IL PARADOSSO DI OLBERS: UN METODO PER CONOSCERE IL NUMERO DI STELLE CHE POPOLANO L’UNIVERSO. Giuseppe D’Angelo INTRODUZIONE Così tante stelle in cielo e così buia la notte! E’ una osservazione che si fa spesso spontaneamente e alla quale tacitamente e altrettanto spontaneamente si risponde: evidentemente non sono così numerose! Tuttavia un’analisi più attenta del problema puntualizza alcuni aspetti generando addirittura un paradosso del quale si sono occupati già nel passato molti astronomi e di cui solo oggi sono state suggerite alcune convincenti spiegazioni. In questo breve lavoro da tavolo ho voluto riesporre le spiegazioni proposte e fare alcune considerazioni aggiuntive. IL PARADOSSO Prende il nome dall'astronomo tedesco Heinrich Wilhelm Olbers, che lo propose nel 1826. In realtà era già stato descritto da Keplero nel 1610 e dagli astronomi Halley e Cheseaux nel XVIII secolo. I presupposti di base perché il paradosso sia tale sono: 1. che l'Universo abbia estensione infinita 2. che l'Universo esista da infinito tempo e sia immutabile 3. che l' Universo sia omogeneo ed isotropo, ovvero le stelle siano disposte in modo uniforme nello spazio Il Paradosso di Olbers ha il seguente enunciato: come è possibile che il cielo notturno sia buio nonostante l'infinità di stelle presenti nell'Universo? Per comprendere meglio la problematica si supponga che le stelle siano distribuite uniformemente in "strati", concentrici, con la stessa densità ovunque. Si prendano due sfere di raggio R1 e R2. Nella superficie A1 ci saranno N1 stelle, mentre in A2 ce ne saranno N2, inoltre N1/N2 = A1/A2 cioè il numero di stelle entro un settore sferico è, proporzionale all'area del settore stesso. La superficie di una sfera di raggio R è proporzionale a R2 , quindi N1 /N2 =R1 2 /R22 Si supponga che ogni stella abbia la stessa luminosità L. La sua luminosità apparente è proporzionale a 1/R2 , dove R è la sua distanza. In definitiva, la luminosità totale apparente di tutte le stelle che si trovano lungo la sfera di raggio R1 è L1 =N1 L/4p R1 2 mentre la luminosità totale apparente delle stelle che si trovano lungo la sfera di raggio R2 è L2 =N2 L/4 p R2 2 dunque L1 /L2 = (N 1 /R1 2 )/(N 1 /R1 2 ) ma N1 /N2 =R1 2 /R22 quindi L1 = L2 , cioè da ognuna di queste sfere ci arriva la stessa quantità di luce. Ogni sfera produce una luminosità uguale alla precedente che si somma a quella delle altre. Considerando che l’ Universo è infinito e omogeneo, esistono infinite sfere di spazio di raggio sempre più grande. Pertanto la quantità di luce che arriverebbe a noi da queste infinite sfere concentriche dovrebbe essere tale che anche di notte dovremmo avere la stessa luminosità che di giorno (paradosso di Olbers). Al fine di una migliore comprensione di quanto seguirà è utile osservare che abbiamo supposto le stelle distribuite in “strati” concentrici di cui abbiamo considerato le relative superfici. Questa è una semplificazione concettuale che contribuisce a rendere il paradosso di Olbers difficile da spiegare. In realtà le stelle non si trovano distribuite su una superficie ma in un volume. Inoltre le variazioni di volume di una sfera, all’aumentare del raggio della stessa, hanno trend differenti rispetto alle variazioni della sua superficie. L’ESPANSIONE DELL’UNIVERSO E LA LEGGE DI HUBBLE Ammettendo l’espansione dell’Universo per spiegare il paradosso dobbiamo ipotizzare che tale fenomeno faccia aumentare lo spazio che la luce deve attraversare per giungere a noi al fine di determinare la reale rarefazione della radiazione elettromagnetica. La legge di Edwin Hubble (1929) infatti chiarisce che la velocità di allontanamento dei corpi celesti cresce con l’aumentare della distanza: v = H*d proponendo per H valori compresi tra 50 e 80 Km/s / Mpc. Considerando adesso un valore medio di H ad esempio 70 Km/s / Mpc avremo che i corpi celesti più remoti dell’Universo che possiamo osservare avranno massimo 13,97 miliardi di anni (1 ).Ciò significa che a 14 miliardi di anni luce da qui finisce necessariamente l’ Universo osservabile come lo era 14 miliardi di anni fa. In altre parole, poiché la luce ha velocità limitata, guardare lontano significa anche guardare indietro nel tempo, fino al punto in cui si osserva l'istante della nascita del cosmo, il Big Bang. In pratica l' Universo visibile ci appare di dimensioni limitate ne llo spazio e nel tempo, per cui la luce ci giunge da un numero limitato di stelle tale che il cielo ci appare così poco luminoso. Secondo questa interpretazione dunque il paradosso non è più tale in quanto il presupposto dell'eternità del cosmo è falso. L’ipotesi di un Universo finito o infinito ma più grande di quello apparente si propone nel caso in cui la fase inflazionistica di espansione fosse avvenuta a velocità superluminale tale da far raggiungere all’Universo buona parte del volume attuale. In tal caso la luce prodotta dai corpi celesti in quel periodo, nonostante il successivo rallentamento del moto di espansione medesimo, non ha avuto ancora il tempo necessario a raggiungerci. Anche nell’ipotesi che fosse infinito nello spazio, ma non nel tempo, secondo la cosmologia comunemente accettata, per eliminare il paradosso di Olbers basta lo spostamento verso il rosso: quando gli oggetti sono abbastanza lontani, se superano la distanza che la luce può aver percorso dal Big Bang, la loro luce non ci arriverà per niente; se invece sono più vicini ma la velocità di recessione è molto prossima, uguale o superiore di quella della luce, non ci arriverà nulla comunque per il forte redshift. 1 Tale valore scaturisce dal limite imposto dalla velocità costante e insuperabile della luce e dalla distanza rappresentata dal megaparsec pari a 3,26 milioni di anni luce. Infatti dividendo 300.000 Km/s per 70 Km/s /Mpc otteniamo 4285,7 Mpc . Al di là di 4285,7 Mpc la luce di eventuali corpi celesti non può raggiungerci a causa della sua velocità finita. Moltiplicando tale valore per 3260000 (a.l/Mpc) si ottiene 13,97 miliardi di anni luce. In altri termini possiamo ottenere all’incirca lo stesso risultato se consideriamo la costante H come l’inverso di un tempo. In effetti Km/s/Mpc è uguale a 1/s riportando l’unità Mpc in Km. Considerato infatti che 1 Mpc = 3260000 a.l. = 3,042*1019 Km, il rapporto 70 Km/s/3,042*1019 Km è uguale a 2,3*10-18 s -1 il cui inverso trasformato in anni vale 13,78*109 anni ovvero circa 14 miliardi di anni. Quindi se anche l'Universo fosse infinito nello spazio, non avremmo il paradosso. Edwin Hubble, comunque, fu molto prudente sulle implicazioni cosmologiche della sua scoperta e manifestò sempre scetticismo sull'espansione dell' Universo. È teoricamente possibile (per quanto molto improbabile) che il redshift non sia dovuto ad un moto della sorgente rispetto all'osservatore ma a qualche effetto fisico, che non comprendiamo, o che la relazione fra luminosità e distanza sia diversa da quella che ci attendiamo. Dopo le osservazioni di Hubble, Fritz Zwicky ( 2 ) ipotizzò che in un Universo statico dovrebbe essere possibile, se esistesse, una spiegazione alternativa al redshift regolato da un meccanismo che causerebbe alla luce una perdita di energia durante il viaggio nello spazio; un concetto che sarebbe stato poi conosciuto con il nome di "luce stanca". Successivamente le osservazioni cosmologiche (3 ) hanno dimostrato che un modello simile non è possibile. Dunque la maggior parte degli astrofisici affermano che l'ipotesi dell'Universo statico (come sosteneva, peraltro, Einstein) non è da prendere in considerazione. La teoria del Big Bang che scaturisce direttamente dalla scoperta di Hubble lascia tuttavia il senso comune un po’ perplesso. Infatti in una ipotetica grande esplosione in uno spazio in formazione privo di attriti, i frammenti emessi (elementi materiali e poi corpi celesti) si muoverebbero tutti alla stessa velocità costante dopo una prima fase di inflazione cosmica in cui si è avuto un aumento esponenziale delle dimensioni dell’Universo. In tal senso la legge di Hubble chiarisce che la velocità di allontanamento aumenta in maniera proporzionale alla distanza, come in una sorta di moto uniformemente accelerato. Si noti infatti la similitudine formale delle due formule: v = H*d e v = a*t. Nella seconda formula a assume significato di Costante e t quello di variabile indipendente. In entrambe le formule il grafico rappresentante l’andamento della velocità è quello di una retta passante per l’origine con pendenza definita dalla rispettiva costante. Se ciò che dice la legge di Hubble corrisponde a verità allora la stessa informa che non sono i corpi celesti che si muovono in uno spazio volumetrico statico (essi infatti dovrebbero allontanarsi reciprocamente a velocità costante per inerzia) ma è lo spazio stesso in cui si trovano che si espande in quanto ente fisico dilatabile, soggetto a qualche forza misteriosa. Per spiegare questo strano comportamento dello spazio, gli astrofisici ritengono che attualmente l' Universo sia dominato da una misteriosa forma di energia, conosciuta come energia oscura, la quale apparentemente permea tutto lo spazio e produrrebbe la spinta necessaria per far allontanare i corpi celesti a velocità sempre maggiore man mano che si allontanano. E’ necessario fare adesso una puntualizzazione teorica. E’ evidente che se al di là del confine dell’Universo non esiste nulla, tale nulla non può essere lo 2 Fritz Zwicky (Varna, 14 febbraio 1898 – Pasadena, 8 febbraio 1974) è stato un astronomo svizzero naturalizzato statunitense. Propose per primo l'esistenza della materia oscura. 3 Questo perché nuove misurazioni in una gamma di frequenze dello spettro hanno mostrato che lo spettro della radiazione di fondo era uno spettro di corpo nero termico, un risultato che il modello dello stato stazionario non riusciva a riprodurre. In particolare, fotoni che presentano un spettro di corpo nero conservano un spettro di corpo nero anche a seguito dell'espansione dell'universo, con una temperatura che decresce nel tempo. Nel caso della luce stanca tradizionale, lo spettro di corpo nero si distorce nel corso del tempo. spazio volumetrico vuoto, perché altrimenti dovremmo ipotizzare un big bang avvenuto all’interno di un volume vuoto, infinito, preesistente ed eterno. Un volume ha ragione di esistere solo se contiene qualche cosa. Inoltre il big bang, per definizione, rappresenta la creazione di tutto ciò che esiste, compreso il tempo che scandisce gli eventi. Eventi, che si possono susseguire solo in presenza di spazio. Anche lo spazio viene dunque creato con il big bang. La mancanza di eventi fisicamente intesi prima del big bang conferma, a livello teorico, l’inesistenza di spazio prima di tale evento. Se dunque l’Universo subisce una espansione, la stessa non può avvenire senza che nuovo spazio volumetrico venga creato. L’energia oscura avrà sicuramente ragione di esistere, ma l’espansione dell’Universo non può avvenire senza un effettivo aumento (creazione) volumetrico dello spazio. Le osservazioni suggeriscono che circa il 72% di tutta l'energia dell'Universo attuale sia sotto questa forma. Quando il cosmo era più giovane, era permeato in ugual modo dall'energia oscura, ma la forza di gravità aveva il sopravvento e rallentava l'espansione, in quanto era presente meno spazio ed i vari oggetti astronomici erano più vicini tra loro. Dopo alcuni miliardi di anni, la crescente abbondanza dell'energia oscura causò un'accelerazione dell'espansione dell'Universo. L'energia oscura, nella sua forma più semplice, prende la forma della costante cosmologica nelle equazioni di campo di Einstein della relatività generale, ma la sua composizione e il suo meccanismo sono sconosciuti. In pratica si tenta di risolvere un enigma scoprendone un altro! Secondo il cosmologo americano Edward Robert Harrison la soluzione del paradosso non si trova nell'espansione dell' Universo; anche un Universo statico avrebbe un cielo notturno buio. La soluzione secondo Harrison è che le stelle brillano da troppo poco tempo per riempire tutto l'Universo con la loro radiazione. ASPETTI NUMERICI DEL PARADOSSO Proviamo adesso a considerare l’incremento di luminosità del cielo notturno ottenuto per valori crescenti del raggio di una sfera di riferimento. Confrontiamo adesso i valori della luminosità secondo superfici sferiche e secondo volumi sferici differenza, ottenuti cioè sottraendo al volume della sfera di dato raggio il volume della sfera di raggio immediatamente inferiore. Nella tabella che segue vengono riportati i valori di luminosità totale (partendo da un valore unitario costante espresso dal numero intero 10) riferiti a superfici sferiche concentriche di raggio crescente e a volumi differenza. Vengono inoltre riportati i valori di detta luminosità ricalcolati tenendo conto della riduzione dovuta alla distanza. E’ possibile osservare come la luminosità secondo volumi sia, per valori piccoli del raggio, notevolmente inferiore rispetto alla luminosità calcolata secondo superfici sferiche. SUPERF VOLUM RAGGIO ICIE E 4,18666 1 12,56 7 33,4933 2 50,24 3 3 113,04 4 200,96 5 6 LUM. TOT. LUM. PER LUMINO TOT. VOLUM SITA' PER E UNITARI SUPERF DIFFER A ICIE ENZA 41,8666 10 125,6 6667 334,933 10 502,4 3333 10 1130,4 10 2009,6 314 113,04 267,946 7 523,333 3 10 3140 1130,4 2679,46 6667 5233,33 3333 452,16 904,32 10 4521,6 9043,2 DIFFER ENZA LUM. SFERE CONCE NTRICH E 41,8666 6667 293,066 6667 795,466 6667 1549,06 6667 2553,86 6667 3809,86 6667 LUMINO SITA' / (DISTAN ZA) 2 PER SUPERFICIE 125,6 125,6 125,6 125,6 125,6 125,6 LUMINO % SITA' / (DISTAN VARIAZI 2 ZA) ONE PER LUMINO VOLUME SITA' 41,8666 66,6666 6667 6666 73,2666 41,6666 6667 6667 88,3851 29,6296 8519 2963 96,8166 22,9166 6667 6667 102,154 18,6666 6667 6667 105,829 15,7407 6296 4074 RAPPO RTO SUPERF ICI RAPPO RTO VOLUMI 4 8 4 8 7 615,44 8 803,84 9 1017,36 10 1256 11 1519,76 12 1808,64 13 2122,64 14 2461,76 1436,02 7 2143,57 3 10 6154,4 10 8038,4 3052,08 4186,66 7 5572,45 3 10 10173,6 10 12560 10 15197,6 7234,56 9198,10 7 11488,2 1 10 18086,4 10 21226,4 10 24617,6 14360,2 6667 21435,7 3333 30520,8 41866,6 6667 55724,5 3333 72345,6 91981,0 6667 114882, 1333 5317,06 6667 7075,46 6667 9085,06 6667 11345,8 6667 13857,8 6667 16621,0 6667 19635,4 6667 22901,0 6667 TOT (14 MLA) 125,6 125,6 125,6 125,6 125,6 125,6 125,6 125,6 1758,4 % MEDIA DI RIDUZ. LUM.(14 MLD a.l.) 108,511 5646 110,554 1667 112,161 3169 113,458 6667 114,527 8237 115,424 0741 116,186 1933 116,842 1769 1415,98 5464 19,4730 7414 13,6054 4218 11,9791 6667 10,6995 8848 9,66666 6667 8,81542 6997 8,10185 1852 7,49506 9034 6,97278 9116 4 8 % MEDIA DI RIDUZ. 19,4730 LUM.(14 7414 MLD a.l.) Se consideriamo un valore unitario del raggio pari ad un miliardo di anni luce avremo, per una distanza di 14 miliardi di anni luce (dimensione orientativa comunemente accettata dell’Universo visibile), una riduzione media di luminosità (da considerare in aggiunta a quella dovuta alla distanza calcolata secondo superfici sferiche) pari a circa 20%. In ultima analisi considerare volumi sferici differenza invece che superfici significa dover considerare, in riferimento al paradosso di Olbers, una luminosità notturna comunque inferiore di circa il 20% a quella immaginata, frutto del contributo complessivo delle superfici sferiche concentriche. Le stelle poste a distanze maggiori di 14 MLD di a.l. non contribuiscono alla luminosità per i motivi già considerati, relativi al limite imposto dalla velocità della luce e all’espansione dell’Universo. CALCOLO DEL NUMERO DI STELLE DELL’UNIVERSO Il paradosso di Olbers ci offre comunque uno spunto riflessivo che ci permette di sviluppare un semplice metodo di calcolo indiretto del numero di stelle che popolano l’Universo. Tale metodo ci offre poi anche una spiegazione complementare del paradosso stesso. L’idea è molto semplice. Tenuto conto della distanza media Terra-Sole e considerata l’emidistanza dell’Universo visibile (7,5 MLD di a.l. secondo stime più recenti) alla quale, per semplificazione, consideriamo poste tutte le stelle esistenti su una immaginaria sfera celeste, è possibile calcolare il numero di “Soli” necessario per illuminare la notte come se fosse giorno. Nella tabella che segue si può osservare come il numero di Soli viene calcolato tenendo conto della legge di variazione della luminosità secondo il quadrato della distanza. Tale numero si ottiene dividendo l’emidistanza dell’Universo (in Km) per l’U.A. (in Km) ed elevando al quadrato. VELOCITA' LUCE (Km/s) 299.792,46 U.A. (Km) DISTANZA DI UN ANNO EMI DISTANZA EMI DISTANZA LUCE (Km) UNIVERSO (a.l.) UNIVERSO (Km) 150000000 9,46089E+12 7500000000 NUMERO DI SOLI NECESSARI 7,09566E+22 2,23771E+29 NUMERO STIMATO DI STELLE NELL'UNIVERSO da Pieter van Dokkum di Yale e dal collega di Harvard Charlie Conroy 3,00E+23 NUMERO STIMATO DI STELLE NELL'UNIVERSO da Carl Sagan 1E+22 RAPPORTO TRA STELLE NECESSARIE E STELLE STIMATE 7,46E+05 RAPPORTO TRA STELLE NECESSARIE E STELLE STIMATE 2,2377090E+7 Se si considera poi il numero stimato di stelle presenti nell’Universo secondo una recente indagine scientifica realizzata da Pieter van Dokkum ( 4) della Yale University e dal collega Charlie Conroy della 5 Harvard University e secondo anche la stima fatta da Carl Sagan ( ) si deduce chiaramente che il numero di stelle necessario nell’Universo per garantire la luminosità prevista è comunque di gran lunga superiore a quello calcolato e che contribuisce a garantire la luminosità attuale. Pertanto anche per tale motivo il cielo notturno non può essere luminoso come quello diurno. Le stelle sono troppo poche! Se le stelle in cielo non sono sufficientemente numerose da illuminare a giorno la notte tuttavia esse garantiscono una flebile luminosità notturna misurabile. Dunque un confronto con la luminosità del Sole potrebbe permetterci di calcolare indirettamente il loro numero in modo approssimato. Nella tabella che segue viene effettuato tale calcolo moltiplicando il rapporto tempi di esposizione fotografica per il numero di Soli necessario (1,94926E+29). I dati della tabella sotto riportata si riferiscono infatti ad un confronto fotografico tra foto diurna e notturna realizzate con le medesime impostazioni di apertura di diaframma e sensibilità della pellicola. La foto diurna riguarda un soggetto direttamente illuminato dal Sole. La foto notturna ha come soggetto il cielo profondo in assenza di forte inquinamento luminoso. I tempi di esposizione sono quelli previsti teoricamente. 4 Pieter van Dokkum è professore nel Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Yale. Charlie Conroy astronomo al Harvard-Smithsonian Center for Astrophisics. 5 Carl Sagan (New York, 9 novembre 1934 – Seattle, 20 dicembre 1996) è stato un astronomo, divulgatore scientifico e autore di fantascienza statunitense. È stato uno dei più famosi astronomi ed astrochimici, del XX secolo. Lo si ricorda inoltre come grande divulgatore scientifico, come scrittore di fantascienza e come epistemologo in qualità di maggiore esponente dello scetticismo scientifico. È stato uno dei fondatori del Progetto SETI per la ricerca delle intelligenze extraterrestri. TEMPO DI ESPOSIZIONE (in millisecondi) MEDIO DIURNO CON SOLE E PELLICOLA APERTURA 200 ISO 1/250 DIAFRAMMA s TEMPO DI ESPOSIZIONE (in millisecondi) MEDIO CON NUMERO DI CIELO SCURO E PELLICOLA 200 RAPPORTO STELLE ISO 1h 23m 20s TEMPI DELL'UNIVERSO 4 4 5000000 TEMPO DI ESPOSIZIONE (in millisecondi) TEMPO DI MEDIO ESPOSIZIONE DIURNO CON (in millisecondi) SOLE E MEDIO CON PELLICOLA CIELO SCURO E APERTURA 400 ISO 1/250 PELLICOLA 400 DIAFRAMMA s ISO 1h 5m 6,25s 0,0000008 1,79017E+23 RAPPORTO TRA STELLE NECESSARIE E STELLE STIMATE 1250000 RAPPORTO TRA NUMERO DI STELLE RAPPORTO STELLE NECESSARIE E TEMPI DELL'UNIVERSO STELLE STIMATE 5,6 4 3906250 0,000001024 2,29141E+23 976562,5 TEMPO DI ESPOSIZIONE (in millisecondi) TEMPO DI MEDIO ESPOSIZIONE DIURNO CON (in millisecondi) SOLE E MEDIO CON RAPPORTO TRA PELLICOLA CIELO SCURO E NUMERO DI STELLE APERTURA 800 ISO 1/250 STELLE PELLICOLA 800 RAPPORTO NECESSARIE E DIAFRAMMA TEMPI DELL'UNIVERSO STELLE STIMATE s ISO 1h 23m 20s 8 4 5000000 0,0000008 1,79017E+23 1250000 I valori trovati relativi al numero di stelle che popolano l’ Universo appare molto prossimo alla stima effettuata da Pieter van Dokkum di Yale e dal collega di Harvard Charlie Conroy. E’ evidente che si tratta di valori orientativi . Tuttavia confermano indirettamente una analisi scientifica di maggiore spessore e rigore. CONCLUSIONI Accettiamo adesso che l’ordine di grandezza trovato per il numero di stelle dell’Universo sia stato stimato correttamente dalle recenti indagini scientifiche. Ammettiamo anche che la stima fatta, utilizzando i rapporti parametrici applicati in fotografia, sia grosso modo corretta. Se tale numero risulta insufficiente a garantire una notte “solare” s i potrebbe avanzare l’ipotesi che le cause ipotizzate per giustificare il paradosso di Olbers non sono necessarie e neanche influenti. In realtà, anche nell’ipotesi che le due stime coincidessero perfettamente, bisogna considerare che se il numero di stelle calcolato non è sufficiente ciò dipende prevalentemente proprio dall’espansione dell’Universo che nel corso dei miliardi di anni ha rarefatto le sorgenti luminose relegando, peraltro, molte di esse oltre i confini dell’Universo visibile. Qualche miliardo di anni fa il cielo notturno sulla Terra doveva essere abbastanza più luminoso di quanto non lo sia oggi per la presenza di un maggior numero di stelle visibili e per una minore distanza da esse. Una ulteriore diminuzione di luminosità è poi da considerare in riferimento all’andamento volumetrico della stessa, come sopra osservato. In un futuro molto lontano, se la teoria dell’espansione dell’Universo manterrà la sua validità, i cieli notturni saranno ancor meno luminosi di quanto non lo siano adesso. Riferimenti bibliografici http://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_di_Olbers (27/08/2011) http://www.nature.com/nature/journal/v468/n7326/full/nature09578.html (27/08/2011) http://it.wikipedia.org/wiki/Corpo_nero (29/08/2011) http://it.wikipedia.org/wiki/Radiazione_cosmica_di_fondo (29/08/2011) http://astronomicamentis.blogosfere.it/2010/12/triplicato- il-numero-di-stelle-nelluniverso.html (05/09/2011) http://www.pd.astro.it/planet/L27_00T.html (05/09/2011) http://www.astrofiliastrumcaeli.it/COMEOSSERVARE/ASTROFOTOGRAFIA/esposizione.php?diaframma=5%2C6&sensibilita=200&ogg etto=0.000016&mostra=si&invia=CALCOLA (10/09/2011)