I perché della matematica elementare

I perché della matematica
elementare
di Carmelo Di Stefano
I perché della matematica
elementare
di Carmelo Di Stefano
I perché della matematica elementare
Prima edizione Febbraio 2016
 Carmelo Di Stefano
Tutti i diritti riservati
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Carmelo Di Stefano
Indice
Introduzione
Il procedimento per assurdo e gli schemi deduttivi
Il concetto di uguaglianza
Il concetto di ordine
Le proprietà delle operazioni
Assiomatizzazione dei numeri naturali e principio di induzione
Prodotto dei segni
Principio di annullamento del prodotto
Notazione posizionale e cambio base
Come effettuare una moltiplicazione?
I numeri decimali
Divisione per una frazione
Le potenze di esponente nullo o intero negativo
La prova del nove
Divisibilità dei numeri naturali e numeri primi
La distribuzione dei numeri primi
Il crivello di Eratostene
Alcuni problemi sui numeri primi
La scomposizione di un numero in fattori primi
Massimo comun divisore minimo comune multiplo
Il principio di inclusione-esclusione
Equazioni indeterminate
Le congruenze
Criteri di divisibilità
Quanti divisori ha un numero?
Una particolare successione di numeri naturali
Numeri perfetti e numeri amicabili
Periodicità e sviluppo decimale delle frazioni
Il campo dei numeri reali
Le potenze reali e i logaritmi
Il concetto di infinito e i vari tipi di infinito
I limiti e i calcoli all’infinito
La strana aritmetica dei limiti
Sommiamo l’infinito
Probabilmente …
Il teorema di Pitagora
Bibliografia
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Introduzione
La matematica è certamente la disciplina più controversa fra
quelle cosiddette di base, amata fino alla follia1 da pochissimi,
odiata in modo viscerale dalla gran parte. I motivi di questi atti
contraddittori sono molteplici e non è intenzione del seguente
lavoro di studiarli. Ciò che l’autore in queste pagine si propone
è di far comprendere intanto che la Matematica non può studiarsi “a memoria”, che qualsiasi approccio si scelga, quale
che sia il motivo per cui essa si studi (imposto dall’esterno, per
dovere o per piacere) non si può prescindere dalla comprensione di ciò che si fa. Si potrebbe obiettare che ciò è vero per
qualsiasi disciplina, solo che purtroppo, soprattutto nella scuola italiana, si continua ad insistere su una matematica ripetitiva, noiosa, in cui è bravo chi sa calcolare o sa ripetere ciò che
dice il libro o l’insegnante. A questo avviso vorrei ricordare la
bellissima frase di Oscar Chisini: la matematica è l'arte di non
fare i calcoli.
La matematica da molto tempo non è più, se mai lo è stata, solo la scienza dei numeri e delle figure. Da Galileo in poi, si è
compreso che è la lingua dell’Universo2, solo che purtroppo
sono ancora pochissimi quelli che la comprendono. E la motivazione di questa sciagurata scelta è semplicemente una: la
maggioranza di chi insegna matematica non la conosce. Questo atteggiamento è legato alla errata convinzione secondo la
quale gli argomenti base possono essere insegnati da chiunque
1
Non è un modo di dire, diversi matematici finirono in manicomio, solo
per citare i più famosi, il padre della teoria degli insiemi George Cantor
che vi morì nel 1917, e il conosciutissimo protagonista del pluripremiato
film A beautiful mind, John Nash, che vi fu ricoverato parecchie volte.
2
La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta
aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se
prima non s'impara a intendere la lingua e conoscer i caratteri, ne' quali
è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli,
cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per
un oscuro laberinto. (Il Saggiatore, 1623).
I perché della matematica elementare
perché “facili”. Ovviamente è esattamente vero il contrario,
perché essendo argomenti base faranno parte del corredo culturale di ogni individuo che si plasma, spesso in modo adamantino e quindi è successivamente impossibile da modificare,
proprio nei primissimi anni di scuola. Paradossalmente le conoscenze e la padronanza della matematica di un maestro elementare, pur se limitate in orizzontale, in profondità dovrebbero essere superiori a quelle di un professore universitario.
Proprio per tale motivo in queste pagine saranno prese in considerazione una serie di attività cosiddette elementari, che la
maggior parte di noi ha imparato in modo spesso esclusivamente mnemonico. Purtroppo pochissimi si sono chiesti perché una certa procedura avvenisse in un certo modo piuttosto
che in un altro. Questo testo ha la presunzione di cercare di
mostrare appunto i perché, con la speranza che il lettore faccia
suo questo nuovo approccio per riprendere lo studio della matematica da questo punto di vista privilegiato.
Talvolta sarà necessario usare termini il cui reale significato e
la cui profonda comprensione esulano dagli scopi del testo,
perché diversamente esso si allungherebbe e complicherebbe
in modo eccessivo. Pertanto vi sarà una nota a piè pagina che
cercherà di spiegare semplicemente il concetto, ma in realtà
servirà solo da memorandum per chi conosce già l’argomento.
2
Carmelo Di Stefano
Il procedimento per assurdo e gli schemi deduttivi
Una particolarità della matematica è il fatto che in essa qualsiasi cosa si affermi debba essere dimostrata. Uno dei grandi
matematici del XX secolo, Jean Dieudonné (1906 – 1992) ha
scritto che in matematica tutti i risultati sono "veri" nel senso
che sono stati dimostrati seguendo le regole logiche che si sono ammesse [...] un'affermazione non dimostrata non fa parte
della matematica3. Abbiamo sentito più volte anche da parte di
autorità dei rispettivi campi, dire che un certo risultato in fisica
o chimica o altra scienza naturale si dimostra. Ciò è improprio
tanto è vero che ormai si è accettata l’idea che le verità scientifiche, escluse quelle matematiche, siano per così dire a tempo,
ossia siano vere sino a prova contraria. Del resto molte delle
cose che erano considerate vere in fisica o chimica nel XIX
secolo adesso sono state completamente modificate e continueranno a esserlo nel futuro. Mentre in matematica ciò che si
è provato è indiscutibile, tranne a cambiare le ipotesi.
Vi sono molti modi per dimostrare una proprietà matematica.
In molte dimostrazioni, soprattutto geometriche, ma noi lo mostreremo anche in risultati aritmetici, si usa il cosiddetto procedimento per assurdo. Esso consiste nel supporre che la cosiddetta tesi di un teorema, che è la proprietà che vogliamo
dimostrare, non sia vera e così facendo, con una catena di passaggi leciti si mostra che non è vera neanche l’ipotesi che invece è ciò che supponiamo sia vero.
Esempio 1
Se volessimo dimostrare il teorema di geometria elementare,
noto come pons asinorum4, che afferma che gli angoli alla base di un triangolo isoscele sono fra loro uguali, potremmo
cercare di provarlo facendo vedere che se i dati angoli non
3
4
In Jean Dieudonné, L'arte dei numeri, Mondadori, 1989, pag. 32
Così chiamato nel Medio Evo perché separava, faceva da ponte, fra i sapienti che lo conoscevano e gli asini che lo ignoravano
3
I perché della matematica elementare
hanno la stessa misura di conseguenza il triangolo non ha i lati
della stessa misura, cioè non è isoscele. Poiché l’ipotesi, appunto che il triangolo sia isoscele, non si discute, deve rigettarsi il fatto che gli angoli non siano isometrici.
Apparentemente non sembra che quanto descritto nell’esempio
ci abbia portato avanti nella dimostrazione, solo che alla base
della matematica come la intendiamo di solito, vi è la cosiddetta logica binaria, cioè quel sistema di regole che affermano
fra le altre cose che un’affermazione o è vera o è falsa, non c’è
una terza via, con locuzione latina tertium non datur. Quindi
avendo mostrato che è falso che gli angoli non sono uguali, ci
rimane come verità il suo opposto, cioè è vero che gli angoli
sono uguali.
Se invece avessimo accettato una logica a più vie5, in cui oltre
il vero ed il falso vi possono essere altre possibilità, anche infinite, la dimostrazione per assurdo non avrebbe alcuna validità.
In generale una dimostrazione avviene utilizzando quello che
si chiama uno schema deduttivo, il più semplice, ad enunciarsi
ma non sempre ad applicarsi, è il cosiddetto sillogismo, secondo il quale se è vero che dalla verità di un fatto A segue la verità di un altro fatto B e da questo ne consegue la verità di un
terzo fatto C, allora possiamo dire semplicemente che da A segue C.
Esempio 2
Noi sappiamo che se un numero è multiplo di 20 esso è anche
multiplo di 10, del resto se è multiplo di 10 lo è anche di 5,
quindi possiamo dire che se un numero è multiplo di 20 lo è
anche di 5.
5
Ne sono state studiate diverse agli inizi del secolo scorso e hanno avuto
importanti applicazioni per esempio con la cosiddetta logica fuzzy
4
Carmelo Di Stefano
Altri semplici schemi sono quelli detti modus ponens e modus
tollens. Il primo afferma semplicemente che se da A segue B,
allora conoscendo A possiamo dedurre B.
Esempio 3
Se è vero che se ABC è un triangolo rettangolo allora due dei
suoi angoli sono complementari, allora sapendo che ABC è un
triangolo rettangolo possiamo stabilire, senza ulteriori indagini
che deve avere due angoli complementari. Il risultato sembra,
come molti fatti matematici, banale6. Appare meno banale invece il seguente ragionamento, il triangolo ABC non ha due
angoli complementari, allora possiamo dedurre che non è un
triangolo rettangolo. Infatti se lo fosse, per il modus ponens,
dovrebbe avere gli angoli complementari.
Il secondo schema deduttivo mostrato nell’esempio precedente, si chiama modus tollens e afferma appunto che se da A segue B, allora se B è falso possiamo dire che anche A deve esserlo.
I due precedenti schemi rappresentano, nell’ordine in cui li abbiamo enunciati, le cosiddette condizione sufficiente e condizione necessaria. Infatti il modus ponens afferma che è sufficiente sapere che sia vero A per affermare che anche B lo è; il
modus tollens invece dice che è necessario che sia vero B perché sia vero anche A.
Esempio 4
Così è necessario essere maggiorenni per votare per le elezioni
dei candidati alla Camera dei Deputati, ma non è sufficiente,
dato che per altre ragioni si potrebbe essere privi del diritto di
voto. Allo stesso modo il sapere che Tizio ha votato per le elezioni dei candidati al Senato, è sufficiente a garantirci che ab-
6
Come ricorda lo storico della matematica Bell: in matematica nulla è più
pericolo della parola banale
5
I perché della matematica elementare
bia almeno 21 anni, ma non è necessario perché ne abbia 30,
37 o qualsiasi altra età maggiore di 18.
Vi sono diversi giochi logici basati sulla deduzione, il più famoso dei quali è probabilmente Indovina chi, che consiste
nell’individuare uno fra 31 personaggi ponendo domande a cui
può rispondersi solo sì o no, e basati sulle caratteristiche fisiche possedute, quasi tutte di tipo binario (ha/non ha i capelli;
ha/non ha la barba o i baffi; è maschio/femmina; …), e alcune
a più valori (colore dei capelli o degli abiti). Un gioco simile
ma più complesso è il videogioco Sherlock della Kaser software, un demo del quale può scaricarsi da
http://www.kaser.com/. nel gioco si devono associare da 3 a 8
personaggi a loro caratteristiche, anche queste da 3 a 8. Per esempio nella figura seguente, il caso più semplice in cui dobbiamo associare le 3 persone a una casa e a un numero.
In questo caso sappiamo solo la posizione della donna, ma non
la sua casa e il suo numero. Per determinarli abbiamo le seguenti informazioni.
6
Carmelo Di Stefano
Esse indicano che la casa gialla si trova fra i due personaggi (e
quindi si deduce che appartiene al terzo personaggio); che il
calvo è a sinistra dell’altro maschio (quindi sta nella seconda
colonna); che il numero 2 non sta fra l’uomo e la casa blu, che
però sono separati da una colonna (quindi la casa blu è della
donna); la casa rossa e il numero 1 stanno nella stessa colonna.
Perciò la situazione sarà la seguente.
Attività
Stabilire se i fatti A sono necessari e/o sufficienti perché accadano i fatti B seguenti.
1. A: Essere legalmente sposati in Italia; B: Essere maggiorenni.
[Sufficiente]
2. A: Essere padri; B: Essere nonni.
[Necessario]
3. A: Essere zii; B: Non essere figli unici.
[Né necessario, né sufficiente]
4. A: Essere laureati; B: Essere dirigenti di banca.
[Né necessario, né sufficiente]
5. A: Essere un poligono con i lati e gli angoli uguali; B: Essere un poligono regolare.
[Necessario e sufficiente]
6. A: Avere la stessa area; B: Essere due figure uguali.
[Necessario]
7. A: Essere due triangoli simili; B: Essere due triangoli equilateri.
[Necessario]
8. A: Essere italiano; B: Essere europeo.
[Sufficiente]
9. A: Saper parlare fluentemente l’inglese; B: Abitare a Londra.
[Né necessario, né sufficiente]
10. A: Essere un numero primo; B: Essere un numero dispari.
[Né necessario, né sufficiente]
7
I perché della matematica elementare
Il concetto di uguaglianza
Nel linguaggio di ogni giorno usiamo spesso la parola uguale
ma non sempre con lo stesso significato. Per esempio, invitati
a scegliere fra due o più oggetti, se non abbiamo preferenze
diciamo è uguale. Sono uguali due macchine dello stesso modello e stesso colore, mentre non sono uguali due macchine
che hanno lo stesso prezzo ma hanno diversa marca o colore.
In matematica i concetti di uguale sono parecchi e spesso sono
causa di interminabili discussioni, ovviamente si usano vocaboli diversi: congruente, equivalente, equiesteso, isometrico,
… Spesso l’uguaglianza è legata a un numero che misura
qualcosa, una lunghezza, un’area, un volume, una probabilità,
… La cosiddetta Bibbia dei matematici, ossia gli Elementi di
Euclide, opera in 13 libri che rappresenta una summa delle conoscenze aritmetiche e geometriche del mondo occidentale nel
300 a.C., già all’inizio, nel libro primo tratta il concetto di uguale, inserendolo in ben otto delle nove nozioni comuni. Vediamole7.
I.
Cose che sono uguali ad una stessa sono uguali anche fra
loro.
II. E se cose uguali sono addizionate a cose uguali, le totalità
sono uguali.
III. E se da cose uguali sono sottratte cose uguali, i resti sono
uguali.
IV. E se cose uguali sono addizionate a cose disuguali, le totalità sono disuguali.
V. E doppi di una stessa cosa sono uguali fra loro.
VI. E metà di una stessa cosa sono uguali fra loro.
VII. E cose che coincidono fra loro sono fra loro uguali.
Come si nota Euclide parla di uguale (e disuguale) come se
fosse un concetto noto, privo di definizione, pertanto si limita
7
Euclide, Elementi, Utet, 1988, edizione curata da Attilio Momigliano
8
Carmelo Di Stefano
a descrivere solo i modi di operare con tale nozione. La I affermazione è quella che con linguaggio moderno chiamiamo
proprietà transitiva, perché appunto permette di transitare la
nozione di uguaglianza fra due oggetti a un terzo oggetto. La II
e III regolano le operazioni aritmetiche di somma e differenza
fra oggetti uguali, precisate meglio dalla IV. La V e VI sono
affermazioni inutili, perché la V è un caso particolare della II
in cui aggiungiamo a un oggetto se stesso, ottenendo appunto
il doppio; la VI è una specie di sua proprietà inversa. La loro
presenza è giustificata probabilmente dal fatto che le operazioni di raddoppiare e dimezzare sono fra le più frequenti. La VII
proprietà, infine in qualche modo definisce lo stesso concetto
di uguale.
Si potrebbe pensare che le pecche che abbiamo evidenziato
siano dovute al fatto che le nozioni matematiche di Euclide erano troppo primitive, ma ci si ricrede considerando che David
Hilbert più di duemila anni dopo, nell’opera che per prima ebbe l’ardire di porre un nuovo modo di fare geometria euclidea,
i Grundlagen der Geometrie8, affermò di considerare tre diversi concetti di cose [che chiama punti, rette e piani] e certe
reciproche relazioni, indicate da parole come “sono situati,”
“fra,” “paralleli,” “congruenti,”continuo “ ecc.
Quindi il concetto di uguale (che Hilbert chiama congruente) è
sempre considerato intuitivo.
Prima di cercare di capire in cosa consista questa intuizione, è
interessante ricordare che l’attuale segno di uguaglianza “=” è
dovuto all’inglese Robert Recorde che lo usò per primo nel
1557 nella sua opera The wethstone of Witte, dove, in inglese
arcaico, scrisse “… to avoide the tediouse repetition of these
woordes : is equalle to : I will sette […], a paire of paralleles,
8
Presentato dallo stesso autore nel giugno 1899 come discorso per
l’inaugurazione a Gottingen del monumento a Gauss-Weber, e pubblicato
l’anno successivo in francese, reperibile nella traduzione inglese sul sito
http://storiografia.me/2013/11/18/the-foundations-of-geometrygrundlagen-der-geometrie/
9
I perché della matematica elementare
[…], thus: =, bicause noe two thynges, can be moare equalle.”9
Adesso vediamo invece di chiarire meglio cosa debba intendersi con la nozione di uguale ai giorni nostri. Uguale nella
matematica contemporanea significa indistinguibile, che non
vuol dire lo stesso oggetto, ma un oggetto la cui scelta, per i
fini prefissi, è irrilevante. Del resto anche nella vita pratica è
così, se ho fame un panino o l’altro è lo stesso, purché di peso
all’incirca uguale; due banconote di pari valore sono considerate uguali e addirittura 5 banconote da 10 euro, dal punto di
vista del valore numerico, sono considerate uguali a 1 da 50
euro.
Le proprietà che i matematici richiedono a una relazione affinché essa possa costituire una uguaglianza, cioè una relazione
mediante la quale due oggetti possano ritenersi indistinguibili,
sono tre. Esse sono espresse mediante il simbolo ℜ, che significa semplicemente c’è una relazione di qualche tipo, e sono le
seguenti:
Proprietà riflessiva.
a ℜ a (ogni oggetto è in relazione con se stesso);
Proprietà simmetrica.
Se a ℜ b, allora anche b ℜ a (che stabilisce appunto
l’indifferenza della scelta);
Proprietà transitiva.
Se a ℜ b e b ℜ c allora è anche a ℜ c (che stabilisce come
possiamo confrontare oggetti ignoti mediante l’intercessione di
un terzo elemento in relazione con i precedenti).
9
Per evitare la noiosa ripetizione di queste parole: è uguale a (così si scriveva prima oppure ӕ come abbreviazione di aequalis) userò una coppia
di linee parallele, così: =, perché non ci sono due cose più uguali di queste
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Carmelo Di Stefano
Vediamo di definire quindi il concetto più generale di uguaglianza.
Definizione 1
Una relazione binaria (cioè fra due elementi) che verifica tutte
le proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva, si dice relazione
di equivalenza e stabilisce appunto il fatto che due elementi
che la verificano, ai fini della relazione sono lo stesso elemento.
Esempio 5
Sono così relazioni di equivalenza: l’uguaglianza fra numeri o
espressioni numeriche (3 = 3; se 3 = 1 + 2 allora anche 1 + 2 =
3; se 3 = 1 + 2 e 1 + 2 = 7 – 4, allora anche 3 = 7 – 4); la relazione detta di congruenza o isometria fra figure geometriche
nel piano o nello spazio (due figure sono congruenti se sottoposte a un movimento rigido, ossia un movimento che ne modifica solo la loro posizione, possano essere sovrapposte, ossia
occupare la stessa zona di piano o di spazio); la relazione di
avere lo stesso resto nella divisione per un dato numero intero
(15 diviso per 6 ha resto 3 così come 21, quindi da questo punto di vista 15 e 21 sono equivalenti).
Una relazione di equivalenza quindi permette di dividere un
dato insieme finito o infinito, su cui essa è definita, in dei sottoinsiemi all’interno dei quali vi stanno tutti e soli gli elementi
che sono considerati equivalenti.
Esempio 6
Nell’insieme dei resti della divisione per 6 avremo solo 6 possibili risultati: {0, 1, 2, 3, 4, 5}, quindi possiamo dividere
l’insieme infinito dei numeri naturali in 6 sottoinsiemi formati
rispettivamente da tutti quei numeri che divisi per 6 hanno lo
stesso resto, così da questo punto di vista sono equivalenti tutti
i multipli di 6, {0, 6, 12, 18, …}, così come tutti quelli che divisi per 6 hanno resto 1, {1, 7, 13, 19, …}, e così via.
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I perché della matematica elementare
Allora piuttosto che considerare tutti i numeri naturali consideriamo solo il cosiddetto insieme dei rappresentanti, che può essere formato da un elemento scelto a caso all’interno di ognuna delle classi.
Definizione 2
Dato un insieme A sui cui elementi è stabilita una relazione di
equivalenza ℜ, chiamiamo suo insieme quoziente rispetto ad
ℜ, e lo indichiamo con A/ℜ, uno qualsiasi dei suoi sottoinsiemi formati prendendo un elemento a piacere da tutti i sottoinsiemi di A che contengono elementi fra loro equivalenti secondo ℜ.
Esempio 7
Così nel caso dell’esempio precedente: ℕ / ℜ = {0,1,2,3, 4, 5},
oppure ℕ / ℜ = {24, 31, 2, 45, 58, 125} o un qualsiasi altro insieme di 6 elementi rappresentanti le sei diverse classi.
Il nome insieme quoziente, è dovuto al fatto che stiamo effettuando una vera e propria suddivisione di tutti gli elementi di
A, ognuno in una sola delle classi di equivalenza determinate
da ℜ su A.
Esempio 8
• La relazione definita sull'insieme degli alunni di una scuola,
secondo la quale due alunni sono in relazione fra loro se
stanno nella stessa classe, è evidentemente una relazione di
equivalenza. In questo modo un qualunque alunno può considerarsi rappresentante della classe.
• All’assemblea dell’O.N.U. ogni nazione è rappresentata da
un proprio delegato. L’assemblea O.N.U. può quindi considerarsi l’insieme quoziente dell’insieme degli abitanti di
tutti i paesi aderenti all’organizzazione, mediante la relazione che lega fra loro due persone se sono cittadini della
stessa nazione.
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Attività
1. Provare che la relazione definita nell’insieme dei numeri
naturali dalla legge: a ℜ b se a ⋅ b è un numero pari, non è
una relazione di equivalenza.
[Non vale la proprietà riflessiva, né la transitiva]
2. Provare che la relazione definita nell’insieme delle persone
dalla legge: a ℜ b se a e b hanno il cognome che inizia con
la stessa lettera, è una relazione di equivalenza. Qual è
l’insieme quoziente?
[Un insieme di 26 cognomi, ciascuno che inizia con una delle 26 lettere dell’alfabeto]
3. Fornire esempi di relazioni binarie che verificano solo due
delle tre proprietà che le renderebbero di equivalenza, in
tutti i possibili casi.
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I perché della matematica elementare
Il concetto di ordine
Dopo avere stabilito come considerare uguali oggetti realmente diversi, un’altra questione fondamentale della matematica
consiste nell’ordinare gli elementi di un dato insieme. Ordinare significa stabilire una regola mediante la quale possiamo elencare gli elementi, in modo tale che si stabilisca chi viene
prima e chi dopo. Per esempio i nomi nella rubrica telefonica
di uno smart phone sono inseriti utilizzando l’ordinamento alfabetico. Un altro esempio di ordinamento è la classifica di
una gara sportiva. Questi due esempi ci fanno capire che vi sono diversi modi di ordinare uno stesso insieme.
Esempio 9
I concorrenti di una gara sui 100 metri, prima dell’inizio della
gara possono essere elencati, in questo caso associati alle rispettive corsie, in vari modi. Per ordine alfabetico; oppure per
il miglior tempo ottenuto nelle precedenti gare della stessa
manifestazione, o ancora per il loro miglior risultato stagionale
o in altri modi equivalenti. Dopo la gara invece saranno elencati secondo l’ordine di arrivo. Segnaliamo che vi è la possibilità, anche se remota, in cui gli ordini prima e dopo la gara
coincidano.
Considerando il precedente esempio osserviamo che fra uno
qualsiasi degli ordini di partenza e l’unico ammissibile di arrivo vi è una differenza fondamentale. Nella classifica finale vi
è la possibilità che due o più atleti possano essere classificati
pari merito, cioè occupano la stessa posizione, questo non accade in nessuno degli elenchi iniziali. Prima di approfondire
questo discorso cerchiamo di capire quali sono le proprietà indispensabili che permettono di ordinare gli elementi di un insieme.
Consideriamo il più diffuso fra gli ordini, quello cosiddetto secondo grandezza che consiste, dato un insieme di elementi
(numeri o no), nello scriverli in una sequenza crescente (dal
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Carmelo Di Stefano
più piccolo al più grande) o decrescente (dal più grande al più
piccolo) secondo un criterio. Per esempio se sono numeri interi
o no, sappiamo che, indipendentemente che siano espressi in
una forma chiara (cioè il numero scritto con la sua parte intera
e la sua parte decimale) o come risultato di una espressione
della quale non sempre sappiamo calcolare il risultato10, di due
numeri diversi ve ne è sempre uno maggiore e l’altro minore.
L’ordine dei vocabolari o delle agende telefoniche è simile,
anche se due parole omografe, cioè che si scrivono allo stesso
modo ma hanno significati diversi, come còmpito e compìto (la
cui unica differenza è nella posizione dell’accento) possono
essere ordinate a piacere.
Pensiamo che in fondo tutti gli ordini ammissibili siano legati
alle relazioni di maggiore (>) o minore (<) e alle relazioni di
maggiore o uguale (≥) o minore o uguale (≤). Vedremo in seguito che non è del tutto vero. Cominciamo però a stabilire
quali sono le proprietà che verificano queste relazioni. Cosa
deve accadere perché si possa ordinare un insieme secondo la
relazione di > (o <)? Intanto non prevediamo la possibilità delle parole omografe, quindi deve valere la
Proprietà antiriflessiva.
Ogni elemento non è in relazione con se stesso
Poi non vi deve essere l’interscambialità dell’ordine, chi viene
prima non può essere scritto dopo, quindi la
Proprietà antisimmetrica.
Se un elemento x precede un elemento y, allora non accade
mai che y preceda x
10
Per esempio sappiamo che la cosiddetta serie armonica
∞
1
∑n
n =1
, rappresen-
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ta certamente un numero, che però non sappiamo esprimere in forma
chiara. Quindi non è detto che sappiamo relazionare il numero associato
a un altro numero o a uno associato a una espressione simile.
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I perché della matematica elementare
Infine la proprietà, che abbiamo già visto per l’equivalenza,
che stabilisce che l’ordine si mantiene, nel senso che
Proprietà transitiva.
Se un elemento x precede un elemento y, il quale a sua volta
precede un elemento z, allora x precede z.
Queste tre proprietà sono sufficienti a garantire un tipo di ordinamento di un insieme.
Definizione 3
Una relazione che gode delle proprietà antiriflessiva, antisimmetrica, transitiva, si dice relazione di ordinamento forte.
Nel caso in cui invece, come nei vocabolari o nelle classifiche
sportive, vogliamo ordinare in modo non per forza rigido, nel
senso che squadre con lo stesso punteggio possono essere
scritte come si vuole, mantenendo però le relazioni con le
squadre che hanno diverso punteggio da esse, dobbiamo sostituire la proprietà antiriflessiva con quella riflessiva.
Definizione 4
Una relazione che gode delle proprietà riflessiva, antisimmetrica, transitiva, si dice relazione di ordinamento debole.
Esempio 10
Le seguenti classifiche di un torneo sono tutte accettabili.
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Avevamo detto che gli ordinamenti erano più di due. Infatti
noi siamo partiti da un presupposto che non sempre è verificato, ossia che presi due elementi a piacere di uno stesso insieme
si possa sempre dire chi dei due venga prima. Ciò non è sempre vero.
Esempio 11
Le seguenti sono le classifiche finali dei gironi della Champions League 2014/15.
È ovvio che se posso dire che il Monaco precede il Bayer Leverkusen, non posso dire che l’Olympiacos precede il Basilea
perché ha più punti. Ciò perché appartengono a diversi gironi,
tanto è vero che il Basilea, pur avendo meno punti
dell’Olympiacos, a differenza di questa si qualificò agli ottavi
di finale.
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I perché della matematica elementare
Tenuto conto dell’esempio precedente enunciamo perciò la
Proprietà di connessione.
Comunque consideriamo due elementi possiamo dire che uno
dei due precede l’altro o sono uguali.
La proprietà di connessione dice che due qualsiasi elementi
sono confrontabili. Allora abbiamo una nuova definizione.
Definizione 5
Una relazione di ordinamento che verifica la proprietà di connessione si dice totale, diversamente si dice parziale.
Quindi abbiamo i seguenti quattro tipi di ordine: totale stretto,
totale debole, parziale stretto e parziale debole.
L’insieme dei numeri naturali è non solo ordinato in senso
stretto, ma è anche ben ordinato, che significa che ogni suo
sottoinsieme ha un primo elemento, cioè un elemento più piccolo degli altri. Ciò non succede per esempio per l’insieme totalmente ordinato degli interi relativi. Questa caratteristica dei
numeri naturali permette di ordinare gli elementi in modo tale
che vi è sempre il primo, il secondo, il terzo e così via.
Definizione 6
Un insieme i cui elementi possono essere posti in corrispondenza biunivoca con l’insieme dei numeri naturali, si chiama
successione. I suoi elementi si indicano con {a1, a2, …, an,
…}.
Con la dicitura corrispondenza biunivoca intendiamo che possiamo accoppiare gli elementi di un insieme con quelli
dell’altro senza che vi siano elementi di alcuno dei due insiemi
che rimangano senza corrispondente nell’altro insieme.
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Carmelo Di Stefano
Esempio 12
• I numeri pari e i numeri dispari sono in corrispondenza biunivoca, infatti (1; 2) è una coppia, (3; 4) un’altra e in generale (2n – 1; 2n) sono la generica coppia. Come si vede ogni
numero dispari è associato al suo consecutivo che è appunto
un numero pari.
• Invece l’insieme dei primi 75 numeri naturali non può essere posto in corrispondenza biunivoca con un insieme che ha
più o meno di 75 elementi.
Attività
Stabilire il tipo di ordine delle seguenti relazioni
1.
2.
3.
4.
5.
Essere più bravo in una materia, valutato numericamente
sulla base del voto avuto nella pagella finale. [Ordinamento totale debole se la classe ha più di dieci alunni, diversamente dipende dalla classe]
Essere sottoinsieme, nell'insieme di tutti i sottoinsiemi dei
numeri naturali.
[Ordinamento parziale forte]
Essere sottoinsieme proprio (cioè se X ⊂ Y allora X ≠ Y)
nell’insieme precedente. [Ordinamento parziale debole]
Classifica di una gara a eliminazione diretta.
[Ordinamento totale forte]
Per altezza degli studenti di una classe.
[Ordinamento totale debole
19
I perché della matematica elementare
Le proprietà delle operazioni
Sin dalle scuole elementari ci hanno insegnato che le operazioni elementari, somma e prodotto soprattutto, godono di alcune proprietà che sappiamo ripetere abbastanza agevolmente,
ma che non è detto che abbiamo ben compreso. Esse vanno
sotto il nome di proprietà associativa, proprietà dissociativa,
proprietà commutativa per la singola operazione e proprietà
distributiva che lega insieme due di queste operazioni. Cerchiamo di capire perché esistono queste proprietà e perché
vengono enunciate in un certo modo piuttosto che in un altro.
Intanto stabiliamo cos’è un’operazione aritmetica.
Definizione 7
Diciamo operazione binaria definita in un insieme A una legge
che a due elementi di A, detti operandi, associa un terzo elemento che si chiama risultato dell’operazione.
Osserviamo due cose.
Intanto non sempre la legge garantisce l’esistenza del risultato.
Esempio 13
L’operazione 7 : 0 non ha risultato, perché non esiste alcun
numero che moltiplicato per 0 dia 7.
Poi che il risultato non sempre è dello stesso tipo dei cosiddetti
operandi.
Esempio 14
La differenza fra i numeri naturali, cioè interi e positivi, 4 e 9 è
il numero – 5 che non è un numero naturale.
Poniamo allora la seguente
20
Carmelo Di Stefano
Definizione 8
Se il risultato fa parte dello stesso insieme cui appartengono
gli operandi, l’operazione si dirà interna all’insieme.
Esempio 15
Così per esempio la somma e la moltiplicazione sono interne
nei naturali, negli interi relativi, nei razionali e nei reali11. Invece la differenza è interna negli interi relativi ma non nei naturali; la divisione è interna nei razionali ma non negli interi
relativi (6 : 4 non è un numero intero).
Ciò stabilito, perché si ha la necessità di introdurre ulteriori
proprietà? Non bastano quelle che definiscono l’operazione?
La risposta è ovviamente negativa. Infatti un primo problema
riguarda il fatto che le operazioni aritmetiche elementari sono
operazioni binarie, cioè a due elementi ne associano un terzo,
quindi se dovessimo effettuare l’operazione 5 + 2 + 4, anche
se nella nostra mente sembra che effettuiamo un’unica operazione, in effetti ne facciamo due, cioè prima sommiamo 5 e 2,
il cui risultato è 7, e poi aggiungiamo detto risultato a 4, ottenendo infine 11. La domanda che allora sorge è: siamo costretti ad eseguire le operazioni in modo sequenziale, cioè come le
vediamo, prima sommiamo 5 e 2 e poi aggiungiamo 4; oppure
possiamo sommare prima 2 e 4 e poi aggiungervi 5? Come si
vede il problema non è del tutto peregrino o tipico di chi cerca
il pelo nell’uovo.
È perciò necessaria una proprietà che deve dire come possiamo
associare i singoli operandi. La chiameremo perciò
Proprietà associativa.
Un’operazione ⊗ si dice associativa se a⊗(b⊗c) = (a⊗b)⊗c,
comunque si scelgono a, b e c.
11
Chiariremo meglio che numeri sono questi che per il momento consideriamoli nel senso intuitivo ed abitudinario che abbiamo acquisito a scuola
21
I perché della matematica elementare
Nella proprietà precedente le parentesi mostrano la loro reale
importanza, che non è quella puramente estetica che gli studenti spesso gli associano. Questa proprietà vale per le ordinarie operazioni di somma e prodotto, ma non per quelle di sottrazione e divisione.
Esempio 16
• 8 – (4 – 2) = 8 – 6 = 2, mentre (8 – 4) – 2 = 4 – 2 = 2;
• 8 : (4 : 2) = 8 : 2 = 4, mentre (8 : 4) : 2 = 2 : 2 = 1.
Se si comprende appieno la proprietà associativa si possono
evitare moltissimi errori di calcolo per esempio automatico,
infatti se volessimo usare la calcolatrice tascabile per calcolare
3
per esempio
, immettendo 3 / 4 + 5, otterremmo il risul4+5
tato errato 5,7512, e il risultato corretto 0,33333 (in cui il numero di 3 dipende dalla precisione della calcolatrice) con
l’inserimento 3 / (4 + 5).
Vi è anche una specie di proprietà inversa dell’associativa, in
cui a partire da un’operazione con due operandi si passa a una
con tre o più. Per questo la chiamiamo
Proprietà dissociativa.
Un’operazione indicata con ⊗ si dice dissociativa se comunque si scelgono a e b, si ha: a⊗b = a ⊗ (c ⊗ d), con c ⊗ d = b.
La proprietà precedente ha un’importanza difficile da mettere
in mostra lavorando su numeri, mentre invece risulta molto più
importante in questioni simboliche, per esempio in una diffusa
procedura nota come completamento del quadrato, in cui una
somma fra due espressioni cerca di scriversi come somma di
due quadrati.
12
Palesemente errato perché la divisione di 3 per un numero di esso maggiore è certamente minore di 1. Ma chi osserva le incongruenze?
22
Carmelo Di Stefano
Esempio 17
x2 + 2x + 3 può scriversi, usando la proprietà dissociativa sul
numero 3, x2 + 2x + 1 + 2 = (x + 1)2 + 213.
Più in generale la proprietà dissociativa è usata in quelle procedure utilizzate in matematica per modificare la forma di
un’espressione ma non la sua sostanza.
Vediamo adesso la
Proprietà commutativa.
Un’operazione ⊗ si dice commutativa se a ⊗ b = b ⊗ a, comunque si scelgono a e b.
Essa afferma che l’ordine degli operandi è irrilevante e vale
ancora per le operazioni di somma e prodotto, ma non per
quelle di sottrazione e divisione. Infatti per esempio 5 – 2 = 3
e 2 – 5 = –3; 5 : 2 = 2,5 e 2 : 5 = 0,4.
In particolare nel caso della sottrazione sugli interi vi è addirittura un passaggio da un insieme numerico ad un altro, nel senso che non solo a – b ≠ b – a (ovviamente se è a ≠ b), ma uno
solo dei due simboli rappresenta un numero naturale, mentre
l’altro rappresenta un numero intero negativo.
Quanto detto potrebbe farci pensare che vi sia una specie di
legame stretto tra proprietà associativa e proprietà commutativa, nel senso che sembra che esse vengano entrambe verificate
o entrambe disattese. Questo non è vero, ma esempi di insiemi
sui quali si possa definire un’operazione associativa ma non
commutativa sono alquanto artificiosi14.
Un esempio non numerico semplice da seguire è quello della
cosiddetta concatenazione delle stringhe. In informatica una
13
Un esempio di applicazione per così dire alta è il calcolo di integrali del
1
tipo
dx , in cui il discriminante del denominatore è negativo.
∫
14
ax 2 + bx + c
Il cosiddetto corpo dei quaternioni venne individuato da Sir William
Rowan Hamilton solo nel 1843, ed ha una definizione non molto naturale.
23
I perché della matematica elementare
stringa non è altro che una successione di simboli (compreso
anche lo spazio), concatenare due stringhe significa semplicemente metterle una dietro l’altra per costruire un’altra stringa,
così per esempio la concatenazione della stringa meta con la
stringa matica fornisce la stringa matematica. Ovviamente
questa operazione non è commutativa, dato che concatenando
in ordine inverso otterremmo la stringa maticameta. Però è associativa, dato che ovviamente comunque associamo tre stringhe, simbolicamente indicate con a, b e c, il risultato finale è
sempre abc.
Possiamo trovare anche operazioni commutative ma non associative.
Esempio 18
Possiamo definire negli interi l’operazione a ⊗ b = a2 + b2, in
cui + indica l’ordinaria somma e l’esponente l’ordinario elevamento al quadrato. Ovviamente a ⊗ b = b ⊗ a, mentre non è
vera la proprietà associativa. Per esempio si ha:
1 ⊗ (2 ⊗ 3) = 1 ⊗ (4 + 9) = 1 ⊗ 13 = 1 + 169 = 170
mentre (1 ⊗ 2) ⊗ 3 = (1 + 4) ⊗ 3 = 5 ⊗ 3 = 125 + 9 = 134.
Infine vi è una proprietà che lega fra di loro le due proprietà di
somma e prodotto. Questa è la
Proprietà distributiva.
Un’operazione ⊗ si dice distributiva rispetto a un’altra operazione ⊕ se si ha: a ⊗ (b ⊕ c) = (a ⊗ b) ⊕ (a ⊗ c), comunque
siano a, b e c.
Essa non è altri che quella che giustifica la regola di calcolo
del prodotto di un monomio per un polinomio e quindi anche
quella del prodotto di due polinomi. Ma è una regola molto
utile anche nel calcolo mentale (esistono ancora individui che
non usano le calcolatrici tascabili, ormai incorporate negli
smart phone?). Infatti se volessimo moltiplicare a mente per
24
Carmelo Di Stefano
esempio 73 per 8, basterebbe scomporre a mente 8 ⋅ (70 + 3) =
= 8 ⋅ 70 + 8 ⋅ 3 = 560 + 24 = 584. Ovviamente per far ciò si
presume che a mente si sappiano moltiplicare almeno i numeri
di una cifra e che poi si sappiano sommare numeri non troppo
grandi.
La proprietà distributiva del prodotto ordinario è vera sia per la
somma che per la differenza ordinarie. Cioè è anche vero che
si ha: a ⋅ (b – c) = a ⋅ b – a ⋅ c, ma questa aggiunta è inutile, se
le operazioni sono definite nell’insieme dei numeri interi relativi. Invece non vale il viceversa, cioè la somma, algebrica o
no, non si distribuisce rispetto al prodotto, quindi non è vero
che vale l’uguaglianza a + b ⋅ c = (a + b) ⋅ (a + c).
Esempio 19
Si ha 1 + 2 ⋅ 3 = 1 + 6 = 7, mentre (1 + 2) ⋅ (1 + 3) = 3 ⋅ 4 = 12.
Forniamo adesso un esempio di operazioni che sono distributive l’un l’altra. Consideriamo le operazioni insiemistiche di unione e intersezione, indicate rispettivamente con ∪ e ∩.
L’insieme A ∪ B contiene tutti gli elementi di A e di B, contando una sola volta quelli eventualmente comuni. Quindi è
una specie di messa in comune dei beni di due persone, con la
clausola che se i due hanno un oggetto in comune, uno di essi
sarà eliminato. L’insieme A ∩ B contiene invece tutti gli eventuali elementi comuni di A e di B. Quindi potrebbe anche non
contenere elementi, essere cioè vuoto. L’intersezione dei pari e
dei dispari è per esempio vuota.
Esempio 20
Possiamo dire che l’unione è distributiva rispetto
all’intersezione, cioè che A ∪ (B ∩ C)= (A ∪ B) ∩ (A ∪ C)?
Quali elementi appartengono ad A ∪ (B ∩ C)? Quelli che
25
I perché della matematica elementare
stanno in A o15 sia in B che in C. Chi sono invece gli elementi
di (A ∪ B) ∩ (A ∪ C)? Quelli che stanno in A o in B e contemporaneamente in A o in C. Quindi stanno in A o in B e in
C, che è la stessa cosa di prima. Per maggiore convinzione del
lettore mostriamo le operazioni con i cosiddetti diagrammi di
Eulero–Venn.
A ∪ (B ∩ C)
A∪B
15
A∪C
Questo è un o inclusivo, per così dire debole, significa cioè l’uno, l’altro
o entrambi, come nella frase Esco con Maria o con Teresa, che non esclude che possa uscire con entrambe. Viene detto anche, con locuzione
latina, vel. Viceversa nella frase Sono nato a Torino o a Milano, la congiunzione è usata in senso esclusivo, forte, non è possibile che sia nato a
Torino e anche a Milano.
26
Carmelo Di Stefano
(A ∪ B) ∩ (A ∪ C)
Adesso vediamo se l’intersezione è distributiva rispetto
all’unione, cioè se A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C). Quali
elementi appartengono ad A ∩ (B ∪ C)? Quelli che stanno in
A e in B o in C. Chi sono gli elementi di (A ∩ B) ∪ (A ∩ C)?
Quelli che stanno in A e in B o in A e in C. Quindi stanno in A
e in B o in C, che è ancora una volta la stessa cosa di prima.
Anche in questo caso mostriamo le operazioni con i diagrammi di Eulero–Venn.
B∪C
A ∩ (B ∪ C)
27
I perché della matematica elementare
A∩B
A∩C
(A ∩ B) ∪ (A ∩ C)
Attività
Verificare quali fra le proprietà associativa e commutativa verificano le seguenti operazioni
1. Elevamento a potenza nell’insieme dei numeri interi.
[Nessuna]
2. Somma nell’insieme quoziente {0, 1, 2, 3, 4} (In questo caso si ha 1 + 4 = 0, 3 + 4 = 2, …, cioè se il risultato è maggiore di 4 gli si toglie 5)
[Associativa e Commutativa]
3. Prodotto nell’insieme quoziente {0, 1, 2, 3, 4}
[Associativa e Commutativa]
28
Carmelo Di Stefano
Assiomatizzazione dei numeri naturali e principio
di induzione
Anche i numeri naturali, soprattutto questi perché sono gli elementi base, devono sottostare a quelle regole apparentemente
arbitrarie che si chiamano assiomi16 o postulati17. E anche in
questo caso dovremmo aprire una discussione, che evitiamo,
se i due precedenti termini possano essere considerati o no equivalenti.
Uno dei primi ad occuparsi del problema fu il torinese Giuseppe Peano (1858 – 1932) che presentò un’assiomatizzazione del
sistema dei numeri naturali nel suo lavoro del 1889 Arithmetices principia, nova methodo exposita, che modificò nelle diverse edizioni del suo Formulario matematico (la prima è del
1892). Per fare ciò considerò come elemento “minimo” di N
il numero 1, nelle successive edizioni invece lo sostituì con lo
0. Per evitare il gravissimo problema del circolo vizioso non ci
vogliono solo gli assiomi, ma anche i termini primitivi, ci vogliono cioè oggetti e leggi che formino la base della struttura e
la cui modifica anche di uno solo di essi, produce una nuova
struttura. I termini primitivi sono appunto 0 (o 1 a seconda i
casi), numero (intendendo con tale termine il numero naturale)
e successivo. Ecco allora la struttura.
1.
2.
3.
4.
5.
Assiomi di Peano
0 è un numero;
Se a è un numero anche a+ (il successivo di a) è un numero;
Se a = b allora anche a+ = b+, quali che siano i numeri a e b.
0 non è successivo di alcun numero.
Se A è un insieme di numeri tale che 0 ∈ A, e ogni volta
che a ∈ A anche a+ ∈ A, allora A è l’insieme N .
16
Il vocabolo deriva dal greco aksíōma che significa “dignità”, pertanto un
assioma è qualcosa che ha una dignità, o meglio che è degna di fede
17
Il vocabolo deriva dal latino postulatum, che vuol dire “è richiesto”, pertanto è qualcosa di indispensabile
29
I perché della matematica elementare
La prima cosa da osservare è che negli assiomi sono presenti
altri concetti per così dire non definiti, come quello di uguaglianza e quello di appartenenza. Ma essi vengono considerati
concetti per così dire universali e accettati quindi con il loro
significato per così dire comune.
Negli assiomi è messa in risalto intanto la presenza di un primo elemento, lo zero, che non ha precedenti e perciò può servire come riferimento, è l’indefinibile. Poi che la proprietà di
successivo, considerata sempre intuitiva, mantiene la fondamentale proprietà dell’uguaglianza e quindi non cambia
l’insieme né la sua struttura.
Infine l’ultimo assioma, opportunamente modificato, costituisce il cosiddetto principio di induzione, mediante il quale possono provarsi teoremi che riguardano sottoinsiemi infiniti di
N , in pratica è una specie di dimostrazione per infinite verifiche. Vediamo di capire ciò che significa. Se io volessi mostrare che nell’insieme dei primi 100 numeri naturali {1, 2, 3, …,
100} vi sono esattamente 50 numeri dispari, potrei farlo almeno in due modi, o per verifica diretta, cioè conto quanti sono i
numeri dispari, o per dimostrazione matematica, cioè dico che
per la sua stessa definizione dati due numeri consecutivi uno
solo di essi è pari, dato che riesco a dividere il mio insieme in
50 coppie disgiunte18 di numeri interi consecutivi, ho provato
l’enunciato. Si capisce facilmente che il primo approccio,
quello della verifica, non è obiettivamente applicabile per
l’insieme dei primi 101000 numeri naturali, perché il conteggio
prenderebbe molto più di una vita umana. Potremmo affidarci
ad un computer, ma anche i computer hanno dei limiti di calcolo e quindi se possono aiutarci con 101000, non lo potranno
fare con qualsiasi numero.
Il principio di induzione serve invece a fare una verifica che
vale per infinite. Sembra assurdo, ma l’idea, come accade a
quelle geniali, è veramente banale. Per esempio se volessimo
18
Cioè coppie prive di elementi comuni
30
Carmelo Di Stefano
provare che la somma dei primi n numeri naturali è uguale a
n ⋅ ( n + 1)
, non servirebbe verificarlo per i primi 10 o 100 nu2
1⋅ (1 + 1)
meri naturali. Se però osserviamo che è vero che 1 =
2
e che siccome è vero il fatto precedente con n =1 allora è vero
2 ⋅ ( 2 + 1)
anche per n = 2, cioè 1 + 2 =
non perché abbiamo ef2
fettuato il calcolo ma perché abbiamo osservato che si può
1⋅ (1 + 1)
1⋅ 2 + 2 ⋅ 2 2 ⋅ (1 + 2 )
scrivere: 1 + 2 =
+2=
=
, allora la
2
2
2
questione cambia. Ma per cambiare del tutto in modo positivo
non dobbiamo ragionare su 1 e 2, o su 37 e 38 o su una coppia
di consecutivi scelta arbitrariamente, bensì su una coppia di
termini successivi generici, cioè su n e (n + 1). Dobbiamo cioè
n ⋅ ( n + 1)
e da questa
assumere per vero che 1 + 2 + 3 + ... + n =
2
sola ipotesi dobbiamo far vedere che l’uguaglianza è vera anche se arriviamo a n + 1, cioè dobbiamo provare che è vero
( n + 1) ⋅ ( n + 2 ) .
che si ha: 1 + 2 + 3 + ... + n + ( n + 1) =
2
Intanto mostriamo che è effettivamente così:
n ⋅ ( n + 1)
1 + 2 + 3 + ... + n + ( n + 1) =
+ ( n + 1) =
2
n ⋅ ( n + 1) + 2 ( n + 1) ( n + 1) ⋅ ( n + 2 )
=
=
2
2
Questo fatto equivale ad avere effettuato infinite verifiche, dato che abbiamo lavorato su una coppia generica. Però è indispensabile verificare il caso minimo, quello iniziale (in questo
caso n = 1), perché diversamente non possiamo dire che la
proprietà è sempre vera, verrebbe a mancare la base della
struttura. Infatti noi possiamo dire per esempio che se la proprietà è vera per 49 lo è anche per 50 e che se è vera per 48
31
I perché della matematica elementare
lo è anche per 49, e così via andando all’indietro, solo che arrivati a 1, o al minimo valore per cui la proprietà ha senso, non
possiamo dire che se è vera per 0 allora è vera per 1, perché
per 0, o per il precedente al minimo, la proprietà non ha senso.
Ecco perciò che la verifica per il primo elemento chiude la
questione.
Il principio di induzione viene usato anche per definire
l’operazione di somma fra numeri interi. Ossia, dato il generico numero naturale a, definiamo l’operazione a + 1 come la
legge che associa al numero a il suo successivo, poniamo cioè
a + 1 = a+. Per definire a + 2 utilizziamo il successivo di a + 1,
cioè poniamo a + 2 = (a + 1)+ e via di questo passo. Quindi in
generale diciamo a + b + 1 = (a + b)+, quali che siano i numeri
naturali a e b.
A partire dalla somma definiamo anche la moltiplicazione,
sempre con il principio di induzione:
a ⋅ 1 = a, a ⋅ 2 = a ⋅ 1+ = (a ⋅ 1 + a) = a + a,
a ⋅ 3 = a ⋅ 2+ = (a ⋅ 2 + a) = a + a + a
In generale diciamo a ⋅ b+ = (a ⋅ b + b).
Possiamo inserire queste due definizioni di operazioni come
assiomi 6 e 7 del nostro sistema:
6. a + 0 = a, ∀19a∈ N , a + b+ = (a + b)+, ∀a, b∈ N ;
7. a ⋅ 0 = 0, ∀a∈ N , a ⋅ b+ = a ⋅ b + b, ∀a, b∈ N .
19
Il simbolo si legge per ogni o per tutti
32
Carmelo Di Stefano
Prodotto dei segni
Ci hanno insegnato, in genere all’ultimo anno della scuola media inferiore, la ben nota regola per il calcolo del prodotto di
due numeri con segno, che recita:
Regola 1
Più per più è più; meno per meno è più; più per meno o meno
per più è meno.
Intanto cominciamo con l’osservare che possiamo semplificare
la regola nella sua terza espressione, poiché parliamo di numeri per i quali la moltiplicazione è commutativa. È quindi inutile
scambiare di posto i vocaboli più e meno. Aggiungiamo che la
regola potevamo enunciarla in un modo ancora più sintetico:
Regola 1’
Il segno del prodotto di due numeri di uguale segno è positivo,
di due di segno contrario è negativo
Qual è il vantaggio di questo approccio? Non certo solo nella
sinteticità e nel risparmio di qualche lettera, ma nella messa in
evidenza del fatto che negativo e positivo sono solo delle convenzioni. Questo ci porta subito a pensare che avremmo potuto
chiamare i numeri piuttosto che positivi e negativi, maschio e
femmina, bianco e nero, o usando due vocaboli anche inventati, perché no?20 Il che ci conduce, con un’ulteriore passo di astrazione a pensare alle particelle cariche elettricamente o ai
dipoli magnetici. Così cariche o calamite di uguale proprietà
(carica o magnetizzazione) si respingono e di diversa proprietà
20
Per esempio Alipod e Razmad, che hanno anche l’indubbio vantaggio di
essere formati dallo stesso numero di lettere. E soprattutto di non avere la
necessità di essere tradotti in lingue diverse e di non avere significati
provenienti dall’esterno, per i quali perciò, in italiano, positivo è meglio
di negativo, proprio perché un accadimento buono è detto positivo ed
uno cattivo negativo
33
I perché della matematica elementare
si attraggono. In cui si obietterà immediatamente però che in
questo caso piuttosto che usare due soli simboli:
+⋅+=–⋅–=+e+⋅–=–⋅+=–
abbiamo un’algebra più complessa, a 4 simboli, che indichiamo per esempio con ♥, ♦, ♣ e ♠, per cui si ha:
♣ ⋅ ♣ = ♦ ⋅ ♦ = ♥ e ♣ ⋅ ♦ = ♦ ⋅ ♣ = ♠.
Abbiamo scelto i simboli delle carte cosiddette francesi senza
alcuno scopo recondito.
Ma forse stiamo complicando troppo le cose, ci ritorneremo in
seguito, intanto riprendiamo il discorso sul prodotto dei segni.
Chiediamoci se sia proprio indispensabile che valgano le regole che abbiamo enunciato, o potevamo scegliere per esempio
altre regole per esempio le seguenti
+⋅+=–⋅–=–e+⋅–=–⋅+=+
Prima dobbiamo rispondere a una prima domanda: a che serve
una regola? Ovviamente a garantire qualcosa, per esempio le
regole della legge garantiscono (dovrebbero) la cosiddetta
convivenza fra elementi di una stessa comunità. Allo stesso
modo le regole di calcolo di un insieme su cui è definito appunto tale calcolo, debbono servire a garantire la struttura dello stesso insieme. Non è compito di questo testo andare ad indagare su problemi ancora aperti e scottanti della matematica,
come appunto quello di insieme astratto, quindi continueremo
a considerare molti concetti nel loro cosiddetto significato intuitivo, o meglio abitudinario. Diciamo perciò che le regole del
prodotto dei segni devono garantire intanto che la legge sia
uguale per tutti, quindi che il prodotto di due dati numeri, se
effettuato in modo corretto, dia sempre lo stesso risultato.
Come immediata conseguenza, ogni regola non deve essere in
contraddizione con regole precedenti o successive.
34
Carmelo Di Stefano
Una delle regole di calcolo fondamentali delle strutture algebriche note sotto il nome di Campo21, cui l’insieme dei numeri
reali fa parte, è la proprietà distributiva del prodotto rispetto
alla somma, di cui abbiamo già parlato. Comunque la pensi il
lettore sulla utilità della precedente proprietà essa deve valere
sempre.
Così poiché 122 ⋅ 0 = 0 e 1 + (– 1)) = 0, deve essere vero anche
1 ⋅ (1 + (– 1)) = 0. Ora, usando la regola dei segni per così dire
in vigore, allora 1 ⋅ 1 = 1 e 1 ⋅ (– 1) = – 1, quindi
1 ⋅ (1 + (– 1)) = 1 ⋅ 1 + 1 ⋅ (– 1) = 0.
Osserviamo che la validità della precedente uguaglianza sarebbe stata garantita anche dalle regole seguenti:
Regola 2
Si ha: 1 ⋅ 1 = –1 e 1 ⋅ (– 1) = 123
mentre non lo sarebbe stata da nessuna delle seguenti regole:
Regola 2’
Si ha: 1 ⋅ 1 = 1 ⋅ (– 1) = –1 o 1 ⋅ 1 = 1 ⋅ (– 1) = 124.
Tranne a cambiare un’altra regola, cioè che 1 + (– 1) ≠ 0.
In effetti quello che abbiamo detto non è del tutto corretto,
perché non abbiamo considerato cosa accade al risultato del
prodotto – ⋅ –. Avendo a disposizione due simboli le regole
devono intervenire su tutti i possibili modi di moltiplicarli fra
21
Un insieme numerico su cui sono definite due operazioni, simbolicamente indicate con ⊕ e ⊗, è un campo se ⊕ e ⊗ verificano la proprietà associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro e dell’elemento
simmetrico (per ⊗ il simmetrico o inverso esiste per tutti i numeri diverso dall’elemento neutro di ⊕); inoltre ⊗ è distributiva rispetto a ⊕.
22
In genere il segno + si omette davanti al numero, tranne che indichi
l’operazione di somma
23
Cioè + ⋅ + = – e + ⋅ – = +.
24
Cioè + ⋅ + = + ⋅ – = – e + ⋅ + = + ⋅ – = +
35
I perché della matematica elementare
loro, non possiamo stabilire una regola solo su una parte di esse. Del resto se avessimo considerato invece il prodotto
(–1) ⋅ (1 + (– 1)) = (–1) ⋅ 1 + (– 1) ⋅ (–1)
avremmo avuto la necessità di stabilire che
– ⋅ – = + se – ⋅ + = –
mentre avremmo imposto
– ⋅ – = –se – ⋅ + = +.
In conclusione possiamo imporre la validità delle regole seguenti
Regola 3
+ ⋅ + = – ⋅ – = + e + ⋅ – = – Oppure + ⋅ + = – ⋅ – = – e + ⋅ – = –
In pratica abbiamo scoperto che effettivamente è solo una
convenzione stabilire che il segno del prodotto di due numeri
di uguale segno è positivo, di due di segno contrario è negativo, avremmo potuto anche affermare che il segno del prodotto
di due numeri di uguale segno è negativo, di due di segno contrario è positivo. Invece, per non dovere cambiare regole già
accettate, non possiamo ammettere che il segno del prodotto di
due numeri di qualsiasi segno è positivo (o negativo).
Tutto è perciò giocato sulle espressioni
1 ⋅ 1 + 1 ⋅ (– 1) e (–1) ⋅ 1 + (– 1) ⋅ (–1).
Poiché dobbiamo ottenere in ogni caso 0, vuol dire che + ⋅ + e
– ⋅ – devono avere lo stesso risultato, il quale deve essere diverso da + ⋅ –. Ovviamente questo vale se vogliamo mantenere
la commutatività dell’operazione di moltiplicazione, diversamente potremmo anche imporre che si abbia per esempio
+ ⋅ + = – ⋅ + e + ⋅ – = – ⋅ –.
Abbiamo così dato un esempio di opinione sulla matematica,
seppure molto più consolidato di quello sul fatto che 0 sia o no
un numero naturale. Infatti si è convenuto da subito che le regole da applicare per il prodotto dei segni sono quelle ben note.
36
Carmelo Di Stefano
Tornando brevemente al discorso sulle cariche elettriche e sui
dipoli magnetici possiamo dire che in qualche modo il loro
comportamento può considerarsi una specie di regola dei segni, in cui segni uguali (cariche o polarità) forniscono un risultato e segni diversi il risultato complementare. Anche in questo
caso abbiamo due soli risultati possibili (che non sono positivo–negativo ma attrae–respinge) solo che gli operandi non sono dello stesso tipo del risultato. Così l’insieme { –1; +1} può
considerarsi un gruppo25 commutativo con unità, +1, rispetto
all’operazione di prodotto la cui tabella operatoria è la seguente
–1 +1
⋅
–1 +1 –1
+1 –1 +1
Non è invece un gruppo l’insieme {– e; + e} delle cariche elettriche né quello delle polarità magnetiche {– ; +}, per il semplice fatto che il prodotto dei due elementi fra loro non produce mai uno di essi.
25
Cioè un insieme su cui è definita un’operazione binaria ⊕ associativa, ha
l’elemento neutro (un elemento u per cui x ⊕ u = x per ogni x) e ogni
elemento ha il simmetrico (cioè per ogni x esiste x′ per cui x′ ⊕ x = u)
37
I perché della matematica elementare
Principio di annullamento del prodotto
Abbiamo visto che ( ℤ ; +; ⋅) ha due unità, lo zero per
l’operazione di somma e l’uno per quella di moltiplicazione,
possiamo chiederci come si comporta un elemento neutro per
una data operazione rispetto a un’altra operazione. Cioè 0 è
neutro rispetto a + ma non rispetto a ⋅, così come lo è 1 rispetto
a ⋅ ma non rispetto a +. In effetti però 0 per l’operazione ⋅ ha
un comportamento speciale.
Quanto fa a ⋅ 0? Ovviamente 0. Quindi rispetto alla moltiplicazione 0 non è neutrale, ma ha un comportamento quasi opposto, nel senso che neutralizza l’apporto dell’altro fattore, la cui
presenza è irrilevante. Accade lo stesso con il numero 1 rispetto all’operazione +? No perché l’espressione a + 1, non ha per
risultato 1 per ogni numero a (lo ha solo se a = 0). Quindi possiamo tralasciare l’unità moltiplicativa e concentrarci su quella
additiva.
A cosa può servirci sapere che a ⋅ 0 = 0, qualunque sia il numero a? Diciamo che è molto più utile se osserviamo che in
generale l’equazione a ⋅ x = 0 ha come unica soluzione x = 0,
cioè che non solo 0 è un neutralizzatore ma che è il neutralizzatore, cioè che un prodotto fra numeri è zero solo se almeno
uno dei fattori è zero. Questo è il cosiddetto principio di annullamento del prodotto e serve per esempio per risolvere le
equazioni riconducibili al prodotto di più fattori semplici che
deve fare 0.
Esempio 21
Se avessimo da risolvere l’equazione
(x – 1) ⋅ (x + 1) ⋅ (x + 4) ⋅ (2x + 1) ⋅ (5x – 3) = 0
piuttosto che moltiplicare il tutto, ottenendo l’equazione di
quinto grado 10x5 + 39x4 – 17x3 – 51x2 + 7x + 12 = 0, certamente molto ostica da risolvere, basterebbe applicare la proprietà neutralizzativa dello zero e concludere che basta annullare uno dei cinque fattori per ottenere soluzioni. E siccome i
38
Carmelo Di Stefano
fattori sono 5, in teoria anche le soluzioni sono cinque. Così in
questo caso scriveremmo:
x – 1 = 0 ⇒ x = 1; x + 1 = 0 ⇒ x = – 1; x + 4 = 0 ⇒ x = – 4;
1
3
2x + 1 = 0 ⇒ x = − ; 5x – 3 = 0 ⇒ x = .
2
5
Chiaramente questo esempio è particolarmente semplice, non
sempre è così. Per esempio se avessimo l’equazione
(4x3 + 3x2 – 1) ⋅ (5x3 – x2 + x + 1) = 0
il principio di annullamento porterebbe a uguagliare a zero i
due fattori, senza grossi risultati ulteriori, poiché non sappiamo
scomporre i singoli fattori in modo semplice, cioè in fattori di
primo grado.
Abbiamo anche detto che le soluzioni in teoria sono quanti i
fattori di primo grado, infatti l’equazione
(x – 1) ⋅ (x – 1) ⋅ (x – 1) ⋅ (x – 1) ⋅ (x – 1) = 0
ha solo l’unica soluzione x = 1, seppure contata 5 volte26.
Lo zero è annullatore in tutti gli insiemi numerici elementari,
ma possiamo cercare insiemi in cui non è l’unico.
Esempio 22
Consideriamo la cosiddetta aritmetica dell’orologio, cioè
l’insieme {0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, …, 11} che è quello delle ore riportate su un orologio analogico27, su cui definiamo le operazioni di somma e prodotto nel modo consueto, ma con il riporto. Nel senso che per esempio 5 + 7 = 12 significa che 7 ore
dopo le 5 sarà mezzogiorno che noi però indichiamo con 0 (o
con 12), e allo stesso modo 6 + 9 = 15 = 3, dato che appunto 9
ore dopo le 6, in un orologio a 12 ore saranno indicate come le
3. Pertanto in questo insieme tutti i risultati che ordinariamente
26
27
In questi casi si dice di molteplicità cinque
In effetti dovrebbe essere {1, 2, 3, …, 12}, abbiamo preferito partire da
0, proprio per mettere in evidenza la proprietà di annullamento, che in
questo caso è costituita dal 12
39
I perché della matematica elementare
sono rappresentati da numeri maggiori di 11, vengono riportati
a valori ammissibili eliminando tutti i multipli di 12. Così per
esempio 8 ⋅ 7 = 56 = 4 ⋅ 12 + 8 = 8. In questo insieme con questo tipo di aritmetica avremmo allora degli annullatori diversi
dallo zero, per esempio 3 ⋅ 4 = 12 = 0. Solo che questi in effetti
hanno una differenza fondamentale con il consueto zero, infatti non sono soluzioni dell’equazione a ⋅ x = 0 per ogni a, ma
solo per particolari a. Per tale motivo essi vengono chiamati
divisori dello zero.
Chiudiamo con un’ultima osservazione, come visto
nell’esempio, 8 ⋅ 7 = 8, può capitare che vi siano anche particolari elementi neutri rispetto al prodotto, diversi da 1. Anche
in questo caso però essi non sono soluzioni di tutte le equazioni a ⋅ x = a, ma solo di alcune di esse. Nel caso particolare 7 è
neutro di 2 (2⋅7 = 14 =14–12 = 2), di 4 (4⋅7 = 28 = 28–24 = 4),
di 6 (6⋅7 = 42 = 42–36= 6), di 8, di 10 (10⋅7=70 = 70–60= 10),
ma non lo è per esempio di 3 (3 ⋅ 7 = 21 = 21 – 12 = 9).
Attività
1. Trovare le coppie di divisori dello zero dell’aritmetica
dell’orologio.
[(2, 6); (3, 4)]
2. Nell’aritmetica dell’orologio, tutti i numeri diversi da 1 si
comportano come il numero 7, cioè risolvono alcune equazioni a ⋅ x = a? Vi è un numero che le risolve per il
maggior numero di a?
[2, 6 e 8 no; 7]
3. Nell’aritmetica di un orologio a n cifre: {0, 1, …, (n – 1)}
esistono sempre divisori dello zero? Se la risposta è negativa, quando accade?
[Se n è un numero primo]
40
Carmelo Di Stefano
Notazione posizionale e cambio base
Le cosiddette cifre arabe che usiamo28, sono in numero di 10,
inoltre esse, a differenza dei precedenti simboli usati, quelli
cosiddetti romani, che si basavano su una proprietà di additività, si basano invece sulla posizione. Spieghiamoci meglio. III
per i romani equivaleva a quello che modernamente indichiamo come 1 + 1 + 1 = 3, quindi il simbolo I vale 1 dovunque
viene scritto29, invece nel nostro 111, ogni simbolo, seppure
uguale, ha un valore diverso, quello più a sinistra vale 100,
l’altro 10 e solo l’ultimo vale 1. Questo è un indubbio vantaggio, non solo per l’economia della scrittura, dato che [111]1030
usando la numerazione romana si scriverebbe CXI, che ha
sempre tre simboli, ma diversi fra loro mentre 38 si scriverebbe XXXVIII, cioè con ben 7 simboli scelti tra tre diversi.
La notazione posizionale come si vede è molto più comoda,
anche e soprattutto per le operazioni, in particolare per quelle
diverse dalla somma. Provate a moltiplicare 23 per 57 usando
le cifre romane! La domanda che ci poniamo allora è quante
dovrebbero essere le cifre per garantire una migliore aritmetica, cioè una struttura che unisca all’economia dei simboli anche la semplicità dei calcoli.
Se fossimo un computer non avremmo dubbi, due cifre sono il
meglio, anche perché non saremmo in grado che di distinguere
due fasi: circuito magnetizzato o no (il pensiero ci rimanda alla
regola dei segni di cui abbiamo già parlato). Quindi ogni nu28
Sarebbe più corretto chiamarle indo arabe, dato che la loro origine è indiana, ma sono state successivamente usate e diffuse maggiormente dagli
arabi. In occidente arrivano intorno all’anno 1000 grazie a Gerberto di
Aurillac, che in seguito divenne papa con il nome di Silvestro II, ma trovarono maggiore diffusione con Leonardo Fibonacci che le presentò nel
suo Liber Abaci del 1202, un manuale di aritmetica pratica per i commercianti.
29
Sappiamo però che VI = 5 + 1 e IV = 5 – 1.
30
Con il simbolo [n]b indichiamo il numero n scritto in base b, cioè usando
b simboli diversi.
41
I perché della matematica elementare
mero lo dobbiamo esprimere con solo due simboli, che possiamo indicare per esempio con 0 e 1. Ci accorgiamo però subito che abbiamo già perso l’economia, dato che adesso
[111]10 = [1101111]2 (vedremo poi il perché), cioè con più cifre di quante ne usavano i romani, anche se usiamo solo due
simboli. Il problema però è che per i computer non abbiamo
alternative (tranne a progettare circuiti a più valori, che invece
di distinguere fra on e off, stabiliscano fra una serie di valori,
per esempio su un insieme di valori di corrente elettrica misurata in Ampere, o simili sotterfugi), e in ogni caso la stupidità
del computer viene superata dalla sua velocità (miliardi di operazioni al secondo).
La notazione posizionale non è altri che una scrittura polinomiale dei numeri, cioè, detto b un numero naturale maggiore di
1, è facile provare che ogni numero naturale n (in base 10) si
può esprimere nella forma
n = ak ⋅ bk + ak – 1 ⋅ bk – 1 + … + a2 ⋅ b2 + a1 ⋅ b + a0
in cui gli ah (0 ≤ h ≤ k) sono interi compresi tra 0 e (b – 1). In
questo modo la scrittura di n in base b sarà [akak – 1…a2a1a0]b.
Così il già citato [111]10, per esempio in base 5 (cioè usando
solo le cifre 0, 1, 2, 3, 4) si può esprimere nel seguente modo:
111 = 4 ⋅ 52 + 2 ⋅ 5 + 1 ⋅ 50 = [421]5.
Cominciamo a chiederci come sia possibile convertire un numero decimale in una data base, ossia come facciamo a trovare
i coefficienti ak precedenti?
Esempio 23
Riconsideriamo 111 e trasformiamolo in base 5. Abbiamo detto che dobbiamo scriverlo come un polinomio di indeterminata 5. Allora consideriamo la più grande potenza di 5 in esso
contenuta, ovviamente è 25. Quante volte conteniamo 25? 4
volte, quindi 111 = 4 ⋅ 25 + 11. Adesso, quante volte conteniamo la potenza inferiore, cioè 5? Due volte, cioè 111 = 4 ⋅ 25
+ 2 ⋅ 5 + 1. Perciò abbiamo finito. Per determinare gli ak possiamo fare nel seguente modo più veloce:
42
Carmelo Di Stefano
111 5
22 5
4 5
110 22
1
20 4
2
0 0
4
L’esempio precedente ci insegna quindi che per passare dalla
base 10 alla generica base b, basta dividere il numero per b,
conservando il resto e il quoziente. Se il quoziente è diverso da
zero esso si divide ancora per b e si continua finché non si ottiene per quoziente 0, e ciò accadrà sempre perché in ogni divisione il quoziente diminuisce. Il numero nella nuova base è
dato dalla successione dei resti ottenuti, scritti però in ordine
inverso a come sono stati ottenuti.
Per passare invece da una base qualsiasi a base 10 è semplicissimo, basta appunto usare la notazione polinomiale, così per
esempio [3471]8 = 3 ⋅ 83 + 4 ⋅ 82 + 7 ⋅ 8 + 1 = [1849]10.
Più lungo è il passaggio fra due basi entrambe diverse da 10,
perché si deve usare una base di appoggio, che conviene scegliere ben nota, quindi la decimale. Più facilitato è il passaggio
fra due basi una delle quali è potenza dell’altra. Per esempio
da base 2 a base 8, basta raggruppare le cifre del numero in base 2 a gruppi di 3 (perché 8 = 23) e quindi scriverli in base 8.
Esempio 24
Si ha [10110010101]2 = [(010) (110) (010) (101)]2 = [2625]8.
Infatti:[10110010101]2=1+ 4 + 16 + 128 + 256 + 1024 = 1429;
[2625]8 = 5 + 2 ⋅ 8 + 6 ⋅ 64 + 2 ⋅ 512 = 1429.
Usare un numero diverso di cifre dalle 10 cui siamo abituati
pone ovvi problemi dovuti appunto alla scarsa familiarità. Per
esempio se è facile riconoscere un numero pari nella notazione
decimale lo è molto meno con altre basi. In base 2 i numeri pari sono quelli che hanno l’ultima cifra 0, i dispari gli altri. Ma
in base 3 abbiamo: [3]10 = [10]3, [5]10 = [12]3, [7]10 = [21]3,
quindi non ci sono riconoscimenti dovuti all’ultima cifra. Se
però la base è pari, i numeri dispari si riconoscono dall’ultima
43
I perché della matematica elementare
cifra che è dispari, perché nella scrittura polinomiale, abbiamo
la somma di tutti numeri pari (dato che moltiplichiamo per un
multiplo della base pari) e l’ultima cifra deve quindi essere dispari. Infatti [57]10 = [321]4 = [233]6 = [71]8.
Vi sono poi dei numeri che hanno proprietà per così dire universali, come [121]b che è un quadrato perfetto in ogni base
maggiore di 2 perché [121]b = b2 + 2b + 1 = (b + 1)2, analogamente [1331]b è un cubo perfetto in ogni base maggiore di 3 e
così via.
Svariate sono le attività che si effettuano usando basi diverse
da 10, per esempio una è quella legata a un gioco del tipo indovina un numero pensato. Al solito farlo con la base 2 è più
semplice, ma può adattarsi benissimo alle altre. Si chiede ad
un concorrente di pensare un numero intero da 1 a 2n – 1, con
n a piacere, di solito viene usato n = 5, poi viene posta una tabella simile alla seguente, e viene chiesto di dire in quali colonne si trova il numero pensato. Per esempio se il numero
fosse stato 17 avrebbe risposto la prima e la quinta.
44
Carmelo Di Stefano
Ora 17 = 16 + 1 = 24 + 20, osseviamo che l’esponente 4 è il
precedente di 5 e l’esponente 0 il precedente di 1, cioè le
colonne in cui vi è 17. In pratica la tabella è formata scrivendo
i numeri da 1 a 31 in base 2 e ogni colonna indica il
coefficiente di 2n, dove n è il precedente del numero della
colonna. Così se si dice che un numero sta nella seconda, terza
e quinta colonna vuol dire che è il numero 2 + 22 + 24 = 2 + 4
+ 16 = 22. Ed effettivamente si verifica che solo il 22 sta nelle
colonne indicate.
Attività
1. Scrivere in base 10: [12345]6, [12345]7, [12345]8.
[1865; 3267; 5349]
2. Scrivere in base 2: [123]4, [12345]8.
[11011; 1010011100101]
3. Quanti numeri, in base 2 e in base 10 si scrivono con lo
stesso numero di cifre?
[2]
4. Quanti numeri, in base 8 e in base 10 si scrivono con lo
stesso numero di cifre?
[14]
5. Si ha [47]10 = [74]b, quanto vale b?
[Impossibile]
6. Si ha [xy]10 = [yx]13, quanto vale xy?
[43]
7. Si ha [x3]10 = [3x]b, quanto vale b?
[4, 7, 13, 16, 19, 22, 25, 28]
45
I perché della matematica elementare
Come effettuare una moltiplicazione?
Come si effettua la cosiddetta moltiplicazione in colonna? Per
esempio 73 ⋅ 348? Ecco la ben nota regola:
73 ⋅
348
584
292
219
25404
Perché ogni volta spostiamo il risultato della singola moltiplicazione di un carattere a sinistra rispetto al precedente? Lo capiamo meglio scrivendo la precedente nel seguente modo, in
cui gli spazi sono sostituiti da zeri.
73 ⋅
348
584
2920
21900
25404
La spiegazione è legata a due questioni, intanto al fatto che il
nostro sistema di numerazione è posizionale a base 10. Così 73
= 7 ⋅ 10 + 3 e 348 = 3 ⋅ 100 + 4 ⋅ 10 + 8. Pertanto la moltiplicazione può scriversi: 73 ⋅ 348 = (7 ⋅ 10 + 3) ⋅ (3 ⋅ 100 + 4 ⋅ 10
+ 8). A questo punto subentra la già citata proprietà distributiva, secondo la quale la moltiplicazione si esegue nel modo seguente: 3 ⋅ 73 ⋅ 100 + 4 ⋅ 73 ⋅ 10 + 8 ⋅ 73. E poiché ogni prodotto ha uno zero in più del precedente, invertendone l’ordine
si giustifica lo spostamento a sinistra della cifra. Ovviamente
potevamo eseguire anche nel modo seguente:
46
Carmelo Di Stefano
73 ⋅
348
219
292
584
25404
Osserviamo che questa regola è il risultato di una lunga selezione storica di altre regole simili più o meno complicate. Ancora nell’opera Summa de arithmetica, geometria, proportioni
e proportionalita di Fra Luca Pacioli del 1494, ne venivano riportate ben 8.
È curiosa invece la regola detta egizia che invece si basa su
una notazione a base 2, nonostante gli egizi non avessero una
notazione posizionale. Vediamo intanto la regola.
→1
348
2
696
4 1392
→ 8 2784
16 5568
32 11136
→ 64 22272
25404
Spieghiamo cosa abbiamo fatto. Abbiamo raddoppiato 1 fino a
fermarci alla più grande potenza di 2 che non supera 73, e contemporaneamente abbiamo raddoppiato a partire da 348.
Quindi abbiamo individuato le potenze di 2 (che abbiamo indicato con una freccia) che sommate danno 73, la somma dei
relativi multipli di 348 fornisce il risultato. La spiegazione della regola dipende dal fatto che in pratica abbiamo scritto 73 in
base 2: 73 = 1 + 8 + 64 = 1 + 23 + 26 = [1001001]2, quindi ab-
47
I perché della matematica elementare
biamo moltiplicato per 348 applicando sempre la proprietà distributiva:
73 ⋅ 348 = (1 + 8 + 64) ⋅ 348 = 1 ⋅ 348 + 8 ⋅ 348 + 64 ⋅ 348
Il metodo potrebbe usarsi per ogni tipo di base? Sì, ma si complica all’aumentare della base, perché per esempio in base 3 i
coefficienti non sono solo 0 e 1, ma anche 2, così avremo
[73]10 = 27 ⋅ 2 + 9 ⋅ 2 + 1 = [2201]3, quindi la regola diventerebbe quella di seguito mostrata.
→ 1 348 ×1 348
→
3
1044
9
3132 ×2
6264
→ 27 9396 ×2 18792
25404
Attività
1.
2.
3.
Eseguire 75 ⋅ 149 usando la regola egiziana.
Eseguire 75 ⋅ 149 usando la regola egiziana con base 3.
Trovare una regola egiziana usando la base 4.
48
Carmelo Di Stefano
I numeri decimali
L’operazione di divisione non essendo interna all’insieme dei
numeri naturali impone la nascita di un nuovo insieme, che
chiamiamo dei numeri razionali e lo indichiamo con ℚ . Esso
quindi contiene tutti i risultati delle divisioni fra due numeri
interi, il secondo dei quali non nullo.
Intanto dobbiamo stabilire come eseguire la divisione se essa
non è interna, come nel caso di 6 : 4. Dato che non esiste un
numero intero che moltiplicato per 4 dia 6, conveniamo di
continuare la divisione mettendo una virgola nel quoziente e
moltiplicando per 10 ciascun resto che si otterrà da questo
momento in poi. Così facendo la divisione di due numeri naturali m ed n può concludersi dopo un numero finito di passi, ottenendo come resto zero, oppure può entrare in un ciclo. Ciò
dipende dal fatto che, dividendo per n, tutti i resti che possono
ottenersi sono 0, 1, 2, ..., n – 2, n – 1. Quindi è evidente che o
al più dopo n passi otteniamo 0, oppure dopo al più n – 1 passi
otteniamo un resto che avevamo già ottenuto, quindi riotterremo all’infinito la successione dei resti. In quest’ultimo caso la
ripetizione dei resti può avvenire subito dopo la virgola o subito dopo un certo numero di valori decimali che non si ripetono.
Esempio 25
• Effettuando la divisione 6 : 4 = 1,5 otteniamo per resto 0
dopo appena un passo.
6 4
4 1, 5
20
20
0
• Dividendo invece 11 per 16 arriviamo al resto 0 dopo 4
passi, ottenendo 0,6875.
49
I perché della matematica elementare
11 16
0 0, 6875
110
96
140
128
120
112
80
80
0
• Dividendo 31 per 11 invece dopo due passi otteniamo un
resto che si ripete
31 11
22 2,81
90
88
20
11
9
Quindi è ovvio che da adesso in poi rifaremo le stesse operazioni, ottenendo sempre la stessa coppia 81 che si ripeterà.
Indicheremo il numero con 2,818181.. o brevemente con 2,81
• Infine dalla divisione di 73 per 6 otteniamo che la ripetizione del resto avviene non subito, ma c’è un gruppo di cifre
dopo la virgola che non si ripetono, quindi diciamo che il
risultato è 12,16666… che indichiamo brevemente con
12,16
50
Carmelo Di Stefano
73
6
72 12,16
10
6
40
36
4
È chiaro che non ci sono altre possibilità oltre quelle illustrate
nell’esempio, quindi ci sono solo tre risultati possibili, a ognuno dei quali assegniamo un diverso nome. Poniamo allora la
seguente definizione.
Definizione 9
Un numero razionale si indica con la scrittura simbolica
a1a2...an,b1b2...bmc1c2...cpc1c2...cp...., in cui ciascun simbolo indica una cifra e le cifre c1c2...cp possono essere anche tutte uguali a zero. All’interno della precedente definizione possono
accadere i seguenti fatti.
i) tutte le cifre b1b2...bm e tutte le cifre c1c2...cp sono nulle. Diciamo che il simbolo rappresenta un numero intero;
ii) non tutte le cifre b1b2...bm sono nulle e tutte le cifre c1c2...cp
sono nulle. Diciamo che il simbolo rappresenta un numero
decimale limitato;
iii) tutte le cifre b1b2...bm sono nulle e almeno una delle cifre
c1c2...cp non è nulla. Diciamo che il simbolo rappresenta un
numero periodico semplice di periodo c1c2...cp;
iv) almeno una delle cifre b1b2...bm non è nulla e almeno una
delle cifre c1c2...cp non è nulla. Diciamo che il simbolo
rappresenta un numero periodico misto di periodo
c1c2...cp e antiperiodo b1b2...bm.
In ogni caso, come visto negli esempi, il periodo lo indichiamo
51
I perché della matematica elementare
scrivendolo con una barra sopra. Quindi l’insieme dei numeri
razionali è effettivamente un ampliamento dei numeri interi,
nel senso che li contiene, verifica le loro proprietà ma ne verifica altre che quelli non soddisfano. Per esempio l’avere interna anche l’operazione di divisione, ma il fatto che ( ℚ ; +) e
( ℚ \{0}; ⋅) sono entrambi gruppi commutativi e l’operazione
di moltiplicazione è distributiva rispetto a quella di somma.
Strutture del genere si chiamano campi, quindi parliamo del
campo dei numeri razionali.
Nel seguito cercheremo di capire se vi è una regola che permetta di capire, senza svolgere la divisione, se essa avrà per
risultato un numero decimale limitato, o un periodico, semplice o misto.
Attività
Giustificare le risposte alle seguenti domande
1. La somma algebrica di un numero decimale limitato con un
numero periodico semplice è un numero di che tipo?
[Periodico misto]
2. La somma algebrica di due numeri periodici semplici può
essere un numero decimale limitato?
[Sì, se hanno lo stesso periodo]
3. Il prodotto di un numero decimale limitato con un numero
periodico semplice è un numero di che tipo?
[Periodico misto]
4. La divisione di un numero decimale limitato con un numero
periodico semplice è un numero di che tipo?
[Dipende]
52
Carmelo Di Stefano
Divisione per una frazione
Una delle regole che tutti conoscono ma della quale ben pochi
si sono chiesti la giustificazione è quella che afferma che per
dividere un numero per una frazione basta moltiplicare il numero per la frazione reciproca. Così per esempio
12
5 35
7 : = 7 ⋅ = . Vediamo di capire il perché di tale regola.
5
12 12
Cominciamo con l’osservare che ogni frazione si può esprimere nel prodotto di un numero intero per una frazione con numeratore 131, quindi basta spiegare la regola per la divisione di
1
una frazione , con n numero naturale. Supponiamo di voler
n
1
dividere 3 per . Intanto cominciamo a chiederci cosa signifi2
ca in generale dividere per un numero naturale. Per esempio si
ha: 3 : 2 = 1,5 perché 2 ⋅ 1,5 = 3. Ma allora per stabilire il ri1
sultato di 3 : = x , dobbiamo trovare un numero x che molti2
1
sia uguale a 3, ma in questo caso siamo ritornati
plicato per
2
1
al punto di partenza, il numero è 3 : , che non sappiamo cosa
2
significa. Allora ragioniamo in un altro modo, partendo da un
caso più semplice in cui il risultato è un numero intero, ossia
12 : 2 = 6. Dividere per 2 significa semplicemente dividere in
parti uguali: ho 12 caramelle e 2 bambini e a ciascuno ne do
1
quindi 6. Ma allora 12 : , vuol dire che devo dare 12 caramel2
le a mezzo bambino, perciò ovviamente un bambino otterrà il
31
Frazioni del genere di solito vengono chiamate egizie, perché nei papiri
di argomento matematico, gli antichi egizi sembravano privilegiare la
scrittura di ogni frazione come somma di frazioni con numeratore 1
53
I perché della matematica elementare
1
= 12 ⋅ 2 . È chiaro
2
1
che questo ragionamento si generalizza alla divisione 12 : ,
n
se la ennesima parte di un bambino prende 12 caramelle,
l’intero bambino dovrà prenderne n volte 12. Infine
1
12 : = 12 ⋅ n . In generale quindi, qualunque sia m avremo la
n
1
validità della seguente uguaglianza: m : = m ⋅ n . Chiaramente
n
m
1
la procedura non varia se dovessimo dividere per
= m⋅ .
n
n
doppio rispetto a mezzo bambino, cioè 12 :
54
Carmelo Di Stefano
Le potenze di esponente nullo o intero negativo
L’elevamento a potenza non è altro che una generalizzazione
della moltiplicazione, almeno quando l’esponente è un numero
naturale. Infatti per esempio 35 vuol dire 3 ⋅ 3 ⋅ 3 ⋅ 3 ⋅ 3. Ma
sappiamo, e lo abbiamo già visto, che una delle procedure più
diffuse in matematica è quella della generalizzazione, così vogliamo dare significato a scritture come 3– 5. In questo caso
ovviamente non possiamo moltiplicare 3 per se stesso (– 5)
volte, allora facciamo ricorso al principio di permanenza delle
proprietà formali, enunciato dal matematico tedesco Hermann
Hankel (1839 – 1873) nel 1867 nel suo lavoro intitolato Theorie der komplexen Zahlensysteme.
Principio di permanenza delle proprietà formali
Quando si estende un’operazione a un insieme più ampio si
deve fare in modo di mantenere la validità delle proprietà
formali che essa già verifica nell’insieme più piccolo
Quali sono le proprietà formali di cui gode l’elevamento a potenza? Essenzialmente le seguenti due:
an ⋅ am = an + m; an : am = an – m.
Prima di dare significato alle potenze con esponente intero negativo, ci è utile definire le potenze a esponente nullo.
Cosa significa per esempio 30? Tenuto conto della proprietà
delle divisione si ha:
30 = 3n − n = 3n : 3n , ∀n ∈ ℕ
Ma ovviamente 3n : 3n = 1 , quindi perché si mantengano le
proprietà formali dobbiamo dare la seguente
Definizione 10
Si ha: a 0 = 1, ∀a ∈ ℝ \ {0} .
55
I perché della matematica elementare
Osserviamo che non abbiamo dimostrato che 30 = 1, ma lo abbiamo definito.
Perché abbiamo detto che a non deve essere 0? Perché allora
0
avremmo avuto 00 = 1 ⇒ = 1 , e la seconda uguaglianza è
0
certamente falsa perché è vero che 0 ⋅ 1 = 0, ma è vero che anche 0 ⋅ n = 0, per qualsiasi altro numero n. E quindi allora do0
vrebbe essere anche 00 = = n, ∀n ∈ ℝ .
0
Torniamo adesso alle potenze ad esponente intero negativo.
1
Poiché 3– 5 = 30 : 35 = 5 , possiamo porre la seguente ulteriore
3
Definizione 11
1
Si ha: a − n = n , ∀a ∈ ℝ \ {0} , n ∈ ℕ .
a
2
In seguito vedremo che significato dare alle potenze 5 3 , 7
simili.
56
2
e
Carmelo Di Stefano
La prova del nove
Una delle regole che forse ormai non viene più insegnata nelle
scuole elementari è la cosiddetta prova del nove, che dovrebbe
servire a verificare se una certa moltiplicazione o divisione è
corretta. Ricordiamola. Supponiamo di avere eseguito la seguente moltiplicazione: 698 ⋅ 367 = 256166. La prova del nove consiste nel determinare il residuo a nove di ciascuno dei
fattori (cioè il resto della divisione del numero per nove, che
può ottenersi più semplicemente sommando fra loro le cifre e
continuando a sommarle finché non si arriva a un numero inferiore a 10, se si ottiene 9 si assegna 0). Nel nostro caso avremo
698 → 23 → 5 e 367 → 16 → 7. Adesso si moltiplicano fra
loro i residui, ottenendo 35, a cui si associa, con la stessa regola di sommarne le cifre, il residuo 8. Infine si calcola il residuo
del prodotto: se viene 8 si dice che la moltiplicazione è corretta, diversamente non lo è. In questo caso 256166 → 26 → 8.
Quindi si conclude che la moltiplicazione è corretta?
Un piccolo ragionamento ci dovrebbe convincere che la risposta è negativa, infatti qualsiasi numero si ottiene da 256166
aggiungendo cifre 0 a piacere avrà come residuo 8, per esempio 25006106000060, ma evidentemente questo non significa
che 698 ⋅ 367 = 25006106000060; con lo stesso ragionamento
non è neanche vero che 60908 ⋅ 300670 = 256166, nonostante
la prova del nove sia sempre verificata.
In effetti la prova del nove, che giustificheremo fra breve, è
solo una condizione necessaria e non sufficiente, il che significa che possiamo concludere solo che il risultato è errato se non
è verificata.
Così certamente non è vero che 698 ⋅ 367 = 256066, perché il
residuo a 9 di 256066 è 7.
Veniamo adesso a giustificare la regola. Prima però dobbiamo
osservare che vale il seguente risultato.
57
I perché della matematica elementare
Teorema 1
Dati due numeri naturali m ed n, con n ≠ 0, esistono sempre
due numeri naturali q ed r che rendono vera la seguente scritta:
m = n ⋅ q + r, con r: 0 ≤ r ≤ n – 1.
Chiariamo il risultato con un esempio.
Esempio 26
Se m =126 e n = 37, abbiamo: 126 = 37 ⋅ 3 + 15; quindi q = 3 e
r = 15. Nel caso in cui m = 12 e n = 43, abbiamo: 12 = 43 ⋅ 0 +
12; quindi q = 0 e r = 12.
Ora cerchiamo di giustificare la prova del nove, lavorando sul
caso numerico particolare già visto.
Esempio 27
Grazie al Teorema 1 possiamo scrivere
698 = 77 ⋅ 9 + 5 e 367 = 40 ⋅ 9 + 7
Moltiplichiamo adesso i due numeri fra di loro ottenendo
698 ⋅ 367 = (77 ⋅ 9 + 5) ⋅ (40 ⋅ 9 + 7) =
= (77 ⋅ 40 ⋅ 9 + 77 ⋅ 7 + 5 ⋅ 40) ⋅ 9 + 35
Cioè abbiamo scritto anche il prodotto nella forma 9m + r, in
cui però r = 35 > 9, quindi dobbiamo togliere tutti i multipli di
9 che esso contiene, scrivendo 35 = 27 + 8. Infine avremo:
698 ⋅ 367 = (77 ⋅ 40 ⋅ 9 + 77 ⋅ 7 + 5 ⋅ 40 + 3) ⋅ 9 + 8
che significa che la divisione del prodotto per 9 ha resto 8. E
questo 8 si ottiene dal residuo del prodotto dei residui dei singoli fattori (che è 35). Ovviamente questa regola è valida nono
solo per 9 ma quale che sia il numero scelto, per esempio 13.
In questo caso avremmo avuto
698 ⋅ 367 = (53 ⋅ 13 + 9) ⋅ (28 ⋅ 13 + 3) =
= (53 ⋅ 28 ⋅ 13 + 53 ⋅ 28 + 9 ⋅ 28) ⋅ 13 + 27 =
= (53 ⋅ 28 ⋅ 13 + 53 ⋅ 28 + 9 ⋅ 28) ⋅ 13 + 26 + 1 =
= (53 ⋅ 28 ⋅ 13 + 53 ⋅ 28 + 9 ⋅ 28 + 2) ⋅ 13 + 1
58
Carmelo Di Stefano
Ed effettivamente 9 ⋅ 3 = 26 + 1, cioè il prodotto dei residui a
13 dei fattori è il residuo a 13 del prodotto.
Quindi in effetti possiamo parlare anche della regola del 13 o
del 67 o del 136, perché quindi scegliamo 9? Per il semplice
fatto che trovare il resto della divisione per 9 è facilitato, basta
infatti sommare fra loro le cifre del numero, cosa che non vale
per tutti gli altri numeri32.
Attività
1. La prova del nove vale anche per verificare le somme? Giustificare la risposta.
[Sì]
2. Usando la prova del 9 verificare la falsità delle operazioni
seguenti: 12345 ⋅ 6789 = 83800205; 536474196 : 12345 =
6799.
3. Verificare che il prodotto 13579 ⋅ 2468 = 33512972 passa la
prova del 7, dell’11 e del 13.
32
In base 10 vale per tutte le potenze di 3
59
I perché della matematica elementare
Divisibilità dei numeri naturali e numeri primi
Ricordando la definizione di somma e di prodotto vista negli
Assiomi di Peano, consideriamo quelle somme ottenute ripetendo più volte lo stesso addendo: a + a + ...+ a, che possiamo
scrivere nel modo seguente a + a +...+ a = n ⋅ a . In questo mon
do definiamo il concetto di multiplo di un numero naturale a,
precisamente diciamo che un numero naturale a è multiplo di
un numero naturale b, se esiste un terzo naturale c tale che sia
a = b ⋅ c.
È facile capire che i multipli di un numero naturale sono infiniti e che 0 è multiplo di qualsiasi numero, infatti 0 = a ⋅ 0 per
tutti i numeri a. Ora il problema di ottenere un multiplo di un
numero a secondo un dato fattore n è molto semplice; come
spesso accade è invece molto più complicato il viceversa, cioè
determinare se un dato numero b è multiplo di un altro dato
numero a. In particolare risulta interessante, dato un numero a,
stabilire di quali altri numeri interi esso è multiplo. La prima
considerazione che può farsi è che i numeri di cui a può essere
multiplo sono, in valore assoluto, non maggiori di a. Un altro
fatto interessante da notare è che nel momento in cui troviamo
che a = b ⋅ c, abbiamo trovato che a è multiplo di b ma anche
di c, cioè i numeri di cui a è multiplo li troviamo a coppie. Allora definiamo un altro concetto
Definizione 12
Se a è un multiplo del numero b, quest’ultimo numero si
chiama divisore di a e diciamo che a è divisibile per b e che b
divide a.
Come si fa a determinare quanti e quali sono i divisori di un
numero naturale? Vedremo in seguito di trovare una formula
che ci permetta di calcolare quanti divisori ha un numero senza
60
Carmelo Di Stefano
trovarli uno per uno. Per il momento invece procediamo in
modo elementare.
Esempio 28
Se volessimo determinare i divisori del numero 24, dovremmo
cercare di scomporlo come prodotto di altri due numeri. La più
semplice di queste coppie è ovviamente 24 = 1 ⋅ 24, ciò vuol
dire che 1 e 24 sono entrambi divisori di 24. Poi abbiamo anche: 24 = 2 ⋅ 12 = 3 ⋅ 8 = 4 ⋅ 6. A questo punto ci possiamo
fermare perché dovremmo avere osservato che le coppie che
abbiamo ottenuto verificano un’interessante proprietà: ordinando i numeri dal più piccolo al più grande, vediamo che il
primo fattore aumenta mentre il secondo diminuisce. Ma allora
a questo punto vi è una sola verifica da effettuare e cioè vedere
se 5 è divisore di 24, ma ciò non accade. Ritrovare la coppia
24 = 6 ⋅ 4 è inutile perché nella moltiplicazione l’ordine non
conta. Possiamo perciò concludere che i divisori di 24 sono i
seguenti: 1, 2, 3, 4, 6, 8, 12, 24. Sono quindi 8.
Da quanto abbiamo detto potremmo avere la falsa impressione
che il numero di divisori di un numero naturale sia sempre un
numero pari. Ciò non è sempre vero, per esempio i divisori di
4 sono tre: 1, 2 e 4. Così come i divisori di 9, che sono 1, 3 e 9.
Cosa hanno di particolare i numeri naturali che hanno un numero dispari di divisori? Intanto chiediamoci cosa deve accadere affinché ciò succeda. La risposta è che una coppia debba
essere formata da numeri uguali, come succede infatti per i
numeri citati: 4 = 2 ⋅ 2 e 9 = 3 ⋅ 3. Pertanto la proprietà è valida
solo per i numeri che sono quadrati perfetti, come 16, 25 e via
dicendo.
Un’altra cosa che possiamo osservare è che ogni numero ha
certamente almeno due divisori: l’unità ed il numero stesso.
Allora distinguiamo quei numeri che hanno solo due divisori,
chiamandoli numeri primi. Esempi sono 2, 3, 5, 7, 11, …
61
I perché della matematica elementare
Non è facile stabilire, in generale, se un dato numero è o no
primo. È però vero che di numeri primi ve ne sono quanti ne
vogliamo. Ciò è stabilito da un teorema che fu enunciato e dimostrato da Euclide, la cui dimostrazione rimane uno dei più
bei esempi di eleganza nell’intero campo delle discipline matematiche.
Teorema 2 (di Euclide)
Esistono infiniti numeri primi.
Prima di dimostrarlo, mostriamo il ragionamento su un caso
particolare. Supponiamo che esso non sia vero, quindi che i
numeri primi siano un numero finito, per esempio essi siano
solo quelli che abbiamo detto prima, cioè 2, 3, 5, 7 e 11. Costruiamo con essi un nuovo numero:
n = 2 ⋅ 3 ⋅ 5 ⋅ 7 ⋅ 11 + 1 = 2311
che tipo di numero è questo? Non dovrebbe essere primo, perché abbiamo detto che i primi sono solo i cinque precedenti.
Ma allora se non è un numero primo deve essere divisibile per
almeno uno di quei cinque numeri. Ma ciò non è vero, infatti
grazie al teorema 1, dato che 2311 = 2 ⋅ 3 ⋅ 5 ⋅ 7 ⋅ 11 + 1, vuol
dire che
2311 = 2⋅1155+1 = 3⋅770+1 = 5⋅462+1 = 7⋅330+1 = 11⋅210+1
Dato che il resto delle divisioni è sempre 1, 2311 non è divisibile per nessuno dei 5 numeri primi. Ciò contrasta con l’ipotesi
che vi fossero solo 5 numeri primi, in effetti 2311 è un sesto
numero primo. Questo fatto che abbiamo considerato per 5
numeri si può generalizzare a quanti numeri si voglia e si ha
sempre lo stesso risultato: o il numero ottenuto moltiplicando
tutti i numeri primi fra loro e aggiungendovi 1 è primo (e perciò è un primo in più rispetto a quelli considerati finiti) o è divisibile per un numero primo che non è fra quelli ipotizzati
come unici. Per esempio se avessimo considerato anche 13
come numero primo, il numero
p = 2 ⋅ 3 ⋅ 5 ⋅ 7 ⋅ 11 ⋅ 13 + 1 = 30031
62
Carmelo Di Stefano
non è primo, ma è prodotto di due fattori, uno almeno dei quali
è un numero primo diverso da quelli ipotizzati come unici. In
effetti 30031 = 59 ⋅ 509, che sono entrambi due numeri primi
diversi dai 6 ipotizzati.
Adesso possiamo presentare la dimostrazione formale del Teorema di Euclide.
Abbiamo detto che si ragiona per assurdo, cioè si suppone che
esistono solo i seguenti numeri primi: p1, p2, p3, ... , ph. Allora
il numero n = p1 ⋅ p2 ⋅ p3 ⋅ ... ⋅ ph + 1, non è divisibile per nessuno dei detti numeri primi, dato che la divisione del numero n
per uno qualsiasi dei numeri pi ha per resto 1. Quindi o il numero n è a sua volta un numero primo o è divisibile per un
numero primo diverso dai pi. Ciò è appunto assurdo. Quindi i
numeri primi sono infiniti.
Attività
1.
2.
3.
Mostrare che 3 ⋅ 5 ⋅ 7 ⋅ 11 + 1 e 3 ⋅ 5 ⋅ 7 ⋅ 11 ⋅ 13 + 1, sono
primi o sono divisibili per numeri primi diversi da quelli
contenuti nei prodotti.
Mostrare che 2 ⋅ 3 ⋅ 5 ⋅ 7 ⋅ 11 – 1 e 2 ⋅ 3 ⋅ 5 ⋅ 7 ⋅ 11 ⋅ 13 – 1,
sono primi o sono divisibili per numeri primi diversi da
quelli contenuti nei prodotti.
Trovare quali dei numeri 2 ⋅ 3 ⋅ 5 ⋅ ... ⋅ ph + 1 e 2 ⋅ 3 ⋅ 5 ⋅ ... ⋅
ph – 1, in cui i prodotti sono formati da massimo 10 primi
consecutivi, sono entrambi primi.
[(5; 7), (29; 31) (2309; 2311)]]
63
I perché della matematica elementare
La distribuzione dei numeri primi
Nonostante i numeri primi siano infiniti la loro distribuzione
non segue una legge “regolare”, per esempio nei numeri da 1 a
10 vi sono ben 4 numeri primi (2, 3, 5, 7), lo stesso accade nei
numeri da 11 a 20 (11, 13, 17, 19), mentre nei numeri da 21 a
30 essi divengono solo 2 (23, 29). Nei primi 100 interi vi sono
25 numeri primi. Nei numeri da 200 a 300 ve ne sono 21. Da
300 a 400 ve ne sono 16. Andando di questo passo fino a 1000
troviamo in ogni centinaio 16, 17, 14, 16, 14, 15 e 14 numeri
primi. Utilizzando un consueto procedimento induttivo potrebbe congetturarsi che al limite, ogni cento numeri interi ve
ne saranno 14 o 15 che sono primi. Tutto falso, infatti considerando per esempio i numeri da 10000000 a 10000100 di numeri primi ve ne sono solo 2. Ma vi è di più. Consideriamo
l’intervallo dei numeri che vanno dal numero immenso33
10000000! + 2 a 10000000! + 10000000, esso contiene ben
9999999 numeri interi, nessuno dei quali è un numero primo!
Infatti il generico numero 10000000! + n (con 2 < n ≤
10000000) ha certamente come uno dei suoi fattori il numero
n, dato che esso è il prodotto dei primi 10000000 naturali aumentato di n. Per esempio
10000000! + 47 = 1 ⋅ 2 ⋅ …⋅ 46 ⋅ 47 ⋅ 48 ⋅ … 10000000 + 47 =
= 47 ⋅ (1 ⋅ 2 ⋅ … ⋅ 46 ⋅ 48 ⋅… 10000000 + 1).
Visto che la matematica spesso “generalizza”, riusciamo a trovare intervalli di ampiezza “grande” a piacere in cui non vi è
neanche un numero primo. Basta considerare tutti i numeri appartenenti all’intervallo [n! + 2; n! + n], assegnando ad n il valore desiderato.
33
Il simbolo n! indica il cosiddetto fattoriale, cioè il prodotto dei primi n
numeri naturali, così per esempio 7! = 1 ⋅ 2 ⋅ 3 ⋅ 4 ⋅ 5 ⋅ 6 ⋅ 7. Poiché questi
numeri sono molto grandi anche per n relativamente piccoli, per esempio
70! ha più di 100 cifre, si usa il punto esclamativo che indica appunto lo
stupore per un fatto del genere.
64
Carmelo Di Stefano
Un’altra induzione sbagliata ci porterebbe a dire che
all’aumentare di n i numeri primi tendono a sparire, ma ciò è
in contrasto con il teorema di Euclide.
In effetti Karl Friedrich Gauss34 pensò di valutare piuttosto che
la quantità di numeri primi in un dato intervallo o più in generale di numeri primi minori di un dato numero, il rapporto fra
tale quantità ed il totale degli elementi. Cioè, indicando con
π(n) il numero dei primi minori di un dato numero intero n,
π (n)
Gauss pensò di valutare il rapporto
. Così facendo ottenn
ne delle tabelle simili a questa che qui presentiamo.
n
π(n)
π (n)
103
168
0,168
104
1229
0,1229
105
9592
0,09592
106
78498
0,078498
n
108
109
107
107
n
664579
5761455
50847478
664579
π(n)
π ( n ) 0,0664579 0,05761455 0,050847478 0,0664579
n
Qui la sensazione che la successione
π (n)
si avvicini a un
n
certo valore, all’aumentare di n, o come si dice in modo più
proprio sia convergente, è più netta, anche se non appare ancora il valore a cui essa sembra avvicinarsi. Gauss però notò che
i valori ottenuti erano “abbastanza” vicini a quelli della suc1
. Aggiungiamo allora una quarta colonna alla
cessione:
ln ( n )
precedente tabella in cui inseriamo i valori della detta succes34
Uno dei più grandi matematici e scienziati di tutti i tempi, tedesco, nacque nel 1777 e morì nel 1855.
65
I perché della matematica elementare
sione approssimati allo stesso numero di cifre dei valori della
terza colonna. Nella quinta colonna tabuliamo le differenze fra
i valori della terza e quarta colonna, che ci danno l’errore, con
quattro cifre decimali, che si commette considerando il valore
π (n)
1
di
come approssimazione di quello di
.
ln ( n )
n
n
π(n)
π (n)
n
1
ln ( n )
π (n)
n
1
ln ( n )
104
1229
0,1229
105
106
9592
78498
0,09592 0,078498
0,144
0,1085
0,08685 0,072382
0,0240
0,0144
0,0090
n
π(n)
π (n)
107
108
109
664579
5761455
50847478
0,0664579 0,05761455 0,050847478
n
1
ln ( n )
0,0620420 0,05428681 0,048254942
π (n)
n
−
103
168
0,168
−
1
ln ( n )
0,0041
0,0033
0,0061
0,0025
Notiamo che in effetti la tabella fornisce un ottimo punto di
partenza per avvalorare la congettura di Gauss. Questo fatto fu
però provato in modo rigoroso e completo solo parecchi anni
dopo la sua formulazione, da Jacques Hadamard (1865–1963)
a Parigi e da Charles Jean Gustave Nicolas de la Vallée Poussin (1866–1962), indipendentemente da quello, a Lovanio nello stesso anno 1896.
66
Carmelo Di Stefano
Il crivello di Eratostene
Un altro sogno dei matematici è stato quello di determinare
una formula che potesse generare tutti i numeri primi. Ciò si è
rivelato di una difficoltà enorme, tanto è che ancora ai giorni
nostri uno degli algoritmi più efficaci (anche se la sua efficienza diminuisce per numeri molto “grandi”) per determinare tutti
i numeri primi è il cosiddetto crivello di Eratostene. Esso è dovuto ad un matematico greco nato a Cirene nel 276 a.C. e morto nel 194 a.C., che fu a capo della famosa biblioteca di Alessandria e che è noto anche per aver determinato con buona approssimazione la misura del raggio terrestre. È anche conosciuto come colui a cui Archimede dedicò Il metodo, opera
minore di in cui questi descrisse il suo metodo di scoperta di
molte formule per il calcolo dei volumi di alcuni corpi rotondi.
Il metodo di Eratostene per la determinazione dei numeri primi, consiste in una vera e propria “decimazione” dei numeri,
eliminando i numeri composti, ecco perché si chiama crivello35. Esso parte dall’osservazione elementare che se n è un
numero primo m ⋅ n è sempre un numero composto per ogni m
numero intero maggiore di 1. Quindi, partendo dal numero 2
che risulta il primo numero primo, cominciamo ad eliminare
tutti i numeri che si trovano nelle posizioni 4, 6, 8, e via dicendo perché tutti divisibili per 2. Il primo numero non eliminato
dopo questo procedimento, in questo caso il 3, deve essere
primo, perché poteva essere divisibile solo per 2; allora adesso
si eliminano tutti i numeri che occupano le posizioni 3, 6, 9,
ecc., perché divisibili per 3. Naturalmente ci troveremo ad eliminare anche numeri già esclusi in precedenza come il numero 6. Ancora una volta il primo numero non eliminato successivo al 3, cioè il 5, è primo, perché non divisibile né per 2 e né
per 3. Elimineremo dunque ogni numero che occupa le posi35
Per chi non lo sapesse il crivello è un setaccio, utilizzato anche in cucina
per nettare per esempio la farina, togliendo eventuali impurità, che più
grosse di ciò che si vuole conservare, rimangono nella rete del crivello
67
I perché della matematica elementare
zioni 5, 10, 15 e via dicendo. L’algoritmo è certamente efficace, ma poco efficiente, poiché per determinare per esempio i
25 numeri primi contenuti nei numeri da 1 a 100 dobbiamo effettuare ben 146 fra eliminazioni e controlli, dato che ad ogni
passo successivo al primo ci troveremo ad eliminare o comunque a controllare se gli elementi sono stati già eliminati nei
passi precedenti. La giustificazione di questo fatto è raccolta
nella seguente tabella in cui consideriamo quante eliminazioni
o controlli dobbiamo effettuare per determinare ciascuno dei
25 numeri primi. Per comodità indichiamo con d(n) i numeri
minori o uguali a 100 divisibili per n, n escluso.
n
d(n)
n
d(n)
2
49
23
3
3
32
29
2
5
19
31
2
7
13
37
1
11
18
41
1
13
6
43
1
17
4
47
1
19
4
Notiamo che è inutile considerare i numeri primi successivi a
47, poiché il loro doppio è già superiore a 100. Osserviamo
che in effetti possiamo arrestare prima il nostro procedimento
di selezione, precisamente possiamo fermarci al numero 7. Infatti l’ultimo numero composto che andremo a cancellare sarà
77 = 7 ⋅ 11, a questo punto possiamo affermare con certezza
che non vi saranno più numeri composti da cancellare. Controllando infatti la tabella precedente vediamo appunto che tutti i numeri che dovremmo cancellare sono multipli di numeri
primi sui quali abbiamo già provveduto alla eliminazione. In
tal modo il numero di eliminazioni e controlli si riduce a 113,
che è comunque un valore ugualmente elevato relativamente
alla cardinalità (100) dell’insieme considerato, ed al fatto che
di numeri dobbiamo eliminarne solo 74 (il numero 1 non va
eliminato, anche se non è primo).
Come si vede il crivello di Eratostene è un metodo che in linea
teorica funziona, ma per valori molto elevati può dare diversi
problemi.
68
Carmelo Di Stefano
Se invece volessimo stabilire se un dato numero naturale n è o
no primo, applicando la definizione dovremmo operare (n – 1)
divisioni e nell’ipotesi in cui nessuna di queste sia “esatta” (ha
cioè resto zero), concluderemmo che n è primo. In effetti, tenendo conto di quanto abbiamo già detto sui divisori di un
numero, ossia che essi sono presenti sempre a coppie, potremmo limitare i controlli solo per i numeri fino a  n  + 1 36.
Così se dovessimo stabilire se il numero 293 è o no primo (in
effetti lo è), verificato che fino alla divisione di 293 per
 293  + 1 = 16 + 1 = 17 non abbiamo ottenuto alcun resto


nullo, concludiamo che 293 è primo. Ciò dipende dal fatto che,
se esistessero divisori di 293 superiori a 17 essi dovrebbero
avere associato un divisore inferiore a 17, che quindi avremmo
già dovuto trovare. Con questa osservazione abbiamo ridotto il
numero dei controlli da n – 1 a  n  + 1 , che per valori di n
elevati è un bel risparmio. Si pensi che per verificare che 4999
è un numero primo, con questa osservazione dobbiamo effettuare solo  4999  + 1 = 70 + 1 = 71 controlli invece di 4998.
Per valori di n molto grandi il vantaggio è irrilevante, infatti
per verificare se un numero con 20 cifre, cioè dell’ordine di
1019, è o no primo dobbiamo fare, nell’ipotesi in cui il numero
sia primo, circa 1010 controlli che sono un numero considerevole anche per i velocissimi processori attuali. Dobbiamo
quindi determinare dei metodi “migliori”.
Ne presentiamo uno dovuto al matematico che forse più degli
altri ha contribuito allo sviluppo della teoria dei numeri: Pierre
36
Il simbolo   indica il cosiddetto pavimento o floor di un numero intero, cioè il più grande intero contenuto in n. Per esempio  2, 74  = 2 ,
questo perché in generale
n non è un numero intero.
69
I perché della matematica elementare
Fermat37 (1601 – 1665), il principe dei dilettanti come lo ha
battezzato lo storico Eric Temple Bell. Tale metodo fu illustrato in una lettera all’abate Marin Mersenne (anche lui figura
molto importante nello sviluppo della teoria dei numeri), scritta probabilmente nel 1643. Esso si basa su un fatto molto semplice, cioè sulla scomposizione dei polinomi in fattori. Infatti,
se un polinomio in una o più indeterminate, è scomponibile in
fattori è evidente che il numero che esso rappresenta, sostituendo alle sue incognite dati valori è anch’esso un numero
composto, tranne che il polinomio sia scomponibile nel prodotto di due soli fattori, uno dei quali con le sostituzioni risulta
uguale ad 1. Vediamo un esempio.
Esempio 29
Consideriamo il polinomio x2 – 5x + 6. È facile vedere che esso può scomporsi nel prodotto dei due fattori di primo grado:
(x – 2) ⋅ (x – 3). Sostituendo ad x valori interi superiori a 3 otteniamo sempre numeri naturali, essi risultano composti per
ogni valore, tranne che per 4. Infatti per quest’ultimo valore
otteniamo 42 – 5 ⋅ 4 + 6 = (4 – 2) ⋅ (4 – 3) = 2 ⋅ 1 = 2. In tutti
gli altri casi entrambi i fattori sono diversi da 1, quindi il numero che il polinomio rappresenta è composto.
Il problema è quindi quello di scrivere un dato numero in una
forma polinomiale. Il modo più semplice è quello di esprimere
il numero mediante la sua espressione decimale. Cioè per esempio per vedere se il numero 319 è o no primo gli associamo il polinomio 3x2 + x + 9 e vediamo se esso è o no irriducibile. Se lo è per ogni valore di x allora lo è anche per x = 10. Il
37
Non fu un matematico di professione bensì un uomo di legge, ma si interessò moltissimo di matematica, che illustrò in scambi epistolari con
l’abate Mersenne e con altri importanti personaggi della sua epoca, quali
Pascal e Descartes. Durante la vita non pubblicò mai nulla, ma propose e
risolse importantissimi problemi.
70
Carmelo Di Stefano
problema non è però così semplice. Infatti se il polinomio è irriducibile in Z non significa che tutti i numeri interi che esso
rappresenta siano primi per qualsiasi valore assegnato alla x.
In effetti il polinomio 3x2 + x + 9 non è riducibile in Z , addirittura è irriducibile in R , dato che il suo discriminante è negativo. Ciononostante 319 = 11 ⋅ 29. Anche il polinomio x2 + 1
è irriducibile in R , eppure esso rappresenta numeri pari
(quindi composti) per ogni valore dispari sostituito alla x. Ed
anche per valori pari, come per esempio x = 8, esso rappresenta numeri composti (65).
Fermat pensò di considerare invece un altro prodotto notevole:
la cosiddetta differenza di quadrati, infatti se riuscissimo a
provare che il numero in questione si può scrivere come differenza di due quadrati potremmo ottenere facilmente una sua
fattorizzazione (in generale non di numeri primi). Ma ciò è
sempre possibile? Supponiamo che sia n = a ⋅ b, allora possiamo verificare facilmente che la seguente è una identità:
2
2
 a − b
 a + b a − b  a + b a − b  a + b
+
n = a ⋅b = 
−

 −
 =
 ⋅
 2 
 2
2   2
2   2 
Nel caso in cui il numero è primo, la precedente identità diviene la seguente:
2
2
 n + 1 n − 1  n + 1 n − 1  n + 1
 n − 1
n = 1⋅ n = 
−
 ⋅
+
 =
 −

 2
 2 
2   2
2   2 
n +1 n −1
=
+ 1 , possiamo dire che ogni
Notiamo che poiché
2
2
numero può esprimersi come differenza dei quadrati di due
numeri consecutivi; anzi nel caso dei numeri primi questa è
l'unica maniera per esprimerli come differenza di due quadrati.
Pertanto abbiamo trovato una condizione necessaria e sufficiente per determinare se un numero è o no primo ed in caso
negativo per trovare una sua fattorizzazione. Il problema è
quindi quello di vedere, dato un numero naturale, se esso è esprimibile come differenza di quadrati in un solo modo (nel
71
I perché della matematica elementare
qual caso il numero è primo) o in più di un modo. Vediamo un
esempio.
Esempio 30
Lavoriamo sul numero 423877. Cerchiamo il massimo numero
naturale il cui quadrato è minore di 423877. Abbiamo che
6512 = 423801 < 423877 < 425104 = 6522.
Adesso effettuiamo la differenza fra 6522 ed il numero dato,
ottenendo 425104 – 423877 = 1227. Se tale valore fosse un
quadrato perfetto (in effetti non lo è), avremmo finito, diversamente passiamo a considerare la differenza del dato numero
dal quadrato successivo a 652. Otteniamo: 6532 – 423877 =
2532 che ancora non è un quadrato perfetto, continueremo
questo procedimento, finché troveremo una differenza che sia
quadrato perfetto. Nel nostro caso troviamo abbastanza presto
che 6592 – 423877= 10404 = (10000 + 400 + 4) = 1022, cioè:
423877 = 6592 – 1022 = (659 – 102) ⋅ (659 + 102) = 557 ⋅ 761,
quindi il numero non è primo.
Osserviamo che con il metodo precedente non abbiamo bisogno di verificare che tutte le differenze ottenute siano quadrati
perfetti, ciò in virtù del fatto che le possibili cifre delle unità
dei quadrati perfetti, possono essere solo 0, 1, 4, 5, 6, 9. E ciò
perché i quadrati delle 10 cifre finiscono solo con una delle
dette cifre. Quindi delle 8 differenze di questo esempio ne
dobbiamo verificare solo tre (3839 = 6542 – 423877; 6459 =
6562 – 423877 e 10404). Anzi proprio per quanto detto potremo evitare di sviluppare certi quadrati; in particolare essendo 7
l'ultima cifra del numero in questione la differenza fra la cifra
u delle unità di un quadrato e 7 fornirà un "potenziale" quadrato solo se u∈{1, 6}, quindi prenderemo in considerazione solo
quei numeri la cui cifra delle unità appartiene all'insieme {1, 4,
6, 9}.
Abbiamo prima notato che il procedimento avrà sempre una
sua fine e siamo anzi in grado di stabilire il numero massimo
di differenze che dobbiamo costruire per verificare se un nu72
Carmelo Di Stefano
mero è primo, ovvero per trovare una sua fattorizzazione. San −1  
−  n  − 2 . Infatti la prima differenza sarà:
ranno:
2
(
)
2
 n  + 1 − n e l'ultima, se n è primo, sarà appunto:
 
2
 n − 1
 − n . Quindi il precedente è sì un test di primalità ma

 2 
di scarsa applicazione per numeri molto grandi. Per stabilire
per esempio che il numero di Mersenne38 2521 – 1 (che ha 157
cifre39) è primo debbono calcolarsi circa (10157 – 1079) ≈ 10157
differenze. Per inciso il precedente numero viene calcolato con
tutte le sue cifre esatte in meno di un secondo e viene verificata la sua primalità in 0,4 secondi dal pacchetto Maple 17 su
un sistema con processore AMD 2,70 Ghz e 4 Mb di Ram, che
attualmente è abbastanza modesto.
Vediamo invece un'applicazione su un numero più piccolo,
come 2423. Tenuto conto di quanto già detto sulle cifre delle
unità, stavolta considereremo solo le differenze au2 – 2423 con
u∈{2, 3, 7, 8}; costruiremo quindi: 522 – 2423; 532 – 2423;
572 – 2423; 582 – 2423; 622 – 2423; ...; 12112 – 2423 = 12122,
così l'unica espressione di 2423 come differenza di quadrati
sarà: 2423 = 12122 – 12112. Quindi 2423 è primo.
Attività
1. Usando il criterio di Fermat mostrare che 12923 è un numero primo, mentre 1234567 non lo è.
38
39
I numeri di Mersenne sono del tipo 2p – 1, con p numero primo. Si pensa
che siano infiniti, ma il problema è ancora aperto e, nonostante i calcolatori elettronici ne sono stati trovati meno di 50
Si ha 2521 = (210) 52 ⋅2 > (1030) 52 ⋅2 = 10156
73
I perché della matematica elementare
Alcuni problemi sui numeri primi
Dopo le enormi difficoltà di cui abbiamo parlato per la determinazione di formule che generassero solo numeri primi, i matematici abbassarono il tiro. Pensarono cioè di cercare almeno
delle formule che generassero se non tutti i numeri primi, solo
numeri primi. Il grande matematico svizzero Eulero (1707 –
1783) pensò di avere ottenuto il risultato nel 1772 e lo pubblicò sui Nouveau Mémoires de l'Académie régal des Sciences,
proponendo l'espressione x2 + x + 41. Infatti, se sostituiamo al
posto di x i numeri da 0 a 8, otteniamo la seguente tabella:
n
n2 + n + 41
0
41
1
43
2
47
3
53
4
61
5
71
6
83
7
97
8
123
Notiamo che tutti i numeri ottenuti sono primi. Questo potrebbe suggerirci di enunciare il seguente fatto: Se n è un numero
intero positivo allora l'espressione n2 + n + 41 rappresenta
sempre un numero primo. In effetti, anche continuando questo
procedimento fino a n = 40, continuiamo a trovare sempre
numeri primi, anzi tutti distinti fra di loro. Ciononostante un
attento lettore dovrebbe concludere che tale espressione non
può generare solo numeri primi, poiché sostituendo alla n il
numero 41 o un suo multiplo otterremmo un numero certamente divisibile per 41. Infatti 412 + 41 + 41= 41 ⋅ 43 = 1763.
Ciò ovviamente è vero per ogni espressione polinomiale di
termine noto diverso da ± 1. Per esempio l’espressione seguente: 3n5 – 7n3 + 4n2 – 5, non rappresenta un numero primo certamente per n = 5, dato che
3 ⋅ 55 – 7 ⋅ 53 + 4 ⋅ 52 – 5 = 5 ⋅ (3 ⋅ 54 – 7 ⋅ 52 + 4 ⋅ 5 – 1)
Quindi affinché si possa trovare una espressione polinomiale
che generi solo numeri primi essa deve avere termine noto uguale ad 1 o a – 1. In realtà mostreremo un risultato più generale.
74
Carmelo Di Stefano
Teorema 3
Nessuna espressione polinomiale può generare solo numeri
primi.
Prima di considerare la dimostrazione generale, abbiamo bisogno di un altro risultato.
Teorema 4
Se a è multiplo di n e a + b è multiplo di n¸ allora b è multiplo
di n.
Dimostrazione
Dire che a è multiplo di n vuol dire che esiste un numero c per
il quale si ha: a = c ⋅ n; quindi analogamente esiste un numero
p per il quale si ha: a + b = p ⋅ n, ma allora b = (a + b) – b = p ⋅
n – c ⋅ n = n ⋅ (p – c), cioè la tesi.
Possiamo dimostrare adesso il Teorema 3, ma poiché può essere complicato da capire con termini simbolici, ne premettiamo
un caso con termini numerici. Prendiamo in considerazione
proprio p(n) = n2 + n + 41.
Esempio 31
Calcoliamo p(5) = 25 + 5 + 41 = 71. Facciamo vedere adesso
che p(5 + 71m) è sempre divisibile per 71. Si ha
p(5 + 71m) = (5 + 71m)2 + p(5 + 71m) + 41.
Piuttosto che lavorare direttamente sulla precedente espressione, consideriamo
p(5 + 71m) – p(5) = (5 + 71m)2 +(5+71m) + 41 – (25 +5+ 41)=
= [25 + 712m2 + 710m – 25] + (5 + 71m – 5) + 41 – 41 =
= 71m⋅(71m+10)+71m = 71m⋅(71m+10+ 1) = 71m⋅ (71m +11).
Cioè la differenza è divisibile per 71, ma abbiamo già visto
che anche p(5) è divisibile per 71, quindi per il Teorema 4 anche p(5 + 71m) deve esserlo. Anzi
p(5 + 71m) = p(5) + 71m ⋅ (71m + 11) = 71 + 71m ⋅ (71m + 11)
= 71 ⋅ (71m2 + 11m + 1).
75
I perché della matematica elementare
Verifichiamolo per m = 2. Si ha:
p(5+142)=1472+147+41=21797= 71⋅307 = 71⋅(71⋅22+11⋅2+1).
Adesso possiamo dimostrare il teorema.
Supponiamo che il polinomio p(x) = a0 + a1x + a2x2 + ... + anxn
generi solo numeri primi quale che sia il valore intero assegnato alla sua variabile x. Supponiamo per esempio che
p(h) = a0 + a1h + a2h2 + ... + an hn = k
sia un numero primo. Consideriamo adesso il valore di p calcolato in h + mk :
p(h + mk) = a0 + a1(h + mk) + a2(h + mk)2 + ... + an(h + mk)n
Noi diciamo che tale numero non è primo ma è divisibile per
k. Infatti consideriamo
p(h+mk) – p(h) = a1(h+mk–h)+a2[(h + mk)2 – h2] + ... + an– hn].
Dentro le parentesi quadre abbiamo differenze fra una potenza
di un binomio e una potenza di un monomio, tutte e due con lo
stesso esponente. Piuttosto che sviluppare le potenze dei binomi, ottenendo espressioni lunghe e complesse, osserviamo
che sviluppando(h + mk)p, quale che sia p numero naturale,
tutti i termini contengono una potenza di mk tranne il primo
che è una potenza “pura” di h. Osserviamo però che tale potenza va ad elidersi con il corrispondente termine, posto
all’interno della stessa parentesi quadra, che possiede p(h).
Quindi il polinomio differenza è divisibile per mk. Per il teorema 4 poiché p(h) è divisibile per k anche p(h + mk) deve esserlo.
Soprattutto nel XVIII secolo sono state ottenute altre espressioni che generano “molti” numeri primi, come n2 + n + 17 che
li genera per ogni n da 0 a 15, o n2 – 79n + 1601 che fornisce
numeri primi per ogni n da 0 a 79. Successivamente però è stato provato che l’espressione di Eulero: n2 + n + 41 è quella
che genera il maggior numero di primi distinti, infatti
nell’espressione n2 – 79n + 1601, vi sono diversi numeri che si
ripetono.
76
Carmelo Di Stefano
Nel 1967, H.M. Stork ha pubblicato sul Michican Mathematical Journal il seguente risultato.
Teorema 5
Nessun polinomio x 2 + x + a , con a > 41 rappresenta numeri
primi per a – 1 valori di x.
Visti i risultati del teorema 3, si è perciò pensato di ricorrere a
formule non polinomiali. Già Fermat nel ‘600 aveva proposto
n
la formula Fn = 2 2 + 1 40. Egli espresse la sua opinione in una
lettera a Frénicle del 1640, basandosi sul fatto che la formula
forniva valori corretti fino ad n = 4, come testimoniato dalla
tabella seguente. Potrebbe obiettarsi che quattro valori erano
pochi per avvalorare una tale congettura, non deve però dimenticarsi che il successivo valore è 4294967297, un numero
molto elevato da trattare senza calcolatrici o senza particolari
virtù calcolistiche. Fu infatti il grande Leonhard Euler a scoprire nel 1739 che il detto numero era scomponibile nel prodotto di 641 e 6700417.
n
Fn = 2
2n
+1
1
5
2
17
3
257
4
65537
Successivamente, con metodi più raffinati e con l’utilizzo della
calcolatrice e dei programmi di matematica simbolica, i quali
utilizzano tests molto raffinati e complicati, sono stati fattorizzati molti altri numeri di Fermat. Allo stato attuale non si sono
trovati numeri di Fermat primi per valori di n successivi a 4 e
con molta difficoltà si sono riusciti a fattorizzare alcuni dei
successivi.
40
Gauss dimostrò che gli unici poligoni regolari costruibili con riga e
compasso hanno n = 2h ⋅ F1 ⋅ F2 ⋅ … ⋅ Fk in cui Fk indica un numero di
Fermat primo.
77
I perché della matematica elementare
Numeri la cui espressione è molto simile a quelli di Fermat
sono quelli cosiddetti di Mersenne. Essi sono i numeri del tipo
Mn = 2n – 1. Il loro nome è dovuto al fatto che l’abate Mersenne, di cui abbiamo già parlato, pur non essendo il primo ad interessarsi di questi numeri, nel suo libro Cogita physico–
mathematica del 1644, enunciò diverse congetture relativamente a tali numeri. Vediamo di costruire una tavola di alcuni
di tali valori. Tralasciando M0 = 0, abbiamo le seguenti fattorizzazioni.
n
Mn
Stato
2
3
3
7
Primo Primo
4
5
6
7
8
15
31
63
127
255
3⋅5 Primo 32⋅7 Primo 3⋅5⋅17
Una prima cosa che si nota è che se n è pari e maggiore di 2, si
ottengono numeri composti. In effetti ciò è vero ed è semplice
da dimostrare. Vale cioè il seguente risultato.
Teorema 6
Mn è composto per ogni n composto.
Dimostrazione
Sia infatti n = a ⋅ b. Abbiamo allora 2n –1 = 2a⋅b – 1 = 2a⋅b – 1b=
= (2a – 1) ⋅ (2a ⋅ (b – 1) + 2a ⋅ (b – 2) + 2a ⋅ (b – 3) + ... + 2a + 1).
Per capire meglio la precedente dimostrazione vediamo un esempio numerico.
Esempio 32
Si ha: 224 – 1 = 23⋅8 – 1 = (28)3 – 13 = (28 – 1) ⋅ (22⋅8 + 28 + 1).
Ma anche 224 – 1 = (23)8 – 18 = (23⋅4 – 1) ⋅ (23⋅4 + 1).
Quindi i numeri di Mersenne possono essere primi solo se n è
un numero primo. Nella tabella precedente si nota che in effetti tutti gli Mn sono primi se n è primo. La questione è: è sempre vero? No, dato che M23 = 8388607 = 47 ⋅ 178481. Lo stes-
78
Carmelo Di Stefano
so Mersenne congetturò che, considerati gli esponenti primi
minori o uguali a 257, tali numeri sono primi solo per i seguenti valori: 2, 3, 5, 7, 13, 17, 19, 31, 67, 127 e 257. Questa
congettura si è rivelata falsa, dato che M67 e M257 non sono
primi, mentre lo sono M61 (trovato da Pervouchine nel 1883),
M89 e M107 (verificati da Powers nel 1911 e nel 1914). Per curiosità M31 fu trovato da Eulero nel 1750 e M127 da un altro
grande personaggio della teoria dei numeri: Edouard Lucas,
nel 1876. In tempi recenti, con i computer sono stati trovati altri numeri primi di Mersenne per valori di n superiori a 257. Il
primo di questi è M521, che è un numero di 157 cifre ed è stato
trovato da Robinson nel 1952. Questo stesso matematico,
sempre nel 1952 ha provato che sono primi M607 che ha 183
cifre, M1279 che ha 386 cifre, M2203 che ha 664 cifre e M2281
che ha 687 cifre. Nel 2013, un computer dell'UCLA (University of California, Los Angeles) ha scoperto il 45-mo primo di
Mersenne, 243112609 – 1, un numero che ha 12978189 cifre e
qualche mese dopo Hans-Michael Elvenich il 46-mo, un numero da 11185272 cifre: 237156667 – 1. Per chi volesse avere altre informazioni su tali numeri e sullo stato delle ricerche attorno ad essi può consultare il sito internet:
http://www.moregimps.it/mersenne/prime-it.htm.
Rimangono ancora congetture i seguenti fatti: Vi sono infiniti
primi di Mersenne? Vi sono infiniti composti di Mersenne?
Altri problemi interessanti, sia come curiosità che anche come
spunti di lavoro sono i seguenti.
In una lettera datata 7 giugno 1742, Christian Goldbach
(1690–1764) scrisse a Leonhard Euler, che gli era capitato di
notare che prendendo un numero pari questo poteva scriversi
sempre come somma di due numeri primi. Goldbach e dopo di
lui molti altri hanno verificato che questo è vero per tutti i numeri pari fino a mille, ad un milione ad un miliardo e con
l’avvento dei moderni e velocissimi computer anche a valori
molto più grandi. Però fino ad oggi nessuno è riuscito a dimostrare la verità o falsità di questa affermazione, che quindi fino
a tale data rimane una congettura. Sottolineiamo il fatto che
79
I perché della matematica elementare
l’aver verificato per un numero sempre maggiore di casi la
congettura di Goldbach, ha solo aumentato la probabilità che
essa sia vera. Se però un giorno qualcuno riuscisse a provare
che essa è vera, per il principio di non contraddizione non si
potrà mai dimostrare che essa è falsa. Se ciò dovesse accadere
vuol dire che una delle due dimostrazioni (o anche tutte due) è
sbagliata. Per il principio del terzo escluso però essa deve certamente essere vera o falsa. Un’altra interessante congettura di
Goldbach è che ogni numero dispari non primo possa esprimersi come somma di 3 numeri primi. Anzi la seconda congettura è una conseguenza della prima. Infatti se avessimo dimostrato che ogni numero pari è esprimibile come somma di due
primi, consideriamo un numero dispari, per esempio 2n + 1.
Possiamo scrivere 2n + 1= 3 + 2 ⋅ (n – 2), essendo il secondo
addendo pari, per la presunta validità della congettura di Goldbach possiamo scrivere 2n + 1 = 3 + p1 + p2, con p1 e p2 numeri primi.
Infine un altro problema aperto è quello della infinità dei cosiddetti numeri primi gemelli.
Definizione 13
Due numeri primi p1 e p2 con |p1 – p2| = 2. si dicono primi gemelli.
Esempi di numeri primi gemelli sono le coppie (3, 5), (5, 7),
(11, 13), (17, 19). Nel 2014 è stata trovata la coppia 7475 ·
21228307 ± 1 , ciascun numero ha 369762 cifre. Attualmente è la
più grande coppia di numeri primi gemelli Per aggiornamenti e
ulteriori
informazioni
si
rimanda
al
sito
http://primes.utm.edu/bios/page.php?id=949.
80
Carmelo Di Stefano
Attività
1.
Utilizzare la dimostrazione del teorema 3 per provare che
n2 + n + 17 e n2 – 79n + 1601 non possono generare solo
numeri primi.
2. Utilizzando un software CAS tabulare n2 + n + 41, n2 + n
+ 17 e n2 – 79n + 1601 per un centinaio di valori, facendosi scrivere solo i valori per cui essi forniscono numeri
primi.
3. Utilizzando il metodo di fattorizzazione di Fermat, fattorizzare F5.
4. Utilizzando il metodo di fattorizzazione di Fermat, stabilire quali fra i numeri di Mersenne, con n numero primo inferiore a 100 sono primi.
5. Verificare la congettura di Goldbach per tutti i numeri pari
fino a 50.
6. Notiamo che alcuni numeri sono esprimibili anche in due
modi diversi come somme di due numeri primi. Trovare
tutti i numeri pari minori di 100 che verificano
quest’ultima proprietà.
7. Cercare il primo numero pari esprimibile in tre modi diversi come somma di due numeri primi.
[22]
8. Cercare il primo numero pari esprimibile in quattro modi
diversi come somma di due numeri primi.
[34]
9. Cercare fra i primi 100 numeri naturali tutti quelli esprimibili come somma di tre numeri primi.
10. Determinare tutte le coppie di numeri primi gemelli minori di 1000.
81
I perché della matematica elementare
La scomposizione di un numero in fattori primi
Dato che i numeri primi appaiono così importanti ed interessanti, pensiamo di utilizzarli nella scomposizione di un numero, cioè nella scrittura di un numero come prodotto di numeri
non maggiori di esso. Abbiamo visto infatti che ogni numero
non primo (composto) si può esprimere in più di un modo come prodotto di due o più fattori. Se però imponiamo che i fattori siano tutti potenze di numeri primi otteniamo un importantissimo risultato, noto come teorema fondamentale
dell’aritmetica.
Teorema 7
Ogni numero intero può scomporsi in un solo modo come prodotto di potenze di fattori primi.
Premettiamo sempre un esempio.
Esempio 33
Consideriamo il numero 5649105. Esso è divisibile per 3 e si
ha: 5649105 = 3 ⋅ 1883035. Il secondo fattore non è primo ma
divisibile per 5: 5649105 = 3 ⋅ 5 ⋅ 376607. Ora o 376607 è
primo oppure è scomponibile nel prodotto di due primi. Si potrebbe obiettare che il procedimento potrebbe non finire mai,
ma ciò ovviamente non è possibile perché ogni volta il fattore
ottenuto è inferiore al precedente, quindi dato che N è un insieme bene ordinato (cioè ogni suo sottoinsieme ha minimo),
deve arrestarsi arrivando a un minimo numero primo.
Adesso ripetiamo il discorso in generale, ottenendo la dimostrazione.
Proviamo intanto che ogni numero intero può scomporsi come
prodotto di numeri primi, poi proveremo che tale scomposizione è unica. Sia un numero composto n. Dato che esso non è
primo potrà scriversi come prodotto di almeno due numeri en-
82
Carmelo Di Stefano
trambi diversi da 1 e da n. Supponiamo che sia n = a ⋅ b, con
a < n e b < n. Se a e b sono entrambi primi abbiamo finito, diversamente ripetiamo il procedimento su a e b o comunque su
uno dei due che non è primo. Così otteniamo per esempio
a = c ⋅ d e b = e⋅ f, con c < a < n, d < a < n, e < b < n, f < b < n.
Abbiamo così a = c ⋅ d ⋅ e ⋅ f, ancora una volta se tutti i fattori
sono primi abbiamo finito, diversamente ripetiamo il procedimento precedente sui numeri che non sono primi. Questo procedimento deve però concludersi perché ad ogni passo troviamo numeri naturali sempre minori, quindi otterremo il prodotto n = q1 ⋅ q2 ⋅ q3 ⋅ ... ⋅ qh, in questa espressione alcuni o tutti i
simboli possono rappresentare numeri uguali, applicando
quindi le proprietà sulle potenze aventi uguale base, scriveremo n = p1a1 ⋅ p2a2 ⋅ ... ⋅ pkak , in cui tutte le basi rappresentano numeri diversi. Proviamo adesso l’unicità del teorema. Supponiamo
che
esistano
due
diverse
scomposizioni:
ak
bm
a1
a2
b1
b2
n = p1 ⋅ p2 ⋅ ... ⋅ pk = q1 ⋅ q2 ⋅ ... ⋅ qm . Poiché ognuno dei numeri primi indicati con pi divide n deve dividere qualcuno dei qj,
ma poiché entrambi sono numeri primi ciò significa che si ha
pi = qj. Cioè i fattori primi sono gli stessi, quindi entrambe le
espressioni contengono le stesse basi. Si potrebbe pensare che
possano essere diversi gli esponenti di basi uguali, ma ciò non
è possibile. Infatti se per esempio p1 compare con potenza 3 al
primo membro e con potenza 4 al secondo, eliminando il fattore comune p13 da entrambi i membri ci troveremmo ad avere al
secondo membro il fattore p1, che però manca al primo membro. Fatto assurdo.
Una conseguenza del teorema fondamentale dell’aritmetica è
che 1 non può essere primo, perché se lo fosse non vi sarebbe
più l’unicità della fattorizzazione, infatti per esempio avremmo
12 = 1 ⋅ 22 ⋅ 3, ma anche 12 = 124 ⋅ 22 ⋅ 3 e 12 = 1n ⋅ 22 ⋅ 3, con
n un qualsiasi numero naturale. E tutte le fattorizzazioni sarebbero diverse perché 1 contiene diversi esponenti.
83
I perché della matematica elementare
Concludiamo considerando un bell’esempio di matematica ricreativa che applica il teorema 7.
Esempio 34
Il seguente è una variazione di un quesito proposto
all’Università di Stanford negli Stati Uniti, dove si sono tenuti
per molti anni delle famose gare matematiche.
Due amiche Alessia e Beatrice si incontrano dopo tanto tempo.
Alessia chiede a Beatrice se ha figli e quanti anni hanno ciascuno di essi. Beatrice risponde dicendo che ha tre figli, i numeri che esprimono le loro età moltiplicati fra loro hanno un
prodotto di 36 e la somma di tali numeri corrisponde al numero civico della porta davanti la quale sono ferme a parlare. Alessia dice che, pur essendo brava in matematica, non riesce a
determinare le tre età, allora Beatrice aggiunge dicendo che il
maggiore dei suoi figli ha gli occhi azzurri. Si vuole sapere
quanti anni hanno i bambini.
Il problema sembra molto complicato e soprattutto l’ultima affermazione sembra priva di senso, vedremo invece che è effettivamente importantissima. Infatti la prima informazione ci dice che i figli possono avere una delle seguenti tre terne di età:
(1, 1, 36), (1, 2, 18), (1, 2, 12), (1, 4, 9), (2, 2, 9), (1, 6, 6),
(2, 3, 6), (3, 3, 4). Dato che esse sono le uniche terne il cui
prodotto fornisce 36. Se le sommiamo otteniamo sempre risultati diversi, tranne nei casi 2 + 2 + 9 = 1+ 6 + 6 = 13. Dato che
Alessia ha detto di non riuscire a determinare le età dei tre ragazzi esse devono essere ferme davanti ad una abitazione posta al numero 13. La terza informazione svela l’inghippo, dato
che la mamma parla di un maggiore, i due gemelli che vi sono
fra i tre figli non possono comprendere il primogenito, come
accadrebbe nel caso (1, 6, 6). Quindi i bambini hanno 9, 2 e 2
anni.
Il precedente esempio è molto interessante per diversi motivi.
Intanto perché mette in gioco delle informazioni apparentemente prive di senso: gli occhi azzurri del figlio maggiore (in
84
Carmelo Di Stefano
effetti la vera informazione è che vi è un figlio maggiore, ma
essa è sviata sul colore degli occhi, informazione effettivamente ininfluente). Poi perché è una applicazione che riesce a stimolare la curiosità dello studente.
Attività
1.
2.
3.
Quali sono i numeri che hanno una sola fattorizzazione,
anche non in numeri primi?
[I numeri primi]
Quali sono i numeri che hanno due sole fattorizzazioni?
[I quadrati dei numeri primi]
Risolvere il problema degli “occhi azzurri” nella sua versione originaria, ossia con il prodotto delle età pari a 72
anni.
[3; 3; 8]
85
I perché della matematica elementare
Massimo comun divisore minimo comune multiplo
Consideriamo adesso un’altra questione. Siano n ed m due
numeri interi. Ciascuno di essi ha un certo numero di divisori,
che inseriamo nei due insiemi Dn e Dm. Consideriamo adesso
l’insieme I = Dn ∩ Dm. Intanto osserviamo che I contiene certamente almeno il numero 1, quindi non è l’insieme vuoto. Inoltre I non può contenere più elementi di quanti ne contiene il
più piccolo dei due insiemi di divisori. Infine il maggiore degli
elementi di I non può essere superiore al minimo fra gli elementi massimi di Dn e Dm. Ciò significa che I contiene un elemento massimo. Poniamo allora la seguente definizione.
Definizione 14
Dati due numeri interi n ed m, diciamo loro massimo comune
divisore il più grande dei divisori a essi comune.
Un metodo per determinare il MCD di due numeri è quello di
scomporre i numeri in fattori primi ed applicare la ben nota regola: determinare fattori comuni con il minore esponente. Infatti il prendere fattori comuni fa sì che prendiamo solo i divisori primi comuni ai due numeri, il fatto che il loro esponente
sia il minore fa sì che i divisori comuni siano i più grandi possibile.
Esempio 35
Determinare MCD(4752, 4536).
Abbiamo 4752 = 24 ⋅ 33 ⋅ 11, 4536 = 23 ⋅ 34 ⋅ 7. Quindi
MCD(4752, 4536) = 23 ⋅ 33 = 8⋅27 = 216.
Un metodo più antico di questo, esposto da Euclide nei suoi
Elementi è descritto nel seguente esempio.
86
Carmelo Di Stefano
Esempio 36
Determinare MCD(4224, 5040). Consideriamo la divisione di
5040 per 4224 Si ha: 5040 = 4224 + 816. Adesso dividiamo
4224 per 816, ottenendo: 4224 = 816 ⋅ 5 + 144; continuiamo a
dividere il divisore per il resto, ottenendo: 816 = 144 ⋅ 5 + 96,
144 = 96 + 48, 96 = 48 ⋅ 2. Adesso scriviamo tutte queste disuguaglianze una di seguito all’altra.
5040 = 4224 + 816 = (816 ⋅ 5 + 144) + 816 = 816 ⋅ 6 + 144 =
= (144 ⋅ 5 + 96) ⋅ 6 + 144 = 144 ⋅ 30 + 96 ⋅ 6 + 144 =
=144 ⋅ 31 + 96 ⋅ 6 = (96 + 48) ⋅ 31 + 96 ⋅ 6 =
= 96 ⋅ 31 + 48 ⋅ 31 + 96 ⋅ 6 = 96 ⋅ 37 + 48 ⋅ 31 =
= 48 ⋅ 2 ⋅ 37 + 48 ⋅ 31 = 48 ⋅ 105.
Se le scriviamo a partire dalla seconda invece otteniamo:
816 = 144 ⋅ 5 + 96 = (96 + 48) ⋅ 5 + 96 = 96 ⋅ 5 + 48 ⋅ 5 + 96 =
= 96 ⋅ 6 + 48 ⋅ 5 = 48 ⋅ 2 ⋅ 6 + 48 ⋅ 5 = 48 ⋅ 17.
Quindi MCD(4224, 5040) = MCD(48 ⋅ 17, 48 ⋅ 105) = 48.
In pratica l’algoritmo di Euclide consiste nell’effettuare le divisioni successive dei primi due numeri e poi in successione di
ogni divisore ottenuto per il relativo resto, finché non si ottiene
resto zero. L’ultimo resto non nullo è il massimo comun divisore. Vediamo di provare rigorosamente questo risultato.
Algoritmo di Euclide
Siano m ed n i numeri di cui vogliamo determinare il loro
MCD. Sia per esempio m > n. Si ha: m = q1 ⋅ n + r1, con r1 < n.
Se r1 = 0, m è multiplo di n che è perciò il MCD cercato. Se
invece r1 ≠ 0, scriviamo n = q2 ⋅ r1 + r2, con r2 < r1. Se r2 = 0,
vuol dire che n è multiplo di r1, ma anche m lo è, infatti si ha:
m = q1 ⋅ n + r1 = q1 ⋅ q2 ⋅ r1 + r1 = (q1 ⋅ q2 + 1) ⋅ r1. Non solo, ma
r1 è anche il MCD, dato che m non è divisibile per q2. Questo
procedimento può continuarsi fino ad un certo punto, dato che
ad ogni passo il resto ottenuto è un numero positivo inferiore
al resto precedente, quindi ad un certo momento deve divenire
zero.
87
I perché della matematica elementare
Esempio 37
Vediamo di risolvere un problema utilizzando i concetti appena introdotti. Supponiamo di avere tre forme di grana che pesano 52, 68 e 76 chilogrammi, poiché in tal modo esse sono
difficilmente commercializzabili, si vogliono dividere in pezzi
più piccoli, ma tutti di uguale peso. Quanto deve pesare ciascuno dei pezzi in chili interi se il loro numero totale deve essere il più piccolo possibile? Se scomponiamo i numeri dei tre
pesi abbiamo: 52 = 22 ⋅ 13, 68 = 22 ⋅ 17, 76 = 22 ⋅ 19. Poiché
vogliamo dividere le forme in parti tutti uguali e senza spreco
è evidente che andiamo a cercare un divisore comune ai tre
numeri, poiché inoltre vogliamo ottenere il minor numero possibile di pezzi dobbiamo cercare il loro massimo comune divisore, che è 4. Quindi suddividiamo le tre forme in (52 + 68 +
76) : 4 = 196 : 4 = 49 pezzi da 4 Kg. ciascuno.
Poiché risulterà interessante nel seguito stabiliamo il seguente
concetto.
Definizione 15
Due numeri naturali m ed n si diranno coprimi o primi fra di
loro se MCD(m, n) = 1.
Introduciamo adesso un altro concetto del tutto simile al MCD.
Definizione 16
Dati due numeri naturali m ed n, consideriamo gli insiemi Mn e
Mm dei loro multipli. Diciamo minimo comune multiplo di m
ed n il minimo elemento dell’insieme Mn ∩ Mm.
La precedente definizione ha senso. Infatti, gli insiemi Mn e
Mm sono chiaramente infiniti, e pure infinito è il loro insieme
intersezione. Tale insieme è però un sottoinsieme di N , quindi
ammette minimo, dato che N è bene ordinato.
Per la determinazione del mcm di due numeri può applicarsi la
88
Carmelo Di Stefano
ben nota regola: determinare i fattori comuni e non comuni
con il maggiore esponente. Infatti, debbono considerarsi tutti i
fattori primi di entrambi i numeri, per essere sicuri che il loro
prodotto contenga tutti i fattori di entrambi i numeri. Il fatto di
prendere i maggiori esponenti fa sì che si considerino degli effettivi multipli di m ed n.
Vediamo anche in questo caso un’applicazione a un problema.
Esempio 38
Tre navi il primo gennaio partono da Ajaccio per andare a
Bruxelles dove effettuano un nuovo carico. Lo stesso giorno di
arrivo ripartono per Ajaccio dove scaricano ed ancora lo stesso
giorno di arrivo ripartono per Bruxelles. Continuano questo
andirivieni per tutto l’anno. Sapendo che la prima nave compie
un tragitto di andata e ritorno in 12 giorni, la seconda in 16
giorni e la terza in 20, fra quanti giorni ripartiranno da Ajaccio
lo stesso giorno? Per risolvere il problema dobbiamo determinare un numero che rappresenta i giorni in cui le navi si rincontreranno, che perciò deve essere multiplo di 11, 16 e 20.
Poiché vogliamo sapere quando sarà la prossima volta, calcoleremo il mcm(12, 16, 20) = 240.
Vale anche il seguente interessante risultato.
Teorema 8
Dati due numeri naturali m ed n, vale la seguente uguaglianza:
MCD(m, n) ⋅ mcm(m, n) = m ⋅ n.
Esempio 39
Si ha: MCD(4224, 5040) = MCD(48 ⋅ 17, 48 ⋅ 105) = 48,
quindi mcm(4224, 5040) = 48 ⋅ 17 ⋅ 105. E in effetti, come afferma il Teorema 8, 48 ⋅ (48 ⋅ 17 ⋅ 105) = 4224 ⋅ 5040. Diciamo che l’utilità del teorema è più quella di trovare il MCD conoscendo il mcm o viceversa. Cioè scrivere:
89
I perché della matematica elementare
mcm ( 4224,5040 ) =
4224 ⋅ 5040
4224 ⋅ 5040
=
= 443520 .
MCD ( 4224,5040 )
48
Si potrebbe pensare che il Teorema 8 possa essere facilmente
generalizzato per più di due numeri. È cioè vero che per esempio MCD(m, n, p) ⋅ mcm(m, n, p) = m ⋅ n ⋅ p?
Esempio 40
MCD(2, 3, 5) = 1, mcm(2, 3, 5) = 30, quindi effettivamente
MCD(2, 3, 5) ⋅ mcm(2, 3, 5) = 2 ⋅ 3 ⋅ 5.
Però MCD(2, 3, 4) = 1, mcm(2, 3, 4) = 12, e MCD(2, 3, 4) ⋅
mcm(2, 3, 4) = 12 ≠ 2 ⋅ 3 ⋅ 4 = 24.
L’esempio precedente dice che la generalizzazione proposta è
errata. Nel prossimo capitolo vedremo il modo giusto di ottenerla.
Attività
1. Con l’algoritmo euclideo determinare il MCD dei seguenti
gruppi di numeri: (12345, 23456); (123321, 234432);
(102132, 213243).
[1; 1221; 3]
2. Dal piazzale antistante la stazione di Smallville, alle 7:30 di
ogni giorno feriale partono 3 autobus diretti alle tre scuole
della cittadina. A causa delle diverse distanze gli autobus
hanno una periodicità diversa. In particolare la successiva
corsa parte, rispettivamente ogni 8, 10 e 12 minuti. Vogliamo sapere quando sarà la prossima volta in cui gli autobus partiranno insieme?
[24]
3. Brenda ha comprato 24 praline al cioccolato, 32 torroncini
e 20 caramelle per fare delle confezioni contenenti lo stesso
numero di dolci, sia per tipo che in totale. Quante confezioni può fare mettendo in ognuno il massimo numero di dolci
di ogni tipo? Quanti dolci di ciascun tipo vi saranno in ogni
confezione?
[5; 4]
90
Carmelo Di Stefano
Il principio di inclusione-esclusione
Riprendiamo la questione della generalizzazione a più di due
numeri della regola che lega MCD e mcm. Abbiamo visto che
essa vale per MCD(2, 3, 5) ⋅ mcm(2, 3, 5) = 2 ⋅ 3 ⋅ 5, mentre
non vale per MCD(2, 3, 4) ⋅ mcm(2, 3, 4) ≠ 2 ⋅ 3 ⋅ 4. Qual è la
differenza fra i due casi? Che l’MCD è 1. Allora possiamo
considerare un caso più debole.
Teorema 9
Dati n numeri naturali m1, m2 ed mn, il cui MCD è 1, vale la
seguente uguaglianza:
MCD(m1, m2, …, mn)⋅ mcm(m1, m2, …, mn) = m1 ⋅ m2 ⋅ … ⋅ mn.
Dimostrazione
Ovvia, poiché, essendo i numeri tutti a due a due coprimi, evidentemente mcm(m1, m2, …, mn) = m1 ⋅ m2 ⋅ … ⋅ mn.
Qual è invece il risultato più generale? Partiamo da una questione relativa alla teoria degli insiemi, allorché si vogliono
“contare” gli elementi dell’unione di due o più insiemi. Nel
caso più semplice, l’unione di 2 insiemi, poiché in generale gli
insiemi hanno elementi in comune, non possiamo dire che
A ∪ B = A + B 41. Per esempio se A = {1,2,3} e B = {2,4,6},
si ha A ∪ B = {1, 2, 3, 4, 6} che ha 5 elementi e non 3 + 3.
Questo perché l’unione di insieme considera una sola volta gli
elementi comuni, pertanto la relazione corretta è invece:
A∪ B = A + B − A∩ B .
Se gli insiemi diventano tre la situazione si complica ulteriormente, perché in generale la situazione è quella mostrata in figura seguente.
41
Con il simbolo
A indichiamo la cosiddetta cardinalità dell’insieme A,
che quando esso è finito significa il numero di elementi che contiene.
91
I perché della matematica elementare
Quindi per calcolare A ∪ B ∪ C , dobbiamo includere gli elementi dei tre insiemi, ma escludere quelli che essi hanno in
comune, cioè penseremmo di scrivere la seguente uguaglianza:
A ∪ B ∪ C = A + B + C − A ∩ B − A ∩ C − B ∩ C , ma in
questo modo abbiamo escluso troppo, perché mentre prima di
escludere le intersezioni a due a due avevamo contato per 3
volte A ∩ B ∩ C , adesso non lo stiamo contando per niente.
Quindi in generale si ha:
A∪ B ∪C = A + B + C − A∩ B − A∩C − B ∩C + A∩ B ∩C .
Esempio 41
Se A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 3, 5, 6}, C = {4, 5, 6, 7}, allora
A ∪ B ∪ C = {1, 2, 3, 4, 5, 6, 7}, mentre A ∩ B = {2, 5},
A ∩ C = {4, 5}, B ∩ C = {5, 6} e A ∩ B ∩ C = {5}. Così
A + B + C − A∩ B − A∩C − B ∩C = 4 + 4 + 4 − 2 − 2 − 2 = 6
Aumentando il numero di insiemi, aumenta la difficoltà a rappresentarli con i diagrammi di Eulero-Venn, ma non è difficile
convincersi che vale una legge algebrica generale che consiste
nell’includere gli elementi di tutti i singoli insiemi, escludere
quelli di tutte le intersezioni a due a due, includere quelli delle
intersezioni a tre a tre, escludere quelli delle intersezioni a
92
Carmelo Di Stefano
quattro a quattro, e così via.
Enunciamolo in forma più compatta
Principio di inclusione-esclusione
Per determinare la cardinalità dell’unione di n insiemi, bisogna
includere gli elementi delle intersezioni con un numero dispari
di insiemi ed escludere quelle con un numero pari.
Il principio ha applicazioni in molti rami della matematica, ma
che interesse ha per il nostro problema su MCD e mcm? Da
cosa nasce la regola per il calcolo del mcm di 2 numeri? Dal
fatto che se moltiplichiamo fra loro i numeri, nel prodotto otteniamo 2 volte la "parte" comune, pertanto dobbiamo eliminarla una volta. Questa "parte" corrisponde al MCD, ecco perché dividiamo per essa. Interpretiamo il tutto in termini di elementi di insiemi, per calcolare per esempio mcm (12, 20),
consideriamo gli insiemi dei divisori dei due numeri, cioè
A = {1, 2, 3, 4, 6, 12} e B = {1, 2, 4, 5, 10, 20}. Ovviamente
A ∩ B = {1, 2, 4} ha il massimo elemento che è MCD(12, 20).
Pertanto per trovare il mcm (12, 20), dobbiamo includere il
massimo di A (12) e quello di B (20) e poi escludere il massimo della parte contata 2 volte, ossia il MCD(12, 20). In
quest’ordine di idee cerchiamo un procedimento analogo per il
calcolo del mcm di 3 o più numeri.
Notiamo che dire che MCD = 1, è lo stesso che dire che gli insiemi sono fra loro disgiunti e così riotteniamo il Teorema 9.
Esempio 42
Vogliamo trovare mcm(12, 20, 30}, quindi consideriamo la fi-
gura seguente
in cui nei tre insiemi ab93
I perché della matematica elementare
biamo inserito i divisori dei tre numeri. Per ottenere il minimo
comune multiplo, dobbiamo includere il prodotto 12 ⋅ 20 ⋅ 30
dei tre numeri, quindi escludere i divisori comuni a due a due,
cioè dividere per MCD(12, 20) ⋅ MCD (12, 30) ⋅MCD (20,30),
dobbiamo infine includere i divisori comuni ai tre numeri, cioè
MCD(12, 20, 30).
Adesso possiamo enunciare il risultato cercato.
Teorema 10
Dati n numeri naturali m1, m2, … mn, il loro mcm è dato dal
rapporto fra il prodotto di tutti i possibili MCD dei numeri presi a gruppi dispari e il prodotto di tutti i possibili MCD dei
numeri presi a gruppi pari.
Esempio 43
3
Si ha: mcm(12,18,20,28) =
3
5
12 ⋅ 18 ⋅ 20 ⋅ 28⋅ 2⋅ 2⋅ 4⋅ 2
=1260 . Infatti:
6 ⋅ 4 ⋅ 4 ⋅ 2 ⋅ 2⋅ 4 ⋅ 2
MCD(12,18,20)=2; MCD(12, 18, 28)=2; MCD(12, 20, 28)= 4;
MCD(18, 20, 28) = 4; MCD(12, 18) = 6; MCD(12, 20) = 4;
MCD(12, 28) = 4; MCD(18, 20) = 2; MCD(18, 28) = 2;
MCD(20, 28) = 4; MCD(12, 18, 20, 28) = 2.
Attività
1.
2.
3.
Scrivere la regola per calcolare A ∪ B ∪ C ∪ D , applicandola agli insiemi dei multipli di 4, dei multipli di 6, dei
multipli di 10 e dei multipli di 14, tutti inferiori a 100.
Usando il Teorema 10, calcolare mcm(210, 1430, 3315).
[510510]
Usando il Teorema 10, calcolare mcm(10, 12, 15, 18).
[180]
94
Carmelo Di Stefano
Equazioni indeterminate
L’algoritmo di Euclide per la determinazione del MCD di due
numeri ha interessanti applicazioni. Uno degli argomenti per
così dire “stabili” delle scuole secondarie superiori è quello
delle equazioni polinomiali in una incognita, quasi sempre solo di I e II grado, e dei problemi che con esse possono risolversi. In particolare quando le incognite sono più di una si ricorre
alla risoluzione di sistemi di equazioni che hanno tante incognite quante equazioni. La ricerca della soluzione unica viene
vista come unico problema degno di essere affrontato. In effetti nei problemi per così dire pratici, la soluzione unica non esiste. Molti problemi hanno più di una soluzione, per cui il compito del risolutore è quello di andare a determinare la soluzione
“migliore”, dove il precedente aggettivo dipende dagli scopi
che intendono perpetrarsi. Nel senso che può cercarsi la soluzione minima, o quella che verifica una data proprietà. In effetti nella storia delle matematiche, soprattutto in certi periodi,
è stato profuso un notevole impegno anche nella risoluzione
delle equazioni cosiddette indeterminate. Molti di questi tipi di
problemi si trovano in opere indiane (per esempio il Lilavati 42
di Bhaskara scritto nel XII secolo, o il Ganita–Sara–Sangraha
scritto da Mahaviracarya nel IX secolo).
Vediamo un esempio di un problema enunciato e risolto, senza
alcuna giustificazione, da Alcuino di York (735–804), che fu il
tutore di Carlo Magno:
42
A proposito di quest’opera vi è un curioso aneddoto, si dice che il suo
autore l’avesse scritto per confortare una delle sue figlie. Infatti egli aveva molta fiducia nella numerologia, pertanto aveva programmato nei minimi particolari il matrimonio della figlia, non solo nella scelta dello sposo, ma anche del luogo e dell’ora in cui doveva avvenire. Purtroppo
l’orologio ad acqua che doveva stabilire l’esatto momento del matrimonio, si inceppò. Quando ci si accorse del fatto era troppo tardi, le congiunzioni astrali che avrebbero garantito l’eterna felicità del matrimonio
erano svanite, quindi svanì anche il matrimonio.
95
I perché della matematica elementare
Si distribuiscono 100 covoni di grano fra 100 persone, in modo che ogni uomo ne riceva 3, ogni donna 2 ed ogni bambino
mezzo. Si vuol sapere quanti sono gli uomini, quante le donne
e quanti i bambini.
Alcuino fornisce la risposta senza spiegare come fa: 11 uomini, 15 donne e 74 bambini. Una semplice verifica ci convince
della correttezza del risultato, infatti: 11 ⋅ 3 + 15 ⋅ 2 + 74 ⋅ ½ =
= 33 + 30 + 37 = 100. Se però andiamo ad impostare le equazioni risolventi, u + d + b = 100 e 3u + 2d + ½ b = 100, ci accorgiamo di avere una condizione in meno di quelle necessarie
affinché possiamo dire che la soluzione, se c’è, è unica.
Vediamo come possiamo affrontare in modo rigoroso problemi del genere.
Esempio 44
Il seguente problema è tratto dal Ganita–Sara–Sangraha.
Vi erano 63 mucchi di datteri, ciascuno contenente lo stesso
numero di frutti e 7 frutti isolati. Tutti i datteri furono divisi
esattamente fra 23 marinai. Quanti frutti vi erano in ogni mucchio?
Molto semplicemente si imposta la seguente equazione risolvente: 63n + 7 = 23m, in cui n è il numero dei datteri in ogni
mucchio, m è il numero di datteri che toccò a ciascun marinaio. Dalla precedente uguaglianza ricaviamo m, ottenendo
23m − 7
così: n =
. È evidente che il numeratore deve essere
63
un multiplo del denominatore e poiché esso si esprime come
differenza di due numeri, uno dei quali è 7, ciò significa che m
deve essere multiplo di 7, diciamo per esempio m = 7h. Riscriviamo
quindi
l’uguaglianza nel
modo
seguente:
23 ⋅ 7 h − 7 7 ⋅ (23h − 1) 23h − 1
n=
=
=
. Possiamo allora dire
63
7 ⋅9
9
che 23h –1 deve essere un multiplo di 9, cioè 23h diviso per 9
deve avere per resto 1. Ossia 23h = 9k + 1 che può anche scri-
96
Carmelo Di Stefano
versi 18h + 5h = 9k + 1 o anche 9 ⋅ (k – 2h) = 5h –1. Quindi
dobbiamo trovare qualche valore di h compreso tra 0 e 8 per
cui 5h – 1 è multiplo di 9. Basta provare i diversi valori, tro23 ⋅ 2 − 1 45
vando così h = 2. Otteniamo così n =
=
= 5, da cui
9
9
63 ⋅ 5 + 7 322
m=
=
= 14 .
23
23
Ancora un esempio.
Esempio 45
Vediamo di risolvere il problema enunciato da Alcuino, cioè il
 u + d + b = 100

. Ricaviamo una delle tre variabili
sistema 
1
3u + 2d + 2 b = 100
da una delle due equazioni e sostituiamo nell’altra, ottenendo:
 u = 100 − d − b

⇒

1
 300 − 3d − 3b + 2 d + 2 b = 100
u = 100 − d − b

⇒

5
 d + 2 b = 200
 u = 100 − d − b

.

400 − 5b
=
d

2
Dato che d deve essere un numero naturale b deve essere un
numero pari ed inoltre 400 – 5b > 0 ⇒ b < 80. In effetti
un’altra condizione da imporre è d < 100, quindi otteniamo
l’ulteriore condizione 400 – 5b < 200 ⇒ b > 40. D’altro canto
deve anche essere u < 100, cioè b + d < 100, il che significa
400 − 5b
< 100 ⇒ –3b < –200 ⇒ 66 < b < 80. Quindi
che b +
2
vi sono più di una soluzione, che scriviamo nella seguente tabella:
perché poi Alcuino abbia scelto la soluzione (74, 15, 11) non è
dato di sapere.
97
I perché della matematica elementare
Cataloghiamo questo tipo di equazioni.
Definizione 17
Una equazione polinomiale con due o più incognite a coefficienti interi e per la quale si ricercano soluzioni intere, si
chiama equazione diofantea.
Le precedente definizione è dovuta al fatto che Diofanto di Alessandria (vissuto nel III secolo d.C.) nella sua famosa Aritmetica 43, trattò molti di questi problemi.
Vogliamo adesso di enunciare un risultato che ci permetta di
dire se una equazione diofantea ammette o no soluzioni.
Teorema 11
L’equazione diofantea di I grado a due incognite ax + by = 1
ammette soluzioni solo se MCD(a, b) = 1.
Dimostrazione
Supponiamo che sia a > b, calcoliamo MCD(a, b) applicando
l’algoritmo euclideo. Otteniamo la seguente successione di
uguaglianze a = b ⋅ q1 + r1, b = q2 ⋅ r1 + r2, r1 = q3 ⋅ r2 + r3, ... ,
rn–3 = qn–1 ⋅ rn–2 + rn – 1, rn – 2 = qn ⋅ rn – 1 + rn. Visto che si ha:
MCD(a, b) = 1, si ha rn = 1. Partendo dall’ultima di tali uguaglianze otteniamo: rn = 1 = rn – 2 – qn ⋅ rn – 1. E ancora abbiamo:
1 = rn–2 – qn ⋅ (rn–3 – qn–1 ⋅ rn–2) = (1 + qn ⋅ qn–1) ⋅ rn–2 – qn ⋅ rn–3.
Continuando questo processo di sostituzione, otterremo alla
fine che 1 si esprime mediante a e b, che vuol dire che esistono
due numeri x ed y per cui si può scrivere 1 = ax + by. Ossia la
tesi del nostro teorema.
Esempio 46
Vogliamo risolvere l’equazione diofantea 17x + 19y = 1. Abbiamo 19 = 17 ⋅ 1 + 2, da cui 17 = 8 ⋅ 2 + 1 e 8 = 8 ⋅ 1 + 0. Ma
43
Per curiosità ricordiamo che proprio su una copia di tale opera, Fermat
appuntò la sua famosa osservazione sull’equazione xn + yn = zn.
98
Carmelo Di Stefano
allora 1 = 17 – 8 ⋅ 2 = 17 – 8 ⋅ (19 – 17⋅1) = 17 – 8⋅19 + 8⋅17 =
= 17 ⋅ 9 – 8 ⋅ 19. Quindi (x = 9, y = –8) è una soluzione
dell’equazione data.
Vale anche il seguente risultato.
Teorema 12
L’equazione diofantea di I grado a due incognite ax + by = c
ammette soluzioni solo se MCD(a, b) è un divisore di c.
Esempio 47
• L’equazione 4x – 6y = 3 non ha soluzioni intere perché
MCD(4, 6) = 2 non divide 3.
• L’equazione 24x + 40x = 48 ammette soluzioni intere perché MCD(24, 40) = 8 che è un divisore di 48. Essa equivale
quindi all’equazione 3x + 5y = 6 che ha soluzioni perché
MCD(3, 5) = 1, che divide 6. Vediamo di trovare una soluzione. Applichiamo l’algoritmo euclideo per determinare il
MCD(3, 5). 5 = 3 ⋅ 1 + 2, 3 = 2 ⋅ 1 + 1, 2 = 2 ⋅ 1 + 0. Allora
1 = 3 – 2 ⋅ 1 = 3 – 1 ⋅ (5 – 3) = 3 ⋅ 2 – 5 ⋅ 1. Quindi una soluzione dell’equazione 3x + 5y = 1 è (x = 2, y = –1), che però non è l’equazione data. Ma da 1 = 3 ⋅ 2 – 5 ⋅ 1 otteniamo
6 = 3 ⋅ 12 – 5 ⋅ 6, quindi una soluzione dell’equazione iniziale è (x = 12, y = –6).
Siamo adesso interessati a determinare la soluzione generale
dell’equazione ax + by = c. Vale il seguente fatto.
Teorema 13
L’equazione diofantea di I grado a due incognite ax + by = c,
se ammette una soluzione x = x0 e y = y0, tutte le sue soluzioni
si ottengono dalla formula: x = x0 + t ⋅ b e y = y0 – t ⋅ a, al variare del parametro t in Z .
Dimostrazione
Supponiamo che una soluzione di ax + by = c sia (x0; y0), ciò
99
I perché della matematica elementare
vuol dire che possiamo scrivere ax0 + by0 = c. Sottraiamo
membro a membro le precedenti uguaglianze, ottenendo:
a ⋅ (x – x0) + b ⋅ (y – y0) = 0 ⇒ a ⋅ (x – x0) = –b ⋅ (y – y0)
Quindi a ⋅ (x – x0) è divisibile per b e poiché a non è divisibile
per b vuol dire che lo è (x – x0). Quindi: x – x0 = t ⋅ b. Ma allora è vero che a ⋅ t ⋅ b = –b ⋅ (y – y0) ⇒ a ⋅ t = – y + y0. Possiamo quindi scrivere: x = x0 + t ⋅ b e y = – a ⋅ t + y0. Queste due
scritte costituiscono la tesi cercata.
Esempio 48
Tenuto conto del teorema precedente e dell’esempio 47, possiamo dire che (12 + 5t; – 6 – 3t) è la soluzione generale
dell’equazione diofantea 3x + 5y = 6.
Qual è la minima soluzione positiva? Deve essere 12 + 5t > 0
12
⇒ t>−
⇒ t > –2. Quindi x = 12 + 5 ⋅ (–2) = 2, è la minima
5
x positiva. Allo stesso modo –6 – 3t > 0 ⇒ t < –2 e la minima
soluzione positiva di y è y = 3. Dato che i due fatti avvengono
per valori di t inconciliabili, possiamo dire che non esiste alcuna soluzione con entrambi i valori positivi.
Attività
1. Se il 55% degli agnelli nati in un gregge sono maschi ed il
90% sopravvive il primo anno, qual è il minimo numero
di agnelli maschi nati affinché alla fine del primo anno ve
ne siano 100 vivi?
[203]
2. Da un manoscritto arabo del 1200: Un’oca costa 5 dracme, una gallina 1 dracma e 20 pulcini 1 dracma. Avendo
100 dracme e volendo comprare 100 animali, quanti dovrai prenderne di ciascun tipo?
[19 oche, 1 gallina, 80 pulcini]
3. Da un manuale tedesco del 1526: In una taverna, 20 persone pagano un conto di 20 dobloni. Vi sono uomini, donne e bambini. Sapendo che gli uomini pagano 3 dobloni,
le donne 2 ed i bambini ½ doblone, determinare quanti e-
100
Carmelo Di Stefano
4.
5.
6.
7.
8.
9.
rano gli uomini, quante le donne e quanti i bambini.
[u = 1, d = 5, b = 14]
Dal Lilavati di Bhaskara: O matematico, rispondi rapidamente. Qual è il minimo numero naturale che moltiplicato
per 221 ed aumentato di 65 diviene un multiplo di 195?[5]
Dal Bija–Ganita di Bhaskara: Un uomo possiede 5 rubini,
8 zaffiri, 7 perle e 92 monete, un altro ha 7 rubini, 9 zaffiri, 6 perle e 62 monete. Se i due sono ugualmente ricchi,
sai dire qual è il minimo valore espresso in monete, di ciascun tipo di pietre preziosa?
[Zaffiri 3 monete, perle 1 moneta, rubini 16 monete]
Da Problèmes plaisans et delectable qui se font par les
nombres di Gaspar Bachet, signore di Meziriac,del 1612:
41 persone fra uomini, donne e bambini mangiano ad una
locanda. Il conto è di 40 soldi. Gli uomini pagano 4 soldi,
le donne 3 ed i bambini ½ soldo. Quanti sono gli uomini,
quante le donne e quanti i bambini?
[2 uomini, 3 donne e 36 bambini]
Un teatro ha 100 posti. Il proprietario vuole incassare 100
euro facendo pagare 5 euro il prezzo intero, 2 euro il ridotto militari e per ogni 10 ragazzi al di sotto dei 12 anni farà
pagare 1 euro. Quanti adulti, militari e ragazzi devono entrare?
[11 adulti, 9 militari e 70 ragazzi]
Dall’Algebra di Eulero. Dividi 100 in due addendi, uno
divisibile per 7 e l’altro per 11.
[44 e 56]
Dal Mahaviracarya. Furono raccolte delle mele, che furono sistemate in 37 cassette, ciascuna contenente lo stesso
numero di frutti. Ogni cassetta conteneva più di 100 e meno di 200 mele. Sapendo che i raccoglitori erano 79 e che
quando si divisero le mele in parti uguali ne avanzarono
17, si vuol sapere quante mele ebbe ciascun raccoglitore e
quante ne conteneva ciascuna cassetta.
[78 e 167]
101
I perché della matematica elementare
Le congruenze
Per affrontare più semplicemente le equazioni indeterminate
abbiamo bisogno di introdurre alcuni importanti concetti aritmetici.
Riconsideriamo la divisione fra due numeri interi a e b. Sappiamo che in questo caso si trovano due numeri interi, q ed r
tali che si ha a = b ⋅ q + r, con 0 ≤ q < b. Così per esempio abbiamo 19 = 3 ⋅ 5 + 4. Per indicare questi fatti usiamo una nuova terminologia e simbologia.
Definizione 18
Se a = b ⋅ q + r, con 0 ≤ q < b diciamo che a è congruo a r moq
dulo q e scriviamo a ≡ r (mod q) o, più semplicemente a ≡ r .
Ovviamente dire che a è congruo a r modulo q, è lo stesso che
dire che (a – r) è divisibile per q.
5
3
Quindi possiamo dire che 19 ≡ 4, ma anche 19 ≡ 4, infatti si
ha che 19 – 4 = 15 è divisibile sia per 3 che per 5.
Valgono importanti proprietà sulle congruenze.
Teorema 14
q
q
q
q
q
Se a ≡ r e b ≡ s allora a + b ≡ r + s ; a − b ≡ r − s ; a ⋅ b ≡ r ⋅ s .
Dimostrazione
Dalle ipotesi si ha: a = h ⋅ q + r e b = k ⋅ q + s. Sommando
termine a termine abbiamo:
a + b = h ⋅ q + r + k ⋅ q + s = (h + k) ⋅ q + r + s
che è la prima tesi. Analogo discorso per la seconda se sottraiamo termine a termine. Infine
a ⋅ b = (h ⋅ q + r) ⋅ (k ⋅ q + s) = (h ⋅ k ⋅ q + h ⋅ s + k ⋅ r) ⋅ q + r ⋅ s
che è appunto la terza tesi.
102
Carmelo Di Stefano
Esempio 49
5
5
Dato che 19 ≡ 4 e 17 ≡ 2 per il Teorema 14 avremo che an5
5
che 19 + 17 ≡ 4 + 2, cioè 36 ≡ 6. Notiamo che in questo caso
6 è maggiore di 5, allora possiamo togliere 5 a 6 ottenendo
5
perciò che 36 ≡ 1. Per le altre proprietà potremo dire anche
5
5
5
5
che 19 – 17 ≡ 4 – 2, cioè 2 ≡ 2. 19 ⋅ 17 ≡ 4 ⋅ 2, cioè 323 ≡ 8
o meglio, sempre riducendo a un numero minore del modulo,
5
323 ≡ 3.
L’ultima parte del teorema 14 ci fornisce uno strumento molto
potente per determinare la verità o meno di congruenze i cui
termini sono “grandi”.
Esempio 50
19
Determinare il valore di n nella congruenza: 1317 ≡ n. Il numero 1317 è considerevole (ha 19 cifre), quindi non è opportuno calcolarlo e dividerlo per 19. Utilizziamo invece il teorema
19
19
14. Abbiamo: 13 ≡ –6 (si ha: 13– (–6) = 19), quindi 132 ≡ 36,
19
19
19
ma 36 ≡ –2. Perciò 132 ≡ –2. Allora 1316 = (132)8 ≡ (–2)8 =
19
19
19
256 ≡ 9 . Così 1316 ≡ 9. Infine 1317 ≡ (–6) ⋅ 9 = –54 e dato
19
19
che –54 ≡ 3, possiamo dire che 1317 ≡ 3.
Vediamo un’altra proprietà, la cui dimostrazione lasciamo al
lettore.
Teorema 15
q
d
Se a ≡ r e d è un divisore di q allora a ≡ r.
103
I perché della matematica elementare
Esempio 51
12
2
3
4
6
Poiché 27 ≡ 3, avremo anche 27 ≡ 3, 27 ≡ 3, 27 ≡ 3 e 27 ≡ 3.
Adesso vogliamo risolvere equazioni con le congruenze, cioè
r
equazioni del tipo f(x) ≡ m, in cui l’incognita è indicata con x,
mentre f(x) indica una espressione contenente x.
Esempio 52
5
La congruenza x ≡ 3 ammette le infinite soluzioni appartenenti all’insieme {..., –7, –2, 3, 8, ...}, oppure, se vogliamo solo le
soluzioni positive, quelle appartenenti a {3, 8, 13, ...}. La con5
gruenza x2 – 3 ≡ 3 ammette le soluzioni positive {1, 6, 11, ...}
∪ {4, 9, 14, ...}, dato che 12 – 3 – 3 = –5 e 42 –3 – 3 = 10 che
5
sono entrambi multipli di 5. Invece la congruenza x2 – 3 ≡ 4
non ammette alcuna soluzione, come si verifica facilmente sostituendo i valori x = 0, 1, 2, 3, 4 (cioè tutti i possibili resti di
una divisione con 5 come divisore).
Come si è visto nell’esempio precedente vi sono congruenze
che hanno infinite soluzioni e congruenze che non hanno soluzioni. Nel primo caso, dato che in realtà tutte le soluzioni sono
congruenti fra di loro si preferisce considerarne solo una di esse, per esempio la minore positiva. Così nell’esempio precedente le soluzioni sono 1 e 2 rispettivamente. In questo modo
r
una congruenza del tipo f(x) ≡ m, non può avere più di r soluzioni. Vediamo di trattare i più semplici tipi di congruenze.
Definizione 19
r
Una congruenza del tipo ax ≡ b, si dice congruenza lineare.
r
Ci accorgiamo che risolvere la congruenza lineare a ⋅ x ≡ b,
104
Carmelo Di Stefano
equivale a risolvere l’equazione indeterminata a ⋅ x – b = r ⋅ y
⇒ a ⋅ x – r ⋅ y = b. Per quel che abbiamo visto nel paragrafo
precedente possiamo allora dire che una congruenza lineare
r
a ⋅ x ≡ b, ammette soluzioni solo se MCD(a, r) divide b.
Esempio 53
3
La congruenza lineare 6x ≡ 5 non ha soluzioni perché
MCD(6, 3) = 2 che non divide 5. Invece la congruenza linear
2
18x ≡ 8 ha le soluzioni dell’equazione diofantea 18x – 2y = 8,
cioè 9x – y = 4. Ora si nota immediatamente che l’equazione
9x – y = 1 ha soluzione x = 0, y = –1, quindi 9x – y = 4 ha come una delle sue soluzioni x = 0, y = –4. Quindi sono soluzioni
3
tutte le x: x ≡ 0, cioè tutti e soli i multipli di 3. Infatti un multiplo di 3 è del tipo 3m, quindi 9x – 3 = 27m – 3 = 3 ⋅ (9m – 1)
che è un multiplo di 3.
Può capitare di dover risolvere sistemi di congruenze lineari.
Esempio 54
 13
x ≡ 7
Risolvere il seguente sistema di congruenze:  17 . Risol x ≡ 3
viamo la prima congruenza, ottenendo: x = 13y – 7, per qualche y∈ N . La seconda congruenza invece fornisce le soluzioni:
x = 17z – 3, per qualche z∈ Z . Devono quindi trovarsi due
numeri interi y e z, verificanti l’equazione 13y – 7 = 17z – 3,
cioè 13y – 17z = 4. Poiché MCD(13, 17) =1, che divide 4,
l’equazione ammette soluzioni. Esse si ottengono mediante il
seguente procedimento: 17 = 13 + 4; 13 = 3 ⋅ 4 + 1. Quindi si
ha: 1 = 13 – 3 ⋅ 4 = 13 – 3 ⋅ (17 – 13) = 4 ⋅ 13 – 3 ⋅ 17. Una soluzione di 13y – 17z = 1 è y = 4, z = 3, perciò una soluzione di
13y – 17z = 4 è y = 16, z = 12. Allora si ha: x = 13 ⋅ 16 – 7 =
105
I perché della matematica elementare
13 ⋅ 17 – 20 . Perciò le soluzioni del sistema sono tutte le solu13⋅17
zioni di x ≡ –20.
Generalizzando il procedimento descritto nell’esempio precedente per risolvere un sistema generico di h congruenze lineari, possiamo enunciare il seguente risultato.
Teorema 16
 r1
 x ≡ m1
 r2

Dato un sistema di h congruenze lineari  x ≡ m2 , esso ammet ...
 rh
 x ≡ mh
MCD ( ri , r j )
te un’unica soluzione solo se mi
≡
mj, ∀i,j∈ N , 1≤ i, j≤h,
i ≠ j. Tale soluzione è congruente modulo il mcm(r1, r2, ..., rh).
Il precedente teorema è noto sotto il nome di teorema cinese
del resto, poiché anche se non sotto questa forma così rigorosa,
esso è stato trovato in un’opera di un certo Sun–Tse, vissuto
nei primi anni dell’era cristiana. Vediamo un’applicazione.
Esempio 55
Consideriamo un antico problema di epoca medioevale: Al
mercato un cavallo passò sopra il cestino pieno di uova di una
donna distruggendole tutte. Il cavaliere si mostrò pronto a pagare il danno e chiese alla donna quante uova vi erano nel cestino. Lei rispose di non ricordare l’esatto numero. Ricordava
però che aveva pensato di raggrupparle a due a due e gliene
era avanzato uno. Aveva allora tentato di raggrupparle a tre a
tre ed ancora gliene avanzava uno. Le avanzò sempre un uovo
raggruppandoli a gruppi di 4, 5 e 6. Finalmente li poté raggruppare a 7 a 7. Quante erano al minimo le uova?
106
Carmelo Di Stefano
Praticamente dobbiamo risolvere il sistema di 6 congruenze
 2
 x ≡1
 3
 x ≡1
 4
 x ≡1
lineari  5 . Dato che mcm(2, 3, 4, 5, 6) = 60, le prime cin x ≡1
 6
 x ≡1

 7
x ≡ 0
60
que congruenze possono essere sostituite dall’unica x ≡ 1.
 60
 x ≡1
Quindi basta risolvere il sistema  7 . Facilmente si trova la
 x ≡ 0
420
soluzione: x ≡ 301, perché mcm(60, 7) = 420.
Attività
1.
23
Calcolare i valori di n nelle seguenti congruenze: 227 ≡ n;
37
41
13
29
341 ≡ n; 11125 ≡ n; 5217 ≡ n; 7276 ≡ n. [9; 21; 3; 5; 24]
Risolvere le seguenti congruenze, ottenendo le minime soluzioni positive, se esistono.
13
7
11
12
2.
x2 ≡ 1, x2 – x + 2 ≡ –1, x3 ≡ 2, x3 – x –2 ≡ 5.
[12; Nessuna soluzione; 7; Nessuna soluzione]
3.
3x ≡ 7, 13x ≡ 17, 144x ≡ 60, 1234x ≡ 5678.
[6; 77; Nessuna soluzione; 5]
Risolvere il problema delle uova in questa nuova formulazione: raggruppando le uova a n a n (2 ≤ n ≤ 5) ne rimangono n – 1, mentre a 7 a 7 non vi sono rimanenze. [119]
4.
11
123
36
107
12
I perché della matematica elementare
5.
Quattro diverse ditte dovevano completare uno stesso lavoro. La prima ditta aveva 2 uomini, la seconda 3, la terza
6 e la quarta 12. Ciascuna ditta completò il lavoro con tutti
gli operai, poi rimasero un giorno di lavoro per 1 persona
per la prima ditta, un giorno di lavoro per 2 persone per la
seconda ditta, un giorno di lavoro per 5 persone sia per la
terza che per la quarta ditta. In quanti giorni di lavoro si
completò il lavoro? Si richiede sempre la minima soluzione positiva.
[5]
6. Un problema di Regiomontano. Risolvere il sistema:
 10
 x ≡3
 13
[1103]
 x ≡ 11 .
 17
 x ≡ 15

 11
 x ≡3
 19
[4128]
7. Un problema di Eulero. Risolvere:  x ≡ 5 .
 29
 x ≡ 10

108
Carmelo Di Stefano
Criteri di divisibilità
Vediamo di utilizzare i precedenti concetti sulle congruenze
per determinare i noti (ed alcuni meno noti) criteri di divisibilità. Consideriamo un generico numero intero, la cui espressione
è an an –1 an – 2 ... a1a0, in base 10, dove ai indica una cifra, ossia
un numero intero compreso tra 0 e 9. Dal significato della notazione posizionale possiamo dire che il detto numero può anche esprimersi nella seguente forma “polinomiale”:
k = an ⋅ 10n + an – 1 ⋅ 10n – 1 + an – 2 ⋅ 10n – 2 +...+ a1 ⋅ 10 + a0 ⋅ 100.
Cominciamo a considerare la divisibilità per 2.
Dire che k è divisibile per 2, nella teoria delle congruenze significa dire che
2
an⋅10n + an – 1 ⋅ 10n – 1 + an – 2 ⋅ 10n – 2 +...+ a1 ⋅ 10 + a0 ⋅ 100 ≡ 0.
Ma i primi n addendi sono congruenti a 0 modulo 2, sono cioè
divisibili per 2, dato che contengono almeno un fattore 10. Ciò
2
2
significa allora che m ≡ 0 solo se a0 ≡ 0. Possiamo quindi enunciare il ben noto
Criterio di divisibilità per 2
Un numero naturale m è divisibile per 2 solo se lo è la sua
cifra delle unità.
A questo punto è molto semplice stabilire un criterio di con4
4
vergenza per 4, infatti m ≡ 0 ⇔ (a1 ⋅ 10 + a0) ≡ 0, dato che
tutti gli altri addendi contengono almeno un fattore 102, che è
divisibile per 2. Vale perciò il seguente criterio.
Criterio di divisibilità per 4.
Un numero naturale m > 9, è divisibile per 4 solo se lo è il
numero formato con le sue cifre della decina e delle unità.
Risulta immediata la generalizzazione alla divisibilità per una
potenza di 2.
109
I perché della matematica elementare
Criterio di divisibilità per 2n
Un numero naturale m > 10n – 1, è divisibile per 2n se lo è il
numero formato con le sue ultime n cifre.
Esempio 56
• Il numero 12345678 è divisibile per 2 ma non per 4, perché
8 è divisibile per 2 ma 78 non è divisibile per 4.
• Il numero 12348840 è divisibile per 8, perché 840 = 8 ⋅ 105,
ma non per 16, perché 8840 = 16 ⋅ 552 + 8.
Passiamo alla divisibilità per 3.
3
3
Abbiamo 10 ≡ 1, quindi 10n ≡ 1, ∀n∈ N . Ciò significa che
3
an ⋅ 10n + an – 1 ⋅ 10n – 1 + an – 2 ⋅ 10n – 2 +...+ a1 ⋅ 10 + a0 ⋅ 100 ≡ 0
3
⇔ (an + an – 1 + an – 2 +...+ a1 + a0) ≡ 0.
Da cui segue il ben noto
Criterio di divisibilità per 3
Un numero naturale m è divisibile per 3 solo se lo è il numero
formato sommando tutte le sue cifre.
9
Poiché si ha anche 10 ≡ 1, il precedente criterio vale anche
per tale numero.
Criterio di divisibilità per 9
Un numero naturale m è divisibile per 9 solo se lo è il numero
formato sommando tutte le sue cifre.
27
27
27
Invece, dato che 10 ≡ 10, 102 ≡ 19, 103 ≡ 1, non possiamo
estendere il precedente criterio di divisibilità a una generica
potenza di 3.
La divisibilità per 5 è molto facile da ottenere poiché, come è
accaduto per il numero 2, tutti gli addendi tranne l’ultimo,
110
Carmelo Di Stefano
nell’espressione polinomiale del numero sono divisibili per 5,
5
quindi tutto è delegato alla divisibilità di a0. E poiché a0 ≡ 0
⇔ a0 = 0 oppure a0 = 5, abbiamo
Criterio di divisibilità per 5
Un numero naturale m è divisibile per 5 solo se la sua cifra
delle unità è 0 oppure 5.
Passiamo alla divisibilità per 7. Abbiamo la seguente catena di
congruenze:
7
7
7
7
7
7
7
7
10 ≡ 3, 102 ≡ 9 ≡ 2, 103 ≡ 6 ≡ –1, 104 ≡ 4, 105 ≡ –2, 106 ≡ 1.
Possiamo perciò dire che
7
an ⋅ 10n + an – 1 ⋅ 10n – 1 + an – 2 ⋅ 10n – 2 +...+ a1 ⋅ 10 + a0 ⋅ 100 ≡ 0
⇔ (a0 + 3 a1 + 2a2 – a3 + 4a4 – 2a5 + a6 + 3 a7 + 2a8 – a9 + 4a10
7
– 2a11 + a12 +.... ≡ 0.
Come si vede un criterio molto complicato da tenere a mente.
Esempio 57
• 86422 è divisibile per 7 perché (2 + 3 ⋅ 2 + 2 ⋅ 4 – 6 + 4 ⋅ 8)
= 2 + 6 + 8 – 6 + 32 = 42 è divisibile per 7.
• Invece 123456789 non è divisibile per 7 perché (9 + 3 ⋅ 8 +
2 ⋅ 7 – 6 + 4 ⋅ 5 – 2 ⋅ 4 + 3 + 3 ⋅ 2 + 2 ⋅ 1) = 9 + 24 + 14 – 6
+ 20 –8 + 3 + 6 + 2 = 64 non è divisibile per 7.
Lasciamo al lettore la dimostrazione del ben noto
Criterio di divisibilità per 11
Un numero naturale m è divisibile per 11 solo se la differenza
fra la somma delle sue cifre di posto dispari e la somma delle
sue cifre di posto pari lo è.
Possiamo anche giustificare la cosiddetta prova del 9 per verificare se il risultato di una operazione aritmetica è errato, la
111
I perché della matematica elementare
regola, come abbiamo già visto, non permette di dire se il ri9
sultato è giusto. Infatti se eseguiamo m + n, allora se m ≡ p e
9
9
n ≡ q, allora m + n ≡ p + q. Se ciò non avviene l’operazione
non è corretta, se avviene non è detto che lo sia.
Esempio 58
Consideriamo l’operazione: 123456 + 58749 = 182105. Ab9
9
biamo 123456 ≡ 3 e 58749 ≡ 6, se l’operazione è corretta do9
vrebbe aversi 182105 ≡ 3 + 6 ≡ 0, mentre invece si ha si
9
182105 ≡ 8. Si noti però che la prova del 9 “funziona” anche
con i risultati errati 182106, 190105 e via di questo passo.
Attività
1. Determinare un criterio di divisibilità per 25.
2. Determinare un criterio di divisibilità per 5n.
3. Determinare un criterio di divisibilità per 13, 17, 19.
4. Determinare un criterio di divisibilità per 99.
5. Determinare i valori dell’incognita x in modo che siano
veri gli enunciati seguenti: 123x456 è divisibile per 3;
23456x78 è divisibile per 8; 81y1058294x è divisibile per
33.
[x = 0, 3, 6, 9; Nessun valore; x + y = 10]
6. Enunciare una prova del 9 per le altre operazioni aritmetiche elementari.
7. Per numeri “grandi” conviene considerare prove con numeri superiori a 9, per esempio 99. Determinare una prova
del 99 e verificarla per stabilire se può essere corretta la
moltiplicazione 245678 ⋅ 1357931 = 333613772218.
112
Carmelo Di Stefano
Quanti divisori ha un numero?
Vediamo di riprendere un problema che abbiamo già sollevato.
Quanti sono i divisori di un numero? Cominciamo a considerare i casi più semplici. È chiaro che se il numero è primo, per la
sua stessa definizione ha solo due divisori. Quanti divisori ha
se è il quadrato di un numero primo, come per esempio 25?
Pensiamo che non vi siano problemi a dire che essi sono 3,
cioè: 1, 5 e 25. Ciò è vero sempre.
Per il seguito indichiamo con il simbolo ν(n) il numero di divisori di n. Allora indicando con p un generico numero primo,
abbiamo ν(p) = 2 e ν(p2) = 3, dato che i divisori di p2 saranno
1, p e p2.
Quanti sono i divisori di p3? Anche qui pensiamo che la risposta sia semplice: essi sono 4, cioè 1, p, p2 e p3. A questo punto
possiamo enunciare il seguente risultato generale.
Teorema 17
Dato un numero primo p, si ha ν(pn) = n + 1.
Il passo successivo sarà quello di considerare un numero che
sia prodotto di due numeri primi, come per esempio 15 = 3 ⋅ 5.
Quanti saranno i suoi divisori? 4, cioè 1, 3, 5 e 15. Ciò ci conduce a dire che se n = p1 ⋅ p2, con p1 e p2 numeri primi distinti,
si ha: ν(p1 ⋅ p2) = 4, dato che i divisori sono 1, p1, p2 e p1 ⋅ p2.
Se i fattori primi di n sono 3: p1, p2 e p3, i suoi divisori saranno
1, p1, p2, p3, p1 ⋅ p2, p1 ⋅ p3, p2 ⋅ p3 e p1 ⋅ p2 ⋅ p3. Sono cioè 8.
Pensiamo allora che possa enunciarsi il seguente fatto.
Teorema 18
Dato un numero naturale n = p1 ⋅ p2 ⋅ p3 ⋅ ... ⋅ ph, con pi che indica un numero primo. Si ha ν(n) = 2h.
Dimostrazione
Per riprendere un precedente argomento operiamo per induzione sul numero dei fattori. Già sappiamo che ν(p) = 21. A113
I perché della matematica elementare
desso supponiamo che sia n = ν( p1 ⋅ p2 ⋅ p3 ⋅ ... ⋅ ph) = 2h, vogliamo provare che si ha: m = ν(p1 ⋅ p2 ⋅p3⋅...⋅ ph ⋅ ph + 1) = 2h + 1.
Aggiungendo ph + 1, i divisori di m ovviamente sono quelli di n,
che perciò sono 2h, e tutti i prodotti fra questi divisori e ph + 1,
che sono ovviamente altrettanti 2h. Infine i divisori di m sono
in totale 2h + 2h = 2 ⋅ 2h = 2h + 1.
A questo punto manca il teorema generale, cioè il caso in cui
si abbia: n = p1a1 ⋅ p2a2 ⋅ p3a3 ⋅ ... ⋅ phah . Enunciamo e proviamo il
seguente fatto.
Teorema 19
Dato un numero naturale n = p1a1 ⋅ p2a2 ⋅ p3a3 ⋅ ... ⋅ phah , con pi che
indica un numero primo. Si ha
v p1a1 ⋅ p2a2 ⋅ p3a3 ⋅ ... ⋅ phah = ( a1 + 1) ⋅ ( a2 + 1) ⋅ ( a3 + 1) ⋅ ... ⋅ ( ah + 1) .
(
)
Dimostrazione
Fra i divisori di n vi sono i divisori di p1a1 che, per quanto visto nel teorema 17, sono in numero di (a1 + 1). Poi vi sono i
divisori di p2a2 che sono in numero di (a2 + 1). Vi sono poi anche i divisori ottenuti moltiplicando i divisori di p1a1 per quelli
di p2a2 , ottenendo quindi (a1 + 1) ⋅ (a2 + 1) divisori. Osserviamo che quando consideriamo 1 come divisore di p1a1 , moltiplicando per i divisori di p2a2 , otteniamo proprio i divisori di
quest’ultimo, analogamente quando moltiplichiamo i divisori
di p1a1 per 1. Allo stesso modo avremo che, dati i divisori di
p3a3 , che sono (a3 + 1), i divisori che contengono almeno uno
dei divisori dei tre detti numeri primi saranno (a1 + 1)⋅ (a2 + 1)
⋅ (a3 + 1). Iterando il procedimento otteniamo la tesi del teorema.
Vediamo di capire meglio la dimostrazione precedente con un
esempio.
114
Carmelo Di Stefano
Esempio 59
Quanti divisori ha il numero 180 = 22 ⋅ 33 ⋅ 5? Vi sono i divisori di 22, che sono 3 (1, 2, 4), quelli di 33 che sono 4 (1, 3, 9, 27)
e quelli di 5 che sono 2 (1, 5). Se ora consideriamo il prodotto
dei divisori di 22 per quelli di 33 otteniamo i 12 divisori che
contengono almeno uno dei fattori di 22 o (vel) di 33. Infine,
considerando il prodotto dei 3 divisori di 22 per i 4 divisori di
33 per i 2 divisori di 5, otteniamo i 24 divisori di 180. Ciò
coincide con il risultato del teorema 19:
(3 + 1) ⋅ (2 + 1) ⋅ (1 + 1) = 4 ⋅ 3 ⋅ 2 = 24.
Attività
1. Tenuto conto dei risultati del teorema 19, determinare per
quali numeri ν(n) è un numero dispari. [Quadrati perfetti]
2. Verificare il teorema 19, calcolando ν(124), ν(123456),
ν(12345678).
[6, 28, 24]
3. Trovare i minimi numeri naturali che hanno 2, 3, 4, 5 e 6
divisori.
[2; 4; 6; 16; 18]
115
I perché della matematica elementare
Una particolare successione di numeri naturali
I divisori di una potenza pn di un numero primo sono {1, p, p2,
p3, …, pn} e rappresentano una particolare struttura aritmetica,
che si chiama progressione geometrica. La particolarità consiste nel fatto che il rapporto di due elementi successivi della
progressione è costante ed è uguale, in questo caso, a p. Tale
numero costante si chiama ragione44 della progressione.
Facilmente si trova una relazione fra due qualsiasi elementi di
una progressione geometrica, che possono indicarsi con an, in
cui n indica il posto che l’elemento occupa nella progressione
ordinata.
Teorema 20
Dati due distinti elementi ap e at di una stessa progressione geometrica di ragione q, si ha: ap = at ⋅ qp – t .
Dimostrazione
Gli elementi di una progressione generica di ragione q, possono ovviamente scriversi nel modo seguente: {a1, a1 ⋅ q, a1 ⋅ q2,
a1 ⋅ q3, …, , a1 ⋅ qn – 1, …}, quindi ap = a1 ⋅ qp – 1, at = a1 ⋅ qt – 1,
da
cui,
dividendo
termine
a
termine:
p −1
a p a1 ⋅ q
=
= q p −t ⇒ a p = at ⋅ q p −t , che è quanto volevamo
t −1
at
a1 ⋅ q
provare.
Esempio 60
Se di una progressione geometrica di ragione 2, conosciamo il
12° elemento, 512 e vogliamo conoscere il suo terzo elemento,
usando il Teorema 20, scriviamo: a3 = a12⋅23–12 = 512 ⋅ 2– 9 = 1.
Ovviamente non per forza gli elementi di una progressione geometrica debbono essere tutti numeri naturali, così
nell’esempio precedente, a2 = 0,5.
44
Dal latino rationem che vale calcolo o conto
116
Carmelo Di Stefano
Un’altra cosa interessante è quella di trovare una regola per la
somma degli elementi di una progressione geometrica.
Esempio 61
Quanto vale la somma dei divisori di 35? Cioè quanto fa 1 + 3
+ 32 + 33 + 34 + 35? Piuttosto che sommare i numeri così come
li calcoliamo, chiamiamo la somma genericamente S, quindi
consideriamo 3S = 3 + 32 + 33 + 34 + 35 + 36. Come si vede 3S
contiene quasi gli stessi elementi di S, quindi se sottraiamo
termine a termine quasi tutti gli elementi si elimineranno. Infatti 3S – S = 36 – 1, ciò significa che 2S = 36 – 1 ⇒
36 − 1
S=
.
2
Tenuto conto del precedente esempio facilmente si mostra il
risultato più generale.
Teorema 21
La somma dei primi k termini consecutivi di una progressione
q k +1 − 1
geometrica di ragione q è: Sk = a1 ⋅
.
q −1
In particolare il precedente risultato nel caso in cui la progressione è quella dei divisori della potenza di un numero primo,
p h +1 − 1
.
ha somma σ ( p h ) = 1 + p + p 2 + ... + p h =
p −1
Per trovare quindi la somma dei divisori di un qualsiasi numero, calcoliamo intanto σ(p1 ⋅ p2). Dato che abbiamo visto che i
divisori di p1 ⋅ p2 sono 1, p1, p2 e p1 ⋅ p2, abbiamo
σ(p1 ⋅ p2) = 1 + p1 + p2 + p1 ⋅ p2 = 1 + p1 + p2 ⋅ (1 + p1) =
= (1 + p1) ⋅ (1 + p2) = σ(p1) ⋅ σ(p2).
È facile generalizzare questo risultato, cioè se MCD(m,n) = 1,
allora σ(m ⋅ n) = σ(m) ⋅ σ(n). Da qui il passo è breve per enunciare e dimostrare il teorema generale.
117
I perché della matematica elementare
Teorema 22
Dato un numero naturale n = p1a1 ⋅ p2a2 ⋅ ... ⋅ p1ah , con pi che indica
phah +1 − 1
p1a1 +1 − 1 p2a2 +1 − 1
un numero primo. Si ha σ ( n ) =
.
⋅
⋅ ... ⋅
p −1
p −1
p −1
Esempio 62
Per il teorema 22 avremo:
23+1 −1 32+1 −1 51+1 −1
σ ( 360) = σ ( 23 ⋅ 32 ⋅ 5) =
⋅
⋅
= 15 ⋅13 ⋅ 6 = 1170 .
2 −1 3 −1 5 −1
In effetti i divisori di 360 sono: {1, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9, 10, 12,
15, 18, 20, 24, 30, 36, 40, 45, 60, 72, 90, 120, 180, 360}, la cui
somma è appunto 1170.
La formula precedente assume una forma particolarmente
semplice per le potenze di 2. Infatti si ha:
2 n +1 − 1
n
σ (2 ) =
= 2 n+1 − 1 . Dato che nel seguito useremo tale
2 −1
argomento, indichiamo con σ0(n) la somma dei divisori di n
inferiori ad n. Poniamo cioè σ0(n) = σ(n) – n.
Attività
1. Determinare il 15° elemento di una progressione geometrica di ragione 3, il cui terzo elemento è 2.
[1062882]
2. Determinare il 5° elemento di una progressione geometrica di ragione 2, il cui 13° elemento è 12288.
[48]
3. Determinare la ragione di una progressione geometrica, in
cui sesto e nono elemento sono rispettivamente 1024 e
65536.
[4]
4. Determinare la somma dei divisori di 24.
[60]
5. Determinare la somma dei divisori di 3240.
[10890]
6. Determinare n, sapendo che la somma dei divisori di 2n ⋅
33 ⋅ 52 = 78120.
[5]
7. Verificare il teorema 22, calcolando σ(124), σ(123456),
σ(12345678).
[224, 327152, 27319968]
118
Carmelo Di Stefano
Numeri perfetti e numeri amicabili
In qualche modo legata ai precedenti problemi è un’altra funzione, quella che, dato un numero naturale n, permette di determinare quanti dei numeri minori di n sono primi con n. Essa
viene di solito indicata con φ(n) e tale valore viene chiamata
funzione di Eulero, che per primo pose la questione nel 1760
fornendo anche la soluzione, o anche funzione toziente. Noi,
come ormai abbiamo fatto con altre questioni, costruiamo una
tabella che possa servirci poi da suggerimento per stabilire una
congettura sull’espressione di φ(n).
n
2 3 4 5 6 7 8 9 10
φ(n) 1 2 2 4 2 6 4 6 4
n
11 12 13 14 15 16 17 18 19
φ(n) 10 4 12 6 8 8 16 6 18
Una prima cosa che si nota è che φ(p) = p – 1, se p è un numero primo. Invece non risulta semplice stabilire una relazione
per n composto, tranne il fatto che φ(n) è pari per n > 2. Un altro caso semplice da calcolare è quando n è potenza di un numero primo: n = ph. Infatti in questo caso i suoi divisori sono 1
e tutti i multipli di p, sono cioè: 1, p, 2p, 3p, ..., (ph – 1 – 2) ⋅ p,
(ph – 1 – 1) ⋅ p. Questi sono chiaramente in numero di ph – 1.
Quindi possiamo dire che φ(ph) = ph – ph – 1 = ph – 1 ⋅ (p – 1) =

1
p h ⋅  1 −  . A partire da questo fatto enunciamo il risultato
p

generale che non dimostriamo.
Teorema 23
Dato un numero naturale n = p1a1 ⋅ p2a2 ⋅ p3a3 ⋅ ... ⋅ phah , con pi che
indica un numero primo. Si ha
 1 
1  1 
1 
φ ( p1a1 ⋅ p2a2 ⋅ p3a3 ⋅ ... ⋅ phah ) = n ⋅ 1 −  ⋅ 1 −  ⋅ 1−  ⋅ ... ⋅ 1 −  .
 p1   p2   p3   ph 
119
I perché della matematica elementare
Strettamente legati agli argomenti che abbiamo trattato in questi ultimi paragrafi sono i cosiddetti numeri perfetti. È dire
comune che il numero perfetto è 3, poiché nella religione cristiana esso rappresenta la divina trinità. Invece in matematica i
numeri perfetti sono stati considerati altri. Già Euclide nei suoi
elementi trattò di questi numeri, trovando un’interessante formula che li riguarda. Vediamo intanto di definirli.
Definizione 20
Un numero naturale n, per cui si ha σ0(n) = n, si dice numero
perfetto.
È evidente che nella somma dei divisori dobbiamo escludere
lo stesso n, se no non accadrebbe mai ciò che impone la definizione. Se vogliamo considerare tutti i divisori di n, potremmo modificare la definizione 20, nel modo seguente.
Definizione 20’.
Un numero n, per cui σ(n) = 2n, si dice numero perfetto.
Dal punto di vista storico la definizione 20 è più efficace, infatti la pretesa perfezione dei detti numeri consiste nel fatto
che essi risultano somma delle loro “parti”. A questo fatto, nei
secoli sono state fornite diverse altre giustificazioni mistiche.
Infatti, come è facile notare il numero 6 = 1 + 2 + 3 è un numero perfetto. Nella religione cristiana Dio creò l’universo in
6 giorni. Ma anche il numero 28 = 1 + 2 + 4 + 7 + 14, è un
numero perfetto. La luna gira attorno alla terra in un periodo
all’incirca di 28 giorni. Addirittura il già citato Alcuino, disse
che la prima creazione del mondo fu perfetta perché compiuta
appunto in 6 giorni; la seconda, quella avvenuta dopo il diluvio universale, fu invece imperfetta poiché tutti gli essere umani furono creati a partire dagli 8 sopravvissuti. Ora si ha:
σ(8) – 8 = 1 + 2 + 4 < 8. La somma delle parti di 8 non raggiunge 8, quindi affinché la seconda creazione potesse essere
120
Carmelo Di Stefano
considerata perfetta, ad essa “mancava” qualcosa. Alcuino, da
buon fanatico, adattò le cose ai suoi interessi; infatti non disse
perché se la prima creazione era da considerarsi perfetta, Dio
dovette eliminarla parzialmente annegando gli esseri viventi.
Comunque a partire anche da tali considerazioni, stabiliamo la
seguente ulteriore definizione.
Definizione 21
Un numero n, per cui σ(n) < 2n, si dice numero deficiente. Un
numero n, per cui σ(n) > 2n, si dice numero abbondante.
Torniamo ai numeri perfetti, possiamo usare un CAS e farci
calcolare quelli inferiori a 10000. Sorprendentemente essi sono
solo in 4: 6, 28, 496 e 8128.
Ma torniamo ad Euclide ed al suo risultato che andiamo ad enunciare.
Teorema 24
Ogni numero n = 2p – 1 ⋅ (2p – 1), con (2p – 1) numero primo, è
un numero perfetto.
Dimostrazione
Abbiamo σ(n) = σ(2p – 1) ⋅ σ[(2p – 1)], dato che (2p – 1) è un
numero primo, abbiamo che σ[(2p – 1)] = 1 + 2p – 1 = 2p. Abbiamo anche osservato che σ(2p – 1) = 2p – 1. Quindi abbiamo:
σ(n) = (2p – 1) ⋅ 2p = 2 ⋅ [(2p – 1) ⋅ 2p – 1] = 2n. Questa uguaglianza costituisce la tesi.
Molto tempo dopo, il solito Eulero provò che la precedente
condizione non è solo sufficiente ma è anche necessaria per un
numero pari.
Teorema 25
Ogni numero perfetto pari è della forma n = 2p – 1 ⋅ (2p – 1), con
(2p – 1) numero primo.
Dimostrazione
121
I perché della matematica elementare
Poiché n è un numero pari esso si scriverà: n = 2p – 1 ⋅ m, con m
numero dispari (anche uguale ad 1). Per provare il teorema
dobbiamo quindi far vedere che m = 2p – 1. Dato che n è prodotto di due fattori coprimi abbiamo
σ(n) = σ(2p – 1) ⋅ σ(m) = (2p – 1) ⋅ σ(m)
Dato che n è un numero perfetto si ha σ(n) = 2n = 2p ⋅ m.
Quindi possiamo dire che la seguente è una uguaglianza vera:
(2p – 1) ⋅ σ(m) = 2p ⋅ m, che può anche scriversi:
(2p – 1) ⋅ [σ0(m) + m] = 2p ⋅ m ⇒ (2p – 1) ⋅ σ0(m) + 2p ⋅ m – m =
= 2p ⋅ m ⇒ (2p – 1) ⋅ σ0(m) = m.
Ciò significa che σ0(m) è un divisore di m. Ciò può accadere
solo se σ0(m) = 1. Ma allora σ(m) = m + 1, cioè m è un numero
primo. Non solo, ma l’ultima uguaglianza diviene: 2p – 1 = m.
Cioè la tesi.
Il teorema precedente mette in relazione i numeri perfetti pari
con i numeri di Mersenne. Visto quello che abbiamo detto su
tali numeri, i numeri perfetti pari finora conosciuti sono 45, il
più grande dei quali è 243112609 ⋅ (243112609 – 1).
Un problema tuttora aperto consiste nello stabilire se possano
esistere numeri perfetti dispari. I risultati finora ottenuti fanno
propendere per una risposta negativa, dato che se esistessero
dovrebbe verificare delle condizioni molto restrittive. È stato
infatti stabilito che se un tale numero esiste deve essere divisibile almeno per otto primi distinti, avere almeno 29 fattori
primi, avere almeno 300 cifre ed avere un divisore primo superiore a 1020.
Infine un’altra classe di numeri che è stata presa in considerazione sempre per le sue presunte proprietà mistiche, è quella
dei numeri amici.
Definizione 22
Due numeri naturali m ed n si dicono amici se σ0(n) = σ0(m).
La giustificazione della terminologia è la seguente: dato che
122
Carmelo Di Stefano
ciascun numero è somma delle parti dell’altro vuol dire che i
due sono parte uno dell’altro, sono quindi come amici fraterni.
Sembra che i primi ad indagare su tali numeri siano stati i Pitagorici. Comunque anche nella matematica araba essi hanno
giocato un ruolo molto importante. In [O] è riportata una citazione di un passo di Ibn Khaldun, vissuto nella seconda metà
del 1330, in cui egli dice:
«Persone che si occupano di magia assicurano che questi numeri hanno una particolare influenza nello stabilire unione ed
amicizia fra due individui. [...] Essi stabiliscano un legame così forte fra due persone che esse non possono essere più separate. L’autore di Ghaïa e di altri capolavori in quest’arte [la
magia] dichiarano che ciò è stato confermato dalla loro esperienza personale».
Nonostante questo interesse della numerologia, per molti secoli l’unica coppia di numeri amici conosciuta è stata (220, 284).
Si ha infatti
52 − 1 112 − 1
σ0(220) = σ0(22⋅5⋅11) = (2 3 − 1) ⋅
= 7⋅6⋅12 = 504
⋅
5 − 1 11 − 1
si ha inoltre
712 − 1
σ0(284) = σ0(22 ⋅ 71) = (2 3 − 1) ⋅
= 7 ⋅ 72 = 504.
71 − 1
Si dovette arrivare al solito Fermat per ottenere altre coppie di
numeri amici. Il fatto è alquanto strano, poiché il matematico
francese determinò una formula utilizzando dei risultati che
l’arabo Abu–l–Hasan Thabit ben Korrah aveva già stabilito nel
IX secolo. Vediamo il risultato di Fermat.
Teorema 26
Sia pn = 3 ⋅ 2n –1 e sia qn = 9 ⋅ 22n–1 – 1. Se esiste un numero
naturale n per cui pn – 1, pn e qn sono tutti numeri primi, allora i
numeri 2n ⋅ pn – 1 ⋅ pn e 2n ⋅ qn sono amici.
Dimostrazione
Verifichiamo la proprietà dei numeri amici sulla data coppia.
Abbiamo:
123
I perché della matematica elementare
σ 0 ( 2n ⋅ pn−1 ⋅ pn ) = (2n+1 −1) ⋅
( 3⋅ 2
−1) ⋅
= (2
2
2
−1) −1 ( 3⋅ 2n −1) −1
⋅
=
3⋅ 2n−1 −1−1
3⋅ 2n −1−1
n−1
n+1
pn−12 −1 pn 2 −1
⋅
=
pn−1 −1 pn −1
9 ⋅ 2 2 n −2 − 3 ⋅ 2 n + 1 − 1 9 ⋅ 2 2 n − 3 ⋅ 2 n +1 + 1 − 1
=
⋅
= (2 − 1) ⋅
3 ⋅ 2 n −1 − 2
3⋅ 2n − 2
3 ⋅ 2 n ⋅ (3 ⋅ 2 n −2 − 1) 3 ⋅ 2 n +1 ⋅ (3 ⋅ 2 n −1 − 1)
=
⋅
= (2 n +1 − 1) ⋅
2 ⋅ (3 ⋅ 2 n −2 − 1)
2 ⋅ (3 ⋅ 2 n −1 − 1)
= (2n+1 – 1) ⋅ 3 ⋅ 2n–1 ⋅ 3 ⋅ 2n = 9 ⋅ 22n – 1 ⋅ (2n + 1 –1).
Si verifica che anche σ0(2n ⋅ qn) = 9 ⋅ 22n – 1 ⋅ (2n + 1 – 1). Quindi
il teorema è dimostrato.
n +1
Esempio 63
Utilizzando il teorema 26 troviamo la prima coppia di numeri
amici che Fermat determinò nel 1636. Visto che
p3 = 3 ⋅ 23 – 1 = 23; p4 = 3 ⋅ 24 – 1 = 47 e q4 = 9 ⋅ 27 – 1 = 1151
sono tutti primi, i numeri 24⋅23⋅47 = 17296 e 24 ⋅ 1151 = 18416
sono amici.
In una lettera a Mersenne del 1638 Descartes annunciò di essere arrivato autonomamente allo stesso risultato e fornì la terza
coppia di numeri amici: 9363584 e 9437056. Nel 1747 il solito
Eulero diede una lista di 30 coppie di numeri amici, che successivamente aumentò a 60. Un fatto alquanto strano è che tutti questi grandi matematici, per aver guardato troppo lontano
non videro ciò che era sotto i loro occhi. Andati cioè alla ricerca di coppie di numeri amici molto “grandi” non si avvidero
della coppia 1184 e 1210. Essa fu ottenuta nel 1866 da un giovane italiano: Niccolò Paganini, per diversi anni scambiato per
il grande musicista. La coppia non può trovarsi con il criterio
di Fermat, dato che 1184 = 25 ⋅ 37 e 1210 = 2 ⋅ 5 ⋅ 112, che
perciò è solo una condizione sufficiente.
124
Carmelo Di Stefano
Attività
1. Provare che φ(2n) = 2n – 1.
2. Provare che se p e q sono numeri primi allora φ(p ⋅ q) =
φ(p) ⋅ φ(q).
3. Provare che se MCD(p, q) =1 allora φ(p ⋅ q) = φ(p) ⋅ φ(q).
4. Provare che φ(n2) = n ⋅ φ(n), ∀n∈ N .
5. Costruire una tabella per φ(n), per tutti gli n inferiori a
100.
6. Provare che φ ( p ) + φ ( p 2 ) + φ ( p 3 ) + ... + φ ( p h ) = p h , per
ogni numero primo p.
7. Determinare tutti i numeri naturali n per cui si ha φ(n) = 8.
[15, 16, 20, 24, 30]
8. Provare che φ(n) ≠ 34, per ogni numero naturale n.
9. Provare che tutte le potenze dei numeri primi rappresentano numeri deficienti.
10. Determinare tutti i numeri abbondanti minori di 100. [12,
18, 20, 24, 30, 36, 40, 42, 48, 54, 56, 60, 66, 70, 72, 78,
80, 84, 88, 90, 96, 100]
11. Determinare il minimo numero abbondante dispari. [945]
12. Provare che i numeri perfetti pari possono esprimersi nel
M ( p) + 1
modo seguente:
⋅ M ( p) , dove M(p) indica il
2
numero di Mersenne di esponente p.
125
I perché della matematica elementare
Periodicità e sviluppo decimale delle frazioni
Abbiamo già visto che i numeri razionali sono solo di tre tipi e
avevamo preannunciato che avremmo cercato di capire come
possiamo capire solo guardando la frazione che tipo di numero
razionale rappresenta. Adesso abbiamo gli strumenti per rispondere a questa e anche ad altre domande simili.
Procediamo al contrario, cioè partiamo dal numero decimale e
m
.
cerchiamo di riportarlo sotto forma di frazione
n
Se è un numero decimale limitato non vi sono problemi; nel
caso più semplice in cui il numero è intero, abbiamo più volte
m
è un numero intero.
detto che se m è un multiplo di n allora
n
La frazione in questo caso viene detta apparente.
Esempio 64
Il numero 3,12467 si porta in frazione semplicemente moltiplicando e dividendo per 105 (5 sono le cifre decimali), quindi
312467
3,12467 =
.
10000
L’esempio precedente ci fa capire come trasformare in frazione un numero decimale limitato A,b1b2...bm (con A abbiamo
rappresentato il numero a1a2...an), esso può anche essere scritto nel modo seguente: A + 0,b1 + 0,0 b2 + ...+ 0,00..0bm (gli zeri in questo caso sono in numero di m). Moltiplicando e dividendo numeratore per 10 elevato al numero di zeri presenti in
b
b
b
ciascuna espressione abbiamo: A + 1 + 22 +...+ mm . Il che
10 10
10
può anche scriversi nel seguente modo:
A ⋅ 10 m + b1 ⋅ 10 m−1 + b2 ⋅ 10 m− 2 +...+bm
.
10 m
Quindi ogni numero decimale limitato può essere rappresenta-
126
Carmelo Di Stefano
to da un’unica frazione il cui denominatore è una potenza di
10. In realtà la condizione è troppo forte, vale infatti il seguente risultato.
Teorema 27
Ogni frazione il cui denominatore contiene solo potenze di 2 o
di 5, rappresenta un numero decimale limitato.
Dimostrazione
m
Sia p q , supponiamo che sia p ≥ q, moltiplichiamo allora
2 ⋅5
numeratore e denominatore per 5p – q, ottenendo così la fraziom ⋅ 5 p−q
ne equivalente:
, che è appunto una frazione del tipo
10 p
indicato. Se fosse p < q avremmo moltiplicato per 2q – p, ottem ⋅ 2q − p
nendo
.
10q
Da quanto visto possiamo anche enunciare il seguente risultato
di immediata dimostrazione.
Teorema 28
Una frazione il cui denominatore contiene solo potenze di 2 o
di 5, rappresenta un numero decimale limitato le cui cifre decimali sono quante il massimo fra gli esponenti di 2 e 5, contenuti nel denominatore.
Esempio 65
7
, rappresenta un numero decimale limitato la
40
cui parte decimale è formata da tre cifre, poiché 40 = 23 ⋅ 5. In7
7
7 ⋅ 52 175
fatti si ha:
=
=
= 3 = 0,175 .
40 2 3 ⋅ 5 10 3
10
La frazione
Passiamo adesso ai numeri periodici semplici, partendo sem127
I perché della matematica elementare
pre da un esempio.
Esempio 66
• Consideriamo il numero periodico semplice 12,345 … se lo
moltiplichiamo per 1000 (103, dove 3 sono le cifre del periodo) otteniamo il numero 12345,345 , che ha lo stesso periodo. Effettuiamo la differenza fra questi due numeri:
12345,345 − 12,345 = 103 ⋅12,345 − 12,345 = (103 − 1) ⋅12,345 .
Pertanto possiamo dire che
12345,345 − 12,345 12345 − 12 12333 4111
12,345 =
=
=
=
999
999
999
333
che è una frazione il cui denominatore non contiene potenze
né di 2, né di 5.
• Osserviamo che la periodicità di periodo 9 pone un equivo129 − 12 117
co, infatti per esempio 12,9 =
=
= 13 . E ciò
9
9
accade sempre.
Quindi diciamo che
Regola 4
Non esistono numeri di periodo 9. Si scrive a,9 = a + 1 .
Adesso enunciamo e dimostriamo il caso generale.
Teorema 29
Ogni frazione il cui denominatore non contiene alcuna potenza
di 2 e di 5, rappresenta un numero periodico semplice.
Dimostrazione
Supponiamo di avere il numero periodico semplice
q = A, c1c2 ...c p ,
consideriamo
adesso
il
numero
10 p ⋅ q = Ac1c2 ...c p , c1c2 ...c p Tale numero ha lo stesso periodo
128
Carmelo Di Stefano
di q. Sia adesso la differenza 10p ⋅ q – q = q ⋅ (10p – 1) =
Ac1c2 ...c p − A Ac1c2 ...c p − A
=Ac1c2...cp – A ⇒ q =
=
. Quindi q
10 p − 1
9999...99
p
è una frazione priva di potenze di 2 e di 5, ossia la tesi.
Nella dimostrazione precedente abbiamo anche provato la ben
nota regola per trasformare un numero periodico semplice in
frazione.
Regola 5
Si ha: A, c1c2 ..c p =
Ac1c2 ...c p − A
9999...99
, cioè al numeratore si scriva
p
la differenza fra il numero formato dalla parte intera e dal
periodo e il numero formato dalla parte intera, al
denominatore tanti 9 quante sono le cifre del periodo.
A questo punto sembra ovvio il criterio per i numeri periodici
misti.
Teorema 30
Ogni frazione il cui denominatore contiene potenze di 2 o di 5
e potenze di altri fattori primi con 2 e 5, rappresenta un numero periodico misto.
Lasciamo la dimostrazione per esercizio, proponendo un esempio numerico.
Esempio 67
Consideriamo il numero periodico misto 12,356 , se lo moltiplichiamo per 10 (101, dove 1 è la il numero di cifre
dell’antiperiodo) otteniamo il numero periodico semplice
129
I perché della matematica elementare
12356 − 123
è perio999
dico semplice con lo stesso periodo. Ma allora
123,56 12356 − 123 12233
12,356 =
=
=
, che è una frazione il
10
9990
9990
cui denominatore contiene potenze di 2, e di 5 e potenze diverse da 2 e 5.
123,56 , che abbiamo visto può scriversi
La regola per la determinazione della frazione generatrice è la
seguente.
Regola 6
Si ha: A, b1b2 ...bn c1c2 ..c p =
Ab1b2 ...bn c1c2 ...c p − Ab1b2 ...bn
999...99 000...00
p
, cioè
n
al numeratore si scriva la differenza fra il numero formato
dalla parte intera, dall’antiperiodo e dal periodo e il numero
formato dalla parte intera e dal periodo, al denominatore tanti
9 quante sono le cifre del periodo seguiti da tanti zeri quante
sono le cifre dell’antiperiodo.
Vogliamo adesso cercare un modo per stabilire l’ampiezza del
periodo, noto che sia solo il denominatore della frazione. Vale
il seguente risultato.
Teorema 31
m
, con n non contenente solo potenze di 2 o
n
5, essa rappresenta un numero periodico il cui periodo è formato da k termini ed il cui antiperiodo è formato da h termini.
Con h e k i minimi numeri naturali verificanti la congruenza
Data la frazione
n
10h ≡ 10h+k .
Non presentiamo la dimostrazione, ma solo degli esempi.
130
Carmelo Di Stefano
Esempio 68
• Consideriamo la frazione
1
. Calcoliamo i resti delle suc7
7
7
7
cessive potenze di 10 modulo 7: 10 ≡ 3, 102 ≡ 2, 103 ≡ 6,
7
7
7
1
104 ≡ 4, 105 ≡ 5, 106 ≡ 1. Vuol dire che
ha un periodo
7
1
di ampiezza 6, e = 0,142857 . In effetti tutte le frazioni
7
con denominatore 7 e numeratore non multiplo di 7, Rappresentano numeri di periodo di ampiezza 6. Per esempio
1154
= 164,857142 .
7
12
12
1
• Consideriamo la frazione
. Calcoliamo: 10 ≡ –2, 102 ≡ 4,
12
12
103 ≡ 4. A questo punto otterremo sempre lo stesso valore,
12
1
quindi 102 ≡ 103 ≡ 4. Pertanto possiamo dire che
rap12
presenta un numero periodico misto di ampiezza del periodo 1, ed ampiezza dell’antiperiodo 2. Effettivamente
1
= 0, 083
12
Un altro fatto curioso che notiamo è quello mostrato nella seguente tabella:
1
7
2
7
3
7
4
7
5
7
6
7
0, 142857 0, 285714 0, 428571 0, 571428 0, 714285 0, 857142
Cioè non solo le cifre che compongono i periodi delle sei frazioni sono sempre le stesse, ma ciascun periodo è una permu131
I perché della matematica elementare
tazione circolare di un altro, ossia le cifre si ripetono nello
stesso ordine, a parte il valore di partenza. Ciò dipende dai risultati delle congruenze delle potenze di 10 modulo 7. Infatti, è
facile capire che se moltiplichiamo un numero periodico semplice n per 10, non facciamo altro che spostare la virgola di un
posto. Così il numero 10n avrà lo stesso periodo di n come
ampiezza, ma esso sarà una permutazione ciclica di quello di n
10
di un passo. Così per esempio
= 1, 428571 , analogamente
7
moltiplicando per 100 avremo un numero periodico il cui pe100
riodo avrà effettuato un ciclo di due passi, quindi
=
7
7
14, 285714 e via di questo passo. Poiché 10 ≡ 3, vuol dire che
3 10
e
hanno lo stesso periodo, allo stesso modo, poiché si
7
7
7
2
100
avrà lo stesso periodo di
e via di questo
ha: 102 ≡ 2,
7
7
passo. Ma allora, dato che i resti delle successive potenze di 10
3
modulo 7 sono 3, 2, 6, 4, 5, 1; possiamo dire che le frazioni ,
7
2 6 4 5
1
, , , si ottengono da
spostando ciascuna volta di
7 7 7 7
7
tanti posti a destra le cifre del suo periodo, quanto la posizione
che esse occupano. Mostriamo un esempio su un'altra frazione
periodica.
Esempio 69
Consideriamo le frazioni di denominatore 13. Abbiamo
13
13
13
13
13
13
10 ≡ 10, 102 ≡ 9, 103 ≡ 12, 104 ≡ 3, 105 ≡ 4, 106 ≡ 1.
Quindi le dette frazioni rappresentano numeri periodi di perio1
do di ampiezza 6. Dato che
= 0, 076923 , facilmente pos13
132
Carmelo Di Stefano
10 9 12 3 4
, , , , , che sono:
13 13 13 13 13
0, 769230 ; 0, 692307 ; 0, 923076 ; 0, 230769 ; 0, 307692 . Notiamo
che mancano i valori delle altre sei frazioni proprie, il che dipende dal fatto che non abbiamo ottenuto tali valori come resti. Consideriamo allora le seguenti congruenze:
siamo costruire i valori di
13
13
13
13
13
13
20 ≡ 7, 2⋅102 ≡ 5, 2⋅103 ≡ 11, 2⋅104 ≡ 6, 2⋅105 ≡ 8, 2⋅106 ≡ 2.
2
Calcoliamo quindi
= 0, 153846 e da tale valore quello delle
13
rimanenti frazioni:
7
5
11
= 0, 538461 ;
= 0, 384615 ;
= 0, 846153 ;
13
13
13
6
8
= 0, 461538 ;
= 0, 615384 .
13
13
Attività
1. Determinare il/i periodo/i delle frazioni di denominatore:
17, 18, 19, 21, 22, 23, 24, 26, 27, 28, 29, 30.
2. Determinare i valori di tutte le frazioni proprie di denominatore 11, 12, 17, 19.
133
I perché della matematica elementare
Il campo dei numeri reali
I Pitagorici pensavano che tutto potesse esprimersi come rapporto di numeri interi, ossia che esistessero solo i numeri razionali. E in effetti questi numeri sembrano abbastanza, perché a differenza degli interi per i quali si procede a salti, nel
senso che per ogni numero intero c’è sempre un numero che lo
precede e uno che lo segue, ciò non accade per i razionali. Infatti se il precedente di 7 è 6 e il successivo 8, qual è il precedente di 3,14? Non certo 3,13 perché per esempio 3,137 è
compreso fra 3,13 e 3,14. E questo ragionamento ci fa capire
che non vi è precedente né successivo, perché possiamo aggiungere cifre a piacere alla parte decimale.
Eppure si dice che gli stessi pitagorici, si parla di un certo Ippaso da Metaponto, mostrarono che non tutte le grandezze sono commensurabili, cioè possono essere espresse come rapporto di numeri interi. Secondo Euclide la dimostrazione di questo
fatto è aritmetica e procede per assurdo.
m
il cui quadrato
n
faccia 2. Ovviamente la frazione è già ridotta ai minimi termi-
Ossia, si supponga che esista una frazione
2
m
ni. Ora se   = 2 ⇒ m 2 = 2n 2 , cioè m2 è un numero pari,
n
quindi si esprime m = 2h, ma allora: (2h)2 = 2n2 ⇒ 4h2 = 2n2
⇒ 2h2 = n2. Cioè anche n2 è pari, quindi anche n è pari. Tutto
ciò è assurdo perché avevamo detto che m e n non avevano fattori in comune, mentre abbiamo visto che sono entrambi pari.
La dimostrazione più probabile effettuata dai pitagorici è invece del tutto geometrica, provando che non è possibile che la
diagonale del quadrato sia commensurabile con il lato, cioè
che esista una misura del lato di cui la diagonale sia multipla
secondo un numero razionale. La dimostrazione avviene anco-
134
Carmelo Di Stefano
ra per assurdo. Se così fosse, per stabilire il fattore di proporzionalità non dobbiamo fare altro che riportare il lato sulla
diagonale, contando quante volte ci rientra. In figura vediamo
che ci entra una volta, ma rimane un pezzo non misurato (indicato con colore rosso).
Passiamo allora ai sottomultipli, aritmeticamente consideriamo
la prima cifra decimale. Pertanto costruiamo un piccolo quadrato di diagonale la parte non misurata e ripetiamo il procedimento, rimane sempre una parte non misurata.
A questo punto è inutile continuare, perché otterremo sempre
un pezzo non misurato, non importa quanto piccolo.
In pratica abbiamo parlato del numero che con simbologia
moderna indichiamo con 2 , e lo chiamiamo numero irrazionale. Questo è un esempio di numero reale non razionale. In
pratica un generico numero irrazionale non è altri che un numero la cui parte decimale non è periodica. E in effetti possiamo determinare quante cifre vogliamo dello sviluppo decimale di 2 , ma non troveremo mai una parte che, da un certo
punto in poi, si ripete. Tutti i radicali quadratici i cui radicandi
135
I perché della matematica elementare
non sono quadrati perfetti sono numeri irrazionali. Il greco Teodoro di Cirene (465 a.C. – 398 a.C.) mostrò l’irrazionalità di
a , per a fino a 17, costruendo la cosiddetta spirale che porta
il suo nome, di cui forniamo una figura.
Tutti i segmenti in blu misurano 1, mentre quelli in rosso
misurano appunto a , quelli tratteggiati sono i segmenti razionali.
Sfruttando queste idee Richard Dedekind (1931 – 1916) nella
sua opera del 1872, Stetigkeit und Irrationale Zahlen, introdusse le cosiddette sezioni dei numeri razionali, definendo in
pratica un numero reale come un’approssimazione di infiniti
numeri razionali.
Esempio 70
Per
definire
2,
consideriamo
gli
insiemi:
2
2
A = {a ∈ ℚ; a < 2} , B = {b ∈ ℚ; b > 2} . Ogni elemento di A e
più piccolo di ogni elemento di B; i due insiemi sono disgiunti,
cioè non hanno elementi in comune; ma contengono tutti i
numeri razionali. Diciamo che essi definiscono il numero irrazionale 2 .
136
Carmelo Di Stefano
Definiamo meglio quello che abbiamo detto nell’esempio.
Definizione 23
Due insiemi numerici A e B per i quali ogni numero di A è minore o uguale di ogni numero di B si dicono insiemi separati.
Esempio 71
Gli insiemi A = {a ∈ ℤ; a < −4} , B = {b ∈ ℤ; b > 5} , sono ovviamente separati, non lo sono invece l’insieme dei numeri pari e quello dei numeri dispari.
Ma gli insiemi che definiscono
2 sono più che separati.
Definizione 24
Due insiemi numerici separati A e B si dicono insiemi contigui,
se, comunque si considera un numero positivo c, esistono
sempre due numeri, a ∈ A e b ∈ B: b – a < c.
In pratica due insiemi contigui sono tali da non ammettere
spazio fra di essi, se non per un solo numero, che essi definiscono. Vale infatti il seguente risultato.
Teorema 32
Dati due insiemi separati e contigui, esiste un unico numero s,
detto loro elemento separatore, per cui si ha: a ≤ s ≤ b, quali
che siano a ∈ A e b ∈ B.
Ecco perciò come Dedekind definisce i numeri reali, come gli
elementi separatori di due sottoinsiemi di numeri razionali fra
loro separati e contigui.
Successivamente vedremo di definire i numeri reali con un
concetto ancora più moderno, quello di limite di una successione di numeri reali.
137
I perché della matematica elementare
Adesso possiamo però definire anche le potenze a esponente
razionale. Che significato possiamo dare alla scritta 21,5? In3
tanto possiamo scriverla sotto la forma frazionaria: 2 2 . A questo punto il significato della potenza è quello di trovare il nu3
2
mero x, se esiste, per cui si ha 2 = x , che possiamo però scrivere anche nella forma seguente:
2
 23 
2
3
2
3
2  = x ⇒ 2 = x ⇒ x = 2
 
Generalizziamo il risultato particolare.
Definizione 25
m
n
Si ha a = n a m , nell’ipotesi che il secondo membro abbia significato.
Esempio 72
3
4
• Abbiamo 37 = 7 33 ; ( −4 ) 3 =
3
4
3
3
( −4 ) = 3 44 ; ( −5) 7 = 7 ( −5) .
5
• Non ha invece significato ( −2 ) 4 , perché non ha significato
4
( −2 )
5
= 5 −32 .
138
Carmelo Di Stefano
Le potenze reali e i logaritmi
Adesso possiamo definire la generica potenza ad esponente reale. Che significato diamo alla scritta 2 2 ?
Esempio 73
Abbiamo visto che 2 si può definire mediante la sezione determinata da A = {a ∈ ℚ; a 2 < 2} = {1;1, 4;1, 41;1, 414;...} e da
B = {b ∈ ℚ; b 2 > 2} = {2;1, 5;1, 42;1, 412;1, 415;...} , pertanto de-
finiamo 2 2 , come sezione dei seguenti insiemi di razionali
C = {21, 21,4, 21,41, 21,414, …}e D = {22, 21,5, 21,42, 21,415, …}
In vista del precedente esempio possiamo porre la seguente definizione.
Definizione 26
Dati i numeri reali positivi h e k, con k definito come sezione
dei numeri razionali A = {a1, a2, …, an, …} e B = {b1, b2, …,
bn, …}, diciamo hk il numero reale definito dalla sezione dei
razionali: C = h a1 , h a2 ,..., h an ,... , D = hb1 , hb2 ,..., hbn ,... .
{
}
{
}
In tal modo il numero hk è ovviamente sempre positivo, ma
perché abbiamo imposto che debba essere anche h > 0?
Esempio 74
Se la definizione precedente valesse anche per basi negative,
2
allora ( −2 ) dovrebbe essere definito dalla sezione
C={(–2)1; (–2)1,4; (–2)1,41; …}e D={(–2)2, (–2)1,5, (–2)1,42, …}.
Purtroppo però non tutti gli elementi di C e di D sono raziona1,41
141
li, per esempio non lo è ( −2 ) = ( −2 )100 = 100 −2141 . Lo stesso
accade se la base fosse 0, perché potrebbe capitare che qualcu139
I perché della matematica elementare
no degli elementi della sezione sia 00, che sappiamo non ha significato, o 0 elevato a un numero negativo che dovrebbe essere uguale al reciproco di 0, anche questo senza significato.
Definita la potenza possiamo pensare a determinare la sua operazione inversa. Ma stiamo commettendo già un errore, dato
che l’elevamento a potenza non gode della proprietà commutativa, pertanto determinare la base conoscendo l’esponente e il
risultato non è lo stesso procedimento che se conoscessimo la
base e il risultato e volessimo determinare l’esponente. In effetti una delle due operazioni, almeno per gli esponenti razionali, la conosciamo già.
Esempio 75
La soluzione dell’equazione x3 = 7, è il numero irrazionale
3
7 . L’equazione x4 = – 7, non ha soluzioni reali.
Non conosciamo invece l’operazione inversa per ricavare
l’esponente.
Esempio 76
La soluzione dell’equazione 2x = 8, è il numero intero 3. Non
ha soluzione l’equazione 2x = 0 o 2x = – 2. E qual è quella
dell’equazione 2x = 7?
L’esempio precedente ci ha imposto delle limitazioni,
nell’equazione bx = a, sia a che b devono essere positivi. in realtà c’è un ulteriore limitazione.
Esempio 77
La soluzione dell’equazione 2x = 1, è il numero intero 0.
L’equazione 1x = 2 non ha soluzione e l’equazione 1x = 1, ha
troppe soluzioni, ogni numero reale.
Quindi possiamo definire la nuova operazione.
140
Carmelo Di Stefano
Definizione 27
La soluzione dell’equazione bx = a (con a > 0, b > 0, b ≠ 1) è il
numero reale detto logaritmo in base b ed argomento a, che si
indica con logb(a)
Dato che il logaritmo è una delle due operazioni inverse
dell’elevamento a potenza, deve verificare proprietà affini a
quelle note per tale operazione. Infatti si ha:
Teorema 33
Si ha
logb(a) + logb(c) = logb(a ⋅ c);
logb(a) – logb(c) = logb(a/c);
c ⋅ logb(a) = logb(ac)
Dimostrazione
Dimostriamo solo la prima.
Chiamiamo x = logb(a) e y = logb(c), ciò significa che si ha:
bx = a e by = c. Ma allora a ⋅ c = bx ⋅ by = bx + y, che è lo stesso
che dire: logb(a ⋅ c) = x + y, che è proprio quello che volevamo
provare.
Come si vede le proprietà delle potenze si trasferiscono ai logaritmi, con le dovute differenze, nel senso che se moltiplicando potenze di uguale base si sommano gli esponenti, sommando logaritmi di uguale base si ottiene un logaritmo di argomento il prodotto degli argomenti. Deve allora esserci anche
per i logaritmi una regola dei segni. Cominciamo a stabilire
cosa deve accadere affinché un logaritmo rappresenti un numero positivo.
Esempio 78
log2(8) = 3 (23 = 8); log2(1) = 0 (20 = 1);
log2(1/2) = – 1 (2 –1 = 1/2); log1/2(4) = – 2 ((1/2)
log1/2(1/16) = 4 ((1/2)4 = 1/16).
–2
= 4);
L’esempio precedente è abbastanza esplicativo e in qualche
modo mostra la validità del seguente risultato generale.
141
I perché della matematica elementare
Teorema 34
> 0 ( a > 1, b > 1) ∨ ( 0 < a < 1, 0 < b < 1)

Si ha: log b ( a )  = 0
a =1
< 0 ( a > 1, 0 < b < 1) ∨ ( 0 < a < 1, b > 1)

Quindi la regola dei segni, rienunciata nella forma il prodotto
di due numeri nella stessa relazione con zero è un numero positivo; il prodotto di due numeri in diversa relazione con zero
è un numero negativo (dove relazione indica maggiore o minore di), viene adattata al caso dei logaritmi nella forma seguente
Regola 7
Il logaritmo in cui base ed argomento si trovano nella stessa
relazione con uno è un numero positivo; il logaritmo in cui
base ed argomento si trovano in diversa relazione con uno è
un numero negativo.
E infatti se logb(a) = c, allora bc = a ed evidentemente se per
esempio è b > 1, allora sarà a > 1 solo se è c > 0, mentre sarà
0 < a < 1 solo se è c < 0. Nella prima figura seguente vi è il
grafico di y = 2x; quindi log2(a), sarà positivo quando a > 1,
mentre sarà negativo quando 0 < a < 1. Questo vale per ogni
funzione y = bx, con b > 1.
Invece y = 0,2x ha il secondo dei grafici seguenti, quindi
log0,2(a), sarà positivo quando 0 < a < 1, mentre sarà negativo
quando a> 1. Questo vale per ogni funzione y = bx, con 0<b<1.
142
Carmelo Di Stefano
Il concetto di infinito e i vari tipi di infinito
Il concetto di infinito è certamente uno dei più delicati e difficili che si trovano ad affrontare non solo le scienze, ma anche
le discipline filosofiche. La prima questione è definire cosa intendiamo con il dire che un insieme è infinito. Rispondere che
infinito è ciò che non è finito, ovviamente è una non risposta,
perché dovremmo chiarire cosa è il finito. Il primo assioma
che viene messo in discussione dal concetto di infinito è quello
aristotelico che afferma il tutto è maggiore della parte. Questo
ci convince tutti, perché certamente la torta intera è più di una
delle sue fette. Solo che questo discorso è valido solo se gli insiemi che prendiamo in considerazione sono finiti, come si accorse Galileo Galilei, che nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, del 1638, fece dire ai
suoi personaggi
Salviati – Onde se io dirò, i numeri tutti, comprendendo i quadrati e i non quadrati, essere più che i quadrati soli, dirò proposizione verissima, non è così?
Simplicio – Non si può dir altrimenti.
Salviati – Interrogando io di poi, quanti siano i numeri quadrati, si può con verità rispondere, loro esser tanti quante sono le proprie radici, avvenga che ogni quadrato ha la sua radice, ogni radice il suo quadrato, né quadrato alcuno ha più
d’una sola radice, né radice alcuna più d’un quadrato solo.
Simplicio – Così sia.
Salviati – Ma se io domanderò, quante siano le radici, non si
può negare che elle non siano quante tutti i numeri, poiché
non vi è numero alcuno che non sia radice di qualche quadrato; e stante questo, converrà dire che i numeri quadrati siano
quanti tutti i numeri, poiché tanti sono quante le lor radici, e
radici sono tutti i numeri: e pur da principio dicemmo, tutti i
numeri esser assai più che tutti i quadrati, essendo la maggior
parte non quadrati.
143
I perché della matematica elementare
Galileo osservò che l’insieme dei numeri naturali contiene
strettamente l’insieme dei quadrati perfetti, nel senso che è diverso da quello (3 è naturale ma non è un quadrato). Eppure
ogni numero naturale si può associare al proprio quadrato, non
ci sono numeri naturali che non hanno quadrato, quindi vuol
dire che i numeri naturali sono quanti i quadrati perfetti. Questo è un risultato paradossale, nel senso non che sia assurdo,
ma che è inatteso. Non ci aspettiamo che qualcosa della quale
siamo convinti che sia più grande di un’altra, invece sia a essa
uguale. Prima di continuare dobbiamo stabilire se questo ragionamento è corretto. Possiamo confrontare due insiemi con
il metodo dell’accoppiamento? Certamente sì, poiché in questo
modo siamo in grado di stabilire se alla fine della procedura ci
rimane qualcosa, e quindi uno dei due insiemi è maggiore
dell’altro o no, e perciò sono uguali. Perlomeno nel caso di insiemi finiti esso funziona senz’altro.
Possiamo allora stabilire un concetto di uguaglianza numerica
fra insiemi.
Definizione 28
Se vi è una corrispondenza biunivoca di A in B, diciamo che A
e B sono equipotenti.
Corrisponedenza biunivoca significa appunto che ogni elemento di A è accoppiato a uno di B e viceversa, senza che vi siano
elementi di A o di B che non abbiano associato alcun elemento, né elementi che abbiano associati più di un elemento.
Richard Dedekind (1831 – 1916), caratterizzò gli insiemi infiniti usando l’osservazione di Galileo, e ponendo la seguente
definizione.
Definizione 29
Diciamo che un insieme A è infinito se può mettersi in corrispondenza biunivoca con un suo sottoinsieme proprio.
144
Carmelo Di Stefano
Definizione 30
Diciamo che l’insieme dei numeri naturali e qualsiasi insieme
a esso equipotente ha la potenza del numerabile ed indichiamo
tale potenza con il simbolo ℵ0 , che si legge Aleph45 con zero.
Dire che un insieme è numerabile vuol dire che lo possiamo
trattare come i numeri naturali, cioè possiamo scrivere i suoi
elementi ordinati in modo che essi si possano indicare con un
numero naturale, che stabilisce la posizione che occupano,
cioè {a1, a2, a3, …, an, …}. Ricordiamo che l’insieme ℕ è bene ordinato, cioè che ogni suo sottoinsieme ha un primo elemento, cosa che non accade per esempio per l’insieme ℤ dei
numeri interi relativi se lo ordiniamo secondo grandezza, eppure anche ℤ è numerabile.
Esempio 79
Poniamo in relazione gli insiemi ℕ e ℤ , con la seguente legge: a ogni intero positivo associamo il suo doppio (per esempio 1 → 2, 2 → 4, 3 → 6, …), a zero associamo 1, a ogni numero negativo associamo il successivo del doppio del loro valore assoluto (per esempio –1 → 3, –2 → 5, –3 → 7, …).
La relazione così definita è una corrispondenza biunivoca, infatti preso un qualsiasi numero intero sappiamo associargli un
numero naturale (per esempio al numero intero –540 associamo 2 ⋅ 540 + 1 = 1081), e viceversa a ogni numero naturale
sappiamo associare un numero intero relativo (per esempio al
673 − 1
numero 673 associamo −
= −336 .
2
Nell’esempio precedente abbiamo bene ordinando ℤ , dato che
lo abbiamo scritto nel modo seguente: {0, 1, –1, 2, –2, …}, e
quindi è vero che abbiamo sempre un primo elemento per ogni
suo sottoinsieme, ma questo però non è un ordine secondo
45
Aleph è la prima lettera dell’alfabeto ebraico.
145
I perché della matematica elementare
grandezza, nel senso che non è vero, come invece succede in
ℕ che ogni elemento, escluso il primo, cioè 1, è più grande di
tutti quelli che lo precedono di posizione. Però è un ordine, dato che appunto possiamo definire una nuova relazione dicendo
che un elemento è minore di un altro se lo precede nella sequenza, ovviamente in questo modo avremo il risultato inatteso che si avrà per esempio 1 < –1, che non è assurdo, ma semplicemente strano, dato che è appunto un ordine diverso da
quello per così dire naturale.
Ovviamente potremmo inventare infinite leggi per mettere in
corrispondenza biunivoca ℕ e ℤ e quindi per bene ordinare
ℤ.
Vale anche il seguente risultato.
Teorema 35
L’unione di insiemi numerabili è numerabile.
Dimostrazione
Consideriamo il caso di solo due insiemi, facilmente potrà generalizzarsi.
Siano A = {a1, a2,…, an,…} e B = {b1, b2, …, bn,…}, facilmente possiamo ordinare A ∪ B, infatti scriviamo {a1, b1,a2,
b2, …, an, bn,…} che è un buon ordinamento. Si potrebbe obiettare che A e B possono non essere disgiunti, e quindi in
questo modo nella nostra sequenza vi sono elementi ripetuti,
basta semplicemente eliminarli, senza che ciò incida sulla numerabilità.
Che gli interi e i razionali siano tanti quanti non sorprende più
di tanto, più strano è invece che anche i razionali non sono più
dei naturali. Sembra cioè molto strano che i numeri razionali
per i quali non vi è il concetto di precedente e di successivo,
come già osservato, possano poi scriversi in un ordine per il
quale invece questi concetti hanno senso. Ma il grande matematico tedesco di origine russe George Cantor (1845 – 1918),
provò il seguente risultato.
146
Carmelo Di Stefano
Teorema 36
L’insieme ℚ dei numeri razionali è numerabile.
Dimostrazione
Ordiniamo intanto solo i razionali non negativi che scriviamo
come mostrato di seguito.
0
1
1
1
1 2
2 1
1 3
3 1
1 2 3 4
4 3 2 1
............................
In pratica in ogni riga scriviamo tutte le frazioni a/b, ridotte ai
minimi termini, in modo tale che a + b sia uguale alla posizione che occupa la riga. Così nella prima riga vi è l’unica frazione che, ridotta ai minimi termini, ha per somma dei suoi termini 1, nella seconda quella di somma 2, in generale nella n–
esima quelle frazioni ridotte ai minimi termini, il cui numeratore e denominatore hanno somma n. All’interno di ciascuna
riga scriviamo le frazioni ordinate in modo che sia scritta per
prima quella che ha il numeratore minore. In questo modo nella tabella abbiamo scritto tutti i numeri razionali. Vogliamo far
vedere che questo potrebbe costituire il buon ordinamento che
cerchiamo. Dobbiamo perciò costruire la relazione che pone in
corrispondenza biunivoca i razionali con i naturali, e per far
ciò usiamo il cosiddetto primo procedimento diagonale di
Cantor, che consiste nel toccare tutti gli elementi della tabella
nel modo indicato di seguito.
147
I perché della matematica elementare
0
↓
1
1
↓
1
1
2
→
ւ
2
1
1
3
→
ւ
3
1
1
2
3
4
→
→
→
ւ
4
3
2
1
...........................
Così avremo la seguente corrispondenza biunivoca
0
1
1
2
1
3
1
2
3
4
→1, → 2, →3, → 4, →5, → 6, → 7, →8, →9, →10,...
1
1
2
1
3
1
4
3
2
1
Quindi ℚ+ è numerabile, d’altro canto ℚ = ℚ + ∪ ℚ− , e quindi
per il Teorema 35, anche ℚ è numerabile.
Perciò il buon ordine dei razionali positivi è il seguente.
0 1 1 2 1 3 1 2 3 4 
ℚ+0 =  , , , , , , , , , ,...
1 1 2 1 3 1 4 3 2 1 
Ovviamente anche in questo caso avremo un ordine che non
coincide con quello naturale, dato che per esempio si avrà
1 1
< . A questo punto potrebbe sembrare che qualsiasi insieme
1 2
infinito sia numerabile. Ciò non è affatto vero.
Teorema 37
L’insieme ℝ dei numeri reali non è numerabile.
Dimostrazione
Stavolta usiamo il cosiddetto secondo principio diagonale di
Cantor. Supponiamo per assurdo che ℝ sia numerabile, ciò
significa che si può scrivere ℝ = {r1, r2, r3, …, rn, …}. Adesso facciamo vedere invece che esiste un numero reale a cui
148
Carmelo Di Stefano
non è associato alcun numero naturale. Un numero reale lo
possiamo scrivere z,a1a2a3a4…. In cui le ai sono cifre che potrebbero anche essere tutte uguali fra di loro, come nei numeri
interi in cui sono tutte uguali a zero, o tutte che non seguono
una semplice legge, come quelle di 2 . Supponiamo che si
abbia per esempio r1 = – 2,12437…; r2 = 122,41903…;
r3 = 0,12983…; r4 = – 47,02578…; … Costruiamo adesso un
numero reale che è diverso da ciascuno dei numeri reali indicati con ri, semplicemente scrivendo un numero la cui parte intera è 0, la sua prima cifra decimale è diversa dalla prima cifra
decimale di r1, la sua seconda cifra decimale è diversa dalla
seconda cifra decimale di r2, la sua terza cifra decimale è diversa dalla terza cifra decimale di r3, e in generale la sua n–
esima cifra decimale è diversa dalla n–sima cifra decimale di
rn. Ovviamente faremmo sempre in modo da evitare il periodo
9. Questo numero che potrà essere, con i dati da noi scelti, per
esempio 0,2643..., è un numero reale ma è diverso da ogni ri.
Quindi abbiamo la tesi.
Attività
1. Porre in corrispondenza biunivoca ℤ con i naturali pari.
2. Trovare un buon ordinamento di ℤ diverso da quello proposto.
3. Trovare un buon ordinamento di ℚ diverso da quello
proposto.
4. Mostrare che sono numerabili i seguenti insiemi:
1 3 5 
3
 , , ,... , l’insieme dei multipli di 8; {1, 8, …, n , …}
3 5 7 
5. Provare che l’insieme dei numeri reali negativi non può
essere numerabile.
6. Provare che l’insieme dei numeri irrazionali non può essere numerabile.
7. Provare che un segmento di lunghezza 1 ha “tanti punti”
quanto una retta.
149
I perché della matematica elementare
8.
Supponiamo che in una certa galassia esista l’hotel di Hilbert, formato da infinite stanze, ciascuna con un ben determinato numero intero posto sulla sua porta. Un certo
giorno l’hotel risulta esaurito, tutte le sue infinite stanze
sono occupate da infiniti ospiti. La sera giunge un altro
ospite. L’albergatore riesce ugualmente ad alloggiarlo in
una stanza, facendo spostare ciascun ospite nella camera
successiva, lasciando così vuota la prima camera che sarà
perciò destinata all’ospite sopraggiunto. Mostrare che è
possibile sistemare nell’hotel di Hilbert esaurito altri 10
clienti.
150
Carmelo Di Stefano
I limiti e i calcoli all’infinito
Ripartiamo dalla definizione dei numeri reali come elementi di
separazione delle sezioni di numeri razionali. Questo discorso
può essere migliorato considerando particolari sezioni dei numeri razionali.
 1 n

Sia per esempio A = 1 +  , n ∈ ℕ  . Questo è un sottoin n 

sieme infinito dei numeri razionali, dato che la potenza intera
di un numero razionale è ancora un numero razionale. Da un
punto di vista storico questo insieme è molto importante perché definisce un importantissimo numero reale. Vogliamo vedere come ciò accade. Intanto cerchiamo di capire da cosa nasce l’esigenza di considerare un insieme simile.
In economia particolare rilevanza ha la questione della cosiddetta capitalizzazione, ossia la questione di prestare una somma a qualcuno (in genere una banca o una società, ma anche lo
stesso Stato) per un certo periodo di tempo, ricevendo in cambio un interesse, ossia una somma percentuale a intervalli
temporali prefissati, per tutta la durata del prestito, oltre ovviamente al capitale prestato alla fine. Per esempio i cosiddetti
BTP (Buoni del Tesoro Poliennali) pagano un interesse fisso,
sempre lo stesso per la durata del prestito, a cadenze semestrali.
Esempio 80
Se acquistiamo 10000 euro di BTP al 3%, ogni sei mesi riceveremo come interesse la somma di 150 euro (l’interesse è annuale, quindi è 1,50% al semestre) decurtata dalle tasse. E ciò
accadrà ogni sei mesi fino alla scadenza naturale del prestito o
a qualche fatto eccezionale che comporti un rimborso anticipato del prestito.
Il precedente esempio rappresenta la cosiddetta capitalizzazio-
151
I perché della matematica elementare
ne semplice, che consiste appunto nel pagamento sempre uguale di una data somma a intervalli di tempo sempre uguali.
Ci sono però altri tipi di capitalizzazione.
Esempio 81
Alcune società emettono delle obbligazioni in cui l’interesse
viene maturato (fisso o variabile) sempre a scadenze prefissate, ma invece di essere liquidato viene aggiunto al capitale. In
tal modo, poiché l’interesse è sul capitale maturato e non su
quello iniziale, alla scadenza successiva si incamererà una
quota maggiore di interesse. Così mentre nel caso del BTP
precedente, riceviamo sempre 150 euro lordi ogni sei mesi e
alla fine del prestito ci vengono restituiti i nostri 10000 euro,
in questo modo, il primo semestre i nostri 150 euro aumenteranno il capitale, che varrà 10150 euro, pertanto il secondo
semestre l’interesse maturato non sarà più di 150 euro, bensì di
10150 ⋅ 0,015 = 152,25 euro. E il semestre successivo sarà
10302,25 ⋅ 0,015 = 154,53 euro, e così via.
Non è difficile mostrare la validità del seguente risultato generale.
Teorema 38
Un capitale iniziale C0, investito a un tasso periodico i in regime di capitalizzazione composta, dopo n periodi diviene:
Cn = C0 ⋅ (1 + i)n
Dimostrazione
Alla fine del primo periodo il capitale sarà
C1 = C0 + C0 ⋅ i = C0 ⋅ (1 + i).
Alla fine del secondo periodo diventerà
C2 = C1 + C1⋅i = C1⋅(1 + i) = C0 ⋅ (1 + i) ⋅ (1 + i) = C0 ⋅ (1 + i)2.
Non è difficile capire che si avrà anche
C3 = C0 ⋅ (1 + i)3; C4 = C0 ⋅ (1 + i)4; e quindi in generale:
Cn = C0 ⋅ (1+ i)n.
152
Carmelo Di Stefano
Un caso molto interessante è quando l’interesse dipende dal
1
periodo, ed è uguale al suo reciproco. Cioè i = . In questo
n
n
 1
caso la legge diviene Cn = C0 ⋅ 1 +  . Ecco quindi da dove
 n
nasce il nostro sottoinsieme. In effetti potrebbe sembrare poco
realistica una capitalizzazione in cui l’interesse diminuisca con
il passare del tempo, ma ciò non è vero, ci sono diversi casi di
obbligazioni reali che operano in questo modo. Un esempio
interessante si ha nei mutui, in cui il cosiddetto interesse passivo, ossia la quota del prestito su cui si può usufruire del rimborso di una parte nella dichiarazione dei redditi, diminuisce in
percentuale proprio con l’aumentare del numero delle rate.
Studiamo adesso gli elementi del nostro sottoinsieme.
Esempio 82
Usando una calcolatrice o un CAS vediamo che il 10° elemen10
to di A è
100
1 

1 +

 100 
1

1 +  ≈ 2,5937 , il 100° elemento è
 10 
1000
1 

≈ 2, 7048 , il 1000° è 1 +

 1000 
≈ 2, 7169 .
In pratica ci accorgiamo che gli elementi ordinati di A si assomigliano fra di loro all’aumentare della loro posizione, nel
senso che la differenza fra due elementi successivi si avvicina
sempre di più a zero all’aumentare della posizione. Quello che
succede è che scorrendo gli elementi assistiamo a un processo
di sistemazione delle cifre, nel senso che, a partire da un certo
elemento in poi, tutti quelli che lo seguono hanno la stessa parte intera (ciò succede già a partire dal primo elemento), da un
altro elemento hanno tutti la stessa prima cifra decimale (tutti
hanno prima cifra uguale a 7, da n = 74) e così via.
Usando una simbologia più efficace scriviamo nel modo se153
I perché della matematica elementare
n
 1
guente: lim 1 +  = 2, 718281828459045... Questo numero
n →∞
 n
si indica con il simbolo e. Non è un numero razionale, anche
se inizialmente sembrava un numero periodico misto di periodo 8281. Lo stiamo definendo mediante una successione di
numeri razionali che rappresentano una sua approssimazione
per difetto, dato che tutti i numeri sono a esso inferiori, anzi
ogni numero è minore di quello che lo segue. Poniamo adesso
una definizione generale per processi simili a questo.
Definizione 31
Diciamo che il limite di una successione {an}n è il numero reale ℓ e scriviamo lim an = ℓ , se comunque fissiamo un numero
n →∞
positivo ε a piacere, esiste un numero naturale h, a partire dal
quale tutte le differenze |an – ℓ | risultano minori di ε.
La precedente definizione supera il problema causato
dall’intuizione, secondo la quale per esempio, dopo avere otten
 1 

nuto, per la successione A = 1 +  , n ∈ ℕ  , valori che si
 n 

stabilizzano attorno a 2,71828182, avremmo detto che il limite
è il numero razionale 2, 718281 . Infatti se così fosse, scegliendo ε = 10–10, comunque consideriamo un elemento della successione dovrebbe accadere |an – 2, 718281 | < 10–10 e invece
ciò non succede perché a un certo punto otterremo invece
an = 2,718281828… e |2,71828182845… – 2, 718281 | ≈
0,00000000027 > 10–10 e tutti gli elementi successivi ad an verificheranno la stessa disuguaglianza.
In pratica è come se avessimo definito il numero e come sezione dei seguenti insiemi di numeri razionali
A = {2; 2,7; 2,71; 2,718; 2,7182; 2,71828; 2,718281;
2,7182818; 2,71828182; 2,718281828, …} e B = {3; 2,8;
154
Carmelo Di Stefano
2,72; 2,719; 2,7183; 2,71829; 2,718282; 2,7182819;
2,71828183; 2,718281829, …}, in cui i generici elementi an e
bn che occupano la ennesima posizione, verificano la proprietà
bn = an + 10n – 1.
Attività
Verificare la validità dei seguenti limiti, calcolando alcuni valori a piacere delle relative successioni.
n
n
n2
1 
1 
 1


lim 1 −  = e −1 ; lim 1 + 2  = 1 ; lim  1 + 2  = e
n →∞
n →∞
n →∞
 n
 n 
 n 
2
2n − 1
3n − 2
n −1
lim
= 1 ; lim
= 3 ; lim 3 = 0
n →∞ 2 n + 1
n →∞ n + 3
n →∞ n
3
n+ n 1
lim n + 1 − n = 0 ; lim 2 + = 2 ; lim
=
n →∞
n →∞
n
→∞
n
2n − 3 2
(
)
155
I perché della matematica elementare
La strana aritmetica dei limiti
Abbiamo definito il concetto di limite per successioni che convergono cioè che si avvicinano a un numero, e lo abbiamo usato in modo intuitivo e, visto lo scopo di questo lavoro, continueremo a fare in questo modo.
Definiamo adesso il limite per successioni che invece tendono
ad assumere valori sempre più grandi senza alcuna limitazione. Se consideriamo la successione {n} dei numeri naturali, è
ovvio che essa non si avvicina ad alcun numero, ma
all’aumentare della posizione presenta elementi sempre più
grandi, diciamo che diverge positivamente.
Definizione 32
Diciamo che il limite di una successione {an}n è +∞ e scriviamo lim an = +∞ , se comunque fissiamo un numero positivo M
n →∞
a piacere, esiste un numero naturale h, a partire dal quale tutti
gli elementi della successione sono maggiori di M.
Esempio 83
È importante che la proprietà valga per tutti gli elementi a partire da un dato posto. Per esempio la successione {1, –2, 3, –4,
…, –2n, 2n + 1, …} formata dai naturali cambiando il segno a
tutti i numeri pari, contiene numeri più grandi di qualsiasi numero fissato, ma non è divergente a più infinito. Infatti qualsiasi numero positivo M fissiamo e qualsiasi elemento della
successione consideriamo non sarà possibile che tutti gli elementi successivi a questo siano maggiori di M, perché fra questi ci sono sempre infiniti numeri negativi.
Vogliamo mostrare che l’aritmetica dei limiti è molto diversa
da quella dei numeri reali. Abbiamo detto che la scritta 1/0 è
priva di senso nei numeri reali, mentre non lo è nell’aritmetica
dei limiti.
156
Carmelo Di Stefano
Esempio 84
Consideriamo la successione {n} che abbiamo già visto essere
divergente a più infinito. Essa può anche scriversi nella forma
 
1
 1  . Se n aumenta a dismisura, il suo reciproco diminuisce a
 
 n n
1
dismisura, per esempio 50 = 10 −50 , che è numero molto pros10
simo a zero. Non è difficile capire che possiamo dire che si ha:
1
lim = 0 . Ciò significa che, dal punto di vista aritmetico,
n →∞ n
 1
lim n = lim 1:  = +∞ , cioè per i limiti vale la seguente un →∞
n →∞
 n
guaglianza: 1/0 = + ∞.
Ma accade qualcosa di ancora più sorprendente perché non vale neanche la più sicura delle operazioni aritmetiche secondo
la quale 1 + 1 = 2, che in generale afferma che x + x = 2x.
Esempio 85
È facile convincersi della validità di questa uguaglianza: lim n = +∞ ⇒ lim 2n = +∞ . Cioè n + n = n, dato che ai fini
n →∞
n →∞
dei limiti n e 2n sono da considerarsi equivalenti.
Ma vi è di più, perché vale la cosiddetta legge del più forte.
Esempio 86
Si ha ovviamente: lim n 2 = +∞ e lim ( − n ) = −∞ , allora quanto
n →∞
n →∞
vale lim ( n − n ) ? Fosse stata una somma non avremmo avuto
2
n →∞
problemi a dire che il risultato sarebbe stato ancora + ∞. Ma
per la differenza? Se ragioniamo con l’aritmetica dei numeri, e
157
I perché della matematica elementare
consideriamo il simbolo + ∞ alla stregua di un numero ci troveremmo davanti all’operazione + ∞ – ∞, che pensiamo debba
fare 0. Ma così non è, come ci convinciamo facilmente considerando per esempio il 1000° elemento della successione che
sarà 10002 – 1000, un numero molto distante da zero. In effetti
scrivendo lim ( n 2 − n ) = lim n ⋅ ( n − 1) , ci rendiamo conto che
n →∞
n →∞
la differenza non è altri che un prodotto fra due numeri grandi
e perciò ci convinciamo che si ha lim ( n 2 − n ) = +∞ .
n →∞
Vale quindi il cosiddetto
Principio di sostituzione degli infiniti per le potenze
b1
Si ha lim( an
+ a2nb2 + a3nb3 +... + ak nbk ) = limaM nbM , bM = Max( b1,b2,..., bk )
1
n→∞
n→∞
Esempio 87
Si ha: lim ( n 4 − 101000 n3 ) = lim n 4 = +∞ , anche se apparenten →∞
n →∞
mente, considerando alcuni elementi della successione sembrerebbe che n3 a causa del suo altissimo coefficiente abbia,
inizialmente, il sopravvento su n4. Per esempio per n = 1010,
avremo (1040 – 101000 ⋅ 1030) < 0. Ma il concetto di limite implica che i conti si facciano alla fine e avendo a che fare con
insiemi infiniti, prima o poi n4 farà valere la propria forza. Infatti per n = 101000, dovremo confrontare 104000 e 104000, pertanto da adesso in poi n4 diventerà sempre più grande. Per esempio per n = 102000, avremo (108000 – 107000) ≈ 108000.
Tenuto conto dei precedenti esempi stabiliamo non solo che le
regole dell’aritmetica non sempre valgono per i limiti, ma anche che non sempre vi sono regole che possano applicarsi in
generale, senza conoscere le successioni su cui stiamo lavorando.
158
Carmelo Di Stefano
Esempio 88
SI ha: lim ( n 2 − n 2 ) = 0, lim ( n 2 − n ) = +∞; lim ( n − n2 ) = −∞; e
n →∞
3
2
n →∞
n →∞
3
n −n +1
n
= lim 3 =1 cioè + ∞ – ∞ potrebbe dare qualsiasi ri3
n→∞ n + n − 2 n→∞ n
sultato.
lim
Espressioni come le precedenti si chiamano forme indeterminate, proprio perché non siamo in grado di dire quanto valgono se non le studiamo caso per caso. Abbiamo già visto la successione che definisce il numero e, che è un esempio di forma
indeterminata 1∞.
Forme indeterminate
+ ∞ – ∞; 0 ⋅ ∞; 0/0; ∞/∞; 00; 1∞; 0∞
Attività
1. Mostrare che 1/∞ = 0.
2. Mostrare che 0/0 è una forma indeterminata.
3. Mostrare che 0 ⋅ ∞ è una forma indeterminata.
4. Mostrare che ∞/∞ è una forma indeterminata.
5. Mostrare che ∞ + ∞ non è una forma indeterminata.
6. Mostrare che ∞/0 non è una forma indeterminata.
7. Mostrare che 0/∞ non è una forma indeterminata.
159
I perché della matematica elementare
Sommiamo l’infinito
Un’altra stranezza che viene fuori quando trattiamo l’infinito
si ha nella somma appunto di infiniti termini. Già Zenone di
Elea (489 a.C. – 431 a.C.), aveva messo in luce la questione
nel suo famoso paradosso di Achille e della tartaruga. Lo possiamo enunciare in questo modo semplice:
Achille e la tartaruga fanno una gara di corsa, dato lo strapotere di Achille, detto piè veloce, questi lascia un certo margine
di vantaggio alla tartaruga. Riuscirò Achille a raggiungere la
tartaruga?
Zenone affermò che così facendo Achille non raggiungerà mai
la tartaruga, poiché se per esempio la distanza iniziale che li
separa fosse 100 m, quando Achille li avrà percorsi, la tartaruga avrà percorso (se la sua velocità è 1/10 di quella di Achille)
10 m; e quando Achille li percorrerà la tartaruga avrà percorso
1 m. Per Zenone quindi Achille non raggiungerà mai la tartaruga perché per ogni tratto x che egli percorre, la tartaruga nello stesso tempo si sarà spostata di x/10. Ovviamente il ragionamento è brillante e convincente, ma lo stesso abbiamo dei
dubbi, nella pratica sappiamo che non è così. Deve esserci un
trucco. Per svelarlo ragioniamo matematicamente.
Supponiamo che il tratto da percorrere sia pari a 200 m e che
la velocità di Achille sia 10 volte quella della tartaruga, mentre
il vantaggio iniziale della tartaruga sia di 100 m. Supponiamo
anche, senza che ciò modifichi il ragionamento, che in un secondo Achille percorra 10m e quindi la tartaruga 1m. Diciamo
che un semplice calcolo ci fa capire che già prima del dodicesimo secondo Achille ha raggiunto la tartaruga, poiché ha percorso (12 ⋅ 10) m = 120 m contro i (100 + 12 ⋅ 1) m = 112 m
della tartaruga. Vediamo di trovare allora l’errore nel ragionamento di Zenone. Lo spazio percorso dalla tartaruga è dato
dalla seguente somma:
160
Carmelo Di Stefano
100 + 10 + 1 + 10–1 + 10–2 + 10–3 + … + 10–n
in cui n è il numero di suddivisioni del tempo. Però questa
somma è infinita, Zenone pensò semplicemente, come probabilmente farebbe chiunque non avesse molta dimestichezza
con l’infinito matematico, che la somma di infiniti numeri deve essere anch’essa infinito. E questo è il trucco o, per meglio
dire, l’errore di Zenone.
Esempio 89
La precedente somma può anche scriversi:
1 

1 − n +1 
− n −1

−
1
10
= 110 +  10  =
100 + 10 + ∑10− k = 100 + 10 +
−1
1 
1 − 10
k =0
 1 −

10 

1 

 1 − 10n +1 
10 
1 
= 110 + 
= 110 + ⋅  1 − n +1  . Se però i termini

9
9  10 


 10 

10 
1 
sono infiniti la somma è lim 110 + ⋅ 1 − n +1   . L’unico
n →∞
9  10  

1
termine che dipende da n è n +1 , che al crescere di n ovvia10
10 

mente tende a zero. Perciò la somma tende a 110 +  m ,
9

che naturalmente è uno spazio finito.
n
Quindi effettivamente il pensare, come fa Zenone, che sommando infiniti termini debba ottenersi una quantità infinita non
è corretto.
Tenuto conto di quanto visto finora generalizziamo il concetto
di somma infinita.
161
I perché della matematica elementare
Definizione 33
Data una successione { an}n, diciamo serie numerica a essa associata il limite della successione {a1 + a2 + … + an}n, che si
chiama successione dei resti parziali della serie.
Ovviamente non tutte le serie sono convergenti.
Esempio 90
La serie 1 + 2 + 3 + 4 + … + n + …, ha certamente somma infinita, dato che la sua successione dei suoi resti parziali è data
da {1, 3, 6, 10, …} che è una successione formata da numeri
sempre più grandi senza alcun limite e quindi divergente positivamente.
Ci sono poi fatti particolarmente strani. Per esempio la serie
1 1 1
1
1 + + + + ... + n + ... converge perché è dello stesso tipo
2 4 8
2
di quella vista nel paradosso di Zenone, addirittura possiamo
1
1 − n +1
2 = 1 = 2 . Pensiamo allora
dire che la sua somma è lim
n →∞
1
1
1−
2
2
1 1 1
1
che anche la serie 1 + + + + ... + + ... , , detta armonica,
2 3 4
n
che è a essa abbastanza simile sia convergente. Ciò è falso,
come mostriamo di seguito.
Teorema 39
1 1 1
1
La serie 1 + + + + ... + + ... , è divergente.
2 3 4
n
Dimostrazione
Ci limitiamo a dimostrare che non converge. Infatti la sua successione delle somme parziali, si può scrivere nel modo se-
162
Carmelo Di Stefano
1 1 1 1 1 1 1
guente: 1 + +  +  +  + + +  + ... , in cui i termini
2 3 4 5 6 7 8
raggruppati raddoppiano di numero di volta in volta. Abbiamo
1 1
1 1 1 1 1
che
>
e quindi + > + =
. allo stesso modo
3 4
3 4 4 4 2
1 1 1
1
, ,
sono ciascuno maggiore di
e perciò
5 6 7
8
1 1 1 1 1 1 1 1 1
+ + + > + + + = . ciò vale ovviamente per tut5 6 7 8 8 8 8 8 2
ti, quindi possiamo dire che in generale si ha
1 1 1 1 1 1 1
1 + +  +  +  + + +  + ... >
2 3 4 5 6 7 8
1 1 1 1
1 1 1 1 1 1 1
1 + +  +  +  + + +  + ... = 1 + + + + + ...
2 2 2 2
2 4 4 8 8 8 8
la successione delle somme parziali non è limitata superiormente, non può quindi convergere. In effetti dovremmo provare che la serie diverge, ma ci serviamo di un risultato che dice
che tutte le serie i cui termini sono positivi possono solo convergere o divergere.
La divergenza della serie armonica è anche difficile accettare
perché è molto lenta, per esempio la somma dei suoi primi
100000 termini è di poco maggiore di 12.
Attività
Determinare le seguenti somme
1+
2
n
5
n
4 4
4
+   + ... +   + ... ;
3 3
3
4
2
3
n
3 3
3
1 +   +   + ... +   + ... ;
4 4
4
5 5
5
  +   + ... +   + ...
8 8
8
[+∞ ; 4; 625/1536]
163
I perché della matematica elementare
Probabilmente …
Il problema di studiare gli eventi reali che non hanno un esito
sempre certo, è stato considerato praticamente da sempre nella
storia delle Matematiche, soprattutto in considerazione delle
scommesse attorno ai giochi. Consideriamo il seguente esempio.
Esempio 91
Se dovessimo scommettere 1 euro che lanciando una moneta
venga fuori testa, ci sembra corretto che anche il nostro antagonista paghi la stessa somma nostra se perde. Ma se invece
scommettiamo che lanciando un dado venga fuori il 3, se vinciamo quanto ci sembra giusto ricevere, se perdendo paghiamo
1 euro?
È ovvio che i due casi visti nell’esempio debbono essere trattati in modo molto diverso. Vediamo come Galileo Galilei, in un
suo breve lavoro del 1612, Sopra le scoperte dei dadi, trattò un
gioco che consisteva nel lanciare tre dadi.
Che nel gioco dei dadi alcuni punti sieno più vantaggiosi di
altri, vi ha la sua ragione assai manifesta, la quale è, il poter
quelli più facilmente e più frequentemente scoprirsi, che questi, il che dipende dal potersi formare con più sorte di numeri:
onde il 3. e il 18. come punti, con tre numeri comporre, cioè
questi con 6.6.6. e quelli con 1.1.1. e non altrimenti, più difficili sono a scoprirsi, che v.g.46 il 6. o il 7., li quali in più maniere si compongono, cioè il 6. con 1.2.3. e con 2.2.2. e con
1.1.4. ed il 7. con 1.1.5., 1.2.4, 1.3.3., 2.2.3.
In pratica egli affermò che lanciando tre dadi era più facile ottenere un 7 piuttosto che un 6, dato che il 7 si può ottenere in 4
modi diversi e il 6 il tre modi.
(46)
Verbi gratia, è il nostro moderno Per esempio.
164
Carmelo Di Stefano
Nel seguito aggiungeva
Tuttavia ancorché il 9. e il 12. in altrettante maniere si compongano in quante il 10. e l’11. perlochè d’equal uso devriano
esser reputati; si vede non di meno, che la lunga osservazione
ha fatto dai giocatori stimarsi più vantaggioso il 10. e l’11.
che il 9. e il 12.
Apparentemente 9, 10, 11 e 12 hanno lo stesso numero di possibili combinazioni, ma l’esperienza di gioco mostra che 10 e
11 escono con maggiore frequenza. Galileo spiegò l’arcano facendo vedere che in realtà il numero di modi possibili doveva
contarsi in modo opportuno.
Per capire il problema partiamo da un caso più semplice, ossia
il lancio di due dadi. Se dovessimo puntare su un punteggio,
quale sarebbe più conveniente? Qui la risposta non matematica
può essere qualsiasi, dato che ciascuno potrebbe avere in simpatia un numero piuttosto che un altro, considerandolo più fortunato. In ogni caso però nessuno punterebbe sul 13 o sull’1,
poiché gli unici punteggi possibili sono i numeri interi compresi tra 2 e 12. Ma 2 può ottenersi solo se su entrambi i dadi
viene fuori 1, mentre 5 per esempio, può contare sulle coppie
(1, 4), (2, 3), (3, 2) e (4, 1). Quindi dal punto di vista matematico chi punta sul 5 avrebbe più probabilità (usiamo questo
vocabolo sempre intuitivamente) di vincere rispetto a chi punta
sull’1. Ciò ovviamente non significa che alla fine le cose andranno in questo modo. Non è la prima volta che il primo
premio di una lotteria venga vinto da chi ha comprato un solo
biglietto, mentre quelli che ne hanno comprati decine o centinaia sono rimasti a bocca asciutta.
Cominciamo allora a precisare ciò che vogliamo trattare.
Definizione 34
Dato un fenomeno F, diciamo suo spazio degli eventi E
l’insieme di tutti i possibili modi, diversi fra di loro, in cui F
può presentarsi.
165
I perché della matematica elementare
Esempio 92
• Se F è il fenomeno punteggio del lancio di due dadi regolari
(cioè entrambi a forma di cubo e con i punteggi da 1 a 6 posti sulle sue facce), non truccati (ossia non vi è nessun marchingegno che favorisca l’uscita di una faccia piuttosto di
un’altra), il suo spazio degli eventi è E = {2,3,4,…, 11,12}.
• Se F è il fenomeno estrazione di un numero al gioco della
tombola avremo invece E = {1, 2, 3, ..., 89, 90}.
Stabilito il luogo dell’azione, dobbiamo adesso definire le eventualità che ivi possono accadere.
Definizione 35
Diciamo evento aleatorio o semplicemente evento, un sottoinsieme dello spazio degli eventi E di un fenomeno F.
Esempio 93
• Nel lancio di due dadi regolari, l’evento uscita di un numero pari è il sottoinsieme {2, 4, 6, …, 12} dello spazio degli
eventi E = {1, 2, 3, …, 11, 12}.
• Estraendo il primo numero sulla ruota di Bari, l’evento uscita di un numero pari è il sottoinsieme {2,4,6,..., 88, 90}.
Ora dobbiamo individuare, fra tutti i casi che possono accadere
quelli che ci interessano.
Definizione 36
Diciamo numero dei casi possibili di un dato evento la cardinalità dello spazio di eventi E a cui esso appartiene; numero
dei casi favorevoli al suo accadere, la propria cardinalità.
166
Carmelo Di Stefano
Esempio 94
• Nell’evento uscita di croce nel lancio di una moneta non
truccata, il numero dei casi possibili è 2 (esce Testa o Croce), quello dei casi favorevoli all’evento è 1 ({Croce}).
• Nell’evento uscita di un numero pari nel lancio di due dadi,
il numero dei casi possibili è 11, quello dei casi favorevoli è
6.
• Nell’evento uscita di un numero dispari maggiore di 37
come primo estratto sulla ruota di Venezia, i casi possibili
sono 90, i casi favorevoli 27 (la cardinalità dell’insieme
{39, 41, 43, …, 87, 89}).
Adesso siamo in grado di definire cosa intendiamo per probabilità.
Definizione 37
Dato un evento il cui spazio degli eventi sia finito, diciamo sua
probabilità secondo Laplace47 il rapporto fra il numero dei casi
favorevoli al suo verificarsi e quello dei casi possibili,
nell’ipotesi che tutti i casi abbiano la stessa possibilità di accadere.
Vediamo alcune delle critiche più frequenti a questa concezione.
• La definizione è circolare, dato che definiamo il concetto di
probabile con quello meno chiaro di equipossibile.
• Qual è il modo corretto di stabilire quali fatti sono importanti perché si abbia un certo esito piuttosto che un altro?
A queste obiezioni potremmo rispondere che
47
Famoso matematico e fisico francese nato nel 1749 e morto nel 1827. Si
occupò brillantemente anche di astronomia con la sua opera in cinque volumi Mecanique celeste.
167
I perché della matematica elementare
• Supponiamo, in fiducia, che tutti gli esiti siano equipossibili
(se la moneta non è truccata c’è la stessa possibilità che
lanciandola esca Testa o Croce).
• Siamo noi stessi a stabilire quali fatti influenzano gli esiti e
a escludere quelli indipendenti (come il colore, il peso o
l’immagine presente su una moneta). Questo fa sì che questa concezione della probabilità venga anche chiamata a
priori.
In ogni caso questo modo di misurare la possibilità che un fatto accada, si può applicare solo a quei fatti a cui possiamo associare spazi degli eventi finiti. Così non possiamo farlo per
esempio per stabilire con che probabilità l’Italia vincerà i prossimi campionati di calcio, infatti qual è lo spazio degli eventi?
Non certo {vince; non vince}, dato che allora la probabilità sarebbe del 50% e ciò sarebbe valido per ogni altra squadra. Ovviamente non è così, tanto è vero che le aziende di scommesse
sportive non quotano allo stesso modo la vittoria di una data
partita o di un torneo, da parte di tutti i partecipanti. Non solo,
ma la stessa squadra per la stessa partita, non è quotata allo
stesso modo da tutte le aziende. In questo caso si usa il cosiddetto punto di vista soggettivista, di cui non ci occuperemo,
perché ha bisogno di una matematica più forte di quella che
stiamo usando noi.
Riprendiamo l’esempio iniziale.
Esempio 95
Lanciando un dado regolare la probabilità che venga fuori un
dato punteggio, per esempio 3, è 1/6. Ciò significa che se vinciamo dobbiamo ottenere più di quello che paghiamo se perdiamo. Quanto di più? Ovviamente 5 volte di più, che sono
appunto il rapporto dei casi a noi sfavorevoli rispetto all’unico
favorevole.
Allora possiamo dare la seguente definizione.
168
Carmelo Di Stefano
Definizione 38
Un gioco fra due contendenti in cui uno ha probabilità p di
vincere e (1 – p) di perdere, con 0 < p < 1, si dice equo se si
1− p 1
vince
= − 1 volte di ciò che si paga in caso di perdita.
p
p
Vediamo che quanto detto è già stato trattato nel 1654, quando
un noto giocatore, il cavaliere di Méré, Antoine Gombaud
(1610 – 1685), pensò di porre a un suo amico, il grande fisico
e matematico Blaise Pascal (1623 – 1662), alcuni quesiti sempre riguardanti il gioco dei dadi. Pascal scrisse a un altro grande matematico dell’epoca: Pierre de Fermat (1601 – 1655) esponendo la questione.
Consideriamo una lettera spedita mercoledì 29 luglio 1654 da
Pascal a Fermat.
Ecco il modo in cui io saprò il valore di ciascuna delle possibilità che hanno due giocatori, quando, per esempio, si vince
in 3 lanci e ciascuno ha scommesso 32 pistole 48. Supponiamo
che il primo di loro abbia già due punti e l’altro 1. Adesso devono effettuare un altro lancio, il cui risultato potrà essere
uno dei seguenti. Se vince il primo, egli vincerà l’intera posta,
cioè 64 pistole. Se invece vince l’altro, il punteggio diverrà 2 a
2, di conseguenza se essi si accorderanno per dividere la posta, ciascuno riavrà indietro le sue 32 pistole. Consideriamo
allora, Signore, che se vince il primo avrà 64 pistole, se invece
dovesse perdere, ne avrà 32. Se il gioco dovesse interrompersi
prima di questo quarto lancio e la posta dovesse essere divisa,
il primo dovrebbe dire “Io sono certo di avere 32 pistole, anche se questo lancio non mi sarà favorevole. Le altre 32 pistole può darsi che le vinca io come può essere che le vinca tu.
Perciò queste 32 pistole le divideremo e le altre 32 saranno
(48)
La pistola era una moneta di uso comune in Francia, ai tempi di Pascal.
169
I perché della matematica elementare
invece tutte mie”. Così il primo dovrebbe avere 48 pistole e il
secondo 16.
Come misurò la probabilità Pascal? Intanto affermò che se la
partita si chiude dopo una sola giocata può finire solo 3 a 1 o 2
a 2. E ovviamente, supposto che la giocata dipenda solo dal
caso e non dall’abilità del giocatore, i due casi sono ugualmente possibili. Ciò ovviamente non porta alla divisione della posta, come se ciascuno avesse il 50% di probabilità di vincere
tutto, perché così non è. Infatti Pascal giustamente disse che il
giocatore in vantaggio può vincere 64 pistole o 32, mentre
l’altro può vincere 0 o 32 pistole. Quindi la suddivisione della
posta, se non giocano la quarta partita, deve essere di 48 pistole a 16, valutando così la probabilità 48/64 = ¾ per il primo
giocatore e 16/64 = ¼ per il secondo.
In pratica Pascal non fece altro che quello che fanno oggi le
aziende di scommesse, anche se non usano questo tipo di matematica, che se per esempio all’inizio della partita hanno stabilito che la vittoria della squadra A è quotata 1,2 (cioè chi
punta 1 euro, se vince ne riceve 1,2), e alla fine del primo tempo il risultato è per esempio di 3 a 0 per la squadra A, la sua
vittoria si profila quasi certa, pertanto la quotazione deve avvicinarsi quasi alla parità o deve addirittura essere interrotto il
flusso di scommesse. Viceversa, se la squadra A vince di misura (1 a 0 o 2 a 1), la quotazione può rimanere uguale o variare di poco. E se infine perde, magari con più di due gol di scarto, la variazione è fatta al contrario, cioè la quotazione può
aumentare a 1,8 o più.
170
Carmelo Di Stefano
Attività
1. Nel lancio di due dadi qual è il punteggio più probabile?
[7]
2. Con che probabilità nel lancio di 3 dadi esce 9 o 10?
[25/216; 27/216]
3. Studiare il caso della partita interrotta se si vince a 3, A ne
ha vinte 2 e B 0 e si interrompe alla terza partita.
4. Studiare il caso della partita interrotta se si vince a 4, A ne
ha vinte 3 e B 2 e si interrompe alla sesta partita.
5. Lanciando due dadi punto sul 4, puntando 1 euro quanto
devo vincere affinché il gioco sia equo?
[11]
171
I perché della matematica elementare
Il teorema di Pitagora
Il cosiddetto teorema di Pitagora è uno dei più utilizzati fra i
teoremi della matematica e la sua importanza dipende anche
dal fatto che esso è una condizione necessaria e sufficiente.
Ossia non solo vale per i triangoli rettangoli, ma vale solo per
essi, è perciò una loro caratteristica. Quando vediamo che i
muratori per stabilire se due pareti sono fra loro perpendicolari, misurano un metro per lato e quindi verificano che il segmento che unisce gli estremi di quelle misure vale circa 1 metro e 41 centimetri, essi stanno inconsapevolmente applicando
il teorema di Pitagora. Infatti 12 + 12 = 2 ≈ 1, 41 .
Il teorema ha origini più antiche di Pitagora e dei suoi allievi
(VI secolo a.C.), infatti si sono trovate tracce che ne confermano la conoscenza nelle civiltà babilonesi, egizie e cinesi.
Una sua dimostrazione, quella più antica registrata con certezza è presentata negli Elementi di Euclide ed è quella presentata
nella maggior parte dei manuali scolastici. Il nome di Pitagora
è associato al teorema poiché pare che egli ne abbia fornito per
primo una sua dimostrazione rigorosa. Non si ha certezza di
quale essa fosse, ma si è orientati a pensare che abbia utilizzato procedimenti meno rigorosi di quelli presenti nell’opera euclidea. È possibile che la dimostrazione pitagorica si sia riferita a una decomposizione simile a quella mostrata nella figura
seguente.
172
Carmelo Di Stefano
In essa, dopo avere costruito i quadrati sui cateti e
sull’ipotenusa si suddivide il quadrato maggiore in 4 triangoli
rettangoli e un quadrato e a uno dei quadrati costruito su uno
dei cateti invece si aggiunge il quadrato costruito sull’altro.
Poi si decompone questa nuova figura, chiamata gnomone, in
modo tale da contenere esattamente i 4 triangoli rettangoli e il
quadratino, in cui avevamo decomposto l’ipotenusa.
Questa procedura sembra molto più aderente alle conoscenze e
ai modi di procedere dell’epoca pitagorica. Vi sono parecchie
simili decomposizioni, noi proponiamo solo quest’altra.
In Euclide sono invece presenti delle generalizzazioni di questo Teorema, che invece raramente sono note. Vediamole. Due
di queste sono l’interpretazione geometrica di quello che si
chiama Teorema di Carnot e che è alla base della trigonometria. In pratica Euclide si chiede cosa accade ai quadrati costruiti sui lati di un triangolo non acutangolo. Nella figura seguente abbiamo tracciato il triangolo rettangolo ABC di ipotenusa AC e due triangoli, uno acutangolo, ABD, e l’altro ottusangolo, ABE, che hanno due lati congruenti ai cateti di ABC.
Il loro terzo lato si capisce facilmente che è più corto, AD, o
più lungo, AE, dell’ipotenusa AC a seconda che il triangolo sia
acutangolo o ottusangolo. Ciò significa che la somma dei quadrati costruiti su due lati è rispettivamente minore o maggiore
173
I perché della matematica elementare
del quadrato costruito sul terzo (il maggiore) a seconda che il
triangolo sia acutangolo o ottusangolo.
Euclide non si limita a questa osservazione, bensì quantifica la
mancanza e l’eccesso nei due casi.
Teorema 40
Dato il triangolo ottusangolo ABC di lato maggiore AB, dette
D ed E rispettivamente le proiezioni del punto A sulla retta per
BC e del punto B sulla retta per AC, si ha la validità della seguente uguaglianza:
2
2
2
2
2
AB = AC + BC + 2 ⋅ AC ⋅ DC = AC + BC + 2 ⋅ BC ⋅ CE
Teorema 41
Dato un triangolo acutangolo ABC, dette D ed E rispettivamente le proiezioni del punto C su AB e del punto A su BC, si
2
2
2
2
2
ha: AC = AB + BC − 2 ⋅ AB ⋅ BD = AB + BC − 2 ⋅ BC ⋅ BE .
174
Carmelo Di Stefano
Non contento di ciò Euclide dimostrò una generalizzazione
ancora più interessante del teorema di Pitagora, ossia che non
è necessario costruire quadrati sui lati di un triangolo rettangolo per ottenere l’uguaglianza fra l’area del maggiore e la somma delle aree degli altri due, ma possiamo costruire tre figure
qualsiasi purché siano fra loro simili. In figura proponiamo un
esempio con degli esagoni regolari.
175
I perché della matematica elementare
Bibliografia
[CR] Courant Richard, Robbins Harold, Che cos’è la matematica?, Boringhieri, Torino 1971.
[D1] Di Stefano Carmelo, Zero ... sia naturale!, apparirà in
Nuova Secondaria.
[O] Ore Oystein, Number theory and its history, Dover, New
York, 1988
[P1] Polya George, La scoperta matematica, in due volumi.
Feltrinelli, Milano 1971.
[P2] Polya George, Come risolvere i problemi di matematica,.
Feltrinelli, Milano 1969.
176