente “bocche” e la quantità dei capi di bestiame,di solito pecore, posseduti; era in base a questi parametri che veniva calcolata sia la quantità di sale complessiva attribuita al popolo, sia la quota di ciascun capo-famiglia. Di questi “quadernucci”, fonte preziosa per lo studio della demografia storica, pochi e tardi sono gli esemplari giunti fino a noi. Per la nostra zona ne sono stati reperiti fino ad ora soltanto due, degli anni 1766 e 1767 e relativi al comune di Monterappoli, diviso nei suoi otto popoli. Da essi si vede anche come fossero stati presi nel frattempo provvedimenti per rendere meno iniqua l’imposizione del sale, che per secoli aveva colpito indistintamente ricchi e poveri. Dividendo infatti la quota di sale assegnata ad ogni capo-famiglia per il numero dei membri della famiglia stessa, dopo averne eventualmente detratto mezzo staio di sale per ogni capo di bestiame si vede che ai benestanti era stata assegnata la quantità di 18 libbre a testa l’anno, ai lavoratori mezzadri 12 staia e sei staia ai pigionali, che evidentemente rappresentavano il gradino più basso della scala sociale. Durante il periodo della reggenza lorenese, si fecero, a partire dal 1740, alcuni esperimenti di privatizzazione delle “regie rendite”, cioè fu appaltata a privati, in cambio di una somma forfettaria, la riscossione di un cospicuo gruppo di imposizioni fiscali, tra cui appunto, la gabella del sale, ma a livello locale non si ebbero cambiamenti di rilievo nel meccanismo sopra delineato. In seguito, dopo l’ascesa al trono del granduca Pietro Leopoldo si studiarono vari correttivi per rendere meno iniqua la tassa; uno dei progetti 23 VANNA ARRIGHI elaborato dal ministro del governo toscano Francesco Maria Gianni nel 1779 prevedeva di dividere la popolazione di ogni comunità in sei classi, a ciascuna delle quali corrispondeva una quantità minima di sale da levare, maggiore per la città di Firenze, minore per le comunità del contado, e precisamente: una Prima classe, comprendente osti, pizzicagnoli, tavernieri, ecc., che usavano il sale per i loro commerci: libbre 11 ciascuno per i membri della loro famiglia (10 libbre per il contado), più libbre 63 per ogni bottega; una Seconda classe comprendente i cittadini ricchi, cui veniva applicata una quota di libbre 16 per ogni bocca; (13 per il contado); la Terza classe i benestanti, con una quota di libbre 14 per ogni bocca (12 per il contado); la Quarta classe “persone meno comode” cui si applicava una quota di libbre 11 o 10 se abitanti in contado; la Quinta classe: Braccianti e lavoratori a giornata, cui si applicava una quota di libbre 9 per ogni bocca (8 per il contado) ed infine la Sesta classe: miserabili con libbre 3 per 24 ogni persona, ovunque residente; completava il quadro la solita quantità di mezza libbra per ogni capo di bestiame. Non è chiaro se l’attribuzione del singolo contribuente alla rispettiva classe venisse fatta dagli uffici governativi oppure a livello locale, né su quale base; in ogni modo questo sistema, se pure ebbe il tempo di entrare in vigore, durò pochi anni, in quanto con legge del 3 marzo 1788 la distribuzione forzata di sale fu abolita, obbedendo ad un principio che già da tempo si era fatto strada nella mente del Gianni, secondo il quale la gabella del sale avrebbe dovuto trasformarsi del tutto in imposta di consumo. Così fu infatti, anche se la fabbricazione e la vendita del sale rimasero monopolio di stato ed affidate alla Regia Azienda dei Sali di Toscana, cui di lì a poco il magazzino del sale di Empoli passò in proprietà e continuò a funzionare, adibito allo stesso scopo per cui era stato fondato nel lontano XIV secolo, fino almeno alla fine del Granducato di Toscana (Annuario del Ministero delle finanze, 1865, p. 160). LE ORIGINI DEL MAGAZZINO: LA GABELLA DEL SALE Documenti Il Magazzino del Sale 1427: (ASF, Catasto 91, c. 337) [Portata di Andrea di Filippo Betti, detto “Ghavarra” di Empoli]: “Una casa posta in detto popolo nel castello d’Empoli, presso alla porta ad Arno, a I via, II la canova del sale, III una cappella di santa Liberata IV la chiesa di santa Maria a Pagnana Mina e altri” 1435: (ASF, Catasto 524, c. 1075) [Portata dello stesso] “Una casa in via della Porta ad Arno, I via, II maghazzino del sale III Compagnia di Gonfienti IV beni di santa Reparata” 1460: (ASF, Catasto 849, c. 785) [Portata di Giovanni di Andrea Betti] “Una chasa alla Porta ad Arno cui a I via, a II comune di Firenze, III compagnia di santa Maria a Gonfienti, IV mura castellane” 1466: (ASF, Notarile antecosimiano 12825, c. 188) [Contratto di compra-vendita rogato a Empoli il 30 marzo 1466] “Johannes condam Andree Philippi alias Ghavarra vendidit Tommaso sive Maso condam Pieri Tommasii alias Comparino de Pagnana Mina unam domum cum terreno, palcis, tecto et suis pertinentiis loco dicto “alla Porta ad Arno”, cui a I via, II canova salis, III dicti venditoris IV canonica s. Marie del Fiore, ... pro pretio florenorum decem”. 1487: [ASF, Catasto 1092, c. 111v.] [Portata di Maso di Piero da Spicchio] “Una casa posta in Empoli, cui a I via, II maghazzino del sale; III calonaci di s.Maria del Fiore; IV Giovanni di Andrea Ghavarra. 25 VANNA ARRIGHI L’imposizione 1767: [ACE, Comunità 46, cc.301 e sgg], [Quadernuccio del sale dell’anno 1767 per il popolo di san Lorenzo a Monterappoli] Capi famiglie pecore Domenico Cantini lavoratore Lorenzo Castellani lavoratore 12 Giuseppe Busoni Val(ent)e Carmignani lavoratore 18 Francesco Boschi lavoratore Achille Pucci lavoratore 18 Lorenzo Arrighi lavoratore Andrea Falorni lavoratore 16 Franco Poggianti lavoratore 18 Francesco Sani lavoratore Andrea Mugnaini lavoratore 14 Francesco Quercetani pigionale Giov.Battista Mugnaini lavoratore 24 Francesco Falorni lavoratore Piero Tassi pigionale Rev. Padre Santi Bonelli Giuseppe Galiberti Sebastiano Bucalossi lavoratore 18 Domenico Massetani pigionale Marco Antonio Bacchi lavoratore Andrea Carboncini lavoratore 16 Fattore dei SS.ri Cerchi Stefano Taccini lavoratore Giovan Battista Fedeli lavoratore 8 Niccolò Malquori pigionale …Pazzini in luogo del Faraoni 16 Vedova di Domenico Carli pigionale Anton Maria Nieri lavoratore Sebastiano Bellini pigionale Lorenzo Taccini lavoratore Domenico Malquori pigionale Domenico Fedeli pigionale 26 bocche 8 6 1 8 5 7 7 6 6 6 8 7 9 6 4 3 3 9 4 10 5 3 3 7 1 7 2 6 5 2 2 1 Libbre 9 78 1 105 60 93 84 80 81 72 103 42 120 72 24 54 36 117 24 120 68 54 36 88 6 92 12 72 30 24 12 6 Quota/pers. 12 12 18 12 12 12 12 12 12 12 12 6 12 12 6 18 12 12 6 12 12 18 12 12 6 12 6 12 6 12 6 6 LE ORIGINI DEL MAGAZZINO: LA GABELLA DEL SALE Totale del popolo di san Lorenzo a Monterappoli: pecore 196 bocche 179 libbre di sale 2132 [Seguono i dati degli altri popoli della comunità di Monterappoli, cioè san Giovanni Evangelista a Monterappoli, san Bartolomeo a Brusciana, sant’Andrea a Stigliano, santa Maria Oltrorme, san Giusto a Petroio, san Simone a Corniola, san Leonardo a Cerbaiola]. Totale del comune di Monterappoli: Pecore 720 bocche 1084 libbre di sale 12.273. Il totale disaggregato delle bocche divise per classi di reddito è il seguente: I classe (osti, macellai, pizzicagnoli) bocche 0 II classe “comodi e benestanti” bocche 35 III classe lavoratori di terre “comodi” totale 713 IV classe lavoratori “meno comodi” totale 164 V classe persone privilegiate totale 11 VI classe “poveri pigionali e braccianti” totale 161 [seguono le sottoscrizioni del gonfaloniere del comune e dei rappresentanti dei popoli in numero di sei, dei quali ben quattro si dichiarano analfabeti] 27 GIUSEPPINA CARLA ROMBY Il Magazzino del Sale e l’architettura dell’utile nella Toscana moderna Con la fondazione dello stato territoriale mediceo si assiste ad una complessa riorganizzazione e incentivazione delle attività produttive con il definirsi di “distretti” e/o specializzazione areali. Così al Valdarno Superiore, al Mugello e alla Valdelsa veniva riconosciuta una peculiarità agricola, per Volterra e le colline metallifere si confermavano le potenzialità minerarie-estrattive, Fucecchio, Bientina e la Valdichiana erano interessate da programmi di bonifica e di potenziamento colturale (Spini, 1971; Spini, 1976; Franchetti Pardo, 1980; Spini, 1983). Le molteplici ed articolate attività manifatturiere, distribuite nelle campagne come nei centri urbani maggiori e minori, erano oggetto di provvedimenti adatti a promuovere, quando non a rilanciare, le produzioni, anche richiamando capitali e personale da altri stati, come nel caso della produzione della carta del pesciatino (Baldasseroni, 1734; Bernardini, 1899; Cecchi, Coturri, 1951; Salvagnini, 1975; Sabbatini, 1987), della Valdelsa (Ragoni, 1984; Sabbatini, 1990; Bonelli Conenna, 1992; Valacchi, 1992) o con il diretto intervento dello stato come per la manifattura della seta (Dorini, 1928; Morelli, 1946; Guaita, 1998). Mentre i luoghi del lavoro mantenevano caratteri definiti dalla consuetudine e dalla tradizione spesso legate all’impiego di “macchine andanti ad acqua”, venivano realizzate nuove attrezzature di servizio e fabbricati specifici per quelle attività e produzioni che ricadevano sotto il diretto controllo granducale. E si trattava di edifici/corpi di fabbrica che, per tipologia, formule architettoniche e uso dei materiali, si dovevano distinguere lungo le strade e le idrovie, nelle piazze, negli abitati del granducato (come il Capannone nel Padule di Fucecchio, il Magazzino del Sale di Empoli, l’Arsenale di Pisa, il granaio dell’Abbondanza di Firenze, i Bottini dell’olio di Livorno, ecc.). Esuberanza dimensionale e tipologia specialistica assicuravano la immediata identificazione dell’edificio insieme alle inconfondibili insegne granducali ripro29 GIUSEPPINA CARLA ROMBY dotte sugli stemmi; progetti e realizzazioni erano competenza dei tecnici appartenenti alla magistratura dei Capitani di Parte Guelfa, cui erano demandati i lavori di pubblico interesse del granducato (Prunai, 1967; Cerchiai, Quiriconi, 1976). Entravano a far parte degli edifici di “pubblica utilità” i fabbricati adibiti a deposito di materie prime e derrate alimentari, su cui lo stato esercitava una forma di controllo fiscale (gabella), come il grano e il sale. Per tutto il periodo granducale, attraversato da carestie ed epidemie ricorrenti, una delle preoccupazioni dei Medici fu l’approvvigionamento di grano per garantire la sussistenza delle popolazioni; e sul grano si esercitavano controlli capillari sia sui prezzi che sulle possibili esportazioni e frodi (Spini, 1971, p. 821). Va da sé che, proprio in concomitanza delle difficoltà di approvvigionamento e della necessità di esercitare un controllo sullo smercio e sui prezzi, vennero potenziate le strutture di deposito, come magazzini e granai e vennero costruite ex novo numerose logge “del grano” e dei mercanti, luoghi adatti al commercio tutelato del prodotto (Spini 1976, p. 813). E non si può dimenticare che Livorno nasceva come “porto dei 30 grani”. Un altro prodotto alimentare, su cui si esercitava uno stretto controllo e da cui si ricavavano notevoli introiti, era il sale. La produzione di sale nel granducato era quasi interamente fornita da Volterra e dalle sue saline, mentre una parte minore era prodotta nell’Isola d’Elba, nelle saline di Portoferraio; qualunque fosse il luogo di produzione era necessario concentrare il prodotto in appositi magazzini adatti a contenere le quantità stimate necessarie per servire le diverse aree territoriali di competenza di ogni deposito/magazzino. Inoltre la fornitura di sale era determinata in base alla popolazione di ogni comunità, ed era soggetta ad una tassa obbligatoria (gabella) come obbligatorio era l’acquisto per il fabbisogno annuale di ogni famiglia (cfr. Arrighi in questo stesso volume; ASF, Carte Gianni 12, 198; Dal Pane, 1971; Borelli, 2000). Innumerevoli sono stati i provvedimenti messi a punto per evitare frodi e contrabbando di sale e i centri in cui si trovavano i magazzini del sale assumevano un significativo peso territoriale, che si traduceva in un afflusso di uomini e merci ed in una crescita dell’attività di mercato, oltre che in uno sviluppo del sistema di comuni- IL MAGAZZINO DEL SALE E L’ARCHITETTURA DELL’UTILE NELLA TOSCANA MODERNA cazioni e trasporti (Cantini, 1805; Borelli, 2000). La presenza del Magazzino del Sale ad Empoli teneva conto della felice collocazione geografica dell’abitato, al centro di importanti assi di comunicazione stradale: la via Volterrana e l’asse FirenzePisa nonché le idrovie e principalmente l’Arno; inoltre il mercato empolese aveva una vasta area di riverberazione ed era uno dei punti nodali del contado fiorentino (Guicciardini, 1939; Ristori, 2004; Ramerini, 2008, Pegolotti, 1765-66). La “canova” del sale di Empoli è testimoniata dal 1365 (cfr. Arrighi in questo stesso volume), e si può parlare di magazzino, un edificio con evidenti caratteri distintivi autonomi, nei primi decenni del ‘500; nei giorni del “sacco” (1530) dovette subire danneggiamenti per i quali si richiedeva un intervento di ripristino nel 1535 (Guerrini, 1990). L’ubicazione del magazzino era funzionale al sistema di comunicazioni, che permettevano l’approvvigionamento e la distribuzione del prodotto; infatti l’edificio sorgeva lungo la via degli Asini, oggi via Ridolfi, tratto urbano della via Volterrana, che entrava dalla Porta dei Cappuccini e si dirigeva verso la Porta d’Arno e il porto fluviale. Il magazzino, in angolo con via Chiara, si affiancava a strutture “industriali” come conce e tintorie che contraddistinguevano l’area prossima alle mura e alla Porta d’Arno (ASF, Decima Granducale 5754, c. 513; Siemoni 1998; Empoli archimedia, 2001). Per dimensione e caratteri tipologici il magazzino risultava emergente nel tessuto di case e casette alternate a conce e tintorie, che utilizzavano l’acqua del fiume per le lavorazioni e lo smaltimento dei rifiuti, secondo una prassi comune alle attività manifatturiere delle città di ancien régime. Sobrietà ed essenzialità caratterizzavano il prospetto su via degli Asini: sull’asse mediano si apriva il portone di ingresso, mentre rare finestre alte consentivano un minimo di illuminazione e areazione dell’ambiente (ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi 2111, fasc. 62). L’accesso delle bestie e dei loro carichi era facilitato da una breve rampa che risolveva il dislivello tra il piano stradale e la quota pavimentale del magazzino. Nel lato su via Chiara il corpo di fabbrica sembra assumesse caratteri strutturali più evidenti, stante i massicci contrafforti che irrobustivano la muratura, forse tenendo conto della possibile instabilità del terreno di fondazione, considerata la presenza di acqua, utilizzata da 31 GIUSEPPINA CARLA ROMBY conce e tintorie. L’ampio volume interno poteva consentire il deposito di grandi quantità di sale che veniva ammucchiato e contenuto con tavolati e paracinte, in modo da lasciare gli spazi liberi necessari per le manovre di prelievo, eseguito con pale e picconi. Nei periodi di massimo riempimento, onde evitare il pericoloso franamento del materiale, si innalzavano paratie in legno opportunamente ancorate e rinforzate (ASF, Appalto generale delle Regie Rendite 1740-1768 244, Appendice I). All’interno del magazzino si trovava lo “scrittoio”, ambiente adibito a ufficio del “ministro”, incaricato della pesa e vendita del prodotto e della riscossione della gabella. Il piccolo ambiente era collocato a sud, in angolo fra la facciata e il fianco, ed aveva un carattere quasi precario, nonostante la indispensabile e continua presenza di chi registrava le forniture ed esigeva le gabelle; infatti “consisteva in uno stanzino di braccia 18 quadre […], sostenuto per due lati dalla squadra dei muri e per gli altri due da travette che riposavano sopra un pilastro e a cui si aveva accesso per una scala costruita sotto il pavimento” (ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi 2092, fasc.13). 32 Se il magazzino rappresentava una struttura di servizio di fondamentale importanza nel territorio fiorentino ed era parte di un sistema di distribuzione che interessava un’area molto vasta, esso era anche elemento ordinatore di un “sistema del sale” riferito all’abitato cittadino/empolese (Cantini, 1800-1808, vol. XXI, p. 142). Infatti sulla ripa d’Arno, in vicinanza del porto fluviale dei navicelli, si trovava il “mulino del sale” e costituiva un facile punto di raccolta per le operazioni di imbarco del prodotto. E ancora, a seguito della Legge e Provvisione del sale colorato del 27 novembre 1664, si aggiungeva il magazzino del sale “rosso” ubicato in via del Giglio; si definiva così un sistema costituito di tre poli uniti dalla rete infrastrutturale stradale e fluviale e caratterizzante il settore urbano nord-est (Cantini, 1800-1808, XIX, p. 248). Nel 1783 l’immobile passava dalla proprietà comunale a quella statale dell’Azienda del sale (ACE, Comunità 329) e, nel quadro dell’adeguamento delle strutture produttive promosso dall’amministrazione lorenese, maturavano le condizioni per intervenire con opere di manutenzione ed ampliamento dell’immobile (Cresti, 1987; Guarducci, Rombai, 1998). Tuttavia solo nel 1803 iniziavano IL MAGAZZINO DEL SALE E L’ARCHITETTURA DELL’UTILE NELLA TOSCANA MODERNA le trattative per l’acquisto di due immobili contigui in previsione dell’ampliamento del magazzino e di una più adeguata sistemazione dello “scrittoio” che mostrava una inadeguatezza, se non pericolosità, dovuta alla mancanza di interventi anche di semplice manutenzione (ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi, fasc. 46). Il previsto acquisto dovette prolungarsi nel tempo e bisognò arrivare al 1818 perché si procedesse alla compravendita degli immobili Scarselli e Gemignani e, subito dopo, si avviasse la perizia dei lavori occorrenti alla riorganizzazione degli ambienti (ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi 2111, fasc. 62). Il progetto, redatto dall’architetto Filippo Nini, prevedeva insieme all’accorpamento degli immobili, tramite l’abbattimento di pareti e solai, e all’ampliamento del magazzino, la riedizione della facciata principale secondo formule linguistiche che guardavano a coniugare funzionalità e decor proprie della “architettura di stato” (Cresti, 1987; Borsi, 1984). La soluzione unitaria della facciata, caratterizzata dai doppi ingressi sormontati da lunette e intervallati da un doppio registro di finestre rettangole, era conclusa da un coronamento rettilineo che celava, innalzandosi, le falde della copertura, e accentuava l’emergenza del fabbricato sull’asse viario. Nonostante le positive premesse l’operazione non ebbe esito e vennero eseguiti solo lavori di manutenzione e restauro strutturale (1820-24); lavori che nel 1823 assumevano carattere di urgenza dettata dal consistente dissesto della facciata. La causa del pericoloso fuori piombo del prospetto era significativamente dettagliata dal perito architetto Nini; infatti «questo magazzino, assai ristretto per la quantità di sale che vi si deposita, ha nella sua parte anteriore uno spazio che si destina ai ministri per farvi le operazioni necessarie per la pesatura e consegna del genere; e per contenere il sale nello spazio che resta si forma una parete di assoni appoggiati a quattro abetelle fitte nel pavimento; le quali perché non cedano sono poste a contrasto mediante dei puntelli orizzontali con la parete che forma la facciata, cosicché la facciata sostiene sebbene indirettamente tutto il carico. Accadde nei scorsi giorni che empiendosi soverchiamente il Magazzino, fu tale il peso di cui si aggravò la facciata che si staccò quasi da cima a fondo dalle pareti laterali dando una scossa a tutta la fabbrica da paragonarsi, a quanto raccontano 33 GIUSEPPINA CARLA ROMBY quegli Impiegati che v’erano, a quella d’un terremoto; e fortunatamente poterono, togliendo a piccone la massa del sale, liberar la muraglia dal peso, per cui ritornò alquanto nel suo perpendicolo» (ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, Fabbriche Lorenesi 2092, fasc. 13). Per il lavoro di “ricollegamento della facciata con le due pareti laterali”, di ripristino della apparecchiatura lignea per il sostegno del sale e di rifacimento della porta di ingresso, nonché varie altre opere si prevedeva la spesa di L. 4065.16.8. L’operazione rendeva necessaria anche la ricostruzione dello “scrittoio” per cui veniva approntato, a tempo di record, un progetto che 34 ne prevedeva la realizzazione utilizzando una porzione dell’immobile contiguo, a suo tempo acquisito dallo Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche in previsione dell’ampliamento del magazzino (ASF, ibidem). Ampliamento del magazzino e sistemazione dello “scrittoio per il ministro” divengono l’oggetto prioritario dei progetti ed interventi condotti negli anni successivi (1827-30) che hanno visto solo parziale esecuzione, fino a che, stante le mutate condizioni politico-economiche dello stato unitario, il magazzino del sale fu utilizzato come deposito di sale e tabacchi del monopolio di stato e infine destinato ad altri usi fino agli ultimi decenni del Novecento. IL MAGAZZINO DEL SALE E L’ARCHITETTURA DELL’UTILE NELLA TOSCANA MODERNA Documenti [ASF, Appalto generale delle regie rendite 1740-1768 244, cc. 33-41] …. Inventario degl’effetti ritrovati esistenti nell’Uffizio del sale di Empoli il dì 31 ottobre 1745... Da questo magazzino [del Mulino del sale] ci siamo trasportati nel magazzino del sal bianco dove si è trovato Una porta che serve per l’ingresso; detta porta è di albero con un chiavistello quattro toppe due delle quali a saracinesca e due stanghette, quattro chiavi un paletto e una campanella di fuori a detta porta Una stadera* grossa che tira ll 1060 con suo romano di piombo fasciato di bronzo e sua maniglia di ferro. Un trabucco** Nove paragoni** di piombo di ll 100 e uno di ll. 60 Una stadera a tre tacche con la quale si pesa il sale a sacca e staiora Un romano** di piombo fasciato di bronzo con la maniglia di ferro Un guscio con la catena di rame Una capra grande di legno alla quale è attaccato detta stadera Una stadera piccola che tira ll 170 con suo romano di ferro Una stadera piccola che tira ll 30 con suo guscio, catena di rame e romano di piombo fasciato di rame Una stadera con sua custodia di legno serrata a chiave e sua calza di fustagno verde che da una parte tira ll. 105 e dall’altra ll. 48, un romano di piombo fasciato d’ottone con una maniglia di ferro Detta stadera serve per paragonare i pesi Quattro paragoni di piombo fasciati di bronzo di getto uno de quali pesa ll. 100 il secondo ll. 60 il 3° ll. 80 e il 4° ll. 49 ½ Una cassetta di legno serrata a chiave che serve per riporre detti quattro paragoni Due detti uno di ll.100 e l’altra di ll. 60 che servano per paragonare il sale che si spedisce per Firenze Due altri detti una di ll.80 e l’altra di ll. 49 ½ che servano per paragonare il sale che si dà a comuni e a bottegai Due paragoni vecchi di piombo uno di ll. 40 e l’altro di ll. 100 dei quali non se ne serve l’Uffizio 35 GIUSEPPINA CARLA ROMBY Tre scale a pioli una grande e due piccole Due scale grandi di abeto a cassetta; una detta piccola Una vanga di ferro con il suo manico di legno Quattro travi ritte le quali servono per fare il parapetto di tavole quando il magazzino è pieno e due travette traverse con due anelli di ferro e una staffa di ferro che servono per attaccare le stadere Venti tavolini d’albero e pino che servono per fare il parapetto quando il magazzino è pieno Altri pezzi e pezzetti di tavole che servono all’occorrenza per vuotare il sale con vari puntelli di legno Un pezzo di legno con incudine e martello di ferro che serve per bollare le sacca Un cancello di legno con toppa e chiave all’ingresso di un piccolo sottoscala Una finestra con sua imposta di legno e saliscendi di ferro Una tavola d’albero per scrivere Una porta di albero con toppa e chiave che sul piede della scala che conduce alla stanzetta che serve per scrittoio del ministro Dentro detta stanzetta vi è una finestra invetriata con sue imposte di legno e chiavistello di ferro Due altre finestre con le loro imposte di legno Un armadino di albero fisso nel muro a due sportelli con toppa e chiave Una tavola di noce Quattro sedie di noce con suoi guancialetti di cuoio ripieni di crine Una tavola di albero fissa al muro per tenervi sopra i libri Una stoia che serve nell’estate per riparare il sole alla finestra di detta stanza * Stadera: bilancia ** Romano, trabucco, paragone: unità di misura di peso 36 FRANCESCA CAPECCHI Progetti, disegni e cartografia dell’edificio nel XIX secolo Le vicende ottocentesche della fabbrica evidenziano che la configurazione attuale dell’edificio è il prodotto di ricorrenti interventi edilizi come confermano le caratteristiche architettonico-costruttive. L’ampia documentazione d’archivio segnala che fino al 1803 il Magazzino consisteva nel solo fabbricato d’angolo tra Via Chiara e Via Ridolfi. Infatti le diverse redazioni delle piante del Catasto Generale Toscano fanno risalire l’accorpamento fra la particella corrispondente all’aula grande del magazzino e la particella attigua agli anni che vanno dal 1834 al 1873: la pianta del 1820 mostra infatti il Magazzino posto all’incrocio tra Via Ridolfi e Via Chiara, come identificato con la particella n. 341. Analoga situazione si ripropone nell’aggiornamento del 1834; negli aggiornamenti successivi – 1873, 1892, 1912 – la situazione catastale è invece chiaramente mutata e mostra l’accorpamento della particella 342 alla 341 (figg. 1 - 4). La copiosa documentazione conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze permette di conoscere più in dettaglio le vicende relative ai fabbricati avvenute nel corso del XIX secolo. Al 1803 risalgono le trattative per l’acquisto delle “due casette contigue” al Magazzino del Sale; rimane un ampio carteggio tra lo Scrittoio delle Regie Fabbriche e l’Amministrazione Generale del Sale. Questa faceva capo al Ministro Principale Pietro Figlinesi, la cui famiglia si era stabilita ad Empoli attorno al 1640 proprio allo scopo di presiedere all’azienda del sale, un ruolo che contraddistinguerà la famiglia per oltre due secoli. Nel 1830 infatti Giuseppe Figlinesi registra lo stato di cassa dell’appalto del tabacco e del “Magazzino del sale” in qualità di amministratore di due magazzini empolesi: quello di Via Chiara detto “del sal fine di Volterra” e quello di Via del Giglio, dove si conservava il “sale alla Trapanese”, segnalando nel contempo allo Scrittoio delle Regie Fabbriche che il Magazzino di Via del Giglio era in condizioni di conservazione tanto cattive da trovarsi in procinto di rovina. Comunicava inoltre che la lontananza di 37 FRANCESCA CAPECCHI questo magazzino dalla casa del Ministro e dal Magazzino di Via Chiara era causa di lentezza nelle operazioni di smistamento quando le spedizioni riguardavano ambedue i tipi di sale. Per tali motivi, il Ministro proponeva di vendere il Magazzino di Via del Giglio e di acquistare le suddette due casette, in modo da ottenere con una modica spesa un unico deposito e dalla capienza adeguata. Per adattare le due abitazioni alla nuova destinazione d’uso sarebbero stati necessari alcuni lavori, di cui ci rimane la descrizione, la stima e la pianta del fabbricato, con indicazione delle destinazioni d’uso e delle opere da realizzare (fig. 5). Al piano terra il progetto prevedeva di ricavare un portico, utile al ricovero dei barrocci del sale in caso di pioggia. Una scala di nuova costruzione doveva salire al piano superiore, piano da destinare ad un nuovo magazzino e ad un ufficio per i Ministri del Sale in sostituzione di quello precedente, che era costituito da una specie di gabbiotto di legno collocato all’interno del Magazzino vero e proprio. Nello spazio destinato all’ampliamento del magazzino, contraddistinto dalle lettere EFGHIK, si intendeva conservare la muratura longitudinale tra le due porzioni immobiliari e demolire per tutta la loro altezza le pareti 38 trasversali, che sarebbero state sostituite da arcate. Le indicazioni progettuali sul rivestimento parietale in tavole lignee e la lastricatura pavimentale “ad imitazione dell’attual Magazzino”, ci restituiscono un’immagine realistica sia del magazzino esistente, sia di quello da ampliare. La muratura segnata in pianta con (GH) doveva avere una funzione strutturale, ma costituiva anche una barriera contro l’umidità: erano evidentemente ben noti i danni che il sale provocava alle murature e il progettato ampliamento doveva prevedere i necessari distacchi dalle pareti dei confinanti, in modo che essi non potessero essere danneggiati. In questa fase il destino del Magazzino è legato a quello di Via del Giglio proprio a causa dell’umidità: a parere dello Scrittoio delle Regie Fabbriche non era consigliabile mettere in vendita il magazzino di Via del Giglio, perché il cattivo stato di conservazione avrebbe implicato un ricavato minimo; d’altra parte il progettato ampliamento del magazzino di via Chiara non avrebbe raggiunto le dimensioni di quello di Via del Giglio proprio a causa dello spazio occupato dalle intercapedini necessarie ad isolare le pareti dei confinanti. Gli anni passarono senza che fosse dato corso alla realizzazione PROGETTI, DISEGNI E CARTOGRAFIA DEL MAGAZZINO DEL SALE NEL XIX SECOLO del progetto di ampliamento. Le fonti archivistiche danno conto della lunghezza delle trattative per l’acquisto delle due unità immobiliari, che nel frattempo erano passate di proprietà, finché nel 1818 fu redatta la perizia per la stima dell’immobile redatta dall’architetto Filippo Nini e l’anno successivo si ebbe la compravendita definitiva. L’architetto Filippo Nini, fu autore di un bel progetto di ampliamento del Magazzino del Sale. Corredato di computo metrico estimativo, elaborati grafici e relazione tecnica, fu sottoposto al Ministro Principale della Regia Azienda del Sale in Empoli, ma mai attuato. La disanima di tali elaborati riveste tuttavia un interesse storico documentario e allo stesso tempo fornisce ulteriori elementi conoscitivi in relazione allo stato di fatto della fabbrica al 1818. Il bel disegno acquerellato a firma “Filippo Nini” (fig. 6) contiene infatti pianta, prospetto e sezione dello stato rilevato e dello stato di progetto. Il rilievo evidenzia alcuni punti salienti: l’ampio volume del magazzino con copertura a capanna sorretta da capriate; l’accesso al Magazzino tramite due rampe di scale disposte parallelamente al fronte e ad esso appoggiate; lo “scrittoio” posto nell’angolo tra via Ridolfi e Via Chiara; l’asimmetria del prospetto del Magazzino; le due “casette” attigue organizzate su tre livelli, con un impaginato molto diverso da quello attuale. La soluzione progettuale era improntata alla conservazione della struttura portante in elevato e della gran parte della copertura del Magazzino. Il progetto prevedeva un’unica copertura asimmetrica a due falde, opportunamente nascosta da un attico sul prospetto principale; la demolizione di gran parte delle pareti interne delle due case; la realizzazione di un’intercapedine per i setti murari perimetrali. Due portoni sul fronte principale avrebbero garantito l’accesso al Magazzino, e, all’interno, un vano scala di nuovo impianto, posto al centro del fabbricato, pur senza interrompere la continuità tra l’uno e l’altro magazzino, avrebbe dovuto condurre alle stanze del livello superiore destinate ad ufficio. Come si diceva di sopra, il progetto del 1818 e la relativa perizia per l’ammontare di £ 18.000, non fu mai attuato. In quegli anni furono approntate invece delle opere a carattere prevalentemente strutturale: nel 1820 si restaurò una capriata pericolante, nel 1821 si restaurò la cortina di prospetto in prossimità dell’angolo, nel 1824 si reintegrarono le murature di appoggio delle capriate. Nello 39 FRANCESCA CAPECCHI stesso anno si realizzarono opere “nell’interno per la costruzione di uno scrittoio e per assicurare la facciata dall’urto che vi cagionava il peso del sale”. Di quest’ultimo intervento possiamo conoscere i dettagli per mezzo di una ricca documentazione d’archivio, che dà conto della situazione di forte degrado delle murature e delle strutture lignee di copertura. L’architetto Nini ritiene indispensabile procedere al rifacimento della muratura di controfacciata, ritenuta “in stato pericoloso a causa dei molti vuoti che vi sono e della sua cattiva costruzione”. Nella relativa perizia di spesa, datata 16 ottobre 1823, si compiva una analisi delle murature dell’edificio, giudicandole antiche, ma fatte oggetto di numerosi interventi succedutisi nelle diverse epoche nel vano intento di fornir loro sufficiente robustezza. I saggi eseguiti all’interno delle murature ne avevano rivelato la completa inconsistenza: “...si riscontra che tutto è apparente, poiché in essi non è di buono che la fodera la quale racchiude una massa di pura terra”. Si trattava di fodere di mattoni poco buoni, anche perché sottoposti al degrado provocato dal contatto col sale; in particolare la facciata minacciava il crollo a causa del peso del sale da essa sostenuto. Stando così la 40 cose, l’architetto prevedeva un intervento di consolidamento articolato nei seguenti punti: ricollegamento della facciata alle pareti laterali; rifacimento parziale delle murature di sostegno alle capriate; rifacimento di stipiti, architrave e soglia della porta d’ingresso. Questa volta si tratta di un intervento realizzato, la cui documentazione risulta preziosa ai fini della conoscenza dello stato attuale della fabbrica. Infatti il disegno che accompagna la relazione illustra chiaramente lo schema statico dell’intelaiatura lignea di sostegno alla facciata, consistente in una trave fissata alle murature laterali e in una più sottile, sostenuta da travi poste trasversalmente alle precedenti in modo da trasmettere il carico dalla trave più sottile a quella a maggior sezione irrigidita da due catene. Alcuni di questi elementi strutturali sono ancor oggi in opera: gli stipiti, la piattabanda del portale d’ingresso, e probabilmente la trave posta parallelamente alla facciata sopra l’attuale soppalco ligneo (fig. 7). Futuri saggi sulle murature potrebbero confermare la presenza delle “leghe di pietra”, progettate “per tener ferme le cantonate, onde si è creduto non potersi dispensare dal metterle nel bel mezzo del muro lasciandovi una fodera di soli mattoni come il disegno PROGETTI, DISEGNI E CARTOGRAFIA DEL MAGAZZINO DEL SALE NEL XIX SECOLO dimostra”. Com’è logico pensare, l’intervento di consolidamento sopra descritto comportò la demolizione dell’antico “scrittoio” come l’ abbiamo visto rappresentato nel rilievo del 1818. Questo consisteva in una struttura lignea di 18 braccia quadre posta nell’angolo in corrispondenza delle vie Ridolfi e Chiara, sostenuto per due lati dalle murature del fabbricato, per gli altri due da due travetti che scaricavano su di un pilastro. Vi si accedeva tramite una scala posta sotto il pavimento. Ma già una lettera di Pietro Figlinesi, Ministro del Sale datata 7 novembre 1823 segnalava il cattivo stato di conservazione del vecchio scrittoio “mangiato dal sale” e la necessità di ricavarne un altro nella casa attigua. L’architetto Nini, a sua volta, sottolineava la debolezza della struttura del vecchio scrittoio, paragonandolo al “castello su cui si rappresentano le gesta di Pulcinella” e, facendo presente l’impossibilità di ricostruirlo nella posizione originaria, pensava di ricavare il nuovo scrittoio da una porzione della bottega al piano terra di una delle due casette, mettendola in comunicazione con una stanza al piano superiore (questo per non privare d’accesso la parte rimanente delle due case, che potevano così conti- nuare ad essere appigionate). Di questo progetto rimane il dettaglio dei lavori con preventivo di spesa firmato da Filippo Nini il 15 novembre dello stesso 1823 e corredato di disegno esplicativo (fig. 8). Il progetto prevedeva in sostanza: la costruzione di un arco tra i pilastroni segnati con A e B; la costruzione delle due murature “AC” e “CD”; la formazione di due aperture “I” ed “L” per il passaggio della scala; l’apertura delle due finestre “N” ed “O”; la realizzazione della scala e del pavimento ligneo dello “scrittoio”. Gli interventi eseguiti tra il 1820 e il 1824 avevano reso del tutto inattuabile – come si è detto – il progetto risalente al 1818, e indussero il medesimo Filippo Nini a predisporne nel 1827 uno nuovo, quale risulta dalla pianta in scala di braccia fiorentine (fig. 9) e dalla perizia di spesa per l’ammontare di 9279 lire e 1 soldo, datata 1° ottobre di quell’anno. I lavori consistevano: - nella demolizione delle strutture interne alle due case; - nella formazione di una cortina “a mattoni benissimo cotti” per i lati del nuovo magazzino; - nella costruzione di un muro per formare lo scannafosso; - nel rifacimento di tutta la copertura e del pavimento, inclinato per raccogliere l’acqua risultante dal sale; 41 FRANCESCA CAPECCHI - nell’apertura di una finestra nella parete di fondo del Magazzino; - nell’apertura di due porticine, l’una nella parete dello scannafosso, l’altra nella parete tra il magazzino Vecchio e il Nuovo; - nell’apertura di un accesso dalla strada al Magazzino Nuovo. L’Amministrazione Generale delle Regie Rendite e la direzione generale del Sale erano entrambe consapevoli della necessità che i lavori progettati nel 1827 fossero condotti a termine in breve tempo: per mancanza di spazio infatti, il sale proveniente dalle saline di Volterra non poteva essere immagazzinato per subire la stagionatura necessaria prima di essere trasferito nei magazzini subalterni. Tuttavia dal confronto con la Pianta dello Scrittoio delle Regie Rendite del 1830 (fig. 10), emerge che la parte del progetto relativa alla demolizione delle strutture interne delle due case per creare il “Magazzino Nuovo” non venne 42 realizzata. La tavola grafica del 1830, oltre a rappresentare lo stato di fatto, contiene anche le piante del progetto elaborato dall’ingegnere comunale Pietro Rossini, successivamente alla soppressione della magistratura dell’Abbondanza, quando si pensò di riunificare l’ufficio del Sale con quello del Tabacco e di trasformare la casa contigua in abitazione del Ministro. Tale progetto rimase sulla carta. Lo stato attuale della fabbrica appare come il risultato di trasformazioni successive al 1830 che, per l’aula grande del Magazzino, riprendono in larga misura la configurazione planimetrica del 1827. Nella pianta del 1827 infatti l’accesso dal piano stradale al “Magazzino Vecchio” avviene, come ancor oggi, tramite quattro alzate, poste ortogonalmente al fronte; lo “scrittoio” è sorretto da due pilastri, che potrebbero essere quelli lignei tuttora in opera a sostegno del soppalco. LEONARDO GIOVANNI TERRENI, MARTINA FILIPPI, WALTER MAIURI Indagini archeologiche nell’area del Magazzino del Sale Dal 4 al 30 dicembre 2008 si sono svolte le indagini archeologiche preventive negli ambienti dell’ex Magazzino del Sale. La ricerca archeologica, in accordo con l’Ufficio Tecnico del Comune di Empoli è stata realizzata su incarico della Soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana, dall’Associazione Archeologica Volontariato Medio Valdarno, sotto la direzione scientifica della dott.ssa Lorella Alderighi, funzionario archeologo della stessa Soprintendenza. La direzione del cantiere è stata affidata al dott. Leonardo Giovanni Terreni, coadiuvato dai dott.ri Martina Filippi e Walter Maiuri. Una volta ricevuti i risultati delle prospezioni geoelettriche e avuta conferma delle anomalie di origine archeologica, abbiamo proceduto alla realizzazione di quattro saggi esplorativi (due per ambiente) per verificare la tipologia delle anomalie geofisiche risultanti dalle analisi sopracitate. Ogni saggio esplorativo aveva dimensioni di circa due metri quadri di superficie, dimensioni ritenute sufficienti per capire l’eventuale presenza di stratificazioni. Nell’ambiente principale, quello del vero e proprio magazzino del sale, i due saggi realizzati nella parte rialzata della stanza, hanno rivelato la presenza di un pavimento, con leggera pendenza a salire in direzione W, in apparecchiatura a mattoni a lisca di pesce, adagiati su di un “vespaio” in piccoli ciottoli di fiume. Sotto tale drenaggio, si è rivelata la presenza di un consistente strato di sabbia depurata, a scopo di riempimento, di circa cm 140/150 di spessore. Lo strato di sabbia obliterava, a sua volta, uno strato archeologico costituito da vario materiale laterizio e pietre, che per la profondità (ben al di sotto della quota operativa prevista per i lavori di ristrutturazione) e la particolare localizzazione, che ne rendeva difficoltosa l’indagine, non è stato ritenuto opportuno esplorare. Al contrario, nei locali adiacenti il magazzino vero e proprio, i due saggi, identici per dimensioni ai precedenti, hanno rivelato la presenza di stratificazione archeologica con conseguente necessità di un approfondimento di ricerca (fig. 11). 43 LEONARDO GIOVANNI TERRENI, MARTINA FILIPPI, WALTER MAIURI Abbiamo smantellato il moderno pavimento in mattonelle ricavandoci un saggio di 3.50mt x 4.50mt nel quale abbiamo operato una escavazione stratigrafica fino ad una profondità di circa 1.70mt dal punto zero (relativo al nostro scavo) posizionato sul pavimento attuale. Le mattonelle poggiavano direttamente su un pavimento apparecchiato a quadratoni laterizi con un orientamento ruotato di 45° rispetto al rivestimento superiore. Quest’ultima pavimentazione aveva avuto una preparazione consistente in grandi blocchi di pietrame, frammenti di laterizi in alcuni casi ancora legati tra loro da calce con evidenti segni di vulcanizzazione e vari materiali di reimpiego quali elementi architettonici; tutto questo materiale di varia tipologia era affogato in sabbia di fiume tale da creare un vespaio di drenaggio dell’umidità dallo spessore di circa 30-40cm. La struttura drenante era completata da quattro canalette, anch’esse costituite da materiali di risulta, che si incontravano in corrispondenza del centro della stanza e del nostro saggio, le quali avevano evidente funzione di ventilazione mancando sia di pendenza in qualsivoglia direzione e poggiando direttamente sul terreno sottostante senza la benché minima 44 evidenza di un fondo di scivolamento degli eventuali flussi idrici. Inoltre tutti e quattro i bracci delle suddette condutture terminavano nettamente a circa un metro dai muri perimetrali della stanza senza segni di distruzione ma palesando, in ogni loro parte costruttiva, contemporaneità cronologica con la messa in opera del vespaio. Procedendo nei lavori di scavo, sono progressivamente emersi vari riempimenti costituiti da strati terragni, talvolta con presenza di frammenti laterizi e pietrame di piccole e medie dimensioni. Essi variavano nella loro concentrazione in modo tale da far supporre o una seconda preparazione per un eventuale pavimento già in antico scomparso o più semplicemente una gettata di detriti per livellare situazioni altimetricamente non uniformi. Quest’ultima ipotesi sembra essere avvalorata anche dai reperti ceramici recuperati che si riferiscono ad archi cronologici molto ampi. Sempre in questa fase, sono emerse le creste di strutture murarie in mattoni nella parte est e sud del saggio con evidenti tracce di rasatura artificiale. Particolare interessante è stato anche il rilevamento di due mattoni affiancati al centro del probabile ambiente formato dalle strutture murarie predette. Quest’ultimo elemento è identifi- INDAGINI ARCHEOLOGICHE NELL’AREA DEL MAGAZZINO DEL SALE cabile con la base per il posizionamento dell’elemento verticale (“cristo”) utilizzato per la messa in opera di una volta a crociera ormai scomparsa completamente. Procedendo nell’indagine archeologica, ancora più in profondità, sono emersi strati con alte percentuali di limo frammisto a sabbia tipico delle situazioni postalluvionali tali da far ipotizzare un periodo di abbandono di questi ambienti tanto più che questi strati alluvionali poggiavano su di un pavimento costituito in opera cementizia di circa 7-8cm di spessore gettata direttamente su di un ennesimo strato terragno (attende ancora una spiegazione sufficientemente esaustiva la presenza di agglomerati di cenere posti in modo casuale sul piano orizzontale quasi a voler livellare gli strati alluvionali). Pare che alla situazione di dismissione della stanza siano seguiti periodi di allagamento con conseguente deposito di fanghiglia fluviale. Contemporaneamente e stato possibile liberare le murature, già prima individuate nelle creste appena emerse, notando subito vari rimaneggiamenti cui sono state sottoposte e in più portando alla luce una canaletta, questa volta con funzione idrica, di orientamento ovest-est (pendenza in direzione di via Ridolfi) completa- mente asciutta e fuori uso. Da questo momento il nostro saggio veniva diviso in due porzioni di diversa ampiezza, a sud e a nord, dalle strutture indicate con i numeri di Unità Stratigrafica (U.S.) 119, 127, 128, 135. Nella parte nord del saggio al di sotto del pavimento cementizio è venuto alla luce un profondo riempimento, composto da terra limo-sabbiosa e laterizi (coppi e mattoni), sia frammentari che interi. Al suo interno e stato possibile recuperare numerosissimi frammenti ceramici, anche di ampie dimensioni e con possibilità di attacco reciproco, riferibili cronologicamente al periodo a cavallo tra Basso Medioevo e Rinascimento. Proprio al disotto di questa fase è avvenuta l’amara sorpresa di forti infiltrazioni laterali di acque chiare che non ci hanno permesso di approfondire la nostra indagine se non con parziali recuperi di strati più profondi che hanno tuttavia restituito frammenti che risultano palesemente di epoche precedenti il 1300. Tale problematica idrica ha decretato la conclusione della nostra indagine. Anche nella porzione sud del saggio si sono presentate le stesse problematiche idriche ma prima di ciò, è stato possibile documentare la presenza di una porzione d’angolo di un pavimento (U.S. 125) 45 LEONARDO GIOVANNI TERRENI, MARTINA FILIPPI, WALTER MAIURI in cotto, localizzato nel settore sud-est dello scavo. Quest’ultimo presenta una cornice composta, sul lato N, da una singola fila di mattoni posti per lungo, mentre sul lato W, la cornice si raddoppia con una seconda fila di mattoni messi perpendicolarmente alla fila più interna (presenza di una soglia?). Il tappeto pavimentale centrale è anch’esso composto da mattoni, ma stavolta disposti a lisca di pesce. Data la piccola area dove è emerso il pavimento in cotto si può solo ipotizzare la presenza di una stanza, non precisabile nelle sue dimensioni, che si estende sotto i muri portanti dell’attuale edificio del magazzino del sale, presupponendo una diversa disposizione e forse funzione degli ambienti ancora ivi sepolti. Infatti non ci è dato di conoscere con certezza le reali dimensioni e disposizioni delle stanze interne del magazzino nelle varie epoche mancandoci, a tutt’oggi, una documentazione storica completa riguardante le planimetrie dell’edificio inerente le fasi più antiche. Una situazione alquanto complessa è quella rilevabile dall’analisi attenta dei muri emersi nello scavo. E’ stato subito notato che le strutture murarie hanno subìto vari rimaneggiamenti consistenti nella costruzione di porte e nel 46 loro successivo tamponamento con mattoni di diversa fattura, sia come qualità che come morfologia. Il diverso spessore dei muri denota la funzione sia di portanza che di separazione di ambienti interni che questi hanno assunto nei vari secoli. Un dato sicuramente interessante è quello che ci proviene dall’analisi autoptica del muro con orientamento nord-sud lungo il lato est del saggio (U.S. 114), la cui tecnica costruttiva, il modulo metrico dei mattoni, la tipologia del degrado degli stessi e il basilare dato che tale struttura muraria sia legata e quindi ipotizzabile coeva con il muro perimetrale nord dell’intero edificio della palazzina affiancata al magazzino del sale, lo assimilerebbe a molti edifici del centro storico di Empoli riconosciuti come appartenenti al periodo tardo-medievale. Gli altri muri sembrano essere a lui tutti successivi compreso il pavimento in cotto. Altra struttura interessante risulta essere la canaletta; il suo fondo, composto di mezzane posizionate orizzontalmente con i lati lunghi affiancati, poggia su una preparazione di frammenti laterizi che la separano dallo strato terragno. La canaletta ha le pareti costruite con due file di mattoni messi di taglio distesi sul loro lato lungo e da una INDAGINI ARCHEOLOGICHE NELL’AREA DEL MAGAZZINO DEL SALE copertura che sigilla la canalizzazione costituita sempre da mattoni legati con calce. La canaletta proviene da ovest dove, ancora oggi, si trova un cortiletto che ha subìto varie modifiche perimetrali e si dirige verso la strada a est, inserendosi al disotto della soglia ricavata nel muro “tardo-medievale”. Proprio dal suo allacciamento con la “soglia-muro” si è palesato un chiaro rifacimento consistente nella messa in opera di una fila di mattoni che ne ha raddoppiato l’altezza delle pareti. Infatti all’altezza della “soglia-muro” la sua profondità si dimezza e mostra come in precedenza la sua copertura, che sigillava superiormente il condotto, fosse costituita da mezzane e non da mattoni. Non è ancora dato sapere quando tale modifica sia avvenuta nel suo ipotizzabile utilizzo bicentena- rio, ma sicuramente trasportava ancora acqua nel momento in cui fu obliterata l’apertura con soglia sotto la quale il condotto si inserisce. Parrebbe anche che il suo innalzamento abbia reso inutilizzabile un’altra apertura che si trovava nel muro a sud della stessa conduttura e che forse ci indica il diverso utilizzo o dismissione anche dell’ambiente pavimentato in cotto adiacente al lato sud alla struttura muraria. Per quanto riguarda i reperti mobili recuperati si attende il completamento dello studio morfologico/archeometrico. Tra questi si segnala un interessante “butto” di riempimento di ceramica d’uso domestico della seconda metà del ’700, appartenente verosimilmente all’ultima fase abitativa civile dell’ambiente. Una parte dei materiali sarà esposta, a rotazione, all’ingresso del Museo del Vetro. 47 MARCO FRATI Verso una lettura stratigrafica del Magazzino del Sale di Empoli “Si è ormai riconosciuto che le mura del Magazzino del Sale d’Empoli sono della più infelice costruzione per cui é stato indispensabile di lavorarvi a diverse epoche per darli la robustezza necessaria a fabbrica di tal genere. Vedendo mura piuttosto grosse, e rinforzate da smisurati pilastri e barbacani si crede, affidati alla semplice apparenza, che fabbrica più adattata all’uso a cui è destinata non possa esservi; ma facendo dei saggi nell’interno dei muri si riscontra che tutto è apparente, poiche in essi non è di buono che la fodera la quale racchiude una massa di pura terra. Queste fodere fatte a mattoni poco buoni, ed a pietre, sono a poco a poco consunte dall’azione del sale, e qundi di tempo in tempo si manifestano notabili e sostanziali patimenti”: così si esprimeva nell’ottobre del 1823 l’architetto granducale Filippo Nini, incaricato di redigere una perizia per un urgente restauro della facciata (ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche Lorenesi 2092, c. 11r). Effettivamente, l’edificio ora restaurato e adibito a Museo del Ve- tro deve il suo aspetto a un lento stratificarsi di interventi costruttivi, fra i quali il più consistente fu senz’altro la ristrutturazione curata a più riprese dal Nini fra il 1818 e il 1830. La riconfigurazione dell’intero complesso investì le casupole appositamente acquistate nel 1816-1820 dallo Scrittoio delle Fabbriche a Nord del Magazzino (prima ristrutturate, e poi demolite), tutto l’affaccio sul corso (rivestito di un nuovo paramento), il cortile (chiuso da un nuovo muro), il capannone (risarcito in più punti). In particolare, il muro su via Chiara – tanto all’esterno quanto all’interno – e quello di fondo (a Ovest) furono toccati da continui interventi di risarcimento, come risulta anche dall’osservazione diretta. Scorrendo in modo regressivo la storia del Magazzino (si vedano i contributi di Vanna Arrighi e Giuseppina Carla Romby e Francesca Capecchi), si può tentare d’individuarne le fasi costruttive con metodo archeologico limitatamente alle murature direttamente visibili e sufficientemente ampie: i due fronti stradali, le cortine del 49 MARCO FRATI cortile, la parete interna meridionale del capannone. In assenza di rapporti fisici certi e di un quadro completo della cronologia relativa del manufatto, è consigliabile limitare l’analisi alla campionatura delle varie attività edilizie, evidenziate da differenti morfologie, materiali e dimensioni. I campioni, perché siano significativi, devono essere messi a confronto con una tipologia locale: a questo scopo è stata appositamente elaborata una cronotipologia delle dimensioni (mensiocronologia) dei laterizi nel territorio empolese, i cui risultati sono in attesa di una più ampia pubblicazione. Ai restauri degli ultimi decenni vanno assegnate le sistemazioni delle porte d’ingresso su via Ridolfi, con l’integrazione della muratura intorno agli stipiti, e qualche risarcitura del paramento laterizio, visibilmente stuccato a cemento. Al 1827-1830 risalgono la demolizione delle casette, il completamento della facciata e la costruzione del cortile e del corpo più basso. Il progetto, ridimensionato nei volumi, prevedeva l’impiego di “mattoni benissimo cotti lavorati a cortina per l’esterno” (Ivi 2111, cc. 17r, 23r): indicazione scrupolosamente seguita, stando ai campioni D (facciata) e O (lati 50 esposti a Sud e Nord del cortile), le cui misure collimano con quelle del campanile di San Michele a Pontorme, eretto nel 1819. Pochi anni prima, nel 1824-1825, erano state manomesse le facciate delle casette su via Chiara in occasione di un ampliamento del Magazzino verso Nord. In quell’occasione fu parzialmente rifatto il paramento laterizio obliterando le precedenti aperture e ospitandone di nuove, “facendo tutto il lavoro a mattoni ferrigni” (Ivi 2092, c. 5r), dai quali in effetti è costituito il campione C. L’anno precedente (1823) era stata risarcita la facciata, che aveva subito una forte deformazione per un sovraccarico (Ivi 2092, c. 11r, fig. 7). In particolare, erano stati completamente ricostruiti gli spigoli (campioni 01, B, E, M) e il portale (F); l’intervento fu interamente eseguito “a buoni mattoni ferrigni, riconosciuti atti a resistere all’azione del sale”, anche come rivestimento delle leghe di pietra inserite negli angoli ogni due braccia, “per evitare che l’azione del sale le consumi” (Ivi 2092, c. 12r). I mattoni, costati 26 denari l’uno, hanno dimensioni corrispondenti ai moduli correnti, salvo quelli dei campioni M, dov’è alto il reimpiego, e 01, ove paiono meno cotti e di dimensioni maggiori (circa 15% del volume). VERSO UNA LETTURA STRATIGRAFICA DEL MAGAZZINO DEL SALE DI EMPOLI Oltre a ciò, erano stati consolidati gli appoggi per le capriate (Ivi 2111, cc. 15v, 22v), come si può osservare nei pilastroni su via Chiara, appena sotto la gronda, e sul lato esposto a Nord del cortile. Nel 1821 si rese necessario “ricollegare una cantonata della parete di fondo” (Ivi 2092, c. 11r), corrispondente al campione 09, in tutto simile al campione 01. Un anno prima (1820) era stato effettuato il “ristabilimento d’un cavalletto che minacciava di cadere” (Ivi 2092, c. 11r): si tratta probabilmente della capriata Ovest, a cui sono state aggiunte catene metalliche senza sostituire i mattoni circostanti. E nessuno degli ingenti interventi di muratura previsti nel giugno 1818 era stato fino ad allora eseguito (Ivi 2111, cc. 10r-11r): la perizia, infatti, “non ebbe mai effetto” (Ivi 2111, c. 15v). Nel marzo dello stesso anno veniva valutato un “Quartiere situato per la parte di tergo, sù la nominata Corte: contiene una stanza sterrata, e due piccole stanze, elevate una sopra l’altra, l’ultima di esse a tetto, alle quali si perviene per mezzo di una scaletta di pietra interna, sù la detta corte, con un resedio ad uso di getto per la parte di Levante, che comunica con la corte medesima” (Ivi 2111, c. 6v). Di questo modesto edificio restano le tracce sulla parete Ovest del cortile (campione N, attraversato dai resti di due rampe di una scala), i cui mattoni hanno misure confrontabili con moduli tre-quattrocenteschi. Purtroppo i rifacimenti ottocenteschi hanno interrotto i rapporti stratigrafici fra queste tracce e il capannone del Magazzino, la cui analisi non è supportata da documenti di età moderna e medievale altrettanto espliciti. Vediamo dunque quali fasi di età pre-contemporanea possono essere individuate. Sulla facciata su via Ridolfi tre porzioni di muratura sembrano precedere i lavori ottocenteschi, ma la loro datazione resta incerta. Solo per la scarpa destra disponiamo di dati precisi (campione A): i mattoni non rispondono a nessun modulo noto, se non (escludendo lo spessore) a quelli tardogotici e rinascimentali (fig. 12). Il fianco su via Chiara offre spunti più interessanti. I grossi pilastri rettangolari (campioni H, I) si legano alla scarpa (G), ma non al tratto angolare (L), che li precede e si offre come modello. Il rinforzo del fronte, dunque, si propone come un intervento unitario, anche se non mancano differenze fra i materiali utilizzati: i pilastri mostrano mattoni più corti e più larghi, dal volume sostanzialmente identico a quelli della scarpa (G), e tutti confrontabili con quelli del 51 MARCO FRATI campione A. La porzione angolare (L) è realizzata invece in quadrucci molto bassi, che non hanno riscontro nel territorio empolese. Pilastroni e barbacani si addossano alla stessa parete, che mostra ampie risarciture e una sopraelevazione in muratura mista (pietra e laterizio): uno strato d’intonaco, di cui si riconoscono ancora alcune tracce, doveva ricoprire il tutto (fig. 13). La parete interna del Magazzino, pur interrotta dalle vecchie e nuove strutture, mostra una complessa stratificazione. In alto, la porzione corrispondente alla muratura mista esterna è stata recentemente intonacata, e dunque non è più visibile. Un metro più in basso si nota un’altra cesura orizzontale: la muratura soprastante è costituita da mezzane (campione 07) dimensionate come prescritto dagli statuti quattro-cinquecenteschi; il paramento sottostante, campionato in più punti (02, 08, 10), è costituito da mattoni corrispondenti alle misure diffuse localmente fra Tre e Quattrocento. A questa ampia superficie si lega un’apertura sopraelevata coronata da un arco ribassato, la cui ghiera (04) è costituita da mattoni del medesimo modulo. Porzioni più piccole di muratura corrispondono a risarciture e tamponamenti. Il campione 05 che 52 oblitera, sigillandola, l’ampia monofora, comprende mattoni ben confrontabili con quelli dell’ultima cerchia (1466). Anche i rattoppi di cui ai campioni 03 e 06 sono costituiti da mattoni tardomedievali, fors’anche di recupero. Più in basso compare un’altra apertura centinata, questa volta inserita in rottura: la sua ghiera (11) è costituita da mezzane delle misure previste dagli statuti del 1415 e 1544. Altrettanto interessante appare la parete di fondo (ora completamente intonacata in alto), la cui muratura (14) è perfettamente confrontabile con quella Sud (02, 08, 10). La struttura si appoggia a un arco di scarico (15) i cui mattoni, probabilmente recuperati dalle demolite strutture preesistenti (ora individuate dagli scavi, si veda il contributo di Leonardo Giovanni Terreni, Martina Filippi e Walter Maiuri), hanno moduli addirittura romanici. D’incerta lettura, purtroppo, è il semipilastro addossato a sostegno della catena lignea per il cui inserimento è stato manomesso il corrispondente pilastrone esterno (fig. 14). Il Magazzino del Sale attende di essere studiato più a fondo, applicando sistematicamente il metodo archeologico a tutte le superfici visibili (ridotte dai nuovi rivestimenti e dalle nuove strutture) e incrociando un numero maggiore di VERSO UNA LETTURA STRATIGRAFICA DEL MAGAZZINO DEL SALE DI EMPOLI dati. Nel frattempo si può tentare un’interpretazione di quanto fin qui analizzato. Le strutture più antiche, caratterizzate da mattoni tardomedievali e sigillate da tamponamenti ascrivibili allo stesso periodo, sono compatibili con la provvisione di costruzione della Canova del sale nel 1365. Il complesso consisteva nell’attuale capannone, forse già scarpato all’incrocio delle strade a mo’ di fortezza. A testimonianza di un’antica intensa attività edilizia stanno la sopraelevazione e i risarcimenti effettuati con mattoni rinascimentali, probabilmente in occasione delle riparazioni necessarie dopo l’assedio del 1530. All’età moderna vanno ascritti i rinforzi esterni, con la prosecuzione della scarpa e i pilastroni addossati lungo via Chiara, nonché altri minori adeguamenti, che facevano giungere il complesso assai manomesso alle soglie dell’età contemporanea. 53 MARCO FRATI Appendice La seguente tabella riporta per ciascun campione estratto dal Magazzino le dimensioni medie (a=lunghezza, b=larghezza, c=altezza), calcolate su almeno 30 misurazioni (quando possibile). Da queste si sono ricavati i dati standard delle superfici (area delle facce maggiori) e del volume. Nessuno dei mattoni rilevati reca tracce di graffitura o coloritura sulle facce viste. Tutti i campioni di paramento mostrano elementi disposti sia per fascia (axc) sia per testa (bxc), salvo le ghiere degli archi (fig. 15). Campione a b c Area (a x b) Volume (a x b x c) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 14 15 16 A B C D E F G H I L M N O 296 294 290 293 296 288 296 295 292 290 295 290 277 288 297 286 289 287 291 290 306 297 297 292 287 298 294 149 125 133 129 120 127 141 129 151 125 129 124 122 112 126 142 140 142 144 143 123 132 129 110 133 123 145 46 59 60 60 61 58 49 59 43 62 49 57 59 56 42 38 40 38 41 41 44 43 44 40 37 57 39 4410 36750 38570 35160 37592 40608 38184 44545 36500 38055 35960 33794 32256 37422 40612 40460 40754 41904 41470 37638 39204 38313 32120 38171 36654 42630 2028784 2168250 2314200 2144760 2180336 1989792 2252856 1915435 2263000 14210 2169135 2121640 1892464 1571724 1543256 1618400 1548652 1718064 1700270 1656072 1685772 1685772 1284800 1412327 2089278 1662570 54 SILVIA CIAPPI, STEFANIA VITI Il Museo del Vetro nei locali del Magazzino del Sale L’antico Magazzino del Sale, costruito nella seconda metà del XIV secolo nel centro di Empoli e utilizzato per stivare il sale proveniente dalle saline di Volterra, è divenuto la sede del Museo del Vetro di Empoli: MUVE, inaugurato il 1 luglio 2010. Il museo si articola su due piani; la sua mission è quella di documentare sia la storia dell’attività vetraria in ambito locale, sia gli effetti che questa ha portato nel contesto urbanistico e nel tessuto economico e sociale della città e lo fa con il linguaggio della “narrazione”. Il visitatore – attraverso ricostruzioni d’ambiente e suggestioni visive e sonore – si muove nella vetreria, tra le materie prime e gli attrezzi di lavoro e percepisce che l’oggetto di vetro soffiato a bocca e lavorato a mano è il risultato del lavoro compiuto dal maestro vetraio e dal suo gruppo di collaboratori, la cosiddetta piazza. Al piano terra sono presentati oggetti, strumenti, macchinari ma anche documenti, cartoline, foto che illustrano le vicende produttive, i luoghi di lavoro, le tecni- che dalla seconda metà del XVIII secolo agli anni Settanta del Novecento. Due ampie aree del museo sono riservate a illustrare le materie prime utilizzate per la miscela vetrificabile e un filmato documenta le fasi di lavorazione di una “piazza”, luogo dove operano il maestro vetraio e i diversi addetti con i loro ruoli specifici e ben definiti. Gli oggetti sono i protagonisti delle varie sezioni: fiaschi, damigiane, recipienti e strumenti per la vinificazione e l’imbottigliamento del vino e dell’olio, prodotti in grandi quantità dalla seconda metà del XIX secolo quando la qualità del vino ebbe un netto miglioramento tanto da essere esportato sui mercati nazionali e internazionali. E’ presentata una selezione di utensili per la tavola realizzati con il vetro “verde” da fiaschi, colorazione naturale dovuta alla presenza di ossido di ferro nelle sabbia, che divenne caratteristica distintiva della produzione vetraria empolese ed elemento di immediata riconoscibilità. Il primo piano ospita il percorso del vetro “artistico” con una se55 SILVIA CIAPPI, STEFANIA VITI zione dedicata al vetro “verde”, che dagli anni Trenta fu utilizzato anche per creare oggetti decorativi, ideati dall’inventiva e dalla perizia tecnica di maestri vetrai che furono in grado di plasmare una materia, non facilmente modellabile e soggetta a rapido raffreddamento, in forme solide, ispirate alle tipologie classiche e rinascimentali, dotate di rustica ma sobria eleganza. L’altra sezione, infine, è dedicata al vetro colorato, trasparente, molato, inciso, decorato a smalto e pantografato, e al cristallo che ha distinto la produzione empolese dalla metà degli anni Cinquanta del Novecento, quando i cambiamenti della moda, degli arredi e le consuetudini quotidiane richiesero una grande varietà di modelli e di accostamenti cromatici. 56 Informazioni sul Museo del Vetro Il Museo del Vetro (via Ridolfi, 70) è aperto tutti i giorni, eccetto il lunedì, dalle ore 10 alle ore 19; la domenica pomeriggio l’ingresso è gratuito. Oltre a visite guidate, laboratori didattici, bookshop offre un servizio di informazioni turistiche. Il Museo del Vetro, situato nel cuore della città, è la sede privilegiata per lo svolgimento di varie attività culturali. Con le sue aree espositive ed una sala opportunamente attrezzata offre spazi, attrezzature e visibilità ad eventi culturali, promozionali ed espositivi legati al vetro e non, con un calendario degli eventi aggiornato in tempo reale. www.museodelvetrodiempoli.it [email protected] FONTI E BIBLIOGRAFIA Fonti e bibliografia Abbreviazioni: Archivio Comunale di Empoli: ACE Archivio di Stato di Firenze: ASF Fonti inedite: ACE, Comunità 2, cc.12r., 13r., 14r., 21r., 22r. ACE, Comunità 6, cc.1v. e sgg., 30r., 304, 419 ACE, Comunità 46, cc.301 e sgg. ACE, Comunità 115, c. 398 ACE, Giusdicenti 121 ACE, Giusdicenti 131, p. 9 ASF, Notarile antecosimiano 12825, c.188 ASF, Provvisioni-Registri 9, c.165 ASF, Provvisioni-Registri 53, c. 110r. ASF, Mannelli-Galilei-Riccardi 432, ins.9 ASF, Azienda del sale 141, cc.101 e sgg. 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Questa guerra è stata definita dalla storiografia generale «totale» o «tendenzialmente totale» perché, oltre a presentare sostanziali cambiamenti nelle strategie militari e nella portata devastante della tecnologia applicata alla armi, essa fu una vera e propria guerra di massa, sia per la portata del numero di richiamati e dei caduti, sia per l’esteso e capillare coinvolgimento di tutti i settori della società civile. Partendo da tali concezioni storiografiche, ho ritenuto fosse importante osservare la prima guerra mondiale “al microscopio”, applicando, cioè, la lente macroscopica della «guerra totale» (nel senso di una guerra che investe e fa mobilitare ogni ambito della società) all’analisi di un contesto territoriale circoscritto e lontano dal fronte, ovvero quello di Empoli, città di cui si sono evidenziati aspetti di tipicità e specificità rispetto ad altre realtà nazionali e regionali. Inoltre, data la gravosa lacuna presente sull’argomento nella storiografia locale, lo studio che propongo si pone l’obiettivo di esaminare le dinamiche sviluppatesi durante il conflitto in questa microrealtà e predilige, come campo di osservazione e di riflessione, l’ambito sociopolitico-culturale, non omettendo, però, dalla trattazione le questioni inerenti la sfera economica e militare. Gran parte della ricerca è stata condotta presso l’Archivio Storico del Comune di Empoli, sezione postunitaria. In particolar modo, sono state prese in esame le filze del Carteggio e atti degli affari comunali, inerenti in maggior misura agli anni 1915-1918, attraverso cui mi sono procurato le informazioni utili per una ricostruzione dell’operato dell’amministrazione comunale, guidata dal sindaco avv. Adolfo Figlinesi, in rapporto con il governo centrale, l’autorità prefettizia (Firenze) 63 DANIELE LOVITO e sottoprefettizia (S. Miniato), con la minoranza socialista in sede di Consiglio comunale e in rapporto alle istanze della popolazione. Nel corso dell’argomentazione si parla dello scontro tra interventisti e neutralisti durante i dieci mesi di neutralità (confrontando in particolare «Il Piccolo corriere del Valdarno e della Valdelsa», giornale liberalemonarchico, e «Vita Nuova», periodico della sezione socialista empolese); delle manifestazioni popolari contro il richiamo alle armi dei giovani empolesi; dei meccanismi di mobilitazione civile, industriale, propagandistico-culturale messi in moto dalle autorità locali; dei protagonisti del dissenso, espresso in varie forme da donne, disfattisti, preti e da quei soldati costretti a vivere quotidianamente la tragedia, degradante e alienante, della trincea. Si traccerà infine un bilancio finale per valutare le condizioni sociali, politiche, economiche di Empoli alla fine del conflitto. Solo partendo dall’analisi delle profonde fratture create dal trauma della Grande Guerra, possiamo comprendere fino in fondo in che modo nel dopoguerra i metodi e le pratiche della guerra di trincea possono essersi trasferiti in seno alla società civile empolese, dando inizio ad un contesto di brutalizzazione dei linguaggi e delle forme di lotta. Ed è in questo clima, segnato dalla logica di annientamento dell’avversario e dalla psicosi del «nemico interno», che si sarebbero creati i presupposti per quei lungamente dibattuti «fatti del ‘21» che, per la violenza dell’episodio e per le successive violente reazioni fasciste e delle autorità nei confronti della popolazione, avrebbero lasciato segni indelebili nella memoria cittadina. *Tesi di Laurea di Daniele Lovito, Empoli durante la Prima Guerra Mondiale (19141918), Relatore Roberto Bianchi, Università di Firenze, Corso di Laurea triennale in storia, a.a. 2007/2008 64 ANDREA BRUSCINO Studi sugli Ebrei a Empoli fra Medioevo ed Età moderna Ricerche compiute e lavori in corso La prima notizia che si possieda in merito alla presenza ebraica ad Empoli è relativa ad una richiesta di quel Comune perché “iudei” potessero stanziarsi “in dicta terra ad fenerandum”: l’autorizzazione fu però negata dal governo fiorentino il 14 agosto 1399. E’ tuttavia probabile che negli anni immediatamente successivi i prestatori ebrei siano riusciti a stanziarsi ad Empoli, perché fra i comuni dello Stato fiorentino che nell’agosto del 1406 chiesero di far riaprire i banchi di prestito ebraico compare anche il Comune di Empoli. La tassa che il banco ebraico avrebbe dovuto pagare era di 100 fiorini d’oro l’anno. Nel 1412 il Comune di Empoli risulta debitore di 200 fiorini d’oro nei confronti di un “Consiglio giudeo il quale presta in Empoli”. E’ possibile che la vicinanza con San Miniato abbia sconsigliato, negli anni immediatamente successivi, il mantenimento di un banco autonomo ad Empoli, ma è probabile che alcuni ebrei abbiano continuato a risiedervi per gestire una sorta di filiale del banco di San Miniato. Sappiamo ad esempio che nel 1430 il titolare della condotta di prestito di San Miniato era creditore di persone residenti ad Empoli. Il rinnovo, nel 1432, della condotta concessa per San Miniato ad Abramo di Dattilo di Matassia di Sabato da Roma (o da Perugia o “de Synagoga”) era poi esplicitamente ritenuto valido anche per l’esercizio delle attività di prestito ad Empoli. Dal 1433 due figli di Abramo, Dattilo ed Emanuele, risultano essere “factores, procuratores, negotium gestores… in quodam exercitio fenoris nuper per eum instituto in castro Empolis” ed Emanuele di Abramo di Dattilo è definito feneratore ad Empoli nel 1435-1436. Per i decenni immediatamente seguenti non sono finora emerse conferme dirette di condotte che garantissero l’esercizio del prestito su pegno ad Empoli. Indicazioni sull’esistenza di un banco empolese sono tuttavia reperibili grazie ad altre fonti documentarie. Ad esempio, in un atto datato 9 ottobre 1455 e rogato dal notaio Antonio da Romena, Manuele di Abramo di Dattilo è detto feneratore nel castello di Empoli, con facoltà di nominare e revocare i suoi soci e sottoposti, come espli65 ANDREA BRUSCINO citamente previsto da una capitolazione ufficiale. Il primo nuovo accordo, il cui testo sia giunto fino a noi, è del 1481. Il 6 novembre di quell’anno venne stipulata una condotta di durata decennale, a partire dal 10 novembre 1483. Con essa si garantiva ad una ormai lunga serie di membri della famiglia da San Miniato, tutti discendenti da Abramo di Dattilo di Matassia (Isacco, David, Jacob, Abramo di Manuele di Abramo, Abramo e Zaccaria di Dattilo di Abramo, Bionda vedova di Angelo di Abramo e i suoi figli Abramo e Dattilo) la possibilità di esercitare il prestito su pegno nel comune di Empoli, a fronte di una tassa “pro fenerando” di novanta fiorini d’oro larghi. Nel documento è reso esplicito il riferimento ad una precedente condotta quinquennale, datata 1478, il cui testo non ci è pervenuto. La condotta del 1481 venne dunque stipulata prima della naturale scadenza di quella del 1478. Fin dal 1437 i da San Miniato, titolari del banco di Empoli, erano anche impegnati nelle attività dei banchi fiorentini. Nel 1491, ad esempio, Abramo di Dattilo di Abramo e Isacco e Davide di Manuele di Abramo sono menzionati come titolari tanto del banco fiorentino detto “Al Pagone” quanto del banco di Empoli. La concessione di esercitare il prestito sia ad Empoli che nella città di Firenze era confermata da un’autorizzazione unica per entrambi i banchi, risalente allo stesso 1491. I membri della famiglia da San Miniato, noti anche per il loro impegno in campo culturale, risiedevano sia ad Empoli che a Firenze e si avvalevano naturalmente della collaborazione di altri ebrei per la conduzione dei loro affari e per ogni altra loro necessità. Così Angelo di Elia da Mestre era cassiere del banco di Empoli nel 1480 e il 4 giugno 1492 Abramo di Dattilo di Abramo da San Miniato nominò Israele e Josef di Abramo da Cittaducale, Angelo di Aliuccio di Matassia da Vetralla e Manuele di Davide da Bologna, i due ultimi abitanti a Città di Castello, come gestori del banco di Empoli. L’11 aprile 1494 sempre Abramo da San Miniato richiese per i già citati Israele e Josef e per Salomone di maestro Gabriele “de Francia” il privilegio di non portare il “segno” per tutta la durata di una nuova condotta avviatasi nel 1493. E ancora, il 16 giugno 1495 David di Manuele di Abramo da San Miniato richiese l’esenzione dal segno distintivo per Consiglio di Sabato da Rimini. Nel luglio 1495 risultava presente nel centro toscano anche un “Jacob vocatus spagnolo ebreus”. La sospensione del prestito ebraico decretata dalle autorità fiorentine, dopo la cacciata di Piero de’ Medici dalla città, nel dicembre 1495, se 66 STUDI SUGLI EBREI A EMPOLI FRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA provocò forse l’interruzione ufficiale dell’attività feneratizia ebraica ad Empoli, non comportò l’allontanamento degli ebrei dalla cittadina: essi erano in gran parte membri della famiglia da San Miniato, ma non mancavano altre presenze, come quella di un Sansone, o “Senson”, ebreo “de Hyspania” e calzolaio attestato nel settembre del 1496 e nel novembre del 1497. Il governo fiorentino non cessava di vigilare sugli ebrei empolesi che erano ormai prevalentemente dediti al piccolo commercio e ad attività artigianali. Fra agosto 1497 e gennaio 1498 i Dieci di Balia richiesero al podestà di Empoli di verificare che David di Manuele da San Miniato, residente ad Empoli, avesse pagato una multa di quasi sessanta fiorini che gli era stata comminata. Al marzo-aprile del 1498 risale la documentazione relativa ad una lite, verificatasi nella sinagoga, ospitata “in domo ebreorum” (verosimilmente i da San Miniato), tra Guglielmo di Isacco di Manuele di Abramo da San Miniato e un Simone, definito “spagnolus maranus”, per il possesso di un libro di proprietà del primo contendente, che Simone voleva trattenere. Il 9 dicembre 1500 gli Otto di Guardia e Balia richiesero al podestà di Empoli di convocare Abramo e Isacco di Manuele da San Miniato e il figlio di Isacco, Guglielmo, e di trattenere tutte le cose sequestrate agli ebrei su istanza degli Ufficiali delle Vendite. Documentazione analoga a quella più sopra passata in rassegna sussiste per tutto il primo decennio del Cinquecento, ed anche oltre, e testimonia della presenza dell’insediamento ebraico empolese: in posizione dominante continuavano ad essere i membri della famiglia da San Miniato (talvolta designata pure con il cognome “da Empoli”), ma essi erano affiancati sia da altri ebrei “italiani”, sia da ebrei sefarditi di recente immigrati. Con il ritorno dei Medici a Firenze potè riprendere ufficialmente anche ad Empoli l’attività feneratizia. La nuova condotta, decennale e motivata col fatto che mancavano da diverso tempo ebrei feneratori che sopperissero alla necessità della popolazione, venne stipulata nell’ottobre 1514. I titolari erano di nuovo e sempre da San Miniato: Isacco di Manuele di Abramo assieme ai figli Zaccaria e Raffaele, e Abramo di Dattilo di Abramo con i figli Salomone e Angelo, “omnes habitantes in dicto castro Emporii”. I nuovi capitoli stabilivano per i feneratori la possibilità di esercitare l’attività anche nelle aree circostanti il centro di Empoli, fino ad una distanza di dieci miglia. Era inoltre permesso ai de67 ANDREA BRUSCINO tentori dell’attività di nominare “socii, discipuli, factores et ministri” ai quali estendere i benefici che la condotta concedeva ai titolari. L’annuale tassa “pro fenerando” venne fissata a cinquanta fiorini d’oro larghi, con la clausola che tale tassa potesse essere aumentata, dopo i primi tre anni, per una cifra compresa tra i quindici e i settanta fiorini. Il 2 dicembre 1517 la tassa “pro fenerando” venne effettivamente aumentata, passando da 50 a 70 fiorini annui, condizione che venne accettata da Abramo di Dattilo a nome di tutti i titolari della condotta. All’anno successivo è datato un episodio che testimonia dei rapporti, non sempre distesi, tra gli ebrei empolesi, le autorità fiorentine e la popolazione del centro toscano. Alla fine del marzo 1518, nell’imminenza della settimana santa (la Pasqua cadeva il 4 aprile) gli Otto di Guardia e Balia fiorentini imposero al podestà di Empoli di rendere pubblico un bando in difesa degli ebrei. Ciò nonostante, qualche settimana più tardi si verificarono dei disordini, scatenati dal fatto che il figlio del banchiere Zaccaria di Isacco di Manuele di Abramo da San Miniato, Angelo, di età inferiore ai cinque anni, aveva commesso un gesto considerato sacrilego, lanciando, durante una processione, dei frammenti di vasi “super vexillo crucis”. Zaccaria venne quindi condannato ad un’ammenda di 25 fiorini d’oro, ai quali dovette aggiungerne altri 10 per la realizzazione di un’immagine della Vergine che venne poi eseguita nella bottega di Andrea della Robbia. Subito dopo l’episodio, comunque, venne promulgato un altro bando in difesa degli ebrei residenti ad Empoli. I patti per la gestione del prestito ebraico siglati nel 1514 vennero rinnovati per cinque anni, alle condizioni precedenti, nell’ottobre 1524: i titolari erano per una metà Abramo di Dattilo da San Miniato, con i figli Salomone e Angelo, e per l’altra metà Zaccaria di Isacco di Manuele, ora detto “da Empoli”. Alle nuove capitolazioni si fa riferimento anche il 30 luglio del 1526, quando Salomone di Abramo di Dattilo da San Miniato nominò tra i beneficiari della condotta del banco “Joseph Jacob hispanum hebreum”, che era però obbligato a non svolgere altra attività che quella di rigattiere. Nel giugno del 1527 la rinnovata Repubblica fiorentina abolì nuovamente tutti i banchi di prestito ebraico ed anche quello di Empoli venne ovviamente chiuso. Ciò nonostante la popolazione ebraica della cittadina non scomparve e, come nel periodo 1495-1514, si dedicò al commercio, all’artigianato e a modeste produzioni industriali. Esponenti dei da San Miniato ed altri ebrei non appartenenti a questo ceppo familiare, 68 STUDI SUGLI EBREI A EMPOLI FRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA fra i quali alcuni sefarditi, in primis i membri della famiglia Alpilinc, continuano infatti ad essere ricordati nella documentazione, a volte addirittura come iscritti alle Arti per oltre quarant’anni. Fra l’altro appaiono frequenti e all’insegna della reciproca collaborazione i rapporti con la popolazione cristiana. E agli ebrei empolesi si aggiunsero nuovi immigrati, come Manuele di Ventura da Supino, negli Stati della Chiesa, una cui figlia quindicenne, nel 1560, fu sottratta alla famiglia e battezzata. Raffaele, altro figlio di Manuele, continuò a risiedere ad Empoli almeno fino al 1567 e, con ogni probabilità, si trasferì in seguito nel ghetto di Firenze. E ad Empoli risiedette anche un membro della famiglia di origine bolognese degli Sforno: Matassia di Davide. Alcuni degli ebrei empolesi, fra cui i discendenti, ormai italianizzati, di immigrati dalla Spagna, si spostarono a Pontedera intorno alla metà del secolo: dopo il 1570, salvo alcuni convertiti rimasti in loco, essi si trasferirono nel ghetto di Firenze. L’esistenza di un ancor consistente nucleo ebraico ebbe probabilmente il suo peso nella scelta di Empoli come sede di uno dei banchi ebraici che vennero riaperti alla fine del 1547 in quello che era ormai divenuto, sotto Cosimo I de’ Medici, il Ducato di Firenze. I concessionari del rinnovato banco di Empoli non furono però più i da San Miniato, ma gli Abravanel, cui successero, nel 1564, Laudadio, Leone e Mosè di Abramo di Isacco di Vitale da Pisa, che erano anche titolari dei banchi di Pescia, San Giovanni Valdarno e Prato. Nel 1570, alla vigilia dell’obbligo per tutti gli ebrei del Granducato di Toscana di andare ad abitare soltanto nei ghetti di Firenze e Siena, il numero degli ebrei presenti ad Empoli era di 43, il 6% di tutta la popolazione ebraica presente nell’antico Stato fiorentino. Il cognome “da Empoli” fu per qualche tempo utilizzato da ebrei originari del centro valdarnese: si ricorda ad esempio a Firenze nel 1597 un Giuseppe da Empoli, convertito, cui furono sottratti due figli per evitare che venissero anch’essi battezzati. Fonti d’archivio e bibliografia ASF, Capitoli, Appendice 29 ASF, Capitoli, Appendice 30 ASF, Estimo 247 ASF, Miscellanea repubblicana 144 69 ANDREA BRUSCINO ASF, Notarile Antecosimiano 15031 ASF, Notarile Antecosimiano 17990 ASF, Provvisioni 186 ACE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti Civili 1 ACE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili 3 BRUSCINO A., L’insediamento ebraico di San Miniato in “Miscellanea Storica della Valdelsa”, CX n. 3 (2004). BRUSCINO A., Una presenza ebraica di lungo periodo: la famiglia da San Miniato ad Empoli (secc.XIV-XVI), Tesi di Dottorato in Storia, ciclo XVI (2001-2003). CASSUTO U., I libri di Isach ebreo in Empoli, in “La Bibliofilia”, 12 (1910). CASSUTO U., Gli ebrei a Firenze nell’età del Rinascimento, Firenze 1918. CIARDINI M., I banchieri ebrei in Firenze nel secolo XV e il Monte di Pietà fondato da Girolamo Savonarola, Borgo San Lorenzo 1907. FRATTARELLI FISCHER L., Vivere fuori dal ghetto. Ebrei a Pisa e Livorno (secoli XVI-XVIII), Torino 2008. LUZZATI M., La casa dell’ebreo. Saggi sugli ebrei a Pisa e in Toscana nel Medioevo e nel Rinascimento, Pisa 1984. PROSPERI A., L’Inquisizione romana e gli ebrei in L’Inquisizione e gli ebrei in Italia [a cura di] Luzzati M., Roma-Bari 1994. SIEGMUND S.B., The Medici State and the Ghetto of Florence. The construction of an Early Modern Jewish Community, Stanford 2006. TANZINI L., Un aspetto della costruzione dello Stato territoriale fiorentino. Il registro di approvazione degli Statuti del Dominio in “Società e Storia”, 107 (2005). 70 ANNA MARIA CASTELLACCI Empoli di fine Ottocento: un’ esperienza didattica Sono contenta di poter parlare dell’esperienza fatta presso l’Archivio Storico di Empoli, con la mia classe quarta scuola Elementare Carlo Rovini. È l’occasione per me di ringraziare il personale di questa struttura che mi ha dato la possibilità di insegnare Storia. Sembra ovvio che un insegnante di Storia insegni Storia; invece non lo è. In realtà, attraverso il libro di testo noi “raccontiamo” la Storia. Io l’ho scoperto diversi anni fa dai miei professori di Università, che si sono preoccupati di chiarire a me e ai miei compagni di corso che può definirsi ricostruzione storica solamente ciò che sia effettivamente documentato. Così il testo sarebbe servito ad inquadrare gli eventi nel contesto generale, allora definito ‘contesto storico’. Il valore del testo sarebbe stato dunque più meritevole se affiancato da una ricca documentazione. Dunque, nel nostro caso, alcune escursioni fuori classe, nel quartiere e in centro, stimolarono alcune domande da parte dei ragazzi. Perché il nostro quartiere si chiama “Cascine”, cosa ci sarà stato al posto della nostra scuola, quanti fratellini avranno avuto i nostri bis bis nonni, le mamme andavano a lavorare, c’erano i motorini ? ecc. È incredibile quante curiosità sparse nel tempo e nello spazio siano capaci di stare nella testa e immediatamente sulla bocca dei ragazzi. Considerato che una ricerca deve sempre partire da un problema, mi sembrò l’occasione giusta. Dopo aver chiarito subito che sul nostro libro di Storia non avremmo trovato le risposte, convocammo un’assemblea di nonni. Spiegai il significato di ‘fonte’ e aggiunsi che, in questo caso, si sarebbe trattato di una ‘fonte orale’. Dopo l’incontro capimmo che sì, avevamo scoperto qualcosa, ma eravamo andati poco indietro nel tempo e che volevamo proseguire. Come fare? E poi? Che dire delle fonti scritte ancora assenti. Anche le immagini portate dai nonni erano troppo recenti per soddisfare le nostre richieste. Allora? Cosa ci può essere di più opportuno e prezioso di un “Archivio Storico”? Preziosissimo il programma di interventi che era arrivato dall’Archivio stesso e di cui non ignoravo la presenza fra le carte. Stabilito il contatto, 71 ANNA MARIA CASTELLACCI arrivò a scuola la signora Elisa. I ragazzi la guardarono con grande stupore, il silenzio era spontaneo, le voci dei ragazzi che facevano le domande erano basse e timorose. La sicurezza dell’ospite e la sua affabilità contribuirono presto a “sciogliere” il clima e, data conferma che si poteva fare un buon lavoro, ci parlò dell’Archivio, delimitammo il campo d’indagine e fissammo un appuntamento per trovarci là, dove avremmo trovato i documenti appropriati alla nostra ricerca. Sembrava a tutti di essere a caccia di indizi. La classe fu divisa in gruppi, ciascun gruppo si sarebbe occupato di un aspetto della vita empolese di fine ottocento: le attività lavorative, la media dei componenti delle famiglie, la media del numero dei figli, l’età media degli abitanti di Empoli. Non sto qui a riportare i risultati della ricerca; posso solo dire che i ragazzi sono rimasti colpiti soprattutto dal numero di componenti della famiglia, imparagonabile a quello delle famiglie attuali, e sconcertati dalle frequenti morti giovanili o dalla eccentricità dei mestieri che loro non avevano mai neanche sentito nominare. Che dire poi delle altre curiosità in questo modo “provocate” e che dire della documentazione messa a disposizione? Tutto affascinante: il colore ingiallito delle foto della collezione Vannucci Zauli, la grafia della documentazione dello Stato delle Anime della Parrocchia di S. Andrea. Elisa porgeva il materiale con grande rispetto, assecondando la loro meraviglia. Mi sono ricordata anch’io il piacere della ricerca. Tutti si sentivano un po’ “poliziotti” e nulla poteva essere asserito senza prove. Per non parlare degli ambienti, con scale e corridoi per raggiungere la collocazione de testi. Mai i ragazzi si sarebbero immaginati che gli studiosi si aggirano in certi ambienti. Alla fine molte sono state anche le considerazioni colorite, ma sempre legittime: la differenza nel modo di vestire, le foto “in posa” e solo per i militari e i più ricchi. Nella parte finale che abbiamo imparato “chiamarsi” Appendice, sono stati citati i documenti usati. Non posso non citare la riflessione dei ragazzi sul lavoro. Noi insegnanti la chiamiamo ‘metacognizione’ e serve per fissare nella mente le tappe fatte, la metodologia usata, le acquisizioni: Questo lavoro è stato un lavoro di pazienza: abbiamo lavorato in gruppi di quattro sui documenti, ciascun gruppo ha preso appunti relativi all’indagine in corso, ciascun gruppo ha riportato i dati raccolti, tutti insieme li abbiamo considerati e tratto le conclusioni. Anche se è stato faticoso ci siamo 72 EMPOLI DI FINE OTTOCENTO: UN’ ESPERIENZA DIDATTICA divertiti ad indagare. La maestra è contenta di noi. Ci ha detto che gli storici lavorano così e che questo è stato un lavoro “seminariale”. Inutile dire che il lavoro ha corrisposto alle mie aspettative di insegnante, perché ha anche messo in moto abilità che cerchiamo di esercitare talora artificialmente (es. prendere appunti, argomentare, ascoltare, sintetizzare, ecc.). Che dire poi dello sviluppo delle capacità critiche e dell’educazione alla convivenza civile che in questo caso educa a non “sparlare” o dare prima giudizi senza “guardare” con attenzione? Ed esigere altrettanto dagli altri. Ringrazio anche per questo la responsabile dell’Archivio Stefania Terreni, la coordinatrice del lavoro, Elisa Boldrini e tutti coloro che si adoprano per conservare la Storia del nostro territorio. 73 FRANCA BELLUCCI Storia, memoria e poesia intorno alla ricorrenza del 1260 a Empoli Quando una ricorrenza storica, come quella del 6 novembre 2010, interessa tanto pubblico in una intera giornata di relazioni incalzanti non si ha la prova solo del bel successo per gli organizzatori: si evidenzia una vera sete di sapere, anzi un gusto dell’apprendere che è già di per sé intreccio di storia e poesia. La menzione di storia e poesia era comunque la felice formula proposta dal Comune di Empoli per celebrare l’anniversario dell’antico Parlamento del 1260, che, secondo le memorie perpetuate da Dante, vide sovrastare il ruolo di Farinata – o Manente – degli Uberti a difendere la continuità di Firenze. L’intensa performance celebrativa che ha avuto luogo presso il Convento degli Agostiniani, infatti, si intitolava Tra storia e letteratura il Parlamento di Empoli del 1260. La giornata, indetta dal Comune di Empoli per il 750° anniversario dell’evento, ha beneficiato di contributi di ricerca da varie istituzioni culturali toscane. Il Sindaco, dott. ssa Luciana Cappelli, le ha presentate nel suo saluto di apertura: l’Università, l’Archivio di Stato di Firenze, la Deputazione di storia patria della Toscana. Di fronte al bel pubblico di studiosi, ma anche di semplici cittadini e, in particolare, di giovani studenti titolari di progetti storici con i loro professori, il sindaco ha constatato con compiacimento lo sviluppo delle conoscenze e della passione per la città, dal tempo della precedente celebrazione nel 1960, in cui l’asse portante era stata l’associazione Pro Loco: una città impegnata nel lavoro, dunque, ma non meno nello studio. Il tema scelto ha voluto mettere a confronto il mito letterario, nei versi indimenticabili che Dante ha lasciato nel canto X dell’Inferno, con il personaggio storico, recuperando nel contesto anche percorsi della comunità empolese. La promessa che il sindaco si è sentita di fare, importante per la comunità degli storici e degli appassionati, ma anche per i singoli ricercatori generosamente impegnati nella giornata, è quella di raccogliere sollecitamente i contributi negli Atti del Convegno. Il prof. Giuliano Pinto, quindi, come esponente dell’Università e della Deputazione di storia patria, prima ancora di accingersi a guidare il la75 FRANCA BELLUCCI vori nella mattinata, ha sintetizzato brevemente la scelta del tema: l’impulso a riprendere ed aggiornare gli studi di storia fiorentina di Robert Davidsohn per gli anni intorno alla battaglia di Montaperti nel 1260, evento di vittoria per la fazione ghibellina che per questo procedette subito a disegnare la sua prospettiva nel Parlamento convocato, anche in contatto con Manfredi D’Altavilla, di cui esiste una lettera nell’occasione. Per Firenze fu, nel racconto dantesco, un tornante decisivo. Ma non meno per Empoli alla metà del XIII secolo. Castello ancora piccolo, ma attivo, ancora guidato secondo il sistema delle signorie, lì rappresentate dai conti Guidi, era già però investimento terriero per i capitali fiorentini. Un sintetico saluto ha portato quindi la dott.ssa Vanna Arrighi dell’Archivio di Stato di Firenze, interpretando il suo ruolo con il fornire alla platea alcuni ragguagli. Il sistema archivistico, antica istituzione per Firenze entrata nel sistema nazionale nel 1865, è oggi colpito dal momento di crisi economica e culturale. Eppure è tesoro fondamentale di memorie, chiede dunque consapevolezza ed attenzione alla comunità per rivitalizzarsi. La dott.ssa Arrighi ha accennato ad alcuni documenti essenziali, base degli argomenti trattati nella giornata di studio: il Libro di Montaperti, relativo a tutto quello che servì per affrontare quello scontro, il Libro del Chiodo, cioè l’originale della condanna pronunciata contro Dante. Non pochi, questi documenti, tenendo conto dell’uso, nei duri scontri delle fazioni, di distruggere le carte dei perdenti, secondo il rito della Damnatio memoriae. Oggi, ha detto la dott. ssa Arrighi, la consapevolezza nella cura documentaria si inscrive non solo in un ambito tecnico, ma nel tema dei diritti dei cittadini, come cura della trasparenza e come diritto all’informazione. L’auspicio a superare il trend negativo è dunque tutt’uno con quello del rendersi consapevoli entro la comunità. Giuliano Pinto ha dunque presieduto lo svolgimento della mattinata. Il prof. Emilio Pasquini, una delle massime autorità negli studi danteschi, ha esordito con la relazione letteraria centrata su Dante e Farinata sullo sfondo del Parlamento di Empoli. A seguire, gli storici hanno fatto una ricognizione attenta delle articolazioni sociali e istituzionali dell’epoca, più generali con la relazione L’Italia dall’età di Federico II a quella di Carlo d’Angiò ad opera di Andrea Zorzi e più specifica sulle pratiche fiorentine, allora davvero spietatamente faziose, con il saggio Sei anni da dimenticare. Spunti per una riconsiderazione del governo ghibellino di Firenze di Enrico Faini. 76 STORIA, MEMORIA E POESIA INTORNO ALLA RICORRENZA DEL 1260 A EMPOLI Ascoltando la ricognizione attenta di documenti, nuovi o anche noti, ma con nuove interpretazioni ed incroci, l’ascoltatore ha avuto l’impressione che i relatori abbiano fissato molti elementi inediti, in un panorama la cui conoscenza non è poi così scontata, se si allarga lo sguardo su connessioni più ampie e problematiche e se si confrontano nomenclature stando ben attenti a rintracciare i focolai e i tempi delle irradiazioni linguistiche e culturali: l’uso dei termini guelfi-ghibellini, abbiamo sentito nelle relazioni, si generalizza molto tardi, XV sec., quando il fenomeno è ormai ricordo storico, ma era stato invece usato precocemente a Firenze. Il Parlamento cui allude Dante non ha tracce dirette nei documenti rimasti, caso forse di damnatio memoriae, visto che la situazione dei vincitori non si stabilizzò, e fu dopo sei anni rovesciata. Ma la storia può esplorare in parte anche situazioni indiziarie, e questo evento può affrontarsi con tale metodo. Con i nuovi apporti appare nel complesso con maggiore evidenza, nel giro breve degli anni in cui le consorterie prossime a Farinata prevalsero, la relativa autonomia dei comportamenti rispetto alle ideologie, ma più ricorrenti le pratiche da clan. Nel pomeriggio sotto la guida della prof.ssa Anna Benvenuti, le relazioni hanno rovesciato l’ottica: non dal contesto a Empoli, ma da Empoli verso la più larga cornice storica. Francesco Salvestrini ha parlato di Empoli: uno snodo tra Valdelsa e Valdarno, Fausto Berti della Presenza dei fiorentini a Empoli nella seconda metà del Duecento, Italo Moretti della Collegiata di Sant’Andrea simbolo della Empoli medievale. Nella parte finale della serata, infine, due studiosi empolesi, Marco Frati e Walter Maiuri, reduci dai ritrovamenti consentiti da recenti lavori che hanno riordinato le infrastrutture nel centro della città, e portato alla sistemazione del Magazzino del sale, divenuto ora il MUVE, cioè il Museo del Vetro, hanno presentato i Dati archeologici e documentari relativi alla Consistenza del Castello di Empoli nel Duecento. I lavori, insomma, sono stati incalzanti. Esemplare l’auditorio, in una giornata così impegnativa. Come definirlo: forse disciplinato? Ma questo termine è riduttivo, sa di mortificazione, se non di costrizione. Sa di cortesia, se è per posa che si vogliono compiacere i relatori o gli organizzatori. Ma non credo che sarebbe giusta interpretazione. E’ che la fatica del corpo si alleggerisce, quando gli argomenti aprono dentro ipotesi e collegamenti, avviano passioni. Piuttosto, il fatto è, e non è poco, che le vie metodiche degli storici hanno potuto beneficiare della testimonianza di Dante, a volte originale e unica fra i documenti degli archivi, come è 77 FRANCA BELLUCCI il caso del Parlamento di Empoli: che Dante non nomina, ma indica per perifrasi, chiosata dai commentatori. Il relatore dell’aspetto letterario, il prof. Emilio Pasquini, del resto, è stato abile, con la sua relazione iniziale, a coinvolgere la platea con adeguati supporti, guidando a ritrovare nel paesaggio apocalittico delle tombe infocate visitate da Dante e dalla sua scorta le corrispondenze con determinate immagini: quelle dei mosaici che Coppo di Marcovaldo aveva appena posto nella cupola del “bel S. Giovanni” quando si snodavano le infanzie di Dante e di Giotto. I pur densi riferimenti bibliografici della relazione si sono stemperati nell’emozione dell’incontro raccontato, che ha valorizzato tutta l’umanità del faccia a faccia, anche dovendo il relatore calcare sull’aspetto storico della vicenda, come ha più volte fatto presente: infatti la dimensione vera di Dante sarebbe quella figurale, in cui la terra, in Dante non autonoma, riceve compimento. Erano infatti gli epicurei – o meglio averroisti –, gli eretici del momento, insomma, che disponevano per la vita solo della dimensione terrena. Ma la sfida, fra l’antico ed il giovane, entrambi fiorentini, c’è, la stoccata bruciante. Eppure, con essa, procede l’identificarsi del pellegrino con l’eretico “magnanimo”: egli nell’esperienza già fatta, ma nel disegno della Commedia preconizzata con le profezie, si sente certo ugualmente inadempiente verso i figli e la moglie, ugualmente “molesto” alla patria, e si temerebbe ugualmente sconfitto, se non ci fosse a sorreggerlo la promessa salvifica di Beatrice o l’incoraggiamentto dell’avo Cacciaguida, che lo approva pur se è “solo”. Come “solo” Farinata resse all’urto contrario della consorteria, per la salvaguardia della città.Una felice disposizione, insomma, aver posto in apertura il relatore di Dante, la cui Commedia è pur sempre il libro nazionale degli italiani, convinti della bellezza, prima di tutto, ma anche delle suggestioni umane che Dante ha meditato e trasmesso. Comunque, un’onda emotiva forte che ha dato l’intonazione giusta alla giornata di studio. Ora, si aspetta la pubblicazione degli Atti per constatare o recensire i molti aspetti del periodo storico presentato, dopo la prima ricezione orale. Forse anche le conoscenze storiche sul percorso più antico di Empoli risulteranno più solide, avvalendosi della via archeologica e di quella archivistica. Per gli abitati minori – in Italia così frequenti – vige che si faccia storia con poche fonti scritte, ma con il metodo di incrociare e confrontare le ipotesi formulate sulle diverse tracce anche materiali e bioclimatiche. Occorrono realismo e passione, accettando i limiti degli accertamenti, nelle ricostruzioni del passato, registrando in civile convivenza e senza albagìe le ipotesi plausibili, anche molteplici. 78 IRENE FABII Una nuova guida per l’Archivio storico comunale L’inventario per un archivio è come la bussola per un esploratore: consente di orientarsi fra centinaia e talvolta migliaia di registri, filze e volumi e di trovare in un tempo ragionevole le notizie utili per le ricerche intraprese. Quanto più l’inventario è ben fatto, con descrizioni analitiche dei singoli pezzi e con notizie a carattere storico-istituzionale, tanto più celere e proficua sarà l’indagine dell’ipotetico utente, senza peraltro rendere superflua la visione diretta delle carte. La redazione di un inventario è, però, l’ultima fase di un complesso lavoro, in quanto la documentazione, perché sia accessibile, necessita innanzitutto di essere riordinata, cioè riorganizzata, attraverso la distribuzione in serie (insiemi di documenti omogenei per contenuto e struttura materiale), secondo il cosiddetto metodo storico. Si tratta, cioè, di ricostruire, per quanto possibile, la sistemazione originaria dell’archivio in cui si riflette il rapporto tra le funzioni svolte dall’ente e i documenti da esso prodotti, i quali risultano collegati tra loro da un vincolo di necessità o vincolo archivistico, costituitosi fin da quando i documenti venivano posti in essere. Ultimato il riordinamento, si può avviare la stesura dell’inventario, scegliendo se adottare un livello di descrizione analitico o sommario: nel primo caso saranno presenti descrizioni complete di ciascun pezzo, nel secondo informazioni raccolte per serie o, comunque, in numero minore rispetto a quelle offerte dall’inventario analitico. In linea generale, tuttavia, un inventario deve contenere alcuni elementi essenziali in accordo con gli standard descrittivi internazionali recentemente elaborati, ISAD (International Standard Archival Description) e ISAAR (International Standard Archival Autorithy Records), riguardanti rispettivamente la descrizione della documentazione e la definizione del suo contesto storico -istituzionale: una nota introduttiva sulla storia del fondo, sul soggetto che l’ha prodotto e sul metodo di riordinamento ed inventariazione adottato; un prospetto sintetico delle serie; una descrizione dei pezzi con indicazione della data e del contenuto; indici dei nomi (di luoghi, persone, istituzioni etc.). Come strumento per la consultazione dell’Archivio storico comunale di 79 IRENE FABII Empoli, si è utilizzato fino ad oggi un inventario a stampa, pubblicato dall’Amministrazione Comunale di Empoli nel 1979 (ma basato su un lavoro ultimato nel 1955), dal titolo Gli inventari degli Archivi comunali di Empoli: 1355-1937. Contenente l’inventario sommario degli Atti dei giusdicenti e del Preunitario curato da Arnaldo D’Addario e l’inventario sommario del Postunitario fino al 1937 realizzato da Augusto Antoniella e da Libertario Guerrini, si trattò di un’opera quasi pionieristica per l’epoca in cui fu concepita, poiché allora non erano molti gli archivi comunali dotati di inventario, di cui quasi nessuno pubblicato a stampa. Da tempo, tuttavia, soprattutto a causa dell’estrema sinteticità della descrizione dei pezzi e delle mancanza di introduzioni alle serie, essa risultava non più rispondente ai moderni standard archivistici e alle esigenze degli studiosi, che nel frattempo erano andati moltiplicandosi e diversificandosi. Da qui la necessità di avviare interventi sistematici sulla documentazione, innanzitutto su quella più antica. Nel 2008, pertanto, a chi scrive sono stati affidati il riordinamento e l’inventariazione analitica informatizzata degli Atti dei giusdicenti, del Preunitario e dei relativi aggregati, sotto la supervisione di Vanna Arrighi, vicedirettrice dell’Archivio di Stato di Firenze, di ciò incaricata dalla Soprintendenza Archivistica per la Toscana. Il lavoro, che si è concluso agli inizi del 2010, ha interessato un totale di 3.181 pezzi riguardanti gli anni dal 1341 al 1865 ed ha permesso di individuare con precisione i soggetti produttori delle carte, ricostruendo le serie documentarie a cui essi dettero vita nello svolgimento delle loro funzioni. In particolare, è stato possibile riconoscere, raggruppare ed organizzare la documentazione prodotta da alcuni importanti uffici come il Cancelliere comunitativo, l’Ingegnere di circondario e il Delegato di governo, non identificati con chiarezza nell’inventario di Arnaldo D’Addario. A differenza di quest’ultimo, inoltre, la descrizione ha interessato ogni singolo pezzo, del quale si sono normalmente indicati le antiche segnature, ovvero le diverse numerazioni assegnate nel corso del tempo, e gli estremi cronologici; la tipologia documentaria (registro, filza etc.), il tipo di supporto scrittorio (carta, pergamena) e la consistenza (il numero delle carte o delle pagine); le intitolazioni originali; il nominativo del soggetto produttore. Ulteriori dati sono stati inseriti in relazione alla tipologia della documentazione in esame. L’operazione di schedatura delle carte è stata condotta mediante l’utilizzo di un software specifico, Arianna, concepito nel rispetto degli 80 UNA NUOVA GUIDA PER L’ARCHIVIO STORICO COMUNALE standard ISAD e ISAAR. In questo modo si è potuto produrre un database multifunzionale in grado di garantire, ad esempio, la creazione di indici automatici, ma soprattutto l’effettuazione di ricerche anche piuttosto sofisticate e che, pertanto, prevedono il supporto dell’archivista agli studiosi. Successivamente si è tradotto il formato elettronico in una versione cartacea, disponibile presso la sede dell’Archivio di Empoli e contenente, rispetto al database, anche testi introduttivi ai soggetti produttori e alle serie. 81 IL VENERDÌ IN ARCHIVIO Ogni ultimo venerdì del mese si tengono in archivio incontri, dibattiti, presentazioni di libri e di tesi di laurea, proiezioni e … altro ancora 2007 SETTEMBRE Vivere in villa: un patrimonio architettonico e paesaggistico da conoscere e valorizzare con Emanuela Ferretti e Davide Turrini OTTOBRE Tavola rotonda sulle origini di Empoli con Marco Frati, Leonardo Terreni, Emanuela Ferretti NOVEMBRE La presenza degli Ebrei a Empoli nei secc. XIV-XVI con Andrea Bruscino DICEMBRE La storia di un assedio: Empoli 1530 con Maurizio Arfaioli 2008 GENNAIO Empoli tra Seicento e Settecento: storia urbana e rinnovamento architettonico di chiese e palazzi. Presentazione del volume Firenze e il granducato dell’Atlante del barocco in Toscana con Giuseppina Carla Romby FEBBRAIO Da un castello sul Montalbano ad un borgo sull’Arno; Popoli del monte e popoli del piano: Vitolini e Spicchio dal medioevo all’età contemporanea con Paolo Santini e Melania Minacci MARZO Presentazione della Tesi di laurea “Gli artisti chiedono pareti da dipingere”. Per una storia della pittura murale nell’Italia degli anni Cinquanta con Benedetta Rutigliano APRILE Empoli fuori dalle mura. Infrastrutture e industrie dalla metà dell’Ottocento alla Grande guerra con Francesco Lensi 83 MAGGIO Ceramica ad uso d’Empoli. La maiolica in Toscana alla fine del Settecento con Anna Moore GIUGNO Escursione storico/naturalistica all’area di Arnovecchio con Associazione onlus Geologia & Ambiente di Empoli SETTEMBRE Pittura ad Empoli in età postridentina con David Parri OTTOBRE Vincenzio Chiarugi (1759-1820). Un viaggio nella storia della psichiatria con Donatella Lippi NOVEMBRE Presentazione del libro di Franca Bellucci Donne e ceti fra Romanticismo toscano e italiano. Le corrispondenti di penna con Vincenzo e Antonio Salvagnoli con Mirella Scardozzi 2009 GENNAIO L’Ospedale San Giuseppe. Un tassello della storia di Empoli con Rossana Ragionieri FEBBRAIO La storiografia empolese con Giuliano Lastraioli MARZO Pasolini e Pontormo. La riscoperta del Manierismo negli anni ’60 con Francesco Galluzzi APRILE Flussi commerciali nel territorio empolese in età romana (I. sec. a.C.II. sec. d.C.). Presentazione dei risultati delle recenti ricerche archeologiche con Walter Maiuri MAGGIO Il commento al Genesi di Benedetto Pereyra (1589) nel fondo del Convento dei Cappuccini della Biblioteca Comunale di Empoli. Un testo chiave della discussione tra Galilei e i Gesuiti sul rapporto tra Bibbia e scienza con Romano Nanni GIUGNO La villa del Terrafino dei marchesi Riccardi. Visita guidata a cura di 84 Lara Uricchio SETTEMBRE Le tracce graffite dall’uomo e la loro interpretazione. Presentazione del volume I segni dell’uomo. Incisioni rupestri della Toscana con Giancarlo Sani OTTOBRE Territorio, infrastrutture, mercato regionale. I ponti sull’Arno nella prima metà dell’800 con Marco Cini NOVEMBRE Alessandro Marchetti da Pontormo letterato e scienziato galileiano nella Toscana del secondo Seicento con Veronica Campinoti 2010 GENNAIO La grande guerra in una piccola città: Empoli durante la prima guerra mondiale con Daniele Lovito e Roberto Bianchi FEBBRAIO Tracce di architettura a Empoli. La costruzione della città dal dopoguerra a oggi con Marco Frati e Vincenzo Mollica MARZO Il diario di Giuliano Ricci. Pagine da scrivere sul ‘48 empolese Presentazione del libro Livorno 1848. Le Memorie di Giuliano Ricci con Mario Baglini e Franca Bellucci APRILE Omaggio al baritono Arturo Romboli nel 50° anniversario della morte. Ascolto di arie operistiche di Rinetta Romboli con Luciano Ferri, Nicla Romboli, Paolo Pianigiani e Rossana Ragionieri MAGGIO Una famiglia di giuristi e la sua committenza artistica. Nuove ipotesi sulla Visitazione del Pontormo con Giuseppe Biscione GIUGNO Empoli (e dintorni) in armi: la Banda della fanteria ducale del 1547 con Maurizio Arfaioli SETTEMBRE Da “terra” a “quasi città”: Empoli in epoca medicea. Presentazione della tesi di laurea con Gabriele Beatrice e Gaetano Greco 85 OTTOBRE I “segni” di Empoli. Testimonianze di topografia urbana con Mauro Ristori NOVEMBRE Un nuovo ausilio per la ricerca nell’Archivio storico comunale. Presentazione dell’Inventario analitico della Sezione Preunitaria con Irene Fabii e Vanna Arrighi 2011 GENNAIO La comunità di Empoli nel Catasto Granducale Lorenese. Ricostruzione cartografica digitale con S.I.T. (sistemi informativi territoriali) con Carlo Pagliai FEBBRAIO Tabacco e tabaccaie in Toscana tra Otto e Novecento con Silvio Cenci MARZO Visita guidata alla mostra in corso presso il Museo del Vetro. Storia e produzione della vetreria Toso Bagnoli con Silvia Ciappi e Stefania Viti APRILE La meridiana romana dello scavo di San Michele Arcangelo a Empoli Vecchio con Leonardo Terreni MAGGIO La stanzina nell’orto. Maestrelli, Carmignani e la pittura ad Empoli nella prima metà del Novecento con Marco Campigli GIUGNO Giampiero Becherelli: il valore del teatro con Andrea Mancini e Franca Bellucci 86 Fig. 1 ASF, Catasto Generale Toscano, Empoli, sez. D (1820). Il Magazzino del Sale è identificato con la particella 341 Fig. 2 ASF, Catasto Generale Toscano, Empoli, sez. D (1834). Il Magazzino del Sale è identificato con la particella 341 87 Fig. 3 ASF, Catasto Generale Toscano, Empoli, sez. D (1873). Il Magazzino del Sale è identificato con la particella 341 Fig. 4 ASF, Catasto Generale Toscano, Empoli, sez. D (1912). Il Magazzino del Sale è identificato con la particella 341 Fig. 5 ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, fabbriche Lorenesi 2037, fasc. 46. (1803) Planimetria del Magazzino del Sale e delle due casette contigue. 88 Fig. 6 ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, fabbriche Lorenesi 2111, fasc. 62. (1818) Progetto di ampliamento del Magazzino del Sale, Architetto Filippo Nini. 89 Fig. 7 ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, fabbriche Lorenesi 2092, fasc. 13. (1823) Opere provisionali di consolidamento della facciata. 90 Fig. 8 ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, fabbriche Lorenesi 2092, fasc. 13. (1823) Planimetria indicativa del progetto di sistemazione del Magazzino del Sale e dell’ufficio del Ministro del Sale. 91 Fig. 9 ASF, Scrittoio delle Fortezze e Fabbriche, fabbriche Lorenesi 2111, fasc. 62. (1827) Progetto degli interventi di sistemazione del Magazzino del Sale, Architetto Filippo Nini. Fig. 10 ASF, Piante dello Scrittoio delle Regie Rendite 154. (1830) Pianta del Magazzino del Sale al 1830 e progetto, non realizzato, di unificazione dell’Ufficio del Sale con quello del Tabacco, Ingegnere Pietro Rossini. 92 Fig. 11 Saggi archeologici nel Magazzino del Sale. (Foto di L. G. Terreni) Fig. 12 Analisi stratigrafica della facciata su via Ridolfi (disegno di M. Frati) 93 Fig. 13 Analisi stratigrafica del fianco su via Chiara (disegno di M. Frati) Fig. 14 Analisi stratigrafica della parete interna Sud (disegno di M. Frati) 94 Fig. 15 Particolare del lato Ovest del cortile: campione N (foto di M. Frati) 95 Finito di stampare nel mese di Settembre 2011 Industria Grafica Nuova Stampa Montelupo F.no 96