La Chiesa in Italia dopo il Concilio Vaticano II

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P E R C O RS O EQ U I PE C A R I T A S D IO C E S A NA
anno pastorale 2007/2008
La Chiesa in Italia
dopo il Concilio Vaticano II
- appunti -
don Giovanni Perini
direttore Caritas diocesana di Biella
Prima tappa - Roma, 12/14 novembre 2007
LA CHIESA IN ITALIA
DOPO IL CONCILIO VATICANO II
- appunti -
DA EVANGELIZZAZIONE E TESTIMONIANZA DELLA CARITÀ ALL’ ENCICLICA
DEUS CARITAS EST
Uno sguardo sinottico al cammino della Chiesa italiana e a quello della Caritas in
questi ultimi due decenni, per non andare ancora più indietro, mostra una profonda e
innegabile sintonia. E non può essere altrimenti, visto che la Caritas è l’organismo
pastorale della Chiesa italiana in ordine all’animazione e alla sensibilizzazione alla
carità nei confronti delle comunità cristiane.
Così a partire dalle indicazioni del Magistero Pontificio, inclusa la recente Lettera
enciclica “Deus caritas est” di Benedetto XVI (cfr. Appendice), e da quelle della
Conferenza Episcopale Italiana, la Caritas ha ulteriormente approfondito, nel campo
proprio che le spetta, la riflessione sulla carità, sostenendo il cammino delle comunità
locali sulla via della testimonianza evangelica dell’amore ricevuto e donato.
La sintonia dei cammini emerge chiaramente anche solo a partire da uno sguardo
sintetico al percorso ecclesiale che ha preso il via con il documento pastorale dei
Vescovi “Evangelizzazione e testimonianza della Carità” per gli anni ’90.
Dopo aver riflettuto per due decenni sul tema dell’evangelizzazione e su quello dei
Sacramenti, con questo documento i Vescovi richiamavano l’attenzione della Chiesa
italiana sulla dimensione testimoniale della carità, definendola “via privilegiata della
evangelizzazione”.
L’intento profondo del documento è quello di mostrare e convincere che la carità non è
solo riferibile agli atti buoni e solidali del credente, ma è la forma relazionale che
assume la fede quando si incontra con la realtà degli altri. Infatti, la radice della carità
è il Vangelo di Gesù che rivela il volto amoroso del Padre, la vita di comunione della
Trinità stessa e si dona nel gesto eucaristico.
A partire da questa sorgente il cristiano testimonia l’amore in due direzioni: una
interna alla comunità per rifarne con l’amore il tessuto cristiano e l’altra verso
l’esterno, verso la società attraverso il dialogo e il servizio al bene comune. I Vescovi
ricordavano poi l’ineludibile compito educativo della carità nel costruire una cultura
della solidarietà, soprattutto tra i giovani, e nell’attivare una presenza responsabile
nell’ambito sociale e politico.
Quattro anni dopo, nel 1994, Giovanni Paolo II in preparazione al Giubileo
pubblicava la lettera “Tertio millennio adveniente”, nella quale invitava la Chiesa
intera a prepararsi all’evento giubilare, di cui spiegava la portata delineandone i tratti
essenziali, attraverso un percorso di tre anni che incentrassero l’attenzione su Gesù
Cristo, sullo Spirito Santo e sul Padre. Proprio nel terzo anno dedicato al Padre, il Papa
chiedeva di “mettere in risalto la virtù teologale della carità”, rispondendo alla “crisi di
civiltà, con la civiltà dell’amore”.
A far eco alla voce dei Vescovi e del Papa l’anno dopo, nel 1995, la Caritas
Italiana pubblicava un piccolo testo dal titolo “Lo riconobbero nello spezzare il
pane”, come Carta pastorale della carità. In esso si riprendevano ed approfondivano
vari spunti e tematiche presenti nel documenti citati precedentemente: l’attenzione
alle situazioni storiche attuali; la necessità di una conversione verso una
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comprensione unitaria dell’esperienza cristiana, coniugata nelle dimensioni
dell’annuncio, della celebrazione e della carità; la centralità dei poveri nella cura
pastorale delle comunità, ecc. E si evidenziava come l’esercizio della carità dentro la
Chiesa è finalizzato alla costruzione della comunione e, nei confronti della società, alla
denuncia delle “strutture di peccato” e all’indicazione di percorsi e “scelte di
riconciliazione e di pace”. Infine si ripresentava la Caritas sottolineandone la natura di
“organismo pastorale” della Chiesa italiana per la sensibilizzazione, l’animazione e il
servizio pedagogico alla carità delle comunità cristiane.
Il cammino della Chiesa italiana proseguiva con una nota pastorale della metà
degli anni novanta, a seguito del Convegno ecclesiale di Palermo, intitolata: “Con il
dono della carità dentro la storia”. In essa, a partire da una riflessione
sull’esperienza ecclesiale di Palermo, si sottolineava con particolare insistenza come
“la fede non ci distoglie da nostri doveri terreni”, perché “la carità congiunge la
preghiera con l’impegno in modo da rendere contemplativi nell’azione e memori del
mondo davanti a Dio”.
Concretamente ciò induce la “Chiesa a farsi carico di onerosi servizi sociali e a porsi
come riferimento etico della società” e la stessa parrocchia è chiamata a edificarsi
come “comunità missionaria e soggetto sociale sul territorio”. Tali affermazioni hanno
come fondamento la convinzione cristiana che Gesù “è attuazione perfetta dell’uomo”.
Questi sono anche gli elementi fondamentali “del progetto culturale della Chiesa in
Italia”. È possibile ritrovare molte tematiche riprese e ripresentate sulla carità, sui
poveri, sul rapporto con le altre dimensioni dell’esperienza cristiana e sulla necessaria
conversione pastorale. Infine, si ricordava che a Palermo “è stato ribadita come
urgente la costituzione in ogni parrocchia della Caritas parrocchiale”.
Per facilitare l’attualizzazione di questo compito, la Caritas italiana nel 1999
diffondeva un altro breve documento: “Da questo vi riconosceranno…”, con
l’intento preciso e specifico di mettere a fuoco l’identità e i compiti della Caritas
parrocchiale.
Per evitare possibili distorsioni, la riflessione sulla Caritas poneva come punto di
partenza una riflessione sulla parrocchia. La Caritas non è una realtà parallela,
autonoma o staccata dalla comunità parrocchiale, ma ne è una forza e presenza
interna. Essa appartiene di natura alla comunità parrocchiale perché ne esprime e
manifesta il volto amoroso e solidale e fa riferimento al parroco come a suo naturale
presidente, animatore, educatore.
Per questo si ribadiva il doppio compito della Caritas parrocchiale: a servizio della
comunione intraecclesiale, favorendo la collaborazione e l’unità delle tre dimensioni
della pastorale, la realizzazione dei luoghi della comunione, l’affermarsi di uno stile di
fraternità; e a servizio del territorio, con una presenza operosa e testimoniale in
armonia con l’indicazione del Papa nella Sollicitudo rei socialis, n.38 dove invitava ad
essere “tutti responsabili di tutti”. Nella seconda parte si tracciava un profilo operativo
e si offrivano indicazioni per il sorgere di una Caritas parrocchiale.
L’inizio del terzo millennio è segnato da una lettera apostolica di Giovanni Paolo II
che porta il titolo “Novo millennio ineunte”. In essa il Papa sollecitava “a fare
memoria grata del passato, a vivere con passione il presente, ad aprirci con fiducia al
futuro”, fondati sulla parola di Gesù a Pietro: Duc in altum, espressione che costituiva
il filo rosso di tutta la lettera papale.
Dopo aver dato uno sguardo retrospettivo ai grandi eventi connessi alla celebrazione
del Giubileo, in modo particolare soffermandosi sul tema del Pellegrinaggio, il Papa
invitava la Chiesa a raccogliersi intorno alla icona del volto di Gesù da contemplare,
ripercorrendo la testimonianza dei Vangeli.
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Dalla contemplazione del volto del Signore che “è lo stesso, ieri, oggi e sempre”, la
Chiesa trae la certezza della sua perenne presenza. Da questa attinge per “un
rinnovato slancio nella vita cristiana” che, avendo come meta la santità, è sorretta nel
suo svolgersi storico dalla Parola, dalla Eucaristia, dalla Riconciliazione, dalla
preghiera, che dicono il primato della grazia su ogni tipo di realizzazione pastorale.
Nell’ultima parte il Papa indugiava abbondantemente sul tema della carità, che,
fondata su una spiritualità di comunione, si dirama in tutte le direzioni. Sono parole
calde, incisive, che, riprendendo la forte tradizione caritativa della Chiesa, la
incarnano nella realtà presente e la proiettano verso l’avvenire: “Se siamo ripartiti
davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto nel
volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi”, perché “nella persona dei
poveri c’è una sua presenza speciale, che impone alla chiesa un’opzione preferenziale
per loro”.
L’accorato appello del Papa trova il suo vertice là dove scrive:”È l’ora di una nuova
fantasia della carità”, nella “capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre”, “in modo
che i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come a casa loro”.
Riprendendo il documento pontificio, i Vescovi con “Comunicare il Vangelo in
un mondo che cambia” dettavano le linee dell’agire pastorale della Chiesa italiana
per il primo decennio del 2000. Dopo aver richiamato in modo forte e marcato
l’esigenza di porsi di fronte a Gesù Cristo in ascolto e contemplazione della sua Parola,
i Vescovi definivano la missione della Chiesa nell’annunciare il Vangelo dentro i
cambiamenti attuali e indicavano compiti e priorità pastorali segnate da una
connotazione missionaria e da qualità formativa.
L’attenzione veniva richiamata sulla centralità del giorno del Signore e sulla
parrocchia, come luogo naturale di riferimento della comunità, in cui il cristiano è
aiutato a far maturare la propria fede adulta e “pensata”, capace di attenzione non
solo ai battezzati, ma anche ai non praticanti, con i quali è necessario stabilire “una
buona qualità di rapporti umani”. Dopo aver ricordato l’iniziazione cristiana e il
progetto culturale, a proposito della carità invitavano “a far sorgere in ogni comunità,
accanto agli spazi per il culto e la catechesi, una struttura di servizio per i poveri”.
Ormai a metà del primo decennio del 2000, con “Il volto missionario delle
parrocchie in un mondo che cambia”, i Vescovi mandano un altro messaggio alla
Chiesa italiana puntando l’attenzione preminentemente sulla parrocchia, come
“comunità di fedeli … che dimorano in un determinato territorio, senza esclusione di
nessuno, senza possibilità di elitarismo”.
Oltre che ridare fiducia e respiro alla parrocchia, il documento la mette
significativamente in relazione alla Chiesa particolare, di cui è “come una cellula”, e al
territorio, con il quale sviluppa stretti legami grazie ai quali la comunità parrocchiale
vive la sua vocazione missionaria e sfugge al pericolo di “autereferenzialità”.
Indicando i nuovi orizzonti cui una parrocchia deve ispirarsi, i Vescovi delineano un
vero e proprio percorso di accesso alla fede che partendo dall’annuncio del Vangelo,
attraverso il cammino di iniziazione cristiana, fa accedere all’Eucaristia e alla
testimonianza di vita a beneficio anche della società intera, ricordando che l’apertura
alla carità deve “far crescere la coscienza dei fedeli in ordine ai problemi della povertà
nel mondo, dello sviluppo nella giustizia e nel rispetto della creazione, della pace tra i
popoli”.
Una sottolineatura alla “pastorale integrata” e al servizio missionario conducono
alla conclusione con l’invito alla parrocchia ad essere “casa della speranza”.
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Tra dicembre 2005 e gennaio 2006, è apparsa la Lettera Enciclica “Deus caritas
est” di Papa Benedetto XVI, un documento programmatico per la Chiesa del terzo
millennio, concepito con il dichiarato intento di “suscitare nel mondo un rinnovato
dinamismo di impegno nella risposta umana all’amore divino” (n. 1) e centrato
interamente sulla carità.
Nell’ottica Caritas, è una significativa opportunità per avviare ulteriori e
dettagliate riflessioni su tutti gli aspetti che toccano direttamente e più da vicino
l’identità, la presenza e le attività della stessa Caritas Italiana e delle Caritas
diocesane e parrocchiali.
(estratto da Partire dai poveri per costruire comunità)
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LA TRACCIA DI RIFLESSIONE IN PREPARAZIONE AL CONVEGNO ECCLESIALE
DI VERONA ALLA LUCE DELL'ENCICLICA DI BENEDETTO XVI
Premessa
La riflessione che intendo proporre non ha come oggetto una lettura organica e
per esteso della Traccia, né una sua presentazione generale (che credo ormai nota a
tutti noi) ma la scelta di alcuni elementi che ritengo determinanti, sia per la
comprensione del testo che per i risvolti riguardanti le caritas, articolati in due
momenti.
In una prima parte ho cercato di mettere in evidenza, a partire da alcuni
contenuti evidenti ed espliciti del testo della Traccia, la presenza dei così detti
contenuti profondi, di quei presupposti cioè che reggono e giustificano le affermazioni
del testo stesso, soprattutto per quanto riguarda la concezione della Chiesa. Condivido
infatti pienamente l’impostazione di Caritas Italiana che insiste correttamente sul fatto
che ogni caritas diocesana e parrocchiale è parte viva della Chiesa, inserita nel
contesto e nel tessuto vitale delle comunità locali, ed al loro servizio: anzi sostengo
che la possibilità di costruire e far crescere una caritas, in modo coerente con la sua
identità statutaria, dipende dalla concezione previa e sottostante di Chiesa.
In secondo luogo ho voluto tentare una lettura intertestuale, vale a dire una
lettura che mette in relazione testi diversi per autore, ma legati ad un medesimo
universo, nel nostro caso l’universo ecclesiale e magisteriale in particolare. Ho letto
cioè alcuni temi della Enciclica di Benedetto XVI “Deus caritas est” come filtro e
criterio di interpretazione della Traccia, perché mi sembra che la lettera del Papa
possa costituire lo sfondo naturale sia del documento di Verona sia della realtà della
Caritas e aiuti a chiarire alcuni fraintendimenti e ambiguità che potrebbero nascere sia
dall’interpretazione della Traccia che dalla comprensione della Caritas e del suo
rapporto con la comunità cristiana.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Nella prima parte prenderò quindi in esame i seguenti elementi:
la concezione di Chiesa alla luce del Concilio e in particolare della Lumen gentium;
il rapporto Chiesa-mondo nella forma riconciliata;
la radice comune del divino e dell’umano;
la ministerialità laicale-secolare;
l´atteggiamento della cura;
le aporie tra le linee programmatiche e i vissuti locali.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Nella lettura intertestuale emerge:
la priorità del cuore;
l´unificazione dell’esperienza;
lo scioglimento dell’ambiguità della relazione Chiesa-mondo;
lo scioglimento dell’ambiguità del servizio della carità;
una proposta ecclesiologica;
una conferma del cammino Caritas.
6
1. La Traccia di riflessione in preparazione al Convegno Ecclesiale di Verona
1.1 La concezione di Chiesa alla luce del Concilio e in particolare della Lumen
gentium
Il riferimento al Concilio Vaticano II è esplicito fin dall’inizio quando, nel
presentare gli intenti del IV Convegno ecclesiale, si afferma che se ne vogliono
“riprendere gli intenti e lo slancio” [1]. Non so se da questa affermazione è lecito
dedurre una dichiarazione di stanchezza e/o di lentezza, che traspare dalle comunità
cristiane, nel perseguire il cammino aperto dal Concilio. Secondo alcuni teologi è
infatti possibile leggere tre posizioni rispetto all’evento conciliare.
C´è chi concepisce il post-concilio come il tempo della restaurazione del preconcilio. Questo sarebbe stato un errore o al massimo il fuoco fatuo di un momento
che ha portato più danni che benefici e che soprattutto ha fatto perdere alla Chiesa la
sua posizione di egemonia nella società.
C´è ancora chi concepisce il post-concilio come il tempo del regno del presente,
della navigazione a vista, per il quale non conta il passato, che non tornerà, né un
futuro di cui non si possono intravvedere segnali e indicazioni, e che quindi rimane
vago e incerto. Non sapendo dove andare ci si concentra sull’adesso, sul qui e sull’ora,
recuperando o introducendo la dimensione emozionale della religione, l´unica capace
di parlare alla gente e di curare le ferite delle illusioni proposte dal Vaticano II.
Infine c´è chi vede nel dopo Concilio il tempo della realizzazione, ma anche del
risituazionamento delle intuizioni e delle spinte conciliari, dato il profondo mutamento
intervenuto in questi anni e le “domande acute” che sorgono da questi nuovi scenari.
La Traccia afferma di volersi situare in questa terza posizione: quella della
continuità. La Chiesa va dunque pensata e realizzata a partire da quel nuovo volto che
il Concilio ha consegnato al secolo scorso.
Le affermazioni sulla identità della Chiesa, presenti nella Traccia, cominciano
così: “La Chiesa è evento dello Spirito” [5], perché, viene spiegato, solo lo Spirito fa
comprendere ai discepoli la verità della Parola di Gesù.
La definizione di Chiesa come evento, pur non dovendola leggere in opposizione
alla categoria di istituzione, si pone tuttavia in una certa tensione con essa. Evento
dice un accadere e un accadere di grazia, sottratto al potere manipolatore e
calcolatore dell’uomo e risituato dentro l´ambito del Mistero, quindi del Sacramento.
Infatti subito dopo prosegue dicendo che “la Chiesa è il segno reale del Vangelo
accolto”. E´ la presentazione di una Chiesa dall’alto che si visibilizza nella sequela
docile ed obbediente.
Poi si prosegue affermando: “La Chiesa del Risorto è la comunità costruita
sull’amore” [3].
Già il documento Comunione e Comunità aveva fondato trinitariamente il tema
dell’amore dentro la Chiesa e non è qui il caso di tornarci sopra. Quello che mi pare di
dover mettere in evidenza è che la categoria dell’amore richiama e si fonda (mentre
nello stesso tempo la qualifica), su quella di relazione, e anche la relazione appartiene
all’ordine degli eventi, (anche quando dura per tutta la vita) perché la scelta dell’altro
non è mai posseduta, né scontata, e insieme appartiene all’ordine del significato, anzi
del massimo di significato che umanamente si può raggiungere ed esprimere. E’ certo
che il senso dell’espressione “comunità costruita sull’amore” indica prima di tutto
l’amore di cui Dio circonda e diffonde nella e sulla Chiesa, amore per definizione
gratuito e amore che perdona. Mi sembra che questa definizione specifichi
ulteriormente nella forma e nel contenuto il senso della prima, la Chiesa come evento.
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Un’altra affermazione si trova al n. 19: “La narrazione delle opere di Dio spiega
che cosa sia la Chiesa: “non popolo” diventato “popolo di Dio”, oggetto di
“misericordia”” (1Pt 2,10). Ancora un evento di grazia, una trasformazione dovuta non
alla ricerca di perfezione, non al risultato dell’impegno morale, fuori dalla portata della
scelta dell’uomo. Per questo motivo la Chiesa può annunciare e testimoniare la
speranza: se a lei, comunità di uomini peccatori è capitata la grazia di essere accolta e
amata da Dio, allora c´è speranza anche per tutta l´umanità, essendo la Chiesa
niente altro che anticipo del destino riservato a tutti i popoli.
In questa impostazione si può notare la ripresa di tematiche ecclesiologiche
presenti soprattutto nella prima parte della Lumen gentium, dove si sottolinea
maggiormente la Chiesa nel suo mistero.
1.2 Il rapporto Chiesa-mondo nella forma riconciliata
Se l´impostazione ecclesiologica espressa dalle formulazioni citate fa
riferimento alla costituzione dogmatica sulla Chiesa, la prospettiva di lettura del tempo
presente e dei segni dei tempi, fa invece riferimento alla Gaudium et spes. Soprattutto
l´insistenza continuata sul rapporto della Chiesa con il mondo, la storia, la società, la
cultura, ecc., dice la modalità positiva, riconciliata con il mondo, nell’insieme della sue
manifestazioni, posizione che è sempre stata vista come tipica della Gaudium et spes,
a tal punto da non essere sfuggita ad alcune critiche di troppa fiducia, di troppo
ottimismo, che avrebbe impedito di vedere l’inizio imminente della crisi dell’epoca.
Sta di fatto che la Chiesa torna a tendere la mano al mondo, è desiderosa di
affrontare insieme i problemi vecchi e nuovi che si presentano all’orizzonte, è pronta a
dire la sua parola sulla grandi domande dell’esistenza, sembra recuperare fiducia
istituzionale tra la gente, stanca forse del disfacimento e dalla mancanza di
progettualità a grande respiro della politica e della avidità del mercato e della finanza,
delusa infine dalle promesse andate a vuoto della scienza. Il predominio della tecnica
che continua ad avanzare, tagliando i ponti con tutto il resto che non sia la sua
continua possibilità di sviluppo, ha inaridito il cuore dell’uomo capace di parlare a
distanze infinite, ma senza dialogo con chi gli sta vicino. In questo panorama la Chiesa
sembra più degna di fede, più vicina alla concretezza della gente e anche più capace
di dare risposte ai bisogni contemporanei. Ma se tutto questo può avere una sua
oggettività rilevabile ad una analisi sociologica, come vive la Chiesa questo suo ruolo?
Con quali atteggiamenti o quali pretese si pone nei confronti del mondo?
Fino a che punto è chiaro, sia nella sua consapevolezza che nella ricezione della
gente, se la sua parola è offerta di senso o è pretesa di univoca imposizione?
Sappiamo che il modo e la forma della comunicazione della fede ha un’incidenza
profonda e a volte determinante per l’accoglienza o per il rifiuto della parola cristiana
e va al di là delle stesse intenzioni. Su questo punto si impone una sanante
chiarificazione.
1.3 La radice comune del divino e dell’umano
Tra le ragioni che sostengono la convinzione della Chiesa di poter e dover dire
la sua parola al mondo sottostà, più o meno chiaramente espressa, la certezza che
non c´è nulla di autenticamente umano che sia alieno dal cristianesimo e che porti,
anche nella inconsapevolezza del soggetto, il marchio cristiano. Che l´umano sia
anche cristiano, e, rovesciando la proposizione, che il cristiano sia pienamente umano,
è argomentato, da alcuni, dal fatto che l´uomo non solo porta indelebile in sé il
marchio della creazione, porta in sé quindi il segno di Dio, della sua immagine, anche
se deturpata dal peccato, ma soprattutto dal fatto che il modello insuperabilmente
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vero di umanità si è realizzato in Gesù Figlio di Dio. E´ Lui l’uomo a cui fare
riferimento, è Lui l´uomo per definizione. L’ultima conseguenza di questa posizione
sarebbe che il Vangelo vale per tutti, non nel senso che è destinato a tutti, nella forma
classica di un annuncio universale che richiede e presuppone una libertà di adesione e
di scelta, ma che semplicemente, essendo il vangelo la verità dell’uomo, esso deve
avere valore obbligante, a cui anche la società e la politica devono fare riferimento.
Non è chi non veda che questa posizione ha bisogno di essere purificata
dall’ambiguità e dalla contraddizione in cui può cadere, se il dialogo formalmente
annunciato, si trasforma di fatto in una imposizione.
1.4 La ministerialità laicale-secolare
Il Convegno Ecclesiale esplicita la sua destinazione laicale e afferma di voler
porre attenzione al ruolo dei laici e ai loro compiti. E´evidente che la Traccia fa una
lettura laicale-secolare dell’identità e della vocazione dei battezzati. Anche questo fa
parte del patrimonio del Vaticano II, che, proponendo l‘immagine della Chiesa come
Popolo di Dio, effettuando l´inversione della tradizionale trattazione dei soggetti
ecclesiali - che iniziava invariabilmente dalla gerarchia, consegnando la costituzione
Gaudium et spes e infine, solo per citare i documenti di maggior rilievo, dedicando una
apposita trattazione per i laici (Apostolicam Actuositatem) - ha ribadito con estrema
chiarezza il posto del fedele laico nella Chiesa e nella società, chiarendo in modo
particolare come il suo compito di testimone impegnato non sia una concessione, un
permesso o peggio qualcosa di sopportato da parte della gerarchia, ma definendo che
il battesimo è la radice della appartenenza del fedele laico alla Chiesa.
Laicato e ministerialità diffusa (Chiesa fatta di ministeri) sono tematiche che si
svilupparono insieme. C´è da riconoscere che nel post-concilio questa posizione aprì le
porte a molti laici e laiche nella pastorale, soprattutto nella catechesi,
nell’amministrazione economica delle parrocchie e in tante altre attività fino ad allora
appannaggio del clero o al massimo delle religiose. Eppure questa ricca e numerosa
presenza laicale in ministeri interni alla Chiesa non solo non esaurisce la responsabilità
del laico, esercitata in nome e a partire dalla propria fede, ma al limite rischia di
ridurla e sviarla, quando almeno diventa l’unica forma di impegno, e lascia sussistere
il dubbio di una utilizzazione da parte del clero dell’opera laicale fatta non in onore alla
sua dignità, ma al venir meno della presenza clericale e al conseguente bisogno di
riempire i quadri. Già il Concilio aveva affermato che l’ambito proprio della missione
del laico è il mondo, la società.
La Traccia lo ribadisce in modi diversi. Ne segnalo due che mi sembrano
notevoli per la loro portata. Innanzitutto la scelta degli ambiti della testimonianza,
proposti alla riflessione delle comunità cristiane: vita affettiva, lavoro e festa, fragilità
umana, tradizione e cittadinanza. Non c´è chi non abbia rilevato che nessuno di questi
ambiti è di per sé di natura religiosa, riguardano semmai nodi dell’esistenza della
gente; sono, per citare il documento “luoghi della vita quotidiana che sembrano usciti
dall’agenda pastorale...”, dove invece avrebbero dovuto trovare il loro posto coerente.
L’altra citazione si trova dove si parla della cura della qualità della fede che la Chiesa
deve assumere nei confronti dei credenti. Essa svolge questo compito non “anzitutto
con la proposta di un qualche specifico impegno ecclesiale o di una tecnica di
spiritualità, ma con la formazione e l’aiuto a vivere la famiglia, la professione, il
servizio, le relazioni sociali, il tempo libero, la crescita culturale, l’attenzione al disagio
come luoghi in cui è possibile fare esperienza dell’incontro con il Risorto e della sua
presenza trasformante in mezzo a noi” [9].
9
È evidente che non si vuole correre il rischio di clericalizzare i laici o di farne
delle ombre del prete, ma di aiutarli a restare in modo evangelicamente fruttuoso
dentro il mondo.
Mi sembra, per fare un commento estemporaneo, che qui si centri in pieno il
compito educativo, pedagogico della Caritas!
1.5 L´atteggiamento della cura
Il tema della cura della Chiesa e delle singole comunità cristiane per la vita
degli uomini e delle donne del nostro tempo, mi pare sia un altro filone che sostiene
l’impianto della Traccia, che prende corpo nel vocabolario dell’attenzione, della
prossimità, della compagnia solidale, del servizio alle necessità e alle povertà che
incontra nel proprio comune cammino. In modo particolare il tema è presente nella
lunga serie delle domande che seguono ciascun capitolo a mo’ di verifica e riflessione.
Esso fa parte della galassia che attinge alle relazioni, categoria recuperata e
molto usata anche nel discorso teologico, importante, ma essa pure non priva di
ambiguità, se collegata all’emozionale, al momentaneo, all’individuale, al sintomatico.
In qualche commento alla Traccia si è sentita questa osservazione critica che vede
nella scelta del linguaggio del “disagio”, dell’”aiuto”, della “fragilità”, una carenza di
contestualizzazione sociale e politica dei problemi del nostro tempo. E´ anche vero
che compresa nella giusta direzione la categoria della cura costituisce una
ermeneutica della sensibilità odierna e ha profonde radici evangeliche, se la stessa
Traccia tra le metafore che dicono la figura di Gesù, fa cenno in modo privilegiato a
quella del buon samaritano “che si fa carico dell’uomo così com´è, senza condizioni,
fino alla completa consegna di sé per gli altri sulla croce” [7], e a quella del servo che
prende “le nostre piaghe e le nostre ferite, le nostre malvagità e il nostro peccato, ma
è il servo che diventa e resta Signore per sempre, trasfigurandoci con la sua carità
sino alla fine” [3].
Per altri teologi l´atteggiamento della cura è il fondamento su cui è possibile
costruire una morale universale, un punto di convergenza e di maturazione di tutta
l´umanità.
1.6 Le aporie tra le linee programmatiche e i vissuti locali
Il lettore attento della Traccia resta indubbiamente colpito dalla proporzione tra
il testo discorsivo-tematico e lo spazio testuale dato alle domande. Non è la prima
volta che un documento induce a una verifica della ricezione e del conseguente agire
pastorale delle comunità e della Chiesa nel suo insieme. Così era già avvenuto per la
verifica dell’ultimo decennio sul tema di Evangelizzazione e Carità.
Credo sarebbe far torto ai Vescovi non vedere o almeno intravvedere
nell’insistenza delle domande la percezione, diffusa tra molti sacerdoti e operatori
pastorali, soprattutto tra gli operatori della carità, di un divario tra la posizione delle
singole comunità e le linee programmatiche della Chiesa italiana. Sottolineo il termine
“percezione”, perché non proviene da un’analisi, da una indagine o una ricerca
scientificamente fondata, ma semplicemente da una diffusa osservazione della vita
delle parrocchie.
Sembra che nella maggioranza dei casi le comunità parrocchiali e più ancora i
loro pastori siano seriamente e zelantemente preoccupati della situazione e delle
problematiche tutte interne alla vita della propria comunità, intendendo per
problematiche interne la ricerca del completamento dei quadri operativi (c´è bisogno
10
ogni anno di tot catechisti, di tot animatori, di tot persone per il servizio liturgico,
ecc.), la gestione organizzativa ed economica della parrocchia, la frequenza e la
celebrazione dei sacramenti, la preoccupazione non contenutistica (vale a dire il
rimpianto su ciò che non va bene unito all’assenza di ogni progettualità)
dell’emorragia dei giovani, ecc. Mentre è per lo più raro trovare udienza e attenzione
se si pongono problematiche esterne agli immediati interessi religiosi come
l’accoglienza dello straniero, della persona con handicap, del carcerato, del malato
mentale, l´ingiustizia sociale, la pace, l´ecumenismo e il dialogo interreligioso, ecc..
Naturalmente bisogna guardarsi bene dal contrapporre i due campi (religioso e
profano) di azione e di presenza. Il problema sta nella loro separazione, a volte
percepita come opposizione, che discende da una concezione radical-borghese della
religione come fatto privato, interiore e che al massimo può spingersi all’elemosina e
all’assistenza, ma con l’avvertenza, anche qui, di scegliere quelle povertà eticamente
pure (cioè povertà che in nessun modo siano imputabili a “colpe” del soggetto, come
potrebbero essere i carcerati, gli assuefatti alle droghe di tutti i tipi, a volte i senza
lavoro…) oppure quelle povertà romanticamente accettabili che immaginano il povero
umile, riconoscente, ossequioso, dipendente, primo riconoscitore della bontà tutta
cristiana del generoso e disinteressato donatore!
Il vero problema, mi pare, della inefficacia di tanti appelli e richiami, di progetti
e stimoli ad una presenza attiva e responsabile dei cristiani dentro le cose sta in
questa riduttiva e asfissiante autocomprensione della comunità cristiana che vive
come quelle società protezioniste e ingannevolmente autonome e autosufficienti.
Questa è una sfida tutta interna alla Chiesa.
2 Deus caritas est
Non poteva capitare più a proposito la prima lettera enciclica di Benedetto XVI.
Letta in controluce al testo della Traccia aiuta a chiarire e a togliere eventuali
ambiguità interpretative delle differenti possibili letture del documento preparatorio al
Convegno di Verona che sono rimaste in sospeso nella prima parte della riflessione.
2.1 La priorità del cuore
“L´amore di Dio per noi è questione fondamentale per la vita” [2] e costituisce
la prima novità della rivelazione biblica [11]. Tornare a questa verità-esperienza
originale (nei due sensi del termine di origine e originalità) è il passo necessario per
ridefinire e ricomprendere tutto il resto: storia, istituzione, prospettive; tutto viene
reinterpretato a partire da questo principio primo.
Dio e il suo rapporto con l´uomo, fatto di tenerezza, di elezione, di misericordia,
di perdono, di offerta di sé è quella verità di Dio capace di sostenere, dare senso,
salvare l’esistenza dell’uomo. Il quale a sua volta toccato e trasformato da questo
amore inaspettato e gratuito è reso capace a sua volta di farsi dono al prossimo e di
dare alla storia dell’umanità, cresciuta su un atto di violenza fratricida, una svolta
decisiva e radicale, ponendo il germe di una nuova fraternità fondata sull’amore. E´ la
supremazia del “cuore”, come categoria biblica, dove è racchiuso e si gioca il rapporto
dell’uomo con Dio, con se stesso e con gli altri. In questo senso credo si debba
leggere il prevalere, nella Traccia, di una immagine di Chiesa dove l´istituzione gioco
un ruolo secondario, perché anch’essa chiamata ad essere figlia e testimone
dell’amore di Dio, forma organizzata e intelligente della relazione agapica universale:
mentre, come si è visto, hanno un ruolo importante le relazioni interne alla Chiesa,
quelle che mettono gli uomini gli uni accanto agli altri, quelle che si interessano della
qualità umana dei soggetti, quelle che fanno appello alle ragioni del cuore e non a
quelle dell’autoaffermazione.
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Una Chiesa così è davvero “casa e scuola di comunione”, dove “è bello che i
fratelli vivano insieme”! Da questa immagine di Dio, dell’uomo e della Chiesa è
necessario ripartire e reinterpretare identità, ruoli e presenza.
2.2 L´unificazione dell’esperienza
Nella lettera del Papa è evidente lo sforzo di ricucire in unità aspetti diversi
dell’esperienza umana, come eros e agape, che la nostra cultura ci ha insegnato a
dividere e a contrapporre, così come si è fatto con tante altre realtà duali, per le quali
si è confuso tra distinzione e opposizione. La nostra epoca è vissuta su queste tensioni
tra esterno e interno, vicino e lontano, anima e corpo, chierico e laico, uomo e donna,
religioso e secolare, tempo ed eternità… realtà duali tra le quali si è sovente perso
tempo ed energie per scelte fittizie e ingannevoli, per prese di posizione adolescenziali
e con conseguenze riduttive rispetto alle forme dell’impegno e della testimonianza.
Questo cammino di riconciliazione tra gli aspetti diversi e differenti
dell’esperienza umana conferma una linea della Traccia, nella quale si può vedere lo
stesso sforzo di lettura unitaria tra Chiesa e società/mondo, tra impegno e
contemplazione, tra coscienza cristiana e cultura, tra ambiti che apparterrebbero in
proprio alla testimonianza del credente ed altri da cui potrebbe, senza troppi scrupoli,
defilarsi. Qui urge davvero un lavoro di ricomposizione della complessità del reale,
evitando tentazioni semplicistiche e parziali di lettura e accettazione della realtà.
2.3 Lo scioglimento dell’ambiguità della relazione Chiesa-mondo
Ponendo l´amore alla base dell’essere e dell’identità della Chiesa e del cristiano,
l’enciclica del Papa aiuta anche a far uscire dall’ambiguità possibili interpretazioni del
rapporto Chiesa-mondo.
Di volta in volta questo rapporto, che non può essere definito una volta per
sempre e in maniera rigida, ha bisogno di essere ripensato e fondato, ma a partire
non da reazioni all’agire degli altri nei nostri confronti, bensì a partire dalle ragioni che
sostengono la nostra identità e quindi la nostra azione.
Oggi nella Chiesa continuano ad esistere più modelli di interpretazione della
relazione Chiesa-mondo: c´è chi vede la Chiesa in stato di perdita e ritiro di fronte ad
un mondo sempre più invadente e minaccioso e auspica un risorgimento ecclesiastico,
una posizione egemonica, un pulpito più alto del trono per far sentire meglio la voce
dell’Evangelo e per dare alla Chiesa il rispetto che si merita. C´è chi pensa con
categorie apocalittiche, per le quali, viste le condizioni malvagie del tempo presente,
la Chiesa si deve ritirare e preparare allo scontro: il nemico c´è sempre, cambia solo il
nome, la provenienza o la religione. La Chiesa è dunque cittadella assediata, martire
pronosticata, vittima del maligno che sta prendendo velocemente piede in questo
mondo corrotto. C´è ancora chi pensa che la Chiesa debba radicalizzare la sua
posizione dentro al mondo e fondersi al punto tale da non essere più riconoscibile,
propugnando un esodo senza meta e senza identità. Anche posizioni più morbide e
ben intenzionate, e lo stesso concetto di presenza e visibilità della Chiesa dentro la
società, possono subire cattive letture e generare quindi atteggiamenti di rifiuto se
non sono contestualizzate in modo chiaro. Certamente si potrebbe continuare in una
descrizione, anche caricaturale e ironica, delle tante posizioni che definiscono il
rapporto Chiesa-mondo.
Mi sembra però che l´atteggiamento indicato dalla Traccia e dalla Enciclica sia
di un altro tenore, anche per evitare che le buone intenzioni siano veicolate da cattiva
o ambigua comunicazione. Nella Traccia ad esempio si legge che il discernimento “va
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accompagnato con un atteggiamento umile nei confronti della verità” [16] e alla fine,
nell’indicare le tre prospettive da cui porsi per una lettura globale del documento, è
scritto che “la spiritualità (deve essere) caratterizzata dall’impegno nel mondo e dalla
simpatia per il mondo” (cfr Allegato). Il Papa, a sua volta, usa, soprattutto nella prima
parte della sua enciclica il metodo del confronto leale e critico rispetto al pensiero
filosofico che ha determinato molte ideologie di questi ultimi due secoli, riconoscendo
contributi e sviamenti del pensiero umano, con un atteggiamento che si pone sul
piano del dialogo “con tutti coloro che si preoccupano seriamente dell’uomo e del suo
mondo” [27]. Inoltre parlando della Dottrina sociale della Chiesa il Papa afferma che la
Chiesa “non vuole imporre a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di
comportamento che appartengono a questa” [28].
2.4 Lo scioglimento dell’ambiguità del servizio della carità
Anche per quanto riguarda il servizio della carità esistono dentro la Chiesa
posizioni non facilmente concordabili. C´è chi non lo riconosce tra le priorità dei
compiti, dove invece primeggerebbe l’annuncio del Vangelo; c´è chi vi vede solo un
compito di sussidiarietà nei confronti dello Stato; c´è ancora chi lo accetterebbe come
forma puramente assistenziale e chi invece contesta questa impostazione; chi ritiene
che la Chiesa debba esprimere un suo proprio organismo e/o Ufficio pastorale, chi
invece non ne vede la necessità data la presenza ancora numerosa di associazioni
cattoliche dedite alla carità, e in considerazione del crescente numero di
organizzazioni di volontariato.
Accanto al documento della CEI del decennio scorso, l’enciclica del Papa, mi
pare chiarisca che “l´amore per il prossimo è una strada per incontrare anche Dio e
che il chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio” [16].
Inoltre ricorda che “l’amore del prossimo radicato nell’amore di Dio è anzitutto un
compito per ogni singolo fedele, ma è anche un compito per l´intera comunità
ecclesiale, e questo a tutti i livelli” [20]. A questo si possono aggiungere due altre
affermazioni: “La Chiesa non può trascurare il servizio alla carità come non può
trascurare i Sacramenti e la Parola” [22]; “La carità non è per la Chiesa una specie di
attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla
sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza” [25ª]. Mi pare che
qui non ci sia solo una rivalutazione della carità e del servizio che la storicizza, ma che
sia ultimativamente affermata la sua centralità, oltre ogni possibile diversa
interpretazione.
2.5 Una proposta ecclesiologica
Da tutto questo emerge una immagine di Chiesa, anzi una proposta
ecclesiologica ed ecclesiale, un modo di pensare e intendere la Chiesa e anche un
modo per realizzarla.
E´ determinante per la storia e per l´autocomprensione della Chiesa che fin dai
suoi inizi il servizio della carità abbia avuto “rilevanza costitutiva” [20] e che accanto
al servizio della Parola, e, in seguito, in connessione con essa, la Chiesa apostolica
abbia ritenuto di dover istituire un ministero permanente che incarnasse la diaconia, a
perenne memoria per la Chiesa di tutti i tempi che il servizio insieme con la koinonia,
la comunione, costituisce la Chiesa nella sua fedeltà al Signore che è
contemporaneamente divenuto servo.
Ora il servizio della carità è nella sua forma storica il perpetuarsi non solo di
quell’esempio e di quel comando che trova nell’eucaristia stessa la fonte e la forma più
alta della sua realizzazione, ma è soprattutto la rivelazione inaudita del volto e
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dell’atteggiamento del Dio ebraico-cristiano che l’uomo con le sue facoltà non avrebbe
potuto neanche immaginare. Credo che a questo punto sia legittima una domanda:
come si potrà configurare e che volto avrà una Chiesa dalla e della carità? E´ questa
la sfida e la provocazione che leggo racchiusa nell’enciclica di Benedetto XVI.
2.6 Una conferma del cammino Caritas
Infine, cícero pro domo sua, mi pare che la lettera del Papa confermi identità e
compiti della Caritas, non solo perché la cita, anche se in forma generica, (perché
credo che il Papa non abbia pensato alla Caritas Italiana, ma alla caritas in generale
presente nella varie nazioni), ma perché ne presenta e ne conferma i caratteri, le
specificità e i compiti che le sono propri.
Anche su questo punto si potrebbero passare in rassegna le varie posizione nei
confronti di Caritas Italiana e delle varie Caritas diocesane, ma è inutile ripetere quello
che già sappiamo.
In gran parte le varie idee sulla caritas dipendono dalla persone che le
esprimono, dalle esperienze che ne hanno o non ne hanno avuto, dalla comprensione
e dalla conoscenza più o meno generica o approfondita che ne hanno. Sappiamo
anche che a volte le parole parlano meno dell’oggetto quanto del soggetto e della sua
mentalità. Qui potrebbe essere importante segnalarlo perché forse, viste le tematiche
di Verona, il convegno potrebbe indirettamente costituire un momento di ulteriore
comprensione e chiarificazione su cosa è una caritas.
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Ecco i punti che mi sembrano rilevanti per la conferma del cammino di Caritas:
l´affermazione che la comunità intera è soggetto della carità e che essa
appartiene all’essenza della Chiesa;
l´affermazione che esiste una unità profonda e indivisibile tra Parola,
Sacramento e carità;
l´affermazione che, pur non essendo opera della Chiesa la costruzione di una
società giusta, “tuttavia l´adoperarsi per la giustizia lavorando per l’apertura
dell’intelligenza e della volontà alle esigenze del bene comune la interessa
molto “ [28];
l´affermazione che il servizio della carità è un´attività organizzata, che si
avvale di numerose forme di collaborazione con istanze statali [30b].
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Per quanto riguarda gli operatori, di essi si afferma la necessità:
di competenza professionale: è la conferma del compito formativo proprio di
caritas,
dell’attenzione del cuore: è la formazione umana e spirituale promossa da caritas,
l’operatore deve essere umile e avere il senso del limite del suo intervento.
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Per quanto riguarda l´attività si afferma che:
deve essere indipendente da partiti e ideologie,
non deve essere un mezzo di proselitismo,
fa capo alla figura del Vescovo.
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Per concludere, ritengo che la presenza di molti elementi, idee ed esperienze
che costituiscono il patrimonio di Caritas Italiana e delle Caritas diocesane nella
Traccia e nella Enciclica del Papa possano costituire un contributo da far giungere a
Verona in segno della profonda unità del “sentire Ecclesiam” e della rinnovata
conferma dell’unico cammino, che secondo le diverse vocazioni e secondo le sfide
della storia ognuno ha la responsabilità di affrontare per l´edificazione comune.
(intervento di G. Perini al Seminario Le Caritas diocesane verso Verona, Fiuggi –
marzo 2005)
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