Le olimpiadi di Sochi e la sicurezza A fine dicembre tre gravi attentati hanno colpito Volgograd (ex Stalingrado, nel cuore della Russia), causando 34 morti. Gli atti terroristici erano diretti contro le Olimpiadi che si terranno a Sochi nel mese di febbraio. Le cause sono da ricercare nel separatismo nord caucasico, che si è legato negli ultimi anni alla jihad dell’estremismo islamico, ma che ha origini ben più lontane e radicate nella storia russa. Sembra che gli organizzatori delle olimpiadi non si siano accorti di un particolare drammatico: i Giochi 2014 si svolgeranno esattamente nel 150esimo anniversario del ‘genocidio circasso’ del 1864. La decisione di Mosca, afferma un documento che circola negli Stati nord-caucasici “simboleggia la criminale celebrazione, da parte russo-imperiale, della sistematica repressione e della totale distruzione del popolo circasso. La costruzione del Villaggio Olimpico sui luoghi delle fosse comuni delle vittime, simboleggia la negazione di quelle atrocità”. Sochi, rammenta la dichiarazione, “è la capitale storica della Circassia e uno dei porti da cui furono deportati verso l’esilio, su minaccia di morte, circa un milione di circassi sopravvissuti alla guerra”. Il conflitto fra la Russia ed i paesi del Nord-Caucaso entro il quale si compì anche il dramma circasso, ha radici lontane. Basti pensare alla guerra che durò dal 1817 al 1864 e i cui effetti sono all’origine anche di fenomeni inquietanti dei nostri giorni, dalla radicalizzazione dell’Islam in quelle regioni alla minaccia del terrorismo. Il conflitto nacque dalla contrapposizione di diversi interessi geopolitici, da una parte l’aspirazione dei tre imperi egemoni dell’area, Russia, Turchia e Persia a stabilire il proprio controllo sul Caucaso a tutela della propria “sicurezza”, e, dall’altra, il desiderio delle popolazioni musulmane locali ad avere strutture statali e sociali che non fossero semplicemente la riproduzione dei modelli ottomani o persiani. La guerra caucasica del XIX secolo agitò profondamente anche la coscienza dell’intelligencija russa, come si legge, per esempio, nell’opera di Lev Tolstoj Chadži-Murat. L’Islam nord-caucasico apparteneva, ed appartiene tutt’oggi, alla confessione sunnita, che lo legava all’Impero ottomano e lo differenziava dalla Persia sciita. Strutturalmente l’Islam nord-caucasico era legato alle tariqah, le confraternite sufiche (mistiche) di origine centroasiatica. La vita interna delle confraternite era fondata sul rapporto di fiducia e di obbedienza fra un muršid (maestro) e un gruppo dimurid (discepoli). Questo sistema si prestava ottimamente anche a tessere, col pretesto della religione, una rete di collegamenti operativi militari fra i vari gruppi combattenti. Per questo i russi identificarono il movimento di resistenza nord-caucasico come muridismo. L’indiscusso condottiero della resistenza nord-caucasica ai russi nella guerra del XIX secolo fu l’Imam Šamil, di etnia àvara, nato in Daghestan, nel 1767 e muršid dellaNaqšbandiyyah. Nel 1834 Šamil fondò uno Stato islamico, l’Imamato Ceceno-Daghestano nel quale intraprese la lotta contro la corruzione, affidando pieni poteri ai procuratori delle province, chiamati nawab (da cui, fra l’altro, deriva l’italiano nababbo). Perseguì l’unità linguistico-culturale ceceno-daghestana imponendo come lingua unica l’arabo a fronte delle oltre 15 lingue locali, spesso reciprocamente incomprensibili. La base ideologica di Šamil e dei suoi seguaci era la stessa che anima oggi i movimenti militanti islamici, l’ideologia della jihad, la guerra santa. Šamil evitava il termine: affermava di non volere una guerra santa contro la Russia, e di non aver alcuna intenzione di convertire l’impero degli zar all’Islam, ma mirava solo a condurre una lotta per l’indipendenza nazionale e religiosa. Perciò niente jihad, ma ghazawat, il termine usato da Šamil che significa semplicemente combattimento, senza riferimenti religiosi. Le forze erano comunque impari. Incalzato dalle truppe russe, che avevano ripreso forza dopo la guerra di Crimea, il 25 agosto 1859 Šamil dovette arrendersi all’invasore. I russi gli concessero l’onore delle armi e lo inviarono al confino nella città di Kaluga, a nord di Mosca. Poco dopo Šamil si ammalò e lo zar Alessandro II gli concesse di recarsi in pellegrinaggio (hajj) alla Mecca. Non vi arrivò e morì presso Medina, dove fu sepolto. La maggioranza delle tribù circasse continuò la lotta, fino alla resa del 21 maggio 1864. Tuttavia anche dopo il 1864 la guerriglia contro i russi continuò in vari modi fino allo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre nel 1917. Il periodo successivo, dalla Rivoluzione bolscevica del 1917 allo scoppio della Seconda guerra mondiale nel 1939, per il Nord Caucaso non si distinse molto da quanto successe in altre aree dell’ex impero zarista. Effimere dichiarazioni d’indipendenza, guerra civile (i bianchi contro i rossi), vittoria dei comunisti, inclusione nella Federazione Russa e poi nell’URSS, riorganizzazione etnica (con la spaccatura dei circassi in tre gruppi adyghe, kabardini e circassi propriamente detti, sotto il comando di Stalin, commissario del popolo alle nazionalità), lotta all’Islam, ribellioni dei gorcy, (i “montanari”), collettivizzazione dell’agricoltura, deportazione dei kulakì e di altri oppositori. Non sorprende perciò che allo scoppio della Seconda guerra mondiale nel 1940 le popolazioni del NordCaucaso insorgessero contro il regime comunista. Durante i primi tre anni di guerra disertarono 49.362 ceceni e ingusci, altri 13.389 “montanari” si imboscarono cercando l’alleanza con gli invasori tedeschi che non esitarono a concederla. Nel 1943-1944 arrivò la vendetta di Stalin. Il 21 febbraio 1944 il capo dell’NKVD Lavrenti Beria, accusando i nord-caucasici di “collaborazionismo di massa con le truppe tedesco-fasciste contro i Soviet e l’Armata Rossa”, dispose la deportazione in Siberia, Asia centrale e Kazakistan dell’intera popolazione dei ceceni e degli ingusci. Il primo marzo erano già state deportate 478.479 persone, dei quali 387.229 ceceni e 91.250 ingusci. Dopo la denuncia di Stalin da parte del leader sovietico Nikita Chruščev al XX congresso del PCUS, molti ceceni superstiti tornarono dai luoghi di prigionia, ma conservarono viva la memoria sia della guerra del XIX secolo, sia delle deportazioni del 1943-1944, due avvenimenti storici che hanno assunto per i ceceni un livello identitario. Con lo sfaldamento dell’Unione Sovietica la Cecenia proclamò l’indipendenza sotto la guida di Džochar Dudaev. Il nuovo Stato doveva intendersi come nazionale e islamico, ma laico. La Russia, con i presidenti Boris Eltsin e Vladimir Putin non accettò la secessione delle Cecenia e, dopo averle mosso guerra due volte, la riportò sotto il suo dominio, affidandola prima all’ex muftì Ahmed Kadyrov, ucciso nel 2004 dai ribelli in un attentato a Groznyj, e poi a suo figlio Ramzan Kadyrov. La Cecenia separatista rimase viva in forma clandestina, con il nome di Ičkeria, avendo a capo, dopo Dudaev, Aslan Maschadov, Zelimkhan Jandarbiev (ucciso da emissari russi a Dubai) e ora Doku Umarov che ha ampliato l’obiettivo della lotta mirando alla creazione di un Imarat Kavkaz (Emirato del Caucaso) che dovrebbe riunire tutti i paesi del Nord-Caucaso nel nome di un Islam intransigente. Le guerre russo-cecene, condotte con estrema durezza da entrambe le parti e idealmente riconnesse alla guerra caucasica del XIX secolo, hanno richiamato l’attenzione di tutti i movimenti islamici mondiali animati da risentimenti storici antioccidentali. Le guerre cecene sono diventate un punto di riferimento per ilsalafismo egiziano (i Fratelli Musulmani), per alcune frange del movimento palestinese, come il Hizb utTahrir al-Islami (Partito della Liberazione Islamica), fondato nel 1953 a Gerusalemme Est da Takiuddin anNabhani. Un’influenza notevole sull’idea dell’Imarat Kavkaz è stata esercitata dai deobandipakistani dai quali, nel periodo fra le due guerre mondiali, è nato il movimento deitaliban. I taliban, dopo la guerra civile fra gli ex mujahidin antisovietici, hanno governato dal 1996 al 2001 l’Afghanistan. Gli estremisti nord-caucasici hanno anche ricevuto il sostegno del wahhabiti, integralisti musulmani il cui movimento fu iniziato da Muhammad ibn Abd al Wahhab (1703-1792) in quella che è oggi l’Arabia Saudita, dove la wahhabiyyah ha status ufficiale. I wahhabiti, seguaci di un rigido monoteismo, respingono tutto ciò che nell’Islam è venuto dopo Muhammad e i primi quattro califfi. Per questo essi sono in conflitto con l’islam confraternale. Alla wahhabiyya e ai deobandi risale anche Osama bin-Laden che ha sostenuto i taliban del Mullah Omar in Afghanistan. Questo paese è stato uno dei tre che hanno riconosciuto sul piano internazionale la Cecenia secessionista, insieme con l’Arabia Saudita ed il Pakistan. Appunto attraverso i contatti fra guerriglieri ceceni (spesso addestrati in Afghanistan) e taliban le idee di questi ultimi sono penetrate nel Nord-Caucaso. Le altre repubbliche nord-caucasiche non sono state direttamente coinvolte nelle guerre cecene. Tuttavia da alcuni anni, da quando in Cecenia i russi hanno instaurato il ferreo regime di Ramzan Kadyrov, l’epicentro della guerriglia nord-caucasica si è spostato verso il Daghestan, la repubblica più islamizzata della Russia e anche quella dove l’Islam confraternale è più vicino al potere moscovita. In più occasioni leader dell’Islam sufico sono stati uccisi da esponenti dell’Islam integralista. Uno dei casi più gravi, per l’autorità della vittima, è stato l’assassinio di šeych Said Afandi Čirkejskij, uno dei più autorevoli muršid, compiuto a Bujnaksk il 28 agosto 2012. E la stessa sorte è toccata a decine di altri esponenti confraternali con un effetto notevolmente destabilizzante. Le Olimpiadi di Sochi volute da presidente russo Vladimir Putin per migliorare l’immagine internazionale del paese, stanno provocando l’effetto contrario. L’impianto olimpico è costruito sulle fosse comuni che ospitano le ossa di centinaia di migliaia di vittime morte nelle guerre di conquista condotte in due secoli dalla Russia zarista, sovietica e post-sovietica. Il boicottaggio di Sochi proclamato da alcuni leader occidentali, ha un senso non solo come protesta per certe misure liberticide del Cremlino (diritti degli omosessuali, soprusi contro gli oppositori), ma anche come segno di solidarietà per le centinaia di migliaia di ceceni, ingusci, circassi, daghestani, darghini, lezghi ed altri popoli che si sono sacrificati per la loro indipendenza mentre il resto del mondo non sapeva neppure che esistessero. Fonte: Treccani – Giovanni Bensi Pubblicato in collaborazione con Altitude, magazine di Meridiani Relazioni internazionali © Riproduzione riservata