IL PARADOSSO DI OLBERS: UN METODO

IL PARADOSSO DI OLBERS:
UN METODO PER CONOSCERE IL NUMERO DI STELLE CHE POPOLANO L’UNIVERSO.
Giuseppe D’Angelo
INTRODUZIONE
Così tante stelle in cielo e così buia la notte! E’ una osservazione che si fa spesso spontaneamente e
alla quale tacitamente e altrettanto spontaneamente si risponde: evidentemente non sono così
numerose!
Tuttavia un’analisi più attenta del problema puntualizza alcuni aspetti generando addirittura un
paradosso del quale si sono occupati già nel passato molti astronomi e di cui solo oggi sono state
suggerite alcune convincenti spiegazioni. In questo breve lavoro da tavolo ho voluto riesporre le
spiegazioni proposte e fare alcune considerazioni aggiuntive.
IL PARADOSSO
Prende il nome dall'astronomo tedesco Heinrich Wilhelm Olbers, che lo propose nel 1826. In realtà
era già stato descritto da Keplero nel 1610 e dagli astronomi Halley e Cheseaux nel XVIII secolo.
I presupposti di base perché il paradosso sia tale sono:
1. che l'Universo abbia estensione infinita
2. che l'Universo esista da infinito tempo e sia immutabile
3. che l' Universo sia omogeneo ed isotropo, ovvero le stelle siano disposte in modo uniforme
nello spazio
Il Paradosso di Olbers ha il seguente enunciato: come è possibile che il cielo notturno sia buio
nonostante l'infinità di stelle presenti nell'Universo?
Per comprendere meglio la problematica si supponga che le stelle siano distribuite uniformemente
in "strati", concentrici, con la stessa densità ovunque. Si prendano due sfere di raggio R1 e R2.
Nella superficie A1 ci saranno N1 stelle, mentre in A2 ce ne saranno N2, inoltre
N1/N2 = A1/A2
cioè il numero di stelle entro un settore sferico è, proporzionale all'area del settore stesso.
La superficie di una sfera di raggio R è proporzionale a R2 , quindi
N1 /N2 =R1 2 /R22
Si supponga che ogni stella abbia la stessa luminosità L.
La sua luminosità apparente è proporzionale a 1/R2 , dove R è la sua distanza. In definitiva, la
luminosità totale apparente di tutte le stelle che si trovano lungo la sfera di raggio R1 è
L1 =N1 L/4p R1 2
mentre la luminosità totale apparente delle stelle che si trovano lungo la sfera di raggio R2 è
L2 =N2 L/4 p R2 2
dunque
L1 /L2 = (N 1 /R1 2 )/(N 1 /R1 2 ) ma
N1 /N2 =R1 2 /R22
quindi L1 = L2 , cioè
da ognuna di queste sfere ci arriva la stessa quantità di luce.
Ogni sfera produce una luminosità uguale alla precedente che si somma a quella delle altre.
Considerando che l’ Universo è infinito e omogeneo, esistono infinite sfere di spazio di raggio
sempre più grande. Pertanto la quantità di luce che arriverebbe a noi da queste infinite sfere
concentriche dovrebbe essere tale che anche di notte dovremmo avere la stessa luminosità che di
giorno (paradosso di Olbers). Al fine di una migliore comprensione di quanto seguirà è utile
osservare che abbiamo supposto le stelle distribuite in “strati” concentrici di cui abbiamo
considerato le relative superfici. Questa è una semplificazione concettuale che contribuisce a
rendere il paradosso di Olbers difficile da spiegare. In realtà le stelle non si trovano distribuite su
una superficie ma in un volume. Inoltre le variazioni di volume di una sfera, all’aumentare del
raggio della stessa, hanno trend differenti rispetto alle variazioni della sua superficie.
L’ESPANSIONE DELL’UNIVERSO E LA LEGGE DI HUBBLE
Ammettendo l’espansione dell’Universo per spiegare il paradosso dobbiamo ipotizzare che tale
fenomeno faccia aumentare lo spazio che la luce deve attraversare per giungere a noi al fine di
determinare la reale rarefazione della radiazione elettromagnetica. La legge di Edwin Hubble
(1929) infatti chiarisce che la velocità di allontanamento dei corpi celesti cresce con l’aumentare
della distanza: v = H*d proponendo per H valori compresi tra 50 e 80 Km/s / Mpc. Considerando
adesso un valore medio di H ad esempio 70 Km/s / Mpc avremo che i corpi celesti più remoti
dell’Universo che possiamo osservare avranno massimo 13,97 miliardi di anni (1 ).Ciò significa che
a 14 miliardi di anni luce da qui finisce necessariamente l’ Universo osservabile come lo era 14
miliardi di anni fa.
In altre parole, poiché la luce ha velocità limitata, guardare lontano significa anche guardare
indietro nel tempo, fino al punto in cui si osserva l'istante della nascita del cosmo, il Big Bang.
In pratica l' Universo visibile ci appare di dimensioni limitate ne llo spazio e nel tempo, per cui la
luce ci giunge da un numero limitato di stelle tale che il cielo ci appare così poco luminoso.
Secondo questa interpretazione dunque il paradosso non è più tale in quanto il presupposto
dell'eternità del cosmo è falso. L’ipotesi di un Universo finito o infinito ma più grande di quello
apparente si propone nel caso in cui la fase inflazionistica di espansione fosse avvenuta a velocità
superluminale tale da far raggiungere all’Universo buona parte del volume attuale. In tal caso la
luce prodotta dai corpi celesti in quel periodo, nonostante il successivo rallentamento del moto di
espansione medesimo, non ha avuto ancora il tempo necessario a raggiungerci.
Anche nell’ipotesi che fosse infinito nello spazio, ma non nel tempo, secondo la cosmologia
comunemente accettata, per eliminare il paradosso di Olbers basta lo spostamento verso il rosso:
quando gli oggetti sono abbastanza lontani, se superano la distanza che la luce può aver percorso
dal Big Bang, la loro luce non ci arriverà per niente; se invece sono più vicini ma la velocità di
recessione è molto prossima, uguale o superiore di quella della luce, non ci arriverà nulla comunque
per il forte redshift.
1
Tale valore scaturisce dal limite imposto dalla velocità costante e insuperabile della luce e dalla distanza rappresentata
dal megaparsec pari a 3,26 milioni di anni luce. Infatti dividendo 300.000 Km/s per 70 Km/s /Mpc otteniamo 4285,7
Mpc . Al di là di 4285,7 Mpc la luce di eventuali corpi celesti non può raggiungerci a causa della sua velocità finita.
Moltiplicando tale valore per 3260000 (a.l/Mpc) si ottiene 13,97 miliardi di anni luce. In altri termini possiamo ottenere
all’incirca lo stesso risultato se consideriamo la costante H come l’inverso di un tempo. In effetti Km/s/Mpc è uguale a
1/s riportando l’unità Mpc in Km. Considerato infatti che 1 Mpc = 3260000 a.l. = 3,042*1019 Km, il rapporto 70
Km/s/3,042*1019 Km è uguale a 2,3*10-18 s -1 il cui inverso trasformato in anni vale 13,78*109 anni ovvero circa 14
miliardi di anni.
Quindi se anche l'Universo fosse infinito nello spazio, non avremmo il paradosso. Edwin Hubble,
comunque, fu molto prudente sulle implicazioni cosmologiche della sua scoperta e manifestò
sempre scetticismo sull'espansione dell' Universo. È teoricamente possibile (per quanto molto
improbabile) che il redshift non sia dovuto ad un moto della sorgente rispetto all'osservatore ma a
qualche effetto fisico, che non comprendiamo, o che la relazione fra luminosità e distanza sia
diversa da quella che ci attendiamo. Dopo le osservazioni di Hubble, Fritz Zwicky ( 2 ) ipotizzò che
in un Universo statico dovrebbe essere possibile, se esistesse, una spiegazione alternativa
al redshift regolato da un meccanismo che causerebbe alla luce una perdita di energia durante il
viaggio nello spazio; un concetto che sarebbe stato poi conosciuto con il nome di "luce stanca".
Successivamente le osservazioni cosmologiche (3 ) hanno dimostrato che un modello simile non è
possibile. Dunque la maggior parte degli astrofisici affermano che l'ipotesi dell'Universo statico
(come sosteneva, peraltro, Einstein) non è da prendere in considerazione.
La teoria del Big Bang che scaturisce direttamente dalla scoperta di Hubble lascia tuttavia il senso
comune un po’ perplesso. Infatti in una ipotetica grande esplosione in uno spazio in formazione
privo di attriti, i frammenti emessi (elementi materiali e poi corpi celesti) si muoverebbero tutti alla
stessa velocità costante dopo una prima fase di inflazione cosmica in cui si è avuto un aumento
esponenziale delle dimensioni dell’Universo.
In tal senso la legge di Hubble chiarisce che la velocità di allontanamento aumenta in maniera
proporzionale alla distanza, come in una sorta di moto uniformemente accelerato.
Si noti infatti la similitudine formale delle due formule: v = H*d e
v = a*t. Nella seconda
formula a assume significato di Costante e t quello di variabile indipendente.
In entrambe le formule il grafico rappresentante l’andamento della velocità è quello di una retta
passante per l’origine con pendenza definita dalla rispettiva costante.
Se ciò che dice la legge di Hubble corrisponde a verità allora la stessa informa che non sono i corpi
celesti che si muovono in uno spazio volumetrico statico (essi infatti dovrebbero allontanarsi
reciprocamente a velocità costante per inerzia) ma è lo spazio stesso in cui si trovano che si espande
in quanto ente fisico dilatabile, soggetto a qualche forza misteriosa. Per spiegare questo strano
comportamento dello spazio, gli astrofisici ritengono che attualmente l' Universo sia dominato da
una misteriosa forma di energia, conosciuta come energia oscura, la quale apparentemente permea
tutto lo spazio e produrrebbe la spinta necessaria per far allontanare i corpi celesti a velocità sempre
maggiore man mano che si allontanano. E’ necessario fare adesso una puntualizzazione teorica. E’
evidente che se al di là del confine dell’Universo non esiste nulla, tale nulla non può essere lo
2
Fritz Zwicky (Varna, 14 febbraio 1898 – Pasadena, 8 febbraio 1974) è stato
un astronomo svizzero naturalizzato statunitense. Propose per primo l'esistenza della materia oscura.
3
Questo perché nuove misurazioni in una gamma di frequenze dello spettro hanno mostrato che lo spettro della
radiazione di fondo era uno spettro di corpo nero termico, un risultato che il modello dello stato stazionario non riusciva
a riprodurre. In particolare, fotoni che presentano un spettro di corpo nero conservano un spettro di corpo nero anche a
seguito dell'espansione dell'universo, con una temperatura che decresce nel tempo. Nel caso della luce stanca
tradizionale, lo spettro di corpo nero si distorce nel corso del tempo.
spazio volumetrico vuoto, perché altrimenti dovremmo ipotizzare un big bang avvenuto all’interno
di un volume vuoto, infinito, preesistente ed eterno. Un volume ha ragione di esistere solo se
contiene qualche cosa. Inoltre il big bang, per definizione, rappresenta la creazione di tutto ciò che
esiste, compreso il tempo che scandisce gli eventi. Eventi, che si possono susseguire solo in
presenza di spazio. Anche lo spazio viene dunque creato con il big bang. La mancanza di eventi
fisicamente intesi prima del big bang conferma, a livello teorico, l’inesistenza di spazio prima di
tale evento. Se dunque l’Universo subisce una espansione, la stessa non può avvenire senza che
nuovo spazio volumetrico venga creato. L’energia oscura avrà sicuramente ragione di esistere, ma
l’espansione dell’Universo non può avvenire senza un effettivo aumento (creazione) volumetrico
dello spazio.
Le osservazioni suggeriscono che circa il 72% di tutta l'energia dell'Universo attuale sia sotto questa
forma. Quando il cosmo era più giovane, era permeato in ugual modo dall'energia oscura, ma la
forza di gravità aveva il sopravvento e rallentava l'espansione, in quanto era presente meno spazio
ed i vari oggetti astronomici erano più vicini tra loro. Dopo alcuni miliardi di anni, la crescente
abbondanza dell'energia oscura causò un'accelerazione dell'espansione dell'Universo.
L'energia oscura, nella sua forma più semplice, prende la forma della costante
cosmologica nelle equazioni di campo di Einstein della relatività generale, ma la sua composizione
e il suo meccanismo sono sconosciuti. In pratica si tenta di risolvere un enigma scoprendone un
altro!
Secondo il cosmologo americano Edward Robert Harrison la soluzione del paradosso non si trova
nell'espansione dell' Universo; anche un Universo statico avrebbe un cielo notturno buio. La
soluzione secondo Harrison è che le stelle brillano da troppo poco tempo per riempire tutto
l'Universo con la loro radiazione.
ASPETTI NUMERICI DEL PARADOSSO
Proviamo adesso a considerare l’incremento di luminosità del cielo notturno ottenuto per valori
crescenti del raggio di una sfera di riferimento. Confrontiamo adesso i valori della luminosità
secondo superfici sferiche e secondo volumi sferici differenza, ottenuti cioè sottraendo al volume
della sfera di dato raggio il volume della sfera di raggio immediatamente inferiore.
Nella tabella che segue vengono riportati i valori di luminosità totale (partendo da un valore unitario
costante espresso dal numero intero 10) riferiti a superfici sferiche concentriche di raggio crescente
e a volumi differenza. Vengono inoltre riportati i valori di detta luminosità ricalcolati tenendo conto
della riduzione dovuta alla distanza.
E’ possibile osservare come la luminosità secondo volumi sia, per valori piccoli del raggio,
notevolmente inferiore rispetto alla luminosità calcolata secondo superfici sferiche.
SUPERF VOLUM
RAGGIO ICIE
E
4,18666
1
12,56
7
33,4933
2
50,24
3
3
113,04
4
200,96
5
6
LUM.
TOT.
LUM.
PER
LUMINO TOT.
VOLUM
SITA'
PER
E
UNITARI SUPERF DIFFER
A
ICIE
ENZA
41,8666
10
125,6
6667
334,933
10
502,4
3333
10
1130,4
10
2009,6
314
113,04
267,946
7
523,333
3
10
3140
1130,4
2679,46
6667
5233,33
3333
452,16
904,32
10
4521,6
9043,2
DIFFER
ENZA
LUM.
SFERE
CONCE
NTRICH
E
41,8666
6667
293,066
6667
795,466
6667
1549,06
6667
2553,86
6667
3809,86
6667
LUMINO
SITA' /
(DISTAN
ZA) 2
PER
SUPERFICIE
125,6
125,6
125,6
125,6
125,6
125,6
LUMINO
%
SITA' /
(DISTAN VARIAZI
2
ZA)
ONE
PER
LUMINO
VOLUME
SITA'
41,8666 66,6666
6667
6666
73,2666 41,6666
6667
6667
88,3851 29,6296
8519
2963
96,8166 22,9166
6667
6667
102,154 18,6666
6667
6667
105,829 15,7407
6296
4074
RAPPO
RTO
SUPERF
ICI
RAPPO
RTO
VOLUMI
4
8
4
8
7
615,44
8
803,84
9
1017,36
10
1256
11
1519,76
12
1808,64
13
2122,64
14
2461,76
1436,02
7
2143,57
3
10
6154,4
10
8038,4
3052,08
4186,66
7
5572,45
3
10
10173,6
10
12560
10
15197,6
7234,56
9198,10
7
11488,2
1
10
18086,4
10
21226,4
10
24617,6
14360,2
6667
21435,7
3333
30520,8
41866,6
6667
55724,5
3333
72345,6
91981,0
6667
114882,
1333
5317,06
6667
7075,46
6667
9085,06
6667
11345,8
6667
13857,8
6667
16621,0
6667
19635,4
6667
22901,0
6667
TOT (14
MLA)
125,6
125,6
125,6
125,6
125,6
125,6
125,6
125,6
1758,4
%
MEDIA
DI
RIDUZ.
LUM.(14
MLD a.l.)
108,511
5646
110,554
1667
112,161
3169
113,458
6667
114,527
8237
115,424
0741
116,186
1933
116,842
1769
1415,98
5464
19,4730
7414
13,6054
4218
11,9791
6667
10,6995
8848
9,66666
6667
8,81542
6997
8,10185
1852
7,49506
9034
6,97278
9116
4
8
%
MEDIA
DI
RIDUZ.
19,4730 LUM.(14
7414 MLD a.l.)
Se consideriamo un valore unitario del raggio pari ad un miliardo di anni luce avremo, per una
distanza di 14 miliardi di anni luce (dimensione orientativa comunemente accettata dell’Universo
visibile), una riduzione media di luminosità (da considerare in aggiunta a quella dovuta alla distanza
calcolata secondo superfici sferiche) pari a circa 20%.
In ultima analisi considerare volumi sferici differenza invece che superfici significa dover
considerare, in riferimento al paradosso di Olbers, una luminosità notturna comunque inferiore di
circa il 20% a quella immaginata, frutto del contributo complessivo delle superfici sferiche
concentriche.
Le stelle poste a distanze maggiori di 14 MLD di a.l. non contribuiscono alla luminosità per i motivi
già considerati, relativi al limite imposto dalla velocità della luce e all’espansione dell’Universo.
CALCOLO DEL NUMERO DI STELLE DELL’UNIVERSO
Il paradosso di Olbers ci offre comunque uno spunto riflessivo che ci permette di sviluppare un
semplice metodo di calcolo indiretto del numero di stelle che popolano l’Universo. Tale metodo ci
offre poi anche una spiegazione complementare del paradosso stesso.
L’idea è molto semplice. Tenuto conto della distanza media Terra-Sole e considerata l’emidistanza
dell’Universo visibile (7,5 MLD di a.l. secondo stime più recenti) alla quale, per semplificazione,
consideriamo poste tutte le stelle esistenti su una immaginaria sfera celeste, è possibile calcolare il
numero di “Soli” necessario per illuminare la notte come se fosse giorno.
Nella tabella che segue si può osservare come il numero di Soli viene calcolato tenendo conto della
legge di variazione della luminosità secondo il quadrato della distanza. Tale numero si ottiene
dividendo l’emidistanza dell’Universo (in Km) per l’U.A. (in Km) ed elevando al quadrato.
VELOCITA'
LUCE (Km/s)
299.792,46
U.A. (Km)
DISTANZA
DI UN ANNO EMI DISTANZA EMI DISTANZA
LUCE (Km)
UNIVERSO (a.l.) UNIVERSO (Km)
150000000 9,46089E+12
7500000000
NUMERO DI
SOLI
NECESSARI
7,09566E+22 2,23771E+29
NUMERO
STIMATO DI
STELLE
NELL'UNIVERSO
da Pieter van
Dokkum di Yale e
dal collega di
Harvard Charlie
Conroy
3,00E+23
NUMERO
STIMATO DI
STELLE
NELL'UNIVERSO
da Carl Sagan
1E+22
RAPPORTO TRA
STELLE
NECESSARIE E
STELLE STIMATE
7,46E+05
RAPPORTO TRA
STELLE
NECESSARIE E
STELLE STIMATE
2,2377090E+7
Se si considera poi il numero stimato di stelle presenti nell’Universo secondo una recente indagine
scientifica realizzata da Pieter van Dokkum ( 4) della Yale University e dal collega Charlie Conroy della
5
Harvard University e secondo anche la stima fatta da Carl Sagan ( ) si deduce chiaramente che il numero di
stelle necessario nell’Universo per garantire la luminosità prevista è comunque di gran lunga superiore a
quello calcolato e che contribuisce a garantire la luminosità attuale. Pertanto anche per tale motivo il cielo
notturno non può essere luminoso come quello diurno. Le stelle sono troppo poche!
Se le stelle in cielo non sono sufficientemente numerose da illuminare a giorno la notte tuttavia esse
garantiscono una flebile luminosità notturna misurabile. Dunque un confronto con la luminosità del
Sole potrebbe permetterci di calcolare indirettamente il loro numero in modo approssimato.
Nella tabella che segue viene effettuato tale calcolo moltiplicando il rapporto tempi di esposizione
fotografica per il numero di Soli necessario (1,94926E+29).
I dati della tabella sotto riportata si riferiscono infatti ad un confronto fotografico tra foto diurna e
notturna realizzate con le medesime impostazioni di apertura di diaframma e sensibilità della
pellicola.
La foto diurna riguarda un soggetto direttamente illuminato dal Sole. La foto notturna ha come
soggetto il cielo profondo in assenza di forte inquinamento luminoso. I tempi di esposizione sono
quelli previsti teoricamente.
4
Pieter van Dokkum è professore nel Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Yale. Charlie
Conroy astronomo al Harvard-Smithsonian Center for Astrophisics.
5
Carl Sagan (New York, 9 novembre 1934 – Seattle, 20 dicembre 1996) è stato un astronomo, divulgatore
scientifico e autore di fantascienza statunitense. È stato uno dei più famosi astronomi ed astrochimici, del XX
secolo. Lo si ricorda inoltre come grande divulgatore scientifico, come scrittore di fantascienza e
come epistemologo in qualità di maggiore esponente dello scetticismo scientifico. È stato uno dei fondatori
del Progetto SETI per la ricerca delle intelligenze extraterrestri.
TEMPO DI
ESPOSIZIONE
(in
millisecondi)
MEDIO
DIURNO CON
SOLE E
PELLICOLA
APERTURA 200 ISO 1/250
DIAFRAMMA s
TEMPO DI
ESPOSIZIONE
(in millisecondi)
MEDIO CON
NUMERO DI
CIELO SCURO E
PELLICOLA 200 RAPPORTO STELLE
ISO 1h 23m 20s TEMPI
DELL'UNIVERSO
4
4
5000000
TEMPO DI
ESPOSIZIONE
(in
millisecondi)
TEMPO DI
MEDIO
ESPOSIZIONE
DIURNO CON
(in millisecondi)
SOLE E
MEDIO CON
PELLICOLA CIELO SCURO E
APERTURA 400 ISO 1/250 PELLICOLA 400
DIAFRAMMA
s ISO 1h 5m 6,25s
0,0000008
1,79017E+23
RAPPORTO TRA
STELLE
NECESSARIE E
STELLE STIMATE
1250000
RAPPORTO TRA
NUMERO DI
STELLE
RAPPORTO
STELLE
NECESSARIE E
TEMPI DELL'UNIVERSO STELLE STIMATE
5,6
4
3906250 0,000001024
2,29141E+23
976562,5
TEMPO DI
ESPOSIZIONE
(in
millisecondi)
TEMPO DI
MEDIO
ESPOSIZIONE
DIURNO CON
(in millisecondi)
SOLE E
MEDIO CON
RAPPORTO TRA
PELLICOLA CIELO SCURO E
NUMERO DI
STELLE
APERTURA 800 ISO 1/250
STELLE
PELLICOLA 800 RAPPORTO
NECESSARIE E
DIAFRAMMA
TEMPI DELL'UNIVERSO STELLE STIMATE
s ISO 1h 23m 20s
8
4
5000000
0,0000008
1,79017E+23
1250000
I valori trovati relativi al numero di stelle che popolano l’ Universo appare molto prossimo alla
stima effettuata da Pieter van Dokkum di Yale e dal collega di Harvard Charlie Conroy.
E’ evidente che si tratta di valori orientativi . Tuttavia confermano indirettamente una analisi scientifica di
maggiore spessore e rigore.
CONCLUSIONI
Accettiamo adesso che l’ordine di grandezza trovato per il numero di stelle dell’Universo sia stato stimato
correttamente dalle recenti indagini scientifiche. Ammettiamo anche che la stima fatta, utilizzando i rapporti
parametrici applicati in fotografia, sia grosso modo corretta. Se tale numero risulta insufficiente a garantire
una notte “solare” s i potrebbe avanzare l’ipotesi che le cause ipotizzate per giustificare il paradosso di
Olbers non sono necessarie e neanche influenti. In realtà, anche nell’ipotesi che le due stime coincidessero
perfettamente, bisogna considerare che se il numero di stelle calcolato non è sufficiente ciò dipende
prevalentemente proprio dall’espansione dell’Universo che nel corso dei miliardi di anni ha rarefatto le
sorgenti luminose relegando, peraltro, molte di esse oltre i confini dell’Universo visibile. Qualche miliardo di
anni fa il cielo notturno sulla Terra doveva essere abbastanza più luminoso di quanto non lo sia oggi per la
presenza di un maggior numero di stelle visibili e per una minore distanza da esse. Una ulteriore
diminuzione di luminosità è poi da considerare in riferimento all’andamento volumetrico della stessa, come
sopra osservato.
In un futuro molto lontano, se la teoria dell’espansione dell’Universo manterrà la sua validità, i cieli notturni
saranno ancor meno luminosi di quanto non lo siano adesso.
Riferimenti bibliografici
http://it.wikipedia.org/wiki/Paradosso_di_Olbers (27/08/2011)
http://www.nature.com/nature/journal/v468/n7326/full/nature09578.html (27/08/2011)
http://it.wikipedia.org/wiki/Corpo_nero (29/08/2011)
http://it.wikipedia.org/wiki/Radiazione_cosmica_di_fondo (29/08/2011)
http://astronomicamentis.blogosfere.it/2010/12/triplicato- il-numero-di-stelle-nelluniverso.html
(05/09/2011)
http://www.pd.astro.it/planet/L27_00T.html (05/09/2011)
http://www.astrofiliastrumcaeli.it/COMEOSSERVARE/ASTROFOTOGRAFIA/esposizione.php?diaframma=5%2C6&sensibilita=200&ogg
etto=0.000016&mostra=si&invia=CALCOLA (10/09/2011)