38 L’Angolo del Fitness TRA VOLARE E CADERE: RITROVARE E MANTENERE LA PEAK PERFORMANCE Q (Foto V. Biffani) uando l’atleta è in flow, è in quello stato di grazia in cui tutto accade senza sforzo, in cui ci si sente un tutt’uno con l’azione, spesso si riesce ad andare oltre, a portare la propria performance all’eccellenza. Ma talvolta nell’atleta, spesso all’improvviso, apparentemente senza motivi evidenti, si rompe qualcosa, non si è più in grado di fare quello che prima avveniva fluidamente. Non riuscire a trovare spiegazioni, errori tecnici, qualcosa di controllabile e quindi di affrontabile, insinua il dubbio: sulle proprie capacità, sulla reale difficoltà del compito, sulle proprie aspettative di performance futura. E questo può offuscare i propri obiettivi, far calare la motivazione che spinge ad allenarsi con impegno, far perdere lucidità e fiducia in sé e negli altri. Può arrivare la paura: di sbagliare, di non riuscire a essere più quelli di prima, di non poter recuperare, né di avere ancora margini di miglioramento. L’atleta perde il flow, lo stato di grazia e con esso l’eccellenza della performance. In queste situazioni, diviene essenziale esaminare in dettaglio i fattori che possono essere implicati nel calo di prestazione. Rapidità e precisione sono d’obbligo per evitare che a difficoltà non ancora chiarite si sommino altri fattori di disturbo. Le caratteristiche e lo stile mentale dell’atleta, oltre a tutti i fattori personali e ambientali che normalmente favoriscono od ostacolano la sua performance vanno analizzati nel dettaglio: l’atleta va capito, profondamente, e così le sue difficoltà. Questo perché solo attraverso un chiarimento della situazione, sia essa mentale o fisica, o legata a specifici contesti, è possibile riprogrammare e cercare di far ripristinare all’atleta le condizioni che lo possono riportare al flow, a riappropriarsi della propria immagine di atleta e, infine, a ritrovare l’eccellenza nella propria performance. Le ipotesi sul perché, dopo una lunga serie di risultati prestigiosi, si possa perdere il flow sono molteplici ed è impossibile passarle in rassegna. Molte però partono da un punto: la vittoria. Talvolta percepirsi come vincente crea nell’atleta aspettative di miglioramento rispetto a uno standard di per sé già elevato: risultano quin- di irrealistiche, o comunque non raggiungibili se non attraverso una precisa definizione degli obiettivi e dei mezzi necessari al loro conseguimento. Viceversa, l’atleta può percepirsi come “non ulteriormente migliorabile”, o provare una sorta di appagamento per quanto già ottenuto, con un calo dell’aspettativa. Ma le aspettative agiscono su meccanismi legati alla percezione di sé, delle proprie capacità, della difficoltà del compito, e finiscono per incidere sulla prestazione. Il “non ci riuscirò” diventa un “non ci sono riuscito”: si tratta dell’Effetto Pigmalione o “effetto delle profezie che si autoavverano”. In altri casi, può essere la motivazione ad avere un ruolo chiave: negli atleti di vertice le motivazioni intrinseche (il piacere nel dare il massimo) e quelle estrinseche (vittoria, fama, premi) si intrecciano spesso profondamente. Talvolta una “striscia positiva” può spingere un atleta motivato intrinsecamente a cercare nelle competizioni successive maggiori soddisfazioni estrinseche. Ma quando l’obiettivo di performance “slitta” in un obiettivo di risultato, può cambiare la disposizione mentale alla gara (“battere quell’avversario” vs. “fare una prestazione perfetta”) o l’impegno in allenamento. Così come i buoni risultati normalmente innescano un aumento dell’autostima e del di Francesca Borgo 39 (Foto Minkus) senso di autoefficacia, il potere/dovere riconfermarsi (o l’ottenere un risultato mediocre) può far emergere una reazione di paura: questo è spesso il caso dei crolli di prestazione in gara a fronte di allenamenti perfetti. Il circolo “paura-ansia-calo attentivo” non solo influenza la performance, ma può aumentare la sensibilità dell’atleta alle fonti di interferenza e distrazione, e con queste il rischio di infortunio. La paura, poi, innesca altra paura: dopo un errore, la paura di rifare quello stesso errore alimenta la paura di fare errori di altro tipo: ciò può compromettere l’esecuzione di un intero esercizio, o di una serie di prove all’interno di una competizione, con ovvie conseguenze. Tra i fattori ambientali, vincere comporta maggiore attenzione da parte dei mass media: aumenta la visibilità, e con essa gli impegni sociali. Questo, così come la necessità di imparare a gestire la propria immagine pubblica, può influenzare pesantemente i ritmi di vita e di allenamento dell’atleta. Ritrovare e mantenere uno standard di performance eccellente sembra spesso molto più difficile che conseguire il primo risultato di prestigio. Ripensando alle considerazioni fatte nello scorso numero sulla relazione tra flow e peak performance, appare fondamentale, all’interno di un programma di preparazione mentale, individuare (1) le cause interne/esterne delle difficoltà esperite dall’atleta e (2) le caratteristiche di flow atleta-specifiche. Di solito, le prime vanno affrontate mediante l’apprendimento di tecniche mentali individualizzate, in base alle necessità e priorità che si sono individuate nella fase di analisi del problema; inoltre, per l’atleta imparare le tecniche porta a un miglioramento dell’autoconsapevolezza rispetto alle proprie risorse, e alla possibilità di riappropriarsi del controllo dei fattori mentali ed esterni che condizionano la sua prestazione. Rispetto al secondo punto, il processo di ottimizzazione della performance dopo un crollo di prestazione si fonda sulla possibilità di riattivare lo stato di flow nell’atleta, insegnandogli a richiamare mentalmente tutte le sensazioni, emozioni e pensieri che caratterizzano il suo stato di flow. Lo scopo è uno: imparare a controllare il flow. Questo processo dipende innanzitutto dal rispetto di alcuni requisiti, sia in allenamento (con compiti adeguati alle capacità dell’atleta, goal ben definiti e misurabili, feedback immediati) sia in gara (con una maggiore importanza data agli obiettivi di prestazione rispetto a quelli di risultato). Fatto questo primo (grosso) passo, normalmente l’atleta è in grado di investire il massimo delle proprie risorse sul compito (che gli permetterà di sentirsi un “tutt’uno” con l‘azione e di provare il piacere legato al “fare” quell’attività); questo favorisce un aumento della motivazione intrinseca, che lo porterà a ricercare e voler affrontare difficoltà maggiori, con una rinnovata consapevolezza delle proprie risorse e capacità di controllo su di sé (sul flow!) e sulla situazione. “Rievocare” mentalmente il flow provato nei momenti di peak performance e “rivivere” tutte le sensazioni ad esso associate, non può che innalzare le aspettative personali. Mantenere eccellente la propria prestazione è un obiettivo percorribile: l’effetto Pigmalione funziona anche in positivo.