Scenari macroeconomici per il management 1 giugno 2017 This book is the result of a collaborative effort of a community of people like you, who believe that knowledge only grows if shared. We are waiting for you! Get in touch with the rest of the team by visiting http://join.wikitolearn.org You are free to copy, share, remix and reproduce this book, provided that you properly give credit to original authors and you give readers the same freedom you enjoy. Read the full terms at https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/ Indice 1 Introduzione 1 1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1.2 Regola del 70 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 2 La crisi attraverso i grafici 7 2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 2.2 Domanda aggregata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 2.3 Curva di offerta aggregata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 2.4 L’evoluzione della crisi post-2007 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 3 Com’era l’economia mondiale prima della crisi 13 3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 3.2 Fast growers e crescita nelle aree geografiche . . . . . . . . . . . . . 14 3.3 Convergenza e divergenza nei livelli di reddito . . . . . . . . . . . . 16 3.4 Sintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 4 La crisi finanziaria 23 4.1 The nitty-gritty . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 4.2 ABS (Asset Backed Securities), liquidità e credito all’economia . . 30 4.3 Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 5 Recessioni e recuperi 32 5.1 Recessioni e recuperi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 5.2 Cosa succederà nel 2016? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 6 Italia 2016 40 6.1 L’andamento del PIL annuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 6.2 Un rallentamento della crescita mondiale . . . . . . . . . . . . . . . 41 6.3 La domanda interna potrebbe smettere di crescere . . . . . . . . . 43 6.4 Insufficiente contributo del settore immobiliare . . . . . . . . . . . 51 Indice 3 / 75 6.5 La ripresa è stata diseguale tra settori e territori . . . . . . . . . . 51 6.6 Bilanci delle banche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 6.7 Salvataggi bancari: in Europa la musica è cambiata . . . . . . . . . 54 7 Cosa fanno le banche centrali 57 7.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 7.2 Le 4 implicazioni della regola di Taylor . . . . . . . . . . . . . . . . 58 8 Tassi di cambio 8.1 63 Tassi di cambio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 9 Fonti per testo e immagini; autori; licenze 69 9.1 Testo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 9.2 Immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 9.3 Licenza dell’opera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 Capitolo 1. Introduzione Capitolo 1 Introduzione 1.1 Introduzione I numeri più importanti sono quelli relativi al PIL (prodotto interno lordo). Nel calcolo del PIL entra solo il netto della produzione, quindi al netto degli acquisti dei prodotti intermedi. Ma perché allora è lordo? È al lordo degli ammortamenti, cioè delle spese per ammortamenti che fanno le imprese. Viene contabilizzato nel PIL la voce investimenti che include non solo le nuove automobili/immobili che sono state acquistate dalle aziende, ma anche le spese di investimento che servono per ammortare, ovvero rimpiazzare, una parte del capitale che si è deteriorato. Un primo modo di vedere il PIL è quello di vederlo come il valore della produzione che viene generato da un’economia di beni e servizi finali, quindi di cose il cui valore è stato “pulito” dagli acquisti che vengono effettuati. Quello che influenza il PIL nella la produzione di un’automobile, è la produzione dei freni, ma non contiamo due volte i freni. Il PIL includerà il valore aggiunto ottenuto dall’azienda per produrre i freni, quindi visto come prodotto finale da quest’azienda; ma per l’azienda che produce automobili i freni sono un prodotto intermedio il cui valore deve essere tirato via dal valore dell’automobile che viene venduta. Un altro modo di vedere la cosa è che il PIL è la somma dei redditi che vengono generati in un’economia, perché poi il valore aggiunto viene diviso tra chi lavora e chi possiede l’azienda (più o meno). Cambiamenti % del PIL del mondo Quando prendiamo gli scenari economici del mondo, pubblicati dal Fondo Monetario Internazionale nel rapporto semestrale, dobbiamo capire cos’è il PIL. Il PIL del mondo è aumentato del 3,1% nel 2015 nel mondo ed è previsto in continuo aumento per i prossimi anni. Si vede dalla lista dei paesi che il PIL del mondo è la somma di tanti PIL (PIL paesi avanzati e PIL paesi emergenti). La crescita del PIL del mondo è la media tra questi due grandi raggruppamenti (2% paesi avanzati, 4% paesi emergenti). 1 / 75 Capitolo 1. Introduzione FORMULA per capire quanto sono importanti i paesi avanzati (Qae) e i paesi emergenti Il PIL del mondo negli ultimi 30anni (1978 – 2013) è cresciuto mediamente del 3,5% l’anno, e non è mai diminuito anche se c’è stato un anno in cui la crescita è stata 0 (2009). Nel 2010 è stato 5% circa. Questo è un dato importante, è come dire che nel 2015 il mondo è andato piano (3,1%); è cresciuto mezzo punto percentuale in meno rispetto agli ultimi 35 anni. Perché è importante la crescita economica? 1.2 Regola del 70 Ci dice quanti anni ci vogliono per raddoppiare il livello di una determinata variabile. La regola è: 70/ tasso di crescita. Se il mondo cresce del 3,5%, 70/3,5 fa 20, quindi ci vogliono 20 anni per raddoppiare il valore del PIL (2036). La Cina ha fatto 10% l’anno per 30 anni, questo dà il senso di potere di crescita. 10% l’anno vuol dire che il PIL non ti si raddoppia ogni 20 anni come succede al resto del mondo ma ogni 7 anni, anche se ora sta rallentando. Come mai il mondo è cresciuto così rapidamente? Perché i paesi emergenti sono cresciuti rapidamente; la Cina sta rincorrendo i paesi avanzati ma sono ancora lontani dalle performance di questi. Una volta distinte le categorie di paesi, possiamo andare a guardare dentro le categorie e notiamo che anche tra i paesi avanzati ci sono gli star performance: nel 2015 sono stati la Spagna (+3%), USA (+2,5%), Regno Unito (+2,2%). Ci sono poi le delusioni di crescita tra i paesi avanzati: l’Italia è andata molto sotto la media (+0,8%), ma anche il Giappone. Da questi dati vediamo anche che la differenza di crescita tra l’Italia e l’Europa sta diminuendo. Lo stesso discorso va fatto per i paesi emergenti, anche se le cose sono cambiate piuttosto radicalmente nel 2015. È vero che la media è 4%, ma se andiamo a vedere ai BRIC le cose sono molto diverse. I BRIC infatti non esistono più, perché bisognerebbe separarli date le loro diverse performance (BR – IC). Brasile e Russia sono esportatori di materie prime e India e Cina sono importatori e utilizzatori di materie prime. Se la sensibilità della domanda del petrolio al prezzo del petrolio, a quel punto i produttori di petrolio se la passerebbero bene, 2 / 75 Capitolo 1. Introduzione ma quando scende il prezzo la domanda di petrolio dovrebbe aumentare molto, quindi domanda elastica. Una domanda elastica è una domanda in cui quando il prezzo scende di poco la quantità domandata aumenta di tanto; una domanda rigida è una domanda in cui quando il prezzo scende di poco la quantità aumenta di poco, e nel caso del petrolio è questa la forma della curva di domanda. Brasile e Russia hanno tanti prodotti ma sono pochi quelli da cui ricavano le miglior performance; in particolare per la Russia il petrolio e per il Brasile la canna da zucchero. Quindi se la domanda di questi prodotti è inelastica, questi prodotti perdono rispetto al passato e quindi vediamo i numeri negativi sulla crescita. Questo però è un beneficio per chi usa materie prime (es. Italia). Per i paesi emergenti la volatilità tra i PIL dei paesi è molto più ampia rispetto ai paesi avanzati. L’Africa a sud del Sahara se la passa piuttosto bene. Tassi di crescita attesi per il 2016, punti percentuali −3: Brasile, Russia +1: Giappone, Italia +1.5: Euro zona (EZ) +2.5: Usa +3: Medio Oriente e Nord Africa +4: Africa a sud del Sahara +5: Asean-5 (Indonesia, Malesia, Filippine, Thailandia, Vietnam) +6: Cina +7: India Nel 2016 la crescita sarà in Asia, nell’Asia emergente e molto di meno nei paesi esportatori di materie prime e per i paesi avanzati. Di fronte ad ogni scenario economico ci sono delle variabili esogene, cioè ci sono cose che riguardano l’andamento del mondo nel suo complesso, quindi l’andamento del PIL dell’Italia deriva da 3 cose esogene: • Crescita del volume del commercio internazionale: in accelerazione sono soprattutto le importazioni dei paesi emergenti (da +0,4 % ad un 3,4%), qui centra molto la decelerazione della Cina, perché se la Cina esporta e importa meno, rallenta in automatico il volume del commercio internazionale; • Prezzi delle materie prime: si prevede calino ancora anche nel 2016 dopo essere calati del 47% per il petrolio e i prezzi delle materie prime non legate al petrolio sono calati del 17% (es. canna da zucchero, grano) e continueranno a calare; • Tassi di interesse internazionali: il più usato è il cosiddetto LIBOR; si prevede che vadano su negli Stati Uniti e scendano sui depositi nell’area Euro diventando addirittura negativi, questo genera una probabilità di apprezzamento del dollaro e deprezzamento dell’Euro, perché il valore delle valute dipende dal differenziale dei tassi di interesse. Il tasso di interesse in America sarà vicino al tasso di inflazione, questo vuol dire che il costo reale del credito (tasso di interesse nominale – tasso di inflazione) continua ad essere 3 / 75 Capitolo 1. Introduzione 0. Una volta fatta una previsione è obbligatorio farsi delle domande (es. cosa mi conviene fare con i miei soldi), dobbiamo farci delle opinioni su ciò che sarà e bisogna avere un modello in testa. Quando si fa una previsione per il futuro una cosa che è opportuno avere a mente è che alcune previsioni sono più fondate, altre meno. Quindi è bene, una volta fondata una previsione media, bisogna sapere che vi è una rischiosità. Quando si considera il rischio di sbagliare la previsione vi son due rischi: essere troppo pessimisti o troppo ottimisti. Cosa sta succedendo che potrebbe produrre un risultato diverso da quello previsto? • Ciò che succede in Cina: la Cina rallenterà dal 6,9% al 6,3%. Essendo un’economia grande questo implica il far scendere le previsioni dell’economia mondiale. Cosa succede se il rallentamento della Cina sarà più marcato rispetto alle previsioni? Questo potrebbe avere delle implicazioni sulla crescita mondiale e la fonte di questo ulteriore rallentamento è che di fatto la Cina sta rallentando perché è cresciuta molto rapidamente ma senza fare tutte le riforme del sistema economico che potrebbero trasformarla in un’economia sviluppata. Si parla ancora di urbanizzazione, ed è una crescita di tipo quantitativo basata sull’investimento e sulle esportazioni e poco basata sui consumi. I cinesi hanno sacrificato i consumi a favore del risparmio, investono il 40% sul PIL. Il governo sta cercando di trasformare l’economia in un economia basata sui consumi, quindi di renderla più simile agli Stati Uniti. Per fare questo ci vuole una classe media che abbia abbastanza reddito da spendere in beni di consumo. Questo è il problema in cui si sta incagliando la Cina, e quindi il primo downside risk è che la Cina non riesca a completare la sua transizione. • Bassi prezzi delle materie prime: se la Cina va più piano, la Cina domanda meno materie prime e se c’è poca domanda i prezzi delle materie prime scenderanno ancora di più. Se scendono i prezzi delle materie prime i paesi come il Brasile se la caveranno peggio, i paesi che acquistano materie prime se la caveranno meglio; la crescita del mondo diminuirebbe e alcuni paesi andrebbero in crescita negativa. • Graduale restrizione nella politica monetaria americana: graduale crescita dei tassi di interesse americani Alla fine di tutti questi elementi, se si verificassero queste cose, la crescita economica potrebbe essere soggetta a downside risks. Il Fondo Monetario negli anni passati è sempre stato più ottimista rispetto al vero (es. 2015). 4 / 75 Capitolo 1. Introduzione Vi sono poi altri rischi che sono quelli geopolitici: es. Isis che invade l’Italia. Ma sono rischi difficili da prevedere; altri tipo la guerra in Siria sono un po’ più facili da prevedere ma di difficile quantificazione. Cosa è cambiato? Perché la crescita mondiale decelera? Il mondo è diventato una house of debt. Nei paesi ricchi il debito pubblico ha preso il posto di quello privato. Nei paesi emergenti è aumentata soprattutto la componente privata del debito. Questo denota una situazione in cui in ogni paese la situazione non è molto diversa. Grigio: debito pubblico; nocciola: debito delle famiglie; azzurro: debito non finanziario. Il totale del debito dell’Italia è 259% su PIL. Il debito non è un male in assoluto l’importante è che sia sostenibile, cioè fintanto che vengano generate abbastanza risorse per pagare gli interessi sul debito e per restituirlo quando il debito diventa dovuto. Quando noi confrontiamo il debito pubblico con il PIL non dobbiamo spaventarci se è 280 rispetto a 100 perché quel debito non deve essere restituito tutto in un anno ma si spalma su tanti anni, il PIL invece è annuale. Questo ci porta anche a dire che non è che se i paesi avanzati hanno 280 e i paesi emergenti hanno 121 i paesi avanzati sono più rischiosi. La verità è che per un paese come la Romania non è facile indebitarsi, perché nessuno si compra un bond rumeno. Le aziende sistematicamente sono in debito. Ma senza debito non si cresce. Le famiglie devono stare però più attente ad indebitarsi. Il debito italiano non è un livello di debito che viene ritenuto dai mercati insostenibile. Quindi questo grafico ci dice che i paesi avanzati hanno molto più debito rispetto ai paesi emergenti ed è molto aumentato nel corso del tempo. Se il debito cresce perché ci indebitiamo per crescere è un conto, se cresce perché siamo in crisi è un altro. (DEFAULT: è quando un debitore deve ridare indietro dei soldi e non riesce a darli. Esiste anche il default parziale che è quando si ridà il capitale ma non i soldi dell’interesse) Cosa centra l’house of debt con il fatto che le economie non crescono? Es. vi è una famiglia con tanto debito sulle spalle ma che vede la ripresa economia (es. un figlio che trova lavoro), queste sono ragioni per dire che il reddito famigliare aumenta ma non aumentano i consumi perché il reddito in più serve a ripagare il debito. Questo esempio vale anche per le aziende e per i governi. Nell’insieme si può dire che con tanto debito sulle spalle, famiglie, imprese e governi non spendono. I mercati del largo consumo si basano ancora su movimenti che sono molto più lenti dei movimenti finanziari. La finanza è il capitalismo. 5 / 75 Capitolo 1. Introduzione Grafico dal 1820 al 2011 con quota di persone nel mondo che vivono in una situazione di povertà assoluta (persone che vivono con meno di un dollaro e 25 c. al giorno). Questo grafico serve a dire che nel 1820 il 95% della popolazione mondiale era in questa situazione, con la rivoluzione industriale in Inghilterra e le varie innovazioni che hanno fatto crescente l’occidente, oggi la frazione di persone che oggi sono ancora in povertà è intorno al 15%. La conclusione di questo ragionamento è che sicuramente il capitalismo di mercato è soggetto a crisi ricorrenti. Quello che però fa il capitalismo e che non sono stati capaci di fare altri meccanismi (es. comunismo) è di predisporre gli strumenti per affrontare le crisi. 6 / 75 Capitolo 2. La crisi attraverso i grafici Capitolo 2 La crisi attraverso i grafici 2.1 Introduzione Per capire quello che succede non basta avere accesso ai dati più recenti, ma bisogna avere un buono schema di analisi in modo da selezionare le informazioni importanti. Per poter stabilire quali sono le informazioni importanti servono i modelli. Per spiegare le fluttuazioni di PIL e inflazione nel tempo e tra paesi, usiamo lo schema di domanda e offerta aggregata. Vogliamo spiegare come mai in certi anni il PIL cresce molto e in altri anni cresce poco. La definizione che ci serve per capire cos’è una recessione: una recessione è il periodo in cui il PIL e il reddito reale diminuiscono (o aumentano meno del solito), e la disoccupazione aumenta. Le variabili che ci interessano quindi sono il PIL e il mercato del lavoro per capire se vi è una recessione. Una depressione è una grave recessione, cioè quando il PIL scende di molti punti. Negli anni ’30 il PIL dell’America è sceso del 25% in 4 anni, per questo viene chiamata grande depressione. L’economia non va misurata solo in termini di PIL, perché possiamo massimizzare la produzione dei beni o con una bassa inflazione o con un’alta inflazione. Tendenzialmente per i consumatori è meglio una bassa inflazione con un alto PIL, ma per i produttori è meglio un’alta inflazione (in particolare prezzi al consumo alti ma con i prezzi delle materie prime bassi) e un alto PIL. Quando il PIL è elevato l’inflazione è alta o bassa? Tendenzialmente alta, ma la correlazione tra PIL e inflazione non è sempre positiva. Questi sono i dati su PIL e inflazione prima e durante la crisi. Nel 2000 – 2006 vi è una relativa normalità nell’economia con crescita e inflazione con ugual valore. Il 2007 è un anno in cui vi è rapida crescita e inflazione che accelera. Nel 2008 la crescita rallenta ma l’inflazione accelera. Nel 2009 la crescita si azzera e l’inflazione scende. Nel 2010 crescita e inflazione accelerano. Nel 2011 – 2012 la crescita rallenta e l’inflazione accelera. Nel 2013 la crescita più o meno rimane dov’è e scende invece l’inflazione. Negli anni successivi c’è un ulteriore rallentamento di crescita economica e di inflazione. Il modello di domanda e offerta aggregata La macroeconomia serve a spiegare le fluttuazioni di PIL e inflazione nel corso del tempo. Quello che determiniamo con il modello è un punto di equilibrio in cui si determina quanto grande è il PIL a cui corrisponde una certa crescita dell’anno 7 / 75 Capitolo 2. La crisi attraverso i grafici in corso e quanto grande è il livello di prezzi a cui corrisponde un certo grado di inflazione. 2.2 Domanda aggregata Cominciamo guardando la curva di domanda aggregata che ha quattro componenti, in cui il PIL viene visto come spesa che viene fatta in beni di consumo (C) come beni durevoli e non durevoli acquistati dalle famiglie; beni acquistati dalle imprese (I); servizi acquistati dallo stato per offrirli alla popolazione (G); spesa effettuata non dal settore pubblico e privato italiano ma da diverse categorie di persone o istituzioni all’estero che sono quindi le esportazioni; NX è X – M dove X sono le esportazioni e M le importazioni. PIL = C + I + G + NX C = C (PIL – T + TR) Per capire perché la domanda aggregata è inclinata negativamente dobbiamo chiederci come mai all’aumentare del prezzo o al diminuire del prezzo cambiano le componenti. Una riduzione nel livello dei prezzi fa aumentare la domanda aggregata, ma perché? Vi sono tre effetti: • Effetto ricchezza: supponiamo che scendano i prezzi e il mio reddito rimane uguale, i consumatori si sentono più ricchi quindi vi è un incentivo a spendere di più, quindi aumenta la quantità consumata di beni e servizi (C). • Effetto tasso di interesse (Keynes): supponiamo che scendano i prezzi, in particolare l’inflazione, tende a ridursi il tasso di interesse che è il costo del credito, e quindi aumenta l’incentivo per le aziende ad investire (in piccola parte anche le persone), quindi aumenta la spesa in beni di investimento (I). • Effetto tasso di cambio (Mundell – Fleming): anche detto effetto competitività, scendono i prezzi in Italia e in Germania rimangono uguali, quindi vi è un guadagno di competitività per l’Italia (a parità di qualità si acquisteranno più beni italiani), quindi vi sarà un aumento delle esportazioni nette (NX). I consumatori italiano che prima comperavano prodotti tedeschi ora comperano prodotti italiani e i consumatori tedeschi che prima comperavano prodotti tedeschi ora comperano prodotti italiani, quindi aumentano le esportazioni e diminuiscono le importazioni. Dalla somma di questi 3 effetti otteniamo che la curva di domanda aggregata ha pendenza negativa. Tendenzialmente l’effetto tasso di interesse è piuttosto piccolo; gli altri 2 richiedono tempo per sentire l’aumento di ricchezza. Cos’altro fa aumentare la curva di domanda aggregata oltre ai prezzi che scendono? Ci sono anche altre cose che fanno spostare la curva verso destra. 8 / 75 Capitolo 2. La crisi attraverso i grafici Come si fa quindi a passare da un livello di PIL 1 a un livello di PIL 2 ragionando in termini di domanda aggregata? Una prima possibilità è quella che abbiamo già visto (se il livello dei prezzi scende il PIL aumenta e ci spostiamo lungo la curva). Un altro modo è che se a parità di prezzo consumatori, imprese, settore pubblico (italiano ed estero) spendono più soldi di beni e servizi italiani per qualche motivo diverso dal prezzo: • Psicologia: crescente ottimismo ad es. perché la recessione è finita; la domanda di beni di consumo durevoli è più sensibile (quando è fallita Lehman Brothers infatti la vendita di IPhone sono diminuite dell’83%); bisogna cercare di dare fiducia ai consumatori; • Politiche economiche espansive: se aumenta G la domanda aggregata si sposta verso destra, questo spostamento sarà più alto o più basso a seconda che il governo possa fare questo aumento di G in deficit o se debba trovare il modo per finanziarlo, questo aumentando anche le tasse che quindi fanno scendere i consumi; diminuendo le tasse e aumentando quindi i consumi; aumentando TR (es. pensioni), questo aumenta il reddito disponibile e quindi aumentano i consumi facendo spostare la curva di domanda; misure che adotta la banca centrale sui tassi di interesse (riduce i tassi di interesse, facendo diminuire i tassi di mercato e il costo del credito facendo aumentare gli investimenti dalle imprese e dalle famiglie; riduce i tassi di interesse rendendo meno interessanti i bond in euro rendendo più interessanti i dollari quindi il tasso di cambio dell’euro si deprezzerà e questo aiuta l’economia perché quando scende il costo della valuta ed è possibile offrire lo stesso prodotto con gli stessi costi di produzione che però tradotti in dollari diventano più bassi e quindi l’azienda può fare più profitti andando a vendere in America). Di quanto si sposta la curva di domanda aggregata verso destra? L’entità dello spostamento è determinata dal moltiplicatore del reddito: è il processo attraverso il quale un aumento iniziale del reddito si traduce in aumento del PIL finale. Questo aumento complessivo si vede dal fatto che l’iniziale impulso che viene dato all’economia si traduce in effetto di feedback per consumi e investimenti. Supponiamo che il governo aumenti la spesa pubblica per la difesa, questo viene classificato come un aumento di G che si traduce in un aumento di PIL; quando aumenta G è il governo che acquista ad esempio dei nuovi elicotteri prodotti dall’azienda X che sono produzione ma sono anche reddito quindi se aumenta il reddito dei produttori di G, aumenterà il consumo di chi beneficia di questo aumento di reddito, quindi aumenterà anche C delle famiglie che lavorano per quest’azienda X. Chi produce elicotteri non compera elicotteri ma compera normali beni di consumi, quindi una volta che aumenta il reddito di questi produttori, aumenta il reddito dei produttori dei beni di consumo durevoli e non, e questi a loro volta consumano altri beni. In questo modo l’iniziale impulso che viene dato a G si traduce in un aumento di reddito di molta più gente. Lo spostamento complessivo verso destra della domanda aggregata è il risultato di tutti questi effetti di feedback, ovvero sia dell’impulso iniziale e della moltiplicazione di questo impulso. L’idea di principio è che se aumenta la spesa pubblica aumenta il PIL. Supponiamo che l’economia sia molto vicina alla piena occupazione e che 9 / 75 Capitolo 2. La crisi attraverso i grafici 10 / 75 quindi l’aumento della spesa pubblica avvenga quando il tasso di disoccupazione è molto basso, in questa situazione è difficile aumentare la domanda aggregata perché il tasso di disoccupazione è già al minimo e quindi è difficile far aumentare i consumi. Questo vuol dire che ulteriori aumenti di spesa pubblica, generanno più probabilmente inflazione. In che senso il moltiplicatore può essere grande o piccolo? È piccolo quando vi son pochi disoccupati, perché non si riesce a generare reddito aggiuntivo e la domanda tende a tradursi in poco PIL e tanta inflazione. Ci sono altri effetti che possono avvenire nell’economia e tendono a rendere il moltiplicatore più piccolo. Quando aumenta G e aumenta quindi il reddito dei produttori di elicotteri, si traduce in un aumento del PIL dei produttori di G, una parte del PIL può essere consumata, una parte va in tasse, una parte in risparmio. (vedi quaderno). La parte di moltiplicazione viene moltiplicata alla parte che va in consumi che si traduce in un aumento di PIL dei produttori di beni di consumo. La parte risparmiata non si traduce in una moltiplicazione e l’altra parte sono le tasse e quindi scompare dal circuito del reddito privato perché va a finire nel circuito del settore pubblico. I consumi che vengono effettuati un po’ aumentano il PIL ma un po’ aumentano anche le importazioni. Il moltiplicatore è grande quando si va da un aumento di G che finisce in un aumento di C che fa aumentare il PIL. Quando invece abbiamo delle perdite nel meccanismo di trasmissione avremo un moltiplicatore più piccolo, cioè quando una parte del reddito viene risparmiato, una parte va in tasse e una parte in importazione. Riassunto: il moltiplicatore è particolarmente grande quando il reddito circola all’interno dell’economia e quindi quando le famiglie hanno un elevata propensione al consumo, quando l’economia è chiusa al commercio estero (es. alti dazi) e quando le tasse sono basse dove il reddito netto rimane alto e i consumi crescono. La domanda di PIL sale nel caso in cui il livello di prezzo scende, quindi per data psicologia e per date politiche, i consumatori e le aziende domandano un più alto livello di PIL quando i prezzi sono più bassi. Questo è uno spostamento lungo la curva di domanda aggregata. Un altro modo a parità di prezzo è l’adozione di politiche comuni espansive o miglioramenti sulla psicologia e questo si traduce in uno spostamento della curva di domanda aggregata. 2.3 Curva di offerta aggregata Quanto produce un Paese è determinato dalla sua dotazione di risorse e tecnologia. La curva di offerta aggregata è verticale, questo vuol dire che nel lungo periodo non dipende dal livello di prezzi. Oltre al lungo periodo vi è il breve periodo dove la curva di offerta aggregata ha una pendenza positiva. Quando il livello di prezzi da P2 va a P1 il livello di PIL crescerà. Ci sono varie teorie sul perché, una è che ci aspettiamo che vi sia rigidità nominale dei salari, cioè che gli stipendi siano dati. Cosa succede se scende il livello generale dei prezzi, dal punto di vista dell’imprenditore sarà il prezzo di vendita con il costo del lavoro che è dato, e le aziende si trovano con costi di produzione dati e profittabilità in calo (margine tra costi e prezzi). Cosa fanno le aziende quando fanno meno profitti? Si ritirano dal mercato o producono di meno. Dato che i salari sono fissi e l’inflazione varia, quando scende il livello di prezzi cala l’offerta di beni e servizi da parte delle aziende. Quando i prezzi aumentano, aumenta la disponibilità delle Capitolo 2. La crisi attraverso i grafici 11 / 75 aziende a portare sul mercato i loro prodotti e quindi producono di più. Come fa ad aumentare l’offerta aggregata oltre che per l’aumento di prezzi? Ci può essere un aumento lungo la curva di offerta aggregata, ma ci sono essere anche spostamenti della curva di offerta aggregata. Perché si sposta? In generale il prezzo delle risorse che per l’azienda sono un costo, quindi fintanto che salari e prezzo del petrolio sono dati, all’aumento del prezzo aumenta la quantità prodotta e viceversa. Se invece il prezzo è variabile, la presenza di prezzo del petrolio più basso o salari più bassi o di progresso tecnico, mi indurrà a produrre una quantità più alta. A parità di prodotto, se scende il salario, il costo di produzione scende; se scende il prezzo del petrolio costa meno il costo di trasporto e scende il prezzo. La curva di offerta aggregata si può spostare perché cambia il costo dei fattori produttivi (aumento verso sinistra e viceversa); produttività dei fattori consente alle imprese di produrre di più a costi più bassi (le nuove tecnologie possono accrescere il prodotto potenziale per unità di lavoro o capitale). La conseguente riduzione nei costi di produzione sposta la AS verso destra. EQUILIBRIO DI LUNGO PERIODO Situazione in cui si incrociano le due curve e si determina una situazione ottimale, un PIL ottimale. 2.4 L’evoluzione della crisi post-2007 STEP 0: 2000-2006 È quello che prevede un equilibrio di lungo periodo, dove l’economia mondiale è in una situazione di relativa tranquillità con il PIL e l’inflazione che crescevano di pari passo. Quindi il livello di prezzi del 2006 era un livello di prezzi con inflazione 3,4% e il PIL del 2006 corrispondeva ad una crescita del PIL del 3,4%. STEP 1: 2007 (Economia surriscaldata) L’economia era relativamente surriscaldata, si stava crescendo a tassi un po’ più rapidi di quanto ci si aspettava, con grande ottimismo e fiducia nell’economia. La curva di domanda aggregata si sposterà quindi verso destra (causa ottimismo) e si va a finire in un punto (A), l’inflazione sarà un po’ sopra rispetto all’equilibrio e il PIL è in rapida crescita. STEP 2: prima del 15 settembre 2008 (prezzo del petrolio da 70 a 147, da A a B) A causa del surriscaldamento dell’economia, con la Cina che cresceva più di tutti e che quindi trainava l’economia (la Cina importa molto petrolio), il prezzo del petrolio sale e la curva di offerta aggregata si sposta verso sinistra perché aumentano i costi di produzione. L’economia va a finire in un punto come B e il PIL decresce, facendo iniziare la recessione, anche se rimane sopra al livello ottimale. STEP 3: fallimento Lehman (da B a B’ e poi da B’ a C) Fallisce Lehman, banca di investimento americana, e questo è uno shock locale. Questo comporta però uno shock non tanto sul fallimento di Lehman, ma quanto uno shock sul livello di fiducia. Dopo lo spostamento da A a B, arriva la vera recessione (quarto trimestre 2008 e primo trimestre 2009) con una riduzione di C durevole e degli investimenti, inoltre è uno shock mondiale quindi cala anche NX Capitolo 2. La crisi attraverso i grafici 12 / 75 (diminuiscono le esportazioni). Spostamento della curva di domanda aggregata verso sinistra che porta ad un crollo del PIL, capacità produttiva inutilizzata, l’inflazione va verso lo 0 dal 4%. La recessione viene “addolcita” marginalmente dal fatto che vi è un leggero calo di PIL della Cina, cala quindi la domanda di petrolio, quindi il prezzo del petrolio scende e scendono i costi di produzione e quindi la curva di offerta aggregata si sposta un poco verso destra. STEP 4: azione delle banche centrali (da C a D) Di fronte a una crisi di fiducia, le banche centrali e i governi devono dare fiducia adottando politiche economiche espansive. La curva di domanda aggregata si sposta verso destra, il PIL inizia a crescere nella seconda metà del 2009 ma la disoccupazione rimane comunque alta, anche perché il PIL è comunque sotto il livello ottimale. Furono salvate molto banche, evitando una crisi ben peggiore. STEP 5: 2010/2011: rivoluzione dei Gelsomini (da D a D’ e da D’ a E) Continua la ripresa, con la domanda aggregata che si sposta verso destra, anche se non abbastanza da riportare l’economia in piena occupazione. La fiducia dei consumatori ricomincia a tornare e ricominciano a consumare e le imprese ricominciano ad investire. Ovviamente non per tutti la ripresa è arrivata allo stesso modo. Il PIL così come l’inflazione continuano a crescere. Nel Gennaio 2011 vi è la rivoluzione dei Gelsomini, che porta il prezzo del petrolio a crescere di nuovo perché diminuisce l’offerta a causa della paura che il prezzo salga. Quindi da un lato l’economia continua a crescere, dall’altro sale il prezzo del petrolio, quindi la curva di domanda aggregata si sposta verso destra (causa fiducia) ma intanto anche la curva di offerta aggregata verso destra (aumento petrolio). STEP 6: 2011 – 2012 Crisi dei debiti sovrani In Europa i debiti pubblici che sono saliti (soprattutto in Grecia, Portogallo, Spagna, Italia) cominciano a essere ritenuti pericolosi per l’area Euro. Scoppia la crisi dei debiti sovrani nell’estate del 2011, inizia ad esserci incertezza nell’economia, gli investimenti scappano da queste economie, calano gli investimenti e i consumi di beni durevoli, e la curva di domanda aggregata si sposta verso sinistra. Quindi vi è un rallentamento della crescita e maggiore inflazione. Per concludere qual è la relazione tra crescita e inflazione? Se vanno insieme è la domanda aggregata che si sta spostando; se uno sale e l’altro scende è l’offerta aggregata che si sta spostando. Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi 13 / 75 Capitolo 3 Com’era l’economia mondiale prima della crisi 3.1 Introduzione Il PIL mondiale nei 30 anni prima della crisi cresceva sempre. Grosso modo se non succede niente il PIL del mondo cresce e cresce molto rapidamente. Se prendiamo la crescita annuale del PIL pro capite del mondo e prendiamo i dati dal ’50 al 2007 viene fuori un numero come 2,2%. Con crescita del PIL pro capite si intende crescita del PIL meno la crescita della popolazione, siccome la popolazione del mondo è cresciuta più dell’1% annuo, 3,5 – 1,3 dà 2,2. Dal 1820 al 1950 la crescita del PIL pro capite è di circa 1% annuo. Dall’anno 1000 all’anno 1820 vediamo un numero come 0,05% circa. Questo numero sembra 0 ma è di 820 anni, quindi presupponendo che il PIL nel 1000 era 100, nel 1820 avremo un PIL pari a 150, ottenuto dalla formula: PIL1820 = 100 * (1 + 0,0005)^820. Gli anni prima della crisi sono stati quelli con la crescita più veloce. Se facciamo la cumulata, vediamo come il ventesimo secolo sia un secolo eccezionale. Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi 14 / 75 La crescita del PIL mondiale pro capite secolare nel 20 secolo è stato del 900%, cioè è aumentato di 9 volte. La cumulata è di quanto è aumentato cumulativamente il PIL pro capite in un secolo. Anche il 19 secolo non è stato perché c’è stata la rivoluzione industriale. All’inizio l’innovazione riguarda un pezzetto dell’economia, ma l’effetto non è tanto grosso sul PIL, quindi se arriva un innovazione che meccanizza un qualcosa si cancellano i redditi di quelli che prima facevano manualmente, quindi l’effetto sul PIL può essere piccolo perché distruggono tanti posti di lavoro. Il mondo è diventato globale che consente in modo molto più facile di spostare la produzione dove si vuole. È possibile che il ventesimo secolo rimanga nella storia come un secolo irripetibile. Il secondo secolo andato meglio è il 19° per l’innovazione tecnologica, anche se non vi era globalizzazione; il terzo era il 14° secolo, quando vi era un economia mercantile in Italia che faceva crescere l’economia. Se guardiamo all’interno del periodo felice tutti sono cresciuti in ugual modo? I dati ’70 - 2007 ci dicono cose variegate: Corea del sud, China, Taiwan sono i paesi dove vi è stata più crescita economica, cioè principalmente in Asia emergente. Per l’Africa del sud Sahara c’è stato invece un grosso problema. In conclusione sotto il dato medio c’è una grande variabilità. Anche in Europa ci sono alcuni casi felici di crescita economia più alta del 2% come Irlanda, Spagna, Finlandia, Norvegia (caso strano dato che è esportatore di petrolio). 3.2 Fast growers e crescita nelle aree geografiche Chi sono stati i fast growers? Gli asiatici e quindi questo ci riporta a dire una cosa: quando si parla di crescita economica non è tanto dei BRIC che dobbiamo parlare ma in realtà a crescere velocemente sono India e Cina e i loro vicini. Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi 15 / 75 La crescita è stata diversa tra aree geografiche • Paesi OCSE (i più ricchi e industrializzati): crescita economica intermedia e stabile (tra il 2% e il 3%); Est Europa ha avuto una crescita rapida dopo la metà degli anni ‘90 • Asia meridionale e orientale: successo economico eccezionale (>5%); Cina, India; Giappone fino agli anni ’80; molti altri paesi asiatici • Africa sud sahariana: molto male (<0), crescita negativa tranne il Botswana • Paesi medio – orientali: dipendono dal petrolio che crea ricchezza per pochi. Quando la ricchezza viene concentrata e il capitale può fluire però in giro per il mondo, questo diventa una ricchezza per lo stato • America latina: alcuni sono cresciuti come i paesi OCSE (es. Messico); ma c’è stata una grande variabilità (es. Brasile ha fatto anni con grande crescita (+7%) e anni fortemente in negativo (−7%), anni con grande inflazione e anni con bassa inflazione). La variabilità è un problema perché è difficile fare previsioni e quindi attrarre investitori. Brasile e Russia dipendono dalle materie prime e per questo vi è grande variabilità nel PIL, questo a causa della volatilità dei prezzi delle materie prime. Se il prezzo della canna da zucchero è particolarmente alto per un anno, aumentano le entrate provenienti dalle esportazioni, questo fa aumentare il PIL e il governo non deve più tassare i suoi cittadini perché aumenta anche la base imponibile delle tasse. Il PIL è la base di tutte le basi imponibili. Cosa fa un governo con le entrate fiscali? Si spendono per i cittadini. Quindi aumenta il prezzo della canna da zucchero e sale la spesa pubblica. L’anno dopo però magari il prezzo della canna da zucchero scende e succede tutto il contrario e il problema è che quando i governi cominciano a promettere è difficile tornare indietro. Quindi scende il prezzo della canna da zucchero, scendono le esportazioni, scende il PIL, scendono le entrate fiscali. Ci sarà quindi una situazione di insoddisfazione sociale. Tuttavia non è solo questo. Perché se finisse lì e il governo non aumentasse la spesa pubblica in modo permanente, le famiglie imparerebbero a risparmiare capendo la situazione. Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi 16 / 75 Ma perché tante differenze nei tassi di crescita? Tutti i paesi del mondo sono destinati a diventare ricchi allo stesso modo? È vero che i paesi poveri sono destinati a diventare ricchi? È più probabile che un paese povero cresca più rapidamente? Dovremmo preoccuparci quindi della povertà del mondo? Quanto tempo ci vuole affinché i paesi poveri diventino ricchi? L’evidenza storica che abbiamo è che dal 1880 al 2000, prendendo i 50 stati degli Stati Uniti, vediamo come i più poveri crescono più rapidamente e i più ricchi crescono poco. Se effettivamente è vera questa ipotesi della convergenza dei redditi, che ci porterebbe a dire che la povertà non è un problema grande, perché i poveri colmeranno prima o poi il gap con i paesi ricchi. Questo vuol dire che noi possiamo credere nell’ipotesi ottimistica finché possiamo stimare una relazione negativa tra situazione iniziale e performance successiva. Questi stati però stanno tutti dentro una cornice culturale e sociale unica. Inoltre il periodo di tempo sono 120 anni. Tuttavia la storia dell’economia mondiale tra il 1960 e il 2000 ci dice che non vi è una relazione molto sicura tra povertà/ricchezza e crescita rapida/non rapida. Non è vero quindi che essere ricco ti dà un vantaggio di crescita economia. La retta di regressione che si riesce a stimare ci dice che mediamente la relazione è positiva ma è statisticamente non significativa. Questo vuol dire che le osservazioni sono spesso molto lontane dalla retta media che viene stimata. 3.3 Convergenza e divergenza nei livelli di reddito Perché entità economiche simili (stati degli Usa) presentano una convergenza nei livelli di reddito mentre entità diverse (gli stati del mondo) divergono? La crescita economica è influenzata da due forze differenti: • Forza della convergenza: I paesi poveri hanno più possibilità di crescere perché devono recuperare il gap con i paesi più ricchi. Ci sono alcuni paesi che sono venuti prima (es. rivoluzione industriale in Inghilterra) e che hanno già fatto alcuni investimenti e i costi sono stati sostenuti da questi paesi, i follower hanno il vantaggio che non devono sostenere loro i costi delle nuove tecnologie (es. internet). È comunque una strategia molto rischiosa. La cosa importante è che in alcuni settori essere il primo è un vantaggio, in altri settori è uno svantaggio, perché il primo deve pagare i costi e spesso bisogna fare tanti tentativi per trovare la strategia vincente. Se estendiamo l’esempio al caso dell’inseguimento tra paesi vediamo che vi sono gli Stati Uniti (leader) che spendono i soldi e il paese che viene dopo (Asia) userà queste tecnologie. Quello che avviene nel corso del tempo è che prima copi e poi diventi leader (es. Samsung – Korea). Tutto questo serve per dire che questa è una forza che porta alla convergenza, perché il follower cerca di ottenere la stessa risposta del leader. Non vale per tutto perché ci sono innovazioni brevettabili. Sotto i tassi di crescita che vediamo, che sono la somma delle due forze, operano entrambe le forze. • Forza della divergenza: un paese povero può rimanere povero per sempre. Se un paese manca di capitale umano, infrastrutture fisiche o immateriali, o Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi 17 / 75 è chiuso alla globalizzazione, non vi sarà convergenza (il paese non riesce a copiare il leader). La crescita economica non è aperta a tutti i paesi, nonostante fossero paesi potenzialmente aperti alla globalizzazione con materie prime da esportare. FORZA #1 Quanto prodotto ottengo aumentano la quantità di risorse che metto a produrre? Cioè dati gli input (capitale) quanto output ottengo? Non è vero che aggiungendo pian piano capitale continuiamo ad ottenere lo stesso ammontare di prodotto in più, la sua produttività marginale è decrescente quanto più è alto il livello di capitale. Questa è la base della forza della convergenza. Perché se il mondo è fatto così allora vuol dire che i cinesi e gli italiani quando investono è improbabile che ottengano lo stesso output aggiuntivo aggiungendo un’unità di capitale. L’esempio estremo è: una persona lavora in un’azienda senza pc, il datore di lavoro compra il pc, la produttività del lavoro aumenta di gran lunga, con un secondo pc non aumenta la produttività del lavoro. La Cina probabilmente se usa la stessa funzione di produzione dell’Italia, tenderà a crescere più dell’Italia. In questo caso è normale che un paese povero cresca più di un paese ricco. Supponiamo di essere in un punto A e in un punto B, quando investiamo quello che tiriamo fuori in termini di maggiore prodotto è regolato da questa curva. Rendimento (o produttività marginale) decrescente del capitale: la curva deriva dal grafico precedente Il primo grafico è in livelli, il secondo in tassi di crescita. FORZA #2 Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi 18 / 75 • Se un paese ricco ha istituzioni/ tecnologia/ capitale umano appropriati, il rendimento dell’investimento e la crescita sono più alti a parità di capitale per lavoratore • Se un paese povero non ha buone istituzioni, tecnologia, capitale umano, il rendimento dell’investimento e la crescita sono più bassi a parità di K/L • Buone istituzioni possono controbilanciare i rendimenti decrescenti Ecco da dove viene la forza #2, la divergenza Quello che ci dice la funzione di produzione (forza #1) è che i paesi poveri hanno speranza di crescita se iniziano a investire, perché prima o poi ce la faranno. In realtà i dati sui paesi non confermano questa visione così ottimistica, quindi c’è qualche altra cosa che succede al mondo. La funzione di produzione viene tracciata per un certo livello di una variabile che chiamiamo I (I = istituzione). Se le istituzioni di un certo paese sono uguali ad esempio in North Carolina e New York, il primo stato ha un più basso reddito pro-capite e quindi avrà salari più bassi; quindi se c’è un’azienda che vuole localizzare un nuovo impianto produttivo è più facile che deciderà di farlo in North Carolina piuttosto che a NY dove i salari sono più alti ecc. però, mettere un nuovo impianto o è molto produttivo o non conviene. Questo ci dice che la curva della funzione di produzione si può tracciare per paesi relativamente simili. Quindi gli stati degli Stati Uniti condividono la stessa funzione di produzione. La Cina e l’Italia non condividono la stessa funzione di produzione, però se i cinesi si attaccano al mercato globale, è come se diventassero capaci di importare la nostra stessa tecnologia incorporata nei beni capitali che gli vendiamo, per es. diventano capaci di imitare le cose che da noi sono già state realizzate negli anni precedenti. Per loro diventa più facile produrre perché investendo riescono a ottenere vantaggi che noi abbiamo già ottenuto molti anni fa. Da quando il mondo è diventato globale in un certo senso possiamo pensare che ci sia la stessa funzione di produzione per tutti, tranne per i paesi dell’Africa a sud Sahara, cioè tranne per i paesi che non hanno adottato un sistema di mercato o che non erano nelle condizioni di beneficiare della globalizzazione. I paesi dell’Africa a sud del Sahara sono paesi che sono quasi sempre privi di fiumi navigabili. Infatti i paesi che vanno bene sono quelli che hanno il mare o fiumi navigabili (Nilo in Egitto). Se un paese è chiuso (landlocked) è costretto ad essere un paese di terra, anche se ha una buona materia prima comunque non può esportarla (non può metterlo sulle navi) e quindi non sarà neanche conveniente coltivarla. Quindi se Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi 19 / 75 ci sono rilevanti costi per es. di trasporto, di comunicazione, ecc. che rendono un paese chiuso fuori dalla globalizzazione, anche se potenzialmente potrebbe averne accesso, allora in questo caso non riuscirà a beneficiare della crescita economica. Per questo un paese povero può non essere così fortunato come la Cina. Quindi se parte da un determinato livello di capitale pro-capite, ma non ha istituzioni adeguate non c’è crescita. Per varie ragioni, è come se alcuni paesi operassero con una funzione di produzione più bassa degli altri. Implicazione: produttività marginale del capitale minore, quindi quanto viene investito non ha il rendimento adeguato rispetto a un investimento fatto in un paese che cresce di più. Se confrontiamo Italia e Stati Uniti, cosa impedisce alla prima di avere lo stesso reddito pro-capite dei secondi? Qualcuno dice la qualità del sistema universitario, dell’istruzione, oppure la dimensione media delle aziende italiane che è troppo piccola rispetto a quella degli Stati Uniti che invece riescono a competere sui mercati mondiali grazie al fatto proprio di essere più grandi. A seconda dei paesi il meccanismo può essere diverso, ma lo schema è uguale. La crescita economica fondamentalmente dipende da due cose: dalla dotazione di risorse iniziali (lo abbiamo chiamato per semplificare capitale per occupato) e dall’efficienza nell’utilizzare le risorse, che dipende in modo cruciale dalle istituzioni di un paese. Questo ci dice che ci sono quindi due modi di crescere: caso della Cina, aprirsi al commercio internazionale (ingresso nel WTO) che fa sì che i prodotti siano potenzialmente esportabili nel resto del mondo. Il secondo modo è fare riforme economiche, che sono la correzione delle istituzioni, del modo di funzionare dell’economia, per renderle adatte a competere sui mercati internazionali. Le riforme servono a far ripartire la crescita economica per un paese che ha esaurito le opportunità di profitto secondo il vecchio modello. Il vecchio modello è salire lungo una data funzione di produzione; il nuovo modello è spostare in su la funzione di produzione con le riforme economiche. 3.4 Sintesi Il PIL dipende dalle risorse e dall’efficienza con cui si usano. L’efficienza a sua volta dipende dalle istituzioni di un paese. Finché un paese è povero, ha la possibilità di aumentare le sue risorse a disposizione da usare in produzione (caso della Cina: un paese che può permettersi di essere inefficiente perché ha 500milioni di persone nelle campagne. Se hanno bisogno di produrre di più non fanno una riorganizzazione aziendale, ma mettono in piedi una nuova città con 50mila persone che lavorano al salario prevalente, cioè basso. Questo gli consente di essere competitivi sui mercati senza bisogno di fare ristrutturazioni aziendali, accordi col sindacato, ecc.). Ad un certo punto la crescita basata sulle risorse diventa un’opportunità non più disponibile per i paesi già ricchi, che devono essere efficiency driven, cioè la sua crescita economica deve essere trainata dall’efficienza e non dalle risorse. L’efficienza ha a che vedere con le istituzioni in senso ampio. Le persone devono essere motivate a lavorare quindi occorre che quello che hanno intorno a loro funzioni. Ci sono tante cose che fanno le istituzioni favorevoli a crescere. Il primo che ha capito l’importanza di questa cosa è stato Adam Smith che parlava delle funzioni dello Stato come servire servizi preliminari per avere un ordinato funzionamento Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi 20 / 75 dell’economia della società. In definitiva, è più facile che le istituzioni siano di buona qualità se il paese ha un più alto reddito pro-capite. Questo dà la speranza ai paesi ricchi. I ricchi mettono in piedi istituzioni migliori e quando una multinazionale deve decidere dove allocare il suo capitale guarda la qualità delle istituzioni oltre che al costo del lavoro e delle materie prime. Tutte e due le cose contano, a seconda del livello di sviluppo del paese potranno essere più bravi nel fornire risorse o nel fornire qualità ed efficienza alle multinazionali o agli imprenditori nazionali. A seconda se è più importante la forza 1 o 2 avremo implicazioni e risposte diverse alla domanda “qual è la probabilità che un paese povero diventi ricco, tutti i paesi poveri sono destinati a diventare ricchi?” la risposta è no, i paesi poveri che riescono a dotarsi delle istituzioni appropriate riescono a sfruttare opportunità di profitto attirando gli investimenti, se non lo fanno no. Come sarebbe il grafico “crescita vs condizioni iniziali” nei vari paesi del mondo se.. Convergenza dei PIL pro-capite nel corso del tempo Un mondo in cui c’è solo la forza 1 assomiglia al grafico degli stati degli Stati Uniti, cioè conta solo il PIL pro-capite iniziale. Potremmo scommettere dicendo che se un paese è ricco questo crescerà poco, se è povero crescerà tanto. Se però il mondo non è quello degli stati degli Stati Uniti il mondo assomiglia più al secondo grafico. Divergenza dei PIL pro-capite nel corso del tempo Ci sono paesi che hanno un basso reddito pro-capite, ma hanno anche delle istituzioni di così bassa qualità che è molto improbabile che riusciranno a crescere molto domani. Viceversa ci sono paesi ricchi che ormai si sono diventati ricchi, ma hanno istituzioni di buona qualità che gli consentono di convalidare la loro crescita economica anche per il futuro. Così gli Stati Uniti continuano a rimanere leader mondiali e a fare +2.5 % di crescita l’anno. Il mondo è una via di mezzo fra questi due casi estremi. Non sempre i paesi poveri crescono più rapidamente. Se ci dimentichiamo dell’Africa a sud del Sahara, vediamo Cina e India, paesi poveri che sono cresciuti tanto, in mezzo ci sono i paesi americani e a destra Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi 21 / 75 l’OCSE coi paesi USA. Tecnicamente in questo caso c’è convergenza nel mondo. I poveri crescono tanto e i ricchi crescono poco. Viceversa se dimentichiamo gli asiatici, sembra un mondo di divergenza perché i poveri crescono poco o non crescono (Nigeria) e i ricchi crescono tanto. In alcuni casi la Forza #1 (convergenza) prevale e i poveri convergono verso il benessere dei ricchi. Dopo la seconda guerra mondiale fino ai primi anni novanta: • Europa e Giappone hanno recuperato gap con USA; • Francia, Germania, Italia vs. UK; • Paesi poveri dell’Europa vs paesi ricchi dell’Europa; • Cile, Botswana rispetto ai paesi OCSE Dagli anni ’90: • Paesi dell’Est Europa rispetto ai paesi della Vecchia Europa; • Cina rispetto ai paesi OCSE (dagli anni ’80, veramente); • India rispetto a paesi OCSE Dagli anni 2000: • Russia rispetto a paesi OCSE Dopo la seconda guerra mondiale l’Europa è cresciuta rapidamente basandosi su rapida accumulazione di risorse perché i paesi europei erano distrutti dalla guerra e hanno dovuto ricostruire il capitale fisico, umano, dagli anni ’90 i paesi poveri che sono riusciti a diventare un po’ più ricchi sono i paesi dell’est Europa, Cina rispetto ai paesi OCSE, India rispetto ai paesi OCSE e anche la Russia rispetto ai paesi OCSE dal 2000 in poi. Esempi di divergenza (paesi poveri che si impoveriscono o paesi ricchi che diventano ancora più ricchi) Poveri ancora più poveri • Africa a sud del Sahara rispetto ai paesi asiatici • America Latina rispetto ai paesi asiatici • Paesi esportatori di petrolio rispetto a Nord-Africa Ricchi ancora più ricchi (il gruppo “piove sul bagnato”) Anni ’90 • Stati Uniti accelerano rispetto all’Europa Capitolo 3. Com’era l’economia mondiale prima della crisi 22 / 75 • Paesi nordici dell’Europa rispetto al resto dell’Europa Riescono ad attuare rivoluzione tecnologica e manageriale. Gli altri no Conclusioni sulla crescita prima della crisi Il mondo cresceva a tassi mai visti nella storia. Ma non tutti i paesi del mondo: • Paesi africani e latino-americani non sono riusciti nel catching-up – mancavano delle necessarie infrastrutture tecnologiche, organizzative e manageriali • Nel loro caso: “vantaggio” di essere poveri più che compensato da svantaggio di efficienza istituzionale • Paesi asiatici ce l’hanno fatta, invece • Rapida accumulazione di K in contesto di apertura commerciale ha più che compensato gli iniziali svantaggi tecnologici • E anche i più poveri tra i paesi Ocse: Francia, Germania, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia • Rincorsa degli europei “poveri” riuscita fino ai primi anni ’90, quando arriva l’ICT e Internet (o la finanza creativa) • A quel, punto prevale la divergenza: fino al 2007. Ecco spiegato il grafico delle bolle Capitolo 4. La crisi finanziaria 23 / 75 Capitolo 4 La crisi finanziaria 4.1 The nitty-gritty Nella seconda metà del 2008 è avvenuta la più profonda recessione che ha colpito le economie mondiali dalla seconda guerra mondiale. Quello che avvenne fu che il PIL e la produzione industriale crollarono nei paesi più ricchi, poi ci fu una ripresa più o meno nel terzo trimestre del 2009, trainata dalle economie emergenti, anche se la ripresa avvenne anche nelle economie più avanzate. La crisi ha avuto l’epicentro in America a partire dall’estate del 2007, ma si è poi esteso al resto del mondo, tra l’altro la crisi finanziaria è stata una crisi che è partita dal mercato immobiliare americano e si è estesa a tutti i mercati finanziari del mondo influenzando tutta l’economia mondiale. Tutto ciò si è originato in un segmento relativamente piccolo del mercato dei mutui in America che sono un pezzetto del mercato immobiliare (mutui subprime). I mutui subprime sono una parte del mercato immobiliare, il mercato immobiliare è una parte dell’asset market (che includono le borse, il mercato obbligazionario, commodity), e quello che succede agli asset market influenzerà l’economia (consumi, investimenti, PIL, produzione industriale) in USA ma anche nel resto del mondo. Lo shock iniziale è però piccolo rispetto a tutto quello che è successo dopo. Bisogna cercare di spiegare il perché si è espansa così (effetto moltiplicativo). Bank A and its balance sheet Partiamo dal bilancio di una banca che ha un bilancio con attività e passività. Dal lato delle attività vi sono tutte quelle cose che danno diritto a ricevere dei pagamenti (100 in asset: titoli pubblici, prestiti, liquidità tenuta a riserva). Sono anche gli affidamenti di una banca questi asset. La banca non ha i soldi per far prestiti, li deve trovare e poi impiega i soldi che riceve come parte del suo business. La banca commerciale ha gente che deposita i soldi e assieme ai nostri risparmi una banca raccoglie in altri modi i suoi soldi (es. emissioni di obbligazioni o azioni bancarie). Con le azioni un tizio decide di comprare una parte di capitale che consente di partecipare ai profitti, mentre con l’obbligazione la banca si impegna a dare indietro il 2% di tassi di interesse. Nei casi recenti quello che avviene è che di fronte all’insolvenza della banca prima si azzerano i diritti degli azionisti, in passato c’era l’intervento dello stato che preservava gli obbligazionisti e gli altri detentori di qualche forma di credito. Quindi uno per ottenere il mutuo diventava un po’ il finanziatore della banca, e questo era il modo in cui funzionavano le Capitolo 4. La crisi finanziaria 24 / 75 banche soprattutto quelle più piccole. Quello che conta è che la banca sia solvente, cioè che 100 sia più grande di 90 in modo tale che ci sia un capitale (10) che rappresenta il valore posseduto dagli azionisti e che serve a compensare eventuali ammanchi. Vuol dire nel caso in cui qualche prestito della banca non va a buon fine o nel caso in cui si scopre che la banca abbia acquistati titoli che valgono 50, occorre che la banca abbiamo messo da parte abbastanza soldi per poter far fronte al minor valore degli asset. Quanto grande deve essere questo capitale? Non c’è una quantità fissa ma i requisiti sono diventati più stringenti e vanno sotto il nome di accordi di Basilea. La capitalizzazione che viene ritenuta prudenziale dalla banca centrale è circa l’8%. Un punto importante da sottolineare è che questi numeri sono valutati al face value cioè a quello che è scritto su un pezzo di carta; se la banca fa un prestito a un’azienda che sta fallendo, la banca deve valutare che accantonamento fare nel suo bilancio per far fronte alle perdite potenziali. Questo porta a dover scrivere bilanci guardando al criterio del fair value, ovvero il valore plausibile di mercato, non il valore scritto sul pezzo di carta, perché l’azienda in realtà non può pagare e questi sono i cosiddetti crediti deteriorati. Siccome si usa il fair value come criterio per contabilizzare, se succede qualcosa sui mercati il rischio è che noi abbiamo scritto 100 ma in realtà è un valore più piccolo di 100. Se il valore degli asset diminuisce può capitare che la banca non abbia abbastanza risorse per far fronte alle sue passività. Perché ci preoccupiamo della banca A? perché è più o meno la banca commerciale americana media prima della crisi. Questa banca aveva un coefficiente di capitalizzazione del 10% oppure un rapporto di leva finanziaria pari a 10 (dava a prestito 10 volte il suo capitale). Questa era la banca commerciale media ed è importante ricordare questi numeri, perché il business model di una banca è sempre lo stesso, perché viviamo in un sistema di riserva frazionale, cioè uno riceve 100 di depositi ed è tenuto a tenere circa 10%, gli altri 90 li dà a prestito per moltiplicare la liquidità che c’è in economia. La cosa preoccupante era il rapporto di leva per le banche di investimento e gli “hedge funds”, che sono questi fondi che comprano crediti deteriorati da queste banche a basso prezzo per rivenderli a prezzo più alte, era pari a 27 (3 volte di più rispetto a una banca commerciale media). La banca commerciale media è comunque leverage ma le banche di investimento erano leverage tre volte tanto. Lehman Brothers aveva un capitale netto di 25 miliardi di dollari e gli asset erano 680 miliardi di dollari, quindi prestava 680 miliardi di dollari e teneva come cuscinetto solo 25 miliardi di dollari (circa il 3%). Quindi bastava che solo il 3,3% dei prestiti andasse male affinché Lehman Brothers fallisse. Il caso peggiore era però AIG (assicuratori), che assicuravano gente come Lehman Brothers: se LB non aveva indietro il capitale, AIG metteva i soldi. Quindi in caso di default c’era il cambiamento del diritto di credito dalla società che ha originato il credito alla società di assicurazione. Tra l’altro lo facevano anche con altre banche di investimento americane. Quindi assicurava tutte le banche con business rischioso con un capitale di 25 miliardi, ma gli affidamenti era 3200 miliardi di dollari, quindi bastava uno 0,7% dei suoi asset falliti per fallire. In che senso essere una banca di investimento è diverso dall’essere una banca commerciale? A sinistra bilancio di una banca di investimento a destra commerciale. Partiamo dalla commerciale: la perdita massima che può permettersi è il 10%. Qual è il Capitolo 4. La crisi finanziaria 25 / 75 tasso di rendimento sul capitale, assumendo un 3% di tasso di investimento sugli asset, 3% di 100 fa 3 e poi per calcolare il ROE è 3/10 quindi 30%. La banca di investimento invece ha 300 di asset, 10 di capitale, 290 di passività con una perdita massima del 3,3%. È più sicuro mettere soldi in una banca commerciale. Quindi perché investire nelle banche di investimento come Lehman? Perché se le cose vanno bene ho un tasso di rendimento 3 volte più grande di quello di una banca commerciale. Lehman era stata per questo per molto tempo la regina di Wall Street. Qualcosa inizia ad andare storto, ovvero sia: gli asset di una banca sono divisi in due gruppi, ci sono un po’ di good asset (rischio di mancato rimborso uguale a 0), circa 60, e poi ci sono i bad asset (crediti la cui possibilità di rimborso è bassa, con probabilità di default). I bad asset devono essere gestiti dal management della banca, la banca A che sa di avere questi bad asset inizia a svalutare questi bad asset tirando via 5 dagli asset (scrivendo quindi a bilancio 95). Rimangono gli altri 35 bad asset, ma a questo punto comincia il problema di comunicare le informazioni al mercato, fin tanto che c’è stata la prima eliminazione dal bilancio di una parte dei bad asset, rimane 95 di asset, 90 in passività e quindi viene dimezzato il capitale, quindi una parte di capitale è servito per far fronte a questi ammanchi. Se la notizia che vi siano altri bad asset inizia a circolare, si pone il problema di cosa fare perché ci saranno più passività che attività. Quali sono le implicazioni? Può avvenire tutta in un giorno, oppure ci sono voci e dicerie. Succede che: 1. Non voglio esser quello che si ritrova con un’azione della banca A, quando tutti vengono a sapere che valgono 20, perché a quel punto il valore della banca diventa 0, perché viene azzerato il capitale. 2. Il manager può provare a cercare nuovi finanziatori o può provare ad emettere obbligazioni nella speranza di ottenere nuovo capitale. Ma mettiamoci nei loro panni, chi dà i soldi a una banca del genere? I soldi potrebbero aver valore oggi e non domani. RISULTATO: la banca A si avvicina all’insolvenza, ma a un certo punto nessuno più sul mercato le presta soldi. Nasce la crisi derivante dal cattivo stato del bilancio bancario per la banca A. Se la banca A è grande ciò trascina effetti aggregati, le altre banche sono solide o no? L’implicazione di questo è anche un’altra: arriva il credit crunch, ovvero sia scompare il credito dall’economia. Se la banca ha bilanci in cattive condizioni e fallisce, dipende dalla ragione, se detiene titoli che anche altre banche hanno gli investitori si chiedono se anche le altre banche falliranno e si mettono a vendere i titoli. Chi ha liquidità si tiene la liquidità, e il fatto di disporre di liquidità ti rende “re”. Solitamente succede che le banche a corto di liquidità si fanno prestare liquidità dalle altre banche dando un titolo di garanzia. In questo caso però le banche si tengono la liquidità. Se però tutte le banche si tengono il cash, chi presta alle aziende fuori dal sistema bancario? La liquidità quindi non circola più nell’economia. Questo vale anche all’interno delle aziende, le aziende che hanno liquidità non investono; l’atteggiamento di rimanere liquidi diventa una cosa diffusa. Anche le famiglie che hanno liquidità se la tengono. I beni che per primi vengono tagliati in una situazione di questo tipo sono quelli durevoli. Capitolo 4. La crisi finanziaria 26 / 75 Il mercato immobiliare americano sale di tanto in 6 anni e scende drammaticamente (valore nominale) in circa un anno e mezzo. Questo non è successo solo in America ma anche in altri paesi. In Italia nel 2015 sono ripartite le compravendite ma i prezzi hanno continuato a scendere e si sono stabilizzati solo verso la fine del 2015. Cosa è successo al mercato immobiliare americano? In 6 anni sale di molto e scende altrettanto drammaticamente rapidamente. Ci sono paesi che hanno avuto una crescita del mercato immobiliare anche maggiore degli Stati Uniti (Irlanda, Uk), l’Italia ha andamento simile a USA, sale fino alla fine del 2008, comincia poi a diminuire e non è ancora risalito. In Germania non c’è stato nessun boom del mercato immobiliare, in Giappone c’era già stato negli anni precedenti. In Italia non è ripartita la domanda ma i proprietari di casa hanno venduto lo stesso, ma vendendo in tanti hanno fatto scendere il prezzo delle case. Cosa è successo? È successo qualcosa che prima ha fatto gonfiare la bolla e poi l’ha fatta scoppiare. I tassi di interesse in America era rimasti bassi per lungo tempo (2001 – 2004) e questo ha fatto salire la domanda di case perché è sceso il costo di fare mutui; a fronte di un aumento della domanda di case salgono i prezzi e questo è rilevante perché le banche che hanno fatto i mutui a fronte di un aumento dei prezzi si sentono più sicure perché di solito quando si fa un mutuo si dà in garanzia la casa che si compera. Man mano che sale il prezzo delle case, più i prestiti che sono stati fatti in passato diventano sicuri. Il prestito che valeva 100 ora vale 120, quindi se ridanno la casa ci guadagnano. Il valore delle garanzie è quindi salito e quindi fare prestiti per le banche diventa un business molto più sicuro che in passato e quindi il debito delle famiglie aumenta ancora. Dopo di che il presidente della FED capisce che l’economia si sta scaldando troppo, il mercato immobiliare sta crescendo troppo rispetto al PIL, quindi il presidente della FED fa salire i tassi. Inizia quindi a scendere la domanda di case, il prezzo scende e si verifica un effetto vizioso, le banche non si sentono più garantite come ieri, si inizia quindi a ritirare i fidi, a richiedere un rientro anticipato, i prestiti diventano sempre più rischiosi. Quello che prima congiurava per mandare in su il debito, ora manda giù il debito. Andando di più nel dettaglio: i mutui sub prime. Il subprime lending è la pratica di dare a prestito a persone con un alto rischio di default. Vi sono i prime borrower che sono le persone con uno stipendio fisso che son presenti sul mercato dei mutui. Vi sono poi invece i percettori di redditi bassi, o i bad borrower cioè una persona che ha preso a prestito in passato e ha mancato di ripagare delle rate del mutuo. Queste informazioni la banca riesce ad averle e quindi riesce a capire chi sono i bad borrower. Quello che succede con l’inizio degli anni 2000 è che in passato il sub – prime lending era fuori dalla storia, ora questi sub - primer entrano nel mercato dei mutui e iniziano ad essere rilevanti (20% nel 2006). Quota di default dei sub primer. Nel 2001, dopo 3 mesi, era il 4%, dopo 12 mesi diventa 8%. Nel 2007 cambia molto la curva e dopo 3 mesi siamo già all’8% e dopo 12 mesi ¼ del totale quelli che non riescono a rimborsare. Il caso tipico in America di queste persone è “mamme con figli, divorziate, con mariti che non pagano gli alimenti”. Cos’è un mutuo sub – primes? Un mutuo con un tasso aggiustabile e con una struttura ibrida, cioè un po’ variabile un po’ fissa. Es. mutuo con durata ventennale con tasso 2% fisso nei primi 2 anni. Nei primi Capitolo 4. La crisi finanziaria 27 / 75 2 anni le banche offrivano un basso relativamente basso, dopo si passa a quello variabile. Nel corso del tempo i sub primer, prima dei 2 anni dicevano che non potevano ripagare, il broker però chiedeva in garanzia la casa per rifinanziare il prestito anche se non aveva un reddito per pagare. Infatti a un certo punto la quantità di mutui che vengono rifinanziati fanno 50 – 70% e questo è un meccanismo che funziona. Spesso erano i broker che cercavano queste persone, questo quindi spiegava perché i sub primer entravano nel mercato dei mutui. La ragione per i broker di trovare nuovi clienti era che c’era molta liquidità in giro e soprattutto una commissione per ogni nuovo contratto. Come tale questa cosa però è stata solo l’inizio della crisi. I mutui sub prime sono solo il 20% del mercato immobiliare. Ci rimane da spiegare come da una piccola fetta di mercato si arriva a una crisi mondiale. Quando in passato c’era stato un crollo veramente grande il valore del mercato azionario scese del 20% (1987). Stavolta è stato del 30%, ma la perdite sui bilanci bancari derivanti da mutui non rimborsati rappresentò 650 miliardi di dollari, equivalente a una caduta del 4%. Perché? I mutui erano stati cartolarizzati. Cartolarizzazione dei mutui: i contratti di mutuo sono dei contratti che generano una situazione di rischio che è molto individuale, se io dò a prestito dei soldi (a Rocco) mi affido (a Rocco) nel dare questo mio prestito, ma può essere che il mutuatario sia rischioso. Se poi vado da Mario e chiedo di condividere il rischio del mutuo di Rocco, ma non c’è evidenza che mettere una casa in garanzia oggi sia un grande affare, non basta la casa in garanzia, servono requisiti di reddito e solidità. In realtà i mercati finanziari odiano questo tipo di contratti e preferiscono i titoli di prodotti omogenei. La cosa essenziale per poter rendere i contratti di mutuo commerciabili e circolabili nell’economia è il fatto di avere tanti Rocco, cioè persone simili tra loro. Quindi se la banca B rastrella sul mercato tanti contratti di mutuo che assomigliano a quelli di Rocco, può essere che qualcuno mi riesce a ridare indietro e altri no e questo mi fa avere la diversificazione del rischio. Quindi posso tornare da Mario a dirgli che ora ho 100 Rocco e Mario avrà i suoi soldi se almeno 50 ridaranno i loro soldi. Quindi cosa avvenne nell’economia americana? Che anziché rimane seduti nel bilancio delle banche, i contratti di mutuo sono stati venduti a un’altra società (special purpose value) che si comperava mutui da tutte le banche con un’istituzione che amministrava l’acquisto di questi titoli. Per comprarli aveva bisogno di cassa, che si procurava emettendo dei bond, come quelli già descritti, trovando persone come Rocco o Mario. La società quindi finanzia il suo acquisto di mutui emettendo delle securities che sono chiamati mortgage backed securities, che sono titoli che hanno un valore perché supportati dall’esistenza di mutui, quindi questi titoli hanno valore perché a loro volta i mutui hanno un valore. La cosa importante è che nascono questi MBS che hanno un valore fino a quando i mutui originari hanno un valore, e questi hanno valore fino a quando il valore della casa continua ad andar su. La cosa importante è che sostanzialmente dalla pool iniziale di mutui viene generata una torta di mutui, tutti un po’ subprime, che non vorremmo comprare, ma che per come li offro a quelli avversi o propensi a rischiare può sembrare che un sottoinsieme di questi sia sicuro e un altro no. Questi erano contratti con delle tranche, ovvero sia c’era la parte senior e junior, una garantita e l’altra no. La parte garantita sarebbe “se mi ripaga il 50% rivedi i tuoi soldi”; la parte non garantita “se mi ripaga il 90% vede i soldi”. Il senior è quello che viene prima, Capitolo 4. La crisi finanziaria 28 / 75 cioè viene ripagato per primo l’avverso al rischio (senior). Tutto ciò è peggiorato dal fatto che si generano questi bond molto liquidi, soprattutto per la parte senior, cioè quella offerta agli avversi al rischio che comprano dei titoli a cui le agenzie di rating hanno assegnato la tripla A. B è un giudizio ancora molto positivo, vuol dire avere l’investment grade, cioè i fondi di investimenti mettono i titoli che hanno fino alla B nei loro portafogli. Quando un bond va a C non ha più l’investment grade, quindi viene escluso dalla possibilità di essere inserito nei portafogli dei grandi investitori e fondi di investimento internazionali. Importante è capire il meccanismo della moltiplicazione del problema. A causa di questo disegno di bond diviso in junior e senior prime riesco a far dare la tripla A alla tranche senior, e magari la società di assicurazione può fornire assicurazione dicendo che se non rimborsano ci mette lei i soldi, perché c’è la tripla A. Questo è quello che fece AIG. Di fatto Lehamn entrava in affari con la SPV, cioè rastrellava i mutui in maniera diretta o indiretta nel mercato, AIG assicurava il business di Lehman. Le agenzie di rating dovevano dare un parere che veniva formulato in base a quello che era successo negli ultimi anni, i default degli ultimi anni erano stati molto pochi, nei contratti c’era segno di rifinanziamento, ma questo poteva anche dire che era perché vi erano migliori condizioni sul mercato. Quindi non c’era evidenza sul mercato dei mutui di cose che non andavano bene. Tutto il business viene condotto da banche di investimento, che non avevano depositi, quindi la parte sicura della raccolta di fondi non c’era. Serviva che i mercati fossero liquidi e continuassero a funzionare. Riassumendo: 1. I mutui sono eterogenei 2. Si può fare diversificazione del rischio comperandone tanti, abbastanza simili, e quando si fa questo si possono emettere MBS standardizzati, cioè vendibili ad amanti del rischio o avversi al rischio, che sono tagliati in fette con diversi profili di rischio e di investimento (questo si chiama CDO, collateralized debt obligation, contratti di debito con una garanzia). 3. Queste securities sono certificate da agenzie di rating e assicurate da compagnie di assicurazione attraverso i credit default swop 4. Tutto ciò serviva a far funzionare un sistema in cui venivano emesse obbligazioni come quelle di cui abbiamo parlato, e tutto ciò funzionava bene finché c’è stata liquidità nel sistema. The sub – prime primer Mutuatario: “Vorrei comperare una casa ma non ho messo da parte abbastanza soldi per poter dare un anticipo e non credo di potermi permettere i pagamenti mensili. Potete aiutarmi?” Broker: “sicuramente. Siccome il valore della tua casa salirà sempre non abbiamo bisogno di un anticipo. In più possiamo darti un tasso di interesse molto basso per alcuni anni, lo aumentiamo dopo ok?” Mutuatario: “sicuro, no problem. C’è un’altra cosa: il mio datore di lavoro è un po’ un bastardo e potrebbe non confermare che io sono occupato. Sarebbe un problema?” Capitolo 4. La crisi finanziaria 29 / 75 Broker: “no non è un problema, possiamo darti un prestito del bugiardo e in questo modo puoi autocertificare qual è il tuo livello di reddito e la tua occupazione” Mutuatario: “voi siete meravigliosi!” Broker: “in realtà non ti prestiamo noi i soldi ma la banca, quindi non ci interessa se ci ridai indietro i soldi, noi prendiamo lo stesso la nostra commissione” Banchiere: “dovrei liberarmi di questi mutui spazzatura, cominciano a danneggiare il mio ufficio, per fortuna quelli della finanza li compreranno e metteranno in piedi la magia della finanza” Finanza: “anche noi dovremmo liberarci di questi mutui puzzolenti” Finanza 2: “chi si comprerebbe questa spazzatura?” Finanza: “creeremo una nuova sicurezza e useremo questi mutui puzzolenti come garanzie e li chiameremo CDO, possiamo vendere la CDO agli investitori e promettere di ripagarli quando i mutui sono rimborsati” Finanza 2: “ma la spazzatura è spazzatura” Finanza: “individualmente sono prestiti spazzatura ma se li mettiamo insieme qualcuno ripagherà quindi a quel punto non abbiamo da preoccuparci e in ogni caso i prezzi delle case vanno sempre su, quindi anche la parte che non ripaga va bene” Finanza: “il nuovo CDO sarà fatto di 3 pezzi: se qualcuno dei mutui non viene rimborsato prometteremo di pagare gli investitori che hanno comperato la parte sicura, poi vengono quelli che hanno comperato la parte non sicura” Finanza 2: “ah e siccome i buoni investitori che hanno la parte sicura hanno anche minor rischio possiamo pagare un tasso di interesse più basso” Finanza: “esatto ma la parte venduta avversa al rischio può essere assicurata e quindi avremo una tripla A, e tutto starà in piedi molto meglio” Finanza 2: “così sei riuscito a generare titoli con tripla A da una pila di mutui rischiosi. A chi vendiamo questi mutui?” Finanza: “li venderemo a società di assicurazione, a banche, in Norvegia, e a chiunque sia alla ricerca di un investimento sicuro” Le cose iniziano ad andare male… Gestore fondo pensione di un villaggio norvegese: “cosa sta succedendo? Non stiamo ricevendo i nostri pagamenti mensili” Finanza: “è stato un po’ agitata la situazione qui intorno, sembra che i mutuatari in realtà non sono in grado di rimborsare” Gestore: “noi abbiamo comprato la tripla A del CDO, quindi quella sicura, si suppone che noi siamo rimborsati per primi” Finanza: “sfortunatamente i prestiti si sono rilevati molto più spazzatura rispetto a quanto si pensava” Gestore: “ma mi hai detto che siccome i prezzi delle case sarebbero sempre andati su, i vostri debitori potevano sempre rifinanziare i loro mutui” Finanza: “ci siamo sbagliati” Capitolo 4. La crisi finanziaria 30 / 75 Gestore: “cosa si può dire della tripla A delle agenzie?” Finanza: “si son sbagliati anche loro. Non c’è modo di rimborsare e risolvere questo casino” 4.2 ABS (Asset Backed Securities), liquidità e credito all’economia Normalmente si pensa che la finanza sia il diavolo, ma ciò che si è verificato è stato un insieme di cose, anche le imprese non si sono comportate bene, quelle che hanno ricevuto il credito abbondante generato da questo sistema finanziario hanno sprecato i fondi. Rmbs: subprime residential mortgage backed securities, se le prendono le famiglie sono residential, senno nonresidential. Sub prime: quelli che comprano la casa e sono a rischio di default Prime: quelli che comprano casa e non sono a rischio di default Se avessimo guardato i bilanci bancari, la voce del trading è diventata sempre più importante, cioè le banche hanno fatto soldi con il trading di mercato invece che con imprese e famiglie. La finanza è diventata molto grande. Spesso si dice che la finanza ha beneficiato a spese della real economy, un po’ è così, ma con 2 specificazioni: 1) L’aumento del credito che c’è stato in tutte le economie è stato nel financial sector con un accelerazione tra il 2004 e il 2008, ma anche tra il ‘95 e il 2000, e anche l’aumento del credito alle società non finanziarie è salito notevolmente in questo periodo. Il riassunto che dice che i profitti sono rimasti solo all’interno della finanza non è vero, perché è salita anche la quantità di credito disponibile a household (famiglie) and corporate sector (aziende) 2) I tassi di interesse sono stati bassi in recessione, e lo sono rimasti anche quando la recessione era finita per un lungo periodo. Li ha tirati fino all’1%, tirandoli su grossomodo fino all’inizio del 2004, ma ormai il mercato immobiliare (linea rossa) aveva fatto un boom incredibile dietro i tassi di interesse bassi e calanti. Cosa hanno fatto le aziende con tutti i soldi arrivati? Puoi acquisire un’altra azienda (fusioni o acquisizioni) o svilupparti. Supponendo che le aziende abbiano voluto fare investimenti per diventare grandi, perché il mercato andava bene, l’hanno fatto quasi esclusivamente per via esterna. Tra la scelta di autofinanziare la crescita interna e comprare aziende fuori, hanno deciso di comprarle fuori. Risultato: Boom di annunci di fusioni e acquisizioni tra il 2007 e il 2008 Tante aziende sono andate in borsa per raccogliere fondi, e questi acquisti di aziende esterne sono stati comperati a debito, ma la nuova azienda così ha il peso del debito sulle spalle. Riuscire a portare avanti e mettere in pratica i piani di investimento con un debito grosso è molto difficile. Le aziende hanno ricevuto fiumi di liquidità dal settore finanziario, un po’ le aziende hanno partecipato usando liquidità per guadagnare sui mercati, hanno acquisito immobili e capannoni per- Capitolo 4. La crisi finanziaria 31 / 75 ché il mercato andava su e sembrava un buon investimento, poi hanno acquisito altre aziende, ma in questi casi non sono riuscite a creare valore perché ci sono studi che lo documentano: Le fusioni e acquisizioni, producono benefici per i manager coinvolti (benefici privati) ma pochi vantaggi (creazione di valore) per l’azienda nel suo complesso (misurato in profittabilità). Emerge anche che dalla fusione delle aziende i guadagni di produttività vengono quasi solo dai nuovi impianti. (Leverage buyout = acquisto di un’azienda comprata a debito) 4.3 Conclusione La finanza si è assunta troppo rischio e debito. Ciò ha generato crisi dopo aver generato ricchezza finanziaria per un po’ di anni. La crisi è stata molto rapida e più diffusa, mentre la ricchezza era stata più concentrata. Tutta questa generazione di ricchezza e liquidità ha fatto crescere il credito al resto dell’economia, andando a finanziare la crescita esterna, che in un mondo globale non è male di per sé, ma quando uno guarda ai dati vede che i risultati che vengono fuori sono quantomeno misti, cioè che non è evidente il fatto di creare valore per l’impresa a fronte di alti profitti e guadagni dei manager coinvolti nell’iniziativa. Perciò non si può dare tutta la colpa alla finanza, le aziende hanno usato male il credito che gli è arrivato, in un modo che non ha creato tutto il valore economico e sociale che avrebbe potuto generare. Infine possiamo leggere un po’ l’opinione di Alan Greenspan (banchiere centrale americano) di cosa era avvenuto nel corso degli anni. Nel 2005 lui usava frasi come “i nuovi strumenti per la diversificazione del rischio hanno consentito a banche più sofisticate e più grandi di liberarsi del grosso del rischio di credito vendendo a banche meno esposte al rischio. Questi strumenti finanziari sempre più complicati hanno contribuito allo sviluppo di un settore finanziario più flessibile e efficiente, quindi meno esposto agli shock di quello che esisteva 25 anni fa. Dopo lo scoppio della bolla del 2000 non c’è stato nessun episodio di insolvenza di grandi istituzioni finanziarie, il che è in contrasto con ciò che è avvenuto in passato di fronte a grandi shock finanziari. Quello che è emerso è che il trade off della finanza: vuoi più rendimento, devi accettare più rischio. Questo vale anche a livello aziendale: se non si innova c’è meno rischio e meno rendimento, ricordando che un’innovazione su 100 funziona. Capitolo 5. Recessioni e recuperi 32 / 75 Capitolo 5 Recessioni e recuperi 5.1 Recessioni e recuperi Ci sono anni buoni e anni cattivi. La crescita del PIL fluttua nel corso del tempo e per spiegare queste fluttuazioni serve il modello di domanda e offerta aggregata. In linea generale un altro modo di esaminare il grafico di domanda e offerta è quello di considerare che l’andamento del PIL oscilla intorno al suo andamento di lungo periodo. GDPn è la possibilità dell’economia di produrre esattamente quanto è naturale fare per l’economia stessa (PIL in equilibrio). Quindi GDPn è la misura di quanto si può produrre e ci sono momenti in cui l’economia viaggia più veloce rispetto al suo rispetto normale e momenti in cui viaggia più lenta o addirittura in cui il PIL decresce. L’alternarsi di recessioni e riprese nell’economia lo si misura misurando le distanze tra il “tetto” e il “pavimento” del ciclo economico. Il ciclo economico è fatto da una recessione e da una ripresa, la combinazione di queste due cose nel corso del tempo ci descrive l’andamento del ciclo economico. Quindi mediamente implica che queste oscillazioni danno luogo a una media che è quella di GDPn, ma in realtà per la maggior parte del tempo l’economia è lontana dal GDPn, quindi sta producendo troppo o troppo poco rispetto alle sue capacità di lungo periodo. Per questo ci sono i cicli economici, questa componente, cioè la parte transitoria del livello del PIL rispetto al suo livello di lungo periodo è quello che chiamiamo business cycle. L’altra componente di GDPn è influenzata da tecnologia, demografia, capacità di innovare, ecc. Come facciamo a misurare quando arriva una recessione o quando arriva la ripresa? Ci sono degli indicatori che possono aiutarci a prevederla? Recessione: La crescita del PIL sia minore di 0 per due trimestri consecutivi (definizione statistica). In realtà però questa definizione non è estremamente utile, perché come sempre però le cose meccaniche possono risultare delle regole per tirare una conclusione rapidamente guardando dei dati, ma in realtà per cercare di capire se l’economia va bene o va male ci sono altre variabili oltre al PIL (dato trimestrale) (andamento delle vendite al dettaglio (dato mensile), l’andamento della produzione industriale e degli ordini (dato mensile) e l’andamento dell’occupazione (dato mensile)). Se guardiamo questi indicatori otteniamo degli aggiornamenti del PIL più frequenti. Di fatto la definizione statistica di recessione Capitolo 5. Recessioni e recuperi 33 / 75 si basa sul fatto di essere in grado di confrontare come va il PIL in un trimestre rispetto a quello precedente. Per poter stabilire se l’economia italiana è in recessione nel primo trimestre 2016, dobbiamo confrontare il PIL del primo trimestre 2016 con il PIL del quarto trimestre 2015, e questo sarà un numero negativo, dopo che già avevamo trovato un numero negativo tra il quarto trimestre 2015 e il terzo trimestre 2015, allora significa che siamo in recessione. Ovviamente la recessione parte da quando si è registrato il primo segno meno. Come mai però non è ovvio il fatto di confrontare il PIL di un trimestre rispetto a quello precedente? Per via della stagionalità (a gennaio ci sono i saldi e i consumi salgono, a pasqua si produce di meno come a natale ma c’è più turismo e più consumi di determinati beni, ad agosto nessuno lavora, ecc.). Come si fa quindi a confrontare due trimestri completamente diversi? Le aziende, a causa della stagionalità, confrontano il q1 2016 con il q1 2015. Cioè si confronta un trimestre con il trimestre dell’anno prima. Ma come si applica così la definizione statistica di recessione a questo sistema che hanno le aziende di calcolare il loro PIL o i loro fatturati? Abbiamo bisogno di confrontare un trimestre con il trimestre dell’anno prima. Questo si fa destagionalizzando i dati (sappiamo che tutti i natali sono più o meno uguali). Bisogna inoltre misurare quante sono le giornate lavorative nel corso di un anno. Calcolare come un paese è in recessione implica la destagionalizzazione dei dati del PIL. Ci sono quindi due punti importanti: per poter calcolare la definizione tecnica di recessione bisogna destagionalizzare applicando un filtro statistico che elimini la componente stagionale e la componente di calendario (pasqua, ecc.). Quello che avviene è che viene generato un PIL di cui seguiamo la crescita in due modi: rispetto al trimestre precedente e rispetto allo stesso trimestre dell’anno prima. Perché non si usano a livello aziendale le statistiche? Perché le statistiche sono solo delle ipotesi che vengono incorporate nel filtro statistico che applichi ai dati, e possono essere sensate o meno. Se le tecniche di destagionalizzazione sono imperfette, ci potrebbe essere una distorsione indotta dalla destagionalizzazione nei dati che osserviamo. È questo il motivo per cui le aziende non destagionalizzano. YoY (tendenziali) = anno su anno (confronto trimestri uguali di anni diversi) QoQ (congiunturali) = trimestre su trimestre (confronto un trimestre con quello precedente) Capitolo 5. Recessioni e recuperi 34 / 75 Tendenziali sarebbe: rispetto all’anno scorso come stiamo facendo? Congiunturali: rispetto al trimestre precedente come stiamo facendo? Questi dati ci suggeriscono che è tornato il segno più nell’economia italiana dopo anni di segno meno. L’ultimo trimestre con segno negativo è stato l’ultimo trimestre del 2014. Il dato annuale, che è destagionalizzato e corretto per gli effetti di calendario (pasqua che cade in trimestri diversi, ecc.), vediamo che il PIL dell’Italia è cresciuto dello 0,6% rispetto all’anno precedente. La crescita media di tutto l’anno si può pensare come la crescita media tendenziale di ogni trimestre. Il dato annuale è più o meno la media dei dati dei quattro trimestri. Nel 2012 il PIL in Italia scendeva a ritmi del 3%. La cosa importante da tenere a mente però è che non bisogna sommare i dati tendenziali per trovare quello congiunturale. Il dato congiunturale ci dice oggi quant’è il PIL rispetto al trimestre precedente, e questi possono essere sommati. Dati concatenati = PIL reale La crescita dell’Italia in realtà sta già rallentando. Inoltre dal susseguirsi delle variazioni congiunturali vediamo che l’Italia per 2 anni ha avuto una crescita praticamente nulla. Nel 2015 il PIL corretto per gli effetti di calendario è aumentato dello 0,6%. Una volta stabilito cosa fa il PIL complessivamente, l’Istat ci dice le varie voci del PIL in che modo hanno influenzato questo dato. Il PIL è quindi aumentato ma per la domanda interna o estera? Per la domanda interna privata o pubblica? ESEMPIO COMUNICATO ISTAT: Nel quarto trimestre del 2015 il prodotto interno lordo (PIL), espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2010, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è aumentato dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e dell’1,0% nei confronti del quarto trimestre del 2014. Nel corso dell’anno la crescita congiunturale ha mostrato un progressivo indebolimento. La stima odierna conferma quella preliminare diffusa lo scorso 12 febbraio. Il quarto trimestre del 2015 ha avuto due giornate lavorative in meno del trimestre Capitolo 5. Recessioni e recuperi 35 / 75 precedente e una giornata lavorativa in più rispetto al quarto trimestre del 2014. Nel 2015 il PIL corretto per gli effetti di calendario è aumentato dello 0,6%. Si fa notare che il 2015 ha avuto tre giornate lavorative in più rispetto al 2014. La variazione acquisita per il 2016 è pari a 0,2%. Rispetto al trimestre precedente, tutti i principali aggregati della domanda interna sono aumentati in maniera significativa, con incrementi dello 0,3% per i consumi finali nazionali e dello 0,8% per gli investimenti fissi lordi. Le importazioni e le esportazioni sono cresciute, rispettivamente, dell’1,0% e dell’1,3%. La domanda nazionale al netto delle scorte ha contribuito per 0,4 punti percentuali alla crescita del PIL, con apporti di 0,2 punti decimali dei consumi delle famiglie e delle Istituzioni Sociali Private (ISP) e di 0,1 punti decimali sia della spesa della Pubblica Amministrazione (PA), sia degli investimenti fissi lordi. La variazione delle scorte ha contribuito negativamente alla variazione del PIL (−0,4 punti percentuali), mentre il contributo della domanda estera netta è stato positivo per 0,1 punti percentuali. Si registra un andamento congiunturale positivo per il valore aggiunto dell’industria e dei servizi (+0,1% per entrambi i comparti), mentre il valore aggiunto dell’agricoltura è diminuito dello 0,1%. In termini tendenziali, il valore aggiunto dell’agricoltura è aumentato dell’8,4%, quello dell’industria dell’1% e quello dei servizi dello 0,5%. Possiamo osservare la grande recessione nel 2008/2010 e un’altra recessione nel 2012/2014. Nel 2015 l’Italia ha fatto +0,8% rispetto al 1,5% dell’Euro Zona. Non bisogna confondere livelli e tassi di crescita. Capitolo 5. Recessioni e recuperi 36 / 75 5.2 Cosa succederà nel 2016? Nel settembre 2015 il governo diceva che l’economia italiana sarebbe cresciuta dell’1,6%. I governi sono sempre ottimisti perché se si prevede che la crescita del PIL sia alta, stai prevedendo che le entrate fiscali aumenteranno automaticamente senza aumentare le tasse ed entrano più soldi perché aumenta la base imponibile. Questa è la spiegazione per cui le previsioni sono migliori della realtà. Ci sono altri soggetti che sono più oggettivi, come il FMI. Se nel primo trimestre c’è una crescita dello 0,1% e negli altri 3 avremo una crescita di 0,8%, nel 2016 avremo una crescita complessiva dell’1,6%. La previsione più plausibile è che il PIL nel primo trimestre faccia 0,1% e negli altri 3 trimestri faccia 0,3%. Com’è stata la grande recessione nell’euro zona? Che cosa ci dicono i dati destagionalizzati? Questi sono i dati QoQ e ci indicano che la recessione è iniziata nel secondo trimestre 2008 nell’euro zona in generale e in tutti i paesi tranne la Spagna, e gli USA. Nel terzo trimestre 2009 arriva la ripresa nell’Euro Zona, tranne Germania e Francia che arriva prima e UK che arriva nel quarto trimestre 2009 e Spagna che arriva nel primo trimestre 2010. Di quanto è calato il PIL durante il 2008 e 2009? −6,5 in Italia. La grande recessione è stata particolarmente pesante in Italia e Germania, meno pesante in Spagna e USA (causa politiche fiscali e monetarie più forti ed espansive), UK più o meno come Italia e Germania. La stessa storia la si può vedere guardando la crisi dell’Euro (2011 – 2012). Nel 2008 assumiamo PIL = 100. Nel secondo trimestre 2009 il PIL tedesco ricomincia ad aumentare mentre in Italia continua a diminuire; in Spagna non vi è ripresa ed è molto robusta in Germania. Con la crisi dell’Euro dopo il secondo trimestre 2011 Italia e Spagna sprofondano di nuovo giù e la Germania ha un rallentamento della crescita. Il riassunto di tutto è che cumulando i dati dei tassi di crescita sui livelli, viene fuori che rispetto al 2007, nel quarto trimestre 2015 l’Italia ha il livello di PIL più basso, la Spagna è tornata ad avere lo stesso PIL del 2007, Francia un pochino in più e la Germania abbastanza di più. Questo ritardo in Italia è dovuto a quello che è successo con la crisi dell’Euro Zona e in generale nei trimestri successivi alla crisi 2008. Quanto variano le componenti del PIL? L’andamento del PIL sarà la media di come vanno queste 5 componenti. Se mettiamo su una linea la volatilità, ci sono alcune voci che oscillano di più e altre che oscillano di meno. Quello che si vede è che i consumi oscillano di meno ma ripartono meno rapidamente rispetto al PIL (sono meno ciclici del PIL, cioè scende il PIL di 10 i consumi scendono di 5). Come mai i consumi sono più stabili? Ci sono i risparmi. Gli investimenti variano di più rispetto al PIL anche perché dipende molto di più da pessimismo e sfiducia. Gli investimenti sono quindi più volatili del PIL. Esportazioni e importazioni sono diventati molto più volatili del PIL perché il mondo è globale. Se il PIL scende globalmente, scendono le nostre esportazioni molto di più rispetto a quanto succedesse prima se tutti i paesi smettono di crescere tutti insieme. Infine la spesa pubblica è ritenuta anticiclica, a volte aumenta anche se il PIL scende, perché il governo cerca di controbilanciare l’effetto negativo su investimenti e consumi. La spesa pubblica è un po’ diminuita nel 2010 e ha continuato a diminuire durante la crisi dell’euro, dove c’è stato un problema di Capitolo 5. Recessioni e recuperi 37 / 75 finanza pubblica, dove quindi la spesa pubblica è diventata più ciclica. La cosa più importante è di avere uno strumento per prevedere la prossima recessione o la prossima ripresa economica. Il PIL è disponibile solo una volta ogni trimestre, circa 40 giorni dopo la fine del trimestre. Senza PIL si possono usare altre indicatori mensili che possiamo raggruppare in differenti gruppi: • Indicatori coincidenti: ci danno informazioni sul PIL, che noi non osserviamo in alcuni mesi, esattamente in quel mese. Per sapere come va il PIL al tempo t, possiamo vedere la produzione industriale in quel tempo t. Se calcoliamo il coefficiente di correlazione tra la crescita e la produzione industriale di un certo trimestre e la crescita e la produzione industria per un altro trimestre, si vede che la correlazione è molto alta. Questo nonostante il 70% del PIL è fatto da servizi, ma in realtà l’Italia ha una fortissima componente in industria. Il problema è che noi vogliamo prevedere l’andamento del PIL al tempo t – 1. La produzione industriale si serve appunto perché se sappiamo come è andata la produzione industriale a gennaio e poi avremo quello di febbraio, possiamo già dire come andrà il PIL nel trimestre. Anche i dati sui fatturati e sugli ordini possono aiutarci a fare una previsione. • Forward looking (ordini): Con gli ordini dei tempi t – 1, riusciamo a capire cosa succederà al tempo t alla produzione industriale e al PIL. • Backword looking (mercato del lavoro): dal punto di vista ciclico la disoccupazione reagisce con ritardo al PIL di oggi, quindi i dati sulla disoccupazione non servono a prevedere il PIL, ma a capire i periodi precedenti, dipende dal PIL passato. • Fiducia di consumatori e imprese: non è fortemente correlata statisticamente con il ciclo economico. • PMI (Purchasing Managers’ Index): c’è una società che si chiama MARKIT che crea degli indicatori per misurare le condizioni del business in ogni economia, lo fanno intervistando quelli che fanno gli acquisti nelle aziende. E’ un indicatore che anticipa l’andamento del PIL. Il dato più importante che genera MARKIT è headline PMI number, ma poi ce ne sono altri che danno opinion su esportazioni, inflazione, ecc. È un indicatore più complessivo mentre gli ordini industriali sono spesso differenziati a seconda del paese e hanno una relazione più difficile da catturare. Es: nel febbraio 2016 la crescita dell’euro zona è la più bassa da un anno a questa parte. Questo perché è sceso a 52,7% mentre era a 53,7% nel Gennaio 2016. Quando l’indicatore è sopra 50 significa che il PIL sta crescendo, quando è 50 significa che il PIL è fermo, quando è sopra 50 ma diventa più piccolo significa che la crescita sta rallentando. La previsione mediamente ci azzecca, ma non i tutti i trimestri. C’è un ulteriore elemento da considerare. Una volta avuto PMI non si può dire con precisione cosa succederà al PIL. È per questo che si cerca di stimare attraverso un’equazione che lega le variabili che dovrebbero prevedere il PIL (produzione Capitolo 5. Recessioni e recuperi 38 / 75 industriale al tempo t, produzione industriale al tempo t – 1, investimenti, tasso di interesse reale). Vi è poi il LEADIT che è il nostro PMI. L’equazione ci dice quindi che al variare del PMI al tempo t – 1 ci possiamo aspettare che la crescita aumenti dello 0,13% moltiplicata per la variazione del PMI. Se il PMI migliora di un punto percentuale, la crescita del PIL dovrebbe salire dello 0,13%. Questa equazione ci dice che la crescita del PIL al tempo t è una funzione di quelle variabili + 0,13 moltiplicato per la variazione del PMI al tempo t – 1. GDPt = VARIABILI + 0,13 * PMIt−1 Ci sono due osservazioni da fare su questo: • Ci serve sapere questo 0,13; se non sappiamo quanto grande è, abbiamo un’idea che il PMI è correlato con il PIL ma non sappiamo di quanto è correlato. Quindi quantificare lo 0,13 è importante. • Se il numero non è statisticamente significativo non posso fidarmi dello 0,13 quindi è uguale a 0, quindi il PMI non ha una correlazione stabile nei confronti del PIL. Per prevedere il PIL bisogna guardare quindi gli indicatori forward looking. Anche una volta saputo il PMI, non ci basta per prevedere il PIL perché dobbiamo sapere qual è la relazione tra PMI e PIL. Dopo averlo calcolato dobbiamo sapere che il coefficiente è statisticamente significativo. Come facciamo a saperlo? Il p – value deve essere superiore al 2. Il mercato del lavoro risponde tardi rispetto alle variazioni del PIL e vogliamo cercare di quantificare di quanto varia il mercato del lavoro di fronte a una variazione del PIL. Ci servono due definizioni: • Output gap: quando il PIL è più grande del PIL di equilibrio di lungo periodo, l’output gap è maggiore di zero, perché vuol dire che l’economia sta producendo più di quanto possa produrre nel lungo termine. Quando il PIL è sotto il livello ottimale, l’output gap è minore di 0. L’output gap è una misura sintetica delle fluttuazioni economiche. Quando l’economia raggiunge un tetto e comincia la recessione, l’output gap è ancora positivo. Quando finisce la recessione, l’output gap è negativo e con la ripresa diventa pian piano positivo. In realtà nessuno sa quanto è il PIL di equilibrio di lungo periodo, e nessuno sa qual è il potenziale di un paese. Quindi in realtà come si usa questo concetto per renderlo operativo? Se prendiamo il delta del PIL viene fuori una formula molto più facile. (Gdp-Gdppotential ) / Gdppotential ΔOutput gapt (actual Gdp growth – potential growth) L’output gap cambia nel tempo in funzione di due cose: • Crescita vera del PIL • Crescita potenziale del PIL (quello che potrebbe fare l’economia): rispetto al PIL potenziale, possiamo farci un’idea di quale sarà Capitolo 5. Recessioni e recuperi 39 / 75 È più facile quindi calcolare, guardando la crescita dell’economia, il delta dell’output gap, per capire se l’output gap è positivo o negativo. Ci serve l’output gap per calcolare la crescita del mercato del lavoro. • Legge di Okun: nel 1962 calcolò una misura media per rispondere a una domanda, cioè la relazione tra PIL e disoccupazione. Per ogni punto in meno di output gap il tasso di disoccupazione aumenta di mezzo punto percentuale. Questo perché quando scende il fatturato aziendale, evitano di licenziare per evitare di assumere nuove persone da addestrare in seguito. Questo fino a quando la crisi non si fa molto forte. Il mercato del lavoro risponde con ritardo e gradualmente rispetto a come va l’economia. Nella maggior parte dei paesi, la stima che può essere fatta non è molto lontana dallo 0,5. Negli Stati Uniti, durante la crisi, era circa 1. Capitolo 6. Italia 2016 40 / 75 Capitolo 6 Italia 2016 6.1 L’andamento del PIL annuale Nel 2015 anche nell’economia italiana è tornato il segno più, ma la ripresa negli ultimi mesi si sta già un po’ fermando. L’Istat adotta una procedura un po’ diversa, cioè usa una media dei prezzi correnti e passati, al posto di tenere i prezzi dell’anno base usa i prezzi di ieri e di oggi per calcolare le quantità. I valori concatenati sono un modo per calcolare il PIL a prezzi costanti. Il grafico individua quindi i tassi di crescita del PIL in termini reali. Dopo anni con il segno meno, nel 2015 l’Italia è tornata a crescere, e la crescita è stata dell’0,8 dopo tre anni di decrescita. Ci son stati due anni con il segno più (2010, 2011) dopo altri 2 anni molto negativi. Il dato del 2015 solleva in realtà discussioni, perché in realtà non è stata dovuta al Governo la crescita (come invece spesso si sente dire) ma alle politiche della BCE, che hanno tenuto basso il costo del denaro e questo ha favorito una ripresa della domanda. Un modo per cercare di capire chi ha ragione, bisogna guardare al growth gap, cioè il divario di crescita tra Italia e Europa, perché la crescita dovuta alla BCE dovrebbe essere arrivata in tutti i paesi europei allo stesso modo. Quindi da questo punto di vista è utile vedere cosa è successo al divario della crescita nel 2014, e quello che si vede è che l’accelerazione che si è osservata in Italia è stata un’accelerazione maggiore Capitolo 6. Italia 2016 41 / 75 rispetto agli altri paesi dell’Euro zona. Il divario di crescita con l’Euro zona si è dimezzato, quindi questo segnala che non è stato solo merito delle politiche della BCE. È sufficiente quindi questo per dire che la crescita è ritornata grazie al governo? Ci sono altri 2 elementi che vanno considerati. Potrebbe essere che le politiche della BCE sono state più efficaci nei paesi che ne avevano più bisogno (paesi dell’Europa mediterranea (Grecia, Spagna, Portogallo, Italia), cioè quelli che avevano lo spread più alto). Spread = differenziale costo del debito pubblico nei confronti della Germania Con le politiche espansive vi è stata una riduzione degli spread, cioè dei tassi di interesse, più alta da noi rispetto agli altri paesi europei. Quindi a parità di politiche, può essere che l’effetto di queste politiche sia stato un po’ asimmetrico tra i paesi dell’Euro zona. Se è così vuol dire che effettivamente è tutto merito delle politiche espansive della BCE. Un altro elemento da considerare è supporre che l’Italia ha fatto meglio degli altri con le sue forze, questo è merito delle iniziative pro crescita che ha introdotto il governo (es. 80 euro, riforme varie), c’è però anche il fatto che se le famiglie ricominciano a consumare e le imprese ricominciano a investire non è solo merito del governo, ma anche delle imprese e delle famiglie. Quindi le politiche della BCE possono aver avuto degli effetti diversi nei vari paesi e gli sviluppi relativi alla crescita in Italia possono anche non essere attribuiti completamente al governo. Al momento non siamo ancora in grado di distinguere quale sia la verità. Guardando la crescita tendenziale (stesso trimestre dell’anno prima) e congiunturale (trimestre precedente), vediamo che la ripresa dell’Italia sta rallentando guardando i dati congiunturali, destagionalizzando i dati, il PIL quindi vediamo che negli ultimi trimestri è sceso, anche se vi è ancora crescita. Riassunto: c’è una ripresa ancora in corso, ma la crescita è stata declinante. 6.2 Un rallentamento della crescita mondiale Cosa minaccia la crescita? In gennaio il riassunto che veniva fuori dal FMI era che gli scenari economici internazionali (prezzo del petrolio, tassi di cambio, tassi di interesse e commercio internazionale) erano positivi nel 2016 e nel 2017, perché il FMI dava in accelerazione la crescita del volume del commercio internazionale, anche se questi tassi di crescita sono molto più bassi rispetto alla crescita storicamente studiata (circa Capitolo 6. Italia 2016 42 / 75 10%). Il FMI rivedrà un po’ a ribasso questi dati per il 2017. Notiamo infatti che l’accelerazione sarebbe dovuta arrivare dai paesi emergenti, ma vi è appunto una frenata da parte di questi avvenuta nel 2015 (Brasile e Russia in particolare). La recessione Brasile e Russia è una delle incognite che continuano ad opprimere le possibilità di crescita in tutto il mondo, inoltre la Cina non sta accelerando. Il commercio internazionale doveva quindi essere in accelerazione, ma probabilmente non lo sarà. Associato a questo, c’è l’andamento del prezzo delle materie prime che sono scese di un numero molto grande per i paesi che esportano petrolio e altre materie prime, e questo vuol dire che le loro esportazioni in valore sono molto più basse. La previsione del FMI era di un prezzo del petrolio ancora in calo nel 2016. Un’altra cosa che veniva data più alta era l’inflazione, ma anche questo dato sarà rivisto in ribasso. Inoltre la prospettiva di ciò che succede al tasso di interesse che prevale sui mercati internazionali che era dato in crescita, ma in realtà probabilmente sarà in decrescita per gli USA, e stabile per l’Euro zona. I tassi di interesse in America dovrebbe essere rialzati nel 2016 ma non è sicuro. Questo implica che il valore della moneta salga, ma se non ci sarà questo apprezzamento del dollaro, i tassi di interesse nel mondo rimarranno bassi e questo rappresenta un ulteriore minaccia sulla crescita in Italia, anche perché l’Euro si sta apprezzando. Nel 2015 queste erano le previsioni: • Commercio mondiale in accelerazione (sarà in realtà verso il basso) • Cambio euro/dollaro in deprezzamento (stabile) • Petrolio e materie prime ancora giù Nel Gennaio 2016 le condizioni esterne apparivano favorevoli alla crescita economica complessiva con il commercio mondiale che cresce di meno, il cambio euro/dollaro che è meno favorevole che in passato, il petrolio che rimane basso per Italia, quindi nell’insieme condizioni meno favorevoli per il 2016, rispetto a quanto previsto. Il Governo prevedeva che il PIL sarebbe cresciuto dell’1,6% nel 2016. I Governi tendono a essere ottimisti per aumentare il gettito, cioè a parità di base imponibile il governo può contabilizzare entrate fiscali più grandi. Inoltre quando il PIL aumenta, le tasse aumentano in modo più che proporzionale rispetto al PIL. Quindi i governi cercano di essere un po’ ottimisti. Andando però a vedere cosa prevede il FMI, che prevedeva che nel 2016 la crescita italiana avrebbe dovuto essere già 1,3 a gennaio. L’OCSE a fine febbraio ha detto però che sulla base dei sui conti il mondo sarebbe cresciuto del 3% e l’Italia dell’1%, con l’Euro zona farà 1,4% anziché 1,7% che il FMI prevedeva. L’Istat ha diffuso una previsione del PIL del primo trimestre del 2016. Se q1 è un +0,1% come dice l’Istat, come facciamo a tirare fuori una previsione di quanto può essere il 2016 rispetto al 2015? Vediamo come saranno q2, q3 e q4. La crescita sarà 1,6 solo se la crescita economica fosse 0,8 in ogni trimestre. Bisogna confrontare la crescita dei 4 trimestri con la crescita congiunturale del 2015 che è un PIL che è stato sempre in crescita. È altamente improbabile che questo succeda. Prendendo tutte le crescite congiunturali dal 2000 a oggi questo non è mai successo (0,8% per tre trimestri consecutivi). Con un primo trimestre un po’ migliore, questo dato sarebbe stato forse possibile. La previsione del FMI Capitolo 6. Italia 2016 43 / 75 (1,3) è anche molto difficile che si verifichi (0,65% per tre trimestri consecutivi). Questo è successo solo una volta tra la fine del ’99 e l’inizio del 2000. Per ottenere 1 (previsione dell’OCSE) occorrono tre trimestri da 0,45. Quante volte è successo? In realtà è successo nel 2006/2007, quindi non è una cosa impossibile ma era 10 anni fa prima della crisi. Se l’Italia cresce nel 2016 come è cresciuta nel 2015 (mediamente 0,25% a trimestre), cosa più probabile, si avrà una crescita dello 0,7%, che è molto lontano dallo 1,6%. Questo vuol dire che il governo dovrebbe tener conto nel fare le previsioni, di alcuni vincoli che vi sono. Supponiamo poi che l’economia italiana, che si è fermata, faccia 0,1% anche negli altri tre trimestri. Inoltre c’è da tenere conto del fatto che il 2016 avrà due giorni lavorativi in meno (0,1% del PIL). Quindi questi sono gli scenari con cui il governo in questo momento si sta confrontando. 6.3 La domanda interna potrebbe smettere di crescere Disaggregando la crescita del PIL e guardando al dato congiunturale, vediamo che l’1% del PIL del quarto trimestre 2015 rispetto al quarto trimestre 2014 è la combinazione di una crescita buona dei consumi (1,3%), di una crescita 0 della spesa pubblica e di una crescita complessiva degli investimenti fissi lordi che viene quasi esclusivamente dai mezzi di trasporto. Il boom che si è verificato nell’economia italiana è un boom che si è verificato grazie ai mezzi di trasporto (FIAT in particolare). Quando l’economia ricomincia a girare servono di più i beni durevoli e i mezzi di trasporto. Le esportazioni hanno fatto 2,6% quindi sono cresciute ma di meno rispetto al solito. Dall’altro lato le importazioni sono cresciute più del solito. La crescita del 2015 è stata trainata soprattutto dalla domanda interna privata (consumi e investimenti). Se si fermano i consumi è un problema. I consumi nel 2015 sono cresciuti di meno rispetto alle vecchie riprese; le esportazioni sono cresciute in misura inferiore; le importazioni sembra siano aumentate di meno ma rispetto alla crescita del PIL sono aumentate 5 volte tanto. Quando riparte la domanda e a ripartire sono soprattutto le esportazioni, significa che i consumi aumentano ma in realtà di beni esteri. Le vendite al dettaglio dell’Istat, dati destagionalizzati, queste vendite indicano una modesta ripresa nel corso del 2015 della spesa delle famiglie (+0,7 in valore, +0,4 in volume). La crescita in volume ha un aumento molto basso. All’inizio del 2014 c’era stata una mini ripresa, che fa calcolare il 2014 come media tra un inizio che andava un po’ meglio e una fine che non andava tanto bene (gli 80 euro venivano messi in risparmio). Se confrontiamo le vendite del 2015 rispetto ai livelli medi del 2008 mancano 13 punti in volume e 6 in valore. Confronto sul 2010, con pre - crisi dell’euro e crisi di Lehman, mancano 5,4 punti in valore e 10,3 punti in volume. Per quanto riguarda i consumi, il grosso della perdita dei consumi è avvenuta dopo la crisi dell’euro e non con il fallimento di Lehman Brothers (dove sono calate soprattutto le esportazioni). Per tutto il 2015, in realtà la ripresa delle vendite è stata trainata in modo evidente dal recupero dei beni alimentari. Mentre le vendite dei prodotti non alimentari sono aumentate poco (+0,5% a valore) vs 1,3% dei beni alimentari. Mentre i Capitolo 6. Italia 2016 44 / 75 volumi dei non alimentari (0,4%) sono andati un po’ meglio degli alimentari (0,1%), il che ci suggerisce che c’è stato un effetto prezzo che si è tradotto in un risultato positivo nettamente più grande per i valori (es. i kg di parmigiano sono stati sempre gli stessi ma con un prezzo più alto). Qual è il confronto tra GD e piccole superfici? La GD è andata meglio (+1,5%), le piccole superfici piccolo incremento di valore (+0,2%). Se vediamo l’aumento di vendite degli alimenti vediamo un aumento nella GD (1,9%) e per le piccole superfici c’è stato un calo dello 0,4% a valore. Anche se ora la ripresa delle vendite si è già fermata. Il 2015 è stato un anno caldo e fiducioso, con temperature mediamente più elevate, questo ha portato ad un aumento dei consumi alimentari. L’indice di fiducia dei consumatori ha continuato a crescere, è chiaro che i consumatori quindi si aspettano qualcosa, principalmente dal governo, che deve verificarsi per non far diminuire la fiducia. Nei primi tre mesi del 2016, in base ai dati Nielsen, vediamo che mediamente non c’è un dato positivo per tutte (senza includere l’apertura di nuovi negozi), però per ora il progressivo del 2015 era 0% nei primi tre mesi, il progressivo del 2014 era −2,1% (a causa di un marzo terribile, anche se questi dati non depurano dall’effetto di calendario quindi non tengono in considerazione pasqua). Il 2016 quindi è iniziato male, anche se non possiamo dire di certezza il perché. Nella frenata delle vendite conta anche la nuova aggressività di Amazon, che ha diffuso questo programma che porta a consegne gratuite in breve tempo con bassi prezzi. Fin ora la bassa inflazione ha agevolato la ripresa dei consumi. Capitolo 6. Italia 2016 45 / 75 Cosa intendiamo con deflazione? Deflazione è il processo di riduzione generalizzata dei prezzi, cioè a scendere è il livello generale dei prezzi e non singolarmente il prezzo delle materie prime, il prezzo dei servizi o il prezzo dei beni durevoli. Tutti questi prezzi devono scendere quando vi è deflazione nell’economia. Nella situazione in cui siamo adesso, ciò che si sta verificando è che per ora non siamo in deflazione, anche se i prezzi in febbraio sono leggermente diminuiti (0,3%). Per i dati di febbraio vediamo che gli indici di prezzo al consumo, cioè l’indice generale dei prezzi, è diminuito dello 0,3% sul febbraio 2015 ed è diminuito dello 0,2% rispetto al febbraio precedente. Questo 0,3% è la media tra i beni durevoli e i servizi e vediamo che per i servizi non c’è deflazione perché il prezzo dei servizi è leggermente aumentato nell’ultimo anno (0,5%). L’inflazione dei servizi è sempre positiva, diminuisce anche questa nel corso del tempo; l’inflazione dei beni è salita tra il 2011 e il 2012 e abbiamo avuto l’aumento del prezzo del petrolio e l’aumento delle accise (tasse indirette), ma da allora i prezzi sono andati raffreddandosi. L’inflazione è scesa dal 3% allo 0% circa, ma che non è sotto lo zero. Se si parla di deflazione in Italia in realtà non vi è deflazione ma vi è in Grecia. Il PIL in questo periodo è andato male e l’inflazione è scesa, quindi nel 2012/2013 c’è stato uno shock di domanda nell’economia italiana. I prezzi dei beni energetici nell’ultimo anno sono diminuiti del 5,5%. Quanta parte dello 0,3% (indice generale dei prezzi) è dovuto ai beni energetici? Possiamo vedere il peso dei beni energetici. - 0,3 = - 5,5 * 0,089593 + 0,3 * (1 – 0,08953) = - 0,5 + 0,2 Se non ci fosse stata la deflazione dei beni energetici, cosa sarebbe successo all’inflazione? Quanto incide questo sullo 0,3 totale? Inoltre poi vediamo che in realtà a diminuire sono entrambi (energetici non regolamentati per effetto del petrolio e gli energetici regolamentati per effetto della diminuzione della bolletta). Anche per i beni alimentari c’è stata una riduzione, ma in questo caso gli alimentari la- Capitolo 6. Italia 2016 46 / 75 vorati hanno un + 0,3%, i non lavorati −1,2%. Quindi per gli alimentari lavorati vi è un aumento dei prezzi a causa della manodopera, ecc. La deflazione si ritiene sia un problema perché quando uno sa che il prezzo delle automobili inizia a calare nel corso del tempo, io continuerò a rinviarne l’acquisto. Questo per spiegare il fatto che la deflazione fa calare il consumo dei beni durevoli. I prezzi dei beni durevoli sono aumentati (+1,2%). I beni semi durevoli sono l’abbigliamento e poi ci sono i servizi che rappresentato il 46% del totale il cui prezzo è salito dello 0,5%. È vero che i prezzi a febbraio sono scesi, ma la discesa è spiegata dai beni energetici (in particolare non regolamentati) anche se anche i prezzi dei servizi e dei beni durevoli sono aumentati. L’implicazione è che per cercare di capire se per i consumi la deflazione ha effetto positivi, dobbiamo vedere i salari contrattuali. Nel 2007 i salari reali non crescevano; nel 2008 i salari contrattuali, con vari rinnovi contrattuali, hanno incorporato un’inflazione crescente aumentando più rapidamente dell’inflazione nel 2008 nonostante anche l’inflazione sia salita; nel 2009 i salari sono aumentati un po’ di meno ma l’inflazione si è quasi azzerata e i consumi hanno complessivamente tenuto nel corso del 2009; nel 2010 è arrivata la ripresa e i salari sono andati meglio, l’inflazione è ripartita, chi aveva ancora un lavoro nel 2009/2010 è stato contento perché il suo potere di acquisto è salito rispetto al passato; nel 2011 l’inflazione è accelerata a causa dell’aumento dei prezzi del petrolio e nel 2012 è stata tenuta alta dal fatto che i governi avevano approvato degli aumenti di imposte indirette che hanno un effetto di breve periodo sull’inflazione (aumentando l’iva i prezzi aumentano per breve tempo, perché poi rimangono stabili il mese dopo); nel 2012 i salari sono aumentati molto di meno rispetto al passato perché la disoccupazione era cresciuta molto rapidamente. Nel 2011/2012 quindi a causa dell’aumento della disoccupazione e del calo dei salari reali, i consumi sono andati molto male. Nel 2013 le cose si sono più o meno stabilizzate e nel 2014 l’inflazione si è azzerata e i salari sono aumentati ai ritmi degli anni passati. Nel 2015 sono saliti i salari reali ma i redditi da lavoro (salari reali * n° occupati) e l’occupazione è aumentata da circa 22.100 a circa 22.500 tra l’inizio del 2014 e Capitolo 6. Italia 2016 47 / 75 la fine del 2015. Ci sono quindi circa 300.000 occupati in più, in parallelo vediamo una riduzione del tasso di disoccupazione che aveva raggiunto il 13% nella metà del 2014 fino all’11% circa. Nel 2011 la disoccupazione era 7,5% e in un anno è salita di 3 punti percentuali (10%) e questo ha inciso sul ritmo di crescita dei salari reali. Il reddito da lavoro ha contribuito alla ripresa perché i salari reali sono aumentati ed è aumentato il numero degli occupati. Ci sono poi altri due effetti. Nel 2015 se si guarda alla variazione tendenziale dei rapporti di lavoro attivati vediamo che l’aumento del numero dei rapporti di lavoro avviati ha riguardato quasi esclusivamente i rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Il jobs act è entrato in funzione nel marzo 2015. La decontribuzione, cioè il fatto che i contributi sociali per i nuovi assunti a tempo indeterminato con il contratto che dà maggiori garanzie con il passare del tempo anche se per i primi tre anni può essere cancellato, ha avuto un effetto insieme all’approvazione del jobs act. Nel dicembre 2015 è stato l’ultimo mese in cui si è potuto beneficiare dell’intero ammontare della fiscalizzazione. Nel 2016 la fiscalizzazione vale solo per il 40% dei contributi. Circa il 60% dei nuovi contratti hanno beneficiato della decontribuzione. Nell’insieme questi dati ci indicano che l’inflazione bassa ha agevolato la ripresa dei consumi perché ha agevolato l’aumento dei redditi da lavoro e questo si è verificato anche grande all’aumento dei degli occupati consumi. Dal reddito lordo bisogna sottrarre le tasse. Soprattutto nel 2014 il lavoro è stato detassato, ma l’Italia rimane un paese in cui l’entità delle tasse sul totale del costo del lavoro (tax wedge) rimane molto elevato, confrontando l’Italia con gli altri paesi. Capitolo 6. Italia 2016 48 / 75 Nel 2014 le tasse sono un po’ scese, ma ci vorrebbe un taglio di tasse più corposo. Ma ci sono due problemi: • Alto debito pubblico • Spending review (programma di riduzione spesa pubblica) poco incisiva Il governo ha promesso di ridurre il rapporto debito – PIL nel 2016, ma l’evoluzione di questo rapporto dipende dalle singole componenti. Questa promessa dipende dal fatto che non aumenti più del previsto il numeratore, e non aumenti meno del previsto il denominatore. Nel 2016 il PIL nominale è dato in aumento al 2,9 (denominatore). Il governo quindi continua a far aumentare un po’ il debito, e potrebbe riuscire a far scendere il rapporto debito PIL se aumenta di più il PIL nominale. Nel 2014 la spending review ha consentito di tagliare la spesa di 3,6 miliardi, nel 2015 questo taglio ha raggiunto i 18 miliardi e nel corso del 2016 verranno tagliati altri 7 miliardi. La spesa pubblica ha un andamento tendenziale che è in crescita e rispetto a questa crescita il governo taglia di 25 miliardi. Il governo rivendica i tagli di spesa ma in realtà la spesa pubblica è aumentata. Quindi la cosa da capire è che quando si parla di spending review si parla di tagli rispetto a un andamento tendenziale in aumento. Il problema è che molte di queste riduzioni di spesa pubblica, sono state da una parte tagli sui ministeri (es. ministero dell’istruzione non doveva assumere nuovi docenti) dall’altra tagli sugli enti locali (regioni, province, comuni). Il punto è che lo Stato riduce i trasferimenti alla pubblica amministrazione locale, ma se poi i governi locali aumentano le tasse i cittadini non colgono la riduzione della spesa pubblica. Di fatto il risultato netto è una riduzione della spesa dei trasferimenti dallo stato centrale allo stato locale, ma questa spesa non si vede. Dal punto di vista politico quello che è preoccupante è che è come dire che la spending review è già stata fatta anche se non si è vista. Quindi da dove vengono i tagli di tasse degli anni a venire? Non dalla persecuzione della spending review. La spending review non è un qualsiasi taglio Capitolo 6. Italia 2016 49 / 75 di spesa pubblica ed è diversa da quella del passato, perché in passato veniva usato il criterio del costo storico. RIASSUNTO: Il tema da capire è se l’inflazione è temporaneamente bassa o permanentemente bassa. Per capirlo bisogna analizzare dei dati. A febbraio 2016 l’indice dei prezzi al consumo complessivo rispetto al febbraio 2015 è diminuito del 0,3%. L’indice dei prezzi al consumo misura il costo della vita, quindi questo è un segno del fatto che in Italia negli ultimi 12 mesi c’è stata deflazione. Sono scesi tutti i prezzi delle principali categorie di beni? Quello che emerge è che l’indice dei prezzi al consumo che è diminuito, è funzione soprattutto della discesa dei beni energetici non regolamentati. Il prezzo dei beni durevoli è salito e questo segnala che il problema principale della deflazione non si è manifestato. Se il prezzo dei beni durevoli aumenta, significa che non si ha l’effetto a catena che si ha nel caso in cui il prezzo dei beni durevoli scenda. L’indice generale dei prezzi è diventato negativo; l’indice complessivo dei beni è sceso; l’indice dei servizi è aumentato dello 0,5%. Quindi vi è deflazione nell’economia italiana ma solo temporaneamente, perché guardando alle componenti è il prezzo dei beni energetici che sostanzialmente spiega il calo dei prezzi che abbiamo visto. Nel 2014/2015 la 0 inflazione si è associata ad un aumento del potere di acquisto. In questi anni è salita la componente di redditi da lavoro attribuibile ai salari. Il contrario era successo nel 2011/2012 perché il prezzo del petrolio era salito e le accise introdotte dal governo avevano inciso sull’inflazione. Anche negli anni precedenti, il potere di acquisto era salito perché l’inflazione era scesa rapidamente e i salari non erano scesi altrettanto rapidamente. Se guardiamo al potere di acquisto dei redditi da lavoro, il rapporto che possiamo scrivere è questo: REDDITO DISPONIBILE REALE = [W * OCCUPATI * (1 – TASSE)] / PREZZI W = Salari contrattuali (da lavoro) Inoltre, l’occupazione nel 2015 è salita di circa 300.000 unità. Nel 2009 i salari (w) sono aumentati più dei prezzi, ma l’occupazione è calata. L’effetto netto sul reddito disponibile è incerto. Nel 2012 invece i prezzi sono saliti più dei salari e gli occupati sono scesi. Questo ci fa capire perché il 2012 è stato un anno molto negativo, perché è diminuito il potere d’acquisto del reddito individuale ma anche il reddito lordo complessivo è diminuito perché sono scesi i salari e gli occupati, inoltre le tasse sono aumentate. Questo ci spiega perché il reddito disponibile nel 2012 è andato molto male. Nel 2015 invece le cose sono andate un po’ meglio, perché ci son stati più occupati derivanti da assunzioni a tempo indeterminato con un boom nel dicembre 2015 (causa decontribuzione = lo stato paga i contributi sociali che normalmente pagano le aziende e i lavoratori per finanziare le pensioni). Il bonus che veniva previsto era di un massimo di 8000 euro annui per i nuovi occupati che valeva per tutto il 2015. Dal gennaio 2016 il bonus è diventato il 40% di 8000. Nel gennaio 2016 infatti son crollate le assunzioni. Uno dei modi per capire se la riforma del lavoro di rendere meno fisso il posto fisso (jobs act), inserendo la decontribuzione. I contratti a tempo indeterminato per un periodo iniziale sono dotati di meno diritti per i lavoratori, perché alla fine dei 3 anni può avvenire il licenziamento. Le aziende hanno utilizzato per il Capitolo 6. Italia 2016 50 / 75 60% questa decontribuzione, cioè fatto 100 il numero delle nuove assunzioni, 60 su 100 sono avvenute utilizzando la decontribuzione. Infine per poter capire cosa è successo al reddito disponibile, dal reddito lordo bisogna sottrarre le tasse. Le tasse in proporzione al PIL sono state del 46,5% del PIL per un lungo periodo di tempo. Nel 2012 il governo ha aumentato le tasse in proporzione del PIL di un punto e mezzo, arrivando al 48% in un anno. L’aumento delle tasse è stato ottenuto attraverso la re – introduzione di una tassa sulla casa che era stata cancellata intorno al 2008, che ora è stata tolta di nuovo. Nel 2014 grazie agli 80 euro si sono ridotte le tasse sui redditi bassi. Ci vorrebbe un taglio di tasse più corposo ma ci sono due problemi: • Alto debito: ha a che vedere con la sostenibilità del debito pubblico. Bisogna capire come si muove il rapporto debito/PIL. Il rapporto debito/PIL sarà funzione di ciò che succede al deficit, che è uguale a spese – entrate dello Stato. Il PIL in euro è il PIL in termini reali * per il deflatore del PIL. PIL = PIL * DEFL(PIL). Le spese sono fatte di due voci: spese “vive” dello Stato + spesa per interessi debito. Il rapporto debito/PIL diminuisce se il deficit diminuisce, se il PIL aumenta e se i prezzi salgono. • Spending review poco incisiva Con un alto debito, si dovrebbe fare una spending review. Senza spending review non si possono tagliare le tasse. Il governo ha bisogno che l’inflazione e la crescita del PIL (g) siano abbastanza grandi per poter ridurre il peso dei debito sul rapporto debito/PIL. Il governo per il 2016 si aspettava un inflazione del 1,5% e una crescita del PIL dell’1,3%, con un tasso di interesse pari al 3,3%. Il rapporto debito/PIL è 133%. Il deficit primario è −2, cioè il governo italiano fa meno spese rispetto alle entrate per risparmiare un po’. Il problema è che oggi il rapporto debito/PIL è elevato e che vogliamo far scendere, ma inflazione e crescita del PIL dovrebbero essere sufficientemente grandi. Le stime del governo sono ottimistiche, ma in realtà nel 2016 probabilmente il rapporto debito/PIL non riuscirà a scendere. Il governo ha fatto già una riduzione della spesa di 25 miliardi di euro in 2 anni, tuttavia quello che è stato fatto è stato di attenuare la crescita della spesa. In realtà la spesa pubblica in Italia non scende mai, ma è un minor aumento della spesa. I tagli di spesa pubblica inoltre sono stati spesso tagli sulla spesa locale. I comuni però anziché ridurre le spese hanno aumentato le tasse locali. Capitolo 6. Italia 2016 51 / 75 6.4 Insufficiente contributo del settore immobiliare Le variabili principali del mercato immobiliare sono l’andamento dei prezzi (rossa) e delle compravendite (blu) e l’andamento dei prezzi in termini reali (nera) (prezzi del mercato immobiliare al netto dell’inflazione). Nel 2015 sono ripartite lentamente le compravendite che sono andate da un livello di 70 a 75, ma sono salite con prezzi che sono rimasti sostanzialmente costanti nel corso del tempo. Bisogna chiedersi se è la domanda di case ad essere ripartita o l’offerta di case. Ci sono state più compravendite, ma i prezzi non sono saliti. In realtà vediamo che sono state entrambe ad essere ripartite. La domanda di case è ripartita ma a fronte di una riduzione dei costi precedente, c’è un aumento dell’offerta. C’è stato un ritorno del reddito disponibile, che porta anche ad un ritorno del credito. Nel 2014 sono salite le compravendite mentre i prezzi sono scesi ancora, e quindi sale l’offerta. Fino al 2007 invece era la domanda che tirava il mercato immobiliare, dove i prezzi andavano su insieme alle compravendite. Nel 2008 le compravendite crollano ma i prezzi continuano a salire. Per molti anni il mercato immobiliare rimane stabile fino a quando nel 2012 circa i prezzi iniziano a calare. La tassa sulla prima casa è stata tolta per cercare di far ripartire il mercato immobiliare e quindi far ripartire l’economia. 6.5 La ripresa è stata diseguale tra settori e territori Questo grafico ci fa vedere come sono i livelli di produzione prendendo il periodo gennaio – novembre 2015, calcolando l’indice della produzione industriale e confrontandolo con il 2008, cioè se il 2008 è 100 quanto vale la produzione industriale nell’industria italiana nel 2015? Vale 75. L’industria fa però +1% rispetto al 2014. In molti casi la produzione industriale che manca, è una produzione industriale che se ne è andata per sempre, anche a causa della globalizzazione di mercati. Le multinazionali infatti spesso vanno a produrre all’estero. Se guardiamo ad esempio la produzione di beni non durevoli, vediamo che nella crisi questa produzione ha subito meno, ma la ripresa economica non è ancora arrivata. Tutti i gruppi hanno subito la crisi, ma alcuni hanno visto la ripresa (beni di investimento, che sono i beni acquistati dalle aziende sono in forte ripresa; energetici, perché il prezzo del petrolio è basso) e altri no, e alcuni hanno subito una crisi in maniera più forte (beni durevoli; beni intermedi, cioè i semilavorati; entrambi addirittura Capitolo 6. Italia 2016 52 / 75 continuano a scendere) rispetto ad altri (beni non durevoli, beni di consumo). Durante la crisi si è sentito dire “questa crisi mette in crisi il modello del distretto”. In realtà i dati ci indicano che in realtà ci sono dei distretti che hanno una crescita delle esportazioni molto elevata. Nel caso dell’oreficeria in questo anno è successo che è risalito il costo di qualche materia prima, quindi l’aumento del fatturato è dovuto anche all’aumento del prezzo della materia prima. Ci sono poi alcuni distretti che soffrono molto, che in passato avevano gran successo. 6.6 Bilanci delle banche Nel corso del tempo alla ripresa è mancato il credito. Le banche in Italia sono molto più importanti rispetto ad altri paesi nel determinare i finanziamenti alle aziende. Se guardiamo le passività delle società non finanziarie (aziende) vediamo che sul totale dei 3600 miliardi circa un quarto dei prestiti viene da banche e altre società finanziarie. Un’altra cosa è che le azioni quotate contano poco, nel senso che le aziende italiane non si quotano in borsa. Vanno bene invece le azioni non quotate, il cui prezzo è determinato dal rapporto tra i soci che possono dar luogo a valori di mercato o anche lontani dal mercato. Inoltre le aziende non emettono corporate bonds, essendo la maggior parte piccole aziende. Ci sono poi i debiti commerciali. La cosa importante è che la salute dei bilanci bancari è cruciale nel determinare se le aziende hanno credito per poter fare investimenti. Se i bilanci bancari vanno male, le aziende non hanno soldi per fare i loro investimenti. Nel corso del tempo infatti alla ripresa è mancato il credito. Il primo grafico descrive l’andamento dei prestiti bancari al settore privato non finanziario, e vediamo che sull’asse delle y ci sono i tassi di crescita rispetto ai 12 mesi precedenti (o sui 3 mesi). Se all’inizio del 2014 abbiamo un −4, fatto 100 il livello dei prezzi, vuol dire che è −4% su 104. Questo vuol dire che i prestiti non salgono, ma che è minore il calo dei prestiti. Anni Livelli Tassi di crescita credito Quanto credito c’è nell’economia dopo la crisi rispetto a prima della crisi? 10% in più. Grossa parte di questo credito però è credito deteriorato. Le banche si sono trovate piene di crediti deteriorati (di cui alcuni inesigibili). Il grafico sulla destra ci dice cosa è successo all’interno dei settori. Dove c’è stata una ripresa del credito? Il credito alla manifattura alla fine del 2015 è finalmente ripartito; mentre il credito alle costruzioni continua a mostrare un segno meno. I mutui son tornati su per le famiglie. Anche ai servizi il credito non è ancora tornato com’era. Il credito quindi non è ancora tornato a circolare, anche se è molto più alto rispetto al 2007. Le banche si sono trovate quindi questi crediti deteriorati. A questo punto la banca si ripatrimonializza, cioè cerca di raccogliere capitale sul mercato per affrontare eventuali mancati rimborsi da parte di coloro a cui hanno dato a prestito i soldi (famiglie o imprese). Questo grafico presenta come sono venuti fuori i coefficiente patrimoniali delle Capitolo 6. Italia 2016 53 / 75 banche (capitale sicuro/asset pesati per il rischio). La BCE fissa un coefficiente intorno all’8% per vedere se la banca ha abbastanza capitale, ma dipende dalle banche (a volte lo fissa più basso). Le banche in effetti però si sono ricapitalizzate e hanno superato il coefficiente minimo. In questi giorni è stato fatto il fondo ATLAS per aiutare nella ricapitalizzazione le banche che ne hanno bisogno e nel riacquisto dei crediti deteriorati. È stata creata una holding nazionale per le banche di credito cooperativo, in modo che queste banche possono rivolgersi a questa holding per chiedere capitale. Questo fondo ATLAS è saltato fuori, perché sul totale dei prestiti fatti a giugno 2015 (500 miliardi alle famiglie e 1000 miliardi alle imprese), i prestiti che vanno bene sono circa il 90% per le famiglie consumatrici, ma le imprese che hanno debiti con scadenze rispettate sono solo il 70%. I crediti deteriorati sul totale sono circa 290 miliardi (29%); i crediti in sofferenza (difficoltà permanenti di rimborso) valgono 166 miliardi. In realtà queste sono le cosiddette sofferenze lorde, cioè al lordo degli accantonamenti delle banche. Una strategia potrebbe essere quella che hanno fatto le imprese bancarie in America, di cedere questi asset, ma in Italia le sofferenze cedute o cartolarizzate sono 11 miliardi sul totale. Come mai è così basso? Il fondo ATLAS è un modo per cercare di salvare le banche, anche se potrebbe portare giù tutte le banche, ma non fare niente sarebbe stato un problema più grande. Non tutti i settori sono ugualmente esposti all’emergere dei crediti deteriorati. Se prendiamo la quota dei prestiti bancari ai settori, sul totale dei prestiti bancari, vediamo che le quote di crediti deteriorati più o meno sono uguali. C’è un settore che è diverso dagli altri ed è il settore delle costruzioni, dove i crediti deteriorati sono una frazione molto più grande del totale (30% su 17% dei finanziamenti). Bail in: grande novità entrata in funzione nel 2016 ed ha dei pro e dei contro. Il bail out è la procedura che prevede che una banca non può fallire. Per salvare la banca servono i soldi pubblici e questa è la pratica del bail out. Fino ad oggi se una banca andava male ad essere coinvolti erano i possessori delle azioni. Siccome però il bail out è costoso. Con il bail in si è stabilito che a contribuire al dissesto di Capitolo 6. Italia 2016 54 / 75 una banca, ad essere chiamati in causa sono anche i detentori di depositi bancari sopra i 100.000 euro. Una volta che siano stati chiamati azionisti, obbligazionisti e depositanti dopo può intervenire lo stato con il bail out. Prima invece lo stato interveniva direttamente per salvare la banca. Quelli al sicuro sono i depositanti sotto i 100.000 euro e i bond garantiti da attivi. I pro di questa misura sono che c’è una regola al posto di una consuetudine (non per forza si doveva intervenire); non si fanno più drammatici salvataggi all’ultimo momento con i soldi dei contribuenti. L’ipotesi è che non ci siano effetti di feedback sui contribuenti dopo. I contro sono: aumento costo raccolta fondi per le banche; aumento tassi per emissione obbligazioni bancarie; minor valore di mercato delle banche; aumento costo del credito. Il problema è stato particolarmente grave in Italia, perché le famiglie italiane sono quelle che hanno comprato più bond bancari rispetto agli altri stati, fatto 100 i bond bancari emessi i bond nei portafogli delle famiglie sono il 28%. Conclusione: questo problema delle banche mina la fiducia. La ripresa dell’economia italiana è minacciata comunque da 5 parti. Di sicuro quello che vale è che ci vuole il lavoro e ci vuole il credito. La fiducia delle famiglie è abbastanza elevata, quella delle imprese di meno. Rispetto al passato la crescita dipende più dalla domanda interna che da quella estera. APPROFONDIMENTO Chi affonda quando le banche vengono salvate? I salvataggi bancari vecchio stile non sono più possibili. Le nuove regole impongono perdite ai risparmiatori, come abbiamo visto per le quattro banche regionali. Inutile prendersela con l’Europa, perché anche noi abbiamo approvato le nuove norme. Bisogna informare meglio i clienti delle banche. 6.7 Salvataggi bancari: in Europa la musica è cambiata Bail-in: questa parola sta entrando nel nostro vocabolario, come accadde qualche anno fa allospread, e diventa motivo di preoccupazione per i risparmiatori italiani, dopo il caso delle quattro banche (Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e CariChieti) che sono state “salvate” dal governo nel novembre 2015, imponendo allo stesso tempo pesanti perdite agli azionisti e ai detentori di obbligazioni subordinate. La domanda che molti si fanno è: ma se quelle banche sono state salvate, come è possibile che i risparmiatori abbiano dovuto subire tali perdite? La sorpresa e lo scontento sono stati così forti che il governo è intervenuto con un secondo provvedimento, volto a risarcire i risparmiatori più colpiti. La risposta alla domanda è abbastanza semplice: in Europa, le regole che riguardano i salvataggi bancari sono cambiate. A partire dall’inizio di quest’anno, è in vigore una nuova direttiva europea (Bank Recovery and Resolution Directive), i cui effetti erano stati in parte anticipati al 2013 dalla Commissione UE. La direttiva impone che, prima di utilizzare fondi pubblici per salvare una banca, una quota consistente delle perdite accumulate nella passata gestione venga addossata agli azionisti e ai creditori. Questi soggetti non sono tutti sullo stesso piano, anzi c’è Capitolo 6. Italia 2016 55 / 75 un ordine preciso. I primi a essere colpiti sono gli azionisti. Se ciò non basta, si passa alle obbligazioni subordinate. Poi viene il turno delle obbligazioni ordinarie. Infine, potrebbero essere chiamati in causa anche i depositanti, per le somme che eccedono i 100mila euro: fino a questo limite i depositi sono protetti dalla assicurazione e sono esenti dal bail-in. La ragione delle novità sta nelle ingenti somme spese da alcuni governi europei per salvare le banche dei loro paesi durante gli anni più neri della crisi finanziaria, dal 2008 al 2013. Quelli che hanno speso di più sono stati Germania e Regno Unito, seguiti da Irlanda, Spagna, Grecia, Belgio e Francia. La reazione dei governi, e dei loro elettorati, è stata: d’ora in poi, non si può addossare tutto il costo dei salvataggi bancari ai contribuenti. Per questo è stato introdotto il bail-in, che obbliga azionisti e creditori a contribuire al salvataggio di una banca in crisi. La parola stessa, bailin, si contrappone al termine inglese bail-out, con il quale venivano chiamati i salvataggi vecchio stile, completamente a carico dello Stato. E l’Italia dov’era? L’Italia era stata finora ai margini della vicenda. Negli anni bui della crisi finanziaria, il governo italiano ha speso somme insignificanti rispetto a quelle impiegate da altri paesi europei per sostenere il sistema bancario. Ciò è avvenuto grazie al fatto che le nostre banche erano molto meno esposte ai prodotti della cosiddetta finanza “tossica”, come i titoli derivati. Tuttavia, la crisi dell’economia reale si è poi fatta sentire anche sui bilanci delle banche italiane, che hanno accumulato una mole consistente di “sofferenze”, cioè di prestiti che (in parte) non verranno restituiti. Ora questo si riflette nella crisi di alcuni istituti di dimensione medio-piccola, che hanno la necessità di essere salvati con il contributo pubblico, dove “pubblico” vuole dire a carico del sistema bancario nel suo complesso ed eventualmente dello Stato. E qui interviene il bail-in: per ridurre al minimo possibile il contributo pubblico, gli azionisti e i creditori della banca “salvata” devono fare qualche sacrificio. Si dirà: prima gli altri governi europei hanno aiutato le loro banche, proteggendo completamente i risparmiatori; adesso che tocca a noi fare interventi di sostegno a qualche piccolo istituto, ci dicono che le regole sono cambiate e che i risparmiatori devono contribuire. È vero, però bisogna ricordare che le nuove regole europee le abbiamo approvate anche noi, o meglio i nostri rappresentanti nelle istituzioni europee: Commissione, Parlamento, Consiglio dei ministri. Le regole relative ai salvataggi bancari fanno parte del più ampio progetto di Unione bancaria, che ha avuto il pieno appoggio dell’Italia nelle trattative internazionali. Quindi i casi sono due: o i nostri rappresentanti non sapevano cosa stavano approvando, oppure lo sapevano, ma non hanno avuto la forza per opporsi all’introduzione di regole destinate ad avere pesanti ripercussioni sui risparmiatori italiani. Inutile accusare l’Europa, occorre informare i risparmiatori Che fare adesso? Ormai la frittata è fatta, e lanciare invettive contro l’Europa non serve a nulla, se non a screditare le istituzioni europee. Il principio del bail-in è stato incorporato nelle nostre leggi, e come tale va rispettato. Quello che bisogna fare è informare i risparmiatori del nuovo regime e dei rischi che comporta. Ciò deve avvenire senza fare allarmismi, perché la maggior parte delle banche italiane sono solide e con tutta probabilità non avranno bisogno di essere “salvate”. Però, una dose maggiore di trasparenza è senz’altro necessaria. Nel caso delle quattro banche salite all’onore delle cronache, la trasparenza è stata davvero Capitolo 6. Italia 2016 56 / 75 scarsa. La Commissione europea, in una sua comunicazione del luglio 2013, aveva sostanzialmente anticipato il principio del bail-in, limitatamente alle azioni e alle obbligazioni subordinate. Per capire cosa sono queste ultime bisogna ricordare che, in caso di fallimento di una banca, i detentori di obbligazioni subordinate vengono rimborsati solo dopo che le attività della banca stessa sono state usate per rimborsare tutti gli altri creditori. In altre parole, le obbligazioni subordinate sono una via di mezzo tra le azioni e i normali debiti di una banca. Ma soprattutto, dall’agosto del 2013, sono aggredibili in una procedure di salvataggio bancario. Quanti investitori tra quelli colpiti dal salvataggio delle quattro banche sapevano cosa sono le obbligazioni subordinate? Quanti sapevano dei rischi che comportano, non solo in caso di fallimento, ma anche di salvataggio? Individuare le responsabilità delle banche e delle autorità in questi casi specifici è doveroso. Tuttavia, per il futuro è ancora più importante che ci sia l’impegno a migliorare l’informazione che viene data ai clienti. Speriamo in bene. Capitolo 7. Cosa fanno le banche centrali 57 / 75 Capitolo 7 Cosa fanno le banche centrali 7.1 Introduzione Il mondo in cui viviamo oggi è un mondo in cui le banche centrali stanno inondando le economie con oceani di liquidità. Il punto di partenza è una negazione, nel senso che il compito normale delle banche centrali non è quello di creare più liquidità possibile, perché questo in realtà non è meglio per l’economia. Quali sono gli obiettivi delle banche centrali? Le banche centrali devono svolgere un compito istituzionale da settore pubblico e sono in un certo senso delegate dai cittadini per realizzare degli obiettivi. Il punto di partenza per capire gli obiettivi delle banche centrali è capire che cosa noi cittadini vogliamo da loro. Partendo dal modello di domanda/offerta aggregata, vediamo che i cittadini vorrebbero avere un livello di PIL vicino al suo livello potenziale, quindi né troppo basso (troppi disoccupati) né troppo alto (ogni lavoratore lavorerebbe troppe ore al giorno). Stabilito il livello di PIL ottimale, la quantità di PIL che possiamo produrre in un certo senso è data. Ci sono alcuni Paesi che possono crescere del 6/7% l’anno e ci sono Paesi che non riesco a crescere neanche dell’1% l’anno. Quindi una delle cose che i cittadini possono chiedere alle banche centrali dovrebbe essere avere un PIL ottimale di lungo periodo, così facendo l’economia dovrebbe crescere in modo relativamente ordinato e sostenibile. C’è poi un secondo obiettivo per i cittadini: avere dei redditi sostenibilmente alti e l’inflazione non dovrebbe essere troppo alta in modo da non avere un basso potere d’acquisto. L’inflazione dovrebbe essere in un intervallo tra 1% e 2%. Vorremo avere un inflazione giusta e una crescita del PIL sostenibile (punto di equilibrio di lungo periodo). L’inflazione deve essere bassa in modo da preservare il potere d’acquisto dei redditi dei cittadini e la crescita economia dovrebbe essere più rapida possibile. Dall’altro lato il banchiere centrale tiene in considerazione il fatto che avere la crescita molto rapida non è sempre positivo, perché la crescita troppo rapida genera maggiori costi; non è vero che avere sempre inflazione bassa è sempre una buona notizia per il consumatore, perché vi è il rischio che diventi deflazione. Questo a sua volta potrebbe portare a depressione perché si rinvia l’acquisto di beni durevoli e inoltre le aziende rinviano gli investimenti. Non si può quindi avere contemporaneamente alta crescita e bassa inflazione, quindi il banchiere centrale con le sue decisioni può muovere la domanda aggregata. Quando la banca centrale riduce i tassi di interesse, sposta verso destra la curva di domanda aggregata; quando compera titoli Capitolo 7. Cosa fanno le banche centrali 58 / 75 offrendo liquidità, sposta verso destra la curva di domanda aggregata. La banca centrale inoltre può anche annunciare cosa intende fare nel futuro. Dichiarando cosa intende fare nel futuro influenza le aspettative dei lavoratori (se io so che il tasso di interesse è basso oggi ma domani salirà, questo mi dovrebbe spingere a investire oggi). L’idea che la BCE sta trasmettendo in questo periodo è che l’inflazione sarà più alta nel futuro e quindi questo sposterà la curva di offerta aggregata verso destra. Se domani i prezzi dovranno essere più alti, in un periodo normale, questo porta i sindacati a chiedere maggiori aumenti salariali. Regola di Taylor Taylor ha stimato qual è la relazione che si può stimare che valga tra le decisioni della banca centrale e lo Stato dell’economia. Questo vuol dire che se l’obiettivo della banca centrale è ad esempio aumentare il PIL, la banca centrale dovrebbe spostare la curva di domanda o di offerta aggregata verso destra o verso sinistra. Il banchiere centrale tiene d’occhio l’output gap per fissare il tasso di interesse in funzione anche dell’inflazione. Taylor ha provato a stimare due costanti: c e d, dove C è circa 1,5 e D è circa 0,5. DRt = c (p-p*) + d (output gap) È deltaR perché si parte dal tasso di interesse presente per calcolare quello futuro. ΔRt = c (πt −2) + d [(PIL – PILlp)/PILlp] c = 1,5 d = 0,5 La banca centrale c’è da ricordare che, qualsiasi azione faccia, ci vogliono 9 mesi circa per vederne gli effetti. L’economia americana oggi sta andando bene, nel senso che l’inflazione è aumentata rispetto al passato e la crescita del PIL è circa 2,5% mentre negli ultimi anni è stata 2%, quindi vuol dire che oggi c’è qualche segno di surriscaldamento nell’economia americana. Questo vuol dire che la FED non sta aumentando/diminuendo i tassi di interesse. Usando i dati prima della crisi, quello che emergeva, è che i banchieri centrali nel mondo erano tendenzialmente più avversi all’inflazione che alla disoccupazione, nel senso che aumentavano i tassi solo di fronte all’inflazione. C e D, stimati prima della crisi, oggi non valgono più. 7.2 Le 4 implicazioni della regola di Taylor Prima implicazione (equilibrio): Se l’economia è in equilibrio, il banchiere centrale deve lasciare i tassi uguali, quindi non fare niente, l’equilibrio si sposterebbe. Ad esempio se abbassasse i tassi per avere più crescita, ci sarebbe sì più crescita, ma anche più inflazione. Seconda implicazione (shock della domanda aggregata): cosa il banchiere centrale deve fare quando ha a che fare con un shock della domanda aggregata? Nel caso in cui l’economia sia surriscaldata (shock alla domanda aggregata positivo), abbiamo che l’inflazione è maggiore al livello ottimale (2%) e il PIL è maggiore rispetto al PIL di equilibrio, quindi il banchiere centrale deve aumentare il tasso di sconto per spostare la curva verso sinistra. Se l’economia è in recessione (es. dopo Lehman), bisogna tagliare il tasso di sconto perché l’inflazione è troppo bassa e il PIL cresce poco. Capitolo 7. Cosa fanno le banche centrali 59 / 75 Terza implicazione (shock alla curva di offerta): se vi è uno shock negativo alla curva di offerta, la curva va verso sinistra e vi è troppa inflazione ma poco PIL, quindi con troppa inflazione bisognerebbe aumentare il tasso di sconto, ma con poco PIL bisognerebbe tagliare il tasso di sconto. In questo caso la regola di Taylor è ambigua, quindi capire l’entità di queste due variabili. Se lo shock è di uguale ammontare in PIL e inflazione, dobbiamo guardare la stima di C e D e dipende quindi se c’è avversione alla disoccupazione o all’inflazione. Prima della crisi si sarebbero dovuti aumentare i tassi, perché si aveva più paura dell’inflazione che infatti aumentò rapidamente, mentre la disoccupazione (in Europa) non si era ancora mossa. Il tasso di interesse in Europa nel 2008 infatti è aumentato. Il banchiere centrale può solo spostare la curva di domanda aggregata verso sinistra o verso destra, in caso di shock negativo alla curva di offerta, aumenterà il tasso di sconto spostando la curva verso sinistra, peggiorando comunque la disoccupazione. Tagliando i tassi di sconto invece si sposta la curva verso destra, tornando alla piena occupazione ma facendo salire ancora di più l’inflazione. Quarta implicazione (shock mercati finanziari): nella maggior parte dei casi le banche centrali devono rispondere a variazioni sui mercati finanziari (es. tassi di cambio, titoli, mercato immobiliare). Più in generale tutta questa discussione sulla regola di Taylor sembra che non descriva bene le decisioni delle banche centrali che sembra che siano collegate soprattutto ai mercati finanziari. Le banche centrali non reagiscono alle oscillazioni dei mercati finanziari fin tanto che queste oscillazioni sono piccole. Quando sono grandi PIL e inflazione vengono invece influenzate da eventuali apprezzamenti/deprezzamenti o da un crollo del mercato immobiliare. Le banche centrali non devono far nulla davanti alle variazioni giornaliere perché se la banca centrale interviene ogni giorno, non si riescono a far più previsioni su un investimento, perché non si saprebbe mai il costo del credito. Andamento dei tassi di interesse (azzurro) e l’andamento che secondo Taylor avrebbero dovuto avere i tassi di interesse nell’economia americana (blu). Quindi secondo la regola di Taylor dall’inizio del 2002 la Federal Reserve avrebbe dovuto alzare pian piano i tassi di interesse, evitando in parte la bolla che si è verificata. In realtà i tassi sono rimasti costanti fino a metà 2002, poi sono stati tagliati fino al 2004 fino a quando la FED non ha iniziato ad aumentarli. Ciò che è avvenuto con la crisi è che a un certo punto ha smesso di funzionare il mercato interbancario che è quello su cui le banche commerciali trovano solitamente i loro fondi per poter operare. Tra il 2008 e il 2009 sono saliti gli spread sui mercati finanziari, questo vuol dire che normalmente quando i mercati funzionano sono molto vicini a 0 (spread = differenza tra tasso di interesse che un debitore è disponibile a pagare e il tasso di interesse che uno che dà a prestito vuole portare a casa), se c’è concorrenza lo spread è sempre molto vicino a 0. Durante la crisi finanziaria le varie banche non erano più disponibili a prestare alla banca A che aveva visto un deteriorarsi del suo bilancio. Di fatto nell’economia la situazione che venne a crearsi fu che alcune banche non avevano più accesso ai fondi e altre banche che avevano troppa liquidità ma non volevano disfarsene per paura del verificarsi di una nuova crisi finanziaria. In questo caso lo spread sale. I mercati interbancari smettono di funzionare e le banche non riescono più ad avere accesso ai fondi per prestare a famiglie e imprese. Di fronte a una situazione di questo tipo, le banche centrali decisero di azzerare in poco tempo i tassi di interesse. Capitolo 7. Cosa fanno le banche centrali 60 / 75 La FED inizia ad azzerare i tassi dalla metà del 2007, mentre la Bank of England e la BCE si muovono più lentamente, anche se all’inizio del 2009 avevano sostanzialmente portato i tassi di interesse verso 0. Nel luglio 2008 la BCE decide di aumentare i tassi di interesse mentre le altre banche li tennero costanti, anzi si preparavano nel fare dei tagli. Questi tagli arrivarono anche in Europa ma più tardi. Il tasso della BCE rimase sistematicamente più alto rispetto a quello prevalente negli Stati Uniti di circa un punto. Come possiamo spiegare questo taglio così forte? Il PIL scendeva, l’inflazione veniva azzerata e l’economia era sottoposta a uno shock della domanda aggregata. Qui ci fu la risposta da Taylor di tagliare i tassi di molto. Da qui in poi i tassi vengono tenuti costanti per un lungo periodo di tempo, con un eccezione dove aumentarono i tassi di interesse nella metà 2011 a fronte di un ulteriore aumento del prezzo del petrolio. Come mai la BCE è stata l’unica banca ad aumentare i tassi? La BCE ha scritto nello statuto che deve preoccuparsi di mantenere l’inflazione bassa, mentre la FED ha l’obiettivo di mantenere condizioni di stabilità dei prezzi e un elevato livello di occupazione. Un banchiere centrale di fronte a un aumento del prezzo del petrolio era incerto, ma decise di aumentare il tasso di interesse contribuendo a portare la domanda aggregata verso sinistra, facendo quindi scendere l’inflazione. La domanda di fondo è: cosa succede quando i tassi sono a 0? Come fa la banca centrale per incoraggiare l’economia? Da allora la previsione all’inizio del 2014 era che la crisi stesse diventando meno acuta e questo avrebbe portato le banche centrali ad aumentare i tassi di interesse (2,5% per la Bank of England e la FED per la fine del 2017). In realtà siamo ancora molto lontani da questa previsione, perché la situazione è rimasta più o meno uguale. In che modo le banche centrali hanno iniziato a lavorare in aree non conosciute? Hanno cominciato a fare delle cose diverse dal passato, perché raggiunto il pavimento dello 0 non potevano tagliare più. Portare i tassi a 0 non è stato sufficiente per risolvere i problemi, perché le banche commerciali per prestare devono avere liquidità e capitale; quindi se offri liquidità a queste banche commerciali con bilanci disastrati non è detto che queste lo useranno per dare prestiti ad aziende e famiglie. Le banche centrali inizialmente iniettarono direttamente più liquidità, alcune istituzioni erano così poco liquide che rischiavano di fallire, quindi la prima ondata di aumento degli asset delle banche centrali è servita per tirare via dai bilanci bancari i titoli problematici, per evitare fallimenti bancari ben più ampi di quelli che si erano verificati. La banca centrale del Giappone aveva iniziato già prima ad aumentare gli asset perché la crisi ce l’hanno dagli anni ’90 circa. Dopo la prima ondata, in realtà il credito non ripartiva. Ci furono quindi altre due ondate. Prima del 2008 le banche centrali comperavano solo titoli del tesoro (titoli del debito pubblico). Dal 2008 in poi il bilancio della banca centrale si riempie di bad asset. Perché in effetti questo si traduce in una riduzione del costo del credito? Da un lato la banca centrale compra titoli a più lunga scadenza, ma per i piccoli imprenditori si riduce il costo del credito. Questo perché il costo del credito per un’azienda è fatto da: 1) Tasso di mercato: tasso di interesse che paga il governo. La piccola impresa paga uno spread tra il miglior tasso sul mercato e il tasso che viene praticato dalla Capitolo 7. Cosa fanno le banche centrali 61 / 75 banca commerciale che dà a prestito alla piccola impresa, che è funzione di quanto è capitalizzata la piccola impresa. Quanto più alto è il capitale dell’impresa, tanto più alta è la garanzia che ha la banca, tanto più basso è il costo che paga l’impresa (spread). 2) Durante la crisi si è capito che il tasso di interesse che viene offerto ai piccoli investitori è anche in funzione delle condizioni del bilancio della banca che dà a prestito, se ha cattive condizioni questa banca vorrà dare in prestito a un tasso di interesse più alto, perché essa stessa raccogliendo i fondi pagherà un tasso di interesse più alto. La banca che dà a prestito prende a prestito a sua volta da un’altra banca e pagherà un tasso più alto se la banca ha cattive condizioni del bilancio. La banca centrale compra i bad asset dalle banche commerciali, pulendo i loro bilanci e quindi i capitali delle banche migliorano. La FED compra direttamente i bad asset, quindi denaro in cambio di bad asset, togliendo quindi questi bad asset dal bilancio delle banche commerciali e facendoli finire sul proprio bilancio. In Europa invece la BCE, siccome non c’è accordo per fare la stessa operazione della FED, perché i titoli problematici in Europa erano titoli del debito pubblico e il problema è che la BCE nello statuto dice che non può finanziare il deficit pubblico dei singoli paesi. Quindi la BCE fece un programma LTRO cioè delle operazioni di rifinanziamento delle banche commerciali a lungo termine, perché la BCE accettava anche dei titoli problematici come garanzia in cambio della liquidità che dava a prestito alle banche commerciali europee. Quindi invece di acquistare direttamente questi bad asset con denaro, la BCE dava a prestito dei soldi al tasso di interesse dell’1% per 3 anni e chiedendo in garanzia degli asset, anche bad asset. Ma i bad asset non hanno lasciato i bilanci delle banche commerciali, c’è stata una maggiore copertura dei bad asset ma senza essere cancellati dai bilanci delle banche. Quindi in pratica il rischio rimane attaccato alla banca commerciale in Europa, mentre in America si sposta sul bilancio della FED. Per dare a prestito serve liquidità e capitale, la BCE fornì liquidità ma non poteva fornire capitale, cosa che invece la FED fece. A un certo punto nei primi mesi del 2015 la BCE inizia ad acquistare i titoli liberando i bilanci delle banche commerciali dai titoli che queste banche sono disponibili a vendere. L’esistenza di una politica di diffusione di liquidità e di pulizia dei bilanci, contribuisce a ridurre il costo del credito. Dove ci hanno portato tutte queste decisioni? In America i mercati finanziari sono tornati su subito, già dall’inizio del 2009. Inoltre sono diminuiti gli spread in giro per l’economia, gli spread erano saliti enormemente e nel 2009 sono scesi notevolmente. Dove siamo rimasti? La situazione è un po’ diversa in Europa e negli Stati Uniti. Gli Stati Uniti da anni sono in una fase di crescita economica che per il momento non ha più mostrato pause, la disoccupazione è tornata al 5% e il debito pubblico è aumentato, c’è credito ma ogni tanto c’è il rischio di una nuova bolla in alcune aree (la più recente nel mercato delle tecniche di estrazione del petrolio). In Europa c’è una ripresa, il debito pubblico in alcuni paesi è molto più alto rispetto agli Stati Uniti, vi è potenziale default per alcuni Paesi, la disoccupazione continua a essere molto alta e il credito non sta ripartendo con alcune eccezioni (in Germania il Capitolo 7. Cosa fanno le banche centrali 62 / 75 credito c’è). Si prevede che l’impegno della BCE per sostenere tassi bassi rimarrà per un lungo periodo di tempo, molto più lungo che per gli Stati Uniti. Capitolo 8. Tassi di cambio 63 / 75 Capitolo 8 Tassi di cambio 8.1 Tassi di cambio Ci sono vari tassi di cambio. Il tasso di cambio è il prezzo di una valuta nei confronti di un’altra valuta e questo tasso di cambio che prendiamo come scontato viene chiamato tasso di cambio nominale e lo si può intendere in due modi in realtà: prezzo della valuta interna in termini della valuta estera o prezzo della valuta estera in termini della valuta interna. Non fa differenza perché se con un euro compro un dollaro e dieci o con un dollaro compro 1/1,1, cioè con un dollaro compro 0,91 euro, stiamo sempre parlando dello stesso tasso di cambio, cioè vuol dire che un euro vale un po’ più di un dollaro. Normalmente quando parliamo del cambio, l’accezione che usiamo è il prezzo della valuta interna in termini della valuta estera, cioè con un euro quanto mi compero (certo per incerto). Questo tasso di cambio nominale a sua volta, nella maggior parte dei casi, è calcolato relativamente a una valuta estera specifica, quindi di tassi di cambio bilaterali ce ne sono n −1, se ci sono n valute (es. euro nei confronti della sterlina, del dollaro, ecc.). Siccome però noi potremmo chiederci se l’euro è forte o debole. Il valore di una moneta non è dato da uno specifico tasso di cambio bilaterale, per misurare la forza della valuta bisogna usare i singoli tassi di cambio bilaterali e nel costruire la media dobbiamo ponderare per quanto è importante un determinato Paese per l’euro zona. Quindi si può costruire un tasso di cambio medio dell’euro nei confronti del resto del mondo che si cambia tasso di cambio effettivo. Il tasso di cambio effettivo misura il valore medio della valuta interna rispetto alla media ponderata delle valute dei partner commerciali. Quali sono i pesi? Il peso è la quota sul commercio tra il Paese domestico e il Paese estero. Si apprezza il valore di una moneta quando il valore di questa moneta sale (es. l’euro va a un dollaro e 40 da un dollaro e 10). Si deprezza quando il valore di una valuta misura in termini di unità della valuta estera da acquistare va giù. Quando si dice che l’euro raggiunge la parità col dollaro, significa che con un euro compro un dollaro. Bisogna sempre controllare se stiamo misurando euro in dollari, o dollari in euro, perché si può far facilmente confusione. Il tasso di cambio è importante perché è associato alla capacità di un paese di competere nei confronti dei suoi partner. Quando un paese è competitivo rispetto a un altro? Quando ha prezzi bassi o quando ha una qualità più alta. Possiamo Capitolo 8. Tassi di cambio 64 / 75 incorporare questa idea di competitività di un paese nei confronti di un altro (prezzi bassi) usando il tasso di cambio nominale confrontandolo con il livello dei prezzi. Tasso di cambio reale = (confronto tra il prezzo del bene domestico x tasso di cambio nominale) / prezzo dei beni prodotti all’estero Tasso di cambio reale = (confronto tra prezzi dei beni prodotti nell’euro zona x tasso di cambio nominale) / prezzo dei beni prodotti in USA Quello che vi è tra parentesi traduce il prezzo in euro in dollari per poter fare un confronto. Confrontare il prezzo di un automobile nell’euro zona con il prezzo di un automobile negli Stati Uniti non è fattibile a meno che non usiamo il cambio nominale per poter tradurre i due prezzi nella stessa valuta. Questo numero è una misura della competitività di un paese. Quando vi è un deprezzamento nel tasso di cambio reale dell’euro, significa che i paesi dell’Euro zona producono beni che sono diventati meno costosi relativamente ai beni prodotti fuori dall’Euro zona, quindi si guadagna competitività. Qual è la conseguenza del guadagno di competitività? Supponiamo che ci sia un deprezzamento del tasso di cambio reale. • Questo incoraggia i consumatori interni a comperare di più i beni prodotti nell’euro zona e di meno quelli prodotti fuori dall’euro zona. Questo significa che se i consumatori dell’Euro zona comprano di più dell’euro zona, importeranno di meno da fuori e quindi diminuiscono le importazioni. • I consumatori esteri (es. americani) vorranno importare di più e quindi per l’euro zona aumenteranno le esportazioni. Per queste due ragioni le esportazioni nette aumentano. Per quanto riguarda l’apprezzamento è tutto il contrario. Come si fa a guadagnare competitività e a far scendere il tasso di cambio reale? Se il numeratore scende o se il denominatore sale. Il numeratore scende se vi è un deprezzamento del cambio nominale o se scendono i prezzi interni. A loro volta i prezzi interni possono scendere per varie ragioni: se scendono i salari netti, se scendono le tasse sul lavoro, se sale la produttività. A parità di salario se i miei lavoratori producono di più per ogni ora lavorata i miei costi di produzione saranno più bassi. Inoltre ci sono anche altri costi di produzione (es. energia, che viene dal prezzo del petrolio). Il denominatore sale se aumentano i prezzi esteri, ma questo non è uno strumento nelle mani dell’euro zona ma è un dato. Dati i costi di produzione e i prezzi esteri, noi dobbiamo adeguarci. Vediamo quindi le altre opzioni, anche se non sono cose facili da fare. Possiamo anche migliorare il PIL per ogni ora lavorata e aumentare la qualità dei prodotti. L’Italia non può svalutare la propria moneta perché fa parte dell’Euro, ma è la BCE che può farci guadagnare competitività. L’Italia non può guadagnare competitività usando la leva del cambio. Bisognerebbe ridurre il prezzo del produrre energia in Italia, ma quanto siamo disponibili a rovinare le coste per avere energia a costo basso fatta da noi? Anche se anche tenere le coste pulite è un modo di guadagnare competitività (nel settore del turismo). Per ridurre il costo dell’energia bisogna accettare alcune scelte (es. energia nucleare in Francia). Il costo del lavoro per guadagnare competitività Capitolo 8. Tassi di cambio 65 / 75 è: tagliare gli stipendi (salari netti) anche se questo ha effetti sul morale delle persone e quindi sulla motivazione della gente a lavorare; quello che interessa alle aziende è tagliare i salari lordi, quindi il governo può ridurre le tasse sul lavoro (compresi i contributi sociali) in modo da non abbassare il morale e di ridurre il costo del lavoro per le aziende, ma riduciamo i benefici pensionistici. Rimane l’aumento della produttività, facendo innovazione a livello aziendale. Ma che tipo di innovazioni si fanno? Di processo e di prodotto; di processo tagliando posti di lavoro fondamentalmente e delocalizzando la produzione, e questo riduce il costo del lavoro; di prodotto investendo sulle skills e producendo meglio le cose che già sono nel portafoglio dell’azienda, ma ovviamente bisogna investire per fare innovazione di prodotto, ma si può scegliere tra make or buy. Tutto ciò è misurato dal tasso di cambio reale, che cambia in funzione di quello che succede a queste variabili. Per fare un esempio possiamo confrontare la competitività dell’Italia con quella americana guardando a quanto grande è il salario lordo in Italia, che è più o meno uguale a quello americano e più basso di quello tedesco. Quindi l’Italia dal punto di vista del lavoro è competitiva quanto gli Stati Uniti ed entrambe sono più competitive della Germania. Ma il costo del lavoro è fatto dal salario e dalla produttività. La produttività vediamo che è più alta in America, in mezzo c’è la Germania e in Italia è più bassa. Quindi l’Italia paga i lavoratori al lordo delle tasse come gli Stati Uniti ma abbiamo una produttività più bassa. Rispetto alla Germania invece l’Italia ha una produttività più bassa e dei salari più bassi. Le tasse sul lavoro in Italia e Germania sono simili e in USA son più bassi. Quindi gli USA sono più competitivi perché sono più produttivi, hanno salari lordi piuttosto bassi perché le tasse sul lavoro sono basse. In USA infatti il finanziamento pensionistico è un po’ a carico dello Stato un po’ a carico dei lavoratori. Per questo le aziende riescono a creare più posti di lavoro. In America inoltre hanno tasse sull’utile aziendale che sono più alte di quelle che ci sono in Italia e in Germania. Questo ci fa capire perché Microsoft vuole far figurare i suoi utili in Irlanda (come anche altre aziende come Google). Un altro motivo per cui gli USA e la Germania sono più competitivi dell’Italia è la qualità dei prodotti, e per questo hanno esportazioni molto alte. L’Italia ha poi altri concorrenti. Noi figuriamo come il paese ad alto costo confrontandoci con Polonia e Slovacchia. Qui vediamo che Polonia e Slovacchia hanno un vantaggio in termini di salario lordo e non è perché hanno le tasse sul lavoro più basse (che sono più o meno simili all’Italia) e i lavoratori polacchi e slovacchi guadagnano di meno. L’Italia paga di più i lavoratori ma allo stesso tempo è più produttiva. Il vantaggio di produttività è più piccolo del vantaggio del salario. Quindi nei confronti di Polonia e Slovacchia i salari netti degli italiani sono troppo alti. Per questo è importante riuscire a competere sulla qualità dei prodotti con USA e Germania in modo da differenziarci da Polonia e Slovacchia. Inoltre nei paesi dell’Est hanno aliquote di tassazione del reddito d’impresa molto basse e questo è un modo per attirare capitali. Uno dei problemi è che questi paesi non hanno tutto il welfare che abbiamo noi, ed è per questo che l’Italia non può avere una tassazione così bassa. Indice Big Mac per capire il potere di acquisto di un paese Teoria della parità dei poteri di acquisto (PPA): il tasso di cambio tra due valute tende naturalmente ad aggiustarsi, in modo che un insieme di beni abbia lo stesso Capitolo 8. Tassi di cambio 66 / 75 costo in entrambe le valute. Indice Big Mac = PREZZO DI UN BIG MAC IN UN DATO PAESE (NELLA SUA VALUTA) / PREZZO DI UN BIG MAC IN UN ALTRO PAESE (NELLA SUA VALUTA) Indice Big Mac vs tasso di cambio effettivo tra le valute dei due paesi: • Se è più basso: la prima valuta è sottostimata rispetto alla seconda. • Se è più alto: la prima valuta è sopravvalutata rispetto alla seconda. L’economist da anni prova a calcolare il tasso di cambio reale utilizzando il Big Mac (bene simile in tutti i Paesi). Quindi si prova a calcolare quale sarebbe il tasso di cambio che renderebbe uguali i prezzi del Big Mac in due paesi presi a caso. Il risultato di questo esperimento è che il rapporto dovrebbe essere uguale a 1, ma non è così. Da questo confronto il ragionamento che è stato fatto è che se non è così vuol dire che la valuta è sottostimata o sopravvalutata. Quali sono le forze che fanno modificare il tasso di cambio nominale? Il valore dell’euro è determinato nel mercato della valuta estera. Cosa succede nel mercato della valuta estera che influenza il valore dell’euro? • Le esportazioni di pomodoro di Pachino che vanno in Svizzera influenzano il mercato della valuta estera, perché per comperare pomodori di Pachino, gli svizzeri hanno bisogno degli euro. L’esportazione di un prodotto dall’euro zona fuori dall’euro zona genera una domanda di euro. Inoltre anche se i pomodori fossero pagati in franchi svizzeri, la domanda di euro molto probabilmente potrebbe andare su. Questo perché se io sono l’esportatore, vendo pomodori e ricevo franchi svizzeri, devo comunque cambiare i franchi svizzeri in Euro per comprare all’interno dell’Euro zona. Indipendentemente dalla valuta con cui sono pagati i pomodori di Pachino, prima o poi la domanda di euro sale in conseguenza dell’esportazione dei pomodori di Pachino. A fianco di un’esportazione c’è una domanda di euro. • Quando importiamo un barile di petrolio dall’Arabia Saudita, in questo caso non c’è una domanda di euro, ma c’è un’offerta di euro sul mercato della valuta estera perché il prezzo del petrolio lo paghiamo in dollari e lo importiamo fuori dall’euro zona. Quindi abbiamo che dobbiamo offrire euro sul mercato della valuta estera e procurarci dollari per poter pagare il barile di petrolio. Quindi mentre le esportazioni generano una domanda di euro, le importazioni generano un’offerta di euro sul mercato della valuta estera dove si scambiano euro con dollari. • Se c’è la vendita di BTP a blackrock (fondo di investimento più importante del mondo), in questo caso blackrock ha bisogno di euro quindi domanderà euro per acquistare BTP e quindi la domanda di euro va su. • Acquisto azioni Chrysler (società americana) da Fiat vendendo euro e comperando dollari, quindi l’offerta di euro aumenta. Riassunto: esiste sul mercato della valuta estera domanda e offerta di euro che è l’altra faccia della domanda delle transazioni che avvengono. Dall’incrocio della Capitolo 8. Tassi di cambio 67 / 75 domanda e offerta di euro si ottiene il valore dell’euro rispetto a quello delle altre valute. Nel mercato della valuta estera possiamo tracciare la domanda di euro, quando si genera domanda? Quando ci sono degli stranieri (gente che vive fuori dall’Euro zona) che acquistano beni o attività prodotti o generati all’interno dell’euro zona. Questa curva di domanda di euro ha una pendenza negativa rispetto al tasso di cambio. Quando scende il valore dell’euro (scendiamo lungo la curva di domanda), aumenta la domanda di euro perché quando scende il valore di ER guadagniamo competitività e quindi esportiamo di più, e questo fa salire la domanda di euro. Quando si genera offerta? Quando ci sono degli stranieri che vendono beni o servizi a famiglie e imprese dell’Euro zona e questi stranieri vogliono essere pagati nella loro valuta. Quindi famiglie e imprese offrono euro per comprare dollari. L’inclinazione rispetto al tasso di cambio è positiva, perché quando sale il valore dell’euro, i prodotti fatti in America diventano meno costosi per l’Euro zona e quindi le importazioni andranno su e la curva ha una pendenza positiva, perché quando si apprezza l’euro aumenta il volume di euro per effettuare la transazione. Dall’intersezione delle due curve abbiamo il tasso di cambio di equilibrio, dove domanda e offerta di euro sono uguali. Quali sono le ragioni per cui possiamo prevedere che l’euro salga? • Se il PIL dell’euro zona scende e quello degli USA rimane uguale, cosa succede all’euro? L’euro si deprezza ma bisogna capire perché questo succede. Il risultato che dovrebbe succedere in realtà è il contrario, l’euro dovrebbe apprezzarsi. Questo perché quando scende il PIL, scendono le importazioni, diminuisce l’offerta di euro e la curva di offerta di euro si sposta a sinistra, quindi ci sono meno euro offerti sul mercato a parità di euro domandati. Quando c’è troppa domanda e troppa poca offerta, il prezzo dei beni sale. Quindi quando il PIL rallenta, sul mercato della valuta estera il cambio euro/dollaro dovrebbe apprezzarsi. Di solito però non succede così, perché quasi sempre associato a un rallentamento del PIL, c’è sempre quello che ci si aspetta dalla regola di Taylor, cioè che le banche centrali cercano di aiutare l’economia tagliando i tassi. • Se l’inflazione scende in Europa e non scende negli Stati Uniti, o se il livello dei prezzi scende in Europa e non negli Stati Uniti, cosa succederà se scende il PIL? Guadagniamo competitività perché i prezzi son più basse degli Stati Uniti, le esportazioni salgono, le importazioni scendono e salgono le esportazioni nette. Quando le esportazioni salgono la curva di domanda si sposta verso destra e quando le importazioni scendono l’offerta si sposta a sinistra. Avendo un inflazione bassa dobbiamo quindi aspettarci che la valuta salga. • Movimenti di capitale: se sale il tasso di interesse dell’euro zona rispetto all’America, un risparmiatore che mette i suoi soldi nell’euro zona avrà un tasso di interesse, se li mette in America avrà un altro tasso di interesse. Quindi se questo succede, i capitali si muoveranno dall’America dentro l’Euro zona. Quindi questo vuol dire che viene un fondo di investimento americano che si compera i BTP dell’euro zona e vi è una domanda di euro. Tutte queste cose sono aumenti del volume di euro domandati sul mercato, quindi la curva di domanda di euro si sposta verso destra e l’euro si Capitolo 8. Tassi di cambio 68 / 75 apprezza. • Politiche future: se la FED dice che ha intenzione di tagliare i tassi di interesse in futuro, l’effetto sul mercato della valuta ci sarà già oggi. Questo perché il risparmiatore vuole evitare di avere una perdita in conto capitale, quindi vuole evitare di avere in tasca i dollari sapendo che domani il dollaro si deprezzerà. In questo caso il risparmiatore venderà i dollari al tasso di cambio di oggi. In funzione degli annunci della banca centrale i tassi di cambio iniziano a muoversi senza alcuna politica. Quello che determina il valore della valuta dall’oggi al domani sono gli elementi 3 e 4, perché per i primi 2 ci vuole molto più tempo. E’ per questo che quando sentiamo che l’economia rallenta ci aspettiamo che l’euro si deprezzi anche se dovrebbe apprezzarsi, ma questo è solo un pezzo del risultato perché il grosso dell’effetto è dato dal fatto che quando il PIL scende la BCE taglia o annuncia di tagliare i tassi subito. L’economia dei tassi di cambio può aiutare a diventare miliardari? No. Il grosso dei movimenti sul mercato della valuta estera non sono determinati da PIL e inflazione ma dall’oscillazione dei tassi o dalle previsioni. Le notizie che arrivano sono le cose che muovono i tassi di cambio. Se prendiamo i dati prendendo orizzonti di tempo molto lunghi, quello che si vede è che i paesi che hanno un differenziale di inflazione positivo nei confronti degli Stati Uniti sono i paesi in cui la valuta domestica si è deprezzata più o meno dello stesso ammontare del differenziale di inflazione. In realtà conta anche la rischiosità delle allocazioni di portafoglio. Il punto di fondo è che sul breve termine inflazione e PIL non prevedono bene cosa succede al cambio. Gli indicatori migliori sono: leggere il giornale e vedere le notizie sui tassi di oggi e di domani, cioè sulle politiche monetarie dei vari paesi. I singoli paesi dopo il 2008 hanno cercato di difendersi dalla crisi tagliando i tassi ma è più efficace se sei l’unico paese a farlo. Infine i tassi di cambio sono molto importanti anche per i bilanci delle aziende. La svalutazione è favorevole alle aziende multinazionali. Capitolo 9. Fonti per testo e immagini; autori; licenze 69 / 75 Capitolo 9 Fonti per testo e immagini; autori; licenze 9.1 Testo • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Introduzione/Introduzione Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/ Introduzione/Introduzione?oldid=36168 Contributori: Ale • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Introduzione/Regola del 70 Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/ Introduzione/Regola_del_70?oldid=36010 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/La crisi attraverso i grafici/Introduzione Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_ per_il_management/La_crisi_attraverso_i_grafici/Introduzione?oldid=36019 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/La crisi attraverso i grafici/Domanda aggregata Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_ per_il_management/La_crisi_attraverso_i_grafici/Domanda_aggregata?oldid=36017 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/La crisi attraverso i grafici/Curva di offerta aggregata Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_ macroeconomici_per_il_management/La_crisi_attraverso_i_grafici/Curva_di_offerta_ aggregata?oldid=36015 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/La crisi attraverso i grafici/L’evoluzione della crisi post-2007 Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_ macroeconomici_per_il_management/La_crisi_attraverso_i_grafici/L%E2%80%99evoluzione_ della_crisi_post-2007?oldid=36021 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Com’era l’economia mondiale prima della crisi/Introduzione Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_ macroeconomici_per_il_management/Com’era_l’economia_mondiale_prima_della_crisi/ Introduzione?oldid=36032 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Com’era l’economia mondiale prima della crisi/Fast growers e crescita nelle aree geografiche Fonte: https://it. wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/Com’era_l’economia_ mondiale_prima_della_crisi/Fast_growers_e_crescita_nelle_aree_geografiche?oldid=36030 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Com’era l’economia mondiale prima della crisi/Convergenza e divergenza nei livelli di reddito Fonte: https:// it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/Com’era_l’economia_ mondiale_prima_della_crisi/Convergenza_e_divergenza_nei_livelli_di_reddito?oldid=36028 Contributori: Ale e Francesca Capitolo 9. Fonti per testo e immagini; autori; licenze 70 / 75 • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Com’era l’economia mondiale prima della crisi/Sintesi Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_ per_il_management/Com’era_l’economia_mondiale_prima_della_crisi/Sintesi?oldid=36034 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/La crisi finanziaria/The nittygritty Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/ La_crisi_finanziaria/The_nitty-gritty?oldid=36043 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/La crisi finanziaria/ABS (Asset Backed Securities), liquidità e credito all’economia Fonte: https://it.wikitolearn. org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/La_crisi_finanziaria/ABS_ (Asset_Backed_Securities)%2C_liquidit%C3%A0_e_credito_all’economia?oldid=36039 Contributori: Ale, Francesca e Anonimo: 1 • Corso:Scenari macroeconomici per il management/La crisi finanziaria/Conclusione Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/ La_crisi_finanziaria/Conclusione?oldid=36041 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Recessioni e recuperi/Recessioni e recuperi Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_ per_il_management/Recessioni_e_recuperi/Recessioni_e_recuperi?oldid=36050 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Recessioni e recuperi/Cosa succederà nel 2016? Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_ per_il_management/Recessioni_e_recuperi/Cosa_succeder%C3%A0_nel_2016%3F?oldid= 36048 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Italia 2016/L’andamento del PIL annuale Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_ il_management/Italia_2016/L%E2%80%99andamento_del_PIL_annuale?oldid=36063 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Italia 2016/Un rallentamento della crescita mondiale Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_ per_il_management/Italia_2016/Un_rallentamento_della_crescita_mondiale?oldid=36067 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Italia 2016/La domanda interna potrebbe smettere di crescere Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_ macroeconomici_per_il_management/Italia_2016/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_ di_crescere?oldid=36059 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Italia 2016/Insufficiente contributo del settore immobiliare Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_ macroeconomici_per_il_management/Italia_2016/Insufficiente_contributo_del_settore_ immobiliare?oldid=36057 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Italia 2016/La ripresa è stata diseguale tra settori e territori Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_ macroeconomici_per_il_management/Italia_2016/La_ripresa_%C3%A8_stata_diseguale_ tra_settori_e_territori?oldid=36061 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Italia 2016/Bilanci delle banche Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/ Italia_2016/Bilanci_delle_banche?oldid=36055 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Italia 2016/Salvataggi bancari: in Europa la musica è cambiata Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_ macroeconomici_per_il_management/Italia_2016/Salvataggi_bancari%3A_in_Europa_ la_musica_%C3%A8_cambiata?oldid=36065 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Cosa fanno le banche centrali/Introduzione Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_ il_management/Cosa_fanno_le_banche_centrali/Introduzione?oldid=36072 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Cosa fanno le banche centrali/Le 4 implicazioni della regola di Taylor Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso% Capitolo 9. Fonti per testo e immagini; autori; licenze 71 / 75 3AScenari_macroeconomici_per_il_management/Cosa_fanno_le_banche_centrali/Le_4_ implicazioni_della_regola_di_Taylor?oldid=36074 Contributori: Ale e Francesca • Corso:Scenari macroeconomici per il management/Tassi di cambio/Tassi di cambio Fonte: https://it.wikitolearn.org/Corso%3AScenari_macroeconomici_per_il_management/ Tassi_di_cambio/Tassi_di_cambio?oldid=36079 Contributori: Ale e Francesca 9.2 Immagini • File:ABS_(Asset_Backed_Securities),_liquidity_and_credit_to_the_economy_ 1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/d/d9/ABS_%28Asset_Backed_Securities% 29%2C_liquidity_and_credit_to_the_economy_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:ABS_(Asset_Backed_Securities),_liquidity_and_credit_to_the_economy_ 2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/d/d3/ABS_%28Asset_Backed_Securities% 29%2C_liquidity_and_credit_to_the_economy_2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Bilanci_delle_banche_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/4/45/Bilanci_ delle_banche_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Bilanci_delle_banche_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/3/3f/Bilanci_ delle_banche_2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Bilanci_delle_banche_3.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/6/6f/Bilanci_ delle_banche_3.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Bilanci_delle_banche_4.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/7/71/Bilanci_ delle_banche_4.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Bilanci_delle_banche_5.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/2/2e/Bilanci_ delle_banche_5.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Bilanci_delle_banche_6.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/7/7b/Bilanci_ delle_banche_6.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Bilanci_delle_banche_7.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/7/77/Bilanci_ delle_banche_7.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Chi_sono_stati_i_fast_growers?.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/ it/9/90/Chi_sono_stati_i_fast_growers%3F.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Com’era_l’economia_mondiale_prima_della_crisi-Sintesi_1.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/5/5b/Com%27era_l%27economia_mondiale_prima_della_ crisi-Sintesi_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Com’era_l’economia_mondiale_prima_della_crisi-Sintesi_2.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/8/83/Com%27era_l%27economia_mondiale_prima_della_ crisi-Sintesi_2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Convergenza_e_divergenza_nei_livelli_di_reddito_1.png Fonte: http://it. wikitolearn.org/images/it/5/53/Convergenza_e_divergenza_nei_livelli_di_reddito_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Convergenza_e_divergenza_nei_livelli_di_reddito_2.jpg Fonte: http://it. wikitolearn.org/images/it/4/43/Convergenza_e_divergenza_nei_livelli_di_reddito_2.jpg Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Convergenza_e_divergenza_nei_livelli_di_reddito_3.jpg Fonte: http://it. wikitolearn.org/images/it/6/63/Convergenza_e_divergenza_nei_livelli_di_reddito_3.jpg Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Convergenza_e_divergenza_nei_livelli_di_reddito_4.png Fonte: http://it. wikitolearn.org/images/it/a/a9/Convergenza_e_divergenza_nei_livelli_di_reddito_4.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Cosa_succederà_nel_2016?_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/ 9/9d/Cosa_succeder%C3%A0_nel_2016%3F_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? Capitolo 9. Fonti per testo e immagini; autori; licenze 72 / 75 • File:Cosa_succederà_nel_2016?_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/ 3/33/Cosa_succeder%C3%A0_nel_2016%3F_2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Cosa_succederà_nel_2016?_3.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/ 8/8a/Cosa_succeder%C3%A0_nel_2016%3F_3.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Cosa_succederà_nel_2016?_4.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/ 1/1e/Cosa_succeder%C3%A0_nel_2016%3F_4.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Cosa_succederà_nel_2016?_5.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/ a/a6/Cosa_succeder%C3%A0_nel_2016%3F_5.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Cosa_succederà_nel_2016?_6.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/ 1/1d/Cosa_succeder%C3%A0_nel_2016%3F_6.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Curva_di_offerta_aggregata_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/ 9/92/Curva_di_offerta_aggregata_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Curva_di_offerta_aggregata_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/ d/d8/Curva_di_offerta_aggregata_2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Domanda_aggregata_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/e/e0/Domanda_ aggregata_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Domanda_aggregata_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/2/2c/Domanda_ aggregata_2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Economia_mondiale_prima_della_crisi_-_introduzione_01.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/3/3a/Economia_mondiale_prima_della_crisi_-_introduzione_ 01.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Economia_mondiale_prima_della_crisi_-_introduzione_02.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/c/cb/Economia_mondiale_prima_della_crisi_-_introduzione_ 02.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Economia_mondiale_prima_della_crisi_-_introduzione_03.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/b/b9/Economia_mondiale_prima_della_crisi_-_introduzione_ 03.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Evoluzione_della_crisi_post-2007_0.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/ it/a/a7/Evoluzione_della_crisi_post-2007_0.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Evoluzione_della_crisi_post-2007_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/ it/6/60/Evoluzione_della_crisi_post-2007_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Evoluzione_della_crisi_post-2007_3.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/ it/6/69/Evoluzione_della_crisi_post-2007_3.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Evoluzione_della_crisi_post-2007_4.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/ it/d/dc/Evoluzione_della_crisi_post-2007_4.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Evoluzione_della_crisi_post-2007_5.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/ it/f/f9/Evoluzione_della_crisi_post-2007_5.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Evoluzione_della_crisi_post-2007_6.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/ it/f/f2/Evoluzione_della_crisi_post-2007_6.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Implicazioni_regola_di_Taylor_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/ it/9/9e/Implicazioni_regola_di_Taylor_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? Capitolo 9. Fonti per testo e immagini; autori; licenze 73 / 75 • File:Implicazioni_regola_di_Taylor_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/ it/8/85/Implicazioni_regola_di_Taylor_2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Implicazioni_regola_di_Taylor_3.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/ it/7/72/Implicazioni_regola_di_Taylor_3.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Implicazioni_regola_di_Taylor_4.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/ it/7/7a/Implicazioni_regola_di_Taylor_4.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Implicazioni_regola_di_Taylor_5.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/ it/6/6f/Implicazioni_regola_di_Taylor_5.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Implicazioni_regola_di_Taylor_6.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/ it/4/4a/Implicazioni_regola_di_Taylor_6.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Implicazioni_regola_di_Taylor_7.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/ it/e/e8/Implicazioni_regola_di_Taylor_7.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Implicazioni_regola_di_Taylor_8.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/ it/2/2a/Implicazioni_regola_di_Taylor_8.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Insufficiente_contributo_del_settore_immobiliare.png Fonte: http://it.wikitolearn. org/images/it/c/cc/Insufficiente_contributo_del_settore_immobiliare.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Introduzione.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/c/cb/Introduzione.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Introduzione_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/6/64/Introduzione_ 1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Introduzione_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/c/cb/Introduzione_ 2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Italia_2016_L’andamento_del_PIL_annuale_1.png Fonte: http://it.wikitolearn. org/images/it/7/7d/Italia_2016_L%E2%80%99andamento_del_PIL_annuale_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Italia_2016_L’andamento_del_PIL_annuale_2.png Fonte: http://it.wikitolearn. org/images/it/4/46/Italia_2016_L%E2%80%99andamento_del_PIL_annuale_2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_crisi_finanziaria-The_nitty-gritty_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/ images/it/0/04/La_crisi_finanziaria-The_nitty-gritty_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_crisi_finanziaria-The_nitty-gritty_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/ images/it/e/eb/La_crisi_finanziaria-The_nitty-gritty_2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_crisi_finanziaria-The_nitty-gritty_3.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/ images/it/0/0f/La_crisi_finanziaria-The_nitty-gritty_3.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_1.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/7/7a/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_10.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/e/e8/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 10.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_11.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/8/8c/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 11.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? Capitolo 9. Fonti per testo e immagini; autori; licenze 74 / 75 • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_12.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/a/ac/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 12.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_13.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/b/b4/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 13.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_14.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/c/c1/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 14.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_15.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/9/98/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 15.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_16.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/8/89/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 16.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_17.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/9/90/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 17.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_18.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/a/aa/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 18.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_2.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/9/93/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_3.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/6/62/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 3.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_4.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/1/1d/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 4.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_5.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/6/69/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 5.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_6.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/e/e5/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 6.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_7.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/2/26/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 7.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_8.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/0/05/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 8.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_9.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/8/86/La_domanda_interna_potrebbe_smettere_di_crescere_ 9.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_ripresa_è_stata_diseguale_tra_settori_e_territori_1.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/d/d3/La_ripresa_%C3%A8_stata_diseguale_tra_settori_ e_territori_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_ripresa_è_stata_diseguale_tra_settori_e_territori_2.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/3/32/La_ripresa_%C3%A8_stata_diseguale_tra_settori_ e_territori_2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:La_ripresa_è_stata_diseguale_tra_settori_e_territori_3.png Fonte: http: //it.wikitolearn.org/images/it/3/3c/La_ripresa_%C3%A8_stata_diseguale_tra_settori_ e_territori_3.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? Capitolo 9. Fonti per testo e immagini; autori; licenze 75 / 75 • File:Recessioni_e_recuperi_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/8/8c/Recessioni_ e_recuperi_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Recessioni_e_recuperi_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/d/dc/Recessioni_ e_recuperi_2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Recessioni_e_recuperi_3.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/6/69/Recessioni_ e_recuperi_3.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Recessioni_e_recuperi_4.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/4/45/Recessioni_ e_recuperi_4.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Recessioni_e_recuperi_5.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/c/cd/Recessioni_ e_recuperi_5.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Recessioni_e_recuperi_6.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/e/e3/Recessioni_ e_recuperi_6.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Recessioni_e_recuperi_7.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/e/e1/Recessioni_ e_recuperi_7.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Regola_del_70_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/e/e6/Regola_del_ 70_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Regola_del_70_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/f/ff/Regola_del_ 70_2.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Regola_del_70_3.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/0/0a/Regola_del_ 70_3.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Tassi_di_cambio_1.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/c/c1/Tassi_ di_cambio_1.png Licenza: ? Contributori: ? Artista originale: ? • File:Tassi_di_cambio_2.png Fonte: http://it.wikitolearn.org/images/it/8/86/Tassi_ di_cambio_2.png Licenza: ? Contributori: ? 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