Articolo Originale/Original Article HIV, persistenza, HIV Persistence, reservoirs, Reservoirs, eradicazione, inclusa Eradication, including la terapia genica Gene Therapy Carlo Federico Perno, Maria Mercedes Santoro Università Tor Vergata - Roma [email protected] Riassunto Abstract L’attuale terapia antiretrovirale (ART) è in grado di sopprimere con successo la replicazione del virus dell’immunodeficienza acquisita umana (HIV) in un elevato numero di pazienti affetti da tale virus, bloccando l’altrimenti inevitabile progressione della malattia. Tuttavia la ART non è curativa, e non può prevenire il danno infiammatorio causato da HIV. Inoltre, i farmaci ad oggi disponibili non sono in grado di eradicare il virus. Il primo ostacolo all’eradicazione dell’HIV è la sua capacità di rimanere integrato per anni nel DNA dei linfociti CD4 resting. La latenza virale e l’attivazione occasionale di tali CD4 infetti e quiescenti sono tra le principali cause della viremia residua, ossia di quel bassissimo livello di HIV che persiste in tutti gli individui anche se completamente responsivi alla ART. Un’evidenza che il reservoir persista nel tempo è fornita dal fatto che la viremia residua non si abbatte neppure intensificando la ART con farmaci potenti. Inoltre tale reservoir ha anche la capacità di espandersi rapidamente dopo sospensione della terapia stessa, come dimostrano la costante e rapida risalita dell’HIV-RNA all’interruzione dell’ART. L’esistenza di tale reservoir di HIV capace di produrre infezioni virali che ristabiliscono l’infezione attiva nel momento in cui i farmaci antivirali non sono più presenti nel corpo, evidenzia l’importanza di sviluppare strategie di cura. Possibili nuovi approcci mirati alla viremia residua e alla riduzione del reservoir al di sotto di una soglia clinicamente rilevante sono stati messi in evidenza in occasione dell’annuale Conferenza sui retrovirus e sulle infezioni opportunistiche (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, CROI) tenutasi a Current antiretroviral therapy (ART) successfully suppresses the replication of acquired human immunodeficiency virus (HIV) in a large number of infected patients, blocking an inevitable progression to full-blown AIDS. However, ART is not curative and does not prevent the inflammatory damage caused by HIV. In addition, the drugs available today are unable to eradicate the virus. The first obstacle to completely eliminating HIV is its ability to remain for years in the DNA of ‘resting’ CD4 lymphocytes. Viral latency and occasional activation of these infected yet quiescent CD4 cells are the main causes of residual viremia, i.e., the very low HIV titers persisting in all individuals even if fully responsive to ART. That the reservoir persists in time is shown by the fact that residual viremia is not lowered or wiped out even with more intensive ART treatment using more powerful drugs. Moreover the reservoir is susceptible of rapid expansion if therapy is withdrawn, as is shown by the prompt, steady rise of HIVRNA once ART is stopped. The existence of HIV reservoirs triggering active infection as soon as antiviral drugs are no longer present in the body underlines the importance of developing curative strategies. Possible new approaches targeting residual viremia and reducing the viral reservoir below the threshold of clinical relevance were presented at the annual Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections Seattle (USA) nel febbraio 2015. Parole chiave: reservoir, HIV-DNA, persistenza di HIV L’utilizzo della terapia antiretrovirale combinata (Highly Active Antiretroviral Therapy, HAART) nell’ultimo ventennio ha determinato un forte progresso nel trattamento dell’infezione del virus dell’immunodeficienza acquisita umana (HIV), con una forte riduzione delle mortalità e della morbilità negli individui affetti da tale virus [1]. L’attuale terapia antiretrovirale (ART) inibisce la replicazione di HIV e ridu- 38 (CROI) held in Seattle (USA) in February 2015. Key words: reservoir, HIV-DNA, HIV persistence In the last 20 years combination antiretroviral therapy (Highly Active Antiretroviral Therapy, HAART) has allowed great progress in the treatment of infection by the virus causing acquired immunodeficiency syndrome (HIV), with a sharp fall in both the mortality and morbidity of infected subjects [1]. Current antiretroviral therapy (ART) inhibits HIV replication and significantly reduces plasma viral concentrations below the detection threshold of available assays. Today ART is successful in a high percentage (approximately 90%) of treated patients. However, although current ART treatment is able to suppress HIV CURE ~ 2015 Articolo Originale/Original Article ce significativamente la concentrazione virale nel plasma al di sotto della soglia di non rilevabilità dei saggi disponibili per la quantificazione del virus. Oggi la ART funziona con successo in un elevata percentuale di pazienti trattati (circa il 90%). Tuttavia, sebbene l’attuale ART sia in grado di sopprimere la replicazione di HIV e bloccare l’altrimenti inevitabile progressione in AIDS, essa non è curativa, e non può prevenire il danno infiammatorio causato da HIV. A tal riguardo, il lavoro presentato da Netanya S. Utay e colleghi in occasione dell’annuale Conferenza sui retrovirus e sulle infezioni opportunistiche (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, CROI) tenutasi a Seattle (USA) nel febbraio 2015, ha evidenziato che in individui in infezione acuta da HIV-1 l’infiammazione, la traslocazione microbica e la fibrosi rimangono elevate, nonostante un inizio precoce della ART [2]. Inoltre, nonostante il profondo effetto antivirale della ART, i farmaci attualmente disponibili non sono in grado di eradicare il virus. Il primo ostacolo all’eradicazione dell’HIV è la sua capacità di rimanere integrato per anni nel DNA dei linfociti CD4 definiti resting, in quanto si trovano in uno stato di quiescienza e inattività. Diversi stimoli possono tuttavia di tanto in tanto “risvegliare” queste cellule, che iniziano a produrre proteine virali, e quindi permettono al sistema immunitario di riconoscerle come estranee e di innescare i meccanismi che porteranno alla loro distruzione. Questo serbatoio virale è piccolo, ma le sue reali dimensioni non sono note, data la difficoltà nel misurarlo. Le conoscenze acquisite fino ad oggi portano a concludere che sarebbero necessari oltre 73 anni di HAART per “ripulire” questo deposito, ma probabilmente si tratta di una sottostima [3], facendo pensare che l’obiettivo eradicazione completa rimanga pressoché’ irraggiungibile. La latenza virale e l’attivazione occasionale dei CD4 infetti e quiescenti sono tra le principali cause della viremia residua, ossia di quel bassissimo livello di HIV che persiste in tutti gli individui anche se completamente responsivi alla ART. Un’evidenza che il reservoir persista nel tempo è fornita dal fatto che la viremia residua non si abbatte neppure intensificando la ART con farmaci potenti. Inoltre tale reservoir ha anche la capacità di espandersi rapidamente dopo sospensione della terapia stessa, come dimostrano la costante e rapida risalita dell’HIV-RNA all’interruzione dell’ART e il fallimento di tutti gli studi che, con schemi e disegni diversi, hanno verificato la possibilità di interrompere la ART per periodi più o meno brevi. L’esistenza di reservoir di HIV capaci di produrre infezioni virali che ristabiliscono l’infezione attiva nel momento in cui i farmaci antivirali non sono più presenti nel corpo, evidenzia l’importanza di sviluppare strategie di cura. Il lavoro mostrato da Jonathan Li e colleghi al CROI 2015 ha messo in evidenza CURE ~ 2015 replication and block the otherwise inevitable progression to full-blown AIDS, it is not curative and does not prevent the inflammatory damage caused by HIV. To this regard, the study presented by Netanya S. Utay and co-workers at the annual Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections (CROI), held in Seattle (USA) in February 2015, found that individuals with acute HIV-1 have persistently high inflammation, microbial translocation and fibrosis despite the early initiation of ART [2]. Furthermore, despite ART’s far-reaching antiviral effect, the drugs currently available are unable to eradicate the virus. The first obstacle to eradicating HIV lies in its ability to remain in the DNA of so-called ‘resting’ or quiescent, inactive CD4 lymphocytes. These cells can on occasion, however, be ‘re-awakened’ by a series of different stimuli, at which they begin producing viral proteins, thereby allowing the immune system to recognize them as foreign bodies and trigger defense mechanisms leading to their destruction. Although small, the actual size of this latent reservoir is not known, quantification being a problem. On the basis of current understanding though, it has been estimated that it would take more than 73 years of HAART to ‘clean up’ this reservoir. This is probably an underestimation [3], with the result that complete viral eradication is most likely an unattainable goal. Viral latency and the occasional activation of infected quiescent CD4 cells are among the main causes of residual viremia, i.e. the very low HIV titers persisting in all individuals even if fully responsive to ART. That the reservoir persists in time is shown by the fact that residual viremia is not lowered or wiped out even with more intensive ART treatment using more powerful drugs. Moreover, the reservoir can expand rapidly on treatment withdrawal, as has been shown by the constant and rapid HIV-RNA increases witnessed on the interruption of ART, as well as by the failure of all studies, whatever their design or treatment approach, attempting to withdraw ART for even short periods. The existence of HIV reservoirs triggering active infection as soon as antiviral drugs are no longer present in the body underlines the importance of developing curative strategies. The study presented by Jonathan Li and co-workers at CROI 2015 evidenced that the higher the cell-associated HIV-1 RNA and residual viremia values at the time of ART interruption, the shorter the time to virologic rebound [4]. These findings suggest that cell-associated HIV-1 RNA and residual viremia could be used as biomarkers to assess the efficacy of therapies aiming to achieve sustained HIV remission in the absence of ART. Again at CROI 2015, John Frater and co-workers presented their study along the same lines in which they looked at 47 individuals enrolled in the 39 Articolo Originale/Original Article che una più alta concentrazione cellulare di HIV-1 RNA e più alti valori di viremia residua al tempo dell’interruzione della ART sono associati in maniera significativa ad un tempo più breve di rialzo virologico [4]. Tali risultati suggeriscono che l’HIV-1 RNA cellulare e la viremia residua possono essere utilizzati come biomarcatori utili per la valutazione dell’efficacia di terapie mirate al raggiungimento di una sostenuta remissione di HIV in assenza di ART. Sulla stessa linea, sempre al CROI 2015, John Frater e colleghi, tramite una analisi di 47 individui in interruzione terapeutica arruolati allo studio SPARTAC, hanno mostrato che l’espressione delle molecole regolatrici PD-1, Lag3 e Tim-3 e la quantità totale di HIV-1 DNA possono aiutare a predire il tempo di rialzo viremico in pazienti in interruzione terapeutica [5]. Possiamo affermare che con il CROI2015 è migliorata la conoscenza sull’origine della viremia residua e sulla natura e sulle dimensioni dei reservoir di HIV? Con il CROI 2015 è stato chiarito il ruolo della ART nella riduzione delle dimensioni dei reservoir, anche in prospettiva di prevenire una riattivazione del virus dopo interruzione terapeutica? E’ da tenere in considerazione che i reservoir di HIV-1 attivi durante la terapia costituiscono solo una piccolissima parte delle cellule infettate dal virus (forse l’1%, o anche meno), la maggior delle quali contiene virus difettivo, con grandi delezioni interne o ipermutazioni da G ad A mediate dalla proteina cellulare APOBEC. Per queste ragioni, per ben definire la grandezza reale del reservoir patogeneticamente rilevante, si rende necessario sia caratterizzare i ceppi provirali in grado di produrre virus replicanti, sia definire correttamente le cellule produttrici HIV. Sebbene il genoma di HIV-1 contenga mutazioni letali, le sequenze regolatrici LTR (Long Terminal Repeat), coinvolte nella trascrizione, nell’integrazione e nel controllo dell’espressione del genoma virale, possono rimanere intatte, indicando che l’HIV-1 RNA può ancora essere ancora trascritto. In linea con questa considerazione, lo studio presentato da Ya-Chi Ho al CROI 2015 ha mostrato che provirus di HIV-1 difettivi possono essere trascritti durante l’inversione della latenza e che le cellule che contengono tali provirus difettivi possono espandersi durante l’attivazione dei linfociti T [6]. La trascrizione dell’HIV-RNA da provirus difettivi può precludere dunque una corretta misurazione della quantità del reservoir latente ed il suo ruolo nella patogenesi. Gli studi di Mary F. Kearney e Marta E. Bull presentati al CROI 2015 sono stati mirati a cercare di definire se l’espressione di HIV-1 durante il trattamento fosse dovuta ad una spontanea riattivazione dalla latenza o ad una continua trascrizione virale, seppur a bassi livelli [7,8]. In entrambi gli studi sono stati comparati l’HIV-1 RNA cellulare, l’HIV-1 DNA cellulare e l’HIV-1 RNA plasmatico, tramite il test del single genome. I risultati emersi da entrambi gli studi hanno 40 SPARTAC trial who had interrupted HIV treatment. The authors found that the expression of the regulatory molecules PD-1, Lag3 and Tim-3 as well as total HIV-1 DNA can help predict the virologic rebound time interval in patients suspending treatment [5]. Did it transpire at CROI 2015 that we now have a better knowledge of the origin of residual viremia and the nature and size of the HIV reservoir? Did the Conference clarify the role of ART in reducing reservoirs, also with a view to preventing virus reactivation following treatment interruption? It should be borne in mind that the HIV-1 reservoirs active even during therapy are only a very small component of the overall number of virus-infected cells – perhaps 1% or even less. Most infected cells contain defective virus with large internal deletions or G to A hypermutations mediated by the cellular protein APOBEC. This is why if the true order of magnitude of the pathogenically relevant reservoir is to be accurately defined, the proviral strains able to produce replicating virus must be characterized and the HIV producing cells correctly defined. Although the HIV-1 genome contains lethal mutations, the LTR (Long Terminal Repeat) regulatory sequences involved in the transcription, integration and control of viral genome expression can remain intact, with the result that HIV-1 RNA can still be transcribed. The study presented by Ya-Chi Ho at CROI 2015 shows that defective HIV-1 proviruses can be transcribed when latency is reversed, and that cells containing defective proviruses can expand during lymphocyte T activation [6]. Transcription of HIV-RNA by defective proviruses can therefore hinder correct quantification of the latent reservoir and its pathogenic role. Studies presented by Mary F. Kearney and Marta E. Bull at CROI 2015 aimed to define whether HIV-1 expression during treatment is due to spontaneous reversal of latency or to continued - albeit low-level - viral transcription [7,8]. Both studies compared cell-associated HIV-1 RNA, HIV1 DNA and plasma HIV-1 RNA using the single genome test. Both confirmed that low-level viremias or blips often originate from proliferating cells induced to transcribe proviral sequences, and that continuous replication and viral evolution are observed even if on-going therapy maintains viral levels under the detectability threshold. Bull and coworkers also reported that in many cases the presence of defective proviral strains can produce viremia with the infection of new cells [8], thereby confirming the data presented by Ho [6]. Francesco Simonetti and co-workers from Frank Maldarelli’s group at NIH elegantly described the first case of residual viremia associated with expanded cells carrying a specific intact HIV provirus [9]. On analyzing 317 HIV CURE ~ 2015 Articolo Originale/Original Article confermato che i bassi livelli di viremia o i blips spesso si originano da cellule in proliferazione indotte a trascrivere sequenze provirali, e che una continua replicazione ed evoluzione virale può essere osservata nonostante la terapia in atto mantenga i livelli del virus al di sotto della soglia di non rilevabilità. Bull e colleghi hanno anche riportato che in molti casi la presenza di ceppi provirali difettivi può produrre una viremia senza infezione di nuove cellule [8], confermando in questo modo i dati presentati da Ho [6]. Francesco Simonetti e colleghi, del gruppo di Frank Maldarelli all’NIH, hanno elegantemente descritto il primo caso di viremia residua associata con un’espansione di cellule contenenti un singolo specifico provirus di HIV intatto [9]. Dall’analisi di 317 sequenze di HIV da plasma, cellule mononucleate di sangue periferico (PBMC, peripheral blood mononuclear cell), milza, linfonodi e tessuti tumorali infiltrati con linfociti T CD4 + e T CD8 +, gli autori hanno scoperto che le varianti di HIV erano omogeneamente intersperse nel sangue e nei tessuti, e non vi era alcuna evidenza di replicazione localizzata. Un solo provirus era la causa della maggior parte dell’HIV-RNA rilevato nel plasma. Le cellule di questo clone erano accumulate specificamente nelle metastasi tumorali, suggerendo che lo stimolo immunitario, così come gli antigeni tumorali, possono contribuire all’espansione delle cellule, e forse all’attivazione del provirus e al rilascio dei virioni nel plasma [9]. Studi recenti hanno evidenziato come i siti di integrazione di HIV giochino un ruolo fondamentale sull’espansione e la persistenza di cellule infettate [10-13]. A tal riguardo, Frank Maldarelli, Stephen Hughes e colleghi hanno identificato più di 2500 siti di integrazione nei PBMC e nelle cellule T CD4+ di individui infetti sotto ART, circa il 40% dei quali era localizzato in cloni di cellule espanse [10,12]. In un individuo, circa il 50% delle cellule infettate originava da un singolo clone, e alcuni cloni persistevano per più di 10 anni. Gli autori hanno trovato integrazioni multiple indipendenti in diversi geni, tra cui MKL2 e BACH2 (geni coinvolti nella regolazione della crescita cellulare), molte delle quali si trovavano in cellule espanse [10,12]. I riarrangiamenti del DNA che coinvolgono questi geni sono presenti in tumori umani. Questi risultati hanno importanti implicazioni per lo sviluppo ed il mantenimento del reservoir virale, per il disegno e l’implementazione di strategie mirate ad eliminare l’infezione persistente di HIV, per l’uso di vettori lentivirali nella terapia genica, ed eventualmente per una migliore comprensione dell’origine di alcuni tumori relazionati all’HIV. Infine, è noto che nelle primissime settimane dell’infezione primaria HIV stabilisce un reservoir latente nei linfociti T CD4+ in stato di riposo ed inattività. Al fine di determinare l’impatto della somministrazione immediata della terapia antiretrovirale sul decadimento dell’HIV-DNA nell’uomo, Jade CURE ~ 2015 sequences from plasma, PBMC (peripheral blood mononuclear cells), spleen, lymph nodes and tumor-infiltrating T CD4 + and T CD8 + lymphocytes, the authors found that the HIV variants were evenly distributed in blood and tissues and that there was no evidence of localized replication. Just one provirus was the cause of most of the HIV-RNA found in plasma. The cells of this clone were specifically found in tumor metastases, suggesting that an immune stimulus, like tumor antigens, may contribute to cell expansion and perhaps provirus activation, with the release of virions into plasma [9]. Recent studies have shown that specific HIV integration sites play a major role in the clonal expansion and persistence of infected cells [10-13]. To this regard, Frank Maldarelli, Stephen Hughes and co-workers have identified more than 2500 integration sites in PBMC and T CD4+ cells of infected individuals undergoing ART treatment, approximately 40% of which are located in expanded cell clones [10,12]. Approximately 50% of the infected cells in one patient were from one single clone, and some clones persisted for more than 10 years. There were multiple independent integrations in several genes, including MKL2 and BACH2; many of these integrations were in clonally expanded cells [10,12]. The DNA rearrangements involving these genes are present in human tumors. These findings have important implications for the development and maintenance of the viral reservoir, for the design and implementation of ad hoc strategies to eliminate persistent HIV infection, and for the use of lentiviral vectors in gene therapy and, eventually, for a better understanding of the origin of some HIV-related tumors. Finally, it is known that in the very first weeks of primary infection, HIV establishes a latent reservoir in resting, inactive T CD4+ lymphocytes. In order to determine the impact of immediate antiretroviral therapy on HIV-DNA decay in man, Jade Ghosn and co-workers measured 1305 PMMC HIV-DNA samples from 327 subjects with primary infection enrolled in the PRIMO cohort who had started ART therapy within one month of enrollment, achieving a viral load of less than 50 copies/ml in the first 6 months of treatment [14]. The quantitative data allowed the authors to conclude that HIV-DNA decay in the first 8 months of treatment is much more rapid in those individuals who had started therapy within 15 days of contracting the infection. Decay rates were found to be slower in individuals who initiated ART one month after becoming infected. Decay rates were even lower when therapy was started within 3 months following initial infection. Moreover, even after 5 years of successful ART therapy (i.e. with plasma viral loads continually below 50 copies/ml), the patient group that had started ART within 15 days of infection had a low- 41 Articolo Originale/Original Article Ghosn e colleghi hanno effettuato 1305 misurazioni di HIVDNA da PBMC di 327 individui in infezione primaria arruolati alla coorte PRIMO che iniziavano una ART entro il primo mese dall’arruolamento e che raggiungevano una carica virale al di sotto le 50 copie/mL nei primi sei mesi di trattamento [14]. Tali misurazioni hanno permesso di stimare che il declino dell’HIV-DNA nei primi otto mesi di trattamento è molto più rapido in quegli individui che avevano iniziato la terapia entro 15 giorni dall’infezione. I tassi di decadimento risultavano più lenti in individui che avevano iniziato la ART solo dopo un mese dall’infezione, ed erano ancor meno sostenuti in coloro che iniziavano la terapia entro tre mesi dall’infezione. Inoltre, dopo cinque anni di ART sempre in successo (quindi con carica virale plasmatica sempre al di sotto delle 50 copie/mL), il gruppo di pazienti che aveva iniziato la ART entro 15 giorni dall’infezione aveva la media di HIV-DNA intracellulare più bassa rispetto al gruppo che iniziava la terapia dopo tre mesi dall’infezione (1,62 vs. 2,24 log10 copie/milioni di PBMC, p=0,0006) [14]. Tutti questi risultati sono a supporto di un inizio della ART il più rapido possibile, immediatamente dopo l’infezione, e dunque sono in favore anche di uno screening precoce dell’infezione. In conclusione, molte delle ricerche presentate all’ultimo CROI sono state finalizzate ad una migliore comprensione e caratterizzazione della persistenza dei reservoir latenti di HIV nel corpo, anche negli individui trattati con ART. Nonostante siamo ancora lontani dal raggiungere risultati clinicamente rilevanti, tuttavia tutti gli studi discussi sono di notevole interesse, in quanto indicano possibili nuovi approcci mirati alla viremia residua e alla riduzione del reservoir al di sotto di una soglia clinicamente rilevante. 42 er average intracellular HIV-DNA compared to the group starting treatment 3 months after becoming infected (1.62 vs. 2.24 log 10 copies/millions of PBMC, p=0.0006) [14]. All these findings support initiating ART treatment as early as possible following infection, and consequently, strongly advocate early screening for infection. In conclusion, many of the studies presented at this year’s CROI aimed to improve our understanding and ability to characterize persistent latent HIV reservoirs in the body even in individuals undergoing ART. Even if we are far from achieving clinically significant results, the studies presented were all of considerable interest, indicating possible new approaches to residual viremia and reducing the reservoir below clinically detectable thresholds. CURE ~ 2015 Articolo Originale/Original Article REFERENCES 1. Antiretroviral Therapy Cohort Collaboration. Life expectancy of individuals on combination antiretroviral therapy in high-income 2. NS Utay, J Ananworanich, B Slike, N Michael, S Pinyakorn, D Sutthichom, S Puttamaswin, D Douek, I Sereti, A Rupert. Inflammation countries: a collaborative analysis of 14 cohort studies. Lancet. Jul 26 2008;372(9635):293-299. Persists Despite Early Initiation of ART in Acute HIV Infection. 2015 Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections. Seattle, February 23-24, 2015. Abstract 47. 3. JD Siliciano, J Kajdas, D Finzi, TC Quinn, K Chadwick, JB Margolick, C Kovacs, SJ Gange, RF Siliciano. Long-term follow-up studies 4. 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