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 Prologo
Il Platone dei latini da theologus a philosophorum princeps
Una delle prime cose che si devono sapere da parte di chi si accosta alla
filosofia medievale è che quello che noi impropriamente chiamiamo “medioevo”, cioè i dieci secoli ca. intercorrenti tra la crisi della tarda antichità e
il movimento della civiltà seguìto alle innovazioni tecniche e alle scoperte
geografiche del XV secolo e comprendenti le diverse fasi in cui si articola
sul piano diacronico un insieme complesso di aree linguistico-culturali non
sempre comunicanti tra loro, è prevalentemente caratterizzato, per quel che
concerne la sua cultura filosofica, dal platonismo; è in altri termini subito
necessario sfatare l’idea, accreditata anche da studiosi autorevoli e di una
certa fecondità nel secolo scorso ma col tempo divenuta poco più che mero
pregiudizio, secondo cui la filosofia medievale si identificherebbe con la
Scolastica e quindi troverebbe il proprio compimento nella “sintesi” tommasiana e sarebbe fondamentalmente aristotelica. Addirittura per ben sette secoli, dalla fine del V fino alla metà del XII, il platonismo costituisce in Occidente l’“orizzonte” concettuale esclusivo della filosofia, in continuità col
pensiero tardoantico, uniformemente platonico, nella “forma” onnicomprensiva del neoplatonismo, “sintesi” filosofico-religiosa dei “valori” e dei saperi
della civiltà antica in crisi e ideologia tardoimperiale e aristocratica. Va comunque da sé che riconoscere tale uniforme modello speculativo di riferimento non esime in alcun modo dal cogliere e analizzare gli apporti che riceve da molteplici tradizioni filosofiche che, sebbene in quanto tali distinte
da esso, è in grado di “metabolizzare” e le precipue istanze teoriche e pratiche in virtù delle quali si è modificato nel tempo, suscitando di volta in volta
risposte altrettanto peculiari.
Il platonismo è quindi il terreno su cui si sviluppa e si articola una vera e
propria “storia della ragione” nel medioevo latino “alto” e “centrale”, un
processo di costruzione, anzi meglio di ricostruzione, del metodo non solo
come studio di una rigorosa validità formale delle strutture argomentative
ma anche come “logica della conoscenza”. In questo senso non ci troviamo
di fronte a un unico fenomeno; piuttosto si tratta di un lento ma costante movimento delle idee, connesso ai bisogni culturali della società civile e politica e alla “crescita” della biblioteca filosofica grazie all’attività di traduttori e
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PLATONE LATINO
copisti ma soprattutto come conseguenza della sempre meno episodica apertura di “canali” di comunicazione con le aree linguistiche culturalmente più
“forti”, la greco-bizantina e, in un secondo tempo, la arabo-islamica; si tratta
cioè di un processo, determinato soprattutto dalle trasformazioni socioeconomiche e politiche che si verificano nella Gallia (che dopo il IX secolo è
chiamata anche Francia) centro-settentrionale e che si articola in almeno tre
fasi: una prima (secc. VI-VIII) in cui l’eredità platonica viene recepita, pur
nel contesto di una marcata diffidenza da parte della cultura cristiana nei
confronti della tradizione filosofica, come mentalità genericamente platonizzante di ispirazione agostiniana e come “apertura” ai saperi profani nella misura in cui essi sono in grado di orientare verso la verità, che comunque è
prerogativa esclusiva del cristianesimo; una seconda (secc. IX-X) caratterizzata dalla restaurazione del neoplatonismo come “specchio” di quella imperiale e come versione filosofica del pensiero cristiano; una terza e ultima
(secc. XI-XII) in cui si afferma un atteggiamento razionalizzante, cioè prevale un’idea della filosofia come scienza dell’essere e approfondimento delle
sue strutture dialettiche, in risposta alla crescente domanda di conoscenza e
di competenze tecniche, anche “alte”, che si forma nelle comunità urbane. In
questo senso gli elementi di derivazione peripatetica, ma anche stoica e neopitagorica, riconoscibili nei testi e nei dibattiti filosofici medievali prima dell’“irruzione” della fisica e della metafisica di Aristotele e costituenti il cosiddetto “aristotelismo altomedievale” si configurano come parti integranti
della teoresi platonica, secondo il modello dello “sfruttamento” da parte del
neoplatonismo tardoantico di tutte le forme filosofiche funzionali alle sue
finalità teoriche e pratiche, modello ricavato dai medievali indirettamente,
insieme alle notizie di cui essi sono in possesso sui filosofi e sulle filosofie
dell’antichità, dalle opere dei cosiddetti “neoplatonici latini”, cioè dei filosofi tardoantichi di lingua latina (Calcidio, Macrobio, Marziano Capella, Boezio), e dalle traduzioni, dal greco e poi anche dall’arabo, circolanti sin dai
secoli più “alti” e ampiamente lette e commentate fino all’instaurarsi, e al
prevalere negli ambienti filosofici, di un vero e proprio aristotelismo.
Il presente studio segue le “tracce” di questo processo, non configurandosi quindi come un “manuale”, di cui non possiede l’esaustività e la sistematicità della trattazione, ma piuttosto sottolineando, attraverso l’enucleazione di
pochi significativi modelli, il modo in cui si struttura e come cambia nel
tempo la ricezione della filosofia di Platone e le condizioni attraverso cui si
forma la sua immagine e la consapevolezza dell’opzione platonica; esso comunque si propone, in virtù della condivisa identificazione di filosofia e tra-
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dizione platonica, come un tentativo di “mettere a fuoco” gli elementi concettuali e le implicazioni rappresentative dei modelli teoretici prodotti nell’Occidente latino prima dell’affermazione dell’aristotelismo come paradigma autonomo e prevalentemente egemone, nonché di evidenziare il ruolo
propulsivo di ciascuno di essi nella crescita “accumulativa” dei saperi. In
questo senso le “incursioni” nel “territorio” della filosofia tardoantica di lingua greca, che potrebbero apparire inappropriate, si giustificano per l’opportunità che quest’ultima offre di individuare le fondamentali “matrici” di tali
paradigmi, recepite negli ambienti culturali dell’alto medioevo attraverso la
mediazione della Patristica e soprattutto della letteratura filosofica ed enciclopedistica dell’Occidente tardoantico, nota come “neoplatonismo latino”.
Da questo punto di vista la definizione di un’immagine di Platone, cioè la
delineazione della sua personalità intellettuale e l’individuazione degli aspetti essenziali del suo pensiero, è parte integrante del platonismo mediolatino,
in quanto è frutto dell’esigenza di compensare il deficit d’informazione su
filosofi e filosofie dell’antichità attraverso l’adeguazione dell’universo “fantastico” alle motivazioni e ai bisogni del presente; in altri termini l’idea della
funzione culturale e del ruolo pratico di Platone e del suo pensiero nella
Grecia del VI secolo a.C. è strettamente connessa alla “percezione” e agli usi
dei saperi razionali negli ambienti culturali più “avanzati” del medioevo occidentale “alto” e “centrale” e cambia col modificarsi del complessivo “quadro” concettuale e teoretico. Così il “profilo” di Platone che si delinea e prevale nell’alto medioevo, al di là delle occasionali e del tutto marginali ipotesi
secondo le quali il filosofo greco ha conosciuto e utilizzato i libri di Mosé, è
quello di un teologo, interessato a “penetrare” la natura del divino, seppure
impossibilitato a farlo con chiara consapevolezza e risultati pienamente soddisfacenti in quanto ignaro della rivelazione; e questa sua caratterizzazione,
oltre a essere in continuità con l’impostazione mistico-speculativa dei neoplatonici tardoantichi dopo Plotino, che nel pensiero dell’autore dei dialoghi
“vedono” lo “sbocco” teologico della filosofia, di cui Aristotele è sommo
esponente, si “inquadra” perfettamente nel pur generico e “debole” platonismo altomedievale di ispirazione agostiniana, “orizzonte” filosofico pressochè esclusivo negli ambienti culturali latini dopo la riflessione di Boezio e
prima dell’età carolingia, secondo cui la filosofia antica e soprattutto Platone, in qualità di maggiore esponente di essa, non hanno potuto che intravedere ciò che ai cristiani è stato rivelato e che quindi solo essi conoscono compiutamente e in termini propri, a partire dal carattere trinitario dell’essenza di
Dio, che i pagani non arrivano a riconoscere fermandosi al concetto logico-
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PLATONE LATINO
ontologico di “triade”, comunque utile preambulum fidei per chi ha anche la
possibilità, oltre che di avvalersi della propria ragione, di attingere la verità
dalla fonte scritturale diretta. Niente a che vedere con quella parte della cultura cristiana che risponde alla domanda retorica del De praescriptione haereticorum di Tertulliano se ci sia qualcosa in comune tra Gerusalemme e
Atene negando una qualsiasi affinità dell’interesse spirituale dei “moderni”
con tutto ciò che è storicamente coinvolto con il paganesimo; e tuttavia si
tratta di un atteggiamento che palesa una moderata diffidenza nei confronti
della tradizione filosofica, in quanto, “in linea” col modello teoretico ricavato dai severi giudizi di Agostino sulla cultura classica nel Contra Adimantum, nel De doctrina christiana e nei Sermones, oltre che nell’esplicito apprezzamento di essa nelle Confessiones per il ruolo avuto dai libri platonicorum nella propria conversione, la sapienza antica è percepita come fenomeno
“inattuale” e, sebbene è riconosciuta a essa una funzione di “stimolo” nella
“scoperta” del vero da parte dei ceti colti, definitivamente superata dalla profezia e dal pensiero cristiani.
Nell’opera di Giovanni Eriugena, “pupillo” del più giovane dei nipoti di
Carlo Magno, l’ambizioso re franco d’Occidente Carlo il Calvo, all’allargamento dell’“orizzonte” teoretico e alla trasformazione di esso in senso più
nettamente neoplatonizzante, aspetti che implicano una prima rivalorizzazione della filosofia come sapere attuale e “vitale”, corrisponde una ridefinizione dell’immagine di Platone, che viene pensato non solo come teologo, il
cui pensiero si integra con quello dei “teologi divini”, cioè degli scrittori sacri e dei Padri, ma anche come filosofo, anzi come philosophorum summus,
colui che più e meglio degli altri ha saputo produrre e ordinare un sapere razionale che è complementare alle, e spesso si “intreccia” colle, tensioni spirituali della civiltà antica e successivamente si mostra compatibile con la ricezione della rivelazione ebraico-cristiana fino a “mescolarsi” con essa e con
essa a costituire un fenomeno unitario, se non unico. Questa rappresentazione di Platone diventa ancora più nitida e ricca di dettagli nei primi due secoli
dopo lo “spartiacque” dell’anno Mille, quando da un lato si conferma e si
rafforza il riconoscimento, espresso ai massimi livelli di significatività
nell’opera di Pietro Abelardo, del ruolo teologico dell’autore del Timeo, la
sua capacità di “penetrare” i misteri della fede, dall’esistenza di Dio alla trinità e all’onnipotenza, dall’immortalità delle anime degli uomini alla salvezza per i giusti, ben prima dell’incarnazione del Verbo, cioè del sacramento
per eccellenza che ha fondato e giustificato tutti gli altri e ignorando del tutto
la sacra scrittura, dall’altro lato si coglie, e in particolare da parte dei maestri
PROLOGO
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della scuola di Chartres, il valore squisitamente profano della riflessione del
filosofo greco, e quindi si intravede una sorta di “cesura” tra la scienza razionale e la sapienza cristiana, tra filosofia (che include la teologia razionale)
e la teologia intesa nel senso di ricezione della rivelazione, nella direzione di
un’autonomizzazione del primo dei due ambiti dal secondo, cioè dal pensiero religioso, anche se una tale distinzione non è mai compiutamente teorizzata e in ogni caso è estranea alla tradizione platonica; semmai è “tradotta” nei
termini di un’accentuazione degli interessi cosmologici e biologici e delle
competenze matematiche e di una loro preservazione dalla “censura” delle
idee teologiche non “conformiste”.
Il processo di adeguazione dell’immagine di Platone al movimento delle
idee filosofiche nell’Europa di lingua latina tra i secoli VI e XII, manifesta
quindi almeno due implicazioni: la problematizzazione del rapporto con la
cultura precristiana e, all’interno di tale messa in questione, l’evidenziazione
del tema della “fede degli antichi”, del contributo della tradizione filosofica
al pensiero religioso. Questo processo culturale complesso va nella direzione
di una “riscoperta” dei saperi razionali, che si “sovrappone” nell’età carolingia all’accezione più “debole” e “conservatrice” del termine philosophia
come “amore del Cristo” in quanto sapienza di Dio, e quindi all’identificazione della filosofia col pensiero cristiano; una “riscoperta” che si concretizza quindi una prima volta negli anni in cui “fiorisce” la terza generazione dei
sovrani e degli intellettuali carolingi ma che trova la sua piena e definitiva
realizzazione nei cento anni ca. (dalla metà dell’XI secolo alla metà del XII)
della renovatio studiorum che “accompagna” la “riforma ecclesiastica”, anni
caratterizzati, oltre che dal bisogno di nuova e più pura spiritualità
all’interno della Chiesa, anche dal “protagonismo” dei ceti urbani più “attrezzati” culturalmente e forti economicamente, insieme al già menzionato
insorgere di nuove domande culturali. Il punto di arrivo di tale processo appare duplice: in quanto “culmine” dell’“accumulo di coscienza” e di conoscenze che prende avvio dalla translatio studii, cioè dal “trasferimento” di
saperi e insegnamenti da un contesto culturale pagano a quello cristiano, della tarda antichità, esso si configura come cristianesimo filosofico, cioè teologia razionale cristiana, che giustifica i dati di fede alla luce dei concetti e
della “figure” della tradizione filosofica; nel contesto del rafforzamento della
tendenza all’autonomizzazione della scienza della natura e dell’uomo dalla
riflessione sui principi che li trascendono e dalla fede, e quindi come “impulso” a un nuovo inizio e a un rinnovamento della mentalità filosofica, in
esso è riconoscibile un apprezzamento dei saperi antichi come base della
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PLATONE LATINO
“crescita” delle conoscenze, nel quadro quindi di un’incipiente idea di progresso, secondo cui le conquiste consolidate della ragione, ancorché universali e necessarie, possono essere integrate e ulteriormente confermate dalla e
nella “visione” più ampia dei “moderni”, seppure meno autorevoli degli antichi, come quella dei “nani sulle spalle dei giganti” rispetto alla prospettiva
di questi ultimi, e si intravede la funzione sociale della filosofia come ambito
professionale e professionalizzante, insieme scientifico-tecnico e “umanistico”, nel senso che, in quanto scienza profana, è una struttura concettualmente e metodologicamente autonoma e tuttavia nel contempo fa parte di una
concezione del reale organica e “integrale”, secondo cui filosofia e pensiero
cristiano si completano a vicenda (e a volte addirittura si confondono) e in
particolare il secondo è fondamento e “culmine” della scienza.
Se la responsabilità dei possibili errori e delle inevitabili omissioni è naturalmente solo mia, sento l’obbligo e ho il piacere di esprimere la mia gratitudine a quanti hanno permesso, con il loro incoraggiamento e in virtù dei
suggerimenti che da loro ho ricevuto, che questo lavoro fosse portato a compimento e vedesse la luce; in particolare, tra i tanti, è per me naturale riconoscere il mio debito soprattutto nei confronti di Maria Barbanti, per il sapiente
orientamento dato alle mie curiosità sulle fonti tardoantiche latine del pensiero filosofico del medioevo “alto” e “centrale” e per la serenità che ha saputo infondere all’ambiente umano e di studio in cui si è sviluppata la mia
ricerca, di Giulio d’Onofrio, per la ricchezza e la proficuità delle sue generose sollecitazioni, alle quali devo l’impostazione e la motivazione stessa della
ricerca di cui questo libro è l’esito, e per le preziose osservazioni che hanno
accompagnato la rifinitura del mio lavoro, di Pasquale Porro, per i suggerimenti utili ad acquisire da parte mia una prospettiva che comprenda la produzione teorica che nel medioevo latino “alto” e “centrale” si affianca alla
tradizione del platonismo sostanziandone la riflessione ontologica e ontoteologica, oltre che le interpretazioni storiografiche che valorizzano tale produzione, e, last but not list, del mio maestro Francesco Romano, i cui studi e
il cui magistero continuano a essere per me, come per tutti i suoi allievi, punto di riferimento costante e occasione di domande e intuizioni riguardanti la
tradizione platonica e per avere accolto ancora una volta un mio volume nella prestigiosa collana “Symbolon”, da lui diretta.
A conclusione di un lavoro che “abbraccia” almeno nove secoli di storia
della filosofia tra tarda antichità e medioevo latino ed è incentrato soprattutto
sul movimento delle idee e sulla precisazione dell’oggetto filosofico tra il IX
PROLOGO
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secolo e la metà del XII ca., mi sento di menzionare gli studi e il prestigio di
Marta Cristiani e di Tullio Gregory come modelli per me influenti e suscitatori di innumerevoli e imprescindibili stimoli intellettuali, così come sento il
dovere di ricordare con gratitudine il ruolo di promozione degli studi italiani
sulla filosofia medievale, e in particolare di quelli svolti nelle Università e
nei centri di ricerca del meridione d’Italia, da parte di Loris Sturlese, i contributi scientifici del quale, così come il suo ascendente sui miei interessi,
costituiscono per me un costante incentivo alla ricerca delle matrici medievali delle professioni e delle “pratiche” filosofiche. Un affettuoso e grato
pensiero va ad Andrea Vella, alla cui intelligente dedizione agli studi filosofico-medievalistici affido la speranza, di cui quotidianamente verifico la solidità e in virtù del fattivo aiuto che da lui ricevo nel mio lavoro, e che mi ha
dato anche per la realizzazione del presente volume, che la mia ostinata ricerca in testi scritti in lingue morte, sebbene indefettibilmente “vivi” e vividamente attuali, delle radici e delle ragioni di un impegno intellettuale e civile degno di essere coltivato non si riveli vana. Ringrazio infine, per la cortesia e la pazienza, le direzioni e il personale delle biblioteche che ho maggiormente frequentato, delle Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e
storico-artistiche e delle Scienze pedagogiche e psicologiche dell’Ateneo e
la Regionale Universitaria di Catania, della P.U. Gregoriana di Roma e dell’Università Cattolica di Milano.
Desidero infine esprimere la mia gratitudine a mia moglie Adriana Cantaro e a mio figlio Pietro, per la paziente e intelligente condivisione delle conseguenze del mio lavoro, dedizione che spero di ricambiare con il sostegno
dei loro impegni professionali e di studio e delle loro scelte personali. Mi è
caro dedicare questo volume alla memoria di mio padre, Pietro Martello, a
dieci anni dalla morte. Maestro di onestà e altruismo, è sempre a me presente
con ironia e discrezione.
1. La nozione di platonismo
1.1. Interpretazione “dogmatica” di Platone e crisi dell’ontologia classica
Con “platonismo” si può intendere non solo, e non tanto, la filosofia di
Platone e dei suoi discepoli diretti, e quindi anche l’eventuale presunto “residuo”, per così dire, di tale forma teorica nella successiva interpretazione
del corpus platonicum, ovvero, tanto meno, l’“inclinazione” aporetica e scetticheggiante attribuita al pensiero del Filosofo da parte degli esponenti della
seconda e terza Accademia, a partire dalla metà ca. del III secolo a.C., ma
soprattutto la teoresi che si “struttura” tra la fine del I secolo d.C. e il successivo; essa è caratterizzata dalla tendenza a un’interpretazione dei dialoghi
“dogmatica” e improntata a uno spirito di sistema e prolunga la sua influenza, seppure soggetta alla trasformazione delle forme culturali che “accompagna” lo sviluppo civile delle diverse aree euro-mediterranee, quanto meno
fino all’età rinascimentale1. In questo senso il platonismo coincide con la re-
1
Sulla nozione di platonismo, cf. F. Romano, Il neoplatonismo, Carocci, Roma 1998, pp.
13-41; Id., «Platonismo/neoplatonismo. Continuità e rotture», in L’Uno come fondamento. La
crisi dell’ontologia classica, Raccolta di studi rari e inediti a cura di G.R. Giardina, CUECM,
Catania 2004, pp. 182-3 [179-200], già in Siculorum Gymnasium NS 30/2 (1977), pp. 333400; F. Ferrari, Dio, idee e materia. La struttura del cosmo in Plutarco di Cheronea, D’Auria,
Napoli 1995, pp. 15-27; 271-5; Id. «Da Platone al platonismo: problemi e proposte», in
“Princeps philosophorum”. “Pater philosophiae”. Platone nell’Occidente tardoantico, medievale e umanistico, Atti del Convegno di Studi del Dottorato di Ricerca in “Filosofia, scienza e cultura dell’età tardo-antica, medievale e umanistica” (FITMU, Fisciano [SA], 12-13 luglio 2010), a cura di G. d’Onofrio, Città Nuova, Roma, in corso di stampa; R. Chiaradonna,
«Questioni preliminari», in Filosofia tardoantica. Storia e problemi, a cura di R. Chiaradonna, Carocci, Roma 2012, pp. 11-21; sul platonismo medievale, cf. R. Klibansky, The Continuity of the Platonic Tradition during the Middle Ages. 1: Outlines of a Corpus Platonicum
Medii Aevi, The Warburg Institute, London 1939; E. Garin, Studi sul platonismo medievale,
Le Monnier, Firenze 1958; T. Gregory, Platonismo medievale. Studi e ricerche, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1958; B. Faes de Mottoni, Il platonismo medievale, Loescher, Torino 1979; W. Beierwaltes, Platonismus im Christentum, Klostermann, Frankfurt a.
M. 1998 (trad. it. Platonismo nel cristianesimo, Vita e Pensiero, Milano 2000), Klostermann,
Frankfurt a. M. 20012; G. d’Onofrio, Storia del pensiero medievale, Città Nuova, Roma 2011,
pp. 7-51; sul platonismo in età umanistico-rinascimentale, cf. P.O. Kristeller, Studies in Renaissance Thought and Letters, 4 voll., Edizioni di Storia e Letteratura, Roma I 1956, II 1985,
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PLATONE LATINO
visione dell’ontologia classica, culminante nella separazione dall’essere del
principio primo inteso come causa dell’essere e risalente, secondo un’ormai
consolidata opinione, alla sistematica “visione” ontologizzante di Antioco di
Ascalona, o quanto meno ad Albino e Alcinoo, più che a Plotino, a cui invece l’attribuiva la storiografia otto-novecentesca2.
In ogni caso la “rottura” rispetto alla filosofia di età classica, che dà origine al platonismo tardoantico, si compie, cioè trova una delineazione matura ed esaustiva, nelle Enneadi di Plotino. Tale soluzione di continuità nella
tradizione legata all’interpretazione dei dialoghi “dialettici” di Platone si
“muove” su due binari paralleli, segue cioè due percorsi indipendenti ma
coordinati: da un lato è caratterizzata dalla “visione” del principio come ri-
III 1993, IV 1956; Id., Renaissance Thought and its Sources, ed. by M. Mooney, Columbia
Univ. Press, New York 1979; Marsilio Ficino e il ritorno di Platone. Studi e documenti, a
cura di G.C. Garfagnini, Olschki, Firenze 1986; J. Hankins, Plato in the Italian Renaissance,
Brill, Leiden 1990, trad. it. La riscoperta di Platone nel Rinascimento italiano, Edizioni della
Normale, Pisa 2009.
2
Sul medioplatonismo come “preparazione” del neoplatonismo e sul contesto filosofico
dell’età imperiale, cf. W. Theiler, Vorbereitung des Neuplatonismus, Weidmannsche Verlagsbuchhandlung, Berlin 19662, pp. 1-60; Ph. Merlan, From Platonism to Neoplatonism,
Nijhoff, Le Hague 19753, trad. it. Dal platonismo al neoplatonismo, Vita e Pensiero, Milano
19942, pp. 47-60, che addirittura manifesta una prospettiva “continuista” che individua le radici del neoplatonismo nella filosofia di Platone; G. Invernizzi, Il Didaskalikos di Albino e il
medioplatonismo, 2 voll., Ed. Abete, Roma 1976; J. Dillon, The Middle Platonists. A Study of
Platonism. 80 B.C. to A.D. 220, Duckworth, London 1977, trad. it. I medioplatonici. Uno studio del platonismo (80 a.C.-220 d.C.), Vita e Pensiero Milano 2010; P.L. Donini, Le scuole,
l’anima, l’impero. La filosofia antica da Antioco a Plotino, Rosemberg e Sellier, Torino
1982, pp. 31-139; Id., «Medioplatonismo e filosofi medioplatonici. Una raccolta di studi»,
Elenchos 11 (1990), pp. 79-93; S. Gersh, Middle Platonism and Neoplatonism. The Latin
Tradition, 2 voll., Univ. Press, Notre Dame (Ind.) 1986; J. Whittaker, Platonic Philosophy in
the Early Centuries of the Empire (“Aufstieg und Niedergang der römischen Welt” II, 36, 1),
Walter de Gruyter, Berlin/New York 1987, pp. 81-123; F. Romano, Il neoplatonismo, cit., pp.
13-28; F. Ferrari, «I commentari specialistici alle sezioni matematiche del “Timeo”», in La
filosofia in eta imperiale. Le scuole e le tradizioni filosofiche, Atti del Colloquio (Roma, 1719 giugno 1999), a cura di A. Brancacci, Bibliopolis, Napoli 2000, pp. 169-224; D.P. Taormina, «Plotino lettore dei “dialoghi giovanili” di Platone», in Antichi e moderni nella filosofia
di età imperiale, Atti del II Colloquio Internazionale (Roma 21-23 settembre 2000), a cura di
A. Brancacci, Bibliopolis, Napoli 2001, pp. 137-96; M. Isnardi Parente, «Plotino lettore delle
“Epistole” di Platone», ivi, pp. 197-212; A. Linguiti, «Plotino sulla felicità dell’anima non
discesa», ivi, pp. 213-38; F. Ferrari, «Esegesi, commento e sistema nel medioplatonismo», in
Argumenta in Dialogos Platonis, Teil 1: Platoninterpretation und ihre Hermeneutik von der
Antike bis zum Beginn des 19. Jahrhunderts, Akten des internationalen Symposiums (Roma,
27-29 April 2006), hrsg. v. A. Neschke-Hentschke, Schwabe, Basel 2010, pp. 51-76.
LA NOZIONE DI PLATONISMO
19
gorosamente Uno, trascendente e impartecipabile, dall’altro lato si basa sull’esigenza di determinare in modo non contraddittorio le condizioni dell’essere in quanto pensabile3, nel contesto di una concezione e di una mentalità
filosofiche organicamente connesse ai “valori” e alle prospettive delle classi
dirigenti imperiali e alla difesa del paganesimo dalle insidie dovute alla diffusione di nuove spiritualità e religioni, come lo gnosticismo e il cristianesimo. Questa posizione è costituita dalla riflessione sulla sovrabbondanza meontica dell’Uno e sulla conseguente stratificazione gerarchica del reale, così
come dal rifiuto sia del dualismo metafisico sia della personificazione del
principio primo inteso come volontà ed ente, in ragione, in entrambi i casi, di
una loro incoerenza logica4. Insomma il punto di vista che Plotino “svela” e
3
I due aspetti fondamentali della filosofia di Plotino, l’intuizione dell’Uno come “metacontemplazione” e la conoscenza del Nous come scienza dell’essere in quanto essere, in M.L.
Gatti, Plotino e la metafisica della contemplazione, Vita e Pensiero, Milano 1996, pp. 23-89;
F. Romano, Il neoplatonismo, cit., pp. 104-16; G. Reale, Plotino e il neoplatonismo pagano,
vol. VIII della Storia della filosofia greca e romana, Bompiani, Milano 2004; R. Chiaradonna, Plotino, Carocci, Roma 2009; Id., «Plotino», in Filosofia tardoantica. Storia e problemi,
cit., pp. 47-66; A. Uždavinys, «The Philosophy of Plotinus», in The Heart of Plotinus. The
Essential Enneads, ed. by A. Uždavinys & J. Bregman, World Wisdom, Bloomington (Ind.)
2009, pp. 21-35; F. Ferrari, «Estasi e metafisica in Plotino», in La mente e l’estasi, a cura di
R. Conforti & G. Scalera McClintock, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2010, pp. 101-12;
sulla “rottura” plotiniana rispetto all’ontologia classica, cf., oltre agli studi già cit. sul platonismo tardoantico e le sue origini tardoellenistiche, F. Romano, Studi e ricerche sul neoplatonismo, Guida, Napoli 1983, pp. 9-25; C. D’Ancona, «ΑΜΟΡΦΟΝ ΚΑΙ ΑΝΕΙΔΕΟΝ. Causalité
des formes et causalité de l’Un chez Plotin», Revue de Philosophie Ancienne 10 (1992), pp.
71-113; R. Chiaradonna, «Plotino e la trasformazione della filosofia nel III secolo d.C.»,
Chaos e Kosmos 10 (2009), pp. 133-49; sull’ontologia discensiva di Plotino, cf. G. Reale: «I
fondamenti della metafisica di Plotino e la struttura della processione», in Graceful Reason:
Essays in Ancient and Medieval Philosophy presented to Joseph Owens, ed. L.P. Gerson,
Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Toronto 1983, pp. 153-175; Th.A. Slezák, Platon
und Aristoteles in der Nuslehre Plotins, Schwabe, Basel/Stuttgart 1979, trad. it. Platone e Aristotele nella dottrina del Nous di Plotino, Vita e Pensiero, Milano 1997, pp. 67-278.
4
Sul rapporto del neoplatonismo con la gnosi e il cristianesimo, cf. almeno cinque dei
saggi di A.H. Armstrong raccolti in Plotinian and Christian studies, Variorum reprints, London 1979: «Plotinus’s Doctrine of the Infinite and Christian Thought», The Downside Review
73 (1954/55), pp. 47-58; «Salvation, Plotinian and Christian», The Downside Review 75
(1957), pp. 126-39; «Tradition, Reason and Experience in the Thought of Plotinus», in Plotino e il neoplatonismo in Oriente e in Occidente, Atti del Convegno Internazionale (Roma, 5-9
ottobre 1970), Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1974, pp. 171-94; «Gnosis and Greek
Philosophy», in Gnosis. Festschrift fur Hans Jonas, ed. by B. Aland et al., Vandenhoeck &
Ruprecht, Gottingen 1978, pp. 87-124; «Man in the Cosmos. A Study of Some Differences
between Pagan Neoplatonism and Christianity», in Romanitas et Christianitas, ed. by W. Den
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PLATONE LATINO
offre alla successiva riflessione filosofica comprende la valorizzazione delle
procedure “dialettiche” che rendono possibile la scienza, intesa come pensabilità e definibilità di ciò che è sulla base del riconoscimento nell’essere
stesso dell’“impronta” delle idee e della reiterazione delle relazioni tra esse,
e nel contempo la necessità di rendere conto delle esperienze misticointuitive come non contraddittorie rispetto alla razionalità, in quanto ne sono
fondamento e “limite”, come l’Uno, oggetto esclusivo di tali esperienze, è
causa e “compimento”, per così dire, dell’intelletto universale, cioè dell’essere in quanto tale.
Ciò che peculiarmente qualifica il platonismo plotiniano come neoplatonismo è la postulazione dell’Uno, a partire dal molteplice, come principio
non principiato e impartecipabile; a questo proposito nel I trattato della V
Enneade Plotino vede nell’Uno non un dato ricavato dall’esperienza sensibile o da una mediazione razionale ma la condizione dell’intuizione del “residuo” ineffabile e inconoscibile della cognizione del molteplice. Per il Filosofo l’Anima conosce nell’Intelletto il dio che la sovrasta; quest’ultimo è molteplice ma l’Anima, avvicinandosi agl’intelligibili e divenendo un’unica cosa con essi, si pone il problema della loro causa generante e la coglie nell’Uno, presupposto semplice della molteplicità, implicito in essa come nella
diade lo è l’unità. Il numero e la diade corrispondono quindi all’Intelletto,
che si autodetermina ma è anche determinato dall’Uno, come nell’atto
l’agente e l’agire sono un’unica cosa5. Ma è soprattutto nel IX trattato della
VI Enneade che Plotino dedica la propria attenzione all’Uno in sé, inteso
come principio che trascende l’intelletto, e quindi l’essere e la ragione, proprietà e paradigma dell’essere stesso, e di cui in conseguenza di ciò nulla
può essere detto né si può pensare propriamente e determinatamente. Tutto
ciò che è è essere per l’Uno, a causa e in funzione dell’Uno, che non si iden-
Boer, North-Holland, Amsterdam/London 1973, pp. 5-14; cf. inoltre, dello stesso Armstrong,
«Dualism: Platonic, Gnostic and Christian», in Neoplatonism and Gnosticism, ed. by R.T.
Wallis & J. Bregman, State University of New York Press (Studies in Neoplatonism, 6), Albany (NY) 1992, pp. 33-54; e anche J. Pépin, «The Platonic and Christian Ulysses», in Neoplatonism and Christian Thought, ed. by D.J. O’Meara, State University of New York Press
(Studies in Neoplatonism, 3), Albany (NY) 1982, pp. 3-18; C.O. Tommasi Moreschini,
«“Tripotens in unalitate spiritus”: Mario Vittorino e la gnosi», Koinônia 20/1-2 (1996), pp.
53-75; Ead., «L’androginia di Cristo-logos: Mario Vittorino tra platonismo e gnosi», Cassiodorus 4 (1998), pp. 11-46.
5
Plotinus, Opera, ed. P. Henry & H.R. Schwyzer [Enn.], voll. I-III, Clarendon, Oxford
1964-1982 (= editio minor), V 1 (10), 5, 1-19.
LA NOZIONE DI PLATONISMO
21
tifica con l’Intelletto né con l’Anima; infatti quest’ultima, nonostante plasmi
e ordini le cose conducendole alla loro identità, cioè determinando l’unità
individuale di ciascuna, così come non è riconducibile alla figura e alla forma che pure dà ai corpi, è altro rispetto all’Uno, in quanto molteplice è, insieme all’essere uno, ciò che è, cioè l’insieme organico ma articolato delle
sue molte facoltà6. Anche l’Intelletto, seppure preceda l’Anima, è lontano
dall’essere l’Uno, in quanto è il primo essere, e quindi anche l’essere molti,
comprendente le idee. L’Intelletto, l’essere e le idee non sono dunque primi
e, se in qualche modo sono uno, cioè costituiscono un’unica idea universale,
rimandano all’Uno in sé come propria causa. Infatti, se l’Intelletto pensasse
se stesso come Uno, sarebbe nel contempo pensante e pensato, cioè complesso e molteplice; se invece, alla ricerca della sua ragion d’essere, si rivolge ad altro da sé, coglie la semplicità del Bene, che è primo e Uno in sé7.
Alla luce dell’esito del percorso dialettico sopra delineato, Plotino si
chiede quale sia la natura dell’Uno: benché sia difficile determinarla, in
quanto l’Uno precede l’essere e le forme e la conoscenza si fonda su questi
ultimi, si può dire che non è sostanza né qualità o quantità, né Intelletto o
Anima; inoltre l’Uno non è in movimento né in quiete, perché è anteriore a
ogni movimento e a ogni quiete, così come a ogni altra proprietà dell’essere.
Piuttosto si può dire che l’Uno è Causa, in quanto con questa affermazione
non si predica un attributo dell’Uno stesso, che in tal modo non sarebbe
semplice, ma dell’essere, che è per l’Uno, mentre quest’ultimo è in sé8; e si
può dire anche che è Bene, in quanto è fine, oltre che principio, di ogni cosa
e l’anima, avvicinandosi a lui, acquista e manifesta amore celeste, allontanandosi da lui, rivela una propensione all’amore carnale e al meretricio9.
L’altro “caposaldo” della filosofia di Plotino, distinto ma complementare
al tema dell’apofasi, è costituito dalla valorizzazione della razionalità come
condizione oggettiva dell’organicità, e quindi dell’unitarietà, dell’essere, che
in questo senso ha in sé l’“impronta” del suo principio, esclusiva risorsa mediante cui l’anima pensa la realtà e la riconduce alla sua origine, avvicinandosi nel contempo a essa. Se l’Uno è tutto, in quanto principio universale, e
nulla in particolare, tutte le cose sono l’Uno, in quanto quest’ultimo è primo
ed esse gli sono successive e derivano da lui, e nel contempo non sono l’U-
6
Enn. VI 9 (9), 1, 1-43.
Enn. VI 9 (9), 2, 5-40.
8
Enn. VI 9 (9), 3, 1-.54
9
Enn. VI 9 (9), 9, 1-38.
7
22
PLATONE LATINO
no, che nel produrle rimane in sé10; l’idea di ragione come legame oggettivo
e ordinatore e come facoltà attraverso cui l’anima governa le proprie capacità e passioni e organizza le relazioni con ciò che è altro da sé permea tutti i
cinquantaquattro trattati di cui sono costituite le Enneadi: la ragione ci dice
che l’ordine che caratterizza tutte le cose e l’insieme di esse è frutto della
subalternità, e quindi della dipendenza, di ciò che è esteso rispetto a ciò che
è inesteso11, essa astrae e distingue, compara e deduce, in quanto ciò che differenzia gli enti, così i corpi come le forme intelligibili, non compromette la
comune afferenza all’essere di tutte le sostanze e di tutte le essenze, e di
conseguenza l’organicità e l’unitarietà del reale, condizioni della struttura
gerarchica di esso. L’ordine è inteso quindi come gerarchia, che corrisponde
all’articolazione dialettica del “mondo delle idee”, cioè all’andamento discensivo e “diairetico” delle relazioni tra gli intelligibili.
Dal III secolo l’impostazione teorica plotiniana, che come s’è visto allarga e chiarisce la prospettiva del precedente platonismo e che, in ragione
dell’accelerazione che imprime ai processi attraverso cui è messa in questione l’ontologia classica e dell’evidenziazione che opera della divisione dell’essere e dei saperi su di esso, è chiamata “neoplatonismo”, influenza, direttamente o indirettamente, gli sviluppi successivi del pensiero filosofico; si
può dire anzi che costituisce la peculiare forma che assume il platonismo, e
più in generale la filosofia, nella tarda antichità e il “terreno comune” della
“crescita” dei saperi nelle diverse aree culturali in cui si articola e si modifica la civiltà euro-mediterranea, quanto meno fino al XII secolo, quindi, per
limitarci alle tre più importanti, sia nell’area greco-bizantina, che conserva
per intero e usa la biblioteca filosofica e costituisce quindi per le altre imprescindibile punto di riferimento e fonte di “aggiornamento”12, sia in quella
arabo-islamica, che dal IX secolo manifesta uno straordinario e originale interesse nei confronti di una teologia filosofica in grado di “catalizzare” e ordinare i saperi e le pratiche culturali e cultuali, sia nell’Occidente latino, ca-
10
Enn. V 2 (40), 1, 1-11; 2, 24-31.
Enn. VI 4 (15), 13, 1-26.
12
Dell’ampia bibliografia riguardante la “matrice” greca della cultura filosofica mediavale, mi limito qui a citare S. Gersh, From Iamblichus to Eriugena. An Investigation of the
Prehistory and Evolution of the Pseudo-Dionysian Tradition, Brill, Leiden 1978, trad. it. Da
Giamblico a Eriugena. Origini e sviluppi della tradizione pseudo-dionisiana, Edizioni di Pagina, Bari 2009, J. Marenbon, Early Mediaeval Philosophy (480-1150), Routledge, London/New York 1988, pp. 1-42, e C. D’Ancona, Storia della filosofia nell’Islam medievale,
Einaudi, Torino 2005, pp. 180-258.
11
LA NOZIONE DI PLATONISMO
23
ratterizzato dalla ricostruzione, in un primo tempo lenta ma via via sempre
più “intensa”, dei materiali culturali sullo scorcio della tarda antichità e nel
corso del medioevo “alto” e “centrale”.
In ogni caso la comune “matrice” neoplatonica delle filosofie e delle
esperienze scolastiche nei primi secoli successivi a Plotino non compromette
la specificità e l’originalità di ciascuna delle prime e il carattere plurale delle
seconde13, nel senso che, come in ogni generalizzazione, si corre il rischio di
lasciare in ombra la personalità teoretica dei singoli filosofi e le articolazioni
interne a ciascuno dei centri di aggregazione in funzione della produzione e
della riproduzione dei saperi, peraltro spesso diversi nell’impostazione speculativa. Alla luce di ciò va aggiunto che i grandi capiscuola del neoplatonismo tardoantico “costruiscono” nel tempo il complesso patrimonio concettuale e spirituale dal quale sono ricavati i modelli teoretici a partire dalla crisi politica dell’impero romano e dalla conseguente “rottura” dell’omogeneità
culturale delle aristocrazie a esso legate; per cui Porfirio aggiunge alla messa
in questione dell’ontologia classica e dell’interpretazione tradizionale del
Parmenide di Platone una concezione dell’essere basata sulla fisica e sulla
metafisica di Aristotele14; Giamblico, lungi dall’essere spinto da motivazioni
13
A questo proposito F. Romano, Il neoplatonismo, cit., pp. 101-3, espone e mette a confronto la tesi di E. Zeller (Die Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung,
vol. III/2, hrsg. v. W. Nestle, Reisland, Leipzig 19235, pp. 92-ss.; trad. it. La filosofia dei greci nel suo sviluppo storico, vol. III/2, a cura di R. Mondolfo, La Nuova Italia, Firenze 1974) e
K. Praechter («Christlich-neuplatonische Beziehungen», Byzantinische Zeitschrifte 21 [1912],
pp. 1- 27; successivamente in Kleine Schriften, hrsg. v. H. Dörrie, Olms, Hildesheim 1973,
pp. 138-64); secondo lo Zeller il neoplatonismo si articola in tre sistemi scolastici, il primo,
fondato da Plotino e riorganizzato da Porfirio, di indirizzo scientifico-metafisico, il secondo,
che ha in Giamblico il suo caposcuola, orientato alla restaurazione della religiosità pagana, il
terzo, che corrisponde alla scuola di Atene, espressione, soprattutto con Proclo, della riscoperta di un punto di vista speculativo, seppure dominato e reso meno originale rispetto a quello
della scuola di Plotino da un eccessivo spirito di sistema; secondo il Praechter le scuole neoplatiniche sono sei, tre di indirizzo speculativo (scuole di Plotino, di Giamblico e di Atene),
una di indirizzo religioso-teurgico (scuola di Pergamo, filiazione di quella di Giamblico), due
di indirizzo erudito (scuola di Alessandria e quello che definisce “neoplatinismo latino”, sul
quale torno in seguito, in quanto parte preponderante delle fonti platoniche del pensiero medievale, seppure in realtà non identificabile con una scuola, né in senso istituzionale né in senso “ideologico”).
14
Cf. G. Girgenti, «L’identità di Uno ed Essere nel Commentario al Parmenide di Porfirio
e la recezione in Vittorino, Boezio e Agostino», Rivista di Filosofia Neoscolastica, 86 (1994),
pp. 665-88; anche su Porfirio e il suo ruolo storico-filosofico sono fondamentali gli studi di F.
Romano, Porfirio di Tiro. Filosofia e cultura nel III secolo d.C., Università, Catania 1979, pp.
24
PLATONE LATINO
pressoché esclusivamente religiose, approfondisce la dialettica tra l’Uno e i
molti, interponendo tra essi una struttura razionale e rigorosamente gererchica di unità ontiche, le Enadi, elaborando un’interpretazione neopitagorizzante della teologia e, in ragione di tali innovazioni, gettando un “ponte” tra la
tradizione platonica e il politeismo pagano15; infine Siriano e Proclo concepiscono come più complessa la gerarchia delle Enadi, secondo un sistema
triadico assunto come modello dialettico, e fondano su tale concezione la
“sintesi” sistematica e rigorosa, “cementata” da tutto ciò che è utilizzabile
della tradizione culturale, di filosofia aristotelica e di teologia platonica16.
E tuttavia la molteplicità di figure e indirizzi speculativi che si susseguono dopo Plotino, e per quasi tre secoli, nelle aree culturali di lingua greca
nella tarda antichità è riconducibile univocamente all’impostazione teoretica
del fondatore del neoplatonismo. In ogni caso nelle più diverse posizioni si
manifestano due “nuclei” concettuali comuni e qualificanti, che ne costituiscono la koiné filosofica e l’esclusivo “orizzonte” concettuale e sono afferenti rispettivamente al merito e al metodo della filosofia: in primo luogo la
“cornice” teoretica, costituita dalla concezione dell’Uno come principio primo, causa superessenziale e supersostanziale dell’essere, fonte impassibile e
impartecipabile di ogni movimento e di ogni relazione, e dalla “visione” della gerarchia come conseguenza della teoria delle “ipostasi”, a sua volta ricavata dall’interpretazione “dogmatica” dei dialoghi dialettici e del Timeo di
Platone17; in secondo luogo il metodo filosofico-teologico, caratterizzato dalla metabolizzazione dei più svariati aspetti della tradizione speculativa e cul-
131-56; Id. Porfirio e la fisica aristotelica, CUECM, Catania 1985, pp. 27-8; Id., Il neoplatonismo, cit., pp. 116-26.
15
Cf. G. Staab, Pythagoras in der Spätantike. Studien zu “De vita Pythagorica” des Iamblichos von Chalkis, Saur, München/Leipzig 2002; F. Romano, «Introduzione alla lettura della “Summa pitagorica” di Giamblico», in Giamblico, Summa pitagorica, a cura di F. Romano,
Bompiani, Milano 2006, pp. 9-69; D.P. Taormina, «Filosofia in lettere», in Giamblico, I
frammenti dalle epistole. Introduzione, testo, traduzione e commento, a cura di D.P. Taormina
e R.M. Piccione, Bibliopolis, Napoli, 2010, pp. 87-271, in cui è ricapitolata e discussa la bibliografia più aggiornata sulla filosofia di Giamblico, dalla riflessione sulla dialettica alla psicologia, dalla concezione del fato all’etica.
16
Cf. R.L. Cardullo, Siriano esegeta di Aristotele, I, La Nuova Italia, Firenze 1995 (=
Symbolon 14), pp. 45-65; II, CUECM, Catania 2000 (= Symbolon 15), pp. 13-77.
17
Cf. W. Beierwaltes, Denken des Einen. Studien zur neuplatonischen Philosophie und
ihrer Wirkungsgechichte, Klostermann, Frankfurt am Main 1985, trad. it. Pensare l’Uno. Studi sulla filosofia neoplatonica e sulla storia dei suoi influssi, Vita e Pensiero, Milano 19922,
pp. 46-74, 142-72.
LA NOZIONE DI PLATONISMO
25
turale, quanto meno di quelli che si mostrano e sono riconosciuti compatibili
con lo “sbocco” mistico dei saperi razionali, dall’aristotelismo allo stoicismo, dal neopitagorismo al platonismo dei primi due secoli d.C., dalla teurgia alla tradizione interpretativa del mito come racconto veritativo e dei simboli sacri contenuti in esso come condizione necessaria e sufficiente della
verità che contiene18.
1.2. L’uso della logica aristotelica
Questo secondo aspetto si manifesta per la prima volta, come ho accennato sopra, nell’originale ricezione da parte di Porfirio della prospettiva “concordista” del pensiero di Platone e di Aristotele maturata nel II secolo in ambienti sia platonici sia aristotelici19; peraltro tale impostazione esercita un’influenza, sia diretta sia indiretta, sul pensiero filosofico medievale grazie alle
traduzioni latine di Mario Vittorino e di Boezio e ai commenti boeziani dell’Isagoge di Porfirio, introduzione alle Categorie di Aristotele, e quindi al
“versante” formale, apofantico e terminista della logica antica, ma anche
“chiave” interpretativa del ruolo subalterno della filosofia aristotelica rispetto alla teologia platonica20, nel senso non di una inferiorità qualitativa della
18
Cf. F. Romano, Studi e ricerche sul neoplatonismo, cit., pp. 35-47.
Cf. E.R. Dodds, «Numenius and Ammonius», in Les sources de Plotin (Entretiens sur
l’antiquité classique 5), Fondation Hardt pour l’étude de l’antiquité classique, Vandoeuvres/Genève 1957, pp. 3-32; J.H. Waszink, «Porphyrios und Numenios», in Porphyre (Entretiens sur l’antiquité classique 12), Fondation Hardt pour l’étude de l’antiquité classique, Vandoeuvres/Genève1966, pp. 33-83; W. Theiler, «Ammonios und Porphyrios», ivi, pp. 85-123;
H. Dörrie, «Zur Methodik antiker Exegese», Zeitschrift für die Neutestamentliche Wissenschaft 65 (1974), pp. 121-38; F. Romano, «Genesi e strutture del commentario neoplatonico»,
in Le trasformazioni della cultura nella tarda antichità, Atti del Convegno (Catania, 27 sett.2 ott. 1982), a cura di M. Mazza & C. Giuffrida, Jouvence, Roma 1985, pp. 219-237 (pubblicato anche in Studi e ricerche sul neoplatonismo, cit., pp. 49-66); G. Girgenti, «Introduzione.
L’“Isagoge” di Porfirio nell’ottica della concordia tra Platone e Aristotele», in Porfirio, Isagoge, a cura di G. Girgenti, Bompiani, Milano 2004, pp. 7-50.
20
Cf. A.C. Lloyd, «Neoplatonic Logic and Aristotelian Logic», Phronesis 1 (1955), I pp.
58-72, II pp. 146-60; Id., The Anatomy of Neoplatonism, Clarendon, Oxford 1990; C. Evangeliou, «Aristotle’s Doctrine of Predicables and Porphyry’s», Journal of the History of Philosophy 23 (1985), pp. 15-34; Id., Aristotle’s Categories and Porphyry, Brill, Leiden 1988, pp.
17-90; S. Strange, «Plotinus, Porphyry and the Neoplatonic Interpretation of the Categories»,
in Aufstieg und Niedergang Der Romischen Welt, hrsg. v. W. Haase, Teil II, Band 36, Walter
De Gruyter, Berlin/New York 1987, pp. 955-74; S. Ebbesen, «Porphyry’s Legacy to Logic: a
Reconstruction», in Aristotle Transformed. The Ancient Commentators and their Influence,
19
26
PLATONE LATINO
prima rispetto alla seconda ma di una oggettiva dipendenza dell’essere creato e composto di potenza e atto, di cui si occupa la filosofia, dalla natura
semplice del creatore, oggetto dell’esperienza mistica. Si tratta di una posizione che contravviene all’antiaristotelismo di Plotino21 ma diventa tipica del
neoplatonismo, che comunque in nessun caso può essere considerato una
sorta di sincretismo filosofico e piuttosto va pensato come la forma di platonismo più matura, capace di includere all’interno del proprio “spazio” concettuale quanto della tradizione culturale precedente risulti in qualche modo
a essa compatibile, e che resta peculiare, seppure spesso implicitamente, nel
platonismo medievale, talvolta neoplatonico, il più delle volte neoplatonizzante. È secondo questa prospettiva che Porfirio nell’Isagoge consegue almeno tre fondamentali risultati: innanzitutto, in modo esplicito e in misura
preponderante rispetto ad altri aspetti e obiettivi, riprende, rielabora e approfondisce la dottrina dei “predicabili” esposta da Aristotele nei Topici; in secondo luogo pone significativamente, seppure fugacemente e quasi en passant, la cosiddetta “questione degli universali”, cioè il problema del significato dei termini che al singolare significano molte cose; infine definisce le
condizioni per determinare la struttura delle relazioni logiche tra i concetti
(“albero di Porfirio”), corrispondente alla gerarchia dell’essere e quindi secondo un criterio, che nel testo rimane implicito ma si ricava chiaramente,
che rimanda alla piena compatibilità, se non alla “specularità”, della diàiresis dialettica rispetto all’ordine discensivo della metafisica neoplatonica.
Se nei Topici Aristotele enumera quattro predicabili, che sono i generi dei
predicati, cioè i modi in cui un attributo è predicato di un soggetto (la definizione, che esprime l’essenza attraverso, nella sua formulazione più completa,
il genere prossimo e la differenza specifica; il proprio, che indica una peculiarità del soggetto ma, sebbene sta con esso in un rapporto convertibile di
predicazione, per esempio filosofo rispetto a Socrate, non ne esprime
ed. by R. Sorabji, Cornell University Press, Ithaca 1990, pp. 141-71; J.N. Martin, Themes in
Neoplatonic and Aristotelian Logic. Order, Negation and Abstraction, Ashgate, London
2004; sull’influenza di Plotino e Porfirio sul pensiero filosofico medievale, cf. J. Marenbon,
«The Late Ancient Background to Medieval Philosophy», in The Oxford Handbook of Medieval Philosophy, ed. by J. Marenbon, Univ. Press, Oxford 2012, pp. 18-20 [17-28].
21
Sul rapporto di Plotino con la logica aristotelica, cf. C. Evangeliou, Aristotle’s Categories and Porphyry, cit., pp. 93-181; A.H. Armstrong, «Aristotle in Plotinus: The Continuity
and Discontinuity of “Psyche” and “Nous”», in Aristotle and the Later Tradition, ed. by H.J.
Blumenthal & H. Robinson (Oxford Studies in Ancient Philosophy, Supplementary Volume),
Clarendon, Oxford 1991, pp. 117-27.
LA NOZIONE DI PLATONISMO
27
l’essenza; genere o differenza, che esprime un aspetto della definizione; accidente, che non riguarda elementi che costituiscono l’espressione definitoria22), Porfirio nell’Isagoge parla di cinque phonès (genere, specie, differenza, proprio e accidente23), che tuttavia equivalgono ai kategoroûmena dello
Stagirita, in quanto genere, proprio e accidente sono in comune mentre la definizione è sostituita nella rielaborazione porfiriana da specie e differenza,
che insieme al genere prossimo costituiscono la definizione, ne sono cioè
uno dei due “elementi”, per cui nei Topici sono espressi da una singola “voce”. Per tutto questo l’interpretazione porfiriana alle Categorie appare ai
suoi interpreti non solo come “capitolo” iniziale della logica, essendo le Categorie di Aristotele considerate sin dalla tarda antichità “base” del curriculum degli studi logici, ma anche come “via d’accesso” all’ontologia dello
Stagirita, che si ritiene, piuttosto che propedeutica alla filosofia di Platone,
sistemazione in forma razionale e chiarificazione di quest’ultima e come tale
semmai propedeutica alla teologia mistica in quanto condizione necessaria,
seppure non sufficiente, per un “transito” allo stato di “afasia” che consegue
alla conquista della consapevolezza meontologica.
Per quanto riguarda il secondo dei tre aspetti prima rilevati, Porfirio rende esplicite le domande che costituiscono la “questione degli universali”, a
cui rispondono, a seguito della mediazione di Boezio e nel corso del medioevo, dialettici e filosofi di varia estrazione, dagli esponenti delle scuole di
dialettica e delle “sette” del XII secolo agli “artisti” del XIII e del XIV, determinando le diverse posizioni che maturano nel corso del tempo, dal “realismo” detto “dell’essenza materiale”, secondo cui gli universali significano
le forme separate, al “vocalismo” puro, secondo cui l’universale non ha significato né di conseguenza valenza epistemica, dal “realismo dell’indifferenza”, sulla base del quale si ritiene che l’universale rimandi a una natura
comune delle sostanze individuali che appartengono allo stesso genere e alla
stessa specie ed è in re, al “non realismo” concettualista, che si ritrova anche
nel più tardo “nominalismo” e per cui l’universale rinvia a uno status che
accomuna per somiglianza le sostanze individuali e si ricava “artificialmente”, per così dire, in virtù di un procedimento astrattivo24: il filosofo tardoan-
22
Aristoteles, Top. I (A), 8, p. 103b 4-19.
Porphyrius Tirius, Isagoge, ed. A. Busse, in Commentaria in Aristotelem Graeca IV/1,
Reimer, Berlin 1895, rist.1957, p. 1, ll. 4-5.
24
Cf. A. de Libera, La querelle des universaux. De Platon à la fin du Moyen Âge, Éd. du
Seuil, Paris 1996, trad. it. Il problema degli universali da Platone alla fine del Medioevo, La
23
28
PLATONE LATINO
tico si chiede innanzitutto (a) se gli universali siano in sé sussistenti ovvero
meri contenuti della mente; in secondo luogo (b) se, nel primo caso, siano
corporei o incorporei; ancora (c) se siano separati o nelle cose25. Egli non
prende esplicitamente posizione, legittimando, in un certo senso, tutte le
successive soluzioni del problema riguardante il significato dei termini universali; tuttavia anche a questo proposito emerge l’esigenza sistematica e la
“cifra dogmatica” del neoplatonismo, l’organica corrispondenza di linguaggio, pensiero ed essere, in virtù della quale la “dimensione” semantica della
logica rimanda implicitamente a un “universo” ontologico in cui la separatezza delle idee dell’intelletto universale si coniuga con la concezione della
sostanza come “sinolo” di forma/atto e materia/potenza e induce a ritenere
che a una preminenza ontologica delle forme separate si contrapponga, o
comunque possa corrispondere, una priorità gnoseologica delle forme nelle
cose, condizioni della conoscenza universale dell’uomo.
Sia dunque il contenuto esplicito dell’Isagoge, inerente alle discipline logico-linguistiche, sia il ruolo che oggettivamente l’opera ricopre nella successiva statuizione della “questione degli universali”, per quanto il suo autore si astenga dal prendere nel merito una qualsivoglia posizione, che, se non
adeguatamente e approfonditamente motivata, avrebbe forse potuto generare
fraintendimenti e compromettere il suo sostegno all’integrazione della filosofia di Aristotele nel platonismo, “convogliano” l’attenzione degli interpreti
Nuova Italia, Scandicci (FI) 1999, pp. 135-80; vale la pena qui di puntualizzare che il tema
del significato degli universali e dell’origine e della natura dei concetti suscita l’interesse degli ambienti culturali di lingua latina più “avanzati” già tra il IX secolo e l’XI, dalla controversia, che si sviluppa nel corso della terza generazione dei carolingi e che coinvolge Ratramno di Corbie, Incmaro di Reims e Macario Scoto, sul problema se esiste una sola anima universale o esistono molte anime, alla luce di De quant. animae 32, 69 di Agostino, alla reazione di Anselmo, su cui mi soffermo in seguito, di fronte alle paventate conseguenze “triteiste”
del “vocalismo” di Roscellino; sul primo di tali passaggi cf. A. Bisogno, «“Omnis anima una
anima est per substantiam”: una disputa sugli universali in età carolingia», Schola Salernitana
12 (2008), pp. 57-79; sul secondo aspetto menzionato, cf. L. Gentile, Roscellino di Compiègne e il problema degli universali, Itinerari, Lanciano 1975; E.H.W. Kluge, «Roscelin and the
Medieval Problem of Universals», Journal of the History of Philosophy 14 (1976), pp. 40514; A. Orazzo, «Introduzione», in Anselmo d’Aosta, Perché un Dio uomo. Lettera sull’Incarnazione del Verbo, a cura di A. Orazzo, Città Nuova, Roma 2007, pp. 55-8 [5-61]; G.
d’Onofrio, Storia del pensiero medievale, Città Nuova, Roma 2011, pp. 221-2; il contributo
dei pensatori altomedievali all’individuazione dei termini e dei legami teorici del problema
degli universali in Id., Storia della teologia nel medioevo. Vol. II: La grande fioritura, Piemme, Casale Monferrato 1996, pp. 294-ss.
25
Porphyrius Tirius, Isagoge, ed. A. Busse, cit. p. 1, ll. 10-4.
LA NOZIONE DI PLATONISMO
29
verso le implicazioni logico-ontologiche della “divisione” del “genere sommo” nei generi e nelle specie intermedi (ciascuno dei quali è genere rispetto
all’inferiore, specie rispetto al superiore) fino a ricavare la “specie infima” e
la sostanza prima, che è sempre individualità, cioè conducono alla consapevolezza della perfetta “simmetria” tra la deduzione logica del particolare dall’universale, sulla base della gerarchia delle idee e del rapporto analogico tra
esse, e la mediazione oggettiva attraverso cui la sostanza riceve e mantiene,
nel suo modo di essere, l’“impronta” delle sue cause. Si tratta, come si vede,
dell’“essenza” metafisica, per così dire, della “versione” neoplatonica del
platonismo, manifesta nella “visione” che unisce organicamente la razionalità analitica e il descensus dialettico, anzi, per essere più precisi, “ingloba” la
prima nel secondo, a questo fine usando, dentro una “cornice” inequivocabilmente platonica, in quanto espressione dell’interpretazione “dogmatica”
dei dialoghi di Platone cosiddetti “dialettici” e della maturità, e in specie del
Parmenide e del Timeo, pressoché tutti gli aspetti logici e matematici della
tradizione filosofica dell’età classica e dell’ellenistica, cioè dei saperi fisicometafisici fondati sugli strumenti “infradialettici”, per così dire: la ragione
discorsiva e il calcolo; in altri termini l’introduzione porfiriana alle Categorie giustifica pienamente la collocazione di logica e matematica nella gerarchia dei saperi e dei numeri nella gerarchia dell’essere.
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