valori morali del diritto e nichilismo giuridico

ALESSANDRO CATELANI
VALORI MORALI DEL DIRITTO E NICHILISMO GIURIDICO
1. La svalutazione del diritto positivo da parte del nichilismo giuridico. – 2. Il complesso di norme di diritto
positivo che rendono possibile l’esistenza di un ordinamento giuridico. - 3. L’ordinamento giuridico come
complesso normativo espressione di razionalità e di coerenza. – 4. La validità morale del principi di legalità.
– 5. Eventuali deviazioni della norma giuridica dai fini suoi propri. – 6. Ragioni morali dell’osservanza dei
precetti giuridici.
1. La tendenza della dottrina dal dopoguerra a oggi è orientata – forse per
effetto delle aberrazioni verificatesi durante la seconda Guerra Mondiale – a
svalutare al massimo il diritto positivo, riducendo il fenomeno giuridico soprattutto
al dato sociale, con il quale il diritto viene spesso identificato; oppure alla giustizia
come valore assoluto, a prescindere dal dato normativo. Un aspetto cospicuo di
questa tendenza è rappresentata dal c. d. nichilismo giuridico, il quale svaluta nella
sua integrità il diritto positivo, riconducendolo ad un atto che sarebbe
manifestazione di puro arbitrio, in ultima analisi espressione solo di violenza e di
sopraffazione.
2. Una tale concezione disconosce nella sua integrità la funzione e i caratteri
della norma giuridica, la quale ha una ben diversa portata, ed un ben diverso
significato.
Senza un complesso di norme giuridiche, che regolino l’agire dei consociati nei
loro reciproci rapporti, una società non può esistere. L’esistenza di una società
implica che una volontà umana, espressione della collettività, regoli i rapporti tra gli
uomini che ne fanno parte: una società non può esistere se i consociati, attraverso la
volontà collettiva, non disciplinino i rapporti intersoggettivi che tra di essi
intercorrono. Il diritto è indispensabile in quanto vi devono essere dei comandi i
quali promanano dagli organi esponenziali della collettività, e che regolino l’agire dei
consociati in tutte le manifestazioni della loro personalità. Una società in cui non vi
sia nessuna norma di comportamento, e ognuno faccia quello che vuole, non è una
società. Una società, se esiste, è necessariamente ordinata, organizzata da precetti
che hanno una tale fonte, e i cui destinatari sono coloro che ad essa appartengono.
Il fenomeno giuridico è un prodotto della vita associata, nel senso che la società
esprime necessariamente un complesso di norme giuridiche che l’hanno ad oggetto,
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e dalla cui esistenza il corpo sociale non può prescindere. Non può esistere una
società senza un ordinato vivere civile, senza una sua struttura ed una sua forma
giuridica. Le norme vengono di consueto seguite dalla società, perché in tanto la
società esiste, in quanto vi è anche una sua struttura giuridica, senza della quale
essa non è concepibile.
Il diritto è ordinamento, è società organizzata, struttura del corpo sociale, e si
identifica con il momento del dover essere dei singoli consociati nei loro reciproci
rapporti. E tale dover essere, in quanto trae la sua fonte da una volontà umana, e
non da entità divine e metafisiche, è sempre e soltanto e necessariamente la norma
giuridica, un complesso di norme giuridiche, al di fuori delle quali il diritto positivo
non può esservi. Il diritto positivo è realtà immanente, e non trascendente rispetto
al corpo sociale, ed è come tale un fatto umano e non soprannaturale. Il diritto
positivo non è che un complesso di norme, espressione di una volontà umana e
collettiva.
3. La norma giuridica non costituisce che una parte di un tutto; ed essa è
elemento costitutivo, parte integrante di un sistema. Ciascuna norma contribuisce a
costruire un intero ordinamento, cioè un sistema, una più complessa struttura. Essa
definisce sul piano formale e strutturale uno o più rapporti giuridici. E questi nel loro
complesso, come complesso di relazioni intersoggettive, costituiscono
l’ordinamento giuridico. L’ordinamento giuridico è il complesso delle relazioni
intersoggettive che fanno capo alle persone che compongono il corrispondente
corpo sociale.
Ogni norma giuridica non si comprende se non facendo riferimento ad un più
ampio contesto normativo, entro il quale essa è stata emanata. Il diritto non è mai
composto da una singola norma, ma da un complesso di norme, le quali formano un
compiuto sistema. La norma viene oggettivata, e deve con ciò stesso inserirsi in un
complesso normativo più ampio, del quale entra a far parte come elemento
costitutivo.
Le norme si pongono fra di loro in reciproci rapporti, così da formare
un’organizzazione. L’ordine è il fine, lo scopo dell’ordinamento. Considerata nella
sua astrazione, la rappresentazione normativa della realtà costituisce un sistema,
cioè un complesso organico di disposizioni fra di loro coordinate.
Comunemente si fa invece riferimento alle norme giuridiche positive come se
fossero entità del tutto svincolate dalla società alla quale ineriscono. Quando si parla
di diritto positivo, in contrapposizione al diritto naturale, spesso ci si riferisce – come
se fosse un dato indiscusso – unicamente ad un rapporto di forza. Il diritto sarebbe
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espressione di un’imposizione coattiva, che il singolo deve subire, senza che tale
imposizione abbia alcun rapporto, che non sia puramente casuale e occasionale, con
la morale. La vita vissuta di ciascuno sarebbe condizionata unicamente da regole
non giuridiche, siano esse morali o di altra natura; e con le regole giuridiche
espressione di un potere che, essendo del tutto svincolato dalla morale, viene
considerato arbitrario, vi sarebbe un incontro solo occasionale in certi momenti
della vita. In tal modo si considera però la norma come svincolata dalla causa e
dall’oggetto suo proprio, quale puro atto volontaristico fine a se stesso, espressione
di arbitrio e di forza, e soggetta agli influssi più vari, ai quali sarebbero da ricollegare
tutte le aberrazioni della società nella quale viviamo. Da tale concezione nasce il
nichilismo giuridico, che riconduce la norma ad atto arbitrario e irrazionale: “…il
diritto positivo è appunto un diritto posto; che non imita né rispecchia un diritto
sovrastante, che è ripiegato in sé, e da sé non può uscire. La razionalità del diritto è
la razionalità di questa assoluta solitudine…Il diritto moderno ( o se si preferisce la
modernità giuridica ) si è consegnato per intero alla volontà degli uomini. Non c’è
più un conoscere la verità del diritto data dall’alto, e data una volta per sempre -,
ma un incessante e tormentoso volere. “ Volo ergo sum “ è la divisa del diritto. “ ( N.
IRTI, Nichilismo giuridico, Bari-Roma, 2002, V ). Una tale concezione disconosce la
funzione, la causa, la natura stessa della norma giuridica. La creazione di un
ordinamento giuridico è di per sé un fatto razionale, poiché l’ordinamento, se è tale,
si identifica con una certa struttura dotata di una sua razionalità. Il diritto è logica
perché la norma, quale manifestazione di volontà, è una proposizione logica. Il
potere normativo è espressione di razionalità e di coerenza, traducendosi nella forza
ordinante di una determinata collettività. Se non esiste un potere di questo tipo,
non esiste una società. L’alternativa a questa situazione è il caos, che conduce
irrimediabilmente al predominio della legge del più forte.
4. Mai, come nel periodo nel quale viviamo, la norma giuridica è stata
svalutata nella sua più intima essenza; al punto di essere considerata soltanto come
una manifestazione grossolana della forza, dalla quale ogni giurista che sia
veramente tale, e non sia soltanto un gretto interprete del diritto positivo mosso da
finalità pratiche e contingenti, dovrebbe prendere le distanze. Ma una tale
concezione falsa completamente quei rapporti tra diritto e morale che, attraverso
questa impostazione, vengono apertamente disconosciuti. Scriveva il Croce: “ Per la
legalità si sono combattute centinaia di battaglie e versati fiumi di sangue; per la
legalità si affrontano quotidianamente le noie delle liti, e si spiega un’azione
energica che solo agl’ intellettuali superficiali è lecito considerare come spreco di
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tempo e di fatiche, laddove nessuna fatica è superflua quando si tutela il proprio
diritto e nessuna è più santa, perché tutela insieme la maestà offesa della legge, il
diritto di tutti. Coloro che raziocinano contro le leggi, possono ben farlo a cuor
leggero, perché le leggi li circondano, li proteggono e li conservano in vita; per poco
che le leggi accennassero a cadere tutte, passerebbe loro a un tratto la voglia di
raziocinare e di ciarlare… “ ( Filosofia della pratica, Bari, 1963, 346 ). Già molti secoli
prima, Aristotele aveva sottolineato l’importanza e il valore dell’osservanza della
norma, rispetto all’osservanza di qualunque altro comportamento umano, che in
ogni caso alla legge deve essere subordinato: “…è preferibile senza dubbio che
governi la legge, più che un qualunque cittadino e, secondo questo stesso
ragionamento, anche se è meglio che governino alcuni, costoro bisogna costituirli
guardiani delle leggi e subordinati alle leggi. “ ( Politica, III, 16, 1287a ).
Comunemente si tende a svalutare la portata e il significato della norma
giuridica, considerando come vero diritto solo la giustizia come complesso di norme
morali. Ma queste critiche non tengono conto del fatto che se la norma morale è
opera divina, e come tale infinitamente superiore a quella positiva, che è opera
umana, ogni società non si può reggere solo sull’applicazione di norme morali – a
meno che non si ricada nello Stato teocratico, che adotta come diritto positivo i testi
religiosi -, ma richiede anche un complesso di precetti positivi per poter esistere. Il
valore della norma morale non deve portare a svalutare la norma giuridica, perché
questa, se pur con essa non si identifica, adempie ad una funzione insostituibile per
la società, della quale condiziona la stessa esistenza. Non può esistere una società se
non esiste anche un complesso di norme che promanano dai suoi organi
esponenziali, e che disciplinano l’agire dei consociati nei loro reciproci rapporti. Al
compito di disciplinare il funzionamento della società la norma morale non è
preordinata; così che la norma giuridica colma una lacuna – se così si può dire
impropriamente – della norma morale: se una società non può fare a meno di un
complesso di precetti morali, non può fare a meno neppure di quei precetti di diritto
positivo, che sono ugualmente indispensabili alla sua esistenza. I rapporti
intersoggettivi ed esterni sono, nei loro aspetti umani, sottratti alla
regolamentazione della sfera della coscienza individuale, completando, sul piano
contingente delle relazioni interpersonali, i precetti morali. La morale non può
risolvere tutti i problemi contingenti della società; per cui la volontà umana e
collettiva è insostituibile, e non si presta ad essere scambiata con norme morali, o
con altre norme non giuridiche. Solo la volontà umana e collettiva ha questa
attitudine.
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La ragion d’essere delle norme positive ha dunque una sua validità sul piano
etico. Ogni società si costituisce in vista di un fine, ed in tanto esiste come realtà
organizzata e giuridica, sul piano strutturale, in quanto vi sia una finalità, una causa
che ne costituisce la ragion d’essere. Ebbene, necessariamente tale fine è costituito
dall’esigenza di garantire una civile convivenza tra i consociati. La disciplina dei
rapporti intersoggettivi è dunque conforme ad un’unica causa in tutte le norme di
un ordinamento. E tale causa, che è quella di garantire un ordinato vivere civile, a
sua volta ricomprende in sé un’infinita gamma di scopi, i quali ne costituiscono
altrettante specificazioni.
La notissima frase tratta dal diritto romano, secondo cui il diritto è “ ars boni
et aequi “ definisce, attraverso una valutazione morale, quella che è la più intima
essenza del fenomeno giuridico, quale è considerato nella sua causa, nella sua
ragion d’essere. Esso si traduce in una valutazione la quale ne coglie l’essenza più
intima e profonda, e pertanto si identifica con una realtà squisitamente ed
esclusivamente giuridica, quale è il contemperamento delle contrapposte sfere dei
consociati. E questa esigenza è di per sé valida sul piano morale. Il fatto che la
norma positiva e la giustizia siano due entità per loro natura diverse, non significa
davvero che esse di per sé siano contrastanti. La norma positiva corrisponde ad una
finalità di giustizia con la quale sostanzialmente coincide; onde una divergenza tra
l’una e l’altra, pur essendo configurabile, costituisce un fatto patologico e
irrazionale.
5. La coincidenza tra norme morali e norma positive non è casuale: è normale
che vi sia, è patologico che non vi sia. Quando, per spiegare la natura del diritto, si
ha la pretesa di considerarlo allo stato puro, e cioè privo di rapporti con l’etica, si
ricorre volutamente ad un’astrazione la quale viene a deformare la situazione che
effettivamente ricorre; perché il diritto positivo, per sua natura, è necessariamente
collegato con l’etica, anche se da essa si distingue. La coincidenza del diritto con la
morale non è dovuta al caso, ma alla sua intrinseca natura. Il fatto che i suoi scopi
siano circoscritti all’esigenza di garantire lo svolgimento della vita associata, non
sminuisce minimamente il valore etico che gli è connaturato. Il diritto con la morale
in sé considerata non può identificarsi, perché il suo oggetto è più limitato,
trattandosi soltanto di definire la realtà esterna dei rapporti intersoggettivi tra i
consociati; ma ciò non esclude che, nell’ambito delle proprie finalità, il diritto sia
pienamente valido sul piano etico.
Considerare la norma giuridica isolatamente dalla morale significa
considerarla non nella sua intrinseca essenza, come si pretende di fare, ma come
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norma che necessariamente è venuta meno ai propri compiti, ossia come entità che
devia dai propri fini. L’arbitrio del legislatore può provocare solo temporanee
deviazioni da quella che è la sua fondamentale funzione. A meno che il precetto non
sia – come può accadere, essendo la norma espressione di una volontà umana e
non divina – apertamente contraria alla morale, morale e diritto sono due realtà
talmente compenetrate, che solo a fatica possono essere scisse. Il diritto adempie a
ad una funzione sociale di garanzia dell’esistenza, sotto l’aspetto strutturale, della
società; e tale esigenza è eticamente valida.
Anche se norma statale e principio etico di per sé non si identificano, queste
due entità necessariamente convergono e coincidono, perché ogni civiltà non può
fare a meno, per garantire lo svolgersi di un ordinato vivere civile, di certi valori che
essa venga a fare propri. Proprio perché lo Stato non può esistere senza una civile
convivenza, ed anzi in quella necessariamente si traduce, le norme statali esprimono
valori etici. Quelli che sono i principi generali di un ordinamento, i pilastri di fondo
della sua struttura, i muri maestri della costruzione di una società organizzata,
riflettono fondamentalmente tali valori, quali criteri di giustizia sostanziale. E sono
questi che sono stati resi giuridicamente coattivi attraverso le Costituzioni moderne.
La presenza, in una società organizzata, di un complesso di valori ideali, è
esigenza insopprimibile della natura umana; perché attraverso la vita associata si
proietta, si manifesta la personalità dei singoli in un più complesso corpo sociale, il
quale non può sussistere su presupposti esclusivamente utilitaristici, ma ha proprie
necessità spirituali, che sono il riflesso di quelle connaturate ai propri componenti.
Questo aspetto etico del diritto, come strumento indispensabile dei diritti di
libertà, e quindi di rispetto dei diritti umani, va sottolineato. Quella che è la causa
sua propria, traducentesi nel contemperamento delle contrapposte sfere giuridiche,
in ciò fondamentalmente si sostanzia. E si tratta di finalità la quale, identificandosi
con la giustizia, è profondamente etica. A meno che non vi siano aberranti
deviazioni da questa causa, determinate dalle manchevolezze della volontà umana,
e dalla conseguente immoralità di certe norme, questa è la ragion d’essere di ogni
precetto giuridico. Il diritto riguarda soltanto la realtà tangibile; ed è irrilevante tutto
quello che attiene al trascendente. Esso ha dunque solo lo scopo di regolare il
comportamento degli uomini; ma in quanto tale corrisponde pur sempre ad
un’esigenza morale, con la quale si identifica integralmente.
6. Quello che viene disconosciuto attraverso il nichilismo giuridico è il
significato etico del diritto positivo, per cui si afferma che lo si segue sempre e
necessariamente per ragioni utilitaristiche e pratiche, mentre in realtà la norma
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giuridica adempie ad una finalità alla quale non può essere preposta la norma
morale, e che la rende indispensabile all’esistenza della società. Spesso si argomenta
dalla mancata coincidenza della norma giuridica con il precetto morale per
svalutarla, e per considerarla solo connessa ad esigenze utilitaristiche. Ma ciò
accade perché non se ne è compresa l’essenza più vera, ed il carattere
profondamente etico che è ad essa connaturato. La norma giuridica anche se non fa
proprio, riproducendolo, il contenuto di una norma morale, ha una sua validità sul
piano etico, in quanto rende possibile una civile convivenza tra i componenti della
collettività, adempiendo ad una funzione alla quale la norma morale non può essere
preposta. L’ottemperanza alla volontà collettiva non è davvero in contrasto con i
precetti morali – salvo il caso patologico, che pure può verificarsi, di norme immorali
–, in quanto di consueto l’obbedienza alla norma giuridica, il suo dover essere,
implica una scelta della collettività alla quale il singolo deve aderire, perché la
morale stessa impone ad essa di aderire.
Un comportamento valido sul piano etico non si riduce soltanto all’osservanza
della norma morale, ma anche consiste nel seguire norme di diversa natura, quali
sono quelle giuridiche. Anche per queste c’è un obbligo di seguirle, che è imposto
dalla norma morale. Ed è un obbligo imposto dalla norma morale perché si tratta di
precetti che sono indispensabili all’esistenza della società. Il fatto che ogni norma
positiva sia di per sé valida sul piano etico – salvo espresse deviazioni – fa sì che non
necessariamente utilitaristici siano i motivi, le ragioni dell’ottemperanza del singolo
ai precetti normativi, e precisamente non lo siano per quei soggetti che sono
sensibili alle esigenze morali. Le norma positive, anche le più contingenti,
corrispondono sempre di per sé ad un precetto etico.
La negazione di ogni moralità, oltre che di ogni razionalità, che viene
propugnata dal nichilismo giuridico, è dunque destituita di ogni fondamento. Ogni
norma giuridica ha come sua causa, come suo fine, come sua ragion d’essere, quella
di garantire l’esistenza stessa del corpo sociale. Una società senza leggi non sarebbe
una società nella quale esiste un libertà piena ed assoluta, ma una società nella
quale dominerebbe la legge del più forte, basata sulla violenza e sulla sopraffazione.
Ogni società deve dunque essere ordinata secondo un complesso di norme, alle
quali non può essere estraneo ogni valore morale. Anche quando accadono fatti
assolutamente patologici, accanto a norme immorali vi sono necessariamente
precetti validi sul piano etico; perché altrimenti gli organi corrispondenti non
potrebbero essere esponenziali di un corpo sociale. Il diritto non si identifica con
l’esistenza di una società, quale si configura sulla base di un materiale rapporto di
forza, ma è costituita da un complesso di precetti giuridici, che ad essa si
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contrappongono, e che vengono a plasmare la struttura del corpo sociale, in quanto
sono espressione di valori etici e di razionalità; di quel valore morale e di quella
intrinseca razionalità, che vengono arbitrariamente disconosciuti attraverso il
nichilismo giuridico.
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