Scenari macroeconomici per
il management
1 giugno 2017
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Indice
1 Introduzione
1
1.1
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1
1.2
Regola del 70 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2
2 La crisi attraverso i grafici
7
2.1
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
2.2
Domanda aggregata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8
2.3
Curva di offerta aggregata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
2.4
L’evoluzione della crisi post-2007 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
3 Com’era l’economia mondiale prima della crisi
13
3.1
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
3.2
Fast growers e crescita nelle aree geografiche . . . . . . . . . . . . . 14
3.3
Convergenza e divergenza nei livelli di reddito . . . . . . . . . . . . 16
3.4
Sintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
4 La crisi finanziaria
23
4.1
The nitty-gritty . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
4.2
ABS (Asset Backed Securities), liquidità e credito all’economia . . 30
4.3
Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
5 Recessioni e recuperi
32
5.1
Recessioni e recuperi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
5.2
Cosa succederà nel 2016? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
6 Italia 2016
40
6.1
L’andamento del PIL annuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
6.2
Un rallentamento della crescita mondiale . . . . . . . . . . . . . . . 41
6.3
La domanda interna potrebbe smettere di crescere . . . . . . . . . 43
6.4
Insufficiente contributo del settore immobiliare . . . . . . . . . . . 51
Indice
3 / 75
6.5
La ripresa è stata diseguale tra settori e territori . . . . . . . . . . 51
6.6
Bilanci delle banche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
6.7
Salvataggi bancari: in Europa la musica è cambiata . . . . . . . . . 54
7 Cosa fanno le banche centrali
57
7.1
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
7.2
Le 4 implicazioni della regola di Taylor . . . . . . . . . . . . . . . . 58
8 Tassi di cambio
8.1
63
Tassi di cambio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
9 Fonti per testo e immagini; autori; licenze
69
9.1
Testo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
9.2
Immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
9.3
Licenza dell’opera
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
Capitolo 1. Introduzione
Capitolo 1
Introduzione
1.1 Introduzione
I numeri più importanti sono quelli relativi al PIL (prodotto interno lordo). Nel
calcolo del PIL entra solo il netto della produzione, quindi al netto degli acquisti
dei prodotti intermedi. Ma perché allora è lordo? È al lordo degli ammortamenti,
cioè delle spese per ammortamenti che fanno le imprese. Viene contabilizzato nel
PIL la voce investimenti che include non solo le nuove automobili/immobili che
sono state acquistate dalle aziende, ma anche le spese di investimento che servono
per ammortare, ovvero rimpiazzare, una parte del capitale che si è deteriorato.
Un primo modo di vedere il PIL è quello di vederlo come il valore della produzione
che viene generato da un’economia di beni e servizi finali, quindi di cose il cui
valore è stato “pulito” dagli acquisti che vengono effettuati. Quello che influenza
il PIL nella la produzione di un’automobile, è la produzione dei freni, ma non
contiamo due volte i freni. Il PIL includerà il valore aggiunto ottenuto dall’azienda
per produrre i freni, quindi visto come prodotto finale da quest’azienda; ma per
l’azienda che produce automobili i freni sono un prodotto intermedio il cui valore
deve essere tirato via dal valore dell’automobile che viene venduta. Un altro
modo di vedere la cosa è che il PIL è la somma dei redditi che vengono generati
in un’economia, perché poi il valore aggiunto viene diviso tra chi lavora e chi
possiede l’azienda (più o meno).
Cambiamenti % del PIL del mondo
Quando prendiamo gli scenari economici del mondo, pubblicati dal Fondo Monetario Internazionale nel rapporto semestrale, dobbiamo capire cos’è il PIL. Il PIL
del mondo è aumentato del 3,1% nel 2015 nel mondo ed è previsto in continuo
aumento per i prossimi anni. Si vede dalla lista dei paesi che il PIL del mondo
è la somma di tanti PIL (PIL paesi avanzati e PIL paesi emergenti). La crescita
del PIL del mondo è la media tra questi due grandi raggruppamenti (2% paesi
avanzati, 4% paesi emergenti).
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Capitolo 1. Introduzione
FORMULA per capire quanto sono importanti i paesi avanzati (Qae) e i paesi
emergenti
Il PIL del mondo negli ultimi 30anni (1978 – 2013) è cresciuto mediamente del
3,5% l’anno, e non è mai diminuito anche se c’è stato un anno in cui la crescita
è stata 0 (2009). Nel 2010 è stato 5% circa. Questo è un dato importante, è
come dire che nel 2015 il mondo è andato piano (3,1%); è cresciuto mezzo punto
percentuale in meno rispetto agli ultimi 35 anni. Perché è importante la crescita
economica?
1.2 Regola del 70
Ci dice quanti anni ci vogliono per raddoppiare il livello di una determinata
variabile. La regola è: 70/ tasso di crescita. Se il mondo cresce del 3,5%, 70/3,5 fa
20, quindi ci vogliono 20 anni per raddoppiare il valore del PIL (2036). La Cina
ha fatto 10% l’anno per 30 anni, questo dà il senso di potere di crescita. 10%
l’anno vuol dire che il PIL non ti si raddoppia ogni 20 anni come succede al resto
del mondo ma ogni 7 anni, anche se ora sta rallentando.
Come mai il mondo è cresciuto così rapidamente? Perché i paesi emergenti sono
cresciuti rapidamente; la Cina sta rincorrendo i paesi avanzati ma sono ancora lontani dalle performance di questi. Una volta distinte le categorie di paesi,
possiamo andare a guardare dentro le categorie e notiamo che anche tra i paesi
avanzati ci sono gli star performance: nel 2015 sono stati la Spagna (+3%), USA
(+2,5%), Regno Unito (+2,2%). Ci sono poi le delusioni di crescita tra i paesi
avanzati: l’Italia è andata molto sotto la media (+0,8%), ma anche il Giappone.
Da questi dati vediamo anche che la differenza di crescita tra l’Italia e l’Europa
sta diminuendo. Lo stesso discorso va fatto per i paesi emergenti, anche se le cose
sono cambiate piuttosto radicalmente nel 2015. È vero che la media è 4%, ma se
andiamo a vedere ai BRIC le cose sono molto diverse. I BRIC infatti non esistono
più, perché bisognerebbe separarli date le loro diverse performance (BR – IC).
Brasile e Russia sono esportatori di materie prime e India e Cina sono importatori e utilizzatori di materie prime. Se la sensibilità della domanda del petrolio al
prezzo del petrolio, a quel punto i produttori di petrolio se la passerebbero bene,
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Capitolo 1. Introduzione
ma quando scende il prezzo la domanda di petrolio dovrebbe aumentare molto,
quindi domanda elastica. Una domanda elastica è una domanda in cui quando il
prezzo scende di poco la quantità domandata aumenta di tanto; una domanda
rigida è una domanda in cui quando il prezzo scende di poco la quantità aumenta
di poco, e nel caso del petrolio è questa la forma della curva di domanda. Brasile
e Russia hanno tanti prodotti ma sono pochi quelli da cui ricavano le miglior
performance; in particolare per la Russia il petrolio e per il Brasile la canna da
zucchero. Quindi se la domanda di questi prodotti è inelastica, questi prodotti
perdono rispetto al passato e quindi vediamo i numeri negativi sulla crescita.
Questo però è un beneficio per chi usa materie prime (es. Italia). Per i paesi
emergenti la volatilità tra i PIL dei paesi è molto più ampia rispetto ai paesi
avanzati. L’Africa a sud del Sahara se la passa piuttosto bene.
Tassi di crescita attesi per il 2016, punti percentuali
−3: Brasile, Russia
+1: Giappone, Italia
+1.5: Euro zona (EZ)
+2.5: Usa
+3: Medio Oriente e Nord Africa
+4: Africa a sud del Sahara
+5: Asean-5 (Indonesia, Malesia, Filippine, Thailandia, Vietnam)
+6: Cina
+7: India
Nel 2016 la crescita sarà in Asia, nell’Asia emergente e molto di meno nei paesi
esportatori di materie prime e per i paesi avanzati.
Di fronte ad ogni scenario economico ci sono delle variabili esogene, cioè ci sono cose che riguardano l’andamento del mondo nel suo complesso, quindi l’andamento
del PIL dell’Italia deriva da 3 cose esogene:
• Crescita del volume del commercio internazionale: in accelerazione sono
soprattutto le importazioni dei paesi emergenti (da +0,4 % ad un 3,4%), qui
centra molto la decelerazione della Cina, perché se la Cina esporta e importa
meno, rallenta in automatico il volume del commercio internazionale;
• Prezzi delle materie prime: si prevede calino ancora anche nel 2016 dopo essere calati del 47% per il petrolio e i prezzi delle materie prime non legate al
petrolio sono calati del 17% (es. canna da zucchero, grano) e continueranno
a calare;
• Tassi di interesse internazionali: il più usato è il cosiddetto LIBOR; si prevede che vadano su negli Stati Uniti e scendano sui depositi nell’area Euro
diventando addirittura negativi, questo genera una probabilità di apprezzamento del dollaro e deprezzamento dell’Euro, perché il valore delle valute
dipende dal differenziale dei tassi di interesse. Il tasso di interesse in America sarà vicino al tasso di inflazione, questo vuol dire che il costo reale del
credito (tasso di interesse nominale – tasso di inflazione) continua ad essere
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Capitolo 1. Introduzione
0. Una volta fatta una previsione è obbligatorio farsi delle domande (es.
cosa mi conviene fare con i miei soldi), dobbiamo farci delle opinioni su ciò
che sarà e bisogna avere un modello in testa. Quando si fa una previsione
per il futuro una cosa che è opportuno avere a mente è che alcune previsioni
sono più fondate, altre meno. Quindi è bene, una volta fondata una previsione media, bisogna sapere che vi è una rischiosità. Quando si considera il
rischio di sbagliare la previsione vi son due rischi: essere troppo pessimisti
o troppo ottimisti. Cosa sta succedendo che potrebbe produrre un risultato
diverso da quello previsto?
• Ciò che succede in Cina: la Cina rallenterà dal 6,9% al 6,3%. Essendo un’economia grande questo implica il far scendere le previsioni dell’economia
mondiale. Cosa succede se il rallentamento della Cina sarà più marcato
rispetto alle previsioni? Questo potrebbe avere delle implicazioni sulla crescita mondiale e la fonte di questo ulteriore rallentamento è che di fatto la
Cina sta rallentando perché è cresciuta molto rapidamente ma senza fare
tutte le riforme del sistema economico che potrebbero trasformarla in un’economia sviluppata. Si parla ancora di urbanizzazione, ed è una crescita di
tipo quantitativo basata sull’investimento e sulle esportazioni e poco basata sui consumi. I cinesi hanno sacrificato i consumi a favore del risparmio,
investono il 40% sul PIL. Il governo sta cercando di trasformare l’economia in un economia basata sui consumi, quindi di renderla più simile agli
Stati Uniti. Per fare questo ci vuole una classe media che abbia abbastanza
reddito da spendere in beni di consumo. Questo è il problema in cui si sta
incagliando la Cina, e quindi il primo downside risk è che la Cina non riesca
a completare la sua transizione.
• Bassi prezzi delle materie prime: se la Cina va più piano, la Cina domanda
meno materie prime e se c’è poca domanda i prezzi delle materie prime
scenderanno ancora di più. Se scendono i prezzi delle materie prime i paesi
come il Brasile se la caveranno peggio, i paesi che acquistano materie prime
se la caveranno meglio; la crescita del mondo diminuirebbe e alcuni paesi
andrebbero in crescita negativa.
• Graduale restrizione nella politica monetaria americana: graduale crescita
dei tassi di interesse americani
Alla fine di tutti questi elementi, se si verificassero queste cose, la crescita economica potrebbe essere soggetta a downside risks. Il Fondo Monetario negli anni
passati è sempre stato più ottimista rispetto al vero (es. 2015).
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Capitolo 1. Introduzione
Vi sono poi altri rischi che sono quelli geopolitici: es. Isis che invade l’Italia. Ma
sono rischi difficili da prevedere; altri tipo la guerra in Siria sono un po’ più facili
da prevedere ma di difficile quantificazione.
Cosa è cambiato? Perché la crescita mondiale decelera?
Il mondo è diventato una house of debt. Nei paesi ricchi il debito pubblico ha
preso il posto di quello privato. Nei paesi emergenti è aumentata soprattutto la
componente privata del debito. Questo denota una situazione in cui in ogni paese
la situazione non è molto diversa. Grigio: debito pubblico; nocciola: debito delle
famiglie; azzurro: debito non finanziario.
Il totale del debito dell’Italia è 259% su PIL. Il debito non è un male in assoluto
l’importante è che sia sostenibile, cioè fintanto che vengano generate abbastanza
risorse per pagare gli interessi sul debito e per restituirlo quando il debito diventa
dovuto. Quando noi confrontiamo il debito pubblico con il PIL non dobbiamo
spaventarci se è 280 rispetto a 100 perché quel debito non deve essere restituito
tutto in un anno ma si spalma su tanti anni, il PIL invece è annuale. Questo ci
porta anche a dire che non è che se i paesi avanzati hanno 280 e i paesi emergenti
hanno 121 i paesi avanzati sono più rischiosi. La verità è che per un paese come
la Romania non è facile indebitarsi, perché nessuno si compra un bond rumeno.
Le aziende sistematicamente sono in debito. Ma senza debito non si cresce. Le
famiglie devono stare però più attente ad indebitarsi.
Il debito italiano non è un livello di debito che viene ritenuto dai mercati insostenibile. Quindi questo grafico ci dice che i paesi avanzati hanno molto più debito
rispetto ai paesi emergenti ed è molto aumentato nel corso del tempo. Se il debito
cresce perché ci indebitiamo per crescere è un conto, se cresce perché siamo in
crisi è un altro.
(DEFAULT: è quando un debitore deve ridare indietro dei soldi e non riesce a
darli. Esiste anche il default parziale che è quando si ridà il capitale ma non i
soldi dell’interesse)
Cosa centra l’house of debt con il fatto che le economie non crescono? Es. vi è una
famiglia con tanto debito sulle spalle ma che vede la ripresa economia (es. un figlio
che trova lavoro), queste sono ragioni per dire che il reddito famigliare aumenta
ma non aumentano i consumi perché il reddito in più serve a ripagare il debito.
Questo esempio vale anche per le aziende e per i governi. Nell’insieme si può dire
che con tanto debito sulle spalle, famiglie, imprese e governi non spendono.
I mercati del largo consumo si basano ancora su movimenti che sono molto più
lenti dei movimenti finanziari. La finanza è il capitalismo.
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Capitolo 1. Introduzione
Grafico dal 1820 al 2011 con quota di persone nel mondo che vivono in una
situazione di povertà assoluta (persone che vivono con meno di un dollaro e 25
c. al giorno). Questo grafico serve a dire che nel 1820 il 95% della popolazione
mondiale era in questa situazione, con la rivoluzione industriale in Inghilterra
e le varie innovazioni che hanno fatto crescente l’occidente, oggi la frazione di
persone che oggi sono ancora in povertà è intorno al 15%. La conclusione di
questo ragionamento è che sicuramente il capitalismo di mercato è soggetto a
crisi ricorrenti. Quello che però fa il capitalismo e che non sono stati capaci di
fare altri meccanismi (es. comunismo) è di predisporre gli strumenti per affrontare
le crisi.
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Capitolo 2. La crisi attraverso i grafici
Capitolo 2
La crisi attraverso i grafici
2.1 Introduzione
Per capire quello che succede non basta avere accesso ai dati più recenti, ma
bisogna avere un buono schema di analisi in modo da selezionare le informazioni
importanti. Per poter stabilire quali sono le informazioni importanti servono i
modelli. Per spiegare le fluttuazioni di PIL e inflazione nel tempo e tra paesi,
usiamo lo schema di domanda e offerta aggregata. Vogliamo spiegare come mai
in certi anni il PIL cresce molto e in altri anni cresce poco.
La definizione che ci serve per capire cos’è una recessione: una recessione è il
periodo in cui il PIL e il reddito reale diminuiscono (o aumentano meno del
solito), e la disoccupazione aumenta. Le variabili che ci interessano quindi sono
il PIL e il mercato del lavoro per capire se vi è una recessione. Una depressione
è una grave recessione, cioè quando il PIL scende di molti punti. Negli anni ’30
il PIL dell’America è sceso del 25% in 4 anni, per questo viene chiamata grande
depressione. L’economia non va misurata solo in termini di PIL, perché possiamo
massimizzare la produzione dei beni o con una bassa inflazione o con un’alta
inflazione. Tendenzialmente per i consumatori è meglio una bassa inflazione con
un alto PIL, ma per i produttori è meglio un’alta inflazione (in particolare prezzi
al consumo alti ma con i prezzi delle materie prime bassi) e un alto PIL. Quando il
PIL è elevato l’inflazione è alta o bassa? Tendenzialmente alta, ma la correlazione
tra PIL e inflazione non è sempre positiva.
Questi sono i dati su PIL e inflazione prima e durante la crisi. Nel 2000 – 2006 vi
è una relativa normalità nell’economia con crescita e inflazione con ugual valore.
Il 2007 è un anno in cui vi è rapida crescita e inflazione che accelera. Nel 2008 la
crescita rallenta ma l’inflazione accelera. Nel 2009 la crescita si azzera e l’inflazione
scende. Nel 2010 crescita e inflazione accelerano. Nel 2011 – 2012 la crescita
rallenta e l’inflazione accelera. Nel 2013 la crescita più o meno rimane dov’è e
scende invece l’inflazione. Negli anni successivi c’è un ulteriore rallentamento di
crescita economica e di inflazione.
Il modello di domanda e offerta aggregata
La macroeconomia serve a spiegare le fluttuazioni di PIL e inflazione nel corso del
tempo. Quello che determiniamo con il modello è un punto di equilibrio in cui si
determina quanto grande è il PIL a cui corrisponde una certa crescita dell’anno
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Capitolo 2. La crisi attraverso i grafici
in corso e quanto grande è il livello di prezzi a cui corrisponde un certo grado di
inflazione.
2.2 Domanda aggregata
Cominciamo guardando la curva di domanda aggregata che ha quattro componenti, in cui il PIL viene visto come spesa che viene fatta in beni di consumo (C)
come beni durevoli e non durevoli acquistati dalle famiglie; beni acquistati dalle
imprese (I); servizi acquistati dallo stato per offrirli alla popolazione (G); spesa
effettuata non dal settore pubblico e privato italiano ma da diverse categorie di
persone o istituzioni all’estero che sono quindi le esportazioni; NX è X – M dove
X sono le esportazioni e M le importazioni.
PIL = C + I + G + NX
C = C (PIL – T + TR)
Per capire perché la domanda aggregata è inclinata negativamente dobbiamo
chiederci come mai all’aumentare del prezzo o al diminuire del prezzo cambiano
le componenti. Una riduzione nel livello dei prezzi fa aumentare la domanda
aggregata, ma perché?
Vi sono tre effetti:
• Effetto ricchezza: supponiamo che scendano i prezzi e il mio reddito rimane uguale, i consumatori si sentono più ricchi quindi vi è un incentivo a
spendere di più, quindi aumenta la quantità consumata di beni e servizi
(C).
• Effetto tasso di interesse (Keynes): supponiamo che scendano i prezzi, in
particolare l’inflazione, tende a ridursi il tasso di interesse che è il costo del
credito, e quindi aumenta l’incentivo per le aziende ad investire (in piccola
parte anche le persone), quindi aumenta la spesa in beni di investimento
(I).
• Effetto tasso di cambio (Mundell – Fleming): anche detto effetto competitività, scendono i prezzi in Italia e in Germania rimangono uguali, quindi vi
è un guadagno di competitività per l’Italia (a parità di qualità si acquisteranno più beni italiani), quindi vi sarà un aumento delle esportazioni nette
(NX). I consumatori italiano che prima comperavano prodotti tedeschi ora
comperano prodotti italiani e i consumatori tedeschi che prima comperavano prodotti tedeschi ora comperano prodotti italiani, quindi aumentano le
esportazioni e diminuiscono le importazioni.
Dalla somma di questi 3 effetti otteniamo che la curva di domanda aggregata
ha pendenza negativa. Tendenzialmente l’effetto tasso di interesse è piuttosto
piccolo; gli altri 2 richiedono tempo per sentire l’aumento di ricchezza.
Cos’altro fa aumentare la curva di domanda aggregata oltre ai prezzi che scendono? Ci sono anche altre cose che fanno spostare la curva verso destra.
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Capitolo 2. La crisi attraverso i grafici
Come si fa quindi a passare da un livello di PIL 1 a un livello di PIL 2 ragionando
in termini di domanda aggregata? Una prima possibilità è quella che abbiamo già
visto (se il livello dei prezzi scende il PIL aumenta e ci spostiamo lungo la curva).
Un altro modo è che se a parità di prezzo consumatori, imprese, settore pubblico
(italiano ed estero) spendono più soldi di beni e servizi italiani per qualche motivo
diverso dal prezzo:
• Psicologia: crescente ottimismo ad es. perché la recessione è finita; la domanda di beni di consumo durevoli è più sensibile (quando è fallita Lehman Brothers infatti la vendita di IPhone sono diminuite dell’83%); bisogna
cercare di dare fiducia ai consumatori;
• Politiche economiche espansive: se aumenta G la domanda aggregata si sposta verso destra, questo spostamento sarà più alto o più basso a seconda
che il governo possa fare questo aumento di G in deficit o se debba trovare
il modo per finanziarlo, questo aumentando anche le tasse che quindi fanno
scendere i consumi; diminuendo le tasse e aumentando quindi i consumi; aumentando TR (es. pensioni), questo aumenta il reddito disponibile e quindi
aumentano i consumi facendo spostare la curva di domanda; misure che
adotta la banca centrale sui tassi di interesse (riduce i tassi di interesse, facendo diminuire i tassi di mercato e il costo del credito facendo aumentare
gli investimenti dalle imprese e dalle famiglie; riduce i tassi di interesse rendendo meno interessanti i bond in euro rendendo più interessanti i dollari
quindi il tasso di cambio dell’euro si deprezzerà e questo aiuta l’economia
perché quando scende il costo della valuta ed è possibile offrire lo stesso
prodotto con gli stessi costi di produzione che però tradotti in dollari diventano più bassi e quindi l’azienda può fare più profitti andando a vendere in
America).
Di quanto si sposta la curva di domanda aggregata verso destra? L’entità dello
spostamento è determinata dal moltiplicatore del reddito: è il processo attraverso
il quale un aumento iniziale del reddito si traduce in aumento del PIL finale.
Questo aumento complessivo si vede dal fatto che l’iniziale impulso che viene
dato all’economia si traduce in effetto di feedback per consumi e investimenti.
Supponiamo che il governo aumenti la spesa pubblica per la difesa, questo viene
classificato come un aumento di G che si traduce in un aumento di PIL; quando aumenta G è il governo che acquista ad esempio dei nuovi elicotteri prodotti
dall’azienda X che sono produzione ma sono anche reddito quindi se aumenta
il reddito dei produttori di G, aumenterà il consumo di chi beneficia di questo
aumento di reddito, quindi aumenterà anche C delle famiglie che lavorano per
quest’azienda X. Chi produce elicotteri non compera elicotteri ma compera normali beni di consumi, quindi una volta che aumenta il reddito di questi produttori,
aumenta il reddito dei produttori dei beni di consumo durevoli e non, e questi
a loro volta consumano altri beni. In questo modo l’iniziale impulso che viene
dato a G si traduce in un aumento di reddito di molta più gente. Lo spostamento
complessivo verso destra della domanda aggregata è il risultato di tutti questi
effetti di feedback, ovvero sia dell’impulso iniziale e della moltiplicazione di questo impulso. L’idea di principio è che se aumenta la spesa pubblica aumenta il
PIL. Supponiamo che l’economia sia molto vicina alla piena occupazione e che
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Capitolo 2. La crisi attraverso i grafici
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quindi l’aumento della spesa pubblica avvenga quando il tasso di disoccupazione
è molto basso, in questa situazione è difficile aumentare la domanda aggregata
perché il tasso di disoccupazione è già al minimo e quindi è difficile far aumentare
i consumi. Questo vuol dire che ulteriori aumenti di spesa pubblica, generanno
più probabilmente inflazione. In che senso il moltiplicatore può essere grande o
piccolo? È piccolo quando vi son pochi disoccupati, perché non si riesce a generare
reddito aggiuntivo e la domanda tende a tradursi in poco PIL e tanta inflazione.
Ci sono altri effetti che possono avvenire nell’economia e tendono a rendere il
moltiplicatore più piccolo. Quando aumenta G e aumenta quindi il reddito dei
produttori di elicotteri, si traduce in un aumento del PIL dei produttori di G, una
parte del PIL può essere consumata, una parte va in tasse, una parte in risparmio. (vedi quaderno). La parte di moltiplicazione viene moltiplicata alla parte
che va in consumi che si traduce in un aumento di PIL dei produttori di beni
di consumo. La parte risparmiata non si traduce in una moltiplicazione e l’altra
parte sono le tasse e quindi scompare dal circuito del reddito privato perché va
a finire nel circuito del settore pubblico. I consumi che vengono effettuati un po’
aumentano il PIL ma un po’ aumentano anche le importazioni. Il moltiplicatore è grande quando si va da un aumento di G che finisce in un aumento di C
che fa aumentare il PIL. Quando invece abbiamo delle perdite nel meccanismo
di trasmissione avremo un moltiplicatore più piccolo, cioè quando una parte del
reddito viene risparmiato, una parte va in tasse e una parte in importazione.
Riassunto: il moltiplicatore è particolarmente grande quando il reddito circola
all’interno dell’economia e quindi quando le famiglie hanno un elevata propensione
al consumo, quando l’economia è chiusa al commercio estero (es. alti dazi) e
quando le tasse sono basse dove il reddito netto rimane alto e i consumi crescono.
La domanda di PIL sale nel caso in cui il livello di prezzo scende, quindi per data
psicologia e per date politiche, i consumatori e le aziende domandano un più alto
livello di PIL quando i prezzi sono più bassi. Questo è uno spostamento lungo la
curva di domanda aggregata. Un altro modo a parità di prezzo è l’adozione di
politiche comuni espansive o miglioramenti sulla psicologia e questo si traduce in
uno spostamento della curva di domanda aggregata.
2.3 Curva di offerta aggregata
Quanto produce un Paese è determinato dalla sua dotazione di risorse e tecnologia. La curva di offerta aggregata è verticale, questo vuol dire che nel lungo
periodo non dipende dal livello di prezzi. Oltre al lungo periodo vi è il breve
periodo dove la curva di offerta aggregata ha una pendenza positiva.
Quando il livello di prezzi da P2 va a P1 il livello di PIL crescerà. Ci sono varie
teorie sul perché, una è che ci aspettiamo che vi sia rigidità nominale dei salari,
cioè che gli stipendi siano dati. Cosa succede se scende il livello generale dei prezzi,
dal punto di vista dell’imprenditore sarà il prezzo di vendita con il costo del lavoro
che è dato, e le aziende si trovano con costi di produzione dati e profittabilità
in calo (margine tra costi e prezzi). Cosa fanno le aziende quando fanno meno
profitti? Si ritirano dal mercato o producono di meno. Dato che i salari sono fissi
e l’inflazione varia, quando scende il livello di prezzi cala l’offerta di beni e servizi
da parte delle aziende. Quando i prezzi aumentano, aumenta la disponibilità delle
Capitolo 2. La crisi attraverso i grafici
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aziende a portare sul mercato i loro prodotti e quindi producono di più. Come
fa ad aumentare l’offerta aggregata oltre che per l’aumento di prezzi? Ci può
essere un aumento lungo la curva di offerta aggregata, ma ci sono essere anche
spostamenti della curva di offerta aggregata. Perché si sposta? In generale il
prezzo delle risorse che per l’azienda sono un costo, quindi fintanto che salari e
prezzo del petrolio sono dati, all’aumento del prezzo aumenta la quantità prodotta
e viceversa. Se invece il prezzo è variabile, la presenza di prezzo del petrolio più
basso o salari più bassi o di progresso tecnico, mi indurrà a produrre una quantità
più alta. A parità di prodotto, se scende il salario, il costo di produzione scende;
se scende il prezzo del petrolio costa meno il costo di trasporto e scende il prezzo.
La curva di offerta aggregata si può spostare perché cambia il costo dei fattori
produttivi (aumento verso sinistra e viceversa); produttività dei fattori consente
alle imprese di produrre di più a costi più bassi (le nuove tecnologie possono
accrescere il prodotto potenziale per unità di lavoro o capitale). La conseguente
riduzione nei costi di produzione sposta la AS verso destra.
EQUILIBRIO DI LUNGO PERIODO
Situazione in cui si incrociano le due curve e si determina una situazione ottimale,
un PIL ottimale.
2.4 L’evoluzione della crisi post-2007
STEP 0: 2000-2006
È quello che prevede un equilibrio di lungo periodo, dove l’economia mondiale è
in una situazione di relativa tranquillità con il PIL e l’inflazione che crescevano di
pari passo. Quindi il livello di prezzi del 2006 era un livello di prezzi con inflazione
3,4% e il PIL del 2006 corrispondeva ad una crescita del PIL del 3,4%.
STEP 1: 2007 (Economia surriscaldata)
L’economia era relativamente surriscaldata, si stava crescendo a tassi un po’ più
rapidi di quanto ci si aspettava, con grande ottimismo e fiducia nell’economia. La
curva di domanda aggregata si sposterà quindi verso destra (causa ottimismo) e
si va a finire in un punto (A), l’inflazione sarà un po’ sopra rispetto all’equilibrio
e il PIL è in rapida crescita.
STEP 2: prima del 15 settembre 2008 (prezzo del petrolio da 70 a 147,
da A a B)
A causa del surriscaldamento dell’economia, con la Cina che cresceva più di tutti
e che quindi trainava l’economia (la Cina importa molto petrolio), il prezzo del
petrolio sale e la curva di offerta aggregata si sposta verso sinistra perché aumentano i costi di produzione. L’economia va a finire in un punto come B e il PIL
decresce, facendo iniziare la recessione, anche se rimane sopra al livello ottimale.
STEP 3: fallimento Lehman (da B a B’ e poi da B’ a C)
Fallisce Lehman, banca di investimento americana, e questo è uno shock locale.
Questo comporta però uno shock non tanto sul fallimento di Lehman, ma quanto
uno shock sul livello di fiducia. Dopo lo spostamento da A a B, arriva la vera
recessione (quarto trimestre 2008 e primo trimestre 2009) con una riduzione di C
durevole e degli investimenti, inoltre è uno shock mondiale quindi cala anche NX
Capitolo 2. La crisi attraverso i grafici
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(diminuiscono le esportazioni). Spostamento della curva di domanda aggregata
verso sinistra che porta ad un crollo del PIL, capacità produttiva inutilizzata,
l’inflazione va verso lo 0 dal 4%. La recessione viene “addolcita” marginalmente
dal fatto che vi è un leggero calo di PIL della Cina, cala quindi la domanda di
petrolio, quindi il prezzo del petrolio scende e scendono i costi di produzione e
quindi la curva di offerta aggregata si sposta un poco verso destra.
STEP 4: azione delle banche centrali (da C a D)
Di fronte a una crisi di fiducia, le banche centrali e i governi devono dare fiducia
adottando politiche economiche espansive. La curva di domanda aggregata si
sposta verso destra, il PIL inizia a crescere nella seconda metà del 2009 ma la
disoccupazione rimane comunque alta, anche perché il PIL è comunque sotto il
livello ottimale. Furono salvate molto banche, evitando una crisi ben peggiore.
STEP 5: 2010/2011: rivoluzione dei Gelsomini (da D a D’ e da D’ a E)
Continua la ripresa, con la domanda aggregata che si sposta verso destra, anche
se non abbastanza da riportare l’economia in piena occupazione. La fiducia dei
consumatori ricomincia a tornare e ricominciano a consumare e le imprese ricominciano ad investire. Ovviamente non per tutti la ripresa è arrivata allo stesso
modo. Il PIL così come l’inflazione continuano a crescere. Nel Gennaio 2011 vi è
la rivoluzione dei Gelsomini, che porta il prezzo del petrolio a crescere di nuovo
perché diminuisce l’offerta a causa della paura che il prezzo salga. Quindi da un
lato l’economia continua a crescere, dall’altro sale il prezzo del petrolio, quindi
la curva di domanda aggregata si sposta verso destra (causa fiducia) ma intanto
anche la curva di offerta aggregata verso destra (aumento petrolio).
STEP 6: 2011 – 2012 Crisi dei debiti sovrani
In Europa i debiti pubblici che sono saliti (soprattutto in Grecia, Portogallo, Spagna, Italia) cominciano a essere ritenuti pericolosi per l’area Euro. Scoppia la crisi
dei debiti sovrani nell’estate del 2011, inizia ad esserci incertezza nell’economia,
gli investimenti scappano da queste economie, calano gli investimenti e i consumi
di beni durevoli, e la curva di domanda aggregata si sposta verso sinistra. Quindi
vi è un rallentamento della crescita e maggiore inflazione.
Per concludere qual è la relazione tra crescita e inflazione? Se vanno insieme è la
domanda aggregata che si sta spostando; se uno sale e l’altro scende è l’offerta
aggregata che si sta spostando.
Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi
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Capitolo 3
Com’era l’economia mondiale
prima della crisi
3.1 Introduzione
Il PIL mondiale nei 30 anni prima della crisi cresceva sempre. Grosso modo se non
succede niente il PIL del mondo cresce e cresce molto rapidamente. Se prendiamo
la crescita annuale del PIL pro capite del mondo e prendiamo i dati dal ’50 al
2007 viene fuori un numero come 2,2%. Con crescita del PIL pro capite si intende
crescita del PIL meno la crescita della popolazione, siccome la popolazione del
mondo è cresciuta più dell’1% annuo, 3,5 – 1,3 dà 2,2. Dal 1820 al 1950 la crescita
del PIL pro capite è di circa 1% annuo. Dall’anno 1000 all’anno 1820 vediamo
un numero come 0,05% circa. Questo numero sembra 0 ma è di 820 anni, quindi
presupponendo che il PIL nel 1000 era 100, nel 1820 avremo un PIL pari a 150,
ottenuto dalla formula: PIL1820 = 100 * (1 + 0,0005)^820. Gli anni prima della
crisi sono stati quelli con la crescita più veloce. Se facciamo la cumulata, vediamo
come il ventesimo secolo sia un secolo eccezionale.
Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi
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La crescita del PIL mondiale pro capite secolare nel 20 secolo è stato del 900%,
cioè è aumentato di 9 volte. La cumulata è di quanto è aumentato cumulativamente il PIL pro capite in un secolo. Anche il 19 secolo non è stato perché c’è stata
la rivoluzione industriale. All’inizio l’innovazione riguarda un pezzetto dell’economia, ma l’effetto non è tanto grosso sul PIL, quindi se arriva un innovazione
che meccanizza un qualcosa si cancellano i redditi di quelli che prima facevano
manualmente, quindi l’effetto sul PIL può essere piccolo perché distruggono tanti
posti di lavoro. Il mondo è diventato globale che consente in modo molto più
facile di spostare la produzione dove si vuole. È possibile che il ventesimo secolo
rimanga nella storia come un secolo irripetibile. Il secondo secolo andato meglio
è il 19° per l’innovazione tecnologica,
anche se non vi era globalizzazione; il terzo era il 14° secolo, quando vi era un
economia mercantile in Italia che faceva crescere l’economia.
Se guardiamo all’interno del periodo felice tutti sono cresciuti in ugual modo?
I dati ’70 - 2007 ci dicono cose variegate: Corea del sud, China, Taiwan sono i paesi
dove vi è stata più crescita economica, cioè principalmente in Asia emergente. Per
l’Africa del sud Sahara c’è stato invece un grosso problema. In conclusione sotto
il dato medio c’è una grande variabilità. Anche in Europa ci sono alcuni casi felici
di crescita economia più alta del 2% come Irlanda, Spagna, Finlandia, Norvegia
(caso strano dato che è esportatore di petrolio).
3.2 Fast growers e crescita nelle aree geografiche
Chi sono stati i fast growers?
Gli asiatici e quindi questo ci riporta a dire una cosa: quando si parla di crescita
economica non è tanto dei BRIC che dobbiamo parlare ma in realtà a crescere
velocemente sono India e Cina e i loro vicini.
Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi
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La crescita è stata diversa tra aree geografiche
• Paesi OCSE (i più ricchi e industrializzati): crescita economica intermedia
e stabile (tra il 2% e il 3%); Est Europa ha avuto una crescita rapida dopo
la metà degli anni ‘90
• Asia meridionale e orientale: successo economico eccezionale (>5%); Cina,
India; Giappone fino agli anni ’80; molti altri paesi asiatici
• Africa sud sahariana: molto male (<0), crescita negativa tranne il Botswana
• Paesi medio – orientali: dipendono dal petrolio che crea ricchezza per pochi.
Quando la ricchezza viene concentrata e il capitale può fluire però in giro
per il mondo, questo diventa una ricchezza per lo stato
• America latina: alcuni sono cresciuti come i paesi OCSE (es. Messico); ma
c’è stata una grande variabilità (es. Brasile ha fatto anni con grande crescita
(+7%) e anni fortemente in negativo (−7%), anni con grande inflazione e
anni con bassa inflazione). La variabilità è un problema perché è difficile
fare previsioni e quindi attrarre investitori.
Brasile e Russia dipendono dalle materie prime e per questo vi è grande variabilità
nel PIL, questo a causa della volatilità dei prezzi delle materie prime. Se il prezzo
della canna da zucchero è particolarmente alto per un anno, aumentano le entrate
provenienti dalle esportazioni, questo fa aumentare il PIL e il governo non deve
più tassare i suoi cittadini perché aumenta anche la base imponibile delle tasse.
Il PIL è la base di tutte le basi imponibili. Cosa fa un governo con le entrate
fiscali? Si spendono per i cittadini. Quindi aumenta il prezzo della canna da
zucchero e sale la spesa pubblica. L’anno dopo però magari il prezzo della canna
da zucchero scende e succede tutto il contrario e il problema è che quando i governi
cominciano a promettere è difficile tornare indietro. Quindi scende il prezzo della
canna da zucchero, scendono le esportazioni, scende il PIL, scendono le entrate
fiscali. Ci sarà quindi una situazione di insoddisfazione sociale. Tuttavia non è
solo questo. Perché se finisse lì e il governo non aumentasse la spesa pubblica in
modo permanente, le famiglie imparerebbero a risparmiare capendo la situazione.
Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi
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Ma perché tante differenze nei tassi di crescita? Tutti i paesi del mondo sono destinati a diventare ricchi allo stesso modo? È vero che i paesi poveri sono destinati
a diventare ricchi? È più probabile che un paese povero cresca più rapidamente?
Dovremmo preoccuparci quindi della povertà del mondo? Quanto tempo ci vuole
affinché i paesi poveri diventino ricchi? L’evidenza storica che abbiamo è che dal
1880 al 2000, prendendo i 50 stati degli Stati Uniti, vediamo come i più poveri
crescono più rapidamente e i più ricchi crescono poco. Se effettivamente è vera
questa ipotesi della convergenza dei redditi, che ci porterebbe a dire che la povertà non è un problema grande, perché i poveri colmeranno prima o poi il gap con i
paesi ricchi. Questo vuol dire che noi possiamo credere nell’ipotesi ottimistica finché possiamo stimare una relazione negativa tra situazione iniziale e performance
successiva. Questi stati però stanno tutti dentro una cornice culturale e sociale
unica. Inoltre il periodo di tempo sono 120 anni. Tuttavia la storia dell’economia
mondiale tra il 1960 e il 2000 ci dice che non vi è una relazione molto sicura
tra povertà/ricchezza e crescita rapida/non rapida. Non è vero quindi che essere
ricco ti dà un vantaggio di crescita economia. La retta di regressione che si riesce
a stimare ci dice che mediamente la relazione è positiva ma è statisticamente non
significativa. Questo vuol dire che le osservazioni sono spesso molto lontane dalla
retta media che viene stimata.
3.3 Convergenza e divergenza nei livelli di reddito
Perché entità economiche simili (stati degli Usa) presentano una convergenza nei
livelli di reddito mentre entità diverse (gli stati del mondo) divergono?
La crescita economica è influenzata da due forze differenti:
• Forza della convergenza: I paesi poveri hanno più possibilità di crescere
perché devono recuperare il gap con i paesi più ricchi. Ci sono alcuni paesi
che sono venuti prima (es. rivoluzione industriale in Inghilterra) e che hanno
già fatto alcuni investimenti e i costi sono stati sostenuti da questi paesi,
i follower hanno il vantaggio che non devono sostenere loro i costi delle
nuove tecnologie (es. internet). È comunque una strategia molto rischiosa.
La cosa importante è che in alcuni settori essere il primo è un vantaggio, in
altri settori è uno svantaggio, perché il primo deve pagare i costi e spesso
bisogna fare tanti tentativi per trovare la strategia vincente. Se estendiamo
l’esempio al caso dell’inseguimento tra paesi vediamo che vi sono gli Stati
Uniti (leader) che spendono i soldi e il paese che viene dopo (Asia) userà
queste tecnologie. Quello che avviene nel corso del tempo è che prima copi
e poi diventi leader (es. Samsung – Korea). Tutto questo serve per dire
che questa è una forza che porta alla convergenza, perché il follower cerca
di ottenere la stessa risposta del leader. Non vale per tutto perché ci sono
innovazioni brevettabili.
Sotto i tassi di crescita che vediamo, che sono la somma delle due forze, operano
entrambe le forze.
• Forza della divergenza: un paese povero può rimanere povero per sempre.
Se un paese manca di capitale umano, infrastrutture fisiche o immateriali, o
Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi
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è chiuso alla globalizzazione, non vi sarà convergenza (il paese non riesce a
copiare il leader). La crescita economica non è aperta a tutti i paesi, nonostante fossero paesi potenzialmente aperti alla globalizzazione con materie
prime da esportare.
FORZA #1
Quanto prodotto ottengo aumentano la quantità di risorse che metto a produrre?
Cioè dati gli input (capitale) quanto output ottengo? Non è vero che aggiungendo pian piano capitale continuiamo ad ottenere lo stesso ammontare di prodotto
in più, la sua produttività marginale è decrescente quanto più è alto il livello
di capitale. Questa è la base della forza della convergenza. Perché se il mondo è
fatto così allora vuol dire che i cinesi e gli italiani quando investono è improbabile
che ottengano lo stesso output aggiuntivo aggiungendo un’unità di capitale. L’esempio estremo è: una persona lavora in un’azienda senza pc, il datore di lavoro
compra il pc, la produttività del lavoro aumenta di gran lunga, con un secondo pc
non aumenta la produttività del lavoro. La Cina probabilmente se usa la stessa
funzione di produzione dell’Italia, tenderà a crescere più dell’Italia. In questo caso
è normale che un paese povero cresca più di un paese ricco. Supponiamo di essere
in un punto A e in un punto B, quando investiamo quello che tiriamo fuori in
termini di maggiore prodotto è regolato da questa curva.
Rendimento (o produttività marginale) decrescente del capitale: la curva deriva
dal grafico precedente
Il primo grafico è in livelli, il secondo in tassi di crescita.
FORZA #2
Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi
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• Se un paese ricco ha istituzioni/ tecnologia/ capitale umano appropriati, il
rendimento dell’investimento e la crescita sono più alti a parità di capitale
per lavoratore
• Se un paese povero non ha buone istituzioni, tecnologia, capitale umano, il
rendimento dell’investimento e la crescita sono più bassi a parità di K/L
• Buone istituzioni possono controbilanciare i rendimenti decrescenti
Ecco da dove viene la forza #2, la divergenza
Quello che ci dice la funzione di produzione (forza #1) è che i paesi poveri hanno
speranza di crescita se iniziano a investire, perché prima o poi ce la faranno.
In realtà i dati sui paesi non confermano questa visione così ottimistica, quindi
c’è qualche altra cosa che succede al mondo. La funzione di produzione viene
tracciata per un certo livello di una variabile che chiamiamo I (I = istituzione).
Se le istituzioni di un certo paese sono uguali ad esempio in North Carolina e New
York, il primo stato ha un più basso reddito pro-capite e quindi avrà salari più
bassi; quindi se c’è un’azienda che vuole localizzare un nuovo impianto produttivo
è più facile che deciderà di farlo in North Carolina piuttosto che a NY dove i salari
sono più alti ecc. però, mettere un nuovo impianto o è molto produttivo o non
conviene. Questo ci dice che la curva della funzione di produzione si può tracciare
per paesi relativamente simili. Quindi gli stati degli Stati Uniti condividono la
stessa funzione di produzione.
La Cina e l’Italia non condividono la stessa funzione di produzione, però se i
cinesi si attaccano al mercato globale, è come se diventassero capaci di importare
la nostra stessa tecnologia incorporata nei beni capitali che gli vendiamo, per
es. diventano capaci di imitare le cose che da noi sono già state realizzate negli
anni precedenti. Per loro diventa più facile produrre perché investendo riescono
a ottenere vantaggi che noi abbiamo già ottenuto molti anni fa. Da quando il
mondo è diventato globale in un certo senso possiamo pensare che ci sia la stessa
funzione di produzione per tutti, tranne per i paesi dell’Africa a sud Sahara,
cioè tranne per i paesi che non hanno adottato un sistema di mercato o che non
erano nelle condizioni di beneficiare della globalizzazione. I paesi dell’Africa a sud
del Sahara sono paesi che sono quasi sempre privi di fiumi navigabili. Infatti i
paesi che vanno bene sono quelli che hanno il mare o fiumi navigabili (Nilo in
Egitto). Se un paese è chiuso (landlocked) è costretto ad essere un paese di terra,
anche se ha una buona materia prima comunque non può esportarla (non può
metterlo sulle navi) e quindi non sarà neanche conveniente coltivarla. Quindi se
Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi
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ci sono rilevanti costi per es. di trasporto, di comunicazione, ecc. che rendono un
paese chiuso fuori dalla globalizzazione, anche se potenzialmente potrebbe averne
accesso, allora in questo caso non riuscirà a beneficiare della crescita economica.
Per questo un paese povero può non essere così fortunato come la Cina. Quindi
se parte da un determinato livello di capitale pro-capite, ma non ha istituzioni
adeguate non c’è crescita.
Per varie ragioni, è come se alcuni paesi operassero con una funzione di produzione più bassa degli altri. Implicazione: produttività marginale del capitale
minore, quindi quanto viene investito non ha il rendimento adeguato rispetto a
un investimento fatto in un paese che cresce di più. Se confrontiamo Italia e Stati
Uniti, cosa impedisce alla prima di avere lo stesso reddito pro-capite dei secondi?
Qualcuno dice la qualità del sistema universitario, dell’istruzione, oppure la dimensione media delle aziende italiane che è troppo piccola rispetto a quella degli
Stati Uniti che invece riescono a competere sui mercati mondiali grazie al fatto
proprio di essere più grandi. A seconda dei paesi il meccanismo può essere diverso, ma lo schema è uguale. La crescita economica fondamentalmente dipende da
due cose: dalla dotazione di risorse iniziali (lo abbiamo chiamato per semplificare
capitale per occupato) e dall’efficienza nell’utilizzare le risorse, che dipende in
modo cruciale dalle istituzioni di un paese. Questo ci dice che ci sono quindi due
modi di crescere: caso della Cina, aprirsi al commercio internazionale (ingresso
nel WTO) che fa sì che i prodotti siano potenzialmente esportabili nel resto del
mondo. Il secondo modo è fare riforme economiche, che sono la correzione delle
istituzioni, del modo di funzionare dell’economia, per renderle adatte a competere
sui mercati internazionali. Le riforme servono a far ripartire la crescita economica
per un paese che ha esaurito le opportunità di profitto secondo il vecchio modello. Il vecchio modello è salire lungo una data funzione di produzione; il nuovo
modello è spostare in su la funzione di produzione con le riforme economiche.
3.4 Sintesi
Il PIL dipende dalle risorse e dall’efficienza con cui si usano. L’efficienza a sua
volta dipende dalle istituzioni di un paese. Finché un paese è povero, ha la possibilità di aumentare le sue risorse a disposizione da usare in produzione (caso
della Cina: un paese che può permettersi di essere inefficiente perché ha 500milioni di persone nelle campagne. Se hanno bisogno di produrre di più non fanno una
riorganizzazione aziendale, ma mettono in piedi una nuova città con 50mila persone che lavorano al salario prevalente, cioè basso. Questo gli consente di essere
competitivi sui mercati senza bisogno di fare ristrutturazioni aziendali, accordi
col sindacato, ecc.).
Ad un certo punto la crescita basata sulle risorse diventa un’opportunità non più
disponibile per i paesi già ricchi, che devono essere efficiency driven, cioè la sua
crescita economica deve essere trainata dall’efficienza e non dalle risorse. L’efficienza ha a che vedere con le istituzioni in senso ampio. Le persone devono essere
motivate a lavorare quindi occorre che quello che hanno intorno a loro funzioni.
Ci sono tante cose che fanno le istituzioni favorevoli a crescere. Il primo che ha
capito l’importanza di questa cosa è stato Adam Smith che parlava delle funzioni
dello Stato come servire servizi preliminari per avere un ordinato funzionamento
Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi
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dell’economia della società.
In definitiva, è più facile che le istituzioni siano di buona qualità se il paese ha
un più alto reddito pro-capite. Questo dà la speranza ai paesi ricchi. I ricchi
mettono in piedi istituzioni migliori e quando una multinazionale deve decidere
dove allocare il suo capitale guarda la qualità delle istituzioni oltre che al costo del
lavoro e delle materie prime. Tutte e due le cose contano, a seconda del livello di
sviluppo del paese potranno essere più bravi nel fornire risorse o nel fornire qualità
ed efficienza alle multinazionali o agli imprenditori nazionali. A seconda se è più
importante la forza 1 o 2 avremo implicazioni e risposte diverse alla domanda
“qual è la probabilità che un paese povero diventi ricco, tutti i paesi poveri sono
destinati a diventare ricchi?” la risposta è no, i paesi poveri che riescono a dotarsi
delle istituzioni appropriate riescono a sfruttare opportunità di profitto attirando
gli investimenti, se non lo fanno no.
Come sarebbe il grafico “crescita vs condizioni iniziali” nei vari paesi
del mondo se..
Convergenza dei PIL pro-capite nel corso del tempo
Un mondo in cui c’è solo la forza 1 assomiglia al grafico degli stati degli Stati
Uniti, cioè conta solo il PIL pro-capite iniziale. Potremmo scommettere dicendo
che se un paese è ricco questo crescerà poco, se è povero crescerà tanto. Se però il
mondo non è quello degli stati degli Stati Uniti il mondo assomiglia più al secondo
grafico.
Divergenza dei PIL pro-capite nel corso del tempo
Ci sono paesi che hanno un basso reddito pro-capite, ma hanno anche delle istituzioni di così bassa qualità che è molto improbabile che riusciranno a crescere
molto domani. Viceversa ci sono paesi ricchi che ormai si sono diventati ricchi,
ma hanno istituzioni di buona qualità che gli consentono di convalidare la loro
crescita economica anche per il futuro. Così gli Stati Uniti continuano a rimanere
leader mondiali e a fare +2.5 % di crescita l’anno.
Il mondo è una via di mezzo fra questi due casi estremi. Non sempre
i paesi poveri crescono più rapidamente.
Se ci dimentichiamo dell’Africa a sud del Sahara, vediamo Cina e India, paesi
poveri che sono cresciuti tanto, in mezzo ci sono i paesi americani e a destra
Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi
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l’OCSE coi paesi USA. Tecnicamente in questo caso c’è convergenza nel mondo.
I poveri crescono tanto e i ricchi crescono poco. Viceversa se dimentichiamo gli
asiatici, sembra un mondo di divergenza perché i poveri crescono poco o non
crescono (Nigeria) e i ricchi crescono tanto.
In alcuni casi la Forza #1 (convergenza) prevale e i poveri convergono
verso il benessere dei ricchi.
Dopo la seconda guerra mondiale fino ai primi anni novanta:
• Europa e Giappone hanno recuperato gap con USA;
• Francia, Germania, Italia vs. UK;
• Paesi poveri dell’Europa vs paesi ricchi dell’Europa;
• Cile, Botswana rispetto ai paesi OCSE
Dagli anni ’90:
• Paesi dell’Est Europa rispetto ai paesi della Vecchia Europa;
• Cina rispetto ai paesi OCSE (dagli anni ’80, veramente);
• India rispetto a paesi OCSE
Dagli anni 2000:
• Russia rispetto a paesi OCSE
Dopo la seconda guerra mondiale l’Europa è cresciuta rapidamente basandosi su
rapida accumulazione di risorse perché i paesi europei erano distrutti dalla guerra
e hanno dovuto ricostruire il capitale fisico, umano, dagli anni ’90 i paesi poveri
che sono riusciti a diventare un po’ più ricchi sono i paesi dell’est Europa, Cina
rispetto ai paesi OCSE, India rispetto ai paesi OCSE e anche la Russia rispetto
ai paesi OCSE dal 2000 in poi.
Esempi di divergenza (paesi poveri che si impoveriscono o paesi ricchi
che diventano ancora più ricchi)
Poveri ancora più poveri
• Africa a sud del Sahara rispetto ai paesi asiatici
• America Latina rispetto ai paesi asiatici
• Paesi esportatori di petrolio rispetto a Nord-Africa
Ricchi ancora più ricchi (il gruppo “piove sul bagnato”)
Anni ’90
• Stati Uniti accelerano rispetto all’Europa
Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi
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• Paesi nordici dell’Europa rispetto al resto dell’Europa
Riescono ad attuare rivoluzione tecnologica e manageriale. Gli altri no
Conclusioni sulla crescita prima della crisi
Il mondo cresceva a tassi mai visti nella storia. Ma non tutti i paesi del mondo:
• Paesi africani e latino-americani non sono riusciti nel catching-up – mancavano delle necessarie infrastrutture tecnologiche, organizzative e manageriali
• Nel loro caso: “vantaggio” di essere poveri più che compensato da
svantaggio di efficienza istituzionale
• Paesi asiatici ce l’hanno fatta, invece
• Rapida accumulazione di K in contesto di apertura commerciale ha
più che compensato gli iniziali svantaggi tecnologici
• E anche i più poveri tra i paesi Ocse: Francia, Germania, Italia, Spagna,
Portogallo, Grecia
• Rincorsa degli europei “poveri” riuscita fino ai primi anni ’90, quando
arriva l’ICT e Internet (o la finanza creativa)
• A quel, punto prevale la divergenza: fino al 2007.
Ecco spiegato il grafico delle bolle
Capitolo 4. La crisi finanziaria
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Capitolo 4
La crisi finanziaria
4.1 The nitty-gritty
Nella seconda metà del 2008 è avvenuta la più profonda recessione che ha colpito
le economie mondiali dalla seconda guerra mondiale. Quello che avvenne fu che
il PIL e la produzione industriale crollarono nei paesi più ricchi, poi ci fu una
ripresa più o meno nel terzo trimestre del 2009, trainata dalle economie emergenti, anche se la ripresa avvenne anche nelle economie più avanzate. La crisi ha
avuto l’epicentro in America a partire dall’estate del 2007, ma si è poi esteso al
resto del mondo, tra l’altro la crisi finanziaria è stata una crisi che è partita dal
mercato immobiliare americano e si è estesa a tutti i mercati finanziari del mondo
influenzando tutta l’economia mondiale. Tutto ciò si è originato in un segmento
relativamente piccolo del mercato dei mutui in America che sono un pezzetto
del mercato immobiliare (mutui subprime). I mutui subprime sono una parte del
mercato immobiliare, il mercato immobiliare è una parte dell’asset market (che
includono le borse, il mercato obbligazionario, commodity), e quello che succede
agli asset market influenzerà l’economia (consumi, investimenti, PIL, produzione
industriale) in USA ma anche nel resto del mondo. Lo shock iniziale è però piccolo
rispetto a tutto quello che è successo dopo. Bisogna cercare di spiegare il perché
si è espansa così (effetto moltiplicativo).
Bank A and its balance sheet
Partiamo dal bilancio di una banca che ha un bilancio con attività e passività.
Dal lato delle attività vi sono tutte quelle cose che danno diritto a ricevere dei
pagamenti (100 in asset: titoli pubblici, prestiti, liquidità tenuta a riserva). Sono
anche gli affidamenti di una banca questi asset. La banca non ha i soldi per far
prestiti, li deve trovare e poi impiega i soldi che riceve come parte del suo business.
La banca commerciale ha gente che deposita i soldi e assieme ai nostri risparmi
una banca raccoglie in altri modi i suoi soldi (es. emissioni di obbligazioni o azioni
bancarie). Con le azioni un tizio decide di comprare una parte di capitale che
consente di partecipare ai profitti, mentre con l’obbligazione la banca si impegna
a dare indietro il 2% di tassi di interesse. Nei casi recenti quello che avviene è che
di fronte all’insolvenza della banca prima si azzerano i diritti degli azionisti, in
passato c’era l’intervento dello stato che preservava gli obbligazionisti e gli altri
detentori di qualche forma di credito. Quindi uno per ottenere il mutuo diventava
un po’ il finanziatore della banca, e questo era il modo in cui funzionavano le
Capitolo 4. La crisi finanziaria
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banche soprattutto quelle più piccole. Quello che conta è che la banca sia solvente,
cioè che 100 sia più grande di 90 in modo tale che ci sia un capitale (10) che
rappresenta il valore posseduto dagli azionisti e che serve a compensare eventuali
ammanchi. Vuol dire nel caso in cui qualche prestito della banca non va a buon
fine o nel caso in cui si scopre che la banca abbia acquistati titoli che valgono
50, occorre che la banca abbiamo messo da parte abbastanza soldi per poter far
fronte al minor valore degli asset. Quanto grande deve essere questo capitale? Non
c’è una quantità fissa ma i requisiti sono diventati più stringenti e vanno sotto
il nome di accordi di Basilea. La capitalizzazione che viene ritenuta prudenziale
dalla banca centrale è circa l’8%. Un punto importante da sottolineare è che questi
numeri sono valutati al face value cioè a quello che è scritto su un pezzo di carta;
se la banca fa un prestito a un’azienda che sta fallendo, la banca deve valutare
che accantonamento fare nel suo bilancio per far fronte alle perdite potenziali.
Questo porta a dover scrivere bilanci guardando al criterio del fair value, ovvero
il valore plausibile di mercato, non il valore scritto sul pezzo di carta, perché
l’azienda in realtà non può pagare e questi sono i cosiddetti crediti deteriorati.
Siccome si usa il fair value come criterio per contabilizzare, se succede qualcosa
sui mercati il rischio è che noi abbiamo scritto 100 ma in realtà è un valore più
piccolo di 100. Se il valore degli asset diminuisce può capitare che la banca non
abbia abbastanza risorse per far fronte alle sue passività. Perché ci preoccupiamo
della banca A? perché è più o meno la banca commerciale americana media prima
della crisi. Questa banca aveva un coefficiente di capitalizzazione del 10% oppure
un rapporto di leva finanziaria pari a 10 (dava a prestito 10 volte il suo capitale).
Questa era la banca commerciale media ed è importante ricordare questi numeri,
perché il business model di una banca è sempre lo stesso, perché viviamo in un
sistema di riserva frazionale, cioè uno riceve 100 di depositi ed è tenuto a tenere
circa 10%, gli altri 90 li dà a prestito per moltiplicare la liquidità che c’è in
economia.
La cosa preoccupante era il rapporto di leva per le banche di investimento e gli
“hedge funds”, che sono questi fondi che comprano crediti deteriorati da queste
banche a basso prezzo per rivenderli a prezzo più alte, era pari a 27 (3 volte di
più rispetto a una banca commerciale media). La banca commerciale media è
comunque leverage ma le banche di investimento erano leverage tre volte tanto.
Lehman Brothers aveva un capitale netto di 25 miliardi di dollari e gli asset
erano 680 miliardi di dollari, quindi prestava 680 miliardi di dollari e teneva
come cuscinetto solo 25 miliardi di dollari (circa il 3%). Quindi bastava che solo
il 3,3% dei prestiti andasse male affinché Lehman Brothers fallisse. Il caso peggiore
era però AIG (assicuratori), che assicuravano gente come Lehman Brothers: se
LB non aveva indietro il capitale, AIG metteva i soldi. Quindi in caso di default
c’era il cambiamento del diritto di credito dalla società che ha originato il credito
alla società di assicurazione. Tra l’altro lo facevano anche con altre banche di
investimento americane. Quindi assicurava tutte le banche con business rischioso
con un capitale di 25 miliardi, ma gli affidamenti era 3200 miliardi di dollari,
quindi bastava uno 0,7% dei suoi asset falliti per fallire.
In che senso essere una banca di investimento è diverso dall’essere una banca
commerciale?
A sinistra bilancio di una banca di investimento a destra commerciale. Partiamo
dalla commerciale: la perdita massima che può permettersi è il 10%. Qual è il
Capitolo 4. La crisi finanziaria
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tasso di rendimento sul capitale, assumendo un 3% di tasso di investimento sugli
asset, 3% di 100 fa 3 e poi per calcolare il ROE è 3/10 quindi 30%. La banca
di investimento invece ha 300 di asset, 10 di capitale, 290 di passività con una
perdita massima del 3,3%. È più sicuro mettere soldi in una banca commerciale.
Quindi perché investire nelle banche di investimento come Lehman? Perché se le
cose vanno bene ho un tasso di rendimento 3 volte più grande di quello di una
banca commerciale. Lehman era stata per questo per molto tempo la regina di
Wall Street.
Qualcosa inizia ad andare storto, ovvero sia: gli asset di una banca sono divisi in
due gruppi, ci sono un po’ di good asset (rischio di mancato rimborso uguale a
0), circa 60, e poi ci sono i bad asset (crediti la cui possibilità di rimborso è bassa,
con probabilità di default). I bad asset devono essere gestiti dal management
della banca, la banca A che sa di avere questi bad asset inizia a svalutare questi
bad asset tirando via 5 dagli asset (scrivendo quindi a bilancio 95). Rimangono
gli altri 35 bad asset, ma a questo punto comincia il problema di comunicare le
informazioni al mercato, fin tanto che c’è stata la prima eliminazione dal bilancio
di una parte dei bad asset, rimane 95 di asset, 90 in passività e quindi viene
dimezzato il capitale, quindi una parte di capitale è servito per far fronte a questi
ammanchi. Se la notizia che vi siano altri bad asset inizia a circolare, si pone
il problema di cosa fare perché ci saranno più passività che attività. Quali sono
le implicazioni? Può avvenire tutta in un giorno, oppure ci sono voci e dicerie.
Succede che:
1. Non voglio esser quello che si ritrova con un’azione della banca A, quando
tutti vengono a sapere che valgono 20, perché a quel punto il valore della
banca diventa 0, perché viene azzerato il capitale.
2. Il manager può provare a cercare nuovi finanziatori o può provare ad emettere obbligazioni nella speranza di ottenere nuovo capitale. Ma mettiamoci
nei loro panni, chi dà i soldi a una banca del genere? I soldi potrebbero aver
valore oggi e non domani.
RISULTATO: la banca A si avvicina all’insolvenza, ma a un certo punto nessuno
più sul mercato le presta soldi. Nasce la crisi derivante dal cattivo stato del
bilancio bancario per la banca A. Se la banca A è grande ciò trascina effetti
aggregati, le altre banche sono solide o no?
L’implicazione di questo è anche un’altra: arriva il credit crunch, ovvero sia scompare il credito dall’economia. Se la banca ha bilanci in cattive condizioni e fallisce,
dipende dalla ragione, se detiene titoli che anche altre banche hanno gli investitori
si chiedono se anche le altre banche falliranno e si mettono a vendere i titoli. Chi
ha liquidità si tiene la liquidità, e il fatto di disporre di liquidità ti rende “re”. Solitamente succede che le banche a corto di liquidità si fanno prestare liquidità dalle
altre banche dando un titolo di garanzia. In questo caso però le banche si tengono
la liquidità. Se però tutte le banche si tengono il cash, chi presta alle aziende fuori
dal sistema bancario? La liquidità quindi non circola più nell’economia. Questo
vale anche all’interno delle aziende, le aziende che hanno liquidità non investono;
l’atteggiamento di rimanere liquidi diventa una cosa diffusa. Anche le famiglie
che hanno liquidità se la tengono. I beni che per primi vengono tagliati in una
situazione di questo tipo sono quelli durevoli.
Capitolo 4. La crisi finanziaria
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Il mercato immobiliare americano sale di tanto in 6 anni e scende drammaticamente (valore nominale) in circa un anno e mezzo. Questo non è successo solo in
America ma anche in altri paesi. In Italia nel 2015 sono ripartite le compravendite
ma i prezzi hanno continuato a scendere e si sono stabilizzati solo verso la fine
del 2015.
Cosa è successo al mercato immobiliare americano? In 6 anni sale di molto e
scende altrettanto drammaticamente rapidamente. Ci sono paesi che hanno avuto
una crescita del mercato immobiliare anche maggiore degli Stati Uniti (Irlanda,
Uk), l’Italia ha andamento simile a USA, sale fino alla fine del 2008, comincia poi
a diminuire e non è ancora risalito. In Germania non c’è stato nessun boom del
mercato immobiliare, in Giappone c’era già stato negli anni precedenti. In Italia
non è ripartita la domanda ma i proprietari di casa hanno venduto lo stesso, ma
vendendo in tanti hanno fatto scendere il prezzo delle case. Cosa è successo? È
successo qualcosa che prima ha fatto gonfiare la bolla e poi l’ha fatta scoppiare.
I tassi di interesse in America era rimasti bassi per lungo tempo (2001 – 2004) e
questo ha fatto salire la domanda di case perché è sceso il costo di fare mutui; a
fronte di un aumento della domanda di case salgono i prezzi e questo è rilevante
perché le banche che hanno fatto i mutui a fronte di un aumento dei prezzi si
sentono più sicure perché di solito quando si fa un mutuo si dà in garanzia la
casa che si compera. Man mano che sale il prezzo delle case, più i prestiti che
sono stati fatti in passato diventano sicuri. Il prestito che valeva 100 ora vale 120,
quindi se ridanno la casa ci guadagnano. Il valore delle garanzie è quindi salito
e quindi fare prestiti per le banche diventa un business molto più sicuro che in
passato e quindi il debito delle famiglie aumenta ancora. Dopo di che il presidente
della FED capisce che l’economia si sta scaldando troppo, il mercato immobiliare
sta crescendo troppo rispetto al PIL, quindi il presidente della FED fa salire i
tassi. Inizia quindi a scendere la domanda di case, il prezzo scende e si verifica un
effetto vizioso, le banche non si sentono più garantite come ieri, si inizia quindi
a ritirare i fidi, a richiedere un rientro anticipato, i prestiti diventano sempre più
rischiosi. Quello che prima congiurava per mandare in su il debito, ora manda giù
il debito.
Andando di più nel dettaglio: i mutui sub prime. Il subprime lending è la pratica
di dare a prestito a persone con un alto rischio di default. Vi sono i prime borrower
che sono le persone con uno stipendio fisso che son presenti sul mercato dei mutui.
Vi sono poi invece i percettori di redditi bassi, o i bad borrower cioè una
persona che ha preso a prestito in passato e ha mancato di ripagare delle rate
del mutuo. Queste informazioni la banca riesce ad averle e quindi riesce a capire
chi sono i bad borrower. Quello che succede con l’inizio degli anni 2000 è che
in passato il sub – prime lending era fuori dalla storia, ora questi sub - primer
entrano nel mercato dei mutui e iniziano ad essere rilevanti (20% nel 2006).
Quota di default dei sub primer. Nel 2001, dopo 3 mesi, era il 4%, dopo 12 mesi
diventa 8%. Nel 2007 cambia molto la curva e dopo 3 mesi siamo già all’8% e
dopo 12 mesi ¼ del totale quelli che non riescono a rimborsare.
Il caso tipico in America di queste persone è “mamme con figli, divorziate, con
mariti che non pagano gli alimenti”. Cos’è un mutuo sub – primes? Un mutuo con
un tasso aggiustabile e con una struttura ibrida, cioè un po’ variabile un po’ fissa.
Es. mutuo con durata ventennale con tasso 2% fisso nei primi 2 anni. Nei primi
Capitolo 4. La crisi finanziaria
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2 anni le banche offrivano un basso relativamente basso, dopo si passa a quello
variabile. Nel corso del tempo i sub primer, prima dei 2 anni dicevano che non
potevano ripagare, il broker però chiedeva in garanzia la casa per rifinanziare
il prestito anche se non aveva un reddito per pagare. Infatti a un certo punto
la quantità di mutui che vengono rifinanziati fanno 50 – 70% e questo è un
meccanismo che funziona. Spesso erano i broker che cercavano queste persone,
questo quindi spiegava perché i sub primer entravano nel mercato dei mutui. La
ragione per i broker di trovare nuovi clienti era che c’era molta liquidità in giro
e soprattutto una commissione per ogni nuovo contratto. Come tale questa cosa
però è stata solo l’inizio della crisi. I mutui sub prime sono solo il 20% del mercato
immobiliare. Ci rimane da spiegare come da una piccola fetta di mercato si arriva
a una crisi mondiale. Quando in passato c’era stato un crollo veramente grande il
valore del mercato azionario scese del 20% (1987). Stavolta è stato del 30%, ma
la perdite sui bilanci bancari derivanti da mutui non rimborsati rappresentò 650
miliardi di dollari, equivalente a una caduta del 4%. Perché? I mutui erano stati
cartolarizzati.
Cartolarizzazione dei mutui: i contratti di mutuo sono dei contratti che generano
una situazione di rischio che è molto individuale, se io dò a prestito dei soldi (a
Rocco) mi affido (a Rocco) nel dare questo mio prestito, ma può essere che il
mutuatario sia rischioso. Se poi vado da Mario e chiedo di condividere il rischio
del mutuo di Rocco, ma non c’è evidenza che mettere una casa in garanzia oggi
sia un grande affare, non basta la casa in garanzia, servono requisiti di reddito e
solidità. In realtà i mercati finanziari odiano questo tipo di contratti e preferiscono
i titoli di prodotti omogenei. La cosa essenziale per poter rendere i contratti di
mutuo commerciabili e circolabili nell’economia è il fatto di avere tanti Rocco, cioè
persone simili tra loro. Quindi se la banca B rastrella sul mercato tanti contratti
di mutuo che assomigliano a quelli di Rocco, può essere che qualcuno mi riesce a
ridare indietro e altri no e questo mi fa avere la diversificazione del rischio. Quindi
posso tornare da Mario a dirgli che ora ho 100 Rocco e Mario avrà i suoi soldi se
almeno 50 ridaranno i loro soldi. Quindi cosa avvenne nell’economia americana?
Che anziché rimane seduti nel bilancio delle banche, i contratti di mutuo sono
stati venduti a un’altra società (special purpose value) che si comperava mutui
da tutte le banche con un’istituzione che amministrava l’acquisto di questi titoli.
Per comprarli aveva bisogno di cassa, che si procurava emettendo dei bond, come
quelli già descritti, trovando persone come Rocco o Mario. La società quindi
finanzia il suo acquisto di mutui emettendo delle securities che sono chiamati
mortgage backed securities, che sono titoli che hanno un valore perché supportati
dall’esistenza di mutui, quindi questi titoli hanno valore perché a loro volta i
mutui hanno un valore. La cosa importante è che nascono questi MBS che hanno
un valore fino a quando i mutui originari hanno un valore, e questi hanno valore
fino a quando il valore della casa continua ad andar su.
La cosa importante è che sostanzialmente dalla pool iniziale di mutui viene generata una torta di mutui, tutti un po’ subprime, che non vorremmo comprare,
ma che per come li offro a quelli avversi o propensi a rischiare può sembrare
che un sottoinsieme di questi sia sicuro e un altro no. Questi erano contratti con
delle tranche, ovvero sia c’era la parte senior e junior, una garantita e l’altra no.
La parte garantita sarebbe “se mi ripaga il 50% rivedi i tuoi soldi”; la parte non
garantita “se mi ripaga il 90% vede i soldi”. Il senior è quello che viene prima,
Capitolo 4. La crisi finanziaria
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cioè viene ripagato per primo l’avverso al rischio (senior).
Tutto ciò è peggiorato dal fatto che si generano questi bond molto liquidi, soprattutto per la parte senior, cioè quella offerta agli avversi al rischio che comprano
dei titoli a cui le agenzie di rating hanno assegnato la tripla A. B è un giudizio
ancora molto positivo, vuol dire avere l’investment grade, cioè i fondi di investimenti mettono i titoli che hanno fino alla B nei loro portafogli. Quando un bond
va a C non ha più l’investment grade, quindi viene escluso dalla possibilità di
essere inserito nei portafogli dei grandi investitori e fondi di investimento internazionali. Importante è capire il meccanismo della moltiplicazione del problema.
A causa di questo disegno di bond diviso in junior e senior prime riesco a far dare
la tripla A alla tranche senior, e magari la società di assicurazione può fornire
assicurazione dicendo che se non rimborsano ci mette lei i soldi, perché c’è la
tripla A. Questo è quello che fece AIG. Di fatto Lehamn entrava in affari con
la SPV, cioè rastrellava i mutui in maniera diretta o indiretta nel mercato, AIG
assicurava il business di Lehman. Le agenzie di rating dovevano dare un parere
che veniva formulato in base a quello che era successo negli ultimi anni, i default
degli ultimi anni erano stati molto pochi, nei contratti c’era segno di rifinanziamento, ma questo poteva anche dire che era perché vi erano migliori condizioni
sul mercato. Quindi non c’era evidenza sul mercato dei mutui di cose che non
andavano bene. Tutto il business viene condotto da banche di investimento, che
non avevano depositi, quindi la parte sicura della raccolta di fondi non c’era.
Serviva che i mercati fossero liquidi e continuassero a funzionare.
Riassumendo:
1. I mutui sono eterogenei
2. Si può fare diversificazione del rischio comperandone tanti, abbastanza simili, e quando si fa questo si possono emettere MBS standardizzati, cioè
vendibili ad amanti del rischio o avversi al rischio, che sono tagliati in fette con diversi profili di rischio e di investimento (questo si chiama CDO,
collateralized debt obligation, contratti di debito con una garanzia).
3. Queste securities sono certificate da agenzie di rating e assicurate da compagnie di assicurazione attraverso i credit default swop
4. Tutto ciò serviva a far funzionare un sistema in cui venivano emesse obbligazioni come quelle di cui abbiamo parlato, e tutto ciò funzionava bene
finché c’è stata liquidità nel sistema.
The sub – prime primer
Mutuatario: “Vorrei comperare una casa ma non ho messo da parte abbastanza
soldi per poter dare un anticipo e non credo di potermi permettere i pagamenti
mensili. Potete aiutarmi?”
Broker: “sicuramente. Siccome il valore della tua casa salirà sempre non abbiamo
bisogno di un anticipo. In più possiamo darti un tasso di interesse molto basso
per alcuni anni, lo aumentiamo dopo ok?”
Mutuatario: “sicuro, no problem. C’è un’altra cosa: il mio datore di lavoro è un
po’ un bastardo e potrebbe non confermare che io sono occupato. Sarebbe un
problema?”
Capitolo 4. La crisi finanziaria
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Broker: “no non è un problema, possiamo darti un prestito del bugiardo e in questo
modo puoi autocertificare qual è il tuo livello di reddito e la tua occupazione”
Mutuatario: “voi siete meravigliosi!”
Broker: “in realtà non ti prestiamo noi i soldi ma la banca, quindi non ci interessa
se ci ridai indietro i soldi, noi prendiamo lo stesso la nostra commissione”
Banchiere: “dovrei liberarmi di questi mutui spazzatura, cominciano a danneggiare il mio ufficio, per fortuna quelli della finanza li compreranno e metteranno
in piedi la magia della finanza”
Finanza: “anche noi dovremmo liberarci di questi mutui puzzolenti”
Finanza 2: “chi si comprerebbe questa spazzatura?”
Finanza: “creeremo una nuova sicurezza e useremo questi mutui puzzolenti come garanzie e li chiameremo CDO, possiamo vendere la CDO agli investitori e
promettere di ripagarli quando i mutui sono rimborsati”
Finanza 2: “ma la spazzatura è spazzatura”
Finanza: “individualmente sono prestiti spazzatura ma se li mettiamo insieme
qualcuno ripagherà quindi a quel punto non abbiamo da preoccuparci e in ogni
caso i prezzi delle case vanno sempre su, quindi anche la parte che non ripaga va
bene”
Finanza: “il nuovo CDO sarà fatto di 3 pezzi: se qualcuno dei mutui non viene
rimborsato prometteremo di pagare gli investitori che hanno comperato la parte
sicura, poi vengono quelli che hanno comperato la parte non sicura”
Finanza 2: “ah e siccome i buoni investitori che hanno la parte sicura hanno anche
minor rischio possiamo pagare un tasso di interesse più basso”
Finanza: “esatto ma la parte venduta avversa al rischio può essere assicurata e
quindi avremo una tripla A, e tutto starà in piedi molto meglio”
Finanza 2: “così sei riuscito a generare titoli con tripla A da una pila di mutui
rischiosi. A chi vendiamo questi mutui?”
Finanza: “li venderemo a società di assicurazione, a banche, in Norvegia, e a
chiunque sia alla ricerca di un investimento sicuro”
Le cose iniziano ad andare male…
Gestore fondo pensione di un villaggio norvegese: “cosa sta succedendo? Non
stiamo ricevendo i nostri pagamenti mensili”
Finanza: “è stato un po’ agitata la situazione qui intorno, sembra che i mutuatari
in realtà non sono in grado di rimborsare”
Gestore: “noi abbiamo comprato la tripla A del CDO, quindi quella sicura, si
suppone che noi siamo rimborsati per primi”
Finanza: “sfortunatamente i prestiti si sono rilevati molto più spazzatura rispetto
a quanto si pensava”
Gestore: “ma mi hai detto che siccome i prezzi delle case sarebbero sempre andati
su, i vostri debitori potevano sempre rifinanziare i loro mutui”
Finanza: “ci siamo sbagliati”
Capitolo 4. La crisi finanziaria
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Gestore: “cosa si può dire della tripla A delle agenzie?”
Finanza: “si son sbagliati anche loro. Non c’è modo di rimborsare e risolvere questo
casino”
4.2 ABS (Asset Backed Securities), liquidità e credito all’economia
Normalmente si pensa che la finanza sia il diavolo, ma ciò che si è verificato è
stato un insieme di cose, anche le imprese non si sono comportate bene, quelle
che hanno ricevuto il credito abbondante generato da questo sistema finanziario
hanno sprecato i fondi.
Rmbs: subprime residential mortgage backed securities, se le prendono le famiglie
sono residential, senno nonresidential.
Sub prime: quelli che comprano la casa e sono a rischio di default
Prime: quelli che comprano casa e non sono a rischio di default
Se avessimo guardato i bilanci bancari, la voce del trading è diventata sempre più
importante, cioè le banche hanno fatto soldi con il trading di mercato invece che
con imprese e famiglie. La finanza è diventata molto grande.
Spesso si dice che la finanza ha beneficiato a spese della real economy, un po’ è
così, ma con 2 specificazioni:
1) L’aumento del credito che c’è stato in tutte le economie è stato nel financial
sector con un accelerazione tra il 2004 e il 2008, ma anche tra il ‘95 e il 2000,
e anche l’aumento del credito alle società non finanziarie è salito notevolmente
in questo periodo. Il riassunto che dice che i profitti sono rimasti solo all’interno
della finanza non è vero, perché è salita anche la quantità di credito disponibile
a household (famiglie) and corporate sector (aziende)
2) I tassi di interesse sono stati bassi in recessione, e lo sono rimasti anche quando
la recessione era finita per un lungo periodo. Li ha tirati fino all’1%, tirandoli su
grossomodo fino all’inizio del 2004, ma ormai il mercato immobiliare (linea rossa)
aveva fatto un boom incredibile dietro i tassi di interesse bassi e calanti.
Cosa hanno fatto le aziende con tutti i soldi arrivati?
Puoi acquisire un’altra azienda (fusioni o acquisizioni) o svilupparti. Supponendo
che le aziende abbiano voluto fare investimenti per diventare grandi, perché il
mercato andava bene, l’hanno fatto quasi esclusivamente per via esterna. Tra la
scelta di autofinanziare la crescita interna e comprare aziende fuori, hanno deciso
di comprarle fuori.
Risultato: Boom di annunci di fusioni e acquisizioni tra il 2007 e il 2008
Tante aziende sono andate in borsa per raccogliere fondi, e questi acquisti di
aziende esterne sono stati comperati a debito, ma la nuova azienda così ha il peso
del debito sulle spalle. Riuscire a portare avanti e mettere in pratica i piani di investimento con un debito grosso è molto difficile. Le aziende hanno ricevuto fiumi
di liquidità dal settore finanziario, un po’ le aziende hanno partecipato usando
liquidità per guadagnare sui mercati, hanno acquisito immobili e capannoni per-
Capitolo 4. La crisi finanziaria
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ché il mercato andava su e sembrava un buon investimento, poi hanno acquisito
altre aziende, ma in questi casi non sono riuscite a creare valore perché ci sono
studi che lo documentano:
Le fusioni e acquisizioni, producono benefici per i manager coinvolti (benefici
privati) ma pochi vantaggi (creazione di valore) per l’azienda nel suo complesso (misurato in profittabilità). Emerge anche che dalla fusione delle aziende i
guadagni di produttività vengono quasi solo dai nuovi impianti.
(Leverage buyout = acquisto di un’azienda comprata a debito)
4.3 Conclusione
La finanza si è assunta troppo rischio e debito. Ciò ha generato crisi dopo aver
generato ricchezza finanziaria per un po’ di anni. La crisi è stata molto rapida e
più diffusa, mentre la ricchezza era stata più
concentrata. Tutta questa generazione di ricchezza e liquidità ha fatto crescere
il credito al resto dell’economia, andando a finanziare la crescita esterna, che in
un mondo globale non è male di per sé, ma quando uno guarda ai dati vede che
i risultati che vengono fuori sono quantomeno misti, cioè che non è evidente il
fatto di creare valore per l’impresa a fronte di alti profitti e guadagni dei manager
coinvolti nell’iniziativa. Perciò non si può dare tutta la colpa alla finanza, le
aziende hanno usato male il credito che gli è arrivato, in un modo che non ha
creato tutto il valore economico e sociale che avrebbe potuto generare.
Infine possiamo leggere un po’ l’opinione di Alan Greenspan (banchiere centrale
americano) di cosa era avvenuto nel corso degli anni. Nel 2005 lui usava frasi come
“i nuovi strumenti per la diversificazione del rischio hanno consentito a banche
più sofisticate e più grandi di liberarsi del grosso del rischio di credito vendendo a
banche meno esposte al rischio. Questi strumenti finanziari sempre più complicati
hanno contribuito allo sviluppo di un settore finanziario più flessibile e efficiente,
quindi meno esposto agli shock di quello che esisteva 25 anni fa.
Dopo lo scoppio della bolla del 2000 non c’è stato nessun episodio di insolvenza
di grandi istituzioni finanziarie, il che è in contrasto con ciò che è avvenuto in
passato di fronte a grandi shock finanziari. Quello che è emerso è che il trade off
della finanza: vuoi più rendimento, devi accettare più rischio. Questo vale anche a
livello aziendale: se non si innova c’è meno rischio e meno rendimento, ricordando
che un’innovazione su 100 funziona.
Capitolo 5. Recessioni e recuperi
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Capitolo 5
Recessioni e recuperi
5.1 Recessioni e recuperi
Ci sono anni buoni e anni cattivi. La crescita del PIL fluttua nel corso del tempo e
per spiegare queste fluttuazioni serve il modello di domanda e offerta aggregata.
In linea generale un altro modo di esaminare il grafico di domanda e offerta è
quello di considerare che l’andamento del PIL oscilla intorno al suo andamento
di lungo periodo.
GDPn è la possibilità dell’economia di produrre esattamente quanto è naturale
fare per l’economia stessa (PIL in equilibrio). Quindi GDPn è la misura di quanto
si può produrre e ci sono momenti in cui l’economia viaggia più veloce rispetto
al suo rispetto normale e momenti in cui viaggia più lenta o addirittura in cui
il PIL decresce. L’alternarsi di recessioni e riprese nell’economia lo si misura
misurando le distanze tra il “tetto” e il “pavimento” del ciclo economico. Il ciclo
economico è fatto da una recessione e da una ripresa, la combinazione di queste
due cose nel corso del tempo ci descrive l’andamento del ciclo economico. Quindi
mediamente implica che queste oscillazioni danno luogo a una media che è quella
di GDPn, ma in realtà per la maggior parte del tempo l’economia è lontana dal
GDPn, quindi sta producendo troppo o troppo poco rispetto alle sue capacità
di lungo periodo. Per questo ci sono i cicli economici, questa componente, cioè
la parte transitoria del livello del PIL rispetto al suo livello di lungo periodo è
quello che chiamiamo business cycle. L’altra componente di GDPn è influenzata
da tecnologia, demografia, capacità di innovare, ecc.
Come facciamo a misurare quando arriva una recessione o quando arriva la
ripresa? Ci sono degli indicatori che possono aiutarci a prevederla?
Recessione: La crescita del PIL sia minore di 0 per due trimestri consecutivi (definizione statistica). In realtà però questa definizione non è estremamente utile,
perché come sempre però le cose meccaniche possono risultare delle regole per
tirare una conclusione rapidamente guardando dei dati, ma in realtà per cercare di capire se l’economia va bene o va male ci sono altre variabili oltre al PIL
(dato trimestrale) (andamento delle vendite al dettaglio (dato mensile), l’andamento della produzione industriale e degli ordini (dato mensile) e l’andamento
dell’occupazione (dato mensile)). Se guardiamo questi indicatori otteniamo degli
aggiornamenti del PIL più frequenti. Di fatto la definizione statistica di recessione
Capitolo 5. Recessioni e recuperi
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si basa sul fatto di essere in grado di confrontare come va il PIL in un trimestre
rispetto a quello precedente. Per poter stabilire se l’economia italiana è in recessione nel primo trimestre 2016, dobbiamo confrontare il PIL del primo trimestre
2016 con il PIL del quarto trimestre 2015, e questo sarà un numero negativo, dopo
che già avevamo trovato un numero negativo tra il quarto trimestre 2015 e il terzo
trimestre 2015, allora significa che siamo in recessione. Ovviamente la recessione
parte da quando si è registrato il primo segno meno. Come mai però non è ovvio
il fatto di confrontare il PIL di un trimestre rispetto a quello precedente? Per via
della stagionalità (a gennaio ci sono i saldi e i consumi salgono, a pasqua si produce di meno come a natale ma c’è più turismo e più consumi di determinati beni,
ad agosto nessuno lavora, ecc.). Come si fa quindi a confrontare due trimestri
completamente diversi? Le aziende, a causa della stagionalità, confrontano il q1
2016 con il q1 2015. Cioè si confronta un trimestre con il trimestre dell’anno prima. Ma come si applica così la definizione statistica di recessione a questo sistema
che hanno le aziende di calcolare il loro PIL o i loro fatturati? Abbiamo bisogno
di confrontare un trimestre con il trimestre dell’anno prima. Questo si fa destagionalizzando i dati (sappiamo che tutti i natali sono più o meno uguali). Bisogna
inoltre misurare quante sono le giornate lavorative nel corso di un anno. Calcolare
come un paese è in recessione implica la destagionalizzazione dei dati del PIL.
Ci sono quindi due punti importanti: per poter calcolare la definizione tecnica
di recessione bisogna destagionalizzare applicando un filtro statistico che elimini
la componente stagionale e la componente di calendario (pasqua, ecc.). Quello
che avviene è che viene generato un PIL di cui seguiamo la crescita in due modi:
rispetto al trimestre precedente e rispetto allo stesso trimestre dell’anno prima.
Perché non si usano a livello aziendale le statistiche? Perché le statistiche sono
solo delle ipotesi che vengono incorporate nel filtro statistico che applichi ai dati,
e possono essere sensate o meno. Se le tecniche di destagionalizzazione sono imperfette, ci potrebbe essere una distorsione indotta dalla destagionalizzazione nei
dati che osserviamo. È questo il motivo per cui le aziende non destagionalizzano.
YoY (tendenziali) = anno su anno (confronto trimestri uguali di anni diversi)
QoQ (congiunturali) = trimestre su trimestre (confronto un trimestre con quello
precedente)
Capitolo 5. Recessioni e recuperi
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Tendenziali sarebbe: rispetto all’anno scorso come stiamo facendo? Congiunturali:
rispetto al trimestre precedente come stiamo facendo?
Questi dati ci suggeriscono che è tornato il segno più nell’economia italiana dopo
anni di segno meno. L’ultimo trimestre con segno negativo è stato l’ultimo trimestre del 2014. Il dato annuale, che è destagionalizzato e corretto per gli effetti
di calendario (pasqua che cade in trimestri diversi, ecc.), vediamo che il PIL dell’Italia è cresciuto dello 0,6% rispetto all’anno precedente. La crescita media di
tutto l’anno si può pensare come la crescita media tendenziale di ogni trimestre.
Il dato annuale è più o meno la media dei dati dei quattro trimestri. Nel 2012 il
PIL in Italia scendeva a ritmi del 3%. La cosa importante da tenere a mente però
è che non bisogna sommare i dati tendenziali per trovare quello congiunturale. Il
dato congiunturale ci dice oggi quant’è il PIL rispetto al trimestre precedente, e
questi possono essere sommati.
Dati concatenati = PIL reale
La crescita dell’Italia in realtà sta già rallentando. Inoltre dal susseguirsi delle
variazioni congiunturali vediamo che l’Italia per 2 anni ha avuto una crescita praticamente nulla. Nel 2015 il PIL corretto per gli effetti di calendario è aumentato
dello 0,6%.
Una volta stabilito cosa fa il PIL complessivamente, l’Istat ci dice le varie voci
del PIL in che modo hanno influenzato questo dato. Il PIL è quindi aumentato
ma per la domanda interna o estera? Per la domanda interna privata o pubblica?
ESEMPIO COMUNICATO ISTAT:
Nel quarto trimestre del 2015 il prodotto interno lordo (PIL), espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2010, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è aumentato dello 0,1% rispetto al trimestre precedente
e dell’1,0% nei confronti del quarto trimestre del 2014. Nel corso dell’anno la
crescita congiunturale ha mostrato un progressivo indebolimento.
La stima odierna conferma quella preliminare diffusa lo scorso 12 febbraio.
Il quarto trimestre del 2015 ha avuto due giornate lavorative in meno del trimestre
Capitolo 5. Recessioni e recuperi
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precedente e una giornata lavorativa in più rispetto al quarto trimestre del 2014.
Nel 2015 il PIL corretto per gli effetti di calendario è aumentato dello 0,6%. Si fa
notare che il 2015 ha avuto tre giornate lavorative in più rispetto al 2014.
La variazione acquisita per il 2016 è pari a 0,2%.
Rispetto al trimestre precedente, tutti i principali aggregati della domanda interna sono aumentati in maniera significativa, con incrementi dello 0,3% per i consumi finali nazionali e dello 0,8% per gli investimenti fissi lordi. Le importazioni
e le esportazioni sono cresciute, rispettivamente, dell’1,0% e dell’1,3%.
La domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito per 0,4 punti percentuali alla crescita del PIL, con apporti di 0,2 punti decimali dei consumi delle
famiglie e delle Istituzioni Sociali Private (ISP) e di 0,1 punti decimali sia della spesa della Pubblica Amministrazione (PA), sia degli investimenti fissi lordi.
La variazione delle scorte ha contribuito negativamente alla variazione del PIL
(−0,4 punti percentuali), mentre il contributo della domanda estera netta è stato
positivo per 0,1 punti percentuali.
Si registra un andamento congiunturale positivo per il valore aggiunto dell’industria e dei servizi (+0,1% per entrambi i comparti), mentre il valore aggiunto
dell’agricoltura è diminuito dello 0,1%. In termini tendenziali, il valore aggiunto
dell’agricoltura è aumentato dell’8,4%, quello dell’industria dell’1% e quello dei
servizi dello 0,5%.
Possiamo osservare la grande recessione nel 2008/2010 e un’altra recessione nel
2012/2014. Nel 2015 l’Italia ha fatto +0,8% rispetto al 1,5% dell’Euro Zona.
Non bisogna confondere livelli e tassi di crescita.
Capitolo 5. Recessioni e recuperi
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5.2 Cosa succederà nel 2016?
Nel settembre 2015 il governo diceva che l’economia italiana sarebbe cresciuta
dell’1,6%. I governi sono sempre ottimisti perché se si prevede che la crescita del
PIL sia alta, stai prevedendo che le entrate fiscali aumenteranno automaticamente
senza aumentare le tasse ed entrano più soldi perché aumenta la base imponibile.
Questa è la spiegazione per cui le previsioni sono migliori della realtà. Ci sono
altri soggetti che sono più oggettivi, come il FMI.
Se nel primo trimestre c’è una crescita dello 0,1% e negli altri 3 avremo una crescita di 0,8%, nel 2016 avremo una crescita complessiva dell’1,6%. La previsione
più plausibile è che il PIL nel primo trimestre faccia 0,1% e negli altri 3 trimestri
faccia 0,3%.
Com’è stata la grande recessione nell’euro zona? Che cosa ci dicono i dati destagionalizzati? Questi sono i dati QoQ e ci indicano che la recessione è iniziata nel
secondo trimestre 2008 nell’euro zona in generale e in tutti i paesi tranne la Spagna, e gli USA. Nel terzo trimestre 2009 arriva la ripresa nell’Euro Zona, tranne
Germania e Francia che arriva prima e UK che arriva nel quarto trimestre 2009 e
Spagna che arriva nel primo trimestre 2010. Di quanto è calato il PIL durante il
2008 e 2009? −6,5 in Italia. La grande recessione è stata particolarmente pesante
in Italia e Germania, meno pesante in Spagna e USA (causa politiche fiscali e
monetarie più forti ed espansive), UK più o meno come Italia e Germania.
La stessa storia la si può vedere guardando la crisi dell’Euro (2011 – 2012). Nel
2008 assumiamo PIL = 100. Nel secondo trimestre 2009 il PIL tedesco ricomincia
ad aumentare mentre in Italia continua a diminuire; in Spagna non vi è ripresa
ed è molto robusta in Germania. Con la crisi dell’Euro dopo il secondo trimestre
2011 Italia e Spagna sprofondano di nuovo giù e la Germania ha un rallentamento
della crescita. Il riassunto di tutto è che cumulando i dati dei tassi di crescita sui
livelli, viene fuori che rispetto al 2007, nel quarto trimestre 2015 l’Italia ha il
livello di PIL più basso, la Spagna è tornata ad avere lo stesso PIL del 2007,
Francia un pochino in più e la Germania abbastanza di più. Questo ritardo in
Italia è dovuto a quello che è successo con la crisi dell’Euro Zona e in generale
nei trimestri successivi alla crisi 2008.
Quanto variano le componenti del PIL? L’andamento del PIL sarà la media di
come vanno queste 5 componenti. Se mettiamo su una linea la volatilità, ci sono
alcune voci che oscillano di più e altre che oscillano di meno. Quello che si vede
è che i consumi oscillano di meno ma ripartono meno rapidamente
rispetto al PIL (sono meno ciclici del PIL, cioè scende il PIL di 10 i consumi
scendono di 5). Come mai i consumi sono più stabili? Ci sono i risparmi. Gli
investimenti variano di più rispetto al PIL anche perché dipende molto di più da
pessimismo e sfiducia. Gli investimenti sono quindi più volatili del PIL. Esportazioni e importazioni sono diventati molto più volatili del PIL perché il mondo
è globale. Se il PIL scende globalmente, scendono le nostre esportazioni molto
di più rispetto a quanto succedesse prima se tutti i paesi smettono di crescere
tutti insieme. Infine la spesa pubblica è ritenuta anticiclica, a volte aumenta anche se il PIL scende, perché il governo cerca di controbilanciare l’effetto negativo
su investimenti e consumi. La spesa pubblica è un po’ diminuita nel 2010 e ha
continuato a diminuire durante la crisi dell’euro, dove c’è stato un problema di
Capitolo 5. Recessioni e recuperi
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finanza pubblica, dove quindi la spesa pubblica è diventata più ciclica.
La cosa più importante è di avere uno strumento per prevedere la prossima recessione o la prossima ripresa economica. Il PIL è disponibile solo una volta ogni
trimestre, circa 40 giorni dopo la fine del trimestre. Senza PIL si possono usare
altre indicatori mensili che possiamo raggruppare in differenti gruppi:
• Indicatori coincidenti: ci danno informazioni sul PIL, che noi non osserviamo
in alcuni mesi, esattamente in quel mese. Per sapere come va il PIL al tempo
t, possiamo vedere la produzione industriale in quel tempo t. Se calcoliamo
il coefficiente di correlazione tra la crescita e la produzione industriale di un
certo trimestre e la crescita e la produzione industria per un altro trimestre,
si vede che la correlazione è molto alta. Questo nonostante il 70% del PIL
è fatto da servizi, ma in realtà l’Italia ha una fortissima componente in
industria. Il problema è che noi vogliamo prevedere l’andamento del PIL al
tempo t – 1. La produzione industriale si serve appunto perché se sappiamo
come è andata la produzione industriale a gennaio e poi avremo quello di
febbraio, possiamo già dire come andrà il PIL nel trimestre. Anche i dati
sui fatturati e sugli ordini possono aiutarci a fare una previsione.
• Forward looking (ordini): Con gli ordini dei tempi t – 1, riusciamo a capire
cosa succederà al tempo t alla produzione industriale e al PIL.
• Backword looking (mercato del lavoro): dal punto di vista ciclico la disoccupazione reagisce con ritardo al PIL di oggi, quindi i dati sulla disoccupazione
non servono a prevedere il PIL, ma a capire i periodi precedenti, dipende
dal PIL passato.
• Fiducia di consumatori e imprese: non è fortemente correlata statisticamente con il ciclo economico.
• PMI (Purchasing Managers’ Index): c’è una società che si chiama MARKIT
che crea degli indicatori per misurare le condizioni del business in ogni economia, lo fanno intervistando quelli che fanno gli acquisti nelle aziende. E’
un indicatore che anticipa l’andamento del PIL. Il dato più importante che
genera MARKIT è headline PMI number, ma poi ce ne sono altri che danno opinion su esportazioni, inflazione, ecc. È un indicatore più complessivo
mentre gli ordini industriali sono spesso differenziati a seconda del paese
e hanno una relazione più difficile da catturare. Es: nel febbraio 2016 la
crescita dell’euro zona è la più bassa da un anno a questa parte. Questo
perché è sceso a 52,7% mentre era a 53,7% nel Gennaio 2016. Quando l’indicatore è sopra 50 significa che il PIL sta crescendo, quando è 50 significa
che il PIL è fermo, quando è sopra 50 ma diventa più piccolo significa che
la crescita sta rallentando. La previsione mediamente ci azzecca, ma non i
tutti i trimestri.
C’è un ulteriore elemento da considerare. Una volta avuto PMI non si può dire con
precisione cosa succederà al PIL. È per questo che si cerca di stimare attraverso
un’equazione che lega le variabili che dovrebbero prevedere il PIL (produzione
Capitolo 5. Recessioni e recuperi
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industriale al tempo t, produzione industriale al tempo t – 1, investimenti, tasso
di interesse reale). Vi è poi il LEADIT che è il nostro PMI. L’equazione ci dice
quindi che al variare del PMI al tempo t – 1 ci possiamo aspettare che la crescita
aumenti dello 0,13% moltiplicata per la variazione del PMI. Se il PMI migliora
di un punto percentuale, la crescita del PIL dovrebbe salire dello 0,13%. Questa
equazione ci dice che la crescita del PIL al tempo t è una funzione di quelle
variabili + 0,13 moltiplicato per la variazione del PMI al tempo t – 1.
GDPt = VARIABILI + 0,13 * PMIt−1
Ci sono due osservazioni da fare su questo:
• Ci serve sapere questo 0,13; se non sappiamo quanto grande è, abbiamo
un’idea che il PMI è correlato con il PIL ma non sappiamo di quanto è
correlato. Quindi quantificare lo 0,13 è importante.
• Se il numero non è statisticamente significativo non posso fidarmi dello
0,13 quindi è uguale a 0, quindi il PMI non ha una correlazione stabile nei
confronti del PIL.
Per prevedere il PIL bisogna guardare quindi gli indicatori forward looking. Anche
una volta saputo il PMI, non ci basta per prevedere il PIL perché dobbiamo sapere
qual è la relazione tra PMI e PIL. Dopo averlo calcolato dobbiamo sapere che il
coefficiente è statisticamente significativo. Come facciamo a saperlo? Il p – value
deve essere superiore al 2.
Il mercato del lavoro risponde tardi rispetto alle variazioni del PIL e vogliamo cercare di quantificare di quanto varia il mercato del lavoro di fronte a una variazione
del PIL. Ci servono due definizioni:
• Output gap: quando il PIL è più grande del PIL di equilibrio di lungo
periodo, l’output gap è maggiore di zero, perché vuol dire che l’economia
sta producendo più di quanto possa produrre nel lungo termine. Quando
il PIL è sotto il livello ottimale, l’output gap è minore di 0. L’output gap
è una misura sintetica delle fluttuazioni economiche. Quando l’economia
raggiunge un tetto e comincia la recessione, l’output gap è ancora positivo.
Quando finisce la recessione, l’output gap è negativo e con la ripresa diventa
pian piano positivo. In realtà nessuno sa quanto è il PIL di equilibrio di lungo
periodo, e nessuno sa qual è il potenziale di un paese. Quindi in realtà come
si usa questo concetto per renderlo operativo? Se prendiamo il delta del PIL
viene fuori una formula molto più facile.
(Gdp-Gdppotential ) / Gdppotential
ΔOutput gapt
(actual Gdp growth – potential growth)
L’output gap cambia nel tempo in funzione di due cose:
• Crescita vera del PIL
• Crescita potenziale del PIL (quello che potrebbe fare l’economia): rispetto
al PIL potenziale, possiamo farci un’idea di quale sarà
Capitolo 5. Recessioni e recuperi
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È più facile quindi calcolare, guardando la crescita dell’economia, il delta dell’output gap, per capire se l’output gap è positivo o negativo.
Ci serve l’output gap per calcolare la crescita del mercato del lavoro.
• Legge di Okun: nel 1962 calcolò una misura media per rispondere a una
domanda, cioè la relazione tra PIL e disoccupazione. Per ogni punto in
meno di output gap il tasso di disoccupazione aumenta di mezzo punto
percentuale. Questo perché quando scende il fatturato aziendale, evitano di
licenziare per evitare di assumere nuove persone da addestrare in seguito.
Questo fino a quando la crisi non si fa molto forte. Il mercato del lavoro
risponde con ritardo e gradualmente rispetto a come va l’economia.
Nella maggior parte dei paesi, la stima che può essere fatta non è molto lontana
dallo 0,5. Negli Stati Uniti, durante la crisi, era circa 1.
Capitolo 6. Italia 2016
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Capitolo 6
Italia 2016
6.1 L’andamento del PIL annuale
Nel 2015 anche nell’economia italiana è tornato il segno più, ma la ripresa negli
ultimi mesi si sta già un po’ fermando.
L’Istat adotta una procedura un po’ diversa, cioè usa una media dei prezzi correnti
e passati, al posto di tenere i prezzi dell’anno base usa i prezzi di ieri e di oggi
per calcolare le quantità. I valori concatenati sono un modo per calcolare il PIL
a prezzi costanti. Il grafico individua quindi i tassi di crescita del PIL in termini
reali. Dopo anni con il segno meno, nel 2015 l’Italia è tornata a crescere, e la
crescita è stata dell’0,8 dopo tre anni di decrescita. Ci son stati due anni con il
segno più (2010, 2011) dopo altri 2 anni molto negativi. Il dato del 2015 solleva in
realtà discussioni, perché in realtà non è stata dovuta al Governo la crescita (come
invece spesso si sente dire) ma alle politiche della BCE, che hanno tenuto basso
il costo del denaro e questo ha favorito una ripresa della domanda. Un modo per
cercare di capire chi ha ragione, bisogna guardare al growth gap, cioè il divario di
crescita tra Italia e Europa, perché la crescita dovuta alla BCE dovrebbe essere
arrivata in tutti i paesi europei allo stesso modo. Quindi da questo punto di vista
è utile vedere cosa è successo al divario della crescita nel 2014, e quello che si vede
è che l’accelerazione che si è osservata in Italia è stata un’accelerazione maggiore
Capitolo 6. Italia 2016
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rispetto agli altri paesi dell’Euro zona.
Il divario di crescita con l’Euro zona si è dimezzato, quindi questo segnala che non
è stato solo merito delle politiche della BCE. È sufficiente quindi questo per dire
che la crescita è ritornata grazie al governo? Ci sono altri 2 elementi che vanno
considerati. Potrebbe essere che le politiche della BCE sono state più efficaci
nei paesi che ne avevano più bisogno (paesi dell’Europa mediterranea (Grecia,
Spagna, Portogallo, Italia), cioè quelli che avevano lo spread più alto).
Spread = differenziale costo del debito pubblico nei confronti della Germania
Con le politiche espansive vi è stata una riduzione degli spread, cioè dei tassi
di interesse, più alta da noi rispetto agli altri paesi europei. Quindi a parità di
politiche, può essere che l’effetto di queste politiche sia stato un po’ asimmetrico
tra i paesi dell’Euro zona. Se è così vuol dire che effettivamente è tutto merito
delle politiche espansive della BCE. Un altro elemento da considerare è supporre
che l’Italia ha fatto meglio degli altri con le sue forze, questo è merito delle
iniziative pro crescita che ha introdotto il governo (es. 80 euro, riforme varie),
c’è però anche il fatto che se le famiglie ricominciano a consumare e le imprese
ricominciano a investire non è solo merito del governo, ma anche delle imprese
e delle famiglie. Quindi le politiche della BCE possono aver avuto degli effetti
diversi nei vari paesi e gli sviluppi relativi alla crescita in Italia possono anche
non essere attribuiti completamente al governo. Al momento non siamo ancora
in grado di distinguere quale sia la verità.
Guardando la crescita tendenziale (stesso trimestre dell’anno prima) e congiunturale (trimestre precedente), vediamo che la ripresa dell’Italia sta rallentando
guardando i dati congiunturali, destagionalizzando i dati, il PIL quindi vediamo
che negli ultimi trimestri è sceso, anche se vi è ancora crescita.
Riassunto: c’è una ripresa ancora in corso, ma la crescita è stata declinante.
6.2 Un rallentamento della crescita mondiale
Cosa minaccia la crescita?
In gennaio il riassunto che veniva fuori dal FMI era che gli scenari economici
internazionali (prezzo del petrolio, tassi di cambio, tassi di interesse e commercio
internazionale) erano positivi nel 2016 e nel 2017, perché il FMI dava in accelerazione la crescita del volume del commercio internazionale, anche se questi tassi
di crescita sono molto più bassi rispetto alla crescita storicamente studiata (circa
Capitolo 6. Italia 2016
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10%). Il FMI rivedrà un po’ a ribasso questi dati per il 2017. Notiamo infatti che
l’accelerazione sarebbe dovuta arrivare dai paesi emergenti, ma vi è appunto una
frenata da parte di questi avvenuta nel 2015 (Brasile e Russia in particolare). La
recessione Brasile e Russia è una delle incognite che continuano ad opprimere le
possibilità di crescita in tutto il mondo, inoltre la Cina non sta accelerando. Il
commercio internazionale doveva quindi essere in accelerazione, ma probabilmente non lo sarà. Associato a questo, c’è l’andamento del prezzo delle materie prime
che sono scese di un numero molto grande per i paesi che esportano petrolio e
altre materie prime, e questo vuol dire che le loro esportazioni in valore sono
molto più basse. La previsione del FMI era di un prezzo del petrolio ancora in
calo nel 2016. Un’altra cosa che veniva data più alta era l’inflazione, ma anche
questo dato sarà rivisto in ribasso. Inoltre la prospettiva di ciò che succede al
tasso di interesse che prevale sui mercati internazionali che era dato in crescita,
ma in realtà probabilmente sarà in decrescita per gli USA, e stabile per l’Euro
zona. I tassi di interesse in America dovrebbe essere rialzati nel 2016 ma non è
sicuro. Questo implica che il valore della moneta salga, ma se non ci sarà questo
apprezzamento del dollaro, i tassi di interesse nel mondo rimarranno bassi e questo rappresenta un ulteriore minaccia sulla crescita in Italia, anche perché l’Euro
si sta apprezzando. Nel 2015 queste erano le previsioni:
• Commercio mondiale in accelerazione (sarà in realtà verso il basso)
• Cambio euro/dollaro in deprezzamento (stabile)
• Petrolio e materie prime ancora giù
Nel Gennaio 2016 le condizioni esterne apparivano favorevoli alla crescita economica complessiva con il commercio mondiale che cresce di meno, il cambio
euro/dollaro che è meno favorevole che in passato, il petrolio che rimane basso
per Italia, quindi nell’insieme condizioni meno favorevoli per il 2016, rispetto a
quanto previsto.
Il Governo prevedeva che il PIL sarebbe cresciuto dell’1,6% nel 2016. I Governi
tendono a essere ottimisti per aumentare il gettito, cioè a parità di base imponibile
il governo può contabilizzare entrate fiscali più grandi. Inoltre quando il PIL
aumenta, le tasse aumentano in modo più che proporzionale rispetto al PIL.
Quindi i governi cercano di essere un po’ ottimisti. Andando però a vedere cosa
prevede il FMI, che prevedeva che nel 2016 la crescita italiana avrebbe dovuto
essere già 1,3 a gennaio. L’OCSE a fine febbraio ha detto però che sulla base dei
sui conti il mondo sarebbe cresciuto del 3% e l’Italia dell’1%, con l’Euro zona farà
1,4% anziché 1,7% che il FMI prevedeva.
L’Istat ha diffuso una previsione del PIL del primo trimestre del 2016.
Se q1 è un +0,1% come dice l’Istat, come facciamo a tirare fuori una previsione
di quanto può essere il 2016 rispetto al 2015? Vediamo come saranno q2, q3 e
q4. La crescita sarà 1,6 solo se la crescita economica fosse 0,8 in ogni trimestre.
Bisogna confrontare la crescita dei 4 trimestri con la crescita congiunturale del
2015 che è un PIL che è stato sempre in crescita. È altamente improbabile che
questo succeda. Prendendo tutte le crescite congiunturali dal 2000 a oggi questo
non è mai successo (0,8% per tre trimestri consecutivi). Con un primo trimestre
un po’ migliore, questo dato sarebbe stato forse possibile. La previsione del FMI
Capitolo 6. Italia 2016
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(1,3) è anche molto difficile che si verifichi (0,65% per tre trimestri consecutivi).
Questo è successo solo una volta tra la fine del ’99 e l’inizio del 2000. Per ottenere
1 (previsione dell’OCSE) occorrono tre trimestri da 0,45. Quante volte è successo?
In realtà è successo nel 2006/2007, quindi non è una cosa impossibile ma era 10
anni fa prima della crisi. Se l’Italia cresce nel 2016 come è cresciuta nel 2015
(mediamente 0,25% a trimestre), cosa più probabile, si avrà una crescita dello
0,7%, che è molto lontano dallo 1,6%. Questo vuol dire che il governo dovrebbe
tener conto nel fare le previsioni, di alcuni vincoli che vi sono. Supponiamo poi che
l’economia italiana, che si è fermata, faccia 0,1% anche negli altri tre trimestri.
Inoltre c’è da tenere conto del fatto che il 2016 avrà due giorni lavorativi in
meno (0,1% del PIL). Quindi questi sono gli scenari con cui il governo in questo
momento si sta confrontando.
6.3 La domanda interna potrebbe smettere di crescere
Disaggregando la crescita del PIL e guardando al dato congiunturale, vediamo
che l’1% del PIL del quarto trimestre 2015 rispetto al quarto trimestre 2014
è la combinazione di una crescita buona dei consumi (1,3%), di una crescita 0
della spesa pubblica e di una crescita complessiva degli investimenti fissi lordi
che viene quasi esclusivamente dai mezzi di trasporto. Il boom che si è verificato
nell’economia italiana è un boom che si è verificato grazie ai mezzi di trasporto
(FIAT in particolare). Quando l’economia ricomincia a girare servono di più i
beni durevoli e i mezzi di trasporto. Le esportazioni hanno fatto 2,6% quindi
sono cresciute ma di meno rispetto al solito. Dall’altro lato le importazioni sono
cresciute più del solito. La crescita del 2015 è stata trainata soprattutto dalla
domanda interna privata (consumi e investimenti). Se si fermano i consumi è un
problema.
I consumi nel 2015 sono cresciuti di meno rispetto alle vecchie riprese; le esportazioni sono cresciute in misura inferiore; le importazioni sembra siano aumentate
di meno ma rispetto alla crescita del PIL sono aumentate 5 volte tanto. Quando
riparte la domanda e a ripartire sono soprattutto le esportazioni, significa che i
consumi aumentano ma in realtà di beni esteri.
Le vendite al dettaglio dell’Istat, dati destagionalizzati, queste vendite indicano
una modesta ripresa nel corso del 2015 della spesa delle famiglie (+0,7 in valore,
+0,4 in volume). La crescita in volume ha un aumento molto basso. All’inizio
del 2014 c’era stata una mini ripresa, che fa calcolare il 2014 come media tra un
inizio che andava un po’ meglio e una fine che non andava tanto bene (gli 80
euro venivano messi in risparmio). Se confrontiamo le vendite del 2015 rispetto
ai livelli medi del 2008 mancano 13 punti in volume e 6 in valore. Confronto sul
2010, con pre - crisi dell’euro e crisi di Lehman, mancano 5,4 punti in valore e
10,3 punti in volume. Per quanto riguarda i consumi, il grosso della perdita dei
consumi è avvenuta dopo la crisi dell’euro e non con il fallimento di Lehman
Brothers (dove sono calate soprattutto le esportazioni).
Per tutto il 2015, in realtà la ripresa delle vendite è stata trainata in modo evidente
dal recupero dei beni alimentari. Mentre le vendite dei prodotti non alimentari
sono aumentate poco (+0,5% a valore) vs 1,3% dei beni alimentari. Mentre i
Capitolo 6. Italia 2016
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volumi dei non alimentari (0,4%) sono andati un po’ meglio degli alimentari
(0,1%), il che ci suggerisce che c’è stato un effetto prezzo che si è tradotto in un
risultato positivo nettamente più grande per i valori (es. i kg di parmigiano sono
stati sempre gli stessi ma con un prezzo più alto). Qual è il confronto tra GD e
piccole superfici? La GD è andata meglio (+1,5%), le piccole superfici
piccolo incremento di valore (+0,2%). Se vediamo l’aumento di vendite degli
alimenti vediamo un aumento nella GD (1,9%) e per le piccole superfici c’è stato
un calo dello 0,4% a valore. Anche se ora la ripresa delle vendite si è già fermata.
Il 2015 è stato un anno caldo e fiducioso, con temperature mediamente più elevate,
questo ha portato ad un aumento dei consumi alimentari. L’indice di fiducia
dei consumatori ha continuato a crescere, è chiaro che i consumatori quindi si
aspettano qualcosa, principalmente dal governo, che deve verificarsi per non far
diminuire la fiducia.
Nei primi tre mesi del 2016, in base ai dati Nielsen, vediamo che mediamente
non c’è un dato positivo per tutte (senza includere l’apertura di nuovi negozi),
però per ora il progressivo del 2015 era 0% nei primi tre mesi, il progressivo del
2014 era −2,1% (a causa di un marzo terribile, anche se questi dati non depurano
dall’effetto di calendario quindi non tengono in considerazione pasqua). Il 2016
quindi è iniziato male, anche se non possiamo dire di certezza il perché.
Nella frenata delle vendite conta anche la nuova aggressività di Amazon, che ha
diffuso questo programma che porta a consegne gratuite in breve tempo con bassi
prezzi.
Fin ora la bassa inflazione ha agevolato la ripresa dei consumi.
Capitolo 6. Italia 2016
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Cosa intendiamo con deflazione? Deflazione è il processo di riduzione generalizzata
dei prezzi, cioè a scendere è il livello generale dei prezzi e non singolarmente il
prezzo delle materie prime, il prezzo dei servizi o il prezzo dei beni durevoli.
Tutti questi prezzi devono scendere quando vi è deflazione nell’economia. Nella
situazione in cui siamo adesso, ciò che si sta verificando è che per ora non siamo
in deflazione, anche se i prezzi in febbraio sono leggermente diminuiti (0,3%).
Per i dati di febbraio vediamo che gli indici di prezzo al consumo, cioè l’indice
generale dei prezzi, è diminuito dello 0,3% sul febbraio 2015 ed è diminuito dello
0,2% rispetto al febbraio precedente. Questo 0,3% è la media tra i beni durevoli e
i servizi e vediamo che per i servizi non c’è deflazione perché il prezzo dei servizi è
leggermente aumentato nell’ultimo anno (0,5%). L’inflazione dei servizi è sempre
positiva, diminuisce anche questa nel corso del tempo; l’inflazione dei beni è salita
tra il 2011 e il 2012 e abbiamo avuto l’aumento del prezzo del petrolio e l’aumento
delle accise (tasse indirette), ma da allora i prezzi sono andati raffreddandosi.
L’inflazione è scesa dal 3% allo 0% circa, ma che non è sotto lo zero. Se si parla
di deflazione in Italia in realtà non vi è deflazione ma vi è in Grecia. Il PIL in
questo periodo è andato male e l’inflazione è scesa, quindi nel 2012/2013 c’è stato
uno shock di domanda nell’economia italiana.
I prezzi dei beni energetici nell’ultimo anno sono diminuiti del 5,5%. Quanta
parte dello 0,3% (indice generale dei prezzi) è dovuto ai beni energetici? Possiamo
vedere il peso dei beni energetici.
- 0,3 = - 5,5 * 0,089593 + 0,3 * (1 – 0,08953) = - 0,5 + 0,2
Se non ci fosse stata la deflazione dei beni energetici, cosa sarebbe successo all’inflazione? Quanto incide questo sullo 0,3 totale? Inoltre poi vediamo che in realtà
a diminuire sono entrambi (energetici non regolamentati per effetto del petrolio
e gli energetici regolamentati per effetto della diminuzione della bolletta). Anche
per i beni alimentari c’è stata una riduzione, ma in questo caso gli alimentari la-
Capitolo 6. Italia 2016
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vorati hanno un + 0,3%, i non lavorati −1,2%. Quindi per gli alimentari lavorati
vi è un aumento dei prezzi a causa della manodopera, ecc. La deflazione si ritiene
sia un problema perché quando uno sa che il prezzo delle automobili inizia a calare nel corso del tempo, io continuerò a rinviarne l’acquisto. Questo per spiegare
il fatto che la deflazione fa calare il consumo dei beni durevoli. I prezzi dei beni
durevoli sono aumentati (+1,2%). I beni semi durevoli sono l’abbigliamento e poi
ci sono i servizi che rappresentato il 46% del totale il cui prezzo è salito dello
0,5%. È vero che i prezzi a febbraio sono scesi, ma la discesa è spiegata dai beni
energetici (in particolare non regolamentati) anche se anche i prezzi dei servizi e
dei beni durevoli sono aumentati.
L’implicazione è che per cercare di capire se per i consumi la deflazione ha effetto positivi, dobbiamo vedere i salari contrattuali. Nel 2007 i salari reali non
crescevano; nel 2008 i salari contrattuali, con vari rinnovi contrattuali, hanno
incorporato un’inflazione crescente aumentando più rapidamente dell’inflazione
nel 2008 nonostante anche l’inflazione sia salita; nel 2009 i salari sono aumentati
un po’ di meno ma l’inflazione si è quasi azzerata e i consumi hanno complessivamente tenuto nel corso del 2009; nel 2010 è arrivata la ripresa e i salari sono
andati meglio, l’inflazione è ripartita, chi aveva ancora un lavoro nel 2009/2010
è stato contento perché il suo potere di acquisto è salito rispetto al passato; nel
2011 l’inflazione è accelerata a causa dell’aumento dei prezzi del petrolio e nel
2012 è stata tenuta alta dal fatto che i governi avevano approvato degli aumenti
di imposte indirette che hanno un effetto di breve periodo sull’inflazione (aumentando l’iva i prezzi aumentano per breve tempo, perché poi rimangono stabili il
mese dopo); nel 2012 i salari sono aumentati molto di meno rispetto al passato
perché la disoccupazione era cresciuta molto rapidamente. Nel 2011/2012 quindi
a causa dell’aumento della disoccupazione e del calo dei salari reali, i consumi
sono andati molto male. Nel 2013 le cose si sono più o meno stabilizzate e nel
2014 l’inflazione si è azzerata e i salari sono aumentati ai ritmi degli anni passati.
Nel 2015 sono saliti i salari reali ma i redditi da lavoro (salari reali * n° occupati)
e l’occupazione è aumentata da circa 22.100 a circa 22.500 tra l’inizio del 2014 e
Capitolo 6. Italia 2016
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la fine del 2015. Ci sono quindi circa 300.000 occupati in più, in parallelo vediamo
una riduzione del tasso di disoccupazione che aveva raggiunto il 13% nella metà
del 2014 fino all’11% circa. Nel 2011 la disoccupazione era 7,5% e in un anno è
salita di 3 punti percentuali (10%) e questo ha inciso sul ritmo di crescita dei
salari reali. Il reddito da lavoro ha contribuito alla ripresa perché i salari reali
sono aumentati ed è aumentato il numero degli occupati.
Ci sono poi altri due effetti. Nel 2015 se si guarda alla variazione tendenziale
dei rapporti di lavoro attivati vediamo che l’aumento del numero dei rapporti di
lavoro avviati ha riguardato quasi esclusivamente i rapporti di lavoro a tempo
indeterminato.
Il jobs act è entrato in funzione nel marzo 2015. La decontribuzione, cioè il fatto
che i contributi sociali per i nuovi assunti a tempo indeterminato con il contratto
che dà maggiori garanzie con il passare del tempo anche se per i primi tre anni
può essere cancellato, ha avuto un effetto insieme all’approvazione del jobs act.
Nel dicembre 2015 è stato l’ultimo mese in cui si è potuto beneficiare dell’intero
ammontare della fiscalizzazione. Nel 2016 la fiscalizzazione vale solo per il 40%
dei contributi. Circa il 60% dei nuovi contratti hanno beneficiato della decontribuzione. Nell’insieme questi dati ci indicano che l’inflazione bassa ha agevolato la
ripresa dei consumi perché ha agevolato l’aumento dei redditi da lavoro e questo
si è verificato anche grande all’aumento dei degli occupati consumi.
Dal reddito lordo bisogna sottrarre le tasse. Soprattutto nel 2014 il lavoro è stato
detassato, ma l’Italia rimane un paese in cui l’entità delle tasse sul totale del
costo del lavoro (tax wedge) rimane molto elevato, confrontando l’Italia con gli
altri paesi.
Capitolo 6. Italia 2016
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Nel 2014 le tasse sono un po’ scese, ma ci vorrebbe un taglio di tasse più corposo.
Ma ci sono due problemi:
• Alto debito pubblico
• Spending review (programma di riduzione spesa pubblica) poco incisiva
Il governo ha promesso di ridurre il rapporto debito – PIL nel 2016, ma l’evoluzione di questo rapporto dipende dalle singole componenti. Questa promessa
dipende dal fatto che non aumenti più del previsto il numeratore, e non aumenti
meno del previsto il denominatore. Nel 2016 il PIL nominale è dato in aumento al
2,9 (denominatore). Il governo quindi continua a far aumentare un po’ il debito,
e potrebbe riuscire a far scendere il rapporto debito PIL se aumenta di più il PIL
nominale.
Nel 2014 la spending review ha consentito di tagliare la spesa di 3,6 miliardi, nel
2015 questo taglio ha raggiunto i 18 miliardi e nel corso del 2016 verranno tagliati
altri 7 miliardi. La spesa pubblica ha un andamento tendenziale che è in crescita
e rispetto a questa crescita il governo taglia di 25 miliardi. Il governo rivendica
i tagli di spesa ma in realtà la spesa pubblica è aumentata. Quindi la cosa da
capire è che quando si parla di spending review si parla di tagli rispetto a un
andamento tendenziale in aumento. Il problema è che molte di queste riduzioni
di spesa pubblica, sono state da una parte tagli sui ministeri (es. ministero dell’istruzione non doveva assumere nuovi docenti) dall’altra tagli sugli enti locali
(regioni, province, comuni). Il punto è che lo Stato riduce i trasferimenti alla
pubblica amministrazione locale, ma se poi i governi locali aumentano le tasse i
cittadini non colgono la riduzione della spesa pubblica. Di fatto il risultato netto
è una riduzione della spesa dei trasferimenti dallo stato centrale allo stato locale,
ma questa spesa non si vede. Dal punto di vista politico quello che è preoccupante è che è come dire che la spending review è già stata fatta anche se non si
è vista. Quindi da dove vengono i tagli di tasse degli anni a venire? Non dalla
persecuzione della spending review. La spending review non è un qualsiasi taglio
Capitolo 6. Italia 2016
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di spesa pubblica ed è diversa da quella del passato, perché in passato veniva
usato il criterio del costo storico.
RIASSUNTO:
Il tema da capire è se l’inflazione è temporaneamente bassa o permanentemente
bassa. Per capirlo bisogna analizzare dei dati. A febbraio 2016 l’indice dei prezzi
al consumo complessivo rispetto al febbraio 2015 è diminuito del 0,3%. L’indice
dei prezzi al consumo misura il costo della vita, quindi questo è un segno del
fatto che in Italia negli ultimi 12 mesi c’è stata deflazione. Sono scesi tutti i prezzi
delle principali categorie di beni? Quello che emerge è che l’indice dei prezzi al
consumo che è diminuito, è funzione soprattutto della discesa dei beni energetici non regolamentati. Il prezzo dei beni durevoli è salito e questo segnala che il
problema principale della deflazione non si è manifestato. Se il prezzo dei beni durevoli aumenta, significa che non si ha l’effetto a catena che si ha nel caso in cui il
prezzo dei beni durevoli scenda. L’indice generale dei prezzi è diventato negativo;
l’indice complessivo dei beni è sceso; l’indice dei servizi è aumentato dello 0,5%.
Quindi vi è deflazione nell’economia italiana ma solo temporaneamente, perché
guardando alle componenti è il prezzo dei beni energetici che sostanzialmente
spiega il calo dei prezzi che abbiamo visto.
Nel 2014/2015 la 0 inflazione si è associata ad un aumento del potere di acquisto.
In questi anni è salita la componente di redditi da lavoro attribuibile ai salari.
Il contrario era successo nel 2011/2012 perché il prezzo del petrolio era salito e
le accise introdotte dal governo avevano inciso sull’inflazione. Anche negli anni
precedenti, il potere di acquisto era salito perché l’inflazione era scesa rapidamente
e i salari non erano scesi altrettanto rapidamente. Se guardiamo al potere di
acquisto dei redditi da lavoro, il rapporto che possiamo scrivere è questo:
REDDITO DISPONIBILE REALE = [W * OCCUPATI * (1 – TASSE)] /
PREZZI
W = Salari contrattuali (da lavoro)
Inoltre, l’occupazione nel 2015 è salita di circa 300.000 unità. Nel 2009 i salari
(w) sono aumentati più dei prezzi, ma l’occupazione è calata. L’effetto netto sul
reddito disponibile è incerto. Nel 2012 invece i prezzi sono saliti più dei salari
e gli occupati sono scesi. Questo ci fa capire perché il 2012 è stato un anno
molto negativo, perché è diminuito il potere d’acquisto del reddito individuale
ma anche il reddito lordo complessivo è diminuito perché sono scesi i salari e
gli occupati, inoltre le tasse sono aumentate. Questo ci spiega perché il reddito
disponibile nel 2012 è andato molto male. Nel 2015 invece le cose sono andate
un po’ meglio, perché ci son stati più occupati derivanti da assunzioni a tempo
indeterminato con un boom nel dicembre 2015 (causa decontribuzione = lo stato
paga i contributi sociali che normalmente pagano le aziende e i lavoratori per
finanziare le pensioni). Il bonus che veniva previsto era di un massimo di 8000 euro
annui per i nuovi occupati che valeva per tutto il 2015. Dal gennaio 2016 il bonus
è diventato il 40% di 8000. Nel gennaio 2016 infatti son crollate le assunzioni.
Uno dei modi per capire se la riforma del lavoro di rendere meno fisso il posto
fisso (jobs act), inserendo la decontribuzione. I contratti a tempo indeterminato
per un periodo iniziale sono dotati di meno diritti per i lavoratori, perché alla
fine dei 3 anni può avvenire il licenziamento. Le aziende hanno utilizzato per il
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60% questa decontribuzione, cioè fatto 100 il numero delle nuove assunzioni, 60
su 100 sono avvenute utilizzando la decontribuzione. Infine per poter capire cosa
è successo al reddito disponibile, dal reddito lordo bisogna sottrarre le tasse. Le
tasse in proporzione al PIL sono state del 46,5% del PIL per un lungo periodo
di tempo. Nel 2012 il governo ha aumentato le tasse in proporzione del PIL di
un punto e mezzo, arrivando al 48% in un anno. L’aumento delle tasse è stato
ottenuto attraverso la re – introduzione di una tassa sulla casa che era stata
cancellata intorno al 2008, che ora è stata tolta di nuovo. Nel 2014 grazie agli 80
euro si sono ridotte le tasse sui redditi bassi.
Ci vorrebbe un taglio di tasse più corposo ma ci sono due problemi:
• Alto debito: ha a che vedere con la sostenibilità del debito pubblico. Bisogna
capire come si muove il rapporto debito/PIL. Il rapporto debito/PIL sarà
funzione di ciò che succede al deficit, che è uguale a spese – entrate dello
Stato. Il PIL in euro è il PIL in termini reali * per il deflatore del PIL.
PIL = PIL * DEFL(PIL). Le spese sono fatte di due voci: spese “vive” dello
Stato + spesa per interessi debito. Il rapporto debito/PIL diminuisce se il
deficit diminuisce, se il PIL aumenta e se i prezzi salgono.
• Spending review poco incisiva
Con un alto debito, si dovrebbe fare una spending review. Senza spending review
non si possono tagliare le tasse.
Il governo ha bisogno che l’inflazione e la crescita del PIL (g) siano abbastanza
grandi per poter ridurre il peso dei debito sul rapporto debito/PIL. Il governo
per il 2016 si aspettava un inflazione del 1,5% e una crescita del PIL dell’1,3%,
con un tasso di interesse pari al 3,3%. Il rapporto debito/PIL è 133%. Il deficit
primario è −2, cioè il governo italiano fa meno spese rispetto alle entrate per
risparmiare un po’. Il problema è che oggi il rapporto debito/PIL è elevato e
che vogliamo far scendere, ma inflazione e crescita del PIL dovrebbero essere
sufficientemente grandi. Le stime del governo sono ottimistiche, ma in realtà nel
2016 probabilmente il rapporto debito/PIL non riuscirà a scendere. Il governo ha
fatto già una riduzione della spesa di 25 miliardi di euro in 2 anni, tuttavia quello
che è stato fatto è stato di attenuare la crescita della spesa. In realtà la spesa
pubblica in Italia non scende mai, ma è un minor aumento della spesa. I tagli
di spesa pubblica inoltre sono stati spesso tagli sulla spesa locale. I comuni però
anziché ridurre le spese hanno aumentato le tasse locali.
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6.4 Insufficiente contributo del settore immobiliare
Le variabili principali del mercato immobiliare sono l’andamento dei prezzi (rossa) e delle compravendite (blu) e l’andamento dei prezzi in termini reali (nera)
(prezzi del mercato immobiliare al netto dell’inflazione). Nel 2015 sono ripartite
lentamente le compravendite che sono andate da un livello di 70 a 75, ma sono
salite con prezzi che sono rimasti sostanzialmente costanti nel corso del tempo.
Bisogna chiedersi se è la domanda di case ad essere ripartita o l’offerta di case.
Ci sono state più compravendite, ma i prezzi non sono saliti. In realtà vediamo
che sono state entrambe ad essere ripartite. La domanda di case è ripartita ma a
fronte di una riduzione dei costi precedente, c’è un aumento dell’offerta. C’è stato
un ritorno del reddito disponibile, che porta anche ad un ritorno del credito. Nel
2014 sono salite le compravendite mentre i prezzi sono scesi ancora, e quindi sale
l’offerta. Fino al 2007 invece era la domanda che tirava il mercato immobiliare,
dove i prezzi andavano su insieme alle compravendite. Nel 2008 le compravendite
crollano ma i prezzi continuano a salire. Per molti anni il mercato immobiliare
rimane stabile fino a quando nel 2012 circa i prezzi iniziano a calare.
La tassa sulla prima casa è stata tolta per cercare di far ripartire il mercato
immobiliare e quindi far ripartire l’economia.
6.5 La ripresa è stata diseguale tra settori e territori
Questo grafico ci fa vedere come sono i livelli di produzione prendendo il periodo
gennaio – novembre 2015, calcolando l’indice della produzione industriale e confrontandolo con il 2008, cioè se il 2008 è 100 quanto vale la produzione industriale
nell’industria italiana nel 2015? Vale 75. L’industria fa però +1% rispetto al 2014.
In molti casi la produzione industriale che manca, è una produzione industriale
che se ne è andata per sempre, anche a causa della globalizzazione di mercati. Le
multinazionali infatti spesso vanno a produrre all’estero. Se guardiamo ad esempio la produzione di beni non durevoli, vediamo che nella crisi questa produzione
ha subito meno, ma la ripresa economica non è ancora arrivata. Tutti i gruppi hanno subito la crisi, ma alcuni hanno visto la ripresa (beni di investimento,
che sono i beni acquistati dalle aziende sono in forte ripresa; energetici, perché il
prezzo del petrolio è basso) e altri no, e alcuni hanno subito una crisi in maniera
più forte (beni durevoli; beni intermedi, cioè i semilavorati; entrambi addirittura
Capitolo 6. Italia 2016
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continuano a scendere) rispetto ad altri (beni non durevoli, beni di consumo).
Durante la crisi si è sentito dire “questa crisi mette in crisi il modello del distretto”.
In realtà i dati ci indicano che in realtà ci sono dei distretti che hanno una crescita
delle esportazioni molto elevata. Nel caso dell’oreficeria in questo anno è successo
che è risalito il costo di qualche materia prima, quindi l’aumento del fatturato è
dovuto anche all’aumento del prezzo della materia prima.
Ci sono poi alcuni distretti che soffrono molto, che in passato avevano gran
successo.
6.6 Bilanci delle banche
Nel corso del tempo alla ripresa è mancato il credito. Le banche in Italia sono
molto più importanti rispetto ad altri paesi nel determinare i finanziamenti alle
aziende.
Se guardiamo le passività delle società non finanziarie (aziende) vediamo che sul
totale dei 3600 miliardi circa un quarto dei prestiti viene da banche e altre società
finanziarie. Un’altra cosa è che le azioni quotate contano poco, nel senso che le
aziende italiane non si quotano in borsa. Vanno bene invece le azioni non quotate,
il cui prezzo è determinato dal rapporto tra i soci che possono dar luogo a valori di
mercato o anche lontani dal mercato. Inoltre le aziende non emettono corporate
bonds, essendo la maggior parte piccole aziende. Ci sono poi i debiti commerciali.
La cosa importante è che la salute dei bilanci bancari è cruciale nel determinare
se le aziende hanno credito per poter fare investimenti. Se i bilanci bancari vanno
male, le aziende non hanno soldi per fare i loro investimenti. Nel corso del tempo
infatti alla ripresa è mancato il credito.
Il primo grafico descrive l’andamento dei prestiti bancari al settore privato non
finanziario, e vediamo che sull’asse delle y ci sono i tassi di crescita rispetto ai 12
mesi precedenti (o sui 3 mesi). Se all’inizio del 2014 abbiamo un −4, fatto 100 il
livello dei prezzi, vuol dire che è −4% su 104. Questo vuol dire che i prestiti non
salgono, ma che è minore il calo dei prestiti.
Anni Livelli Tassi di crescita credito
Quanto credito c’è nell’economia dopo la crisi rispetto a prima della crisi? 10% in
più. Grossa parte di questo credito però è credito deteriorato. Le banche si sono
trovate piene di crediti deteriorati (di cui alcuni inesigibili).
Il grafico sulla destra ci dice cosa è successo all’interno dei settori. Dove c’è stata
una ripresa del credito? Il credito alla manifattura alla fine del 2015 è finalmente
ripartito; mentre il credito alle costruzioni continua a mostrare un segno meno.
I mutui son tornati su per le famiglie. Anche ai servizi il credito non è ancora
tornato com’era. Il credito quindi non è ancora tornato a circolare, anche se è
molto più alto rispetto al 2007.
Le banche si sono trovate quindi questi crediti deteriorati. A questo punto la banca
si ripatrimonializza, cioè cerca di raccogliere capitale sul mercato per affrontare
eventuali mancati rimborsi da parte di coloro a cui hanno dato a prestito i soldi
(famiglie o imprese).
Questo grafico presenta come sono venuti fuori i coefficiente patrimoniali delle
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banche (capitale sicuro/asset pesati per il rischio). La BCE fissa un coefficiente
intorno all’8% per vedere se la banca ha abbastanza capitale, ma dipende dalle
banche (a volte lo fissa più basso). Le banche in effetti però si sono ricapitalizzate
e hanno superato il coefficiente minimo. In questi giorni è stato fatto il fondo
ATLAS per aiutare nella ricapitalizzazione le banche che ne hanno bisogno e
nel riacquisto dei crediti deteriorati. È stata creata una holding nazionale per le
banche di credito cooperativo, in modo che queste banche possono rivolgersi a
questa holding per chiedere capitale.
Questo fondo ATLAS è saltato fuori, perché sul totale dei prestiti fatti a giugno
2015 (500 miliardi alle famiglie e 1000 miliardi alle imprese), i prestiti che vanno
bene sono circa il 90% per le famiglie consumatrici, ma le imprese che hanno
debiti con scadenze rispettate sono solo il 70%. I crediti deteriorati sul totale sono
circa 290 miliardi (29%); i crediti in sofferenza (difficoltà permanenti di rimborso)
valgono 166 miliardi. In realtà queste sono le cosiddette sofferenze lorde, cioè al
lordo degli accantonamenti delle banche.
Una strategia potrebbe essere quella che hanno fatto le imprese bancarie in America, di cedere questi asset, ma in Italia le sofferenze cedute o cartolarizzate sono
11 miliardi sul totale. Come mai è così basso?
Il fondo ATLAS è un modo per cercare di salvare le banche, anche se potrebbe
portare giù tutte le banche, ma non fare niente sarebbe stato un problema più
grande.
Non tutti i settori sono ugualmente esposti all’emergere dei crediti deteriorati. Se
prendiamo la quota dei prestiti bancari ai settori, sul totale dei prestiti bancari,
vediamo che le quote di crediti deteriorati più o meno sono uguali. C’è un settore
che è diverso dagli altri ed è il settore delle costruzioni, dove i crediti deteriorati
sono una frazione molto più grande del totale (30% su 17% dei finanziamenti).
Bail in: grande novità entrata in funzione nel 2016 ed ha dei pro e dei contro. Il
bail out è la procedura che prevede che una banca non può fallire. Per salvare la
banca servono i soldi pubblici e questa è la pratica del bail out. Fino ad oggi se
una banca andava male ad essere coinvolti erano i possessori delle azioni. Siccome
però il bail out è costoso. Con il bail in si è stabilito che a contribuire al dissesto di
Capitolo 6. Italia 2016
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una banca, ad essere chiamati in causa sono anche i detentori di depositi bancari
sopra i 100.000 euro. Una volta che siano stati chiamati azionisti, obbligazionisti
e depositanti dopo può intervenire lo stato con il bail out. Prima invece lo stato
interveniva direttamente per salvare la banca. Quelli al sicuro sono i depositanti
sotto i 100.000 euro
e i bond garantiti da attivi. I pro di questa misura sono che c’è una regola al
posto di una consuetudine (non per forza si doveva intervenire); non si fanno più
drammatici salvataggi all’ultimo momento con i soldi dei contribuenti. L’ipotesi
è che non ci siano effetti di feedback sui contribuenti dopo. I contro sono: aumento costo raccolta fondi per le banche; aumento tassi per emissione obbligazioni
bancarie; minor valore di mercato delle banche; aumento costo del credito.
Il problema è stato particolarmente grave in Italia, perché le famiglie italiane sono
quelle che hanno comprato più bond bancari rispetto agli altri stati, fatto 100 i
bond bancari emessi i bond nei portafogli delle famiglie sono il 28%.
Conclusione: questo problema delle banche mina la fiducia. La ripresa dell’economia italiana è minacciata comunque da 5 parti. Di sicuro quello che vale è che ci
vuole il lavoro e ci vuole il credito. La fiducia delle famiglie è abbastanza elevata,
quella delle imprese di meno. Rispetto al passato la crescita dipende più dalla
domanda interna che da quella estera.
APPROFONDIMENTO
Chi affonda quando le banche vengono salvate?
I salvataggi bancari vecchio stile non sono più possibili. Le nuove regole impongono perdite ai risparmiatori, come abbiamo visto per le quattro banche regionali.
Inutile prendersela con l’Europa, perché anche noi abbiamo approvato le nuove
norme. Bisogna informare meglio i clienti delle banche.
6.7 Salvataggi bancari: in Europa la musica è cambiata
Bail-in: questa parola sta entrando nel nostro vocabolario, come accadde qualche
anno fa allospread, e diventa motivo di preoccupazione per i risparmiatori italiani,
dopo il caso delle quattro banche (Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara
e CariChieti) che sono state “salvate” dal governo nel novembre 2015, imponendo allo stesso tempo pesanti perdite agli azionisti e ai detentori di obbligazioni
subordinate. La domanda che molti si fanno è: ma se quelle banche sono state
salvate, come è possibile che i risparmiatori abbiano dovuto subire tali perdite?
La sorpresa e lo scontento sono stati così forti che il governo è intervenuto con
un secondo provvedimento, volto a risarcire i risparmiatori più colpiti. La risposta alla domanda è abbastanza semplice: in Europa, le regole che riguardano i
salvataggi bancari sono cambiate. A partire dall’inizio di quest’anno, è in vigore
una nuova direttiva europea (Bank Recovery and Resolution Directive), i cui effetti erano stati in parte anticipati al 2013 dalla Commissione UE. La direttiva
impone che, prima di utilizzare fondi pubblici per salvare una banca, una quota
consistente delle perdite accumulate nella passata gestione venga addossata agli
azionisti e ai creditori. Questi soggetti non sono tutti sullo stesso piano, anzi c’è
Capitolo 6. Italia 2016
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un ordine preciso. I primi a essere colpiti sono gli azionisti. Se ciò non basta, si
passa alle obbligazioni subordinate. Poi viene il turno delle obbligazioni ordinarie. Infine, potrebbero essere chiamati in causa anche i depositanti, per le somme
che eccedono i 100mila euro: fino a questo limite i depositi sono protetti dalla
assicurazione e sono esenti dal bail-in. La ragione delle novità sta nelle ingenti
somme spese da alcuni governi europei per salvare le banche dei
loro paesi durante gli anni più neri della crisi finanziaria, dal 2008 al 2013. Quelli
che hanno speso di più sono stati Germania e Regno Unito, seguiti da Irlanda,
Spagna, Grecia, Belgio e Francia. La reazione dei governi, e dei loro elettorati,
è stata: d’ora in poi, non si può addossare tutto il costo dei salvataggi bancari
ai contribuenti. Per questo è stato introdotto il bail-in, che obbliga azionisti e
creditori a contribuire al salvataggio di una banca in crisi. La parola stessa, bailin, si contrappone al termine inglese bail-out, con il quale venivano chiamati i
salvataggi vecchio stile, completamente a carico dello Stato.
E l’Italia dov’era?
L’Italia era stata finora ai margini della vicenda. Negli anni bui della crisi finanziaria, il governo italiano ha speso somme insignificanti rispetto a quelle impiegate da
altri paesi europei per sostenere il sistema bancario. Ciò è avvenuto grazie al fatto
che le nostre banche erano molto meno esposte ai prodotti della cosiddetta finanza
“tossica”, come i titoli derivati. Tuttavia, la crisi dell’economia reale si è poi fatta
sentire anche sui bilanci delle banche italiane, che hanno accumulato una mole
consistente di “sofferenze”, cioè di prestiti che (in parte) non verranno restituiti.
Ora questo si riflette nella crisi di alcuni istituti di dimensione medio-piccola, che
hanno la necessità di essere salvati con il contributo pubblico, dove “pubblico”
vuole dire a carico del sistema bancario nel suo complesso ed eventualmente dello
Stato. E qui interviene il bail-in: per ridurre al minimo possibile il contributo pubblico, gli azionisti e i creditori della banca “salvata” devono fare qualche sacrificio.
Si dirà: prima gli altri governi europei hanno aiutato le loro banche, proteggendo
completamente i risparmiatori; adesso che tocca a noi fare interventi di sostegno a
qualche piccolo istituto, ci dicono che le regole sono cambiate e che i risparmiatori
devono contribuire. È vero, però bisogna ricordare che le nuove regole europee
le abbiamo approvate anche noi, o meglio i nostri rappresentanti nelle istituzioni
europee: Commissione, Parlamento, Consiglio dei ministri. Le regole relative ai
salvataggi bancari fanno parte del più ampio progetto di Unione bancaria, che ha
avuto il pieno appoggio dell’Italia nelle trattative internazionali. Quindi i casi sono due: o i nostri rappresentanti non sapevano cosa stavano approvando, oppure
lo sapevano, ma non hanno avuto la forza per opporsi all’introduzione di regole
destinate ad avere pesanti ripercussioni sui risparmiatori italiani.
Inutile accusare l’Europa, occorre informare i risparmiatori
Che fare adesso? Ormai la frittata è fatta, e lanciare invettive contro l’Europa
non serve a nulla, se non a screditare le istituzioni europee. Il principio del bail-in
è stato incorporato nelle nostre leggi, e come tale va rispettato. Quello che bisogna fare è informare i risparmiatori del nuovo regime e dei rischi che comporta.
Ciò deve avvenire senza fare allarmismi, perché la maggior parte delle banche
italiane sono solide e con tutta probabilità non avranno bisogno di essere “salvate”. Però, una dose maggiore di trasparenza è senz’altro necessaria. Nel caso
delle quattro banche salite all’onore delle cronache, la trasparenza è stata davvero
Capitolo 6. Italia 2016
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scarsa. La Commissione europea, in una sua comunicazione del luglio 2013, aveva
sostanzialmente anticipato il principio del bail-in, limitatamente alle azioni e alle
obbligazioni subordinate. Per capire cosa sono queste ultime bisogna ricordare
che, in caso di fallimento di una banca, i detentori di obbligazioni subordinate
vengono rimborsati solo dopo che le attività della banca stessa sono state usate
per rimborsare tutti gli altri creditori. In altre parole, le obbligazioni subordinate
sono una via di mezzo tra le azioni e i normali debiti di una banca. Ma soprattutto, dall’agosto del 2013, sono aggredibili in una procedure di salvataggio
bancario. Quanti investitori tra quelli colpiti dal salvataggio delle quattro banche
sapevano cosa sono le obbligazioni subordinate? Quanti sapevano dei rischi che
comportano, non solo in caso di fallimento, ma anche di salvataggio? Individuare
le responsabilità delle banche e delle autorità in questi casi specifici è doveroso.
Tuttavia, per il futuro è ancora più importante che ci sia l’impegno a migliorare
l’informazione che viene data ai clienti. Speriamo in bene.
Capitolo 7. Cosa fanno le banche centrali
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Capitolo 7
Cosa fanno le banche centrali
7.1 Introduzione
Il mondo in cui viviamo oggi è un mondo in cui le banche centrali stanno inondando le economie con oceani di liquidità. Il punto di partenza è una negazione,
nel senso che il compito normale delle banche centrali non è quello di creare più
liquidità possibile, perché questo in realtà non è meglio per l’economia. Quali sono
gli obiettivi delle banche centrali? Le banche centrali devono svolgere un compito
istituzionale da settore pubblico e sono in un certo senso delegate dai cittadini
per realizzare degli obiettivi. Il punto di partenza per capire gli obiettivi delle
banche centrali è capire che cosa noi cittadini vogliamo da loro. Partendo dal
modello di domanda/offerta aggregata, vediamo che i cittadini vorrebbero avere
un livello di PIL vicino al suo livello potenziale, quindi né troppo basso (troppi
disoccupati) né troppo alto (ogni lavoratore lavorerebbe troppe ore al giorno).
Stabilito il livello di PIL ottimale, la quantità di PIL che possiamo produrre in
un certo senso è data. Ci sono alcuni Paesi che possono crescere del 6/7% l’anno
e ci sono Paesi che non riesco a crescere neanche dell’1% l’anno. Quindi una delle
cose che i cittadini possono chiedere alle banche centrali dovrebbe essere avere un
PIL ottimale di lungo periodo, così facendo l’economia dovrebbe crescere in modo
relativamente ordinato e sostenibile. C’è poi un secondo obiettivo per i cittadini:
avere dei redditi sostenibilmente alti e l’inflazione non dovrebbe essere troppo alta in modo da non avere un basso potere d’acquisto. L’inflazione dovrebbe essere
in un intervallo tra 1% e 2%. Vorremo avere un inflazione giusta e una crescita
del PIL sostenibile (punto di equilibrio di lungo periodo). L’inflazione deve essere
bassa in modo da preservare il potere d’acquisto dei redditi dei cittadini e la crescita economia dovrebbe essere più rapida possibile. Dall’altro lato il banchiere
centrale tiene in considerazione il fatto che avere la crescita molto rapida non
è sempre positivo, perché la crescita troppo rapida genera maggiori costi; non è
vero che avere sempre inflazione bassa è sempre una buona notizia per il consumatore, perché vi è il rischio che diventi deflazione. Questo a sua volta potrebbe
portare a depressione perché si rinvia l’acquisto di beni durevoli e inoltre le aziende rinviano gli investimenti. Non si può quindi avere contemporaneamente alta
crescita e bassa inflazione, quindi il banchiere centrale con le sue decisioni può
muovere la domanda aggregata. Quando la banca centrale riduce i tassi di interesse, sposta verso destra la curva di domanda aggregata; quando compera titoli
Capitolo 7. Cosa fanno le banche centrali
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offrendo liquidità, sposta verso destra la curva di domanda aggregata. La banca
centrale inoltre può anche annunciare cosa intende fare nel futuro. Dichiarando
cosa intende fare nel futuro influenza le aspettative dei lavoratori (se io so che
il tasso di interesse è basso oggi ma domani salirà, questo mi dovrebbe spingere
a investire oggi). L’idea che la BCE sta trasmettendo in questo periodo è che
l’inflazione sarà più alta nel futuro e quindi questo sposterà la curva di offerta
aggregata verso destra. Se domani i prezzi dovranno essere più alti, in un periodo
normale, questo porta i sindacati a chiedere maggiori aumenti salariali.
Regola di Taylor
Taylor ha stimato qual è la relazione che si può stimare che valga tra le decisioni
della banca centrale e lo Stato dell’economia. Questo vuol dire che se l’obiettivo
della banca centrale è ad esempio aumentare il PIL, la banca centrale dovrebbe
spostare la curva di domanda o di offerta aggregata verso destra o verso sinistra.
Il banchiere centrale tiene d’occhio l’output gap per fissare il tasso di interesse
in funzione anche dell’inflazione. Taylor ha provato a stimare due costanti: c e d,
dove C è circa 1,5 e D è circa 0,5.
DRt = c (p-p*) + d (output gap)
È deltaR perché si parte dal tasso di interesse presente per calcolare quello futuro.
ΔRt = c (πt −2) + d [(PIL – PILlp)/PILlp]
c = 1,5 d = 0,5
La banca centrale c’è da ricordare che, qualsiasi azione faccia, ci vogliono 9 mesi
circa per vederne gli effetti. L’economia americana oggi sta andando bene, nel
senso che l’inflazione è aumentata rispetto al passato e la crescita del PIL è circa
2,5% mentre negli ultimi anni è stata 2%, quindi vuol dire che oggi c’è qualche
segno di surriscaldamento nell’economia americana. Questo vuol dire che la FED
non sta aumentando/diminuendo i tassi di interesse.
Usando i dati prima della crisi, quello che emergeva, è che i banchieri centrali nel
mondo erano tendenzialmente più avversi all’inflazione che alla disoccupazione,
nel senso che aumentavano i tassi solo di fronte all’inflazione. C e D, stimati prima
della crisi, oggi non valgono più.
7.2 Le 4 implicazioni della regola di Taylor
Prima implicazione (equilibrio): Se l’economia è in equilibrio, il banchiere
centrale deve lasciare i tassi uguali, quindi non fare niente, l’equilibrio si sposterebbe. Ad esempio se abbassasse i tassi per avere più crescita, ci sarebbe sì più
crescita, ma anche più inflazione.
Seconda implicazione (shock della domanda aggregata): cosa il banchiere
centrale deve fare quando ha a che fare con un shock della domanda aggregata? Nel caso in cui l’economia sia surriscaldata (shock alla domanda aggregata
positivo), abbiamo che l’inflazione è maggiore al livello ottimale (2%) e il PIL è
maggiore rispetto al PIL di equilibrio, quindi il banchiere centrale deve aumentare
il tasso di sconto per spostare la curva verso sinistra. Se l’economia è in recessione
(es. dopo Lehman), bisogna tagliare il tasso di sconto perché l’inflazione è troppo
bassa e il PIL cresce poco.
Capitolo 7. Cosa fanno le banche centrali
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Terza implicazione (shock alla curva di offerta): se vi è uno shock negativo
alla curva di offerta, la curva va verso sinistra e vi è troppa inflazione ma poco
PIL, quindi con troppa inflazione bisognerebbe aumentare il tasso di sconto, ma
con poco PIL bisognerebbe tagliare il tasso di sconto. In questo caso la regola di
Taylor è ambigua, quindi capire l’entità di queste due variabili. Se lo shock è di
uguale ammontare in PIL e inflazione, dobbiamo guardare la stima di C e D e
dipende quindi se c’è avversione alla disoccupazione o all’inflazione. Prima della
crisi si sarebbero dovuti aumentare i tassi, perché si aveva più paura dell’inflazione che infatti aumentò rapidamente, mentre la disoccupazione (in Europa) non si
era ancora mossa. Il tasso di interesse in Europa nel 2008 infatti è aumentato. Il
banchiere centrale può solo spostare la curva di domanda aggregata verso sinistra
o verso destra, in caso di shock negativo alla curva di offerta, aumenterà il tasso
di sconto spostando la curva verso sinistra, peggiorando comunque la disoccupazione. Tagliando i tassi di sconto invece si sposta la curva verso destra, tornando
alla piena occupazione ma facendo salire ancora di più l’inflazione.
Quarta implicazione (shock mercati finanziari): nella maggior parte dei
casi le banche centrali devono rispondere a variazioni sui mercati finanziari (es.
tassi di cambio, titoli, mercato immobiliare). Più in generale tutta questa discussione sulla regola di Taylor sembra che non descriva bene le decisioni delle
banche centrali che sembra che siano collegate soprattutto ai mercati finanziari.
Le banche centrali non reagiscono alle oscillazioni dei mercati finanziari fin tanto
che queste oscillazioni sono piccole. Quando sono grandi PIL e inflazione vengono invece influenzate da eventuali apprezzamenti/deprezzamenti o da un crollo
del mercato immobiliare. Le banche centrali non devono far nulla davanti alle
variazioni giornaliere perché se la banca centrale interviene ogni giorno, non si
riescono a far più previsioni su un investimento, perché non si saprebbe mai il
costo del credito.
Andamento dei tassi di interesse (azzurro) e l’andamento che secondo Taylor
avrebbero dovuto avere i tassi di interesse nell’economia americana (blu). Quindi
secondo la regola di Taylor dall’inizio del 2002 la Federal Reserve avrebbe dovuto
alzare pian piano i tassi di interesse, evitando in parte la bolla che si è verificata.
In realtà i tassi sono rimasti costanti fino a metà 2002, poi sono stati tagliati fino
al 2004 fino a quando la FED non ha iniziato ad aumentarli.
Ciò che è avvenuto con la crisi è che a un certo punto ha smesso di funzionare il
mercato interbancario che è quello su cui le banche commerciali trovano solitamente i loro fondi per poter operare. Tra il 2008 e il 2009 sono saliti gli spread sui
mercati finanziari, questo vuol dire che normalmente quando i mercati funzionano
sono molto vicini a 0 (spread = differenza tra tasso di interesse che un debitore è
disponibile a pagare e il tasso di interesse che uno che dà a prestito vuole portare
a casa), se c’è concorrenza lo spread è sempre molto vicino a 0. Durante la crisi
finanziaria le varie banche non erano più disponibili a prestare alla banca A che
aveva visto un deteriorarsi del suo bilancio. Di fatto nell’economia la situazione
che venne a crearsi fu che alcune banche non avevano più accesso ai fondi e altre
banche che avevano troppa liquidità ma non volevano disfarsene per paura del
verificarsi di una nuova crisi finanziaria. In questo caso lo spread sale. I mercati
interbancari smettono di funzionare e le banche non riescono più ad avere accesso
ai fondi per prestare a famiglie e imprese. Di fronte a una situazione di questo
tipo, le banche centrali decisero di azzerare in poco tempo i tassi di interesse.
Capitolo 7. Cosa fanno le banche centrali
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La FED inizia ad azzerare i tassi dalla metà del 2007, mentre la Bank of England e la BCE si muovono più lentamente, anche se all’inizio del 2009 avevano
sostanzialmente portato i tassi di interesse verso 0. Nel luglio 2008 la BCE decide di aumentare i tassi di interesse mentre le altre banche li tennero costanti,
anzi si preparavano nel fare dei tagli. Questi tagli arrivarono anche in Europa ma
più tardi. Il tasso della BCE rimase sistematicamente più alto rispetto a quello
prevalente negli Stati Uniti di circa un punto. Come possiamo spiegare questo
taglio così forte? Il PIL scendeva, l’inflazione veniva azzerata e l’economia era
sottoposta a uno shock della domanda aggregata. Qui ci fu la risposta da Taylor
di tagliare i tassi di molto. Da qui in poi i tassi vengono tenuti costanti per un
lungo periodo di tempo, con un eccezione dove aumentarono i tassi di interesse
nella metà 2011 a fronte di un ulteriore aumento del prezzo del petrolio. Come
mai la BCE è stata l’unica banca ad aumentare i tassi? La BCE ha scritto nello
statuto che deve preoccuparsi di mantenere l’inflazione bassa, mentre la FED ha
l’obiettivo di mantenere condizioni di stabilità dei prezzi e un elevato livello di
occupazione. Un banchiere centrale di fronte a un aumento del prezzo del petrolio
era incerto, ma decise di aumentare il tasso di interesse contribuendo a portare
la domanda aggregata verso sinistra, facendo quindi scendere l’inflazione. La domanda di fondo è: cosa succede quando i tassi sono a 0? Come fa la banca centrale
per incoraggiare l’economia? Da allora la previsione all’inizio del 2014 era che la
crisi stesse diventando meno acuta e questo avrebbe portato le banche centrali
ad aumentare i tassi di interesse (2,5% per la Bank of England e la FED per la
fine del 2017). In realtà siamo ancora molto lontani da questa previsione, perché
la situazione è rimasta più o meno uguale. In che modo le banche centrali hanno
iniziato a lavorare in aree non conosciute? Hanno cominciato a fare delle cose
diverse dal passato, perché raggiunto il pavimento dello 0 non potevano tagliare
più. Portare i tassi a 0 non è stato sufficiente per risolvere i problemi, perché
le banche commerciali per prestare devono avere liquidità e capitale; quindi se
offri liquidità a queste banche commerciali con bilanci disastrati non è detto che
queste lo useranno per dare prestiti ad aziende e famiglie. Le banche centrali
inizialmente iniettarono direttamente più liquidità, alcune istituzioni erano così
poco liquide che rischiavano di fallire, quindi la prima ondata di aumento degli asset delle banche centrali è servita per tirare via dai bilanci bancari i titoli
problematici, per evitare fallimenti bancari ben più ampi di quelli che si erano
verificati.
La banca centrale del Giappone aveva iniziato già prima ad aumentare gli asset
perché la crisi ce l’hanno dagli anni ’90 circa. Dopo la prima ondata, in realtà il
credito non ripartiva. Ci furono quindi altre due ondate.
Prima del 2008 le banche centrali comperavano solo titoli del tesoro (titoli del
debito pubblico).
Dal 2008 in poi il bilancio della banca centrale si riempie di bad asset.
Perché in effetti questo si traduce in una riduzione del costo del credito? Da
un lato la banca centrale compra titoli a più lunga scadenza, ma per i piccoli
imprenditori si riduce il costo del credito. Questo perché il costo del credito per
un’azienda è fatto da:
1) Tasso di mercato: tasso di interesse che paga il governo. La piccola impresa
paga uno spread tra il miglior tasso sul mercato e il tasso che viene praticato dalla
Capitolo 7. Cosa fanno le banche centrali
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banca commerciale che dà a prestito alla piccola impresa, che è funzione di quanto
è capitalizzata la piccola impresa. Quanto più alto è il capitale dell’impresa, tanto
più alta è la garanzia che ha la banca, tanto più basso è il costo che paga l’impresa
(spread).
2) Durante la crisi si è capito che il tasso di interesse che viene offerto ai piccoli
investitori è anche in funzione delle condizioni del bilancio della banca che dà a
prestito, se ha cattive condizioni questa banca vorrà dare in prestito a un tasso
di interesse più alto, perché essa stessa raccogliendo i fondi pagherà un tasso di
interesse più alto. La banca che dà a prestito prende a prestito a sua volta da
un’altra banca e pagherà un tasso più alto se la banca ha cattive condizioni del
bilancio.
La banca centrale compra i bad asset dalle banche commerciali, pulendo i loro
bilanci e quindi i capitali delle banche migliorano.
La FED compra direttamente i bad asset, quindi denaro in cambio di bad asset,
togliendo quindi questi bad asset dal bilancio delle banche commerciali e facendoli
finire sul proprio bilancio. In Europa invece la BCE, siccome non c’è accordo per
fare la stessa operazione della FED, perché i titoli problematici in Europa erano
titoli del debito pubblico e il problema è che la BCE nello statuto dice che non può
finanziare il deficit pubblico dei singoli paesi. Quindi la BCE fece un programma
LTRO cioè delle operazioni di rifinanziamento delle banche commerciali a lungo
termine, perché la BCE accettava anche dei titoli problematici come garanzia
in cambio della liquidità che dava a prestito alle banche commerciali europee.
Quindi invece di acquistare direttamente questi bad asset con denaro, la BCE
dava a prestito dei soldi al tasso di interesse dell’1% per 3 anni e chiedendo in
garanzia degli asset, anche bad asset. Ma i bad asset non hanno lasciato i bilanci
delle banche commerciali, c’è stata una maggiore copertura dei bad asset ma
senza essere cancellati dai bilanci delle banche. Quindi in pratica il rischio rimane
attaccato alla banca commerciale in Europa, mentre in America si sposta sul
bilancio della FED.
Per dare a prestito serve liquidità e capitale, la BCE fornì liquidità ma non
poteva fornire capitale, cosa che invece la FED fece. A un certo punto nei primi
mesi del 2015 la BCE inizia ad acquistare i titoli liberando i bilanci delle banche
commerciali dai titoli che queste banche sono disponibili a vendere. L’esistenza
di una politica di diffusione di liquidità e di pulizia dei bilanci, contribuisce a
ridurre il costo del credito.
Dove ci hanno portato tutte queste decisioni? In America i mercati finanziari
sono tornati su subito, già dall’inizio del 2009. Inoltre sono diminuiti gli spread
in giro per l’economia, gli spread erano saliti enormemente e nel 2009 sono scesi
notevolmente.
Dove siamo rimasti? La situazione è un po’ diversa in Europa e negli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti da anni sono in una fase di crescita economica che per il momento
non ha più mostrato pause, la disoccupazione è tornata al 5% e il debito pubblico è
aumentato, c’è credito ma ogni tanto c’è il rischio di una nuova bolla in alcune aree
(la più recente nel mercato delle tecniche di estrazione del petrolio). In Europa c’è
una ripresa, il debito pubblico in alcuni paesi è molto più alto rispetto agli Stati
Uniti, vi è potenziale default per alcuni Paesi, la disoccupazione continua a essere
molto alta e il credito non sta ripartendo con alcune eccezioni (in Germania il
Capitolo 7. Cosa fanno le banche centrali
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credito c’è). Si prevede che l’impegno della BCE per sostenere tassi bassi rimarrà
per un lungo periodo di tempo, molto più lungo che per gli Stati Uniti.
Capitolo 8. Tassi di cambio
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Capitolo 8
Tassi di cambio
8.1 Tassi di cambio
Ci sono vari tassi di cambio. Il tasso di cambio è il prezzo di una valuta nei
confronti di un’altra valuta e questo tasso di cambio che prendiamo come scontato
viene chiamato tasso di cambio nominale e lo si può intendere in due modi in
realtà: prezzo della valuta interna in termini della valuta estera o prezzo della
valuta estera in termini della valuta interna. Non fa differenza perché se con un
euro compro un dollaro e dieci o con un dollaro compro 1/1,1, cioè con un dollaro
compro 0,91 euro, stiamo sempre parlando dello stesso tasso di cambio, cioè vuol
dire che un euro vale un po’ più di un dollaro. Normalmente quando parliamo
del cambio, l’accezione che usiamo è il prezzo della valuta interna in termini della
valuta estera, cioè con un euro quanto mi compero (certo per incerto). Questo
tasso di cambio nominale a sua volta, nella maggior parte dei casi, è calcolato
relativamente a una valuta estera specifica, quindi di tassi di cambio
bilaterali ce ne sono n −1, se ci sono n valute (es. euro nei confronti della sterlina,
del dollaro, ecc.). Siccome però noi potremmo chiederci se l’euro è forte o debole.
Il valore di una moneta non è dato da uno specifico tasso di cambio bilaterale, per
misurare la forza della valuta bisogna usare i singoli tassi di cambio bilaterali e nel
costruire la media dobbiamo ponderare per quanto è importante un determinato
Paese per l’euro zona. Quindi si può costruire un tasso di cambio medio dell’euro
nei confronti del resto del mondo che si cambia tasso di cambio effettivo. Il tasso
di cambio effettivo misura il valore medio della valuta interna rispetto alla media
ponderata delle valute dei partner commerciali. Quali sono i pesi? Il peso è la
quota sul commercio tra il Paese domestico e il Paese estero.
Si apprezza il valore di una moneta quando il valore di questa moneta sale (es.
l’euro va a un dollaro e 40 da un dollaro e 10). Si deprezza quando il valore di
una valuta misura in termini di unità della valuta estera da acquistare va giù.
Quando si dice che l’euro raggiunge la parità col dollaro, significa che con un
euro compro un dollaro. Bisogna sempre controllare se stiamo misurando euro in
dollari, o dollari in euro, perché si può far facilmente confusione.
Il tasso di cambio è importante perché è associato alla capacità di un paese di
competere nei confronti dei suoi partner. Quando un paese è competitivo rispetto
a un altro? Quando ha prezzi bassi o quando ha una qualità più alta. Possiamo
Capitolo 8. Tassi di cambio
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incorporare questa idea di competitività di un paese nei confronti di un altro
(prezzi bassi) usando il tasso di cambio nominale confrontandolo con il livello dei
prezzi.
Tasso di cambio reale = (confronto tra il prezzo del bene domestico x tasso di
cambio nominale) / prezzo dei beni prodotti all’estero
Tasso di cambio reale = (confronto tra prezzi dei beni prodotti nell’euro zona x
tasso di cambio nominale) / prezzo dei beni prodotti in USA
Quello che vi è tra parentesi traduce il prezzo in euro in dollari per poter fare un
confronto. Confrontare il prezzo di un automobile nell’euro zona con il prezzo di
un automobile negli Stati Uniti non è fattibile a meno che non usiamo il cambio
nominale per poter tradurre i due prezzi nella stessa valuta. Questo numero è una
misura della competitività di un paese. Quando vi è un deprezzamento nel tasso di
cambio reale dell’euro, significa che i paesi dell’Euro zona producono beni che sono
diventati meno costosi relativamente ai beni prodotti fuori dall’Euro zona, quindi
si guadagna competitività. Qual è la conseguenza del guadagno di competitività?
Supponiamo che ci sia un deprezzamento del tasso di cambio reale.
• Questo incoraggia i consumatori interni a comperare di più i beni prodotti
nell’euro zona e di meno quelli prodotti fuori dall’euro zona. Questo significa che se i consumatori dell’Euro zona comprano di più dell’euro zona,
importeranno di meno da fuori e quindi diminuiscono le importazioni.
• I consumatori esteri (es. americani) vorranno importare di più e quindi per
l’euro zona aumenteranno le esportazioni.
Per queste due ragioni le esportazioni nette aumentano. Per quanto riguarda
l’apprezzamento è tutto il contrario.
Come si fa a guadagnare competitività e a far scendere il tasso di cambio reale?
Se il numeratore scende o se il denominatore sale. Il numeratore scende se vi è un
deprezzamento del cambio nominale o se scendono i prezzi interni. A loro volta
i prezzi interni possono scendere per varie ragioni: se scendono i salari netti,
se scendono le tasse sul lavoro, se sale la produttività. A parità di salario se i
miei lavoratori producono di più per ogni ora lavorata i miei costi di produzione
saranno più bassi. Inoltre ci sono anche altri costi di produzione (es. energia, che
viene dal prezzo del petrolio). Il denominatore sale se aumentano i prezzi esteri,
ma questo non è uno strumento nelle mani dell’euro zona ma è un dato. Dati i
costi di produzione e i prezzi esteri, noi dobbiamo adeguarci. Vediamo quindi le
altre opzioni, anche se non sono cose facili da fare. Possiamo anche migliorare il
PIL per ogni ora lavorata e aumentare la qualità dei prodotti.
L’Italia non può svalutare la propria moneta perché fa parte dell’Euro, ma è
la BCE che può farci guadagnare competitività. L’Italia non può guadagnare
competitività usando la leva del cambio.
Bisognerebbe ridurre il prezzo del produrre energia in Italia, ma quanto siamo
disponibili a rovinare le coste per avere energia a costo basso fatta da noi? Anche
se anche tenere le coste pulite è un modo di guadagnare competitività (nel settore
del turismo). Per ridurre il costo dell’energia bisogna accettare alcune scelte (es.
energia nucleare in Francia). Il costo del lavoro per guadagnare competitività
Capitolo 8. Tassi di cambio
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è: tagliare gli stipendi (salari netti) anche se questo ha effetti sul morale delle
persone e quindi sulla motivazione della gente a lavorare; quello che interessa alle
aziende è tagliare i salari lordi, quindi il governo può ridurre le tasse sul lavoro
(compresi i contributi sociali) in modo da non abbassare il morale e di ridurre
il costo del lavoro per le aziende, ma riduciamo i benefici pensionistici. Rimane
l’aumento della produttività, facendo innovazione a livello aziendale. Ma che tipo
di innovazioni si fanno? Di processo e di prodotto; di processo tagliando posti
di lavoro fondamentalmente e delocalizzando la produzione, e questo riduce il
costo del lavoro; di prodotto investendo sulle skills e producendo meglio le cose
che già sono nel portafoglio dell’azienda, ma ovviamente bisogna investire per
fare innovazione di prodotto, ma si può scegliere tra make or buy. Tutto ciò è
misurato dal tasso di cambio reale, che cambia in funzione di quello che succede
a queste variabili.
Per fare un esempio possiamo confrontare la competitività dell’Italia con quella
americana guardando a quanto grande è il salario lordo in Italia, che è più o
meno uguale a quello americano e più basso di quello tedesco. Quindi l’Italia dal
punto di vista del lavoro è competitiva quanto gli Stati Uniti ed entrambe sono
più competitive della Germania. Ma il costo del lavoro è fatto dal salario e dalla
produttività. La produttività vediamo che è più alta in America, in mezzo c’è la
Germania e in Italia è più bassa. Quindi l’Italia paga i lavoratori al lordo delle
tasse come gli Stati Uniti ma abbiamo una produttività più bassa. Rispetto alla
Germania invece l’Italia ha una produttività più bassa e dei salari più bassi. Le
tasse sul lavoro in Italia e Germania sono simili e in USA son più bassi. Quindi gli USA sono più competitivi perché sono più produttivi, hanno salari lordi
piuttosto bassi perché le tasse sul lavoro sono basse. In USA infatti il finanziamento pensionistico è un po’ a carico dello Stato un po’ a carico dei lavoratori.
Per questo le aziende riescono a creare più posti di lavoro. In America inoltre
hanno tasse sull’utile aziendale che sono più alte di quelle che ci sono in Italia e
in Germania. Questo ci fa capire perché Microsoft vuole far figurare i suoi utili
in Irlanda (come anche altre aziende come Google). Un altro motivo per cui gli
USA e la Germania sono più competitivi dell’Italia è la qualità dei prodotti, e
per questo hanno esportazioni molto alte.
L’Italia ha poi altri concorrenti. Noi figuriamo come il paese ad alto costo confrontandoci con Polonia e Slovacchia. Qui vediamo che Polonia e Slovacchia hanno
un vantaggio in termini di salario lordo e non è perché hanno le tasse sul lavoro
più basse (che sono più o meno simili all’Italia) e i lavoratori polacchi e slovacchi
guadagnano di meno. L’Italia paga di più i lavoratori ma allo stesso tempo è più
produttiva. Il vantaggio di produttività è più piccolo del vantaggio del salario.
Quindi nei confronti di Polonia e Slovacchia i salari netti degli italiani sono troppo alti. Per questo è importante riuscire a competere sulla qualità dei prodotti
con USA e Germania in modo da differenziarci da Polonia e Slovacchia. Inoltre
nei paesi dell’Est hanno aliquote di tassazione del reddito d’impresa molto basse
e questo è un modo per attirare capitali. Uno dei problemi è che questi paesi non
hanno tutto il welfare che abbiamo noi, ed è per questo che l’Italia non può avere
una tassazione così bassa.
Indice Big Mac per capire il potere di acquisto di un paese
Teoria della parità dei poteri di acquisto (PPA): il tasso di cambio tra due valute
tende naturalmente ad aggiustarsi, in modo che un insieme di beni abbia lo stesso
Capitolo 8. Tassi di cambio
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costo in entrambe le valute.
Indice Big Mac = PREZZO DI UN BIG MAC IN UN DATO PAESE (NELLA
SUA VALUTA) / PREZZO DI UN BIG MAC IN UN ALTRO PAESE (NELLA
SUA VALUTA)
Indice Big Mac vs tasso di cambio effettivo tra le valute dei due paesi:
• Se è più basso: la prima valuta è sottostimata rispetto alla seconda.
• Se è più alto: la prima valuta è sopravvalutata rispetto alla seconda.
L’economist da anni prova a calcolare il tasso di cambio reale utilizzando il Big
Mac (bene simile in tutti i Paesi). Quindi si prova a calcolare quale sarebbe il
tasso di cambio che renderebbe uguali i prezzi del Big Mac in due paesi presi a
caso. Il risultato di questo esperimento è che il rapporto dovrebbe essere uguale
a 1, ma non è così. Da questo confronto il ragionamento che è stato fatto è che
se non è così vuol dire che la valuta è sottostimata o sopravvalutata.
Quali sono le forze che fanno modificare il tasso di cambio nominale? Il valore
dell’euro è determinato nel mercato della valuta estera. Cosa succede nel mercato
della valuta estera che influenza il valore dell’euro?
• Le esportazioni di pomodoro di Pachino che vanno in Svizzera influenzano
il mercato della valuta estera, perché per comperare pomodori di Pachino,
gli svizzeri hanno bisogno degli euro. L’esportazione di un prodotto dall’euro zona fuori dall’euro zona genera una domanda di euro. Inoltre anche
se i pomodori fossero pagati in franchi svizzeri, la domanda di euro molto
probabilmente potrebbe andare su. Questo perché se io sono l’esportatore,
vendo pomodori e ricevo franchi svizzeri, devo comunque cambiare i franchi
svizzeri in Euro per comprare all’interno dell’Euro zona. Indipendentemente dalla valuta con cui sono pagati i pomodori di Pachino, prima o poi
la domanda di euro sale in conseguenza dell’esportazione dei pomodori di
Pachino. A fianco di un’esportazione c’è una domanda di euro.
• Quando importiamo un barile di petrolio dall’Arabia Saudita, in questo
caso non c’è una domanda di euro, ma c’è un’offerta di euro sul mercato
della valuta estera perché il prezzo del petrolio lo paghiamo in dollari e lo
importiamo fuori dall’euro zona. Quindi abbiamo che dobbiamo offrire euro
sul mercato della valuta estera e procurarci dollari per poter pagare il barile
di petrolio. Quindi mentre le esportazioni generano una domanda di euro,
le importazioni generano un’offerta di euro sul mercato della valuta estera
dove si scambiano euro con dollari.
• Se c’è la vendita di BTP a blackrock (fondo di investimento più importante
del mondo), in questo caso blackrock ha bisogno di euro quindi domanderà
euro per acquistare BTP e quindi la domanda di euro va su.
• Acquisto azioni Chrysler (società americana) da Fiat vendendo euro e comperando dollari, quindi l’offerta di euro aumenta.
Riassunto: esiste sul mercato della valuta estera domanda e offerta di euro che è
l’altra faccia della domanda delle transazioni che avvengono. Dall’incrocio della
Capitolo 8. Tassi di cambio
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domanda e offerta di euro si ottiene il valore dell’euro rispetto a quello delle altre
valute.
Nel mercato della valuta estera possiamo tracciare la domanda di euro, quando
si genera domanda? Quando ci sono degli stranieri (gente che vive fuori dall’Euro
zona) che acquistano beni o attività prodotti o generati all’interno dell’euro zona.
Questa curva di domanda di euro ha una pendenza negativa rispetto al tasso di
cambio. Quando scende il valore dell’euro (scendiamo lungo la curva di domanda),
aumenta la domanda di euro perché quando scende il valore di ER guadagniamo
competitività e quindi esportiamo di più, e questo fa salire la domanda di euro.
Quando si genera offerta? Quando ci sono degli stranieri che vendono beni o
servizi a famiglie e imprese dell’Euro zona e questi stranieri vogliono essere pagati
nella loro valuta. Quindi famiglie e imprese offrono euro per comprare dollari.
L’inclinazione rispetto al tasso di cambio è positiva, perché quando sale il valore
dell’euro, i prodotti fatti in America diventano meno costosi per l’Euro zona e
quindi le importazioni andranno su e la curva ha una pendenza positiva, perché
quando si apprezza l’euro aumenta il volume di euro per effettuare la transazione.
Dall’intersezione delle due curve abbiamo il tasso di cambio di equilibrio, dove
domanda e offerta di euro sono uguali.
Quali sono le ragioni per cui possiamo prevedere che l’euro salga?
• Se il PIL dell’euro zona scende e quello degli USA rimane uguale, cosa succede all’euro? L’euro si deprezza ma bisogna capire perché questo succede.
Il risultato che dovrebbe succedere in realtà è il contrario, l’euro dovrebbe
apprezzarsi. Questo perché quando scende il PIL, scendono le importazioni,
diminuisce l’offerta di euro e la curva di offerta di euro si sposta a sinistra,
quindi ci sono meno euro offerti sul mercato a parità di euro domandati.
Quando c’è troppa domanda e troppa poca offerta, il prezzo dei beni sale.
Quindi quando il PIL rallenta, sul mercato della valuta estera il cambio
euro/dollaro dovrebbe apprezzarsi. Di solito però non succede così, perché
quasi sempre associato a un rallentamento del PIL, c’è sempre quello che
ci si aspetta dalla regola di Taylor, cioè che le banche centrali cercano di
aiutare l’economia tagliando i tassi.
• Se l’inflazione scende in Europa e non scende negli Stati Uniti, o se il livello
dei prezzi scende in Europa e non negli Stati Uniti, cosa succederà se scende
il PIL? Guadagniamo competitività perché i prezzi son più basse degli Stati
Uniti, le esportazioni salgono, le importazioni scendono e salgono le esportazioni nette. Quando le esportazioni salgono la curva di domanda si sposta
verso destra e quando le importazioni scendono l’offerta si sposta a sinistra.
Avendo un inflazione bassa dobbiamo quindi aspettarci che la valuta salga.
• Movimenti di capitale: se sale il tasso di interesse dell’euro zona rispetto
all’America, un risparmiatore che mette i suoi soldi nell’euro zona avrà un
tasso di interesse, se li mette in America avrà un altro tasso di interesse. Quindi se questo succede, i capitali si muoveranno dall’America dentro
l’Euro zona. Quindi questo vuol dire che viene un fondo di investimento
americano che si compera i BTP dell’euro zona e vi è una domanda di euro.
Tutte queste cose sono aumenti del volume di euro domandati sul mercato, quindi la curva di domanda di euro si sposta verso destra e l’euro si
Capitolo 8. Tassi di cambio
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apprezza.
• Politiche future: se la FED dice che ha intenzione di tagliare i tassi di
interesse in futuro, l’effetto sul mercato della valuta ci sarà già oggi. Questo
perché il risparmiatore vuole evitare di avere una perdita in conto capitale,
quindi vuole evitare di avere in tasca i dollari sapendo che domani il dollaro
si deprezzerà. In questo caso il risparmiatore venderà i dollari al tasso di
cambio di oggi. In funzione degli annunci della banca centrale i tassi di
cambio iniziano a muoversi senza alcuna politica.
Quello che determina il valore della valuta dall’oggi al domani sono gli elementi
3 e 4, perché per i primi 2 ci vuole molto più tempo. E’ per questo che quando
sentiamo che l’economia rallenta ci aspettiamo che l’euro si deprezzi anche se
dovrebbe apprezzarsi, ma questo è solo un pezzo del risultato perché il grosso
dell’effetto è dato dal fatto che quando il PIL scende la BCE taglia o annuncia
di tagliare i tassi subito.
L’economia dei tassi di cambio può aiutare a diventare miliardari? No. Il grosso
dei movimenti sul mercato della valuta estera non sono determinati da PIL e
inflazione ma dall’oscillazione dei tassi o dalle previsioni. Le notizie che arrivano
sono le cose che muovono i tassi di cambio.
Se prendiamo i dati prendendo orizzonti di tempo molto lunghi, quello che si vede
è che i paesi che hanno un differenziale di inflazione positivo nei confronti degli
Stati Uniti sono i paesi in cui la valuta domestica si è deprezzata più o meno
dello stesso ammontare del differenziale di inflazione. In realtà conta anche la
rischiosità delle allocazioni di portafoglio.
Il punto di fondo è che sul breve termine inflazione e PIL non prevedono bene
cosa succede al cambio. Gli indicatori migliori sono: leggere il giornale e vedere le
notizie sui tassi di oggi e di domani, cioè sulle politiche monetarie dei vari paesi.
I singoli paesi dopo il 2008 hanno cercato di difendersi dalla crisi tagliando i tassi
ma è più efficace se sei l’unico paese a farlo.
Infine i tassi di cambio sono molto importanti anche per i bilanci delle aziende.
La svalutazione è favorevole alle aziende multinazionali.
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Capitolo 9
Fonti per testo e immagini;
autori; licenze
9.1 Testo
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Introduzione/Introduzione
Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/
Introduzione/Introduzione?oldid=36168 Contributori: Ale
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Introduzione/Regola del 70
Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/
Introduzione/Regola_del_70?oldid=36010 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/La crisi attraverso i grafici/Introduzione Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_
per_il_management/La_crisi_attraverso_i_grafici/Introduzione?oldid=36019 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/La crisi attraverso i grafici/Domanda aggregata Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_
per_il_management/La_crisi_attraverso_i_grafici/Domanda_aggregata?oldid=36017 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/La crisi attraverso i grafici/Curva di offerta aggregata Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_
macroeconomici_per_il_management/La_crisi_attraverso_i_grafici/Curva_di_offerta_
aggregata?oldid=36015 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/La crisi attraverso i grafici/L’evoluzione della crisi post-2007 Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_
macroeconomici_per_il_management/La_crisi_attraverso_i_grafici/L%E2%80%99evoluzione_
della_crisi_post-2007?oldid=36021 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Com’era l’economia mondiale prima della crisi/Introduzione Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_
macroeconomici_per_il_management/Com’era_l’economia_mondiale_prima_della_crisi/
Introduzione?oldid=36032 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Com’era l’economia mondiale prima della crisi/Fast growers e crescita nelle aree geografiche Fonte: https://it.
wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/Com’era_l’economia_
mondiale_prima_della_crisi/Fast_growers_e_crescita_nelle_aree_geografiche?oldid=36030
Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Com’era l’economia mondiale prima della crisi/Convergenza e divergenza nei livelli di reddito Fonte: https://
it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/Com’era_l’economia_
mondiale_prima_della_crisi/Convergenza_e_divergenza_nei_livelli_di_reddito?oldid=36028
Contributori: Ale e Francesca
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• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Com’era l’economia mondiale prima della crisi/Sintesi Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_
per_il_management/Com’era_l’economia_mondiale_prima_della_crisi/Sintesi?oldid=36034
Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/La crisi finanziaria/The nittygritty Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/
La_crisi_finanziaria/The_nitty-gritty?oldid=36043 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/La crisi finanziaria/ABS (Asset Backed Securities), liquidità e credito all’economia Fonte: https://it.wikitolearn.
org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/La_crisi_finanziaria/ABS_
(Asset_Backed_Securities)%2C_liquidit%C3%A0_e_credito_all’economia?oldid=36039 Contributori: Ale, Francesca e Anonimo: 1
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/La crisi finanziaria/Conclusione Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/
La_crisi_finanziaria/Conclusione?oldid=36041 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Recessioni e recuperi/Recessioni e recuperi Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_
per_il_management/Recessioni_e_recuperi/Recessioni_e_recuperi?oldid=36050 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Recessioni e recuperi/Cosa
succederà nel 2016? Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_
per_il_management/Recessioni_e_recuperi/Cosa_succeder%C3%A0_nel_2016%3F?oldid=
36048 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Italia 2016/L’andamento del
PIL annuale Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_
il_management/Italia_2016/L%E2%80%99andamento_del_PIL_annuale?oldid=36063 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Italia 2016/Un rallentamento della crescita mondiale Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_
per_il_management/Italia_2016/Un_rallentamento_della_crescita_mondiale?oldid=36067
Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Italia 2016/La domanda interna potrebbe smettere di crescere Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_
macroeconomici_per_il_management/Italia_2016/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_
di_crescere?oldid=36059 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Italia 2016/Insufficiente contributo del settore immobiliare Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_
macroeconomici_per_il_management/Italia_2016/Insufficiente_contributo_del_settore_
immobiliare?oldid=36057 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Italia 2016/La ripresa è stata diseguale tra settori e territori Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_
macroeconomici_per_il_management/Italia_2016/La_ripresa_%C3%A8_stata_diseguale_
tra_settori_e_territori?oldid=36061 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Italia 2016/Bilanci delle banche Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/
Italia_2016/Bilanci_delle_banche?oldid=36055 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Italia 2016/Salvataggi bancari: in Europa la musica è cambiata Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_
macroeconomici_per_il_management/Italia_2016/Salvataggi_bancari%3A_in_Europa_
la_musica_%C3%A8_cambiata?oldid=36065 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Cosa fanno le banche centrali/Introduzione Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_
il_management/Cosa_fanno_le_banche_centrali/Introduzione?oldid=36072 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Cosa fanno le banche centrali/Le 4 implicazioni della regola di Taylor Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%
Capitolo 9. Fonti per testo e immagini; autori; licenze
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3AScenari_macroeconomici_per_il_management/Cosa_fanno_le_banche_centrali/Le_4_
implicazioni_della_regola_di_Taylor?oldid=36074 Contributori: Ale e Francesca
• Corso:Scenari macroeconomici per il management/Tassi di cambio/Tassi di cambio Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/
Tassi_di_cambio/Tassi_di_cambio?oldid=36079 Contributori: Ale e Francesca
9.2 Immagini
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• File:Domanda_aggregata_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/2/2c/Domanda_
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• File:Economia_mondiale_prima_della_crisi_-_introduzione_01.png Fonte: http:
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• File:Economia_mondiale_prima_della_crisi_-_introduzione_03.png Fonte: http:
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03.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ?
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• File:Evoluzione_della_crisi_post-2007_6.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/
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• File:Implicazioni_regola_di_Taylor_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/
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• File:Implicazioni_regola_di_Taylor_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/
it/8/85/Implicazioni_regola_di_Taylor_2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale:
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• File:Implicazioni_regola_di_Taylor_3.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/
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• File:Implicazioni_regola_di_Taylor_5.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/
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• File:Implicazioni_regola_di_Taylor_8.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/
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• File:Insufficiente_contributo_del_settore_immobiliare.png Fonte: http://it.wikitolearn.
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• File:Introduzione.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/c/cb/Introduzione.png
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• File:Introduzione_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/6/64/Introduzione_
1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ?
• File:Introduzione_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/c/cb/Introduzione_
2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ?
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• File:Italia_2016_L’andamento_del_PIL_annuale_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.
org/images/it/4/46/Italia_2016_L%E2%80%99andamento_del_PIL_annuale_2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ?
• File:La_crisi_finanziaria-The_nitty-gritty_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/
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• File:La_crisi_finanziaria-The_nitty-gritty_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/
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• File:La_crisi_finanziaria-The_nitty-gritty_3.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/
images/it/0/0f/La_crisi_finanziaria-The_nitty-gritty_3.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ?
• File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_1.png Fonte: http:
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• File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_10.png Fonte: http:
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• File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_12.png Fonte: http:
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• File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_14.png Fonte: http:
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• File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_16.png Fonte: http:
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• File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_18.png Fonte: http:
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Capitolo 9. Fonti per testo e immagini; autori; licenze
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• File:Recessioni_e_recuperi_5.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/c/cd/Recessioni_
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• File:Recessioni_e_recuperi_6.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/e/e3/Recessioni_
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• File:Recessioni_e_recuperi_7.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/e/e1/Recessioni_
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• File:Regola_del_70_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/e/e6/Regola_del_
70_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ?
• File:Regola_del_70_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/f/ff/Regola_del_
70_2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ?
• File:Regola_del_70_3.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/0/0a/Regola_del_
70_3.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ?
• File:Tassi_di_cambio_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/c/c1/Tassi_
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• File:Tassi_di_cambio_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/8/86/Tassi_
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• File:Tassi_di_cambio_3.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/9/97/Tassi_
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• File:Tassi_di_cambio_4.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/9/9a/Tassi_
di_cambio_4.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ?
• File:Tassi_di_cambio_5.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/d/d1/Tassi_
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• File:Un_rallentamento_della_crescita_mondiale_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.
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• File:Un_rallentamento_della_crescita_mondiale_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.
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9.3 Licenza dell’opera
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