Breve antologia di testi del magistero che hanno a che fare con l’ecumenismo. In particolare sono raccolti alcuni passaggi delle encicliche preconciliari: Mortalium animos – Pio XI, 1928 esprime un severo giudizio sul nascente movimento ecumenico Rerum Orientalium – Pio XI, 1928 riconosce la corresponsabilità della separazione con l’Oriente Mistici Corporis – Pio XII, 1943 riprende il severo giudizio sul movimento ecumenico Humani generis – Pio XII, 1950 conferma il severo giudizio sul movimento ecumenico Inoltre brevi brani di : Annuncio del Concilio Vaticano II – Giovanni XXIII, 1959 si nota un diverso atteggiamento Ut Unum Sint – Giovanni Paolo II, 1995 enciclica sul movimento ecumenico Carattere teologicamente vincolante di Unitatis Redintegratio - card. W. Kasper, 2003 Spiegazione: - del valore magisteriale del Decreto conciliare, - del rapporto con Lumen Gentium Infine brevi passi da: Dichiarazione ‘Mysterium Ecclesiae’ – C.F. card. F. Šeper, 1973 puntualizzazione circa l’espressione ‘subsistit in’ Notificazione su ‘Chiesa: Carisma e Potere’(L. Boff) – C.F. card. J. Ratzinger, 1985 puntualizzazione circa l’espressione ‘subsistit in’ Lettera ‘Communionis notio’ – C.F. card. J. Ratzinger, 1992 sul rapporto tra chiesa universale e chiese particolari Dichiarazione sull’espressione «Chiese sorelle» – C.F. card. J. Ratzinger, 2000 precisazione sull’uso di questa espressione Dichiarazione ‘Dominus Jesus’ – C.F. card. J. Ratzinger, 2000 puntualizzazione circa l’espressione ‘subsistit in’ e conseguenze Discorso ‘Il decreto sull’ecumenismo. Una nuova lettura dopo 40 anni’ - card. W. Kasper, 2004 Dimensione escatologica della chiesa e dell’ecumenismo Osservazioni circa l’espressione ‘subsistit in’ Risposte a quesiti circa la dottrina sulla chiesa – C.F. card. W. Levada, 2007 Puntualizzazione circa l’espressione ‘subsistit in’ ‘Chiese’ e ‘comunità ecclesiali’ nel Vaticano II Riflessione ‘Cammino e significato del movimento ecumenico’ - card. W. Kasper, 2008 cenni di storia della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani cenni su figure del mondo cattolico impegnate nel movimento ecumenico LETTERA ENCICLICA MORTALIUM ANIMOS DI SUA SANTITA PIO XI AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI ED AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI CHE HANNO PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA SULLA DIFESA DELLA VERITÀ RIVELATA DA GESÙ link al testo integrale dell’enciclica [http://www.vatican.va/holy_father/pius_xi/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19280106_mortalium-animos_it.html] qui si presenta una semplice selezione di passaggi, evidenziati nelle parti più interessanti al nostro scopo Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione. Forse in passato non è mai accaduto che il cuore delle creature umane fosse preso come oggi da un così vivo desiderio di fraternità — nel nome della stessa origine e della stessa natura — al fine di rafforzare ed allargare i rapporti nell’interesse della società umana (…) come siano molti coloro che bramano vedere sempre più unite tra di loro le varie nazioni, a ciò portate da questa fratellanza universale. Un obiettivo non dissimile cercano di ottenere alcuni per quanto riguarda l’ordinamento della Nuova Legge, promulgata da Cristo Signore. Persuasi che rarissimamente si trovano uomini privi di qualsiasi sentimento religioso, sembrano trarne motivo a sperare che i popoli, per quanto dissenzienti gli uni dagli altri in materia di religione, pure siano per convenire senza difficoltà nella professione di alcune dottrine, come su un comune fondamento di vita spirituale. Perciò sono soliti indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di pubblico, ai quali sono invitati promiscuamente tutti a discutere: infedeli di ogni gradazione, cristiani, e persino coloro che miseramente apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e della sua missione. Non possono certo ottenere l’approvazione dei cattolici tali tentativi fondati sulla falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni, in quanto tutte, sebbene in maniera diversa, manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portati a Dio e all’ossequente riconoscimento del suo dominio. Orbene, i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell’errore, ma ripudiano la vera religione depravandone il concetto e svoltano passo passo verso il naturalismo e l’ateismo; donde chiaramente consegue che quanti aderiscono ai fautori di tali teorie e tentativi si allontanano del tutto dalla religione rivelata da Dio. Ma dove, sotto l’apparenza di bene, si cela più facilmente l’inganno, è quando si tratta di promuovere l’unità fra tutti i cristiani. Non è forse giusto — si va ripetendo — anzi non è forse conforme al dovere che quanti invocano il nome di Cristo si astengano dalle reciproche recriminazioni e si stringano una buona volta con i vincoli della vicendevole carità? E chi oserebbe dire che ama Cristo se non si adopera con tutte le forze ad eseguire il desiderio di Lui, che pregò il Padre perché i suoi discepoli « fossero una cosa sola »? E lo stesso Gesù Cristo non volle forse che i suoi discepoli si contrassegnassero e si distinguessero dagli altri per questa nota dell’amore vicendevole: « In ciò conosceranno tutti che siete miei discepoli se vi amerete l’un l’altro»? E volesse il Cielo, soggiungono, che tutti quanti i cristiani fossero « una cosa sola »; sarebbero assai più forti nell’allontanare la peste dell’empietà, la quale, serpeggiando e diffondendosi ogni giorno più, minaccia di travolgere il Vangelo. Questi ed altri simili argomenti esaltano ed eccitano coloro che si chiamano pancristiani, i quali, anziché restringersi in piccoli e rari gruppi, sono invece cresciuti, per così dire, a schiere compatte, riunendosi in società largamente diffuse, per lo più sotto la direzione di uomini acattolici, pur fra di loro dissenzienti in materia di fede. E intanto si promuove l’impresa con tale operosità, da conciliarsi qua e là numerose adesioni e da cattivarsi perfino l’animo di molti cattolici con l’allettante speranza di riuscire ad un’unione che sembra rispondere ai desideri di Santa Madre Chiesa, alla quale certo nulla sta maggiormente a cuore che il richiamo e il ritorno dei figli erranti al suo grembo. Ma sotto queste 1 insinuanti blandizie di parole si nasconde un errore assai grave che varrebbe a scalzare totalmente i fondamenti della fede cattolica. Pertanto, poiché la coscienza del Nostro Apostolico ufficio ci impone di non permettere che il gregge del Signore venga sedotto da dannose illusioni, richiamiamo, Venerabili Fratelli, il vostro zelo contro così grave pericolo, sicuri come siamo che per mezzo dei vostri scritti e della vostra parola giungeranno più facilmente al popolo (e dal popolo saranno meglio intesi) i princìpi e gli argomenti che siamo per esporre. Così i cattolici sapranno come giudicare e regolarsi di fronte ad iniziative intese a procurare in qualsivoglia maniera l’unione in un corpo solo di quanti si dicono cristiani (…). E qui si presenta l’opportunità di chiarire e confutare una falsa opinione, da cui sembra dipenda tutta la presente questione e tragga origine la molteplice azione degli acattolici, operante, come abbiamo detto, alla riunione delle Chiese cristiane. I fautori di questa iniziativa quasi non finiscono di citare le parole di Cristo: «Che tutti siano una cosa sola… Si farà un solo ovile e un solo pastore», nel senso però che quelle parole esprimano un desiderio e una preghiera di Gesù Cristo ancora inappagati. Essi sostengono infatti che l’unità della fede e del governo — nota distintiva della vera e unica Chiesa di Cristo — non sia quasi mai esistita prima d’ora, e neppure oggi esista; essa può essere sì desiderata e forse in futuro potrebbe anche essere raggiunta mediante la buona volontà dei fedeli, ma rimarrebbe, intanto, un puro ideale. Dicono inoltre che la Chiesa, per sé o di natura sua, è divisa in parti, ossia consta di moltissime chiese o comunità particolari, le quali, separate sinora, pur avendo comuni alcuni punti di dottrina, differiscono tuttavia in altri; a ciascuna competono gli stessi diritti; la Chiesa al più fu unica ed una dall’età apostolica sino ai primi Concili Ecumenici. Quindi soggiungono che, messe totalmente da parte le controversie e le vecchie differenze di opinioni che sino ai giorni nostri tennero divisa la famiglia cristiana, con le rimanenti dottrine si dovrebbe formare e proporre una norma comune di fede, nella cui professione tutti si possano non solo riconoscere, ma sentire fratelli; e che soltanto se unite da un patto universale, le molte chiese o comunità saranno in grado di resistere validamente con frutto ai progressi dell’incredulità. Così, Venerabili Fratelli, si va dicendo comunemente. Vi sono però taluni che affermano e ammettono che troppo sconsigliatamente il Protestantesimo rigettò alcuni punti di fede e qualche rito del culto esterno, certamente accettabili ed utili, che la Chiesa Romana invece conserva. Ma tosto soggiungono che questa stessa Chiesa corruppe l’antico cristianesimo aggiungendo e proponendo a credere parecchie dottrine non solo estranee, ma contrarie al Vangelo, tra le quali annoverano, come principale, quella del Primato di giurisdizione, concesso a Pietro e ai suoi successori nella Sede Romana. Tra costoro ci sono anche alcuni, benché pochi in verità, i quali concedono al Romano Pontefice un primato di onore o una certa giurisdizione e potestà, facendola però derivare non dal diritto divino, ma in certo qual modo dal consenso dei fedeli; altri giungono perfino a volere lo stesso Pontefice a capo di quelle loro, diciamo così, variopinte riunioni. Che se è facile trovare molti acattolici che predicano con belle parole la fraterna comunione in Gesù Cristo, non se ne rinviene uno solo a cui cada in mente di sottomettersi al governo del Vicario di Gesù Cristo o di ubbidire al suo magistero. E intanto affermano di voler ben volentieri trattare con la Chiesa Romana, ma con eguaglianza di diritti, cioè da pari a pari; e certamente se potessero così trattare, lo farebbero con l’intento di giungere a una convenzione la quale permettesse loro di conservare quelle opinioni che li tengono finora vaganti ed erranti fuori dell’unico ovile di Cristo. A tali condizioni è chiaro che la Sede Apostolica non può in nessun modo partecipare alle loro riunioni e che in nessun modo i cattolici possono aderire o prestare aiuto a siffatti tentativi; se ciò facessero, darebbero autorità ad una falsa religione cristiana, assai lontana dall’unica Chiesa di Cristo. Ma potremo Noi tollerare l’iniquissimo tentativo di vedere trascinata a patteggiamenti la verità, la verità divinamente rivelata? Ché qui appunto si tratta di difendere la verità rivelata (…) Potrà sembrare che questi pancristiani, tutti occupati nell’unire le chiese, tendano al fine nobilissimo di fomentare la carità fra tutti i cristiani; ma come mai potrebbe la carità riuscire in danno della fede? Nessuno certamente ignora che lo stesso apostolo della carità, San Giovanni (il quale nel suo Vangelo pare abbia svelato i segreti del Cuore sacratissimo di Gesù che sempre soleva inculcare ai discepoli il nuovo comandamento: « Amatevi l’un l’altro »), ha vietato assolutamente di avere rapporti con coloro i quali non professano intera ed incorrotta la dottrina di Cristo: « Se qualcuno viene da voi e non porta 2 questa dottrina, non ricevetelo in casa e non salutatelo nemmeno ». Quindi, appoggiandosi la carità, come su fondamento, sulla fede integra e sincera, è necessario che i discepoli di Cristo siano principalmente uniti dal vincolo dell’unità della fede. Come dunque si potrebbe concepire una Confederazione cristiana, i cui membri, anche quando si trattasse dell’oggetto della fede, potessero mantenere ciascuno il proprio modo di pensare e giudicare, benché contrario alle opinioni degli altri? E in che modo, di grazia, uomini che seguono opinioni contrarie potrebbero far parte di una sola ed eguale Confederazione di fedeli? Come, per esempio, chi afferma che la sacra Tradizione è fonte genuina della divina Rivelazione e chi lo nega? Chi tiene per divinamente costituita la gerarchia ecclesiastica, formata di vescovi, sacerdoti e ministri, e chi asserisce che è stata a poco a poco introdotta dalla condizione dei tempi e delle cose? Chi adora Cristo realmente presente nella santissima Eucaristia per quella mirabile conversione del pane e del vino, che viene detta transustanziazione, e chi afferma che il Corpo di Cristo è ivi presente solo per la fede o per il segno e la virtù del Sacramento? Chi riconosce nella stessa Eucaristia la natura di sacrificio e di Sacramento, e chi sostiene che è soltanto una memoria o commemorazione della Cena del Signore? Chi Stima buona e utile la supplice invocazione dei Santi che regnano con Cristo, soprattutto della Vergine Madre di Dio, e la venerazione delle loro immagini, e chi pretende che tale culto sia illecito, perché contrario all’onore « dell’unico mediatore di Dio e degli uomini », Gesù Cristo? Da così grande diversità d’opinioni non sappiamo come si prepari la via per formare l’unità della Chiesa, mentre questa non può sorgere che da un solo magistero, da una sola legge del credere e da una sola fede nei cristiani; sappiamo invece benissimo che da quella diversità è facile il passo alla noncuranza della religione, cioè all’indifferentismo e al cosiddetto modernismo, il quale fa ritenere, da chi ne è miseramente infetto, che la verità dogmatica non è assoluta, ma relativa, cioè proporzionata alle diverse necessità dei tempi e dei luoghi e alle varie tendenze degli spiriti, non essendo essa basata sulla rivelazione immutabile, ma sull’adattabilità della vita. Inoltre in materia di fede, non è lecito ricorrere a quella differenza che si volle introdurre tra articoli fondamentali e non fondamentali, quasi che i primi si debbano da tutti ammettere e i secondi invece siano lasciati liberi all’accettazione dei fedeli. La virtù soprannaturale della fede, avendo per causa formale l’autorità di Dio rivelante, non permette tale distinzione. Sicché tutti i cristiani prestano, per esempio, al dogma della Immacolata Concezione la stessa fede che al mistero dell’Augusta Trinità, e credono all’Incarnazione del Verbo non altrimenti che al magistero infallibile del Romano Pontefice, nel senso, naturalmente, determinato dal Concilio Ecumenico Vaticano. Né per essere state queste verità con solenne decreto della Chiesa definitivamente determinate, quali in un tempo quali in un altro, anche se a noi vicino, sono perciò meno certe e meno credibili? Non le ha tutte rivelate Iddio? Il magistero della Chiesa — che per divina Provvidenza fu stabilito nel mondo affinché le verità rivelate si conservassero sempre incolumi, e facilmente e con sicurezza giungessero a conoscenza degli uomini, — benché quotidianamente si eserciti dal Romano Pontefice e dai Vescovi in comunione con lui, ha però l’ufficio di procedere opportunamente alla definizione di qualche punto con riti e decreti solenni, se accada di doversi opporre più efficacemente agli errori e agli assalti degli eretici, oppure d’imprimere nelle menti dei fedeli punti di sacra dottrina più chiaramente e profondamente spiegati. Però con questo uso straordinario del magistero non si introducono invenzioni né si aggiunge alcunché di nuovo al complesso delle dottrine che, almeno implicitamente, sono contenute nel deposito della Rivelazione divinamente affidato alla Chiesa, ma si dichiarano i punti che a parecchi forse ancora potrebbero sembrare oscuri, o si stabiliscono come materia di fede verità che prima da taluno si reputavano controverse. Pertanto, Venerabili Fratelli, facilmente si comprende come questa Sede Apostolica non abbia mai permesso ai suoi fedeli d’intervenire ai congressi degli acattolici; infatti non si può altrimenti favorire l’unità dei cristiani che procurando il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale essi un giorno infelicemente s’allontanarono: a quella sola vera Chiesa di Cristo che a tutti certamente è manifesta e che, per volontà del suo Fondatore, deve restare sempre quale Egli stesso la istituì per la salvezza di tutti (…). Orbene, in quest’unica Chiesa di Cristo nessuno si trova, nessuno vi resta senza riconoscere e accettare, con l’ubbidienza, la suprema autorità di Pietro e dei suoi legittimi successori. E al Vescovo 3 Romano, come a Sommo Pastore delle anime, non ubbidirono forse gli antenati di coloro che sono annebbiati dagli errori di Fozio e dei riformatori? Purtroppo i figli abbandonarono la casa paterna, ma non per questo essa andò in rovina, sostenuta come era dal continuo aiuto di Dio. Ritornino dunque al Padre comune; e questi, dimenticando le ingiurie già scagliate contro la Sede Apostolica, li riceverà con tutto l’affetto del cuore. Che se, come dicono, desiderano unirsi con Noi e con i Nostri, perché non si affrettano ad entrare nella Chiesa, « madre e maestra di tutti i seguaci di Cristo »?(…). Dunque alla Sede Apostolica, collocata in questa città che i Prìncipi degli Apostoli Pietro e Paolo consacrarono con il loro sangue; alla Sede « radice e matrice della Chiesa cattolica », ritornino i figli dissidenti, non già con l’idea e la speranza che la « Chiesa del Dio vivo, colonna e sostegno della verità » faccia getto dell’integrità della fede e tolleri i loro errori, ma per sottomettersi al magistero e al governo di lei. Volesse il cielo che toccasse a Noi quanto sinora non toccò ai nostri predecessori, di poter abbracciare con animo di padre i figli che piangiamo separati da Noi per funesta divisione; oh! se il nostro divin Salvatore « il quale vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità », ascoltando le Nostre ardenti preghiere si degnasse richiamare all’unità della Chiesa tutti gli erranti! Per tale obiettivo, senza dubbio importantissimo, disponiamo e vogliamo che si invochi l’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della divina grazia, debellatrice di tutte le eresie, aiuto dei Cristiani, affinché quanto prima ottenga il sorgere di quel desideratissimo giorno, quando gli uomini udiranno la voce del Suo divin Figlio « conservando l’unità dello Spirito nel vincolo della pace ». Voi ben comprendete, Venerabili Fratelli, quanto desideriamo questo ritorno; e bramiamo che ciò sappiano tutti i figli Nostri, non soltanto i cattolici, ma anche i dissidenti da Noi: i quali, se imploreranno con umile preghiera i lumi celesti, senza dubbio riconosceranno la vera Chiesa di Cristo e in essa finalmente entreranno, uniti con Noi in perfetta carità. Nell’attesa di tale avvenimento, auspice dei divini favori e testimone della paterna nostra benevolenza, a Voi, Venerabili Fratelli, al clero e al popolo vostro impartiamo di tutto cuore l’Apostolica Benedizione. Dato a Roma, presso San Pietro, il 6 gennaio, festa della Epifania di N.S. Gesù Cristo, l’anno 1928, sesto del Nostro Pontificato. 4 LETTERA ENCICLICA RERUM ORIENTALIUM DI SUA SANTITA PIO XI AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI ED AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI CHE HANNO PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA SULLA PROMOZIONE DEGLI STUDI ORIENTALI link al testo integrale dell’enciclica [http://www.vatican.va/holy_father/pius_xi/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19280908_rerum-orientalium_it.html] qui si presenta una semplice selezione di passaggi, evidenziati nelle parti più interessanti al nostro scopo Venerabili Fratelli, salute e Apostolica benedizione. Con quanto zelo i Nostri predecessori si siano adoperati, nei secoli passati, per promuovere gli studi e una conoscenza più profonda del mondo orientale fra i fedeli, e in modo particolare fra i sacerdoti, è noto a chiunque abbia percorso anche affrettatamente gli Annali della Chiesa Cattolica. Essi sapevano infatti assai bene che la causa sia di molti danni precedenti, sia della dolorosissima scissione che aveva strappato dalla radice dell’unità molte Chiese, un giorno floridissime, derivava come necessaria conseguenza specialmente dal vicendevole ignorarsi, dalla poca stima e dai pregiudizi nati nel tempo dei lunghi dissidî, e vedevano quindi che a tanti mali non si potrebbe recare rimedio se non rimovendo tali impedimenti. (…) Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 8 del mese di settembre, nella festa della Natività della B. V. M., dell’anno 1928, settimo del Nostro Pontificato. 5 LETTERA ENCICLICA MYSTICI CORPORIS CHRISTI DI SUA SANTITA PIO XII AI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E ALTRI ORDINARI AVENTI PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA: DEL CORPO MISTICO DI GESÙ CRISTO E DELLA NOSTRA UNIONE IN ESSO CON CRISTO link al testo integrale dell’enciclica [http://www.vatican.va/holy_father/pius_xii/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_29061943_mystici-corporis-christi_it.html] qui si presenta una semplice selezione di passaggi, evidenziati nelle parti più interessanti al nostro scopo (…) In realtà, tra i membri della Chiesa bisogna annoverare esclusivamente quelli che ricevettero il lavacro della rigenerazione, e professando la vera Fede, né da se stessi disgraziatamente si separarono dalla compagine di questo Corpo, né per gravissime colpe commesse ne furono separati dalla legittima autorità. "Poiché — dice l’Apostolo — in un solo spirito tutti noi siamo stati battezzati per essere un solo corpo, o giudei o gentili, o servi, o liberi" (I Cor. XII, 13). Come dunque nel vero ceto dei fedeli si ha un sol Corpo, un solo Spirito, un solo Signore e un solo Battesimo, così non si può avere che una sola Fede (cfr. Eph. IV, 5), sicché chi abbia ricusato di ascoltare la Chiesa, deve, secondo l’ordine di Dio, ritenersi come etnico e pubblicano (cfr. Matth. XVIII, 17). Perciò quelli che son tra loro divisi per ragioni di fede o di governo, non possono vivere nell’unita di tale Corpo e per conseguenza neppure nel suo divino Spirito(…). Per coloro che ancora non sono membri Anche questi che non appartengono al visibile organismo della Chiesa, come voi ben sapete, Venerabili Fratelli, fin dal principio del Nostro Pontificato, li affidammo alla celeste tutela ed alla celeste direzione, protestando solennemente che dietro l’esempio del buon Pastore, nulla Ci stava più a cuore che essi abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza (cfr. Lett. Enc. "Summi Pontificatus"). E quella solenne Nostra affermazione, dopo aver implorate le preghiere di tutta la Chiesa, intendiamo ripetere in questa Lettera Enciclica, con la quale abbiamo celebrato le lodi "del grande e glorioso Corpo di Cristo" (Iren. Adv. Hær., IV, 33, 7; Migne, P. G., VII, 1076): con animo straripante di amore, invitiamo tutti e singoli ad assecondare spontaneamente gli interni impulsi della divina grazia e a far di tutto per sottrarsi al loro stato in cui non possono sentirsi sicuri della propria salvezza (Pio IX "Jam nos omnes", 13 Sett. 1868: Act. Conc. Vat. C. L., VII, 10), perché, sebbene da un certo inconsapevole desiderio e anelito siano ordinati al mistico Corpo del Redentore, tuttavia sono privi di quei tanti doni ed aiuti celesti che solo nella Chiesa Cattolica è dato di godere. Rientrino perciò nella cattolica unità e tutti uniti a Noi nell’unica compagine del Corpo di Gesù Cristo, vengano con Noi all’unico Capo nella società di un gloriosissimo amore (cfr. Gelas. I, Epist. XIV: Migne, P. L., LIX, 89). Senza mai interrompere di pregare lo Spirito dell’amore e della verità, Noi li aspettiamo con le braccia aperte, non come estranei, ma quali figli che entrino nella loro stessa casa paterna. Però, mentre desideriamo che una tale preghiera salga ininterrotta a Dio da parte di tutto il Corpo mistico affinché tutti gli sviati entrino al più presto nell’unico ovile di Gesù Cristo, dichiariamo che è assolutamente necessario che ciò sia fatto di libera e spontanea volontà, non potendo credere se non chi lo vuole (cfr. August., In Jo. Ev. tract., XXVI, 2: Migne, P. L., XXX, 1607) (…). Che ancora molti, purtroppo, errano lontani dalla cattolica verità e non piegano l’animo all’afflato della grazia divina, ciò avviene perché né essi (cfr. August., ibidem), né i fedeli cristiani innalzano a Dio più ferventi preghiere a tal fine. Noi quindi vivamente e insistentemente esortiamo tutti coloro che sentono amore per la Chiesa, affinché, seguendo l’esempio del divin Redentore, non cessino mai di elevare tali suppliche. Dato in Roma, presso San Pietro, il giorno 29 del mese di Giugno, nella festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, nell’anno 1943, V del Nostro Pontificato. LETTERA ENCICLICA HUMANI GENERIS 6 DI SUA SANTITA PIO XII AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE PACE E COMUNIONE. "CIRCA ALCUNE FALSE OPINIONI CHE MINACCIANO DI SOVVERTIRE I FONDAMENTI DELLA DOTTRINA CATTOLICA" link al testo integrale dell’enciclica [http://www.vatican.va/holy_father/pius_xii/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_12081950_humani-generis_it.html] qui si presenta una semplice selezione di passaggi, evidenziati nelle parti più interessanti al nostro scopo (…) Si nota poi un altro pericolo, e tanto più grave, perché si copre maggiormente con l'apparenza della virtù. Molti, deplorando la discordia e la confusione che regna nelle menti umane, mossi da uno zelo imprudente e spinti da uno slancio e da un grande desiderio di rompere i confini con cui sono fra loro divisi i buoni e gli onesti; essi abbracciano perciò una specie di "irenismo" che, omesse le questioni che dividono gli uomini, non cerca solamente di ricacciare, con unità di forze, l'irrompente ateismo, ma anche di conciliare le opposte posizioni nel campo stesso dogmatico (…). Purtroppo questi amatori delle novità facilmente passano dal disprezzo della teologia scolastica allo spregio verso lo stesso Magistero della Chiesa che ha dato, con la sua autorità, una cosi notevole approvazione a quella teologia. Questo Magistero viene da costoro fatto apparire come un impedimento al progresso e un ostacolo per la scienza; da alcuni acattolici poi viene considerato come un freno, ormai ingiusto, con cui alcuni teologi più colti verrebbero trattenuti dal rinnovare la loro scienza (…). Conclusione Cerchiamo con ogni sforzo e con passione di concorrere al progresso delle scienze che insegnano; ma si guardino anche dall'oltrepassare i confini da Noi stabiliti per la difesa della fede e della dottrina cattolica. Alle nuove questioni, che la cultura moderna e il progresso hanno fatto diventare di attualità, diano l'apporto delle loro accuratissime ricerche, ma con la conveniente prudenza e cautela; infine, non abbiano a credere, per un falso "irenismo", che si possa ottenere un felice ritorno nel seno della Chiesa dei dissidenti e degli erranti, se non si insegna a tutti, sinceramente, tutta la verità in vigore nella Chiesa, senza alcuna corruzione e senza alcuna diminuzione (…). Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 22 del mese di Agosto dell'anno 1950, XII del Nostro Pontificato. 7 ALLOCUZIONE DEL SANTO PADRE GIOVANNI XXIII CON LA QUALE ANNUNCIA IL SINODO ROMANO, IL CONCILIO ECUMENICO E L'AGGIORNAMENTO DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO* Domenica, 25 gennaio 1959 link al testo integrale dell’allocuzione [http://www.vatican.va/holy_father/john_xxiii/speeches/1959/documents/hf_j-xxiii_spe_19590125_annuncio_it.html] qui si presenta una semplice selezione di passaggi, evidenziati nelle parti più interessanti al nostro scopo (…) Venerabili Fratelli e Diletti Figli Nostri! Pronunciamo innanzi a voi, certo tremando un poco di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito, il nome e la proposta della duplice celebrazione: di un Sinodo Diocesano per l'Urbe, e di un Concilio Ecumenico per la Chiesa universale. Per voi, Venerabili Fratelli e Diletti Figli Nostri, non occorrono illustrazioni copiose circa la significazione storica e giuridica di queste due proposte. Esse condurranno felicemente all'auspicato e atteso aggiornamento del Codice di Diritto Canonico, che dovrebbe accompagnare e coronare questi due saggi di pratica applicazione dei provvedimenti di ecclesiastica disciplina, che lo Spirito del Signore Ci verrà suggerendo lungo la via. La prossima promulgazione del Codice di Diritto Orientale ci dà il preannunzio di questi avvenimenti. Per la giornata odierna basta questa comunicazione fatta a tutto insieme il Sacro Collegio qui radunato, riservandoCi di trasmetterla agli altri Signori Cardinali tornati alle varie sedi episcopali loro affidate, sparse nel mondo intero. Gradiremo da parte di ciascuno dei presenti e dei lontani una parola intima e confidente che Ci assicuri circa le disposizioni dei singoli e Ci offra amabilmente tutti quei suggerimenti circa la attuazione di questo triplice disegno. La conoscenza che Ci era già abbastanza familiare, e che questi tre mesi dalla Nostra introduzione al servizio « servorum Dei » ha confermata ed amplificata, Ci incoraggia a confidare nella grazia celeste: innanzitutto nella intercessione della Immacolata Madre di Gesù e Madre nostra, nella protezione dei Santi Pietro e Paolo « Apostolorum Principum »; nonché dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista, Nostri particolari patroni, e di tutti i Santi della Curia celeste. Da tutti imploriamo un buon inizio, continuazione, e felice successo di questi propositi di forte lavoro, a lume, ad edificazione ed a letizia di tutto il popolo cristiano, a rinnovato invito ai fedeli delle Comunità separate a seguirci anch'esse amabilmente in questa ricerca di unità e di grazia, a cui tante anime anelano da tutti i punti della terra. 8 LETTERA ENCICLICA UT UNUM SINT DI SUA SANTITA GIOVANNI PAOLO II SULL’IMPEGNO ECUMENICO link al testo integrale [http://www.vatican.va/edocs/ITA1225/_INDEX.HTM] qui si presenta una semplice selezione di passaggi, evidenziati nelle parti più interessanti al nostro scopo 1. (…) La testimonianza coraggiosa di tanti martiri del nostro secolo, appartenenti anche ad altre Chiese e Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica, infonde nuova forza all'appello conciliare e ci richiama l'obbligo di accogliere e mettere in pratica la sua esortazione. Questi nostri fratelli e sorelle, accomunati nell'offerta generosa della loro vita per il Regno di Dio, sono la prova più significativa che ogni elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale di sé alla causa del Vangelo (…). 2. (…) Tuttavia, oltre alle divergenze dottrinali da risolvere, i cristiani non possono sminuire il peso delle ataviche incomprensioni che essi hanno ereditato dal passato, dei fraintendimenti e dei pregiudizi degli uni nei confronti degli altri. Non di rado, poi, l'inerzia, l'indifferenza ed una insufficiente conoscenza reciproca aggravano tale situazione. Per questo motivo, l'impegno ecumenico deve fondarsi sulla conversione dei cuori e sulla preghiera, le quali indurranno anche alla necessaria purificazione della memoria storica. Con la grazia dello Spirito Santo, i discepoli del Signore, animati dall'amore, dal coraggio della verità e dalla volontà sincera di perdonarsi a vicenda e di riconciliarsi, sono chiamati a riconsiderare insieme il loro doloroso passato e quelle ferite che esso continua purtroppo a provocare anche oggi. Sono invitati dalla forza sempre giovane del Vangelo a riconoscere insieme con sincera e totale obiettività gli errori commessi e i fattori contingenti intervenuti all'origine delle loro deprecabili separazioni. Occorre un pacato e limpido sguardo di verità, vivificato dalla misericordia divina, capace di liberare gli spiriti e di suscitare in ciascuno una rinnovata disponibilità, proprio in vista dell'annuncio del Vangelo agli uomini di ogni popolo e nazione. 4. (…) Il Vescovo di Roma in prima persona deve far sua con fervore la preghiera di Cristo per la conversione, che è indispensabile a "Pietro" per poter servire i fratelli. Di cuore chiedo che partecipino a questa preghiera i fedeli della Chiesa cattolica e tutti i cristiani. Insieme a me, tutti preghino per questa conversione. 8. (…)Il Concilio Vaticano II esprime la decisione della Chiesa di assumere il compito ecumenico a favore dell'unità dei cristiani e di proporlo con convinzione e con vigore: "Questo Santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all'opera ecumenica". (…) La Chiesa cattolica accoglie con speranza l'impegno ecumenico come un imperativo della coscienza cristiana illuminata dalla fede e guidata dalla carità (…). 10. (…) Il Concilio dice che "la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui" e nel contempo riconosce che "al di fuori del suo organismo visibile si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica". "Perciò le Chiese e Comunità separate, quantunque crediamo che abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto prive di significato e valore. Lo spirito di Cristo infatti non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, la cui efficacia deriva dalla stessa pienezza di grazia e di verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica". 11. In questo modo la Chiesa cattolica afferma che, durante i duemila anni della sua storia, è stata conservata nell'unità con tutti i beni con i quali Dio vuole dotare la sua Chiesa, e ciò malgrado le crisi 9 spesso gravi che l'hanno scossa, le carenze di fedeltà di alcuni suoi ministri e gli errori in cui quotidianamente si imbattono i suoi membri. La Chiesa cattolica sa che, in nome del sostegno che le proviene dallo Spirito, le debolezze, le mediocrità, i peccati, a volte i tradimenti di alcuni dei suoi figli, non possono distruggere ciò che Dio ha infuso in essa in funzione del suo disegno di grazia. Anche "le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt 16,18). Tuttavia la Chiesa cattolica non dimentica che molti nel suo seno opacizzano il disegno di Dio. Evocando la divisione dei cristiani, il Decreto sull'ecumenismo non ignora la "colpa di uomini di entrambe le parti", riconoscendo che la responsabilità non può essere attribuita unicamente agli "altri". Per grazia di Dio, non è stato però distrutto ciò che appartiene alla struttura della Chiesa di Cristo e neppure quella comunione che permane con le altre Chiese e Comunità ecclesiali. Infatti, gli elementi di santificazione e di verità presenti nelle altre Comunità cristiane, in grado differenziato dall'una all'altra, costituiscono la base oggettiva della pur imperfetta comunione esistente tra loro e la Chiesa cattolica. Nella misura in cui tali elementi si trovano nelle altre Comunità cristiane, l'unica Chiesa di Cristo ha in esse una presenza operante. Per questo motivo il Concilio Vaticano II parla di una certa comunione, sebbene imperfetta. La Costituzione Lumen gentium sottolinea che la Chiesa cattolica "sa di essere per più ragioni unita" a queste Comunità con una certa vera unione nello Spirito Santo. (…). 12. (…) Il Decreto conciliare sull'ecumenismo, riferendosi alle Chiese ortodosse, è pervenuto in particolare a dichiarare che "per mezzo della celebrazione dell'Eucaristia del Signore in queste singole Chiese la Chiesa di Dio è edificata e cresce". Riconoscere tutto questo è una esigenza di verità. 13. (…) Oltre i limiti della comunità cattolica non c'è il vuoto ecclesiale. Parecchi elementi di grande valore (eximia) che, nella Chiesa cattolica sono integrati alla pienezza dei mezzi di salvezza e dei doni di grazia che fanno la Chiesa, si trovano anche nelle altre Comunità cristiane. 14. Tutti questi elementi portano in sé il richiamo all'unità per trovare in essa la loro pienezza. Non si tratta di sommare insieme tutte le ricchezze disseminate nelle Comunità cristiane, al fine di pervenire ad una Chiesa a cui Dio mirerebbe per il futuro. Secondo la grande Tradizione attestata dai Padri d'Oriente e d'Occidente, la Chiesa cattolica crede che nell'evento di Pentecoste Dio ha già manifestato la Chiesa nella sua realtà escatologica, che egli preparava "sin dal tempo di Abele il Giusto". Essa è già data. Per questo motivo noi siamo già nei tempi ultimi. Gli elementi di questa Chiesa già data esistono, congiunti nella loro pienezza, nella Chiesa cattolica e, senza tale pienezza, nelle altre Comunità, dove certi aspetti del mistero cristiano sono stati a volte messi più efficacemente in luce. L'ecumenismo intende precisamente far crescere la comunione parziale esistente tra i cristiani verso la piena comunione nella verità e nella carità. 56. Dopo il Concilio Vaticano II e ricollegandosi a quella tradizione, si è ristabilito l'uso di attribuire l'appellativo di "Chiese sorelle" alle Chiese particolari o locali radunate attorno al loro Vescovo. La soppressione poi delle reciproche scomuniche, rimovendo un doloroso ostacolo di ordine canonico e psicologico, è stato un passo molto significativo nel cammino verso la piena comunione (…). 95. Tutto questo si deve però compiere sempre nella comunione. Quando la Chiesa cattolica afferma che la funzione del Vescovo di Roma risponde alla volontà di Cristo, essa non separa questa funzione dalla missione affidata all'insieme dei Vescovi, anch'essi "vicari e delegati di Cristo". Il Vescovo di Roma appartiene al loro "collegio" ed essi sono i suoi fratelli nel ministero. Ciò che riguarda l'unità di tutte le comunità cristiane rientra ovviamente nell'ambito delle preoccupazioni del primato. Quale Vescovo di Roma so bene, e lo ho riaffermato nella presente Lettera enciclica, che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l'aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma 10 di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova (…). Lo Spirito Santo ci doni la sua luce, ed illumini tutti i pastori e i teologi delle nostre Chiese, affinché possiamo cercare, evidentemente insieme, le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri". 96. Compito immane, che non possiamo rifiutare e che non posso portare a termine da solo. La comunione reale, sebbene imperfetta, che esiste tra tutti noi, non potrebbe indurre i responsabili ecclesiali e i loro teologi ad instaurare con me e su questo argomento un dialogo fraterno, paziente, nel quale potremmo ascoltarci al di là di sterili polemiche, avendo a mente soltanto la volontà di Cristo per la sua Chiesa, lasciandoci trafiggere dal suo grido "siano anch'essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17,21)? 97. (…) La prima parte degli Atti degli Apostoli presenta Pietro come colui che parla a nome del gruppo apostolico e serve l'unità della comunità - e ciò nel rispetto dell'autorità di Giacomo, capo della Chiesa di Gerusalemme. Questa funzione di Pietro deve restare nella Chiesa affinché, sotto il suo solo Capo, che è Cristo Gesù, essa sia visibilmente nel mondo la comunione di tutti i suoi discepoli. Non è forse un ministero di questo tipo di cui molti di coloro che sono impegnati nell'ecumenismo esprimono oggi il bisogno? Presiedere nella verità e nell'amore affinché la barca - il bel simbolo che il Consiglio ecumenico delle Chiese ha scelto come emblema - non sia squassata dalle tempeste e possa un giorno approdare alla sua riva. Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 maggio, solennità dell'Ascensione del Signore, dell'anno 1995, decimosettimo di Pontificato. 11 PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL'UNITÀ DEI CRISTIANI Il carattere teologicamente vincolante del Decreto sull'ecumenismo del Concilio Vaticano II "Unitatis redintegratio" L'Osservatore Romano di Domenica 9 novembre 2003, p.6. link al testo integrale [http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/card-kasper-docs/rc_pc_chrstuni_doc_20031110_unitatis-redintegratio_it.html] qui si presenta una semplice selezione di passaggi, evidenziati nelle parti più interessanti al nostro scopo Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto, nel decreto "Unitatis redintegratio", che il movimento ecumenico è un segno dell'attività dello Spirito Santo e ha affermato di ritenere la promozione di tale movimento uno dei suoi compiti principali. Oggi, dopo 40 anni, il movimento ecumenico si trova in una situazione mutata. Accanto ai progressi, si sente il peso di vecchie e nuove divisioni: il processo di avvicinamento dura, evidentemente, più a lungo di quanto molti pensassero in una prima ottimistica fase (…). Sia le difficoltà, sia i fraintendimenti portano, talvolta, a guardare al movimento ecumenico con diffidenza. Allora, spesso si mette in dubbio il carattere teologicamente vincolante del Decreto conciliare "Unitatis redintegratio". Come argomento, si adduce che tale documento non è una Costituzione dogmatica, ma "solo" un Decreto, che non ha carattere dottrinale vincolante - o tutt'al più lo possiede in forma minima - ed ha solamente importanza pastorale e disciplinare. I. A prima vista questa tesi sembra evidente. In realtà, se si osservano le cose con più precisione, non lo è affatto. Comunque, tale tesi non può esser dedotta dal solo uso delle parole. Infatti, il Concilio di Trento ha solo decreti; però sotto tale nome ha approvato documenti dogmaticamente importanti e vincolanti. A differenza di Trento, il Vaticano II distingue tra Costituzioni e Decreti; però il Concilio non ha spiegato questa differenziazione, o, almeno, non in modo da giustificare la tesi suddetta. Le dichiarazioni del Papa Paolo VI all'atto della solenne promulgazione di "Unitatis redintegratio" vanno in altra direzione. Già all'inizio della seconda sessione del Concilio, il Papa, in un discorso di carattere fondamentale, dichiarò che l'avvicinamento ecumenico era uno degli scopi - per così dire il dramma spirituale - in ragione del quale il Concilio era stato convocato. Se si tiene in debito conto questa dichiarazione, tutti i testi del Concilio debbono essere letti in prospettiva ecumenica. Quando fu promulgato il Decreto sull'ecumenismo, alla fine della terza sessione (assieme alla Costituzione dogmatica sulla Chiesa), il Papa Paolo VI affermò che il Decreto spiega e completa la Costituzione sulla Chiesa: "ea doctrina, explicationibus completa in Schemate "De Oecumenismo" comprehensis, [...]". Egli ha dunque strettamente collegato, quanto a importanza teologica, tale Decreto alla Costituzione sulla Chiesa. Infine, nella sua allocuzione conclusiva dell'8 dicembre 1965 (d'accordo con il discorso di apertura del Papa Giovanni XXIII) dichiarò che il Concilio nel suo complesso, e quindi anche la Costituzione dogmatica, aveva un orientamento pastorale. E non lasciò dubbi circa il fatto che l'orientamento pastorale non escludeva né relativizzava i pronunciamenti dottrinali, ma, al contrario, aveva come fondamento l'insegnamento della Chiesa. Effettivamente, non c'è pastorale che meriti tale nome senza fondamento nell'insegnamento della Chiesa; ma non c'è neppure insegnamento della Chiesa che sia solo dottrina senza scopi pastorali. Già il Concilio Vaticano I aveva dichiarato che l'insegnamento della Chiesa deve essere interpretato in vista dell'ultimo destino dell'uomo (DS 3016). Perciò, così come la pastorale deve lasciarsi guidare dall'insegnamento della Chiesa, allo stesso modo quest'ultimo deve essere interpretato guardando all'uomo e al suo destino, cioè in senso pastorale. Quindi il punto di vista della salus animarum quale suprema lex è un fondamentale principio di interpretazione non solo del diritto canonico (CIC 1752), ma anche dell'insegnamento della Chiesa. Derivano da qui importanti punti di vista per l'ermeneutica dei testi conciliari. Come non è lecito separare "Unitatis redintegratio" da "Lumen gentium" e interpretare il Decreto nel senso di un relativismo dogmatico e di un indifferentismo, allo stesso modo "Unitatis redintegratio" indica in quale direzione debbono essere spiegate le asserzioni (in più di un punto di vista aperte) di "Lumen gentium"; cioè nel senso di un'apertura ecumenica teologicamente responsabile. Dunque l'opposizione fra carattere dottrinalmente vincolante da una parte e carattere pastorale o disciplinare dall'altra non 12 esiste. Voler degradare dal punto di vista teologico il Decreto sull'Ecumenismo andrebbe piuttosto in senso contrario all'intenzione ecumenica globale del Concilio Vaticano II (…). …difficilmente si potrà contestare che il primo capitolo di "Unitatis redintegratio" (in cui vengono esposti i "principi cattolici dell'ecumenismo") contenga affermazioni vincolanti, che o sintetizzano o sviluppano ulteriormente le corrispondenti affermazioni di "Lumen gentium". Citazioni esplicite di affermazioni dogmatiche dei Concili precedenti (il IV Concilio Lateranense, il II Concilio di Lione, il Concilio di Firenze, il Concilio Vaticano I) confermano che si tratta di affermazioni teologicamente vincolanti, anche se non si tratta sempre di definizioni infallibili obbliganti in modo ultimativo. Al contrario, soprattutto nel terzo capitolo (relativo alle "Chiese e Comunità ecclesiali separate dalla Sede apostolica romana"), si trovano affermazioni storiche, che per loro natura non possono essere teologicamente obbliganti, anche se pure qui si trovano asserzioni che non lasciano dubbi sul fatto che siano intese in senso vincolante. Così si dice per esempio: "il Sacro Concilio dichiara" (UR 16), "questo Sacro Concilio dichiara" (UR 17), "considerate bene tutte queste cose, questo Sacro Concilio inculca" (UR 18). Tali formulazioni non sono in nulla inferiori a corrispondenti formulazioni di "Lumen gentium". L'ermeneutica di "Unitatis redintegratio" e il giudizio sul carattere teologicamente vincolante di questo documento, dunque, non può avvenire in modo globale, ma differenziato. Riuscire a fare questo in ogni singolo caso è frutto di un lavoro faticoso, da cui nessuno si può dispensare con giudizi di carattere generale. III. L'interpretazione di "Unitatis redintegratio", comunque, non si può fermare all'accertamento del grado di obbligatorietà di ogni singola affermazione. Dopo aver accertato il carattere formalmente vincolante di un'affermazione, si pone il problema dell'interpretazione del suo contenuto (…). Accenniamo in breve a tre di tali regole. In primo luogo: è fondamentale l'interpretazione storica. Vale qui la regola che non si può invocare un vago spirito del Concilio, ma si deve partire dal tenore verbale delle affermazioni. Il che significa, allo stesso tempo, che si deve badare, volta per volta, a ciò che il Concilio voleva dire. E questo risulta soprattutto dallo studio degli atti del Concilio (…). In secondo luogo: Interpretazione alla luce della tradizione. Nessun Concilio è a sé stante, ma ogni Concilio si colloca nella scia della tradizione di tutti gli altri. Così, il Decreto "Unitatis redintegratio" si richiama alla confessione di fede della Chiesa e ai Concili più antichi. Sarebbe perciò falso interpretare il Concilio Vaticano II, e specialmente il Decreto sull'ecumenismo, come rottura con la tradizione. Effettivamente tale Concilio è dovuto, non da ultimo, a un resourcement, a un ritorno alle fonti; in esso si è trattato di una nuova attualizzazione della Tradizione e, in questo senso, di un suo aggiornamento (un concetto che nei documenti stessi del Concilio non si trova in nessun posto). Certamente ci si deve chiedere che cos'è che significhi "tradizione" in senso teologico e, facendolo, bisogna distinguere fra l'unica Tradizione e le molte tradizioni. L'apertura ecumenica del Concilio Vaticano II non è una rottura con la Tradizione nel senso teologico della parola; però, è senz'altro una voluta modificazione di singole tradizioni, per lo più relativamente recenti. Così, è indiscutibile che il Concilio vada coscientemente oltre le affermazioni, difensive e proibitive, del Papa Pio XI in "Mortalium animos" (1928) e che, in questo senso, realizzi un salto di qualità. Così intese, tradizione e innovazione non sono affatto in opposizione (…). Il Concilio ha inteso la Tradizione come una realtà viva, ripiena di Spirito Santo; ossia, tanto come fedeltà al Depositum fidei, che abbiamo ricevuto in eredità una volta per tutte, quanto come sempre rinnovato "ringiovanire", nelle situazioni perennemente nuove. Tale interpretazione viva, che avviene sotto la guida dello Spirito Santo, non ha nulla da spartire con un facile adattamento allo spirito del tempo; al contrario, spesso essa può far valere l'attualità della Tradizione solo attraverso una profetica testimonianza contro lo spirito del tempo. Il documento conciliare "Unitatis redintegratio", dunque, deve essere interpretato in continuità con tutti i Concili. E tale continuità deve essere intesa non come una realtà morta e pietrificata, ma come un avvenimento vivo, mediante il quale lo Spirito Santo ci introduce sempre di nuovo nella pienezza della verità (Gv 16, 13). È Lui - dice s. Ireneo di Lione - che mantiene il Depositum fidei giovane e 13 "rugiadoso", e che conserva l'unico e medesimo Vangelo non come un qualcosa di eternamente trascorso, ma di inesauribilmente giovane. In terzo luogo: L'importanza della recezione del Concilio. Comprendere la Tradizione come realtà viva implica che non solo in "Unitatis redintegratio", ma anche in molti altri testi del Concilio Vaticano II (anche in "Lumen gentium") spesso si trovino immediatamente affiancate nova et vetera. Questo appare come un compromesso. Tuttavia, non sempre si tratta di un "cattivo compromesso", atteso che un compromesso intelligente può essere un'impresa intellettuale di alto valore e un'espressione di grande saggezza, per il fatto che, mentre da un lato esclude chiaramente l'errore, dall'altro, per il momento, lascia sussistere - per amore dell'unità nell'essenziale - differenze intraecclesiali insuperabili, rimandando la loro soluzione alla discussione futura. Neppure i Concili più antichi - come ben sa ogni studioso di storia dei dogmi - hanno potuto fare a meno di tali formule di compromesso; cosa che poi ha portato a un laborioso processo di recezione. I Concili di Nicea (325) e Calcedonia (451) e la storia che ad essi è seguita sono, al riguardo, esempi eloquenti. (16) Perciò, chi critica "Unitatis redintegratio" a causa di alcune formulazioni non del tutto "mature", dovrebbe criticare anche le Costituzioni dogmatiche del Concilio Vaticano II ed elementi essenziali della storia più antica dei Concili. Le formulazioni di un Concilio, nonostante ogni sicura esenzione dall'errore, sono sempre anche formulazioni aperte, la cui definizione mette in moto un processo di vivente recezione (…). Svalutare, dunque, "Unitatis redintegratio", a 40 anni dalla promulgazione, vorrebbe dire collocarsi al di sopra di un Concilio ecumenico, al di sopra dell'autentico Magistero della Chiesa, al di sopra della vita della Chiesa (che è guidata dallo Spirito Santo); vorrebbe dire resistere allo stesso Spirito, che ha spinto in avanti questo processo con i suoi alti e bassi, con i suoi problemi ma, molto di più ancora, con i suoi molti aspetti ricchi di speranza. Perciò, nella mutata situazione ecumenica, noi (in fedeltà alla Tradizione della Chiesa e alla luce dei principi dottrinali cattolici, ma anche con coraggio e fantasia) abbiamo ogni motivo per far sì che "Unitatis redintegratio" sviluppi la sua vitalità tanto nella teologia, quanto nella prassi. Card. WALTER KASPER Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani 14 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE DICHIARAZIONE RIGUARDANTE ALCUNI ERRORI CIRCA LA DOTTRINA CATTOLICA SULLA CHIESA Mysterium Ecclesiae link al testo integrale della dichiarazione (in latino, e in una traduzione italiana disponibile in rete) [http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19730705_mysterium-ecclesiae_lt.html] [http://www.zaccariaelisabetta.it/DICHIAR.%20CHIESA.htm] qui si presenta una semplice selezione di passaggi, evidenziati nelle parti più interessanti al nostro scopo 1. L’unicità della Chiesa di Cristo Unica è la Chiesa « che il nostro Salvatore, dopo la sua risurrezione, lasciò alla cura pastorale di Pietro (cf Gv 21,17), della quale affidò a lui e agli altri Apostoli la diffusione e la guida (cf Mt 18,18ss.), e che costituì per sempre come colonna e sostegno della verità (cf 1 Tim 3,15) »; e tale Chiesa di Cristo, « costituita e organizzata come società in questo mondo, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui ». Questa dichiarazione del Concilio Vaticano II è illustrata dalle parole dello stesso Concilio, quando afferma che « solo… mediante la Chiesa cattolica di Cristo, strumento universale di salvezza, è possibile entrare nel pieno possesso di tutti i mezzi di salvezza »; e che la medesima Chiesa cattolica « è stata arricchita di tutta la verità divinamente rivelata e di tutti i mezzi di grazia », di cui Cristo ha voluto dotare la sua comunità messianica. Ciò non toglie che essa, mentre è ancora pellegrina sulla terra, « poiché comprende peccatori nel suo seno, sia insieme santa e bisognosa di continua purificazione »; e nemmeno che « al di fuori della sua struttura » e, più espressamente, nelle Chiese o comunità ecclesiali, che non sono in perfetta comunione con la Chiesa cattolica, « si trovino in quantità elementi di santificazione e di verità che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono all’unità cattolica ». Per tali ragioni, « è necessario che i cattolici riconoscano con gioia ed apprezzino i valori genuinamente cristiani, derivanti dallo stesso patrimonio comune, che si riscontrano presso i fratelli da noi separati »; e che, in un comune sforzo di purificazione e di rinnovamento, si impegnino per la ricomposizione dell’unità tra tutti i cristiani, affinché la volontà di Cristo si compia e la divisione dei cristiani più non continui ad ostacolare la proclamazione del Vangelo nel mondo. Ma, al tempo stesso, i cattolici sono tenuti a professare di appartenere, per misericordioso dono di Dio, alla Chiesa fondata da Cristo e guidata dai successori di Pietro e degli altri Apostoli, presso i quali permane, intatta e viva, l’originaria tradizione apostolica, che è patrimonio perenne di verità e di santità della medesima Chiesa. Non possono, quindi, i fedeli immaginarsi la Chiesa di Cristo come la somma – differenziata ed in qualche modo unitaria insieme – delle Chiese e comunità ecclesiali; né hanno facoltà di pensare che la Chiesa di Cristo oggi non esista più in alcun luogo e che, perciò, debba esser soltanto oggetto di ricerca da parte di tutte le Chiese e comunità. Il Sommo Pontefice per divina Provvidenza Papa Paolo VI, nell’Udienza concessa al sottoscritto Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il giorno 11 del mese di maggio 1973, ha ratificato e confermato questa Dichiarazione circa la dottrina cattolica sulla Chiesa per difenderla da alcuni errori d’oggi, e ne ha ordinato la pubblicazione. Dato a Roma, dalla sede della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, il 24 giugno 1973, nella solennità di San Giovanni Battista. FRANCESCO Card. ŠEPER Prefetto GIROLAMO HAMER O. P. Segretario 15 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE NOTIFICAZIONE SUL VOLUME Chiesa: Carisma e Potere. Saggio di ecclesiologia militante del padre Leonard Boff, o.f.m. link al testo integrale della notificazione [http://host.uniroma3.it/progetti/cedir/cedir/Lex-doc/SCV_SS/DO_Boff.pdf] qui si presenta una semplice selezione di passaggi, evidenziati nelle parti più interessanti al nostro scopo La struttura della Chiesa L. Boff si colloca, secondo le sue stesse parole, all'interno di un orientamento, nel quale si afferma "che la chiesa come istituzione non stava nel pensiero del Gesù storico, ma è sorta come evoluzione posteriore alla risurrezione, specialmente con il progressivo processo di disescatologizzazione" (p. 129). Conseguentemente la gerarchia è per lui "un risultato" della "ferrea necessità di doversi istituzionalizzare", "una mondanizzazione", nello "stile romano e feudale" (p. 70). Da qui deriva la necessità dì un "cambiamento permanente della chiesa" (p. 112); oggi deve emergere una "chiesa nuova" (p. 110 e passim), la quale sarà "una nuova incarnazione delle istituzioni ecclesiali nella società, il cui potere sarà una semplice funzione di servizio" (p. 111). Nella logica di queste affermazioni si spiega anche la sua interpretazione delle relazioni tra cattolicesimo e protestantesimo: "A noi pare che il cristianesimo romano (cattolicesimo) si distingua per l'affermazione coraggiosa dell'identità sacramentale e il cristianesimo protestante per un'affermazione intrepida della non- identità" (p. 130; cf pp. 132 ss., 149). In questa visione entrambe le confessioni sarebbero mediazioni incomplete, appartenenti a un processo dialettico di affermazione e di negazione. In questa dialettica "si mostra che cos'è il cristianesimo. Che cosa sia, non sappiamo. Sappiamo solamente quello che mostra di essere, nel processo storico" (p. 138). Per giustificare questa concezione relativizzante della Chiesa che sta a fondamento delle critiche radicali rivolte alla struttura gerarchica della Chiesa cattolica L. Boff si appella alla Costituzione Lumen gentium (n. 8) del Concilio Vaticano II. Dalla famosa espressione del Concilio "Haec Ecclesia (sc. unica Christi Ecclesia) ... subsistit in Ecclesia Catholica", egli ricava una tesi esattamente contraria al significato autentico del testo conciliare, quando afferma: "Di fatto essa (sc. l'unica Chiesa di Cristo) può pure sussistere in altre chiese cristiane" (p. 131). Il Concilio aveva invece scelto la parola "subsistit" proprio per chiarire che esiste una sola "sussistenza" della vera Chiesa, mentre fuori della sua compagine visibile esistono solo "elementa Ecclesiae" che essendo elementi della stessa Chiesa tendono e conducono verso la Chiesa cattolica (LG 8). Il Decreto sull'ecumenismo esprime la stessa dottrina (UR 3- 4), la quale fu di nuovo precisata nella Dichiarazione Mysterium Ecclesiae, n. 1 (AAS LXV [1973], pp. 396-398). Il capovolgimento del significato del testo conciliare sulla sussistenza della Chiesa sta alla base del relativismo ecclesiologico di L. Boff sopra delineato, nel quale si sviluppa e si esplicita un profondo fraintendimento della fede cattolica circa la Chiesa di Dio nel mondo. Conclusione Nel rendere pubblico quanto sopra la Congregazione si sente altresì obbligata a dichiarare che le opzioni di L. Boff qui analizzate sono tali da mettere in pericolo la sana dottrina della fede, che questa stessa Congregazione ha il compito di promuovere e di tutelare. Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienzaaccordata al sottoscritto Prefetto, ha approvato la presente Notificazione, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione. Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, 11 marzo 1985. Joseph Card. Ratzinger Prefetto Alberto Bovone Arcivescovo tit. di Cesarea di Numidia Segretario 16 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE LETTERA AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA SU ALCUNI ASPETTI DELLA CHIESA INTESA COME COMUNIONE link al testo integrale della lettera [http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_28051992_communionis-notio_it.html] qui si presenta una semplice selezione di passaggi, evidenziati nelle parti più interessanti al nostro scopo (…) Infatti, ontologicamente, la Chiesa-mistero, la Chiesa una ed unica secondo i Padri precede la creazione, e partorisce le Chiese particolari come figlie, si esprime in esse, è madre e non prodotto delle Chiese particolari. Inoltre, temporalmente, la Chiesa si manifesta nel giorno di Pentecoste nella comunità dei centoventi riuniti attorno a Maria e ai dodici Apostoli, rappresentanti dell'unica Chiesa e futuri fondatori delle Chiese locali, che hanno una missione orientata al mondo: già allora la Chiesa parla tutte le lingue. Da essa, originata e manifestatasi universale, hanno preso origine le diverse Chiese locali, come realizzazioni particolari dell'una ed unica Chiesa di Gesù Cristo. Nascendo nella e dalla Chiesa universale, in essa e da essa hanno la loro ecclesialità. Perciò, la formula del Concilio Vaticano II: La Chiesa nelle e a partire dalle Chiese (Ecclesia in et ex Ecclesiis)(44), è inseparabile da quest'altra: Le Chiese nella e a partire dalla Chiesa (Ecclesiae in et ex Ecclesia). E' evidente la natura misterica di questo rapporto tra Chiesa universale e Chiese particolari, che non è paragonabile a quello tra il tutto e le parti in qualsiasi gruppo o società puramente umana. V. - COMUNIONE ECCLESIALE ED ECUMENISMO 17. « Con coloro che, battezzati, sono sì insigniti del nome cristiano, ma non professano la fede integrale o non conservano l'unità della comunione sotto il Successore di Pietro, la Chiesa sa di essere per più ragioni unita. Nelle Chiese e Comunità cristiane non cattoliche esistono infatti molti elementi della Chiesa di Cristo che permettono di riconoscere con gioia e speranza una certa comunione, sebbene non perfetta. Tale comunione esiste specialmente con le Chiese orientali ortodosse: per quanto separate dalla Sede di Pietro, esse restano unite alla Chiesa Cattolica per mezzo di strettissimi vincoli, quali la successione apostolica e l'Eucaristia valida, e meritano perciò il titolo di Chiese particolari. Infatti, « con la celebrazione dell'Eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce, poichè in ogni valida celebrazione dell'Eucaristia si fa veramente presente la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica. Siccome però la comunione con la Chiesa universale, rappresentata dal Successore di Pietro, non è un complemento esterno alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi costitutivi interni, la situazione di quelle venerabili comunità cristiane implica anche una ferita nel loro essere Chiesa particolare. La ferita è ancora molto più profonda nelle comunità ecclesiali che non hanno conservato la successione apostolica e l'Eucaristia valida. Ciò, d'altra parte, comporta pure per la Chiesa Cattolica, chiamata dal Signore a diventare per tutti « un solo gregge e un solo pastore, una ferita in quanto ostacolo alla realizzazione piena della sua universalità nella storia. 18. Questa situazione richiama fortemente tutti all'impegno ecumenico verso la piena comunione nell'unità della Chiesa Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Lettera, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione. Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 28 maggio 1992. Joseph Card. Ratzinger Prefetto Alberto Bovone Segretario CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE 17 NOTA SULL'ESPRESSIONE «CHIESE SORELLE» link al testo integrale della lettera e della nota allegata [http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20000630_chiese-sorelle_it.html] qui si presenta una semplice selezione di passaggi, evidenziati nelle parti più interessanti al nostro scopo A. LETTERA AI PRESIDENTI DELLE CONFERENZE EPISCOPALI (…) Purtroppo recentemente l’uso di tale espressione [chiese sorelle] è stato esteso in certe pubblicazioni e da alcuni teologi, impegnati nel dialogo ecumenico, per indicare la Chiesa cattolica da un lato e la Chiesa ortodossa dall’altro, inducendo a pensare che nella realtà non esisterebbe l’unica Chiesa di Cristo, ma essa potrà essere di nuovo ristabilita a seguito della riconciliazione tra le due Chiese sorelle. Inoltre la medesima espressione viene da taluni indebitamente applicata al rapporto tra la Chiesa cattolica d’una parte e la Comunione anglicana e le Comunità ecclesiali non cattoliche dall’altra. Così si parla di una «teologia delle Chiese sorelle» o di una «ecclesiologia delle Chiese sorelle», caratterizzate da un’ambiguità e da una discontinuità nell’uso e nel significato di questa parola rispetto alla sua accezione corretta originaria, propria dei Documenti magisteriali. (…) 10. Infatti, in senso proprio, Chiese sorelle sono esclusivamente le Chiese particolari (o i raggruppamenti di Chiese particolari: ad esempio, i Patriarcati e le Metropolie) tra di loro. Deve rimanere sempre chiaro, anche quando l’espressione Chiese sorelle viene usata in questo senso proprio, che la Chiesa universale, una, santa, cattolica ed apostolica, non è sorella ma madre di tutte le Chiese particolari. 11. Si può parlare di Chiese sorelle, in senso proprio, anche in riferimento a Chiese particolari cattoliche e non cattoliche; e pertanto anche la Chiesa particolare di Roma può essere detta sorella di tutte le Chiese particolari. Ma, come è stato già richiamato, non si può dire propriamente che la Chiesa Cattolica sia sorella di una Chiesa particolare o gruppo di Chiese. Non si tratta soltanto di una questione terminologica, ma soprattutto di rispettare una fondamentale verità della fede cattolica: quella cioè dell’unicità della Chiesa di Gesù Cristo. Esiste infatti un’unica Chiesa, e perciò il plurale Chiese si può riferire soltanto alle Chiese particolari. Di conseguenza è da evitare come fonte di malintesi e di confusione teologica l’uso di formule come «le nostre due Chiese», che insinuano –se applicate alla Chiesa cattolica e all’insieme delle Chiese ortodosse (o di una Chiesa ortodossa)– un plurale non soltanto a livello di Chiese particolari, ma anche a livello della Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, confessata nel Credo, la cui esistenza reale appare così offuscata. 12. Infine si deve anche tenere presente che l’espressione Chiese sorelle in senso proprio, come è testimoniato dalla Tradizione comune di Occidente e Oriente, può essere adoperata esclusivamente per quelle comunità ecclesiali che hanno conservato il valido Episcopato e la valida Eucaristia. Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 30 giugno 2000, Solennità del Sacro Cuore di Gesù. Joseph Ratzinger prefetto Tarcisio Bertone, S.D.B. segretario 18 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE DICHIARAZIONE "DOMINUS IESUS" CIRCA L'UNICITÀ E L'UNIVERSALITÀ SALVIFICA DI GESÙ CRISTO E DELLA CHIESA link al testo integrale della dichiarazione [http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20000806_dominus-iesus_it.html] qui si presenta una semplice selezione di passaggi, evidenziati nelle parti più interessanti al nostro scopo …Con l'espressione «subsistit in», il Concilio Vaticano II volle armonizzare due affermazioni dottrinali: da un lato che la Chiesa di Cristo, malgrado le divisioni dei cristiani, continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa Cattolica, e dall'altro lato « l'esistenza di numerosi elementi di santificazione e di verità al di fuori della sua compagine », ovvero nelle Chiese e Comunità ecclesiali che non sono ancora in piena comunione con la Chiesa Cattolica.1 Ma riguardo a queste ultime, bisogna affermare che « il loro valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa Cattolica ». 17. Esiste quindi un'unica Chiesa di Cristo, che sussiste nella Chiesa Cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui. Le Chiese che, pur non essendo in perfetta comunione con la Chiesa Cattolica, restano unite ad essa per mezzo di strettissimi vincoli, quali la successione apostolica e la valida Eucaristia, sono vere Chiese particolari. Perciò anche in queste Chiese è presente e operante la Chiesa di Cristo, sebbene manchi la piena comunione con la Chiesa cattolica, in quanto non accettano la dottrina cattolica del Primato che, secondo il volere di Dio, il Vescovo di Roma oggettivamente ha ed esercita su tutta la Chiesa. Invece le comunità ecclesiali che non hanno conservato l'Episcopato valido e la genuina e integra sostanza del mistero eucaristico,61 non sono Chiese in senso proprio; tuttavia i battezzati in queste comunità sono dal Battesimo incorporati a Cristo e, perciò, sono in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa.62 Il Battesimo infatti di per sé tende al completo sviluppo della vita in Cristo mediante l'integra professione di fede, l'Eucaristia e la piena comunione nella Chiesa.63 « Non possono, quindi, i fedeli immaginarsi la Chiesa di Cristo come la somma — differenziata ed in qualche modo unitaria insieme — delle Chiese e Comunità ecclesiali; né hanno facoltà di pensare che la Chiesa di Cristo oggi non esista più in alcun luogo e che, perciò, debba esser soltanto oggetto di ricerca da parte di tutte le Chiese e comunità». Infatti «gli elementi di questa Chiesa già data esistono, congiunti nella loro pienezza, nella Chiesa Cattolica e, senza tale pienezza, nelle altre Comunità». La mancanza di unità tra i cristiani è certamente una ferita per la Chiesa; non nel senso di essere privata della sua unità, ma « in quanto la divisione è ostacolo alla realizzazione piena della sua universalità nella storia ». Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nell'Udienza concessa il giorno 16 giugno 2000 al sottoscritto Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, con certa scienza e con la sua autorità apostolica ha ratificato e confermato questa Dichiarazione, decisa nella Sessione Plenaria, e ne ha ordinato la pubblicazione. Dato a Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 6 agosto 2000, nella Festa della Trasfigurazione del Signore. JOSEPH Card. RATZINGER Prefetto TARCISIO BERTONE, S.D.B. Segretario 1 È perciò contraria al significato autentico del testo conciliare l'interpretazione di coloro che dalla formula subsistit in ricavano la tesi secondo la quale l'unica Chiesa di Cristo potrebbe pure sussistere in Chiese e Comunità ecclesiali non cattoliche. « Il Concilio aveva invece scelto la parola “subsistit” proprio per chiarire che esiste una sola “sussistenza” della vera Chiesa, mentre fuori della sua compagine visibile esistono solo “elementa Ecclesiae”, che — essendo elementi della stessa Chiesa — tendono e conducono verso la Chiesa Cattolica » (CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Notificazione sul volume « Chiesa: carisma e potere » del P. Leonardo Boff: AAS 77 [1985] 756-762). 19 CONFERENZA IN OCCASIONE DEL 40mo ANNIVERSARIO DELLA PROMULGAZIONE DEL DECRETO CONCILIARE "UNITATIS REDINTEGRATIO" (ROCCA DI PAPA, 11-13 NOVEMBRE 2004) INTERVENTO DEL CARD. WALTER KASPER, PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI Rocca di Papa, presso il Centro Mondo Migliore - Giovedì, 11 novembre 2004 Il decreto sull’ecumenismo. Una nuova lettura dopo 40 anni link al testo integrale del discorso [http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/card-kasper-docs/rc_pc_chrstuni_doc_20041111_kasper-ecumenism_it.html] qui si presenta una semplice selezione di passaggi, evidenziati nelle parti più interessanti al nostro scopo II. Ecumenismo - espressione della dinamica escatologica della Chiesa Tuttavia, con il Concilio ha inizio qualcosa di nuovo: non una nuova Chiesa, ma una Chiesa rinnovata. Papa Giovanni XXIII ha dato l’impulso iniziale. Egli può essere giustamente considerato il padre spirituale del Decreto sull’Ecumenismo: è lui che ha voluto il Concilio e che ne ha definito lo scopo: il rinnovamento all’interno della Chiesa cattolica e l’unità dei cristiani. Non è mia intenzione tracciare qui la genesi movimentata di "Unitatis redintegratio", con cui si è finalmente abbandonata la visione ristretta della Chiesa della Controriforma e post-tridentina, ed è stato promosso non un "modernismo", ma un ritorno alla tradizione biblica, patristica e altomedievale, che ha permesso una nuova e più limpida comprensione della natura della Chiesa. Il Concilio ha potuto assumere il movimento ecumenico poiché esso ha inteso la Chiesa come un movimento, cioè come il popolo di Dio in cammino (LG 2 fine; 8; 9; 48-51; UR 2 fine; e.a.). In altre parole, il Concilio ha rivalorizzato la dimensione escatologica della Chiesa, mostrando che quest’ultima non è una realtà statica, ma dinamica, è il popolo di Dio in pellegrinaggio tra il "qui" e il "non ancora". Il Concilio ha integrato il movimento ecumenico in questa dinamica escatologica. Così compreso, l’ecumenismo è la via della Chiesa (UUS 7). Non è né un’aggiunta, né un’appendice, ma è parte integrante della vita organica della Chiesa e della sua attività pastorale (UUS 20). In questa prospettiva escatologica, il movimento ecumenico è strettamente legato al movimento missionario. Ecumenismo e missione sono come due gemelli. III. "Subsistit in" – espressione di un’ecclesiologia storicamente concreta La dinamica escatologica e pneumatologica necessitava di una delucidazione concettuale. Questa chiarificazione è stata fornita dal Concilio nella Costituzione sulla Chiesa, con la formula molto discussa del "subsistit in": la Chiesa di Gesù Cristo sussiste nella Chiesa cattolica (LG 8). Il redattore principale della Costituzione sulla Chiesa, G. Philips, è stato abbastanza lungimirante da prevedere che sul significato del "subsistit in" molto inchiostro sarebbe stato ancora versato. In effetti, questo flusso d’inchiostro continua ad essere versato e probabilmente ne occorrerà ancora dell’altro prima di chiarire le questioni sollevate. Durante il Concilio, il "substit in" ha sostituito il precedente "est". Esso contiene in nuce l’intero problema ecumenico. L’"est" affermava che la Chiesa di Gesù Cristo "è" la Chiesa cattolica. Questa stretta identificazione della Chiesa di Gesù Cristo con la Chiesa cattolica è stata ribadita in seguito anche dalle Encicliche "Mystici corporis" (1943) e "Humani generis" (1950). Tuttavia, la stessa "Mystici corporis" riconosce che vi sono persone che, seppur non battezzate, appartengono alla Chiesa cattolica per loro desiderio (DS 3921). Per questo motivo, Papa Pio XII, già nel 1949, aveva condannato un’interpretazione esclusiva dell’assioma "Extra ecclesiam nulla salus". Il Concilio ha potuto fare un notevole passo avanti grazie al "subsistit in". Si è voluto rendere giustizia al fatto che, al di fuori della Chiesa cattolica, non vi sono soltanto singoli cristiani, ma anche "elementi di Chiesa", ed anche Chiese e Comunità ecclesiali che, pur non essendo in piena comunione, appartengono di diritto all’unica Chiesa e sono per i loro membri mezzi di salvezza (LG 8; 15; UR 3; UUS 10-14). Il Concilio sa dunque che, al di fuori della Chiesa cattolica, esistono forme di santità che vanno fino al martirio (LG 15; UR 4; UUS 12; 83). Di conseguenza, la questione della salvezza dei 20 non cattolici non è più risolta a livello individuale a partire dal desiderio soggettivo di un individuo, come è indicato da "Mystici corporis", ma a livello istituzionale ed in modo ecclesiologico oggettivo. La nozione del "subsistit in" significa, nell’intenzione della Commissione teologica del Concilio, che la Chiesa di Cristo ha il suo ‘luogo concreto’ nella Chiesa cattolica; nella Chiesa cattolica, si incontra la Chiesa di Cristo ed è lì che essa si trova concretamente. Non si tratta di un’entità puramente platonica o di una realtà meramente futura; essa esiste concretamente nella storia e si trova concretamente nella Chiesa cattolica. Compreso in tal modo, il "subsistit in" assume l’istanza essenziale dell’"est". Tuttavia, non descrive più il modo secondo il quale la Chiesa cattolica intende se stessa in termini di "splendid isolation" , ma prende atto della presenza operante dell’unica Chiesa di Cristo anche nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali (UUS 11), sebbene esse non siano ancora in piena comunione con lei. Nel formulare la sua identità, la Chiesa cattolica stabilisce un rapporto dialogico con queste Chiese e Comunità ecclesiali. Di conseguenza, il "subsistit in" è erroneamente interpretato quando si fa di esso il fondamento di un pluralismo e di un relativismo ecclesiologico, affermando che l’unica Chiesa di Cristo sussiste in numerose Chiese e che la Chiesa cattolica è semplicemente una Chiesa accanto ad altre. Simili teorie di pluralismo ecclesiologico contraddicono la comprensione della propria identità che la Chiesa cattolica – come d’altronde anche le Chiese ortodosse – ha sempre avuto nel corso della sua Tradizione, comprensione che lo stesso Concilio Vaticano II ha voluto fare sua. La Chiesa cattolica rivendica per sé, nel presente come nel passato, il diritto di essere la vera Chiesa di Cristo, nella quale è data tutta la pienezza dei mezzi di salvezza (UR 3; UUS 14), ma adesso essa prende coscienza di ciò in modo dialogico, tenendo conto delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Il Concilio non afferma nessuna nuova dottrina, ma motiva un nuovo atteggiamento, rinuncia al trionfalismo e formula la tradizionale comprensione della propria identità in modo realistico, storicamente concreto e, si potrebbe dire, addirittura umile. Il Concilio sa che la Chiesa è in cammino nella storia, per realizzare concretamente nella storia ciò che è ("est") la sua natura più profonda. Si ritrova questa visione umile e realistica principalmente in Lumen gentium 8, laddove il Concilio, con il "subsistit in", fa spazio non solo ad elementi della Chiesa al di fuori della sua struttura visibile, ma anche a membri e a strutture di peccato nella Chiesa stessa. Il popolo di Dio conta anche peccatori tra le sue fila, con la conseguenza che la natura spirituale della Chiesa non appare chiaramente ai fratelli separati ed al mondo, la Chiesa ha la sua parte di responsabilità nelle divisioni esistenti, e la crescita del Regno di Dio è ritardata (UR 3s.). D’altra parte, le Comunità separate a volte hanno sviluppato meglio alcuni aspetti della verità rivelata, cosicché, nella situazione di divisione, la Chiesa cattolica non può sviluppare pienamente e concretamente la propria cattolicità (UR 4; UUS 14). Per questo, la Chiesa ha bisogno di purificazione e di rinnovamento, e deve incessantemente percorrere la via della penitenza (LG 8; UR 3s; 6s; UUS 34s; 83s). Questa visione autocritica e penitente costituisce il fondamento del cammino del movimento ecumenico (UR 5-12). Essa comprende la conversione ed il rinnovamento, senza i quali non può esservi ecumenismo, ed il dialogo, che, più di uno scambio di idee, è uno scambio di doni. In questa prospettiva escatologica e spirituale, lo scopo dell’ecumenismo non può essere concepito come un semplice ritorno degli altri nel seno della Chiesa cattolica. La meta della piena unità può essere raggiunta soltanto attraverso l’impegno animato dallo Spirito di Dio e la conversione di tutti all’unico capo della Chiesa, Gesù Cristo. Nella misura in cui siamo uniti a Cristo, saremo anche uniti gli uni agli altri e realizzeremo concretamente ed in tutta la sua pienezza la cattolicità propria della Chiesa. Questo obiettivo è stato definito teologicamente dal Concilio come unità-communio. 21 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE RISPOSTE A QUESITI RIGUARDANTI ALCUNI ASPETTI CIRCA LA DOTTRINA SULLA CHIESA link al testo integrale della dichiarazione [http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20070629_responsa-quaestiones_it.html] qui si presenta una semplice selezione di passaggi, evidenziati nelle parti più interessanti al nostro scopo Secondo quesito: Come deve essere intesa l’affermazione secondo cui la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica? Risposta: Cristo "ha costituito sulla terra" un’unica Chiesa e l’ha istituita come "comunità visibile e spirituale"[5], che fin dalla sua origine e nel corso della storia sempre esiste ed esisterà, e nella quale soltanto sono rimasti e rimarranno tutti gli elementi da Cristo stesso istituiti. "Questa è l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica […]. Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui". Nella Costituzione dogmatica Lumen gentium 8 la sussistenza è questa perenne continuità storica e la permanenza di tutti gli elementi istituiti da Cristo nella Chiesa cattolica, nella quale concretamente si trova la Chiesa di Cristo su questa terra. Secondo la dottrina cattolica, mentre si può rettamente affermare che la Chiesa di Cristo è presente e operante nelle Chiese e nelle Comunità ecclesiali non ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica grazie agli elementi di santificazione e di verità che sono presenti in esse, la parola "sussiste", invece, può essere attribuita esclusivamente alla sola Chiesa cattolica, poiché si riferisce appunto alla nota dell’unità professata nei simboli della fede (Credo…la Chiesa "una"); e questa Chiesa "una" sussiste nella Chiesa cattolica. Terzo quesito: Perché viene adoperata l’espressione "sussiste nella" e non semplicemente la forma verbale "è" ? Risposta: L’uso di questa espressione, che indica la piena identità della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica, non cambia la dottrina sulla Chiesa; trova, tuttavia, la sua vera motivazione nel fatto che esprime più chiaramente come al di fuori della sua compagine si trovino "numerosi elementi di santificazione e di verità", "che in quanto doni propri della Chiesa di Cristo spingono all’unità cattolica". "Perciò le stesse Chiese e Comunità separate, quantunque crediamo che hanno delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso. Infatti lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica". Quarto quesito: Perché il Concilio Ecumenico Vaticano II attribuisce il nome di "Chiese" alle Chiese orientali separate dalla piena comunione con la Chiesa cattolica ? Risposta: Il Concilio ha voluto accettare l’uso tradizionale del nome. "Siccome poi quelle Chiese, quantunque separate, hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il Sacerdozio e l’Eucaristia, per mezzo dei quali restano ancora uniti con noi da strettissimi vincoli", meritano il titolo di "Chiese particolari o locali", e sono chiamate Chiese sorelle delle Chiese particolari cattoliche. "Perciò per la celebrazione dell’Eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce". Siccome, però, la comunione con la Chiesa cattolica, il cui Capo visibile è il Vescovo di Roma e Successore di Pietro, non è un qualche complemento esterno alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi principi costitutivi interni, la condizione di Chiesa particolare, di cui godono quelle venerabili Comunità cristiane, risente tuttavia di una carenza. D’altra parte l’universalità propria della Chiesa, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui, a causa della divisione dei cristiani, trova un ostacolo per la sua piena realizzazione nella storia. 22 Quinto quesito: Perché i testi del Concilio e del Magistero successivo non attribuiscono il titolo di "Chiesa" alle Comunità cristiane nate dalla Riforma del 16° secolo? Risposta: Perché, secondo la dottrina cattolica, queste Comunità non hanno la successione apostolica nel sacramento dell’Ordine, e perciò sono prive di un elemento costitutivo essenziale dell’essere Chiesa. Le suddette Comunità ecclesiali, che, specialmente a causa della mancanza del sacerdozio ministeriale, non hanno conservato la genuina e integra sostanza del Mistero eucaristico, non possono, secondo la dottrina cattolica, essere chiamate "Chiese" in senso proprio. Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha approvato e confermato queste Risposte, decise nella sessione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione. Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 29 giugno 2007, nella solennità dei Ss. Pietro e Paolo, Apostoli. William Levada prefetto Angelo Amato, S.D.B. segretario 23 PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL'UNITÀ DEI CRISTIANI RIFLESSIONE DEL CARD. WALTER KASPER presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani Cammino e significato del movimento ecumenico (gennaio 2008) link al testo integrale del discorso [http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/card-kasper-docs/rc_pc_chrstuni_doc_20080117_kasper-ecumenismo_it.html] qui si presenta una semplice selezione di passaggi, evidenziati nelle parti più interessanti al nostro scopo (…) L'inizio del movimento ecumenico del ventesimo secolo viene generalmente fatto coincidere con la Conferenza mondiale sulla missione tenutasi ad Edimburgo nel 1910, di cui abbiamo già iniziato a preparare insieme, ecumenicamente, il centesimo anniversario, che avrà luogo tra due anni. Edimburgo è stato un evento molto importante per diverse ragioni. Esso ha dato avvio a due grandi correnti che sono poi sfociate nel Consiglio ecumenico delle Chiese: "Vita e lavoro" e "Fede e costituzione". Il contributo essenziale di Edimburgo è stato l'aver associato esplicitamente l'impegno ecumenico della Chiesa e quello missionario. Ecumenismo e missione sono, per così dire, fratelli. Entrambi testimoniano chiaramente il concetto alla base della nostra auto-comprensione ecclesiale: la Chiesa non è mai autosufficiente, ma deve sempre guardare al di fuori e al di là di se stessa. Nell'ecumenismo, la sfida della Chiesa è diventare sempre più consapevole dello scandalo della divisione, reso particolarmente evidente dall'esistenza di altre Chiese e Comunità ecclesiali, al fine di pervenire ad una riconciliazione. Nella missione, la Chiesa deve aprirsi al mondo delle nazioni e delle culture, desiderose di ricevere l'annuncio del Vangelo. Pertanto, l'ecumenismo e la missione hanno anche una dimensione escatologica; essi tendono allo shalom escatologico, a quella pace escatologica universale annunciata dai profeti dell'Antico Testamento. Non a caso il presidente ed il segretario della conferenza di Edimburgo, il metodista americano John Mott ed il teologo anglicano Joseph H. Oldam, erano anche protagonisti del movimento per la pace, iniziato dopo la tragedia e le devastazioni della prima guerra mondiale. Tuttavia, per quanto importante sia la commemorazione della conferenza di Edimburgo, non dobbiamo scordarci che essa non è né l'unica né la più antica radice dell'ecumenismo del ventesimo secolo. Già cento anni fa, l'allora (ancora) ministro episcopaliano Paul Wattson (1863-1940) co-fondatore della Comunità dei fratelli e delle sorelle dell'Atonement a Graymoor (Garrison, New York), introdusse un ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani, che venne celebrato per la prima volta dal 18 al 25 gennaio 1908. Perciò in quest'anno del centesimo anniversario la preparazione della Settimana di preghiera è stata fatta a Graymoor. Ma la Settimana di preghiera può essere fatta risalire a diverse iniziative ancora più lontane nel tempo e ai movimenti di rinnovamento spirituale della seconda metà del diciannovesimo secolo. Basti citare il Movimento di Oxford, l'Alleanza Evangelica Mondiale, la "Giornata Mondiale di Preghiera" delle donne che, nonostante la forte opposizione maschile, fu introdotta da donne presbiteriane, metodiste, battiste e anglicane negli anni ottanta del diciannovesimo secolo, a cominciare dagli Stati Uniti e dal Canada e poi nel resto del mondo. Decisivi furono anche i movimenti giovanili Ymca e Ywca, presenti anche a Edimburgo. John Mott scrisse: "L'anima di Edimburgo non era nei suoi discorsi, ma nei suoi momenti di preghiera". Vale poi la pena ricordare in modo particolare le due encicliche del Patriarca Ecumenico Joachim III: la prima rivolta nel 1902 a tutte le Chiese ortodosse; la seconda scritta nel 1920 per invitare le Chiese di tutto il mondo ad un'"Alleanza di Chiese" simile all'"Alleanza delle nazioni". In questo documento, il Patriarca non solo utilizzò la parola greca koinwnia (comunione) come obiettivo finale della riunificazione delle chiese, ma sottolineò anche l'importanza fondamentale, per tutti i cristiani, della preghiera e delle invocazioni continue ai fini della ricomposizione dell'unità. La Chiesa cattolica non fu da meno. Nonostante abbia aderito ufficialmente al movimento ecumenico istituzionale soltanto con il Decreto Unitatis redintegratio del Concilio Vaticano II (1962-65), essa prese parte fin dall'inizio alla preghiera per l'unità dei cristiani e all'ecumenismo spirituale. Nei 24 movimenti cattolici di rinnovamento spirituale del diciannovesimo secolo, presenti in molti luoghi, troviamo già gruppi di preghiera per l'unità della Chiesa. Santi quali Vincenzo Pallotti (1795-1850) e don Luigi Orione (1872-1940), entrambi importanti per il rinnovamento pastorale a Roma, così come Adolf Kolping (1813-65) ed il famoso vescovo Ketteler di Mainz (1811-77), noti per il loro impegno sociale, appoggiarono e promossero la preghiera per l'unità dei cristiani. Nel 1895 Papa Leone XIII, nel suo Breve Providae Matris, raccomandò l'introduzione di una Settimana di preghiera nella settimana prima di Pentecoste. Egli scrisse: "Si tratta di pregare per un'opera comparabile al rinnovamento della prima Pentecoste dove, nel Cenacolo, tutti i fedeli erano riuniti intorno alla madre di Gesù, unanimi nel pensiero e nella preghiera". Due anni dopo, nell'enciclica Divinum illud munus, il Papa parlò della preghiera in cui si chiede che il bene dell'unità dei cristiani possa maturare. Quando la Society of the Atonement divenne corporativamente membro della Chiesa cattolica, Papa Pio X nel 1909 dette la sua benedizione ufficiale alla Settimana di Preghiera di gennaio. Benedetto XV la sostenne e l'introdusse in maniera definitiva nella Chiesa cattolica. Anche Pio XI la promosse e Pio XII, nella sua enciclica Mystici corporis (1943) ribadì che, seguendo l'esempio di Cristo, avrebbe pregato per l'unità della Chiesa. È significativo il fatto che Giovanni XXIII, proprio il 25 gennaio del 1959, alla conclusione della Settimana di preghiera, annunciò il Concilio Vaticano II, che avrebbe aperto ufficialmente la Chiesa cattolica al movimento ecumenico. Il Concilio nel suo Decreto sull'ecumenismo dichiarò: "Questa conversione del cuore e questa santità di vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l'unità dei cristiani, devono essere considerate come l'anima di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale" (Unitatis redintegratio, 8). Giovanni Paolo II ribadì varie volte e con estrema chiarezza la priorità della preghiera e l'importanza dell'ecumenismo spirituale nella sua enciclica Ut unum sint del 1993 (n. 15s; 21s.; 24-27). Guardando nuovamente all'intenzione originaria di Paul Wattson, costatiamo un importante sviluppo nella comprensione della Settimana di preghiera. Mentre Paul Wattson riteneva che l'obiettivo dell'unità fosse il ritorno alla Chiesa cattolica, l'Abbé Paul Couturier (1881-1953) di Lione, negli anni trenta del secolo scorso, dette un nuovo impulso a questa Settimana, un impulso ecumenico nel vero senso della parola. Egli cambiò il nome da "Ottavario per l'unità della Chiesa" a "Settimana universale di preghiera per l'unità dei cristiani", promuovendo in tal modo un'unità della Chiesa "come Cristo desidera e secondo gli strumenti che egli desidera". Il testamento spirituale di Paul Couturier del 1944, in cui egli spiega le sue intenzioni, è molto significativo, profondo e toccante; si tratta di uno dei testi ecumenici più ispirati che vale la pena leggere e meditare ancora oggi. L'autore parla di un "monastero invisibile", "costituito da tutte quelle anime alle quali lo Spirito Santo, a motivo degli sforzi sinceri da esse compiuti per aprirsi al Suo fuoco e alla Sua luce, ha permesso di comprendere intimamente lo stato doloroso di divisione tra i cristiani; in queste anime tale consapevolezza ha suscitato una sofferenza continua e, di conseguenza, la pratica regolare della preghiera e della penitenza". Paul Couturier può essere considerato come il padre dell'ecumenismo spirituale. La sua influenza fu particolarmente sentita dal Gruppo di Dombes, da Roger Schutz e dalla comunità di Taizé. Da lui trasse grande ispirazione anche suor Maria Gabriella. Oggi, nel crescente numero di networks di preghiera tra monasteri cattolici e non cattolici, di movimenti e di comunità spirituali, di centri di religiose e di religiosi, vescovi, sacerdoti e laici, sta finalmente prendendo forma il suo monastero invisibile. Per concludere questa breve panoramica storica, possiamo dire che la Preghiera per l'unità dei cristiani, e soprattutto la Settimana di preghiera, costituiscono l'origine e l'impulso continuo del movimento ecumenico. (…) Ciò dimostra che l'ecumenismo è una risposta ai segni dei tempi. In un secolo tra i più bui e cruenti, segnato da due guerre mondiali che hanno fatto milioni di morti, da due sistemi totalitari e da innumerevoli dittature che hanno prodotto un numero infinito di vittime innocenti, i cristiani hanno deciso di lottare contro le loro antiche divisioni, dimostrando che è possibile riconciliarsi, nonostante le colpe commesse da tutti nel passato. Lo possiamo dire senza nessuna esitazione: nel secolo scorso, l'ecumenismo è stato un faro che ha rischiarato le tenebre ed un vigoroso movimento per la pace. 25 Come è stato sottolineato da Giovanni Paolo II, nel ventesimo secolo ci sono stati martiri in tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali, persone che, animate da una profonda coscienza cristiana, si sono opposte a regimi disumani senza Dio e si sono impegnate fino in fondo per l'unità dei cristiani, per la riconciliazione e per la pace. Con l'offerta generosa della loro vita per il Regno di Dio, questi nostri fratelli e sorelle "sono la prova più significativa che ogni elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale di sé alla causa del Vangelo" 26 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II Decreto sull’ecumenismo UNITATIS REDINTEGRATIO Proemio (1) Capitolo I: Principi cattolici sull'ecumenismo Unità e unicità della Chiesa (2) Relazioni dei fratelli separati con la Chiesa cattolica (3) L'ecumenismo (4) Capitolo II: Esercizio dell'ecumenismo L'unione deve interessare a tutti (5) Ecumenismo istituzionale: riforma della Chiesa La riforma della Chiesa (6) - distinzione tra modo di esporre la dottrina e depositum fidei Ecumenismo spirituale La conversione del cuore (7) L'unione nella preghiera (8) Ecumenismo teologico: il dialogo dottrinale La reciproca conoscenza (9) La formazione ecumenica (10) Modi di esprimere e di esporre la dottrina della fede (11) - gerarchia delle verità Ecumenismo secolare: cooperare e servire insieme La cooperazione con i fratelli separati (12) Capitolo III: Chiese e comunità ecclesiali separate dalla sede apostolica romana Le varie divisioni (13) o I. Speciale considerazione delle Chiese orientali Carattere e storia propria degli orientali (14) Tradizione liturgica e spirituale degli orientali (15) Disciplina degli orientali (16) Carattere proprio degli orientali nell'esporre i misteri (17) Conclusione (18) o II. Chiese e Comunità ecclesiali separate in Occidente Condizione di queste comunità (19) La fede in Cristo (20) Studio della Sacra Scrittura (21) La vita sacramentale (22) La vita in Cristo (23) 27 Conclusione (24) 28