CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY Microbioma intestinale umano e metabolismo corporeo: implicazioni per obesità e diabete Sridevi Devaraj, Peera Hemarajata, James Versalovic Department of Pathology and Immunology, Baylor College of Medicine and Department of Pathology, Texas Children's Hospital, Houston, USA Traduzione a cura di Francesca Avemaria e Andrea Mosca ABSTRACT Obesity, metabolic syndrome and type 2 diabetes are major public health challenges. Recently, interest has surged regarding the possible role of the intestinal microbiota as potential novel contributors to the increased prevalence of these three disorders. Recent advances in microbial DNA sequencing technologies have resulted in the widespread application of whole-genome sequencing technologies for metagenomic DNA analysis of complex ecosystems such as the human gut. Current evidence suggests that the gut microbiota affect nutrient acquisition, energy harvest and a myriad of host metabolic pathways. Advances in the Human Microbiome Project and human metagenomics research will lead the way toward a greater understanding of the importance and role of the gut microbiome in metabolic disorders such as obesity, metabolic syndrome and diabetes. inTRoduzione Obesità, sindrome metabolica e diabete di tipo 2 rappresentano le sfide maggiori per la salute pubblica colpendo, negli Stati Uniti, ~26 milioni tra bambini e adulti. Più del 8% della popolazione americana soffre di diabete e 17,9 milioni di persone presentano sindrome metabolica (1). Durante gli ultimi 20 anni, la prevalenza dell’obesità è cresciuta esponenzialmente e più di un americano adulto su tre (36%) e ~12,5 milioni (17%) tra bambini e adolescenti (con un’età compresa tra 2 e 19 anni) sono obesi (2). Nel 2010, in tutti gli Stati americani si registrava una prevalenza di obesità >20% (2). L’eterogeneità di queste patologie è stata dimostrata con studi antropometrici e genetici. Queste malattie metaboliche sembrano essere dovute alla combinazione di suscettibilità genetica e cambiamenti nello stile di vita. Recentemente, è stata posta molta attenzione su un possibile ruolo svolto dal microbioma intestinale come potenziale causa del rapido aumento di prevalenza dell’obesità (3-5). Questa rassegna pone la sua attenzione sui recenti sviluppi nella comprensione del microbioma intestinale e sulle tecniche per valutare le relazioni tra microbioma e metabolismo umano, obesità, sindrome metabolica e diabete tipo 2 (Figura 1). iL MiCRoBioMA inTeSTinALe uMAno: gLi STRuMenTi uTiLizzATi dALLA SCienzA L’applicazione sempre più diffusa del sequenziamento del gene codificante rRNA 16S come mezzo per rilevare patogeni batterici e studiare l’ecologia microbica ha fornito una tecnica efficace per valutare la composizione batterica del microbioma umano. Il sequenziamento di due “target” principali all’interno dei geni codificanti rRNA 16S batterico ha prodotto dati importanti sulla composizione del microbioma fecale umano di 242 individui adulti sani (6, 7). Nel Progetto Microbioma Umano sono stati raccolti e sequenziati campioni provenienti da 18 differenti siti corporei. I campioni fecali erano il tipo di campione usato per lo studio del microbioma intestinaie. Studi pubblicati precedentemente avevano dimostrato che la composizione del microbioma intestinale cambia nelle varie sezioni del tratto gastrointestinale in differenti specie di mammiferi. Per esempio, il sequenziamento del gene del rRNA 16S è stato impiegato per studiare la maturazione del microbiota murino dell’intestino ceco e *Questo articolo è stato tradotto con il permesso dell’American Association for Clinical Chemistry (AACC). AACC non è responsabile della correttezza della traduzione. Le opinioni presentate sono esclusivamente quelle degli Autori e non necessariamente quelle dell’AACC o di Clinical Chemistry. Tradotto da Clin Chem 2013;59:617-28 su permesso dell’Editore. Copyright originale © 2013 American Association for Clinical Chemistry, Inc. In caso di citazione dell’articolo, riferirsi alla pubblicazione originale in Clinical Chemistry. biochimica clinica, 2014, vol. 38, n. 6 639 IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS Figura 1 L’iperglicemia (HG) e l’aumento degli acidi grassi liberi (FFA), che sono centrali nello sviluppo di obesità, sindrome metabolica e diabete, combinati a una dieta ad alto contenuto di grassi e zuccheri, possono portare a un’aumentata attivazione del complesso infiammatorio e all’attivazione dei macrofagi attraverso un’attivazione dei recettori “toll-like” (TLR) e del fattore nucleare κB (NF-κB). È possibile che si verifichi un aumento dell’endotossiemia metabolica che può attivare il “pathway” TLR4 attraverso la proteina adattatrice, MyD88, e indurre quindi l’attivazione delle cellule immuni e l’infiammazione. Inoltre, i macrofagi possono infiltrare il tessuto adiposo e attivare le proteine chinasiche attivate da mitogeni, come la chinasi amminoterminale c-Jun (JNK) e NF-κB, causando un aumento del “cross-talk” e delle adipochine derivate dal tessuto adiposo. Una dieta ad alto contenuto glicemico e di grassi potrebbe modificare il microbioma intestinale alterando il contenuto di istidina, glutammato, acidi grassi a catena corta e altri fattori e promuovere una disfunzione della barriera intestinale e condizioni predominanti nell’obesità, nella sindrome metabolica e nel diabete alterando la risposta dell’ospite. Tutte queste alterazioni metaboliche si traducono in un aumento dell’infiammazione a livello sistemico, dell’attività dei macrofagi e dell’attivazione dei TLR contribuendo in questo modo al maggior carico cardio-metabolico tipico dell’obesità, del diabete e della sindrome metabolica. questi studi hanno dimostrato l’esistenza di un elevato numero di batteri non ancora identificati che abitano l’intestino di mammifero (6). Queste strategie di sequenziamento, che non dipendono dalle colture, sono essenziali per determinare la composizione batterica del microbioma e la sua relativa stabilità e diversità nel tempo. Pertanto, è essenziale sviluppare un modello sperimentale robusto del microbioma umano in modo da riuscire a descrivere gli importanti processi mecanistici che portano allo sviluppo dello stato di malattia nell’uomo. I progressi nelle tecnologie per il sequenziamento hanno portato alla diffusa applicazione del metodo di sequenziamento su genoma intero (“whole-genome”: WG) per l’analisi del DNA metagenomico di ecosistemi complessi come quello dell’intestino umano (7). La strategia di sequenziamento WG fornisce informazioni sia sulla composizione microbica che funzionali. I dati WG possono essere utilizzati per dedurre la composizione batterica e possono essere paragonati ai dati generati dal sequenziamento del gene del rRNA 16S. Le sequenze genomiche di specie microbiche più abbondanti sono ben rappresentate in una serie di 640 biochimica clinica, 2014, vol. 38, n. 6 sequenziamenti di subporzioni di acidi nucleici, mentre specie meno abbondanti sono rappresentate da un numero minore di sequenze generate mediante sequenziamento “next-generation”. Questa ricchezza relativa permette una misura esauriente in termini di composizione delle risposte di un ecosistema ai cambiamenti nella dieta, a terapie farmacologiche, ad alterazioni epigenetiche e a perturbazioni ambientali. Una strategia alternativa prevede invece il sequenziamento della maggior parte dei geni del microbioma (di solito ~2000 geni per batterio) per poter valutare le vie (“pathways”) metaboliche e funzionali in ogni singolo metagenoma. I dati funzionali del WG offrono l’opportunità di scoprire quali sono le vie metaboliche colpite e come il microbioma può contribuire a stati di salute e malattia. Questa tecnologia comporta la necessità di gestire grandi numeri di dati. I progressi nel sequenziamento del DNA con la “next-generation” hanno prodotto, a partire da un DNA totale di campioni fecali di 124 adulti europei, 576,7 Gb di dati di sequenza di DNA microbico, generati con l’analizzatore Illumina genome (8). Il rapporto tra il microbiota commensale che compone la flora intestinale e i microrganismi presenti CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS nella barriera intestinale è complesso e differisce spazialmente lungo le diverse zone del tratto intestinale. La metagenomica dei campioni fecali stima i cambiamenti dell’ecosistema nelle feci o nell’intestino distale, ma non è capace di correlare i microbiomi di differenti regioni dell’intestino. È anche importante sottolineare che l’analisi metagenomica dei campioni fecali non prende in considerazione tutte le interazioni molecolari del tratto gastrointestinale. Turnbaugh et al. hanno proposto l’idea che esista un nucleo di funzioni per il microbioma e che gli strumenti di proteomica e metabolomica possano servire per più approfondite analisi funzionali (7, 9). Da una prospettiva sistemica, le analisi metagenomiche potrebbero fornire ulteriori informazioni su specifici cambiamenti intraindividuali e quindi avere maggiori ricadute per l’utilizzo di strategie mediche personalizzate. La metatrascrittomica, la metaproteomica e la metabonomica saranno utili per esplorare i vari aspetti funzionali del microbioma intestinale. L’analisi “real-time” del microbioma intestinale rappresenta uno strumento utile per lo sviluppo di approcci per terapie personalizzate. La metabonomica può essere descritta come lo studio delle risposte metaboliche ad agenti chimici, ambientali e a malattie, e comprende l’analisi computazionale dei dati degli spettri metabolici che forniscono informazioni sui cambiamenti temporali per specifici metaboliti. Inoltre, la metabonomica dà informazioni sul profilo metabolico globale di un individuo in tempo reale. Con questo approccio è possibile chiarire quali “pathway” e “network” vengono alterati in specifiche malattie. Lo studio combinato di metagenomica e profilo metabolico del microbiota intestinale consente di analizzare in dettaglio il metabolismo dell’ospite e quello microbico. L’analisi di queste componenti funzionali del microbioma, che colpiscono il metabolismo e lo stato di salute nell’uomo, viene definita come metagenomica funzionale. La metagenomica e la scienza che studia il microbioma umano rappresentano un’avanguardia della biologia grazie agli enormi progressi tecnologici e concettuali. Il maggiore sviluppo tecnico si è avuto con il dispiegamento in molti centri delle tecnologie di sequenziamento del DNA “next-generation” con capacità notevolmente migliorate per le raccolte di sequenziamenti di genomi microbici nel metagenoma. Le nuove tecnologie hanno dato la possibilità di sviluppare progetti di sequenziamento su larga scala, difficili da immaginare appena 10 anni fa. La chiave di sviluppo concettuale è stato il paradigma emergente della natura essenziale delle comunità microbiche complesse e della loro importanza per la biologia dei mammiferi e per lo stato di salute e di malattia dell’uomo. Il Progetto Microbioma Umano è stato approvato nel maggio 2007 come una delle due maggiori componenti (insieme al programma di epigenomica umano) della “roadmap” del “National Institute of Health” (NIH) versione 1.5 (ora conosciuto come “Common Fund”). Recentemente, due rapporti fondamentali emessi dal consorzio Progetto Microbioma Umano hanno descritto IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY studi nei quali, partendo da una popolazione composta da 242 soggetti adulti sani, sono stati raccolti campioni da 15 o 18 parti del corpo per fino a tre momenti temporali diversi (10, 11). Da questi campioni sono stati generati 5177 profili tassonomici microbiologici dall’analisi dei geni codificanti rRNA 16S e più di 3,5 Tbasi di sequenze metagenomiche. Inoltre, parallelamente, il consorzio Progetto Microbioma Umano ha sequenziato ~800 genomi di riferimento associati all’uomo. Questa risorsa metterà a disposizione una piattaforma per futuri studi sullo stato di malattia e fornirà un insieme di dati di riferimento per il microbioma fisiologico umano. Questi dati potranno anche essere utilizzati per studi futuri sull’epidemiologia e sull’ecologia del microbioma umano in vari stati di malattia e costituire la base per lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche. L’utilizzo di approcci di studio sia funzionali che di composizione ha permesso di delineare la relazione tra cambiamenti patologici del microbioma intestinale e molte malattie. La metabolomica delle urine consente di studiare l’impatto del microbioma sull’intero metabolismo corporeo. I vantaggi di utilizzare campioni urinari comprendono la relativa grande quantità in volume del campione e la convenienza di un campionamento non invasivo. Inoltre, i campioni urinari possono essere utilizzati per stimare la cronologia dei cambiamenti del metabolismo, rappresentando quindi uno strumento utile per studiare la patogenesi e la progressione di malattia, la diagnosi e la valutazione della prognosi. I metodi più utilizzati per studiare il profilo metabolico delle urine includono la spettroscopia per risonanza magnetica nucleare (NMR), la spettrometria di massa accoppiata alla cromatografia liquida (LC-MS) e alla gas cromatografia (GC-MS) e la spettrometria di massa-gas cromatografica TOF (GC-TOFMS). In un recente articolo, il gruppo di Nicholson ha descritto un metodo per raccogliere le urine e per la loro conservazione che enfatizza l’importanza di selezionare il mitto intermedio e di aggiungere ureasi prima di congelare il campione. Questo metodo sarà utilizzato per studiare il profilo metabolico. Prima delle analisi basate su tecniche GCMS, l’attività ureasica deve essere bloccata aggiungendo etanolo o metanolo e quindi derivatizzata sottoponendo il campione a ossimazione e trimetilsililazione (12). Dato che il campione è sottoposto a varie fasi di preparazione, è importante usare campioni biologici come CQI per controllare la validità dei dati ottenuti mediante tecniche basate su GC-MS che utilizzano analisi delle componenti principali. Gli studi metabolomici basati su tecniche GC-MS prevedono molti passaggi, come la correzione della linea di base, la riduzione del rumore di fondo, la deconvoluzione, il calcolo dell’area del picco e l’allineamento del tempo di ritenzione, tutte fasi importanti per generare dati consistenti. Esistono molti “software” commercialmente disponibili che offrono supporto per tali strategie di correzione prima dell’analisi dei dati. Inoltre, nel profilo metabolico urinario è importante normalizzare i dati (sulla base del volume, del contenuto di creatinina e altri biochimica clinica, 2014, vol. 38, n. 6 641 IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY parametri) per ottenere informazioni significative e minimizzare l’influenza dell’effetto di diluizione. Utilizzando questo tipo di protocollo, i ricercatori sono stati capaci di ottenere un ampio profilo metabolico di ~400-600 metaboliti in 120 campioni di urina a settimana. Le analisi ad alta produttività (“highthroughput”) effettuate mediante spettroscopia NMR o MS sono strategie di profilo metabolico largamente utilizzate per offrire una visione d’insieme del metabolismo umano (13-16). Associati alle analisi computazionali multivariate, questi metodi forniscono informazioni approfondite dello stato di malattia e possono portare alla scoperta di biomarcatori. Questo approccio facilita la quantificazione delle influenze ambientali sul genoma dell’ospite e sulla salute. Questa strategia analitica, essendo parte di studi clinici su larga scala, è stata applicata con successo a malattie come ipertensione (17), ischemia cardiaca (18), diabete (19) e obesità (20). La metabonomica può essere difficoltosa a causa dello spazio chimico associato ai metaboliti endogeni che può risultare altamente diversificato, rendendo difficile da decifrare, nella sua interezza, un’informazione metabolica completa per ogni campione. Le tecnologie analitiche comuni usate in metabolomica e metabonomica includono la spettroscopia NMR, LC-MS e GC-MS e anche GC-TOFMS. Queste differenti tecniche analitiche hanno i loro punti di forza e di debolezza e sono spesso utilizzate in combinazione in modo da fornire dati complementari; la scelta di una particolare tecnica analitica dipende dal tipo di studio che si vuole affrontare. La tecnica NMR ha il vantaggio di essere rapida, non danneggia il campione ed è applicabile a materiale biologico intatto, ottenendo informazioni chimiche strutturali. NMR richiede una preparazione minima del campione e può essere utilizzata per indagare una miscela di diversi metaboliti in un singolo campione. Tuttavia, le strategie basate sulla MS hanno il vantaggio di godere di maggiore sensibilità, accuratezza, precisione e riproducibilità rispetto alla NMR. Inoltre, l’accoppiamento GC e TOFMS offre una serie di ulteriori vantaggi, come la riduzione del tempo di analisi e una maggiore accuratezza per quanto riguarda il processo di deconvoluzione dei picchi. iL MiCRoBioMA inTeSTinALe: dALLA CoMpoSizione ALLo STudio deLLe Funzioni e deL MeTABoLiSMo La comunità microbica intestinale include ~1014 batteri, che normalmente risiedono nel tratto gastrointestinale, un numero che supera di gran lunga quello di tutte le cellule umane presenti nel corpo. Il genoma collettivo di questi microrganismi (il microbioma) contiene milioni di geni (un numero che cresce rapidamente) rispetto ai ~20.000-25.000 geni del genoma umano. Questa “fabbrica” microbica contribuisce a un ampio numero di funzioni biochimiche e metaboliche che altrimenti il corpo umano non 642 biochimica clinica, 2014, vol. 38, n. 6 CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS potrebbe svolgere (21). Sebbene variazioni nell’alimentazione possano provocare cambiamenti nel microbiota intestinale in un breve lasso di tempo (1-4 giorni dopo il cambio di dieta), questi sono facilmente reversibili (22, 23). Nei modelli animali, il rapporto tra i phyla batterici maggiormente presenti nell’intestino, i Bacteroidetes e i Firmicutes, si altera in risposta ai cambiamenti della dieta (22, 23). L’alterazione dell’equilibrio energetico porta a un aumento di peso. Studi su modelli murini hanno dimostrato che esiste una relazione tra equilibrio energetico, dieta e composizione del microbioma intestinale. Il trapianto del microbioma intestinale da un donatore obeso si traduce in un aumento dell’adiposità nel ricevente se viene paragonato a un trapianto effettuato a partire da un donatore magro. Studi recenti suggeriscono che il microbiota intestinale influisce sull’assorbimento di nutrienti, sull’accumulo di energia e su una miriade di “pathway” metabolici umani (24). Emerge anche la possibilità che il microbiota intestinale possa svolgere un ruolo importante nella regolazione del peso ed essere parzialmente responsabile dello sviluppo dell’obesità. Una prima prova della relazione tra obesità e microbioma intestinale risale a trent’anni fa, quando è stata riscontrata un’associazione tra perdita di peso indotta chirurgicamente attraverso “bypass” gastrico, aumento di peso dovuto a lesioni del nucleo ipotalamico ventromediale e cambiamenti nell’ecologia del microbioma intestinale (25, 26). In questi primi studi erano utilizzate metodiche coltura-dipendenti, che però riuscivano a individuare solo una piccola parte dei microbi presenti nell’intestino. Negli ultimi anni, la capacità di ottenere un’immagine sempre più accurata delle comunità microbiche intestinali è migliorata grazie all’introduzione di tecniche molecolari colturaindipendenti, basate sul sequenziamento del gene del RNA ribosomale 16S. Jumpertz et al. (27) hanno misurato il bilancio energetico in 12 soggetti magri e 9 obesi che seguivano due diete differenti per contenuto calorico per brevi periodi di tempo. In questi pazienti veniva contemporaneamente monitorato il microbiota intestinale mediante uno studio di pirosequenziamento dei geni batterici del rRNA 16S presenti nelle feci e misurate le calorie ingerite ed escrete mediante calorimetria. Questo studio ha dimostrato che un alterato carico di nutrienti (alto contenuto calorico vs. basso contenuto calorico) è in grado di indurre rapidi cambiamenti nella composizione del microbiota intestinale umano e che tali cambiamenti correlano bene con la perdita calorica fecale nelle persone magre. Un aumento delle riserve energetiche di ~150 kcal è stato associato a un aumento della numerosità dei Firmicutes e una corrispondente diminuzione delle colonie di Bacteroidetes. Questi dati mettono in risalto l’esistenza di un forte legame tra composizione del microbioma intestinale e assorbimento di nutrienti nell’uomo, anche se queste risultanze dovranno essere confermate da studi più ampi. CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS Il microbioma intestinale è molto importante per il mantenimento delle funzioni gastrointestinali e immuni, nonché per la digestione di nutrienti, e ciò è stato confermato da studi su topi “germ-free” (28-30). Il microbioma intestinale svolge importanti funzioni metaboliche tra le quali possiamo annoverare il catabolismo delle tossine e dei carcinogeni introdotti con la dieta, la sintesi di micronutrienti, la fermentazione di sostanze indigeribili presenti negli alimenti e un supporto per l’assorbimento di elettroliti e minerali. Inoltre, la produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA) da parte del microbioma intestinale influenza la crescita e la differenziazione di enterociti e colonociti. Differenze nelle attività metaboliche del microbioma intestinale possono poi contribuire alla variazione nell’estrazione di calorie dalle sostanze ingerite con la dieta, dell’accumulo di calorie nel tessuto adiposo e della disponibilità energetica per la proliferazione microbica. Queste differenze nel microbioma intestinale sono anche responsabili della variazione nella capacità individuale di accumulare energia, che potrebbe spiegare alcuni aspetti dell’obesità. Differenze nella composizione del microbioma intestinale e nella sua efficienza metabolica potrebbero infine essere responsabili di una predisposizione individuale a malattie metaboliche come obesità e diabete (31). Il microbioma intestinale può influenzare l’intero metabolismo corporeo e alterare i parametri fisiologici in diversi compartimenti corporei (32). In uno studio (33), topi gnotobiotici presentavano aumentate quantità di fosfocolina e glicina nel fegato e aumentate quantità di acidi biliari nell’intestino. Il microbioma intestinale influenza anche l’omeostasi renale andando a modulare le quantità di regolatori chiave del volume cellulare come betaina e colina (33). Uno studio più recente ha mostrato differenze specifiche nel quadro degli acidi biliari presenti e ridotta diversità complessiva degli acidi biliari in ratti “germ-free” rispetto a ratti convenzionali (34). Infatti, i ratti “germ-free” presentavano aumentate concentrazioni di acidi biliari coniugati, che possono accumularsi nel fegato e cuore, rispetto ai ratti controllo. MiCRoBioMA inTeSTinALe e MeTABoLiSMo dei CARBoidRATi I carboidrati costituiscono una fonte nutrizionale importante per i mammiferi e per il loro microbioma, compreso il microbiota intestinale. I mammiferi assorbono gli zuccheri semplici, incluso il galattosio e il glucosio, nel tratto prossimale del digiuno attraverso specifici trasportatori. Gli enzimi di mammifero idrolizzano i dissaccaridi (saccarosio, lattosio, maltosio) e gli amidi nei loro monosaccaridi costituenti, ma sono limitati nell’idrolizzare altri polisaccaridi. Come conseguenza, ogni giorno una grande quantità non digerita di polisaccaridi di origine vegetale (cellulosa, xilano e pectina) e amidi parzialmente digeriti arrivano alle comunità microbiche presenti nell’intestino distale. Ospitando un microbioma metabolicamente attivo IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY capace di idrolizzare carboidrati complessi, i mammiferi hanno evitato di evolvere enzimi complessi che fossero capaci di scindere la grande varietà di polisaccaridi introdotti con la dieta. I microbi presenti nel microbioma umano, al contrario, contengono molti geni che codificano una grande quantità di enzimi attivi sui carboidrati (“carbohydrate-active”, CAzimi) (35). I CAzimi microbici, che costituiscono l’assortimento dell’ospite nel mammifero, includono le idrolasi glicosidiche, le esterasi carboidratiche, le glicosiltransferasi e le liasi polisaccaridiche (35). I microbi hanno a disposizione abbondanti fonti di carbonio facilmente fermentabile, che altrimenti andrebbero perse dall’ospite, e possono impiegare questi substrati per carboidrati complessi per sostenere le vitali e funzionalmente robuste comunità microbiche e per generare segnali bioattivi che possono influenzare il metabolismo del mammifero. I tipi batterici intestinali differiscono per la loro capacità di utilizzare i carboidrati provenienti dalla dieta o derivanti dall’ospite (componenti del muco) (23, 36). È stato dimostrato che i Bacteroidetes assimilano facilmente i carboidrati assunti con l’alimentazione, perché i batteri appartenenti a questo phylum possiedono molte vie metaboliche per utilizzare i carboidrati. In condizioni di mancanza di carboidrati, però, i batteri intestinali catabolizzano le mucine nel tratto gastrointestinale come fonte di carboidrati, compromettendo quindi potenzialmente lo strato di muco adiacente all’epitelio. Oltre ai Batteroidi, ceppi del genere Bifidobacterium contengono geni codificanti enzimi capaci di degradare i glicani, che consentono ai batteri del microbioma di acquisire nutrienti derivanti dai glicani dell’ospite (37). Oltre a saper idrolizzare l’amido, i microbi del microbioma intestinale hanno sviluppato la capacità di degradare una varietà di glicoconiugati (glicani), derivanti dall’ospite e da numerose piante, e glicosamminoglicani, inclusi cellulosa, condroitinsolfato, acido ialuronico, mucine ed eparina. Gli enzimi catabolici microbici, come le endoglicosidasi, possono agire sui substrati della dieta e rilasciare N-glicani complessi da latte umano e da altre sorgenti di latticini (38). Fluttuazioni nella dieta possono avere conseguenze funzionali per i batteri e per l’ospite, con la “cannibalizzazione” dei carboidrati dell’ospite che può portare a vantaggi, prevenzione delle malattie o a predisposizione a differenti stati di malattia. Per esempio, i bifidobatteri cresciuti sugli oligosaccaridi umani del latte stabilizzano la formazione delle giunzioni occludenti nell’epitelio e promuovono la secrezione di citochine antinfiammatorie, come l’interleuchina-10 (39). La biogeografia del microbioma potrebbe essere rilevante perché geni/”pathway” specifici, come i sistemi fosfotransferasici di trasporto dei carboidrati semplici, sono molto più abbondanti nell’intestino tenue che nel colon (40). Studiare quindi le vie metaboliche colpite da alterazioni nel microbioma intestinale (ad es., utilizzazione e immagazzinamento dei carboidrati) potrebbe portare a una maggiore comprensione del ruolo dei microbi associati all’uomo nello sviluppo di biochimica clinica, 2014, vol. 38, n. 6 643 IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY molti disordini metabolici. MiCRoBioMA inTeSTinALe e MeTABoLiSMo degLi ACidi gRASSi I batteri intestinali inclusi i probiotici producono una gamma di acidi grassi che potrebbero avere effetti benefici. I bifidobatteri intestinali producono acido linoleico coniugato (CLA), che sembra modulare la composizione degli acidi grassi nel fegato e nel tessuto adiposo in modelli murini (41). Inoltre, i batteri intestinali producono anche SCFA (ad es., acetato, butirrato, propionato) mediante la fermentazione dei carboidrati presenti nella dieta (fibre), che l’uomo non è in grado di digerire. Uno studio recente ha dimostrato che topi “germ-free” non hanno SCFA, indicando l’importanza del microbioma intestinale per la produzione di SCFA nell’intestino (42). Il tipo di SCFA dominante nell’uomo è l’acetato e questo SCFA sembra giocare un ruolo importante nella modulazione dell’attività della proteinchinasi 5’AMP-attivata e nell’infiltrazione dei macrofagi nel tessuto adiposo (43). SCFA come il propionato possono essere utilizzati per la sintesi de novo di glucosio o di lipidi e servire come fonte energetica per l’ospite. Gli SCFA potrebbero funzionare come segnali derivanti dai microbi che vanno a influenzare il metabolismo dei carboidrati e la fisiologia intestinale stimolando nel mammifero la secrezione di peptidi e fungendo da fonte di energia per le cellule dell’epitelio intestinale. Gli SCFA possono stimolare la secrezione del “glucagon-like peptide 1” (GLP-1) attraverso il recettore FFAR2 (recettore 2 per gli acidi grassi liberi) associato alla proteina G, sulla mucosa del colon (44). Stimolando la secrezione di GLP-1, gli SCFA batterici mandano un segnale che sopprime la secrezione di glucagone, induce la secrezione di insulina e promuove l’omeostasi del glucosio. È stata proposta una “pathway” enteroendocrinologica nella quale gli SCFA stimolano la secrezione del peptide YY, un ormone che viene rilasciato dalle cellule epiteliali dell’ileo e del colon in risposta all’alimentazione e che sembra sopprimere l’appetito (45). Una dieta ricca di grassi integrata con butirrato previene e fa regredire l’insulino-resistenza nei topi obesi. Al contempo, i batteri che producono butirrato e lo stesso butirrato nelle feci diminuiscono con una dieta che contiene un ridotto apporto di carboidrati specifici (46). Il propionato modula l’omeostasi energetica promuovendo l’attivazione dei neuroni del sistema nervoso simpatico mediata da GPR41 (proteina G associata al recettore 41), contrariamente ai corpi chetonici (47). L’abilità di modulare la risposta del sistema simpatico fornisce un altro meccanismo che collega il microbioma intestinale al sistema nervoso enterico, al consumo energetico e all’omeostasi metabolica. Il bypass gastrico Roux-en-Y (RYGB) è l’intervento bariatrico maggiormente utilizzato per trattare l’obesità morbosa. Prima dell’intervento, sono state osservate quantità aumentate di Bacteroidetes, ma in seguito 644 biochimica clinica, 2014, vol. 38, n. 6 CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS all’intervento si è registrata una riduzione dei Bacteroidetes e un aumento dei Proteobatteri (48). Questi cambiamenti delle popolazioni batteriche potrebbero modificare i profili metabolici e la quantità relativa dei differenti acidi grassi, inclusi gli SCFA. Questi risultati sono supportati da uno studio recente su modello animale. Ratti non obesi con RYGB presentavano una quantità minore di Firmicutes e Bacteroidetes e un aumento significativo di Proteobatteri (una concentrazione 52 volte maggiore) rispetto ai ratti di controllo (49). L’obesità è uno stato proinfiammatorio. È stato dimostrato che l’abbondanza di Faecalibacterium prausnitzii che produce butirrato è associata negativamente con i biomarcatori dell’infiammazione prima e dopo RYGB, indicando che questa specie batterica potrebbe contribuire al mantenimento dello stato di salute intestinale (48). Quindi, gli interventi chirurgici sul tratto gastrointestinale potrebbero avere effetti marcati sulla composizione del microbioma intestinale, sulla produzione di SCFA e sul sistema immunitario di mammifero. Uno studio recente ha dimostrato che la somministrazione a livelli sotto-terapeutici di antibiotici altera la popolazione del microbioma intestinale, come anche la sua capacità metabolica (50). In questo studio, i ricercatori hanno somministrato dosi sottoterapeutiche di antibiotici a topi giovani, causando un aumento dell’adiposità e dei livelli di incretina GIP-1. Inoltre, i ricercatori hanno osservato cambiamenti sostanziali nella tassonomia del microbioma (aumento di Lachnospiraceae e Firmicutes e diminuzione di Bacteroidetes), cambiamenti in geni chiave coinvolti nel metabolismo dei carboidrati per la produzione di SCFA (aumentati livelli di acetato, propionato e butirrato), aumento dei livelli di SCFA nel colon e alterazioni nella regolazione del metabolismo epatico di lipidi e colesterolo. Quindi, la modulazione dell’omeostasi metabolica nei topi può essere ottenuta alterando il microbioma intestinale attraverso trattamenti antibiotici. MiCRoBioMA inTeSTinALe e MeTABoLiSMo degLi AMMinoACidi Alcuni batteri benefici come i bifidobatteri e i lattobacilli producono composti biologicamente attivi derivati dagli amminoacidi, incluse numerose ammine biogeniche. I componenti della dieta includono proteine e peptidi che possono essere idrolizzati in amminoacidi da proteinasi e peptidasi presenti nel lume. Gli amminoacidi che derivano da proteine introdotte con la dieta possono essere utilizzati come substrati per la bioconversione effettuata dal microbioma intestinale nel lume. Diversi enzimi microbici possono contribuire al metabolismo amminoacidico del mammifero producendo metaboliti bioattivi nell’intestino. Una classe di tali enzimi, le decarbossilasi amminoacidiche, rappresentano gli enzimi prevalenti nel microbioma intestinale e questi enzimi microbici, quando combinati con il sistema di trasporto degli amminoacidi, connettono i composti della dieta con il metabolismo microbico e con CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS il “signaling” della mucosa intestinale (Figura 2). La combinazione delle strategie di metabolomica, incluse MS, HPLC e NMR, stanno portando all’identificazione di metaboliti e piccoli composti derivanti dal microbioma umano. Con l’utilizzo della cromatografia liquida per interazioni idrofiliche (HILICHPLC) sono state isolate dai microorganismi del microbioma intestinale svariate molecole bioattive con proprietà anti-infiammatorie e inibenti il fattore di necrosi tumorale (TNF). Alcune frazioni HILIC-HPLC sono state analizzate mediante MS e NMR. Uno di questi segnali microbici, un’ammina biogenica, l’istamina, è stato identificato e quantificato in frazioni HILIC-HPLC TNFinibitorie derivanti da Lactobacillus reuteri trovato nel latte materno e nell’intestino (51). L’istamina è prodotta a partire da L-istidina da parte dell’istidina decarbossilasi, che è presente in alcuni batteri fermentanti incluso il lattobacillo probiotico. Uno dei costituenti il microbioma intestinale, L. reuteri, è capace di convertire la L-istidina, componente della dieta, in un segnale immunoregolatorio, l’istamina, che sopprime la produzione del fattore proinfiammatorio TNF attraverso i recettori di tipo 2 per l’istamina presenti nell’epitelio intestinale. Altri esempi del metabolismo amminoacidico facilitato dai microbi includono la generazione dell’acido γ-ammino butirrico (GABA) a partire da glutammato da parte della glutammato decarbossilasi (52) e la produzione di putrescina da ornitina. L’identificazione di questi metaboliti batterici bioattivi e dei loro corrispettivi meccanismi di azione, tenendo in considerazione la risposta immunomodulatoria, può migliorare le strategie antiinfiammatorie per le malattie croniche immunomediate. Tali metaboliti amminoacidici antiinfiammatori potrebbero anche migliorare il processo patologico nell’obesità e nel diabete. Figura 2. La flora microbica intestinale può giocare un ruolo importante nelle interazioni ospite-microbiota attraverso la conversione luminale. I nutrienti consumati dall’ospite possono essere convertiti dai microrganismi intestinali in una serie di composti bioattivi che possono influenzare lo stato di salute o di malattia dell’ospite e anche del microbiota intestinale. SCFA, acidi grassi a catena corta. Riprodotta con permesso da rif. 78. IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY MiCRoBioMA inTeSTinALe e MeTABoLiSMo CoRpoReo: oBeSiTà e inFiAMMAzione L’incidenza di sovrappeso e obesità ha raggiunto proporzioni epidemiche. I dati riportati da “Centers of Disease Control” (CDC) e “National Health and Nutrition Examination Survey” indicano che, nel 2008, 1,5 miliardi di adulti erano in sovrappeso e che oltre 200 milioni di uomini e ~300 milioni di donne erano obese. In generale, l’obesità nel mondo si è più che duplicata negli ultimi 20 anni, associata a un insieme di malattie metaboliche e sistemiche come l’insulinoresistenza, il diabete di tipo 2, la steatosi epatica, l’aterosclerosi e l’ipertensione. La causa maggiore di obesità è un bilancio energetico positivo che deriva da un aumento dell’entrata di calorie con l’alimentazione e una diminuzione del dispendio di energia associata a una scarsa attività fisica. Non solo lo squilibrio alimentare e la riduzione dell’attività fisica portano allo sviluppo dell’obesità, ma anche alcuni tratti ereditari possono contribuire al suo sviluppo, provocando differenze nell’accumulo e nel dispendio di energia. Inoltre, sempre più prove suggeriscono che il microbioma intestinale contribuisca significativamente alla risposta dell’ospite ai nutrienti. Lo studio condotto da Turnbaugh et al. (53) è stato uno dei primi a dimostrare come il contenuto genico del microbiota potesse contribuire all’obesità. In tale lavoro sono stati messi a confronto i microbiomi ottenuti dall’intestino distale di topi obesi leptina-deficienti (ob/ob) e delle loro controparti magre (ob/+ e +/+). I ricercatori hanno riportato che il microbiota presente nei topi ob/ob conteneva geni che codificano per enzimi che idrolizzano i polisaccaridi non digeribili introdotti con la dieta. Infatti, nelle feci dei topi obesi si è trovato un aumento dei prodotti finali di fermentazione (come acetato e butirrato) e una diminuzione di calorie. Questi dati suggerivano che il microbiota intestinale in questi modelli murini promuove l’estrazione di calorie addizionali dalla dieta. La composizione del microbioma intestinale sembra essere importante per la regolazione del peso corporeo (54). Per dimostrare ciò, i ricercatori hanno condotto esperimenti in cui hanno trapiantato il microbiota intestinale, sia di topi ob/ob che di topi magri, in topi magri gnotobiotici. Dopo due settimane, i topi che avevano ricevuto il microbiota dai topi ob/ob erano capaci di estrarre più calorie dai cibi e mostravano anche una quantità significativamente maggiore di grasso rispetto ai topi che avevano ricevuto il microbiota dai topi magri. Quindi, le differenze nell’estrazione di calorie da sostanze ingerite con il cibo possono essere largamente dipendenti dalla composizione del microbiota intestinale. Questi dati supportano un ruolo fondamentale del microbiota intestinale nella patogenesi dell’obesità e delle malattie associate all’obesità. La manipolazione del microbiota intestinale può rappresentare un’importante strategia terapeutica per regolare il bilancio energetico in individui obesi, diabetici o con diagnosi di sindrome metabolica. In topi geneticamente obesi ob/ob e nelle loro controparti biochimica clinica, 2014, vol. 38, n. 6 645 IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY magre, nutriti con una medesima dieta ricca di polisaccaridi, Ley et al. (54) hanno analizzato il gene che codifica per rRNA 16S del microbiota del cieco e visto che i topi obesi ob/ob hanno meno del 50% di Bacteroidetes e più Firmicutes rispetto ai topi magri, e questa differenza non sembrava essere dovuta al consumo di cibo. Backhed et al. (55) hanno confermato questi dati e trovato che i topi giovani, cresciuti in maniera tradizionale, avevano un contenuto di grasso corporeo maggiore del 40% e un contenuto di grasso gonadico superiore del 47% rispetto ai topi “germ-free”, sebbene il loro consumo di cibo fosse inferiore a quello dei topi “germ-free”. Quando il microbiota intestinale distale da topi giovani, allevati in maniera tradizionale, era trapiantato in topi gnotobiotici si osservava dopo due settimane un aumento del 60% del grasso corporeo, senza che aumentasse il consumo di cibo o il dispendio di energia. Questo aumento di grasso corporeo era accompagnato da un aumento dell’insulino-resistenza, dell’ipertrofia adipocitaria e delle concentrazioni di leptina e glucosio circolanti. Studi mecanistici hanno dimostrato che il microbiota promuove l’assorbimento dei monosaccaridi dall’intestino e induce la lipogenesi epatica nell’ospite. Queste risposte sono prevalentemente mediate dall’up-regolazione di due proteine segnale, ChREBP (“carbohydrate response element-binding protein”) e SREBP-1 epatica (“sterol response element-binding protein type-1”). Inoltre, in topi geneticamente modificati “knockout” per il fattore adipocitario indotto a digiuno [“fasting-induced adipocyte factor” (Fiaf)] si è visto che i microbi intestinali sopprimono il Fiaf intestinale (56). Diverse ricerche hanno enfatizzato il ruolo fondamentale dell’infiammazione nei processi metabolici che portano a sindrome metabolica, obesità e diabete. Cani et al. (57-59) hanno postulato un altro meccanismo che collega il microbiota intestinale allo sviluppo dell’obesità. Gli autori hanno ipotizzato che i lipopolisaccaridi (LPS) batterici derivati dai batteri Gram negativi presenti nel microbiota intestinale possano portare a un aumento dell’infiammazione, come osservato nella sindrome metabolica indotta da una dieta ricca di grassi. Attraverso una serie di esperimenti effettuati su topi sottoposti a una dieta ad alto contenuto di grassi, i ricercatori hanno dimostrato un’endotossiemia pronunciata, associata a una riduzione sia dei Gram negativi (Bacteroides-correlati) sia dei Gram positivi (Eubacterium rectale - Clostridium coccoides e bifidobatteri), e un aumento del rapporto tra batteri da Gram negativi e Gram positivi. Gli autori di questo studio hanno quindi suggerito che l’endotossiemia metabolica cronica possa indurre obesità, insulinoresistenza e diabete. In una serie di esperimenti sull’uomo, Ley et al. (60) e Ravussin et al. (61) hanno monitorato il microbiota fecale in 12 individui obesi che hanno partecipato a un programma di perdita di peso della durata di un anno, seguendo un regime dietetico a basso contenuto calorico, con restrizione di grassi o di carboidrati. In 646 biochimica clinica, 2014, vol. 38, n. 6 CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS modo analogo a ciò che avviene nei topi, è stata osservata una relativa abbondanza di microbi appartenenti ai phyla Bacteroidetes e Firmicutes e il microbiota mostrava una significativa stabilità intraindividuale nel tempo. Prima di iniziare la dieta a basso contenuto calorico, era stata osservata una relativa abbondanza di Firmicutes e una diminuzione dei Bacteroidetes nei partecipanti obesi se paragonati ai controlli non obesi. Dopo la perdita di peso è stato osservato un aumento dei Bacteroidetes (da 3% a 15%) e una diminuzione dei Firmicutes e tali cambiamenti erano in relazione alla percentuale di perdita di peso e non ai cambiamenti nel contenuto calorico della dieta. Questi studi sull’uomo hanno quindi confermato gli studi sui modelli animali, suggerendo che l’alterazione della composizione microbica intestinale possa essere associata all’obesità. Tuttavia, la precisa relazione tra causa ed effetto, che lega l’obesità ai cambiamenti della flora intestinale, è ancora da chiarire. Kalliomäki et al., in uno studio prospettico effettuato su bambini dalla nascita a 7 anni di età (62), hanno raccolto campioni fecali a 6 e 12 mesi. Questo studio ha documentato un’abbondanza del Bifidobacterium e una diminuita proporzione di Staphylococcus aureus nei bambini che avevano un peso corporeo entro gli intervalli di riferimento a 7 anni di età rispetto a quelli sovrappeso o obesi. Sebbene non siano stati analizzati fattori come dieta e attività fisica, questo studio ha suggerito che le differenze nella composizione del microbiota intestinale precedono le condizioni di sovrappeso e obesità. È stato anche dimostrato che gli antibiotici agiscono ampiamente sulla composizione microbica intestinale. Una somministrazione per 5 giorni di ciproflaxacina per os diminuisce in modo significativo la diversità della comunità microbica fecale (63). In questo studio, sebbene la maggior parte delle comunità microbiche siano rimaste vitali entro 4 settimane dalla somministrazione di ciprofloxacina, alcuni generi non sono più ricomparsi dopo il trattamento antibiotico per almeno 6 mesi (63). MiCRoBioMA inTeSTinALe e MeTABoLiSMo: diABeTe e SindRoMe MeTABoLiCA I recettori “toll like” (TLR) sono un gruppo di recettori di riconoscimento importanti nella mediazione dell’infiammazione e dell’immunità. Pazienti obesi, con diabete o sindrome metabolica presentano un aumento dei TLR sulla superficie cellulare (63). Recentemente, alcuni autori hanno studiato il ruolo del microbioma intestinale nella regolazione dell’insulinoresistenza mediata dai recettori TLR. I topi che non hanno un “pattern” di ricognizione recettoriale microbico TLR5 mostrano iperfagia, diventano obesi e sviluppano segni di sindrome metabolica, incluse ipertensione, ipercolesterolemia e insulinoresistenza secondaria ad alterata regolazione del “signaling” dell’interleuchina-1β (43). Quando i microbi intestinali di questi topi vengono trapiantati in topi “germ-free” con il gene per il recettore “toll like” 5 (TLR5) intatto, i topi riceventi sviluppano CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS segni di sindrome metabolica, suggerendo che il microbioma intestinale possa essere determinante della malattia. In un altro studio, è stato visto che topi senza TLR2 sviluppano obesità, insulinoresistenza e intolleranza al glucosio, e che il microbioma intestinale di questi topi ha grande abbondanza di Firmicutes e meno Actinobatteri del genere Bifidobacterium (64). La somministrazione di una miscela di antibiotici elimina la maggior parte dei Firmicutes migliorando l’attività insulinica e la tolleranza al glucosio. Oltre a migliorare attività insulinica e tolleranza al glucosio, bassi livelli di Bifidobacterium contribuiscono ad aumentare la permeabilità intestinale e questo potrebbe causare un aumento della concentrazione di endotossine circolanti, come i LPS. Il sistema immunitario riconosce LPS come componenti microbiche e attiva il “signaling” TLR scatenando l’infiammazione. Sia obesità che infiammazione tendono a causare diabete, e quindi la perdita di TLR2 in questi topi, modificando la composizione dei loro batteri intestinali, si traduce in un aumentato rischio di sviluppare diabete mellito. Un aumento delle quantità di TLR2 è stato osservato nei monociti di pazienti con sindrome metabolica e con diabete di tipo 1 e tipo 2 rispetto ai controlli (65-72). L’assenza di TLR2 in topi diabetici porta a una diminuzione delle complicanze diabetiche come la nefropatia (68). Probabilmente, il microbioma intestinale gioca un ruolo fondamentale nella regolazione delle vasculopatie diabetiche e questa sarà un’importante area per studi futuri. Tenendo in considerazione il ruolo svolto dal microbioma nella sindrome metabolica e nelle anomalie associate, studi effettuati su topi “germ-free” hanno dimostrato che quando questi topi sono sottoposti a una dieta occidentale ricca di grassi, sono protetti da obesità, insulinoresistenza, dislipidemia e steatosi epatica (69). Al contrario, in seguito alla colonizzazione con il microbiota proveniente da topi allevati in maniera tradizionale, si assiste a un aumento del 60% in 14 giorni del contenuto di grasso corporeo nei topi originariamente “germ-free”. Questo dato è stato associato a un aumento dell’insulinoresistenza, nonostante il consumo di cibo fosse ridotto. La sindrome metabolica colpisce un americano su tre e porta a un aumento della propensione a sviluppare diabete e malattie cardiovascolari (70). In un unico studio condotto sull’uomo, in pazienti con sindrome metabolica, Zupancic et al. (71) hanno valutato un gruppo di uomini e donne Amish con diversi indici di massa corporea. In 310 partecipanti allo studio è stato analizzato il microbiota intestinale mediante pirosequenziamento profondo di prodotti di “polymerase chain reaction” (PCR) dalle regioni V1-V3 del gene che codifica per rRNA 16S. Questa analisi ha portato all’identificazione di tre comunità batteriche interagenti all’interno del microbiota intestinale, analoghe agli enterotipi intestinali precedentemente identificati. L’analisi dei “network” identificava 22 specie di batteri e 4 unità tassonomiche operazionali, correlate sia positivamente sia inversamente a segni di sindrome metabolica, IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY suggerendo la possibilità che alcuni membri del microbiota intestinale contribuiscano allo sviluppo di tale sindrome. È importante che gli studi futuri si concentrino sul definire quelle componenti specifiche del microbioma intestinale che contribuiscono allo sviluppo di obesità viscerale, iperglicemia, dislipidemia, ipertensione e insulinoresistenza in questa patologia (71). La steatosi epatica non alcolica rappresenta la manifestazione epatica della sindrome metabolica ed è la causa preminente dell’epatopatia cronica nel mondo occidentale. Utilizzando diversi modelli murini privi di inflammasoma, come topi che non hanno Asc (“apoptosis-associated speck-like protein containing a caspase recruitment domain”), NLRP3 (“nucleotidebinding domain, leucine rich family, pyrin containing 3”), caspasi o interleuchina 18, gli autori hanno dimostrato un’alterazione significativa del microbiota intestinale, come evidenziato dall’aumento di Bacteroidetes e dalla diminuzione di Firmicutes in questi modelli murini. Sono state osservate una steatosi epatica e un’infiammazione più severe, come evidenziato dall’aumento dei TLR (soprattutto TLR4 e 9) e dalla secrezione di TNF-α epatico. Da sottolineare che gli autori hanno speculato che l’aumento della steatosi epatica fosse dovuto alla produzione di batteri intestinali, che agirebbero come agonisti per TLR4 e 9 ed entrerebbero nel fegato attraverso la circolazione portale (72). Inoltre, si è visto che questi cambiamenti patologici esasperano steatosi epatica e obesità (72) e che quindi l’alterazione delle interazioni tra microbiota intestinale e ospite, dovuta a un difetto della sensibilità dell’inflammasoma, potrebbe controllare la progressione delle molteplici anomalie associate alla sindrome metabolica. I microbiomi intestinali sono anche stati studiati in relazione all’insulinoresistenza in pazienti con diabete di tipo 2. Utilizzando la tecnica di sequenziamento “deep tag-encoded”, Larsen et al. hanno visto che in adulti con diabete di tipo 2 c’è una significativa riduzione di Firmicutes e Clostridia (73). Inoltre, i rapporti tra Bacteroidetes e Firmicutes e Bacteroideti-Prevotella e C. coccidi-Eubacterium rectale erano correlati a un aumento della glicemia a digiuno in questi pazienti. In questo studio, Larsen et al. hanno dimostrato che, insieme alla diminuzione dei Firmicutes, aumentano in modo significativo i livelli di Bacteroidetes nei pazienti diabetici, quando confrontati ai controlli non diabetici, e che la loro abbondanza correla significativamente con le concentrazioni di glucosio plasmatiche (r=0,46, P <0,05) (73). Questi dati sono molto interessanti e spingono a chiedersi come la composizione microbica e i rispettivi metaboliti possano influenzare il metabolismo dell’intero organismo umano e contribuire all’insulinoresistenza e al diabete. È molto interessante il fatto che il microbioma intestinale possa regolare anche il diabete di tipo 1. Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune, caratterizzata da uno stato di insulinopenia causato dalla distruzione specifica delle β cellule del pancreas endocrino deputate alla secrezione di insulina. Il diabete di tipo 1 predispone anche allo sviluppo di complicanze biochimica clinica, 2014, vol. 38, n. 6 647 CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY microvascolari e macrovascolari. Sono emersi dati sul ruolo critico svolto dal microbiota gastrointestinale nella protezione o nello sviluppo del diabete di tipo 1 (74). In due modelli di diabete, il topo NOD (diabetico non obeso) e il ratto “biobreeding” (BB), l’incidenza del diabete di tipo 1 spontaneo può essere influenzata sia dall’ambiente microbico nello stabulario o dall’esposizione a stimoli microbici (75). Inoltre, l’identificazione di determinanti batterici presenti nel microbiota intestinale può favorire lo sviluppo di diabete di tipo 1. I TLR sono recettori del “pattern” di riconoscimento dell’immunità innata, coinvolti nella difesa dell’ospite e nel mantenimento dell’integrità tissutale. Il “signaling” dei TLR è mediato dalla proteina adattatrice MyD88, e la delezione di MyD88 protegge dall’ateroscleresi. I topi che non hanno MyD88 sono protetti dall’insulite (74) e questo fenomeno dipende dai microbi commensali perché i topi “germ-free” e “knockout” per MyD88 sviluppano un tipo di diabete permanente. Nei ratti BB (un modello di diabete di tipo 1), le specie di Lactobacillus presenti nelle feci (L. johnsonii e L. reuteri) sono correlate negativamente allo sviluppo di diabete di tipo 1 (76), forse attraverso la modulazione delle proteine della mucosa intestinale e attraverso la risposta allo stress ossidativo con produzione di basse quantità di citochine proinfiammatorie, come l’interferone γ. Quindi, la modulazione terapeutica che mira ad alterare il microbioma intestinale potrebbe beneficamente ritardare lo sviluppo del diabete. Alterazioni nel microbioma intestinale possono anche contribuire allo sviluppo di malattie autoimmuni come il diabete di tipo 1. Sono stati ottenuti dei campioni fecali da 4 coppie di partecipanti, appaiate in uno studio caso-controllo (77). Sono state analizzate più di 30 miliardi di basi nucleotidiche da dati metagenomici ottenuti con Illumina e i risultati hanno mostrato un significativo aumento delle vie metaboliche e dei moduli coinvolti nel metabolismo dei carboidrati e nella risposta allo stress, nei casi rispetto ai controlli. Altre differenze che sono state riscontrate includevano la quantità relativa di geni coinvolti nell’adesione, nella motilità e nel metabolismo dello zolfo, molto più abbondanti nei casi, mentre i geni coinvolti nel metabolismo del DNA e delle proteine, nella sintesi degli amminoacidi e nella respirazione aerobica erano molto più abbondanti nei soggetti controllo. I dati del rRNA 16S sono stati utilizzati per avere indicazioni sui cambiamenti della composizione microbica. A livello di phylum, le quantità di Actinobacteria, Bacteroidetes e Proteobacteria erano significativamente aumentate nei casi, mentre Firmicutes, Fusobacteria, Tenericutes e Verrucomicrobia erano alti nei controlli (P <0,001). A livello di genere, la quantità di Bacteroides era molto maggiore nei casi, mentre Prevotella era molto più abbondante nei controlli. Inoltre, il numero totale di batteri che producono acido lattico e butirrato era maggiore nei controlli rispetto ai casi. Quindi, questi dati suggeriscono che i batteri che producono lattato e butirrato possono avere effetti benefici e mantenere in salute l’intestino, e che il turbamento degli equilibri tra tali 648 biochimica clinica, 2014, vol. 38, n. 6 batteri può portare alla riduzione della sintesi ottimale di mucina, come riscontrato in individui con malattie autoimmuni, e contribuire allo sviluppo del diabete di tipo 1. Questi risultati entusiasmanti necessitano comunque di ulteriori conferme in studi su popolazioni più numerose. In conclusione, studi clinici randomizzati dovranno aiutare a definire le caratteristiche del microbioma intestinale che contribuiscono allo sviluppo dell’obesità e del diabete in determinate popolazioni. Inoltre, studi mecanistici del microbioma umano potrebbero portare a importanti ricadute terapeutiche. Ancora, gli avanzamenti delle tecnologie per lo studio delle malattie metaboliche, come il sequenziamento del rRNA 16S, la metagenomica WG e la metabolomica, potranno aiutare i ricercatori a estrarre molti dati utili alla caratterizzazione delle malattie. Le risorse bioinformatiche e i grandi “database”, come quelli derivanti dal Progetto Microbioma Umano, porteranno a una maggiore comprensione dell’importanza e del ruolo del microbioma intestinale nello sviluppo di malattie metaboliche come obesità, sindrome metabolica e diabete, con sviluppo di strategie terapeutiche per ridurre l’impatto delle malattie cardiometaboliche nella popolazione. gLoSSARio “germ-free” – Animali senza microorganismi che vivono dentro o sopra di loro. Sono generalmente utilizzati nelle ricerche di tipo probiotico, nelle quali è richiesto un controllo rigoroso dei possibili contaminanti esterni. gnotobiotico (“gnotobiotic”) – Il termine fa riferimento ad animali con microbiota noto, che sono derivati da animali senza microorganismi. Tali animali sono utilizzati per studiare le funzioni del microbiota normale. inflammasoma (“inflammasome”) – Uno di un gruppo di complessi multiproteici citosolici (NALP1, NALP2/3) che mediano una risposta proinfiammatoria attraverso l’attivazione dell’interleuchina-1β e dell’interleuchina 18. Come i recettori “toll-like”, si ritiene che gli inflammasomi riconoscano specifici modelli molecolari associati ai patogeni. Meccanistico (“Mechanistic”) – Fondato sul meccanicismo. In generale, concezione di tipo materialistico che tende a spiegare le proprietà degli oggetti e dei processi del mondo fisico in termini esclusivamente meccanici, cioè sulla base di concetti connessi con la materia e il movimento. Metabonomica (“Metabonomics”) – Può essere definita come una determinazione sistematica, completa e simultanea delle concentrazioni di metaboliti presenti in un organismo e della loro variazione temporale, come conseguenza di stimoli, quali modifiche genetiche o fisiologiche, che possono provenire da diverse fonti: dieta, stile di vita, stato dell'ambiente, assunzione di farmaci. Principalmente è basata sullo studio di biofluidi e tessuti. La definizione di metabonomica fa riferimento IL MEGLIO DI CLINICAL CHEMISTRY CLINICAL CHEMISTRY HIGHLIGHTS non solo a tecniche analitiche specifiche, quali la MS o la spettroscopia NMR, ma anche all'impiego di metodologie multivariate di analisi dei dati (chemiometria). 19. ConFLiTTo di inTeReSSi 20. Nessuno. BiBLiogRAFiA 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. Cowie CC, Rust KF, Ford ES, et al. Full accounting of diabetes and pre-diabetes in the U.S. population in 19881994 and 2005-2006. Diabetes Care 2009;32:287–94. 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