L`Italia fanalino di coda della crescita. L`Europa rallenta

Commento n. 23 del 02/09/08
Fabio Pammolli e Nicola C. Salerno L’Italia fanalino di coda della crescita. L’Europa rallenta, mentre sembrano risvegliarsi gli USA L’Italia deve intervenire sui suoi problemi strutturali, ma serve riflettere sul coordinamento tra politica monetaria e politiche reali nell’area Euro. Sono maturi i tempi per un nuovo ordine monetario internazionale di cui l’Europa sta pagando cara l’assenza Commento ai dati OCSE Gli Stati Uniti riprendono a crescere, l’Europa rallenta, l’Italia rimane fanalino di coda per la crescita nell’area Euro e ha pressioni inflattive più forti. Dati, questi, che erano già contenuti nel documento diffuso da EUROSTAT il 14 Agosto u.s. (NewsRelease n. 114/2008), e che trovano ora conferma nell’Outlook dell’OCSE. Gli Stati Uniti, nonostante le turbolenze finanziarie e la bolla immobiliare siano tutt’altro che alle spalle, sembrano avviati verso una fase di ripresa, con un tasso di crescita tendenziale del PIL che, nel secondo trimestre, ha raggiunto il 3,3 per cento, inducendo a rivedere al rialzo la stima di crescita su tutto il 2008, dall’1,2 per cento di Giugno all’1,8. L’Europa, invece, continua a rallentare: nel secondo trimestre il tendenziale dell’area Euro ha fatto registrare un ‐0,8 per cento, che ha indotto a rivedere al ribasso la stima di crescita annuale 2008 dal +1,7 per cento al +1,3. Nelle proiezioni 2008 aggiornate, è l’Italia il Paese dell’area Euro con la crescita più bassa: 0,1 per cento (era 0,5 a Giugno), contro il +1,5 della Germania (1,9), il +1 della Francia (1,8), il +1,2 del Regno Unito (1,8). Ed è l’Italia il Paese che, tra Giugno e Settembre, ha ricevuto la revisione a ribasso più consistente della stima di crescita 2008, tagliata a 1/5 della stima di Giugno. Questa “singolarità” dell’Italia deve essere presa sul serio. Essa non solo traspare dai dati dettagliati per Paese diffusi da EUROSTAT e riferiti alle variazioni congiunturali e tendenziali del PIL nel secondo trimestre del 2008, ma si ripresenta anche quando dalle grandezze reali si passi a considerare l’inflazione dei prezzi al consumo. Anche sul fronte dell’inflazione l’Italia si distingue in negativo, come è già stato sottolineato più volte dal CERM (cfr. ad esempio Commento n. 21‐2008): mentre in area Euro il tasso di inflazione tendenziale, misurato con l’indice armonizzato europeo di EUROSTAT, ha fatto registrare una riduzione dal +4 per cento di Luglio al +3,8 di Agosto, per l’Italia questo stesso indice è cresciuto dal +4 al +4,2. E dai dati OCSE emerge adesso la stessa indicazione: a Luglio, l’Italia ha fatto registrare un tasso di inflazione tendenziale del +4,1 per cento ed un congiunturale del +0,5, mentre i rispettivi valori sono stati di +4,1 e ‐0,2 per la media dell’area Euro, di +3,6 e ‐0,2 per la Francia, e di +3,3 e +0,6 per la Germania. In un’Europa che, stando alle dichiarazioni di Jean‐Luc Schneider, condirettore del Dipartimento di analisi economica dell’OCSE, sembra ora attraversare una fase più critica di quella degli Stati Uniti, l’Italia appare l’anello più debole, con crescita annuale azzerata e tensioni inflattive superiori alla media dell’area Euro e che non accennano a cedere. I dati dell’OCSE sollecitano due ordini di considerazioni. Per quanto riguarda l’Italia, dalla stagflazione non si uscirà se non annunciando prontamente e realizzando un ampio programma di riforme strutturali, che sviluppi le azioni di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica avviate dal Ministero dell’Economia, e intervenga sugli snodi più direttamente legati alla crescita e alla stabilità dei prezzi: apertura a concorrenza dei mercati di beni e servizi, modernizzazione del mercato del lavoro, rinnovamento del welfare system, chiusura della transizione federalista. Un annuncio chiaro in questa direzione appare urgente. In caso contrario, il timore fondato è che, anche quando dovessero giungere in Europa i segnali della ripresa USA e la congiuntura mondiale si volgesse in positivo, il nostro continuerà a rimanere un Paese a bassa crescita, con risorse sempre più scarse di fronte a esigenze di spesa in aumento, soprattutto a causa dell’invecchiamento della popolazione e dell’arretratezza delle infrastrutture. Un secondo piano di riflessione e di azione riguarda i rapporti economici internazionali. Anche l’OCSE (ma si vedano le considerazioni svolte dal CERM nel Quaderno n. 1‐2008) mette in risalto il diverso quadro di politica monetaria che dalla fine del 2007 ha contraddistinto gli Stati Uniti e l’area Euro: una politica monetaria espansiva da un lato, di rigore dall’altro, sino ad arrivare a uno spread tra i tassi di sconto che, attualmente, è superiore ai 2 punti percentuali. Il deprezzamento del Dollaro che ne è conseguito, e che persiste nonostante i segnali di segno contrario di questi ultimi giorni, si traduce in un aiuto Commento CERM n. 23 del 02/09/08 2
significativo per la politica economica e per la crescita degli Stati Uniti: un aiuto al riassorbimento del twin deficit statunitense (deficit pubblico e deficit della bilancia commerciale), e un aiuto all’economia grazie al traino delle esportazioni sostenute dalla convenienza di cambio. Il deprezzamento del Dollaro si è reso possibile, nelle proporzioni con cui è avvenuto (il cambio $/Euro è aumentato più del 71 per cento rispetto al 2001), anche perché l’Euro ha guadagnato terreno sui mercati internazionali, sia come moneta di interscambio sia, soprattutto, come riserva di valore protetta dalla sorveglianza della BCE. In questa situazione, la ripresa USA è favorita dal Dollaro debole rispetto all’Euro, mentre è l’Europa che si trova spiazzata dalla sua stessa politica monetaria, restrittiva proprio in piena fase di stagnazione. Come se ne esce? Non certo incolpando la BCE che, nel pieno rispetto del proprio statuto, persegue la stabilità monetaria, condizione necessaria, anche se non sufficiente, per lo sviluppo economico. È necessario intervenire su due fronti. Da un lato, va migliorato il coordinamento tra la politica monetaria e le politiche reali dei Partner che adottano l’Euro. Con mercati di beni e servizi più competitivi e mercati del lavoro più flessibili e integrati, il controllo dell’inflazione non si scaricherebbe tutto sulla leva del tasso di sconto, e non si troverebbero a confliggere, così direttamente come in questi ultimi mesi, i due obiettivi della stabilità monetaria e della crescita economica. Da un altro lato, l’asimmetria delle politiche monetarie tra Stati Uniti ed Europa, con i suoi riflessi sul tasso di cambio e sull’economia reale, porta in primo piano l’esigenza di porre mano alla costruzione di un nuovo ordine monetario mondiale. Non può durare a lungo uno scenario in cui, finita la supremazia assoluta del Dollaro, gli Stati Uniti si “appoggiano” all’Euro per guadagnare competitività e crescita con il cambio, facendo beggar thy neighbour su un’Europa che non sa utilizzare come dovrebbe una moneta tanto forte e sicura. I tempi sono maturi, soprattutto perché se questi trend continueranno, il Dollaro debole porterà inflazione e instabilità anche negli Stati Uniti, e ben al di là dei vantaggi in termini di abbattimento dello stock reale di debito pubblico, se è vero che i dati OCSE testimoniano di una inflazione tendenziale USA che a Luglio ha raggiunto il 5,6 per cento, contro il 5 di Giugno, livelli che non si registravano da quasi un ventennio. E anche perché due politiche monetarie così scoordinate si prestano a comportamenti opportunistici dei new comer sul palcoscenico della politica monetaria internazionale, in primis la Cina, che possono trovare convenienza a fare pegging sul Dollaro e usare l’Euro come valuta di accumulazione. Il documento dell’OCSE arriva a richiamare l’attenzione su alcuni temi centrali di politica economica: quelli nazionali, particolarmente urgenti per l’Italia, consistenti nelle riforme strutturali ad ampio raggio; quelli europei, che riguardano i progressi nelle Istituzioni per il governo di sistemi economici che condividono la stessa moneta e, nello specifico, le modalità di coordinamento della politica monetaria della BCE con le politiche reali dei Partner UE (le riforme strutturali); quelli internazionali sovraeuropei, nuovi e in parte anche inesplorati, che coinvolgono la costruzione di un nuovo ordine monetario mondiale che sappia distribuire in maniera equilibrata le potenzialità di crescita. 2 Settembre 2008 Commento CERM n. 23 del 02/09/08 3
All.:
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OCSE, “What is the economic out look for OECD Countries”?, in data 2 Settembre 2008 (www.oecd.org)
Quaderno CERM n. 1-2008, “Inflazione,, bassa crescita ed Euro forte: tra problemi europei ed economia
globale” (www.cermlab.it)
EUROSTAT, NewsRelease n. 114/2008
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Fonte: Quaderno CERM n. 1‐2008 => http://www.cermlab.it/pub/group/q/item/97
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