Number 4/06 edico non è … … per chi Alimentazione e Salute per tutti A proposito di ... osteoporosi Claudio PEDACE, Lucia FUSCONI U.O. di Medicina Interna e Geriatria, Ospedale San Donato, Arezzo • OSTEOPOROSI. È una malattia caratterizzata dalla progressiva riduzione della densità delle ossa che diventano quindi più fragili e più facilmente fratturabili. Le ossa per le loro caratteristiche di durezza e scarsa flessibilità costituiscono l’impalcatura sulla quale si regge il corpo e garantiscono stabilità e possibilità di movimento. Il tessuto osseo è in continuo “rimodellamento”, attraverso i processi di formazione e riassorbimento che avvengono lungo tutto il corso della vita; questo processo è affidato a meccanismi ormonali (ad esempio estrogeni). Nella fase della crescita la quantità di tessuto osseo formato è superiore a quello riassorbito, mentre, negli individui anziani e in particolare nei soggetti con osteoporosi, la quantità di nuovo osso è inferiore a quella distrutta per cui la massa scheletrica va incontro ad una progressiva diminuzione. Inoltre l’osso presenta un’anomala mineralizzazione, con ulteriore aumento della fragilità e del rischio di frattura. Questa malattia interessa il 25-40% delle donne sopra i 50 anni e il 70% delle donne dopo i 70 anni. In Italia si stima che vi siano 3.5-5 milioni di soggetti affetti da osteoporosi. È stato riscontrato che un quarto delle donne di 70 anni e la metà di quelle di 80 anni hanno almeno una frattura vertebrale. Ogni anno in Italia si verificano 70.000 ricoveri per frattura di femore, 20.000 per fratture vertebrali, 19.000 per fratture in altre sedi. • DOLORE. Non esiste il dolore da malattia osteoporotica. Il dolore compare solo in caso di frattura, quindi in caso di malattia avanzata. Le ossa più facilmente soggette a frattura sono le vertebre, il femore, il radio e, in misura minore, l’omero, la tibia, le coste e il bacino. Le fratture vertebrali si presentano soprattutto prima dei 70 anni, le vertebre possono schiacciarsi a livello dorsale e/o lombare in seguito a flessioni della colonna, sollevamenti di pesi o salti bruschi. Il dolore può essere acuto per alcuni giorni o settimane, ma se il cedimento vertebrale insorge lentamente può non comportare sintomatologia dolorosa, può causare però perdita di altezza e la cosiddetta “gobba” che oltre a problemi estetici comporta difficoltà respiratorie. Nei soggetti oltre i 70-75 anni sono più frequenti le fratture di femore. In questo caso di solito è necessario un intervento chirurgico e in un terzo dei casi questo tipo di frattura determina comunque un peggioramento della qualità di vita per la ridotta autonomia motoria e per l’aumentato rischio di cadute. • MOC (mineralometria ossea computerizzata). È l’esame più conosciuto per la determinazione del grado di mineralizzazione delle ossa, cioè della densità di calcio. La metodica più diffusa è la cosiddetta DEXA o densitometria ossea a doppia energia, che utilizza un apparecchio a raggi X che permette di ricavare la densità dell’osso dal grado di attenuazione che il raggio subisce nell’attraversare il segmento osseo del soggetto esaminato. È possibile esaminare tutte le ossa del corpo, ma la DEXA in genere viene eseguita sulla colonna lombare e sui femori. Il paziente si stende sul lettino come per una normale radiografia, non richiede alcuna preparazione, non comporta dolore o fastidio ed è di breve durata. La densità viene esaminata attraverso due indici: il T-score e lo Z-score. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità si definisce osteopenia la presenza di un T-score compreso tra -1 e -2.5 e osteoporosi la presenza di un T-score inferiore a -2.5. Quando si effettua tale esame? Non è necessario effettuare l’esame a tutte le donne in menopausa, ma solo in soggetti con fattori di rischio e, in corso di terapia, può essere usata non più di una volta ogni 2-3 anni per monitorizzare le variazioni della densità ossea. • ALTRI ESAMI. Hanno ormai acquistato importanza esami ad ultrasuoni (ultrasonometria ossea computerizzata) che esprimono la densità ossea sempre in T-score e Z-score. I distretti più esaminati sono le falangi delle mani e il calcagno. I vantaggi di tale esame sono la mancata esposizione a raggi X e, attraverso alcuni indici, la possibilità di valutare la qualità dell’osso. Un altro esame è la TAC (QCT) che comunque implica una maggiore dose di radiazioni ed è per questo meno usata. • PREVENZIONE. È l’approccio più efficace e può essere messo in atto prima che inizi la perdita di massa ossea. Esistono alcuni fattori di rischio predisponenti all’insorgenza di osteoporosi su cui non è possibile intervenire (età, sesso femminile, razza, familiarità, corporatura, assunzione di alcuni farmaci ad esempio i cortisonici). È possibile però agire sui fattori di rischio modificabili. In primo luogo è necessario sviluppare un’adeguata massa corporea in età giovanile con una corretta alimentazione e attività fisica che va senza dubbio mantenuta anche in età post-menopausale. Va inoltre evitato l’abuso di alcol e di fumo, vanno corretti eventuali disordini ormonali (ad esempio l’ipertiroidismo). Una scarsa esposizione al sole riduce l’attivazione della vitamina D, che risulta indispensabile per l’assorbimento intestinale del calcio, per la riduzione dell’escrezione renale e l’aumento della mineralizzazione ossea. La carenza di vitamina D può quindi comportare un aumento del rischio osteoporotico. L’alimentazione deve essere quindi ricca di vitamina D e di calcio. • DIAGNOSI. La malattia osteoporotica può non essere riconosciuta per molto tempo. La comparsa del primo sintomo, il dolore, coincide con la comparsa di una frattura (che talvolta può essere addirittura asintomatica, ad esempio a livello vertebrale). Gli esami del sangue non aiutano perché nella maggior parte dei casi sono normali. La comune radiografia è indispensabile per la diagnosi delle fratture, ma non è in grado di evidenziare perdite di massa ossea inferiori al 30-40%. Per far diagnosi di malattia osteoporotica è necessaria perciò un’indagine globale del paziente che evidenzi il grado di rischio: età, sesso, insorgenza della menopausa, peso (eccessiva magrezza e obesità), familiarità, abitudini di vita (esposizione al sole, dieta, attività fisica, fumo e alcol), presenza di altre malattie e assunzione di farmaci favorenti l’osteoporosi (cortisonici, far- maci per l’epilessia). Utili alcuni esami ematici per escludere malattie favorenti le fratture ad esempio l’ipertiroidismo, ed eventuali esami radiologici per evidenziare fratture asintomatiche. Dopo tale approccio il medico di famiglia è in grado di selezionare le donne a rischio e di inviarle ad eseguire un esame strumentale (DEXA, ultrasonometria, QCT). A questo punto è possibile una diagnosi di osteoporosi. • TERAPIA. La terapia mira a ridurre il rischio di frattura. I farmaci oggi disponibili agiscono a tre livelli: correggono la quantità di calcio e vitamina D dell’organismo, riducono la perdita e/o aumentano il deposito di calcio dell’osso. La correzione del fabbisogno di calcio si effettua facendo un bilancio tra quello assunto con la dieta (esistono tabelle da cui è possibile ricavare la quantità di calcio contenuto negli alimenti: ad esempio un bicchiere di latte ne contiene 300 mg, due cucchiai di parmigiano 360 mg, alcuni tipi di acqua contengono circa 300 mg per litro) e il fabbisogno giornaliero che nelle donne in postmenopausa è di 1500 mg. La vitamina D è indispensabile per il corretto assorbimento del calcio a livello intestinale, viene prodotta dalla nostra pelle, ma solo se stimolata dai raggi solari. Nei soggetti di età avanzata, in cui la cute è più sottile e non è in grado di produrla, e nei soggetti che si espongono poco alla luce solare, è importante assumere vitamina D alla dose di 800 UI al dì. Le donne che possono ricevere terapia estrogenica sostitutiva nel periodo post-menopausale mantengono un buon equilibrio del metabolismo osseo con riduzione del rischio di frattura che si mantiene finché è in atto il trattamento. Il punto critico di tale terapia è la durata che in genere deve essere limitata a pochi anni. Coloro che hanno già presentato una frattura devono comunque ricevere anche altri farmaci. I farmaci che bloccano la demineralizzazione sono i bifosfonati (i più usati sono alendronato, risedronato, neridronato, ibandronato). I bifosfonati possono essere somministrati per via orale, intramuscolare ed endovena. Per via orale devono essere assunti a stomaco vuoto, con abbondante acqua per ridurre il tempo di contatto con le pareti esofagee e facilitare l’assorbimento a livello dello stomaco. I dati degli studi clinici hanno dimostrato che sono in grado di ridurre il rischio di frattura in media nel 50% dei casi dopo un anno e di aumentare la densità ossea, effetto che si mantiene anche dopo mesi dalla sospensione della terapia. Altri farmaci appartenenti al gruppo definito SERM (ad esempio raloxifene) hanno effetti di blocco sul processo del metabolismo osseo (simile agli estrogeni) ed effetti metabolici generali sui lipidi. Un altro farmaco di recente introduzione (il ranelato di stronzio) appare efficace sia sul blocco del riassorbimento sia sulla neoformazione ossea. In alcuni soggetti tutti questi farmaci sono apparsi insufficienti nel prevenire la comparsa di nuove fratture per cui si parla di osteoporosi severa. In questi casi sembra essere particolarmente efficace un farmaco, teriparatide, derivato da un ormone naturale (il paratormone) che somministrato in iniezioni sottocute giornaliere è in grado di stimolare la formazione dell’osso e ridurre il rischio di frattura; viene prescritto solo da specialisti e riservato ai casi più gravi, anche per l’elevato costo. La tiroide in 10 domande Grazia PANIGADA*, Daniele GIANCHECCHI**, Bice MICHELI***, Maurizio CHECCHI* *U.O. di Medicina Interna, Ospedale di Pescia (PT), **Medicina Interna, Ospedale di Cecina (LI), ***Medicina Interna I, Ospedale di Pistoia Le malattie della tiroide sono molto frequenti. Oltre il 5% della popolazione italiana presenta patologia nodulare tiroidea, con netta prevalenza nel sesso femminile. La maggiore disponibilità e affinamento delle tecniche diagnostiche (dosaggi ormonali ed ultrasuoni) hanno consentito di evidenziare la patologia tiroidea più precocemente e in maggior numero che in passato. Di conseguenza le malattie ed i tumori della tiroide sono diventati oggetto di interesse per un vasto pubblico che pone ricorrenti domande. Cosa è la tiroide? È una ghiandola, a forma di farfalla posta nel collo al davanti della trachea. Produce gli ormoni tiroxina (T4) e triiodotironina (T3) che condizionano attività importanti dell’organismo quali la produzione di calore, il metabolismo dei grassi, degli zuccheri e delle proteine. Sono inoltre fondamentali nel feto per il corretto sviluppo cerebrale. La funzione tiroidea è regolata da un altro ormone, la tireotropina (TSH), che è secreta dall’ipofisi, altra ghiandola endocrina posta alla base del cervello. Se la tiroide aumenta la produzione dei propri ormoni, l’ipofisi riduce la secrezione di TSH in modo da ridurre l’attività tiroidea, riportando nella norma i valori ormonali; l’inverso avviene se la tiroide diminuisce la sua attività. Lo iodio è un costituente fondamentale degli ormoni tiroidei, infatti ne troviamo 4 molecole nella tiroxina e 3 nella triiodotironina. Lo iodio viene assunto con i cibi e con l’acqua, trascurabile invece la quantità assorbita per via respiratoria. La carenza iodica determina aumento della patologia tiroidea e pertanto è utile l’uso del sale iodurato che, normalizzando l’apporto iodico, previene l’insorgenza del gozzo. Quali sono gli esami da effettuare in caso di sospetta malattia della tiroide? Si possono dosare direttamente nel sangue i valori di FT3, FT4 (che sono le forme libere, non legate alle proteine, degli ormoni tiroidei) e TSH che ci indicano immediatamente lo stato funzionale della ghiandola. L’ecografia ci permette di valutarne forma, dimensioni ed eventuale presenza di noduli. La scintigrafia tiroidea può dare ulteriori informazioni sulla funzionalità della ghiandola. L’agoaspirato con ago sottile di un nodulo tiroideo consente di rilevare, mediante l’indagine citologica, la presenza di cellule maligne: è un esame semplice e privo di rischi che si può effettuare in qualsiasi ambulatorio con una semplice siringa usa e getta, facendo passare l’ago attraverso la cute del collo fino alla sottostante ghiandola tiroide, prelevando alcune cellule che rimangono nell’ago per analizzarle. Si può effettuare anche mediante guida ecografica, facilitando la possibilità di prelevare cellule da noduli anche di piccole dimensioni. Cosa è il gozzo? Con questo termine si intende un aumento di volume della ghiandola tiroidea, tale aumento può essere semplice oppure associato a presenza di noduli (in questo caso si definisce gozzo multinodulare). Nel gozzo la funzionalità tiroidea può essere normale, ridotta o aumentata, si parla allora di gozzo tossico. Può essere dovuto a carenza di iodio, a cause genetiche o autoimmuni. È la malattia tiroidea più frequente nel mondo; in Italia più del 10% della popolazione ne è affetta; tutte le regioni italiane hanno zone di endemia gozzigena, maggiormente presenti in località collinari e montane. Cosa è l’ipertiroidismo? Per ipertiroidismo si intende un eccesso di produzione di ormoni da parte della tiroide, che si manifesta classicamente con dimagrimento ma appetito conservato, tremori agli arti, nervosismo, intolleranza al caldo, tachicardia, palpitazioni, disturbi mestruali. Tra le cause più frequenti di ipertiroidismo troviamo: il gozzo diffuso tossico o morbo di Basedow, caratterizzato da gozzo e oftalmopatia (retrazione palpebrale e protrusione del bulbo oculare), il gozzo nodulare e l’adenoma tossico, cioè un solo nodulo che produce ormoni in eccesso. Occasionalmente può accadere che l’eccesso di ormoni tiroidei in circolo sia indipendente dalla funzione tiroidea ma consegua a distru- zione di cellule tiroidee (come accade nelle tiroiditi) o a un’eccessiva assunzione, volontaria o terapeutica. Cosa è l’ipotiroidismo? Si parla di ipotiroidismo quando la tiroide non riesce a produrre un quantitativo sufficiente di ormoni: si manifesta con debolezza, letargia, intolleranza al freddo, aumento di peso, edema delle palpebre e facciale, stipsi, pelle secca e spessa, anoressia, perdita di capelli. Le cause possono essere diverse: autoimmuni con produzione di anticorpi che distruggono la ghiandola, trattamento radiante o chirurgico sulla ghiandola per patologia precedente, carenza di iodio, uso di farmaci antitiroidei, forme rare di assenza congenita della tiroide o carenza ipofisaria di TSH. Cosa sono le tiroiditi? Sono processi infiammatori della tiroide. Raramente sono dovute ad infezioni batteriche e si presentano come quadri acuti, con dolore, febbre e arrossamento della cute sovrastante del collo. Meno rare sono le forme sub-acute, il cui esordio avviene con dolore spiccato nella regione anteriore del collo e sintomi di ipertiroidismo (perché le cellule tiroidee distrutte dall’infiammazione riversano in circolo gli ormoni tiroidei). Infine, le più frequenti sono le tiroiditi croniche, alla cui origine troviamo la produzione di autoanticorpi (prevalentemente anticorpi antiperossidasi-AbTPO), che erroneamente attaccano le cellule della ghiandola. La sintomatologia è assente fino a che la funzione tiroidea non si riduce e si instaura l’ipotiroidismo, qualche volta preceduto da una breve fase di ipertiroidismo. Come si curano le malattie della tiroide? Tutte le malattie della tiroide si possono curare. In caso di ipertiroidismo si può intervenire con farmaci tireostatici, cioè che frenano la produzione di ormoni, il più usato è il metimazolo. Se la terapia medica non è sufficiente, si può risolvere definitivamente il problema con l’asportazione chirurgica, parziale o totale della tiroide, o con il trattamento radiometabolico: lo iodio radioattivo, somministrato per via orale, si concentra nelle cellule tiroidee “bruciandone una parte”. La tiroidite si cura con antinfiammatori, antidolorifici e/o cortisone. L’ipotiroidismo è facilmente risolto dalla somministrazione orale di tiroxina. I tumori della tiroide sono curabili? Quasi sempre! La maggior parte dei tumori che origi- nano dalla tiroide sono carcinomi differenziati le cui cellule conservano la capacità di assumere e concentrare lo iodio; questo è fondamentale perché permette di utilizzare, dopo l’asportazione della tiroide, lo iodio radioattivo che, somministrato in dosi adeguate, distrugge eventuali cellule tumorali residue. Questo consente di guarire il tumore differenziato della tiroide praticamente in tutti i pazienti. Nei casi, fortunatamente più rari, di tumori indifferenziati invece la situazione è meno favorevole, perché le cellule sono talmente alterate che non riescono più a captare lo iodio radioattivo e pertanto viene meno la possibilità di distruggerle. I tumori della tiroide di solito si presentano come noduli (il nodulo della tiroide è frequente, dal 5 al 20% della popolazione a seconda delle statistiche, ma solo una minima parte sono tumori maligni). Il problema principale è individuare quei noduli che potenzialmente possono essere maligni in modo da ridurre al minimo il numero di noduli asportati; a questo fine, l’esame più utile è l’agoaspirato. Ci sono farmaci che interferiscono con l’attività della tiroide? Tre farmaci possono avere importanti effetti sulla funzione tiroidea: amiodarone, litio, interferone e tutti e tre possono essere causa sia di ipertiroidismo che di ipotiroidismo; nel primo caso è necessario sospendere il farmaco responsabile per far tornare la funzione tiroidea nella norma, nel secondo caso la sospensione del farmaco in causa non è necessaria ed è quindi sufficiente correggere l’ipotiroidismo con la terapia sostitutiva. E in gravidanza? In gravidanza non si può mai eseguire la scintigrafia tiroidea, né fare terapia con radioiodio, e il ricorso alla terapia chirurgica sarà rarissimo e riservato a casi selezionati ed eventualmente messo in atto nel secondo trimestre, quando il rischio è minore. Per il resto il percorso diagnostico e terapeutico non si discosterà da quanto messo in atto in donne non gravide. Quindi nessun problema per l’esecuzione dell’ecografia del collo e dell’agoaspirato, se necessario per la diagnosi. Per la terapia in caso di ipertiroidismo si useranno i farmaci antitiroidei ai dosaggi minimi efficaci, per l’ipotiroidismo si interverrà con terapia sostitutiva usando L-tiroxina. Durante l’allattamento ci comporteremo come in gravidanza.