Il paradosso del
profondo presente
Per non andare
a sbattere ci
occupiamo di
letteratura
Intervista a
Bruno Monsaingeon
cult
Il mensile culturale RSI
Aprile 2017
Il paradosso del
profondo presente
Sandra Sain
Produttrice Rete Due
Cosa vuol dire vivere a fondo il proprio tempo? Partendo dal presupposto
che non se ne può vivere un altro (almeno fino a quando i tanto sognati
viaggi nel tempo non saranno realtà) questa formula retorica fa riferimento
ad una sorta di engagement, sia esso civile, politico o spirituale, e quindi
decisamente più personale.
Un impegno a non lasciar scorrere i giorni indifferenziati, privi di progettualità e di consapevolezza.
Lo scorso sabato 11 marzo al MASI di Lugano è stata presentata al pubblico la mostra di fotografie di Craigie Horsfield intitolata Of the deep present
(Del presente profondo) e visitabile fino al prossimo 2 luglio.
L’artista britannico sviluppa, sin dagli anni ’80, una attenta riflessione
sullo statuto della fotografia che lo porta a lavorare sul limitare tra le arti,
creando opere che sono il frutto dell’incontro tra tecniche e tradizioni
diverse, foto che richiamano alla mente le tele di Hieronymus Bosch, olii
fiamminghi e secenteschi, e che si traducono in affreschi e arazzi.
Il bellissimo catalogo che accompagna l’esposizione pone per questo
spesso e giustamente a confronto le opere in mostra con opere del passato:
ecco che una natura morta (Five Peonias. Via Chiatamone, Naples, May 2010),
realizzata con una stampa su una tavola preparata con gesso e cera,
viene accostata a una natura morta di Henri Fantin-Latour, portando
alla luce la continuità con il lavoro del pittore francese del tardo Ottocento
e al contempo la distanza, compositiva, tecnica ed emotiva, tra le due
opere.
Per preparare questa esposizione luganese, Horsfield ha soggiornato
diverso tempo in città e ha incontrato delle persone che qui vivono e lavorano, componendo una serie di ritratti scattati con luce naturale, stampati su carta spessa e granulosa da acquerello e ottenendo un risultato
intenso e commovente in cui le figure emergono dal fondo come nei ritratti
del Rinascimento fiammingo. Nel presentare questa serie, che non mancherà di attirare l’attenzione e la curiosità del pubblico, il fotografo ha
parlato di “dare tempo e profonda attenzione al mondo e agli altri, e a un
presente profondo”.
Ecco quindi che il presente si svela nella sua paradossale ambiguità fatta
di immersione totale nella vita che ci circonda, nel fuggevole hic et nunc,
conservando la memoria di quanto ci ha preceduti con però lo sguardo
proteso in avanti. Essere profondamente nel presente è essere mobili
nel tempo, tenere un piede nel passato e prepararsi al balzo.
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SGUARDI
Le grandi saghe
a Laser, con Piero
Boitani e Giuliano
Boccali
4
Per non andare
a sbattere ci
occupiamo di
letteratura
20
Una Finestra aperta
sui Grigioni, da Coira
ONAIR
8
Superalbum
si rinnova nella
forma e nella
conduzione
DUETTO
22
Intervista a
Bruno Monsaingeon
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Il dolore di una
Madre per una morte
necessaria
RENDEZ-VOUS
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L’agenda
di aprile
12
Una settimana
in compagnia di
Arthur Honegger
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NOTA BENE
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Recensioni
Concerto per Coluche
storia di un radiodramma
musicale
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Proposte Club
In copertina: Five Peonias, Via Chiatamone, Naples, May 2010 di Craigie Horsfield
in mostra al MASI di Lugano fino al 2 luglio. Courtesy l’artista e Large Glass, Londra
ACCENTO
Per non andare
a sbattere ci
occupiamo di
letteratura
Sandra Sain
Nel 1977 Charles M. Schulz disegnò
una vignetta che aveva per protagonista
Sally Brown, la sorella minore del più
famoso Charlie Brown.
In piedi davanti ai compagni di classe deve
dare conto del suo tema sull’importanza
della lettura. Lo svolgimento è il seguente:
“È importante saper leggere?
Lo è senz’altro. Aiuta a non andare a
sbattere contro le cose”.
SGUARDI
Quattro quadretti disegnati in bianco e
nero bastano a Schulz per ricordarci a suo
modo l’importanza di leggere.
A noi che facciamo radio i libri piacciono da sempre. Da subito, da quando le
trasmissioni radiofoniche ebbero inizio
quasi un centinaio di anni fa (erano gli anni
’20 del ’900) le collaborazioni con drammaturghi, poeti, saggisti e romanzieri furono
un importante strumento per riempire di
contenuto i propri palinsesti.
È stato così anche per la nostra Radio
Svizzera di lingua italiana perché, come ben
ricorda Nelly Valsangiacomo nel suo Dietro
il microfono. Intellettuali italiani alla Radio svizzera, “sull’onda del modello della British
Braodcasting Corporation (BBC), la vocazione culturale ha per lungo tempo contraddistinto la radio di servizio pubblico”.
Non si contano gli intellettuali che
hanno scritto per la radio e che si sono cimentati al microfono, prendendo la parola
direttamente, tenendo conferenze e lezioni
radiofoniche, inventando formati e programmi, dando vita alla prosa radiofonica.
Nato nel 1912 a Kansas City, Walter
J. Ong è stato un religioso gesuita, filosofo sociale, storico e teorico dell’evoluzione
culturale che si formò alla scuola di Marshall Mc Luhan.
Ong ha elaborato una peculiare teoria
con la quale spiega la storia e l’evoluzione
dell’umanità come una “interiorizzazione
progressiva della coscienza”. La storia ha
‹ Gli scrittori furono da
subito alleati e protagonisti
della radio. ›
inizio, sostiene, con una primigenia cultura orale, in cui gli esseri umani esprimono attraverso il discorso (la parola e il
suo suono) i propri valori e i propri voleri,
proiettandoli appunto fuori di sé, attraverso un suono che rende la condivisione
simultanea. Le società primitive, quelle che
ci hanno abituato ad immaginare radunate
attorno al fuoco a raccontare e creare, accompagnate dal suono dei tamburi, una
propria epica e una propria mitologia, non
avevano documenti che potessero sostenere la memoria e alla narrazione corale, al
passaggio di bocca in bocca dei messaggi,
affidavano quindi la conservazione della
memoria.
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4
Jennifer Egan
Walter J. Ong
Ma poi, ci dice Ong, si scopre la scrittura. E qui si verifica un fenomeno rivoluzionario: la parola che fin lì era stata
solo un suono emesso in un dato tempo,
conquista lo spazio, quello necessario alla
‹ Il modo in cui l’essere umano
comunica definisce lo stadio
evolutivo della specie. ›
propria traduzione in caratteri, su una
tavoletta di pietra come su una pagina. E
nasce la lettura, ovviamente, che vuol dire
che la condivisone di un messaggio, rispetto all’era precedente, diventa silenziosa e si
interiorizza, non ha più bisogno che si condividano tempo e luogo.
Con l’avvento della cultura elettronica e dei mass media, radio e televisione in
particolare, siamo di fronte ad una nuova
rivoluzione che produce, afferma Ong,
una “oralità di ritorno”. Walter J. Ong è
scomparso nel 2003 e non sappiamo come
avrebbe interpretato questa nuova era del
digitale ma un suo pensiero del 1993 può
forse farci intuire qualcosa: “Oggi si sente
dire che i libri sono finiti, che radio e televiSGUARDI
sione li hanno rimpiazzati. Ebbene, chiunque pensi ciò è ben lontano dalla realtà.
(…) No, il nuovo mezzo di comunicazione
rafforza il vecchio, però lo cambia”. Come
dire che il libro, come la radio o la televisione, difficilmente soccomberanno ai social
media e al web ma molto facilmente ne saranno profondamente cambiati.
Da qualche anno siamo confrontati
con un fenomeno che in italiano è stato
definito con il neologismo “twitteratura”,
letteratura a puntate di 140 caratteri, una
moderna forma di romanzo d’appendice.
La prima vera e propria “tweet fiction” è
del 2012 e ha trovato spazio sull’account
della celebre rivista The New Yorker. Creatrice dei brevissimi post è Jennifer Egan,
Premio Pulitzer nel 2011 per “Il tempo è
un bastardo”, che ha dato vita a una spy
story tradotta anche in italiano da Minimum Fax nel 2013 con il titolo “Scatola
nera”.
Un tipo di narrativa che a molti fa
storcere il naso (se siete tra questi non abbiate timore, siete in buona compagnia:
tra gli altri, seduto al vostro tavolo, c’è Jonathan Franzen, uno dei massimi autori
americani contemporanei).
Gli anni passano, la società e la cultura evolvono, il nostro bisogno di raccontare permane. Con l’avvento del digitale si
sta però sviluppando un altro fenomeno e,
questo sì, decisamente preoccupante. Recenti studi e ricerche indicano infatti come
sia in drammatico aumento la percentuale
della popolazione affetta da “analfabetismo funzionale”, ovvero persone capaci di
leggere e scrivere ma con gravi lacune nella
comprensione di un testo di media difficoltà, un tema sul quale ha scritto molto
Tullio De Mauro, l’autorevole linguista italiano scomparso lo scorso gennaio.
‹ Leggere non perde di
importanza, che si tratti di
twitteratura o di letteratura. ›
Si è insomma sempre di meno a leggere ma quei pochi cercano sempre di più
di fare della lettura un fenomeno sociale,
un’occasione di incontro (che per l’appunto richiama alla mente l’oralità di ritorno
teorizzata da Ong) per cui fioriscono i festival più disparati che hanno certo una
funzione ancillare nei confronti del mondo
dell’editoria ma che al contempo rispondono al bisogno tutto contemporaneo di
nutrire un culto delle personalità (anche se
oggetto di questo culto a volte risultano essere figure di una inconsistenza disarmante) e di ricostruire un senso di appartenenza a una comunità elettiva.
Alla radio noi continuiamo a parlare
di libri, consapevoli di queste e di altre implicazioni culturali e sociali. Continuiamo
a raccontare e recensire volumi, a incontrare gli autori, a partecipare e seguire festival, fiere e saloni letterari. Un po’ perché
siamo convinti, come sosteneva Mallarmé,
che “in fondo, il mondo è fatto per finire in
un bel libro”, un po’ perché riteniamo sia
un nostro preciso dovere, e un dovere cui
è bello piegarsi, come rappresentanti di un
servizio pubblico che ha un ruolo cruciale
in seno alla società.
“Non è necessario bruciare i libri per
distruggere una cultura: basta impedire
alla gente di leggerli”. Lo diceva il Mahatma Gandhi.
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LA 2 / Superalbum
sabato alle ore 20.40
rsi.ch/superalbum
Superalbum
si rinnova nella
forma e nella
conduzione
Bruno Bergomi
In pochi anni questa trasmissione è diventata un punto di
riferimento per le molte persone che vogliono conoscere la nostra realtà passata.
Condotto da Valeria Bruni, nuova produttrice, Superalbum,
dal primo di aprile, cambierà formula per essere più accattivante e legato al paese e alle sue origini, affinché l’enorme patrimonio dei documentari realizzati negli anni dalla RSI venga
quanto più possibile valorizzato. Per noi è fondamentale
che resti la presentazione in esterno, sul territorio, in luoghi
significativi rispetto ai temi delle varie puntate. Abbiamo
pensato di introdurre un ospite in ogni puntata, che possa
contestualizzare i documentari proposti e al contempo offrire
una lettura attuale di tematiche e argomenti che la nostra
azienda ha proposto negli scorsi decenni. Superalbum continuerà a proporre documentari legati al nostro territorio, anche se
talvolta amplierà la visione su personaggi che hanno fatto la
nostra storia, arricchendola delle esperienze maturate all’estero.
L’idea è di attingere anche ai documentari più recenti proposti
da Storie, Falò e altre rubriche. Offrirà tematiche non necessariamente complementari tra loro, ma diverse o addirittura opposte, sia nei contenuti che nella drammaturgia del racconto.
ONAIR
Per esempio in una delle prime puntate andrà in onda un documentario sugli ultimi giorni di servizio degli autocarri della
Migros nelle valli. Come ospite abbiamo invitato Vasco Gamboni, professore onsernonese ora in pensione, da sempre legato
ai problemi delle regioni più discoste, confrontate con problemi
come quello dello spopolamento. Lo abbineremo alla storia
della famiglia Lombardi, proprietaria di una segheria a Biasca.
In un’altra puntata proporremo un doc sulla figura dell’architetto Aurelio Galfetti, abbinato alla storia di San Pietroburgo
con Domenico Trezzini: come ospite ci sarà Michele Arnaboldi,
non solo erede spirituale di Galfetti, ma docente all’Accademia
di Architettura di Mendrisio e con uno sguardo critico sull’architettura della Svizzera italiana.
Perché anche la storia rimanga viva nella nostra memoria, proporremo saltuariamente documentari su personaggi e avvenimenti del passato.
Un esempio: il documentario su Guglielmo Canevascini, di
Werner Weick, che rileggeremo con la professoressa Nelly Valsangiacomo, Prof.ssa ordinaria di storia all’Uni di Losanna,
autrice in tempi più recenti di un libro dedicato alla figura
di Guglielmo Canevascini.
Una storia durata quasi 70 anni
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Rete Due / Concerto del Venerdì Santo, collegiata Bellinzona
venerdì 14 alle ore 20.30
in diretta su Rete Due
rsi.ch/retedue
Informazioni e prevendita, Bellinzona Turismo
Il dolore di una
Madre per una morte
necessaria
Lo Stabat Mater
di Rossini al centro
del Concerto del
Venerdi Santo
che fa riecheggiare
il testo medievale
che evoca il dramma
della Passione di
Cristo.
Giovanni Conti
Saranno il Coro della Radiotelevisione svizzera e l’Orchestra
della Svizzera italiana a segnare, ancora una volta, l’atteso
appuntamento del Concerto del Venerdì Santo. Sotto la direzione di Antonello Manacorda, il concerto vivrà la sua ormai
tradizionale serata nella Collegiata di Bellinzona il 14 aprile,
per poi trasferirsi la sera seguente nella cornice del LAC e
regalare anche al pubblico luganese l’esecuzione di una delle
pagine più straordinarie tra quelle che Gioachino Rossini
produsse in ambito religioso, lo Stabat Mater. Il testo medievale
di matrice francescana, fu per Rossini il pretesto per concentrarsi sul suo lavoro di compositore puro, ritirandosi dalla vita
attiva di operista, nonostante il trionfale successo ottenuto
nel 1829 con Guglielmo Tell. Stabat Mater fu la premessa essenziale, nella visione rossiniana, al suo ultimo grande capolavoro,
la Petite messe solennelle. Nel 1831 Rossini era in Spagna dove
accettò l’invito di Don Manuel Fernandez Varela di comporre
uno Stabat Mater per la sua cappella musicale. Dopo averne
scritti sei numeri però, Rossini interruppe il lavoro e incaricò
Giovanni Tadolini di completarlo. Questa prima versione
venne eseguita a Madrid il giorno di Venerdì Santo del 1833.
Dieci anni dopo, Rossini eliminò le parti composte da Tadolini
e scrisse di suo pugno ciò che gli consentì di dar vita alla versione definitiva, che venne eseguita al Théatre Italien di Parigi
il 7 gennaio del 1842. Lo Stabat Mater mantiene inalterata la
sua forma originaria sequenziale e si apre con un’introduzione
ONAIR
orchestrale in cui viene presentato il materiale tematico della
prima sezione a cui segue l’ingresso del coro e quindi dei
solisti che, in questa occasione, saranno il soprano Carmela
Remigio, il mezzosoprano Veronica Simeoni, il tenore
René Barbera e il basso Nicola Uliveri. Solisti sulle cui spalle
è, di fatto, vocalmente poggiata tutta la partitura, che fa
di loro i principali protagonisti. A partire dal Cujus animam
gementem, aria affidata al tenore seguita dal Qui est homo,
un duetto tra le due voci femminili di carattere tipicamente
operistico. Pro peccatis, a sottolineare il sacrificio di Cristo
in croce , affidata al basso. Il coro è protagonista, “a cappella”,
nel Eja, mater, fons amoris, mentre il quartetto dei solisti dialoga con gli strumenti dell’orchestra nel Sancta Mater.
Fac ut portem è una cavatina del mezzosoprano e ottoni e timpani annunciano il giorno del giudizio universale nell’aria
con coro Inflammatus et accensus. Quando corpus morietur è
il secondo momento “a cappella” della composizione, prima
che il capolavoro rossiniano si chiuda con una maestosa
doppia fuga tra coro, solisti ed orchestra.
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Rete Due / Prima fila
da lunedì 17 a sabato 22 alle ore 20.15
rsi.ch/retedue
Una settimana
in compagnia di
Arthur Honegger
Giuseppe Clericetti
ONAIR
Arthur Honegger (1892 –1955) è tra i compositori svizzeri più
celebri della storia della musica: il suo volto, volenti o nolenti,
ci è molto familiare, effigiato sulle attuali banconote da 20
franchi. Nato in Francia, a Le Havre, la sua presenza su suolo
elvetico fu invero sporadica; con Milhaud, Poulenc, Auric,
Durey e Tailleferre, egli fece parte del cosiddetto “Gruppo dei
Sei”, anche se ben presto la sua estetica si distanziò profondamente da quella dei compagni: l’umorismo, l’ironia, la parodia
non facevano parte del suo bagaglio estetico. Honegger fu
attivo in diversi generi musicali, dall’oratorio alla musica cinematografica, con più di 40 colonne sonore, fino alla produzione
legata al mezzo radiofonico, con numerosi lavori, “jeux radiophoniques”, composti per la Radio Suisse Romande e Radio
France. Honegger fu un appassionato di sport, adorava le auto
Bugatti, e scrisse composizioni con chiari riferimenti all’attività
sportiva: il movimento sinfonico Rugby, il balletto per pattini
a rotelle Skating Rink, la musica per il film La boxe en France, la
chanson Hymne au Sport. L’amore per le macchine e la velocità,
analogo a quello dimostrato dal movimento futurista, lo porta
a comporre una delle sue pagine più celebri, Pacific 2.3.1, traduzione musicale del percorso di una grande locomotiva.
Rete Due, nelle serate di Prima fila, rende omaggio a Honegger
con la diffusione di suoi brani significativi: l’opera radiofonica
Christophe Colomb, prodotta dai colleghi della Radio Télévision
Suisse Romande, la Sinfonia Liturgica e Deliciae Basiliensis, i Trois
Mouvements Symphoniques, Jour de Fête Suisse, l’operetta Les
aventures du roi Pausole, nonché le registrazioni del Coro RSI e
dell’OSI: La danse des morts, il Concertino, il Concerto per violoncello,
Skating Rink, L’Idée, Pastorale d'été. Non mancherà Radio-Panoramique, il primo zapping radiofonico della storia. L’ascolto
delle composizioni sarà accompagnato da una serie di incontri
con il maggiore biografo di Honegger, il musicologo ginevrino
Jacques Tchamkerten.
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Rete Due / Colpo di scena
da mercoledì 19 a venerdì 28 alle ore 13.30
rsi.ch/rete-due/radiodrammi
Concerto per Coluche
storia di un radiodramma musicale
Giangilberto Monti
autore e cantautore
gne di una vita, lo chansonnier Georges Moustaki e il giornalista François Cavanna - si ritrovassero una sera al Bobino
di Parigi, poco prima del concerto di Renaud, per celebrare non
solo un amico ma anche lo storico Cafè de la Gare, il teatrocabaret che aprì una stagione importante nella storia francese,
quando la satira arrivò a scardinare perfino gli equilibri politici del paese.
Raccontare la storia di Coluche significa interrogarsi su un
paradosso: la comicità è una branca della politica e la satira è
un ingrediente necessario alla democrazia? Oppure è vero il
contrario, e oggi la politica è solo una delle tante industrie dello
spettacolo? Sia quel che sia, anche grazie alla vita del buffone
più amato di Francia, ho voluto affrontare l’ultimo dei maudits
d’oltralpe, perchè sotto il pavé credo si trovi ancora la spiaggia
dell’utopia. E non smetterò mai di crederci...
Michele Colucci, in arte Coluche, è stato il più geniale “comico
politico” di Francia. Irriverente. Cattivo. Anarchico. Volgare.
Eccessivo. Individualista. Provocatore. Depresso. Ribelle. Alcolizzato. Drogato. Politicamente scorretto. Il suo talento esplode
negli anni Settanta, supportato da riviste come “Harakiri” e
“Charlie Hebdo”. E quando, ormai famoso, si candida a sorpresa alle Presidenziali del 1981, il suo manifesto elettorale diventa
un violento “j’accuse” contro la corruzione e l’insipienza dei
politici francesi, nessuno escluso: “Prima di me la Francia era
divisa in due, con me sarà piegata in quattro dal ridere”.
Aveva il 16% nei sondaggi quando - in circostanze oscure - decise di ritirarsi. Dopo una lunga depressione Coluche risale la
corrente, si cimenta in ruoli di successo al cinema, lancia una
campagna nazionale contro la povertà, mette d’accordo l’intero
paese e programma il suo ritorno sulle scene, ma non ci riesce.
Muore nel 1986 a soli 41 anni d’età, in un banale incidente
stradale a tutt’oggi mai chiarito, poi rievocato dal suo grande
amico Renaud, stella del “rock” d’autore francese, in un’amara
e appassionata ballata.
È la prima volta che Renaud autorizza adattamenti in italiano
delle sue canzoni. E in questo radiodramma ne propongo
alcune tra le sue più belle... Ho immaginato che i protagonisti
della carriera di Coluche - il suo impresario storico, le compaONAIR
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Henti Fantin-Latour nacque nel 1836 a Grenoble. Dopo gli studi alla Scuola di Belle Arti di Parigi, lavorò alcuni anni
per Gustave Courbet. Sebbene ammirasse l’opera di Édouard Manet, non aderì mai all’Impressionismo e definì un proprio
e distintivo lirismo intimista. Famosi i suoi ritratti dei componenti della bohème intellettuale dell’epoca (Verlaine e
Rimbaud tra gli altri) e le sue nature morte, diventate familiari e note ai più da quando la band inglese dei New Order,
nel 1983, utilizzò il suo A basket of roses per la copertina di Power, Corruption and Lies.
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Rete Due / Laser
da lunedì 3 a venerdì 14 alle ore 9.00
rsi.ch/laser
Le grandi saghe
a Laser, con Piero
Boitani e Giuliano
Boccali
Roberto Antonini
Le Saghe (dall’islandese sögur, detti) raccontavano, spesso
dall’origine del mondo, storie e leggende di un intero popolo,
mescolando vicende realmente accadute, o almeno verosimili,
con creazioni mitiche. Sovente, esse costituiscono le vere e
proprie fondamenta sulle quali è stata costruita l’identità di
una gente. Una delle più rilevanti è quella del popolo d’Israele
narrata nella Bibbia. Tutto il Pentateuco rappresenta infatti
una grande e affascinante saga, dapprima sulle origini e le sorti
dell’intera umanità, poi del popolo ebraico. Creazione, Caduta,
Cacciata dall’Eden, Diluvio, Torre di Babele, poi i Patriarchi:
da Abramo, padre di Ebrei, Cristiani e Musulmani, a Isacco,
Giacobbe e Giuseppe, quindi Mosè: i Libri della Genesi e
dell’Esodo raccontano con vigore drammatico unico la saga
del monoteismo e l’incontro tra uomo e Dio.
Anche la Storia di Roma narrata da Tito Livio, nonostante le
intenzioni dell’autore, verrà vissuta come una saga. Roma è
stata un’avventura unica nel mondo antico, e più tardi in quello medievale e moderno. Attorno alle sue origini i popoli che
l’hanno costruita, subita, accettata e disprezzata hanno creato
una complessa, affascinante leggenda: la lupa, i gemelli, il Ratto
delle Sabine, le guerre che, incessanti per mille anni, hanno
condotto un piccolo villaggio del Lazio a conquistare l’intera
Europa occidentale e tutte le terre bagnate dal Mediterraneo.
ONAIR
Nelle grandi civiltà dell’Oriente - Cina, India e Persia - esistono
saghe ancora più complesse. L’Epopea della tenebra, in Cina,
narra una vicenda che comincia con la creazione di una goccia
d’acqua, e prosegue poi con le lotte tra gli dei. Ben tre diversi
modelli cosmogonici si sono sviluppati in Cina, ma anche
incantevoli leggende come quelle del bovaro Niu Liang e della
fanciulla Zhi Nü, e la cosiddetta Creazione, o Investitura degli
dei, è un immenso romanzo composto addirittura nel XVI
secolo, sotto la dinastia Ming. In India, dominano i due grandi
poemi sanscriti, il Mahabharata e il Ramayana. Sterminato,
il primo: il poema nazionale indiano che narra dei discendenti
di Bharata (l’India si chiama Bharat), e che è stato composto
tra la metà del II secolo a.C. e l’anno zero, dall’ossatura epica la lotta per il trono di Hastinapura - sulla quale si incastrano
altre vicende mitiche, genealogie, trattati teologici, filosofici,
etici, geografici e scientifici: ne fa parte la celebre Bhagavad-Gita.
Più contenuto, e splendido, il Ramayana, la storia di Rama e
del rapimento di sua moglie Sita da parte del demone Ravana,
con la guerra che ne consegue, le imprese di Hanuman, la
vittoria, e poi il giudizio di Sita. In Persia, Fir dusi compone
attorno all’anno Mille lo Shahnameh, il poema, anch’esso di
dimensioni ciclopiche, che ancora oggi è considerato la pietra
di fondazione dell’identità e della cultura persiane. Miti
cosmogonici, leggende e storia si mescolano in questo Libro
dei Re che porta sulla scena Alessandro Magno e Zarathustra.
Ritorniamo in Europa con le saghe del Nord: quella dei
Nibelunghi in Germania, l’Edda in versi e in prosa dei paesi
scandinavi, le saghe islandesi che portano i Vichinghi in America, le storie di Cuchulain in Irlanda. Sono i testi che ispireranno Tolkien, ma anche W.B. Yeats, come la Gita ha nutrito
T.S. Eliot. Infine, un volo in America, per leggere le saghe
dei Maya e dei Navajo, il Popol Vuh e il Diné Bahane, cosmogonie strane, con uomini fatti di mais e Coyote che turba la
Creazione del cielo del Primo Uomo, il lento paziente lavoro
di costruzione delle costellazioni, con il suo impaziente
disordine. Tutto questo lo potrete ascoltare in un’affascinante serie di Laser dal 3 al 14 aprile.
Piero Boitani
Giuliano Boccali
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Rete Due / Finestra aperta
giovedì 27 dalle 17.00 alle 18.00
in diretta da Coira
rsi.ch/retedue
Una Finestra aperta
sui Grigioni, da Coira
Massimo Zenari
© Chur Tourismus
Pluralità linguistica, pluralità culturale, identità: sono i cardini
attorno ai quali, storicamente, ruota il dibattito politico e
civile sulla cultura nei Grigioni, un cantone che della Svizzera
è periferia - con le sue valli laterali periferia della periferia al pari del Ticino. Un dibattito che è anche istituzionale, in un
panorama ricco di tre lingue ufficiali e di numerose varianti
dialettali, parlate e scritte, alcune delle quali, è bene ricordarlo,
richiedono solide misure di protezione e di salvaguardia.
È anche in questo contesto che nella sessione parlamentare di
febbraio si è innestata la discussione sulla riforma totale della
legge sulla promozione della cultura nel cantone, una discussione che il Gran Consiglio retico ha votato a larghissima
maggioranza senza tuttavia suscitare l’auspicata soddisfazione
generale. Se è stata data una risposta concreta alla questione
ampiamente dibattuta dell’obbligo per i comuni di dotarsi di
scuole di musica e di canto (ma è stato anche affidato al
Governo l’incarico di stilare una strategia culturale quadriennale), in realtà si è trascurata la domanda fondamentale: cosa
significhino cultura e la sua promozione, e a questo interrogativo cruciale spetterà verosimilmente proprio al Governo e alla
sua strategia provare a rispondere.
ONAIR
Al dibattito culturale non poteva sottrarsi neppure la RSI,
a cominciare dalle testate informative Grigioni sera e Voci del
Grigioni italiano, che già avevano seguito puntualmente la
sessione parlamentare, e che torneranno ad occuparsene con
una serie di approfondimenti in una settimana speciale
dal 24 al 28 aprile.
E giovedì 27 anche Rete Due si trasferirà a Coira. La nostra
Finestra aperta pomeridiana trasmetterà infatti dalla capitale
grigionese, ospitando in diretta alcuni fra gli attori della
vita culturale cittadina, in un dialogo che si vorrà vicino al
pubblico e attento alle esigenze delle radioascoltatrici
e dei radioascoltatori. Senza dimenticare che, dallo scorso
novembre, grazie al sistema di diffusione DAB+, Rete Due
si può ascoltare su tutto il territorio dei Grigioni.
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Intervista a cura
di Claudio Farinone
Bruno Monsaingeon
La musica
che si vede
Bruno Monsaingeon è nato a Parigi il 5 dicembre del 1943. È ritenuto il più
grande regista di film musicali di musica classica. Non solo filmmaker, ma
musicista, pregevole violinista e scrittore, ha realizzato alcuni dei documentari
più importanti attorno a musicisti celeberrimi. Tra questi: Yehudi Menhuin,
Glenn Gould, Nadia Boulanger, Svjatoslav Richter, Michael Tilson Thomas,
Dietrich Fischer-Dieskau e tanti altri. Le sue interviste a Nadia Boulanger
e a Svjatoslav Richter sono state pubblicate come libri. L’ultimo suo lavoro,
in uscita prossimamente e co-prodotto per la RSI da Giovanni Conti, riguarda
il Quaderno svizzero degli Années de Pèlerinage di Franz Liszt, nell’interpretazione del pianista locarnese Francesco Piemontesi.
DUETTO
Bruno Monsaingeon è il regista dei
musicisti. Rigore, dedizione al lavoro,
conoscenze musicali sofisticate ereditate da un trascorso di violinista, fine
capacità d’indagine psicologica sui personaggi che ritrae.
L’artista francese è transitato dai nostri
studi per realizzare un nuovo documentario dedicato all’album svizzero degli
Années de Pèlerinage di Franz Liszt, nella
magistrale interpretazione di Francesco Piemontesi.
Un’occasione ghiotta per incontrarlo,
chiedergli cos’ha in mente a proposito e
cercare di conoscere di più sulla sua arte
di cesello e dedizione assoluta che lo ha
portato a realizzare film fondamentali con alcuni tra i più grandi interpreti
della musica nel mondo.
Bruno Monsaingeon, vorrei
chiederle tante cose ed è difficile
trovare un punto di partenza.
Sono molto incuriosito dal lavoro
di preparazione e dalla relazione
con i musicisti che incontra.
Come avvengono le sue scelte?
E soprattutto: quanto è importante
per lei la conoscenza profonda
del musicista che andrà a ritrarre
in un documentario, oppure in
un libro?
La relazione è un ingrediente essenziale del mio lavoro; in particolare per i
film o per i documentari. Naturalmente
è un po’ diverso quando sto girando solamente delle esecuzioni musicali, nel
cui caso la relazione non deve essere necessariamente così stretta. Nel caso di
un documentario o di un film, invece, è
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necessario che io sia innamorato del personaggio che riprenderò, è la condizione
essenziale. Come lei sa, ho girato molti
film e ciascuno di essi è come una parte di
un monumento. Ad esempio, con Yehudi
Menhuin, ho fatto circa 15 diversi lavori;
nel suo caso, come per altri, mi relazionavo con uno straordinario talento, un vero
genio, non solo come musicista ma anche
come uomo. Yehudi aveva un’umanità e
una generosità di straordinaria profondità. Era l’unione ideale dell’uomo con l’artista. Naturalmente Glenn Gould: era un
genio non intermittente ma permanente.
Stare davanti a lui equivaleva convivere
con un uomo che aveva una volontà è un
desiderio di comunicare forse senza precedenti e senza equivalenti. Svjatoslav
Richter, al contrario, era un uomo totalmente chiuso…
Lo immagino all’opposto
rispetto a Gould…
È vero, ma questa è solo l’apparenza.
In realtà Svjatoslav aveva un desiderio di
comunicare più sotterraneo, che si è sviluppato progressivamente nei molti anni
della nostra relazione, durante le lavorazioni del film e per me totalmente inaspettato. Anche Fischer-Dieskau era un uomo
molto riservato ma il calore del suo canto,
l’intelligenza della sua arte, erano straordinari. Anche Giulia Varady, sua moglie,
a mio parere la più grande cantante del
secolo, fu una sintesi dell’arte della Callas
e della Schwarzkopf… l’arte drammatica
della prima e la raffinatezza della seconda. È necessario che si crei una condizione che mi permetta la massima libertà.
Glenn Gould, ad esempio, mi ha lasciato
totalmente libero; lo stesso è accaduto con
DUETTO
Yehudi Menhuin. Avere con loro una relazione di totale fiducia è forse il segreto di
questo lavoro.
E come reagivano questi musicisti
davanti alla sua cinepresa, si
sentivano a loro agio?
Devo dire innanzitutto che i lavori
di cui parliamo non sono stati pensati per
la televisione. Avevamo un’aspirazione a
realizzare qualcosa di più esteso rispetto
alle esigenze dei prodotti televisivi. Ciò ha
comportato lotte molto serie poiché la televisione rivestiva anche una funzione di
finanziamento e c’era dunque quest’ambivalenza. Sono assolutamente contrario
a questi formati televisivi. Quando lavorai
al film su Richter, che dura quasi tre ore,
fu impossibile per la televisione approvare
un formato di questo tipo. Ma, nonostante ciò, il lavoro venne accettato ugualmente. Fu una condizione assai difficile per i
miei produttori, che comunque hanno
voluto rischiare. All’inizio il progetto non
era affatto definito, non sapevamo nemmeno se sarebbe stato un libro oppure un
film, e nel secondo caso se fosse durato
dieci minuti oppure dieci ore… una totale indeterminazione, difficile da accettare
per un produttore. Al montaggio poi ci lavorai giorno e notte per tredici mesi… era
diventata per me un’ossessione; non c’era
null’altro che questo film nella mia vita in
quel periodo. Nell’ottobre 1997 - Richter
era morto nell’Agosto di quell’anno - entrò il mio produttore in studio e mi disse:
“Bruno, ora devi fare una produzione televisiva da 52 minuti”. La BBC (che doveva
co-produrre il lavoro) ha rifiutato il tuo
montaggio. Non volli. Avevo la convinzione di fare “il film su Richter” e non un film
qualsiasi, un piccolo lavoro televisivo. Ma
lui mi fece comprendere che se non avessi
accettato, non solo il film non si sarebbe
realizzato ma sarebbe stato un disastro
anche per la casa produttrice, che sarebbe fallita. Ebbi dunque l’idea di inviare il
lavoro alla Yamaha, azienda che forniva i
pianoforti a Richter. Avevano addirittura
aperto un ufficio per lui a Parigi, con tanto
di due pianoforti a disposizione e un autista per tutta Europa. Così fu. Dopo cinque
giorni la Yamaha rispose dicendoci che
ci avrebbero elargito ben 200.000 dollari,
cifra che ci mancava per terminare il progetto. Pretendevano in cambio solamente
un ringraziamento scritto nei credits. Potemmo così terminare il film, che all’inizio
rischiò di non uscire del tutto. Sono avventure incredibili…
Lei ritrae musicisti attraverso
documentari su di loro, oppure
performance concertistiche.
Due approcci decisamente diversi:
nel documentario si raccontano
aspetti che vanno al di là della
musica. Invece, nel ritrarre una
pura esecuzione, che cosa aggiun-
ge e cosa toglie l’immagine?
Non si rischia di sottrarre una parte
di fantasia, d’immaginazione?
Dipende dall’approccio della regia.
Io non faccio delle trasmissioni, questo
non mi interessa. Penso che la cinepresa
abbia un’importanza maggiore quando
dietro c’è l’idea di fare una messa in scena
per la cinepresa, e che quest’ultima non sia
un mezzo neutrale. Il tutto non deve apparire come una cosa artificiale. Dopo un
montaggio, in genere molto complesso, il
tutto deve sembrare come totalmente naturale; questa dev’essere l’impressione recepita dall’ascoltatore. Mi ricordo di aver
realizzato un film su La morte e la Fanciulla
di Franz Schubert con il Quartetto Alban
Berg. Durante una conferenza dove illustravo il mio mondo creativo, chiesi agli
ascoltatori quante fossero state, a loro
avviso, le cineprese utilizzate. Chi rispose 10… chi 14… In realtà avevo utilizzato
solamente una camera! Ciò significa che
ogni piano è perfettamente controllato e
concepito in modo indipendente. In questo modo, si può definire una relazione tra
i musicisti, che è la cosa più importante
della musica da camera. Questo scambio
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dei volti, delle espressioni, questo senso di
un musicista che suona e poi passa il suono all’altro… Il tutto è molto complesso.
Il quartetto e la relativa sala da concerto
devono essere a mia disposizione per due o
tre settimane. L’approccio televisivo, che si
vede dappertutto è comprensibile, giustificato, ma non è ciò che m’interessa. È giustificato perché è un modo di trasmettere
contenuti musicali ad un gran numero di
persone che, per varie ragioni, non possono frequentare le sale da concerto. Questo
però non dovrebbe cancellare l’ambizione
e lo sforzo di realizzare qualcosa di più
espressivo, interessante e duraturo.
Ci vuole raccontare ora qualcosa
sul lavoro che sta intraprendendo
qui a Lugano con Francesco
Piemontesi? Come mai ha scelto
questo artista e che genere di
opera ha in mente?
Non lo scelsi io ma fu lui a chiedermi
di collaborare. Devo dire, prima di tutto,
che Francesco è molto simpatico. Ci siamo
conosciuti a Bolzano, durante il concorso
Busoni dove entrambi eravamo membri
DUETTO
della giuria. Mi ha così sottoposto l’idea
di svolgere un progetto attorno all’album
svizzero, degli Années de Pèlerinage di Franz
Liszt. L’idea non mi attirò poiché non
nutro una simpatia naturale per questa
musica. Pensavo che lui mi stesse sottoponendo quest’idea in modo un po’ astratto.
Poi mi incontrai con Giovanni Conti della
RSI e mi resi immediatamente conto che
il progetto poteva essere un fatto concreto. Allora pensai ad un’idea che andava
al di là della pura esecuzione delle pagine
pianistiche. A Giovanni piacque e accettò.
Iniziammo a lavorarci sopra e la mia prima impressione su questa musica gradualmente cambiò. È un’opera che ha bisogno
di un grande interprete per essere difesa e
sostenuta. Ci sono delle pagine che possiedono una bellezza assoluta e che non
richiedono uno strumento o un interprete particolare, come la musica di Bach, ad
esempio, che per me è la più bella musica
che sia mai esistita. Addirittura lo ritengo
uno dei maggiori fenomeni dell’umanità.
La sua musica è bella anche alla sola visione
della partitura. Certamente, se l’interprete
è della levatura di Glenn Gould, allora avviene una cosa meravigliosa. Ma anche se
l’interprete non è convincente, la musica
conserva ugualmente la sua bellezza. Con
Liszt invece fare questo discorso è quasi
impossibile. Mi sono accorto che Francesco Piemontesi suona queste note non
solo con una formidabile convinzione; c’è
qualcosa di più. La sua immaginazione, il
suo controllo, sono di un virtuosismo fenomenale. E con virtuosismo non intendo solo la velocità o l’aspetto puramente
tecnico. Ha la capacità di avere una riserva di suono, ad esempio sui “fortissimo”,
che lascia immaginare che abbia ancora
qualcosa di più da dare, che non sia ancora arrivato al massimo. E quando ieri ha
suonato Orage, il n. 5 della partitura, non
era soltanto un fulmine ma era come un
terremoto. Ma senza esibizionismo… aveva talmente assimilato questa musica che
poteva eseguirla per tante volte di seguito
senza problemi. Era come un vulcano ma
con una dedizione totale verso il suo lavoro. Sono davvero lieto di lavorare a questo
progetto. La Televisione svizzera mi ha
dato la possibilità di fare un po’ di più di
una semplice trasmissione. Posso operare
con un’equipe formidabile in modo molto
piacevole. Dopo questa incisione inizieremo un altro lavoro di mise-en-scène per la
cinepresa. Spero dunque di fare qualcosa
di superiore e questo aspetto è per me importante. Voglio farle un esempio: possiedo un violino di Stradivari e ho un altro
violino bellissimo: un Vuillaume. Ho prestato lo Stradivari a quello che io ritengo
il più grande violinista della nostra epoca,
Valeriy Sokolov. Recentemente mi ha riportato per qualche giorno lo strumento
a casa mia a Parigi. La tentazione di riprendermelo era insostenibile. “Se vuoi tenere
lo Stradivari - gli dissi - non devi mai più
lasciarmelo, nemmeno per un attimo”. La
differenza tra i miei due violini è piccolissima…! È come la differenza di tempo nella
prestazione di due campioni di sci, pochi
centesimi di secondo… ma quegli istanti
fanno una grande differenza. Forse ciò che
aggiungo in più nei miei film rispetto allo
standard è poca cosa, ma per me è molto
importante.
Immagini tratte da Youtube
27
26
4.
2017
Ma 4
Ve 7
ore 20.30
Sala Sopracenerina, Locarno
Concerti delle Camelie
Quatuor Mosaїques
Wiener Klassik
Erich Höbarth, Andrea Bischof,
Anita Mitterer, Christophe Coin
Musiche di Monn, Mozart e
Haydn
ore 20.00
Studio 2 RSI, Lugano
Il concerto sarà introdotto da
Giada Marsadri
Showcase di Rete Uno
Marco Zappa
50 anni di carriera
Organizzazione turistica Lago
Maggiore e Valli
In diretta su Rete Uno
rsi.ch/reteuno
Gio 6
ore 20.30
Sala Teatro LAC, Lugano
Concerti RSI - OSI al LAC
Orchestra della Svizzera
italiana
Direttore Markus Poschner
Solista Vadim Gluzman, violino
Musiche di Prokof’ev e Mozart
In diretta su Rete Due
rsi.ch/concertirsi
Ve 7
ore 21.00
Auditorio Stelio Molo RSI,
Lugano
Tra jazz e nuove musiche
Henri Texier Sky Dancers 6
Henri Texier, contrabbasso
Sébastien Texier, sax alto,
clarinetti
François Corneloup, sax
baritono
Nguyen Le, chitarra
Armel Dupas, piano
e Fender Rhodes
Louis Moutin, batteria
In diretta su Rete Due
rsi.ch/jazz
Sa 8
ore 11.00
Teatro Sociale, Bellinzona
Do 9
ore 11.00
Museo Vincenzo Vela,
Ligornetto
ore 17.00
Aula magna DFA - Supsi
(ex Magistrale), Locarno
Concerti Aperitivo con i
musicisti dell’OSI e Atelier
musicali per i bambini
dai 4 ai 7 anni
Serena Basandella, tromba
Quartetto Energie Nove
Hans Liviabella, violino
Barbara Ciannamea, violino
Ivan Vukčević, viola
Felix Vogelsang, violoncello
Musiche di Torelli
e Mendelssohn
Entrata libera e aperitivo offerto
Prenotazione obbligatoria
per gli atelier entro giovedì
6 aprile a [email protected]
Con il contributo di CORSI
Gio 13
ore 20.30
Teatro Sociale, Bellinzona
Introduzione al Concerto
Spirituale del Venerdì Santo
con Giorgio Appolonia e
Giuseppe Clericetti
Entrata libera
In diretta su Rete Due
rsi.ch/retedue
RENDEZ-VOUS
Ve 14
Gio 20 Ve 28
ore 21.00
Studio 2 RSI, Lugano
ore 18.00
Studio 2 RSI, Lugano
Concerto Spirituale
del Venerdì Santo
Gioachino Rossini
Stabat Mater
per soli, coro e orchestra
Orchestra della Svizzera
italiana
Coro della Radiotelevisione
svizzera
Direttore Antonello Manacorda
Solisti: Carmela Remigio,
soprano; Veronica Simeoni,
mezzosoprano; René Barbera,
tenore; Nicola Ulivieri, basso
Showcase di Rete Tre
Ermal Meta
In diretta su Rete Tre
rsi.ch/retetre
Proiezione in anteprima
del documentario
3 x 3, tre liutai per tre violini
Regia di Roberta Pedrini e
produzione di Giovanni Conti
Ve 21
Ve 28
ore 20.30
Chiesa Collegiata, Bellinzona
In diretta su Rete Due
rsi.ch/retedue
Informazioni e prevendita
Bellinzona Turismo
Sa 15
ore 17.00
Sala Teatro LAC, Lugano
Concerto Spirituale
del Sabato Santo
Gioachino Rossini
Stabat Mater
per soli, coro e orchestra
Orchestra della Svizzera
italiana
Coro della Radiotelevisione
svizzera
Direttore e solisti vedi
venerdì 14
Informazioni e prevendita
LAC Lugano
ore 20.30
Sala Sopracenerina, Locarno
Concerti delle Camelie
Una serata con il Signor
Wolfang Amadè
Sergio Ciomei, fortepiano
Musiche di Mozart, Haydn,
Händel e Scarlatti
Informazioni e prevendita
Organizzazione turistica
Lago Maggiore e Valli
ore 20.30
Auditorio Stelio Molo RSI,
Lugano
Orchestra della Svizzera
italiana
Direttore Nicholas Milton
Solista Emmanuel Pahud, flauto
Musiche di Mozart, Devienne,
Čajkovskij
In diretta su Rete Due
e in videostreaming
rsi.ch/concertirsi
Gio 27 Ve 28
ore 18.00
Studio 2 RSI, Lugano
Moby Dick
Il Mondo dopo Trump
Culture e ideologie a cento
giorni dall’insediamento
del presidente USA
Registrazione della puntata
aperta al pubblico
Si consiglia la prenotazione
scrivento una e-mail a
[email protected]
ore 21.00
Casa Cavalier Pellanda, Biasca
Tra jazz e nuove musiche
Shai Maestro Trio
Shai Maestro, pianoforte
Jorge Roeder, contrabbasso
Ziv Ravitz, batteria
Differita radiofonica
su Rete Due domenica 30
rsi.ch/jazz
Alla fine del dibattito sarà
offerto un aperitivo
29
28
club
Sig. Bovary &
altri personaggi
Alberto Manguel,
traduzione di Elena Liverani
e Daniele Crivellari,
Pagine d’arte, 2016
Daniele Bernardi
Manguel, argentino, cresciuto
a Tel Aviv, naturalizzatosi poi
canadese, conduce i lettori
in una galleria che ospita figure
del vasto continente della letteratura. Ma fra le pagine di
Sig. Bovary e altri personaggi
non si scorgono solo nomi
celebri quali Faust e Don Giovanni. Infatti questa operazione squisitamente borgesiana vuole anche dare spazio
a personalità secondarie, apparentemente meno affascinanti di altre eppure non per
questo meno interessanti:
ad esempio la regina Gertrude, madre di Amleto; oppure
l’ordinario Monsieur Bovary.
A monte del progetto c’è una
convinzione: oggi, mentre
“le nuove tecnologie ci propongono l’amicizia duratura
di centinaia di migliaia di persone”, è sempre più forte
la sensazione che non saranno questi rapporti virtuali
ad accompagnare la nostra
pura solitudine.
Saint-Saëns,
Mélodies avec
orchestre
Y. Beuron, tenore
T. Christoyannis, baritono
OSI, dir. Markus Poschner
Alpha 273, durata 58’
Giuseppe Clericetti
Compositore eclettico, spirito
proteiforme, pianista, organista
e grande intellettuale nel mondo francese tra Otto e Novecento, Saint-Saëns ci ha lasciato più di 140 mélodies per voce
e pianoforte. La presente
registrazione, organizzata dalla
RSI in stretta collaborazione
con il Palazzetto Bru Zane,
Centre de musique romantique
française, ed effettuata all’Auditorio Stelio Molo, ne presenta
19, ma con l'accompagnamento
affidato all’orchestra: troneggiano le sei mélodies su testi
dell'amatissimo Victor Hugo,
con Le pas d'armes du roi
Jean, composta a sedici anni
da un Saint-Saëns già ben
attrezzato (“sa tutto, ma manca
d'inesperienza” è la battuta
attribuita a Berlioz, invero pronunciata da Gounod). Il CD
termina con la Danse macabre,
che prelude al celebre poema
sinfonico omonimo.
Cahier africain
di Heidi Specogna,
documentario (Svizzera 2016)
Marco Zucchi
È il film che ha rappresentato
il nostro paese nella selezione
della Settimana della critica
di Locarno 2016 (dove ha vinto
lo Zonta Club Award). Anche
i Premi del cinema svizzero
di Ginevra hanno dato recentemente giusto rilievo all’importante lavoro della biennese
Heidi Specogna. Un quadernetto scolastico - quello del
titolo - con un contenuto drammatico e intenso: le testimonianze di trecento donne e
ragazzine della Repubblica
centrafricana. Riportano la memoria indietro di quindici anni,
al 2002, per raccontare le
angherie, i soprusi e le violenze subiti ad opera dei mercenari congolesi. C’era una
guerra. Ora c’è un percorso
da compiere, che prevede la
necessità di andare avanti,
senza però dimenticare di
mettere i colpevoli di fronte
ai loro misfatti.
Nelle sale ticinesi dal 6 aprile.
“Vivere lavorando
giocando”.
In visita alla mostra che il MASI dedica
ad Alighiero Boetti e Salvo.
Giovedì 13 aprile alle ore 18.30 il Club Rete Due invita i
soci alla scoperta della nuova mostra che il MASI dedica
ai due straordinari artisti italiani della seconda metà del
Novecento.
Alighiero Boetti (1940–1994) e Salvo (1947–2015) iniziarono la loro attività sul finire degli anni ’60 a Torino e la
prima parte dell’esposizione si concentra sul dialogo tra
i due artisti in una fase di intensissima frequentazione,
al volgere degli anni ’70.
Entrambi sensibili all’effervescenza di quegli anni, la
affrontano e traducono in modo diverso: Boetti è orientato verso una precisa formulazione della sua stessa
identità d’artista costruita in rapporto al tempo, dimensione che è per lui oggetto di sfida e confronto costante.
Al contempo indaga l’“ordine e disordine” della realtà per
dare forma a regole e criteri ordinatori che si traducono
in parole e immagini.
Per Salvo gli anni a cavallo tra i ’60 e i ’70 corrispondono
al momento dell’ironica auto-storicizzazione: l'affermazione della propria identità e l’assunzione del proprio Ego
a soggetto di auto-celebrazione. Entrambi si interrogano
dunque, pur con accezioni diverse, sulla rappresentazione di sé, come artisti e come individui.
Sabato 2 settembre 2017
Al KKL per il
Lucerne Festival
Mariinsky Orchestra
Direttore Valery Gergiev
Behzod Abduraimov piano
Sergey Redkin piano
Daniil Trifonov piano
Sergej Prokof’ev (1891–1953)
I cinque Concerti per
pianoforte e orchestra
Programma alle ore 12.30
partenza dagli Studi Radio di
Besso e alle ore 13.00 dalla
stazione ferroviaria di ArbedoCastione. Lungo il tragitto un
redattore musicale di Rete Due
farà un’introduzione ai concerti.
Arrivo a Lucerna, tempo a
disposizione e cena libera. Alle
18.30 inizio del concerto al KKL.
Al termine, rientro in Ticino.
Prezzo la quota di partecipazione, che comprende la
trasferta in pullman e il biglietto
di I. categoria è di CHF 275.per i soci (295.- per i non soci),
in III. categoria di CHF 165.- per
i soci (185.- per i non soci)
Iscrizioni Fosca Vezzoli
T +41 91 803 56 60,
[email protected]
La seconda parte della mostra mette invece a fuoco gli
sviluppi successivi della loro ricerca, condotta ormai
in modo autonomo ma pur sempre su temi comuni quali
l’identità, il doppio, il tempo, il viaggio.
Entrambi forniscono un fondamentale contributo alla
riflessione concettuale degli anni ’60 e ’70 del Novecento. Boetti e Salvo rimangono ancora oggi figure di riferimento per le nuove generazioni di artisti post concettuali
del ventunesimo secolo.
Durata 1h ca. (ritrovo 10 minuti prima all’entrata del
LAC, Piazza Luini 6, Lugano). Prezzo ridotto CHF 10.00
Iscrizioni: T +41 91 803 56 60 o [email protected]
NOTA BENE
31
30
retedue.rsi.ch
SATELLITE
Satellite Hotbird 3 Posizione 13° Est Frequenza 12.398 GHz
DAB
Club Rete Due
casella postale
6903 Lugano
T +41 (0)91 803 56 60
F +41 (0)91 803 90 85
Produttrice Rete Due
Sandra Sain
E-mail
[email protected]
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Fosca Vezzoli
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Blenio 90.0
Calanca 90.2
Leventina 90.0 93.6 96.0
Locarnese 97.8 93.5 92.9
Luganese 91.5 94.0 91.0
Bregaglia 97.9 99.6 96.1
Malcantone 97.6 91.5
Mendrisiotto 98.8
Mesolcina 90.9 91.8 92.6
Maggia-Onsernone 97.8 93.9 91.6
Val Poschiavo 94.5 100.9
Verzasca 92.3 92.7
Galleria Mappo-Morettina 93.5
Rivera-Taverne 97.3 92.8
INTERNET
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n.3