I grilli… per la testa? - "Ferraris"

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Graziano Pesce1
I grilli… per la testa?
Mente e cervello degli adolescenti
L’adolescenza è l’unica stagione nella quale
ci è dato di imparare qualche cosa.
M. Proust
L’adolescenza è l’epoca in cui
l’esperienza la si conquista a morsi.
J. London
Un’esplosione emotiva incontrollata, un comportamento inaccettabile contro ogni regola
sociale e condivisa. Marco oggi era allegro, direi euforico. Poi, all’improvviso e senza un
motivo apparente, un cupa malinconia lo ha avvolto, lo ha trascinato in un gorgo di pensieri
grigi.
Che cosa è successo? È l’adolescenza, si sa.
Lara oggi sembrava proprio tranquilla. Poi, di punto in bianco, Erika l’ha trascinata in
un’avventura pericolosa. Insomma un po’ per gioco, un po’ per vivere un’ora di “vita spericolata”, si è cercata rischi ad alto tasso “adrenalinico”.
Che cos’è successo? È l’adolescenza, si sa.
I genitori, di fronte a tali comportamenti dei figli, sono spesso disorientati. Anche gli
educatori e gli insegnanti non sempre sanno comprendere le reazioni inconsulte dei ragazzi,
che peraltro sono bene educati, anche corretti. Una lamentela è ricorrente: gli adolescenti
non pianificano mai le loro attività con anticipo. Svolgono i compiti all’ultimo momento,
studiano in modo irregolare e non metodico. Con difficoltà si concentrano.
L’adolescenza è un’età travagliata, contraddittoria, ricca di estremismi umorali, emotivi e
ideologici. In genere si liquidano i vari episodi con il ricorso ad una rassicurante “tempesta
ormonale”, seguita dall’immancabile: “È l’età balorda, è normale… passerà, passerà sicuramente”.
1 Docente di Filosofia e Storia al Liceo Scientifico “G. Ferraris”, pubblicista, già redattore e collaboratore della rivista
di bioetica KOS.
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Le statistiche parlano di un’alta incidenza, a quell’età, di violenze involontarie, abuso di
alcol e droga, maternità indesiderate. La letteratura sugli adolescenti è ormai fiorita insieme
con la maggiore attenzione e sensibilità di genitori, insegnanti ed educatori nei confronti di
un equilibrato sviluppo psico-fisico dei giovani.
Si trattano i più svariati aspetti del mondo adolescenziale nel tentativo di scoprirne quei
lati che appaiono ancora indecifrabili. Conferenze, libri e trattati sviscerano ogni questione.
Si è da tempo compreso che si tratta di un’età problematica e attraversata da potenti conflittualità che sono il propulsore dello sviluppo della struttura psichica in evoluzione. Il termine
che domina il panorama psicanalitico e quello degli studi psicologici è “disagio”. Un “disagio adolescenziale” profondo e pervasivo che pare attanagliare le nuove generazioni in una
morsa di patologie devastanti: forme di dipendenza, bulimia, depressioni, tendenza all’autolesionismo, anoressia. Molto si discute sull’eclissi della figura paterna che non sarebbe più
in grado di garantire la sua fondante funzione educativa2. Non tratterò gli aspetti psicologici,
educativi e relazionali che una tale ampia questione prospetta. Tantissimo si è scritto e,
spesso, in modo illuminante.
IL CERVELLO “ADOLESCENTE”
Come da qualche anno a questo parte, sulle pagine di Prismi, pongo, a proposito delle
varie questioni, una domanda ricorrente: “che cosa ne pensano oggi i neuroscienziati?” Che
cosa sappiamo a proposito del cervello degli adolescenti?. La “tempesta ormonale” spiega
tutto? Su questo si può rispondere con certezza: i repentini mutamenti e squilibri ormonali
generano reazioni incontrollabili, ma non spiegano certamente tutto. Anzi, non dicono molto
sull’universo adolescenziale. I neuroscienziati oggi attribuiscono maggiore rilievo alle fasi
dello sviluppo del cervello e alle interconnessioni tra le differenti aree cerebrali. Tale questione è per ora poco trattata, soprattutto in Italia. Molti giudicano l’approccio neurobiologico decisamente “riduzionistico” e, dunque, inadeguato a rendere ragione di un vissuto tanto
complesso quale è quello di un giovane che affronta un periodo di eccezionali mutamenti
non solo fisici, ma psicologici e relazionali. Vi è sempre il sospetto che la “persona” sia ricondotta dalle neuroscienze ad un ammasso di neuroni e sinapsi. Si guarda con sospetto chi
riduce l’attività spirituale al mero epifenomeno del substrato biologico che ci costituisce.
Un ammasso di neuroni e sinapsi, si argomenta, non potrà mai spiegare la ricchezza emotiva
e cognitiva delle risposte che, pur talvolta in modo contraddittorio, caratterizzano lo stare al
mondo di un adolescente. Le neuroscienze non considerano altro che quanto emerge da indagini strumentali. Per questo non si occupano degli aspetti “psicologici” che non sono soggetti ad una verifica strumentale oggettiva. Molti neuroscienziati tendono sempre più a ricondurre gli aspetti “psicologici” ad aspetti neurali, neuroanatomici e simili, ancorché non
tutto sia stato spiegato o compreso. È indubbio che l’influenza ambientale, gli incontri, le
esperienze di ogni genere condizionano in modo profondo lo sviluppo psicofisico. Anzi,
come diremo, le esperienze sono determinanti per lo sviluppo cerebrale del futuro adulto. Su
questo piano si colloca l’importanza dell’educazione, delle proposte formative e delle attività intraprese dall’adolescente. A tale proposito sta facendo progressi considerevoli la cosid2 Per chi è interessato all’approccio psicanalitico di questo aspetto, è di utile e accessibile lettura il recente M. Recalcati, Il complesso di telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, 2013.
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detta epigenetica, disciplina secondo cui qualsiasi esperienza esistenziale comporta mutamenti biochimici importanti a livello genetico, finendo per plasmare la cosiddetta
personalità dell’individuo. Su questo punto ritorneremo.
Il problema è talmente complesso da richiedere un approccio multidisciplinare che in
questo mio breve scritto non troverà spazio. Non intendo considerare null’altro se non lo
sviluppo e i processi cerebrali dell’età adolescenza, prescindendo volutamente da qualsiasi
tipo di considerazione sociale, caratteriale, psicologica e simili. Questo non significa negare
o sottovalutare tutti gli altri aspetti.
Il presupposto è il seguente: ogni valutazione e analisi di carattere “psicologico” non
può oggi prescindere dagli apporti della neurobiologia, della neuroanatomia e della fisiologia del cervello. Questa prospettiva deve poi essere integrata, come accennato, dagli studi
sul fattore epigenetico (il processo della metilazione del DNA). Quest’ultimo aspetto è considerato essenziale per la comprensione di quei processi di modificazione biochimica che
determinano concretamente il comportamento, la forma mentis e, in definitiva, l’intera
espressione del vissuto e del modo di essere di una persona.
Solo successivamente si potrà trarre qualche conclusione utile alla comprensione del
mondo degli adolescenti. Insomma, qualche spunto di riflessione per educatori, insegnanti e
genitori.
LE FASI DELLO SVILUPPO CEREBRALE
L’adolescenza è una fase dello sviluppo cerebrale peculiare e differente rispetto all’infanzia e all’età adulta. Questa specificità, ormai ampiamente documentata, potrebbe spiegare
molti comportamenti a rischio e scelte avventate, oltre alle imprevedibili variazioni umorali
che sono caratteristiche dell’età.
Procediamo con ordine, riflettendo un po’ su quanto succede al cervello fin dall’età neonatale. Con una frase ad effetto, possiamo dire che l’uomo “nasce per imparare”3. Assume
un ruolo decisivo la straordinaria predisposizione umana all’imitazione degli altri che è il
motore propulsore della cultura. Il linguaggio fa il resto4.
Al momento della nascita, il cervello del neonato è già strutturato dal punto di vista citoarchitettonico in modo analogo a quello di un adulto (emisferi, giri, solchi, vie nervose,
ecc.). Un tempo si riteneva che il cervello dell’uomo fosse un “prodotto compiuto” già al
termine dell’infanzia. Non è così. Il cervello continua a crescere anche fino ai 30 anni di
età.
3 G. Marcus, direttore del NYU Infant Language Center, riferisce di studi che dimostrano che i bambini di soli otto
mesi sono già in grado di individuare un ordine in una sequenza caotica di sillabe, discriminando fra le parole vere e
proprie e parole composte da pezzi di parole. In qualche modo, sanno generalizzare e vanno oltre la semplice informazione che viene loro fornita (G. Marcus, The Birth of the Mind, tr. It. L. Tancredi Barone, La nascita della mente, Codice edizioni, pp. 31-32).
4 Si è calcolato che un bimbo in età prescolare impara mediamente nove nuove parole al giorno.
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IL “CABLAGGIO” NEURONALE
Gli specialisti discutono vivacemente su un punto. Alla nascita è già presente una certa
struttura neurale. Quest’ultima è innata oppure è anch’essa frutto di esperienze che sono avvenute a livello intrauterino?5 Ci potrebbe essere una sorta di pre-cablaggio prima di ogni
esperienza che garantirebbe una qualche predisposizione. Molti neurobiologi negano, tuttavia, fondamento alla teoria nativista, secondo la quale il cervello sarebbe già, fin dalla nascita, preorganizzato in facoltà adibite a diverse funzioni mentali. In qualche modo, esisterebbe una sorta di struttura congenita del cervello sui cui agisce potentemente l’esperienza,
trasformando continuamente le interconnessioni cerebrali. Il cervello, in un certo senso, è
“programmato”, ma, nel contempo, si riprogramma continuamente nella sua interazione con
l’ambiente esterno e con il corpo nel quale è “immerso” (embodied). Il “cablaggio” dei
neuroni, vale a dire le loro molteplici interconnessioni, rende possibile lo straordinario e
multiforme mondo interiore, fatto di emotività, pensieri, affetti, curiosità, angosce. Come
scrive G. Marcus, in accordo con la grande parte dei neuroscienziati: “Qualunque creatura è
specchio della bontà del proprio cablaggio”6. Non vi sarebbe alcun “progetto” globale che
dica al cervello dove posizionare preventivamente i propri circuiti. Si tratterebbe di un processo cieco che si riaggiusta continuamente e che sarebbe frutto di un’evoluzione di milioni
di anni.
Ciò può apparire decisamente riduttivistico, ma così procede la neuroscienza. Non si può
produrre idea o sentimento che non siano in qualche modo resi possibili dal “cablaggio”
dell’individuo che li esprime. Per indagare strumentalmente questi processi sono stati messi
a punto sistemi molto raffinati, in virtù delle tecniche più recenti. La “plasticità” del cervello
del bambino è straordinaria ed ormai un dato acquisito dalla scienza. Complessi esperimenti
sugli animali e lesioni cerebrali nei bambini dimostrano che il cervello tende a “ri-cablarsi”
per sopperire ai deficit funzionali causati dalle aree compromesse7.
Mentre il feto si sviluppa, si formano i neuroni che migrano per andare a costituire la
struttura cerebrale di base 8. Al momento della nascita il cervello è fornito così della quasi
5 Già alla metà degli anni ’80 furono compiuti importanti studi sul grado di “apprendimento” del feto. A titolo di
esempio, la lettura di una favola da parte della madre in gravidanza di una favola fa sì che, dopo la nascita, la lettura
della stessa fiaba (anche da parte di un’altra persona) è preferita dal neonato rispetto ad un’altra favola sconosciuta.
Molta importanza è anche attribuita all’ “ascolto” da parte del feto della musica. Feti al terzo trimestre possono in qualche modo apprendere semplici melodie. Lo studio di cui sopra è stato condotto da A. DeCasper e M. Spence, Prenatal
maternal speech influences newborns’ perception of speech sounds, in “Infant Behaviour & Development”, 1986, 9, 2
pp. 133-150). Un ampio estratto del testo si trova, in lingua inglese, all’indirizzo: http://www.sagepub.com/upmdata/32601_01_Saxton_CH_01.pdf In ogni caso, gli specialisti sconsigliano di sottoporre il feto a tali ascolti che possono danneggiare l’udito e, soprattutto, il ciclo sonno-veglia.
6 G. Marcus, La nascita della mente…, op. cit. p. 107.
7 Per una chiara disamina di tali esperimenti si veda G. Marcus, La nascita…, op. cit. pp. 39-49.
8 Come questo straordinario e assai complesso “prodigio” avvenga è ben raccontato dal premio nobel G. Edelmann,
noto sostenitore del “darwinismo neurale” (G. Edelman, Topologia. Introduzione alla embriologia molecolare, Torino,
Boringhieri, 1988). Il grande biologo ha studiato come, durante lo sviluppo fetale, cellule differenti si spostano, in virtù
di interazioni molecolari, andando a prendere un certo posto (da ciò il termine “Topologia”) al fine di generare i nuovi
tessuti e anche, in definitiva, la forma finale dell’organismo. Lo stesso accade specificamente anche per i neuroni che
costituiscono la struttura di base del cervello. Su come facciano gli assoni e i dendriti a sapere dove andare si leggano le
pagine avvincenti di G. Marcus, La nascita della mente…, op. cit. pp. 108-115. Davvero curioso è il ruolo esercitato dai
cosiddetti “coni di crescita” e i collegamenti assonali che si portano dietro, “si divincolano avanti e indietro, aggirando
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totalità dei neuroni che avremo in età adulta. Molto recentemente si è, tuttavia, scoperto che
un certo incremento di neuroni si verifica anche in età successiva9. Un interessante studio ha
portato a scoperte sorprendenti. Il pioniere in questo campo è senza dubbio lo specialista Jay
Giedd10.
LA “POTATURA” DEI NEURONI
La massima densità cerebrale si ha fra il terzo e sesto mese. Si è dimostrato che verso la
fine della gestazione i neuroni vengono ridotti secondo il principio che ciò che non si usa,
deperisce. È il fondamentale fenomeno del “pruning”, in virtù del quale si sfoltiscono tutte
le connessioni non indispensabili alle funzioni cerebrali necessarie per sopravvivere nel proprio ambiente.
Verso la fine degli anni ’90 si è scoperto, grazie all’uso della risonanza magnetica, che
esiste una seconda importante fase in cui si generano nuovi neuroni (sinaptogenesi). Non
muta in modo significativo il numero dei neuroni, ma quello delle sinapsi. Questo fenomeno, che moltiplica enormemente le vie per la trasmissione degli impulsi nervosi, si verifica
tra i 6 e i 12 anni. Intorno ai 13 anni per un ragazzo e ai 12 per una ragazza si registra il
massimo spessore della materia grigia. Superata tale soglia di età, il giovane va nuovamente
incontro ad un importante “sfoltimento” delle connessioni, anche se il numero globale dei
neuroni rimane pressoché costante. Questo nuovo “pruning” avviene, quindi, con rilevanti
conseguenze nell’età compresa tra i 13 e i 20 anni. In aggiunta si è osservato che, contemporaneamente, si concretizza una “mielinizzazione” degli assoni. Cresce la sostanza “bianca”,
in quanto la mielina, generando una guaina lipidica, ricopre le vie nervose. Questo fenomeno, che garantisce la migliore protezione degli assioni, fa sì che i segnali elettrici risultino
più veloci ed efficienti. Quindi, se da un lato le connessioni diventano progressivamente
meno numerose, dall’altro migliorano sotto il profilo della risposta ai segnali.
Le neuroscienze confermano ciò che ogni genitore sa istintivamente. Il cervello di un
adolescente non è maturo ed è sottoposto a profonde modificazioni che riguardano la sostanza grigia e la sostanza bianca. Si tratta di mutamenti strutturali che interessano i giovani addirittura fino ai 25 anni. Un tempo si pensava che il cervello fosse strutturato già indicativamente intorno ai 12 anni. Questo pregiudizio, come detto, è definitivamente tramontato.
ostacoli, estendendo e ritraendo piccoli sensori conosciuti come filopodi, mentre cercano la loro destinazione” (Ivi, p.
108). Con un lavorìo incessante e non pre-programmato i neuroni trovano così la loro posizione. La loro strada non è
predeterminata, ma che debbano “migrare” è determinato da un complesso di geni e proteine. I geni rendono possibile il
modellamento del nostro cervello che si attua sulla base di segnali che possono provenire sia dall’interno che dall’esterno.
9 Un’indagine ha condotto alcuni studiosi dell’università canadese di Alberta a dimostrare che le nuove esperienze
comportano un aumento significativo delle sinapsi neuronali anche dopo i 20 anni. Questo fenomeno è alla base della
cosiddetta “plasticità” del cervello che si modifica strutturalmente in virtù delle esperienze.
10 Un complesso progetto è stato in tal senso realizzato presso la divisione di psichiatria infantile del National Institut
of Mental Health di Bethesda, coordinato proprio dal dott. J. Giedd. Per 13 anni sono stati sottoposti a risonanza magnetica (RMI) 1800 bambini, poi adolescenti, con cadenza biennale, per studiare l’accrescimento delle diverse aree cerebrali, della sostanza bianca e grigia.
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L’osservazione sperimentale ha portato ad una prima basilare constatazione: la “sostanza
grigia” (giunzioni sinaptiche e relativi dendriti) nel cervello adolescente diminuisce di circa
lo 0,7% all’anno soprattutto nei lobi frontali e nella corteccia prefrontale 11. Anche l’attività
metabolica diminuisce durante l’adolescenza, soprattutto tra i 16 e i 18 anni, rispetto all’età
precedente. Lobi e corteccia frontale sono le ultime aree del cervello che maturano e, fatto
determinante, sono le zone preposte alle decisioni, alla pianificazione, alla responsabilità.
Questa prima constatazione induce i neuroscienziati a ritenere che molti degli atteggiamenti
aggressivi, impulsivi o, comunque, poco controllati e rischiosi, siano da spiegarsi in rapporto ad una non compiuta maturazione di un cervello che è ancora in piena evoluzione. Tra
l’altro e per inciso, è ormai assodato che il fenomeno del “pruning”, che avviene durante
l’adolescenza, è assai più marcato nei ragazzi che non nelle ragazze e questo spiegherebbe
anche la differenza nelle predisposizioni correlate. Forti oscillazioni avvengono anche nelle
altre aree preposte alla funzione visiva, a quella motoria, a quella sensoriale. In tutti questi
ambiti si rilevano, dunque, processi di maturazione assai differenziati12.
LA “SAGGEZZA” DELL’ADOLESCENTE
Che la corteccia prefrontale sia correlata all’autocontrollo e alla “saggezza” delle decisioni e dei comportamenti è ormai assodato da oltre 150 anni come testimonia il celebre caso di
Phineas Cage 13. La corteccia frontale laterale è preposta alla pianificazione e all’apprendimento, tanto che anche lievi danni per ictus o incidenti, determinano più o meno gravi deficit in questi ambiti. Questa stessa area controlla anche gli impulsi e inibisce le azioni avventate. Quando la corteccia frontale laterale non è del tutto sviluppata si rivela problematico
per l’adolescente ottenere un buon feedback rispetto agli stimoli ambientali, tanto che è
spesso difficile per un giovane adattarsi alle novità. Questo è il motivo per cui gli risultano,
ad esempio, particolarmente disorientanti e sgraditi atteggiamenti contraddittori o incoerenti
da parte dei genitori o degli insegnanti.
A questo riguardo, scrive la specialista E. Crone:
La capacità di apprendere dalle correzioni e dai feedback è una competenza che, durante
l’adolescente, è ancora in fase di forte sviluppo. Si tratta di un argomento che è fondamentale conoscere, vista l’importanza delle indicazioni correttive nel contesto scolastico. L’abitudine a svolgere una certa attività o un certo compito in un determinato modo
dà sicurezza. Se all’improvviso si cambia del tutto il senso di un’attività, ai giovani risulta difficile lasciar cadere le vecchie abitudini e adattarsi ai nuovi schemi di compor11 Sowell e all., In vivo evidence for post-adolescent brain maturation in frontal and striatal regions, in “Nature neuroscience”, 2, 1999, pp. 859-61.
12 Per una analisi più approfondita e tecnica dei processi di maturazione che coinvolgono le diverse aree, si veda G.
Monniello e L. Quadrana, Neuroscienze e mente adolescente, Edizione Magi, Roma, 2010, pp. 25-34.
13 Questo operaio edile venne accidentalmente colpito da una barra di metallo proprio in quell’area e rimase miracolosamente vivo. Dotato ancora di capacità intellettive, egli divenne incapace di controllarsi e irriconoscibile sul piano dei
comportamenti morali e delle decisioni. Quello di Ph. Cage è il primo straordinario caso documentato e risalente al
1861, in cui una lesione cerebrale profonda, ha portato ad un vero e proprio mutamento di carattere. Gli amici dicevano
di lui: “Phineas è un altro uomo. Prima era equilibrato e sensibile. Ora è aggressivo e imprevedibile”. Per un’ampia disanima del caso si veda A. Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi, terza edizione, 2005.
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tamento; si pensi per esempio all’arrivo di un nuovo insegnante con uno stile di insegnamento differente 14.
E’ molto accesa la discussione circa il grado di autocontrollo che può esercitare un adolescente. Soprattutto si tende oggi a ridimensionare il ruolo della “tempesta ormonale” come
causa delle intemperanze legate all’età.
L’eventuale risposta a tale problema ha rilevanti ripercussioni anche sull’approccio che
un genitore o un educatore deve opportunamente tenere in occasione di determinate manifestazioni comportamentali dell’adolescente. Su questo aspetto delicato tornerò in seguito.
Anticipo solo che in questo periodo di straordinaria “criticità”, dovuta prima ad un eccesso
di ramificazioni sinaptiche e poi ad uno sfoltimento, le esperienze e il condizionamento ambientale assumono un ruolo molto incisivo nella crescita di quello schema cerebrale che
dopo i 25 anni tenderà ad essere sostanzialmente definitivo.
Piuttosto recentemente si è scoperto, tuttavia, che la non completa maturazione della corteccia prefrontale non spiega totalmente lo scarso equilibrio degli adolescenti e, soprattutto,
la propensione che essi manifestano nei confronti del rischio e delle scelte avventate. Se,
infatti, fosse solo quella la spiegazione, non si comprenderebbe come mai, non si manifestano tendenzialmente atteggiamenti paragonabili nel corso dell’infanzia. Infatti, anche durante
la prima età i lobi prefrontali non sono ancora maturi e, tuttavia, i bambini sono generalmente meno spinti agli eccessi e meno inclini alla “vita spericolata”. Che cosa subentra con
l’adolescenza?
IL “PIACERE” DI ESSERE ADOLESCENTI
Si è recentemente preso in considerazione un altro fattore che appare oggi molto influente. Alcuni studi dimostrano che, nel corso dell’adolescenza, si sviluppa in modo molto marcato il circuito per la ricompensa nelle regioni subcorticali (il cosiddetto nucleo accumbens).
B. J. Casey, S. Getza, A. Galvan propugnano questo nuovo orientamento negli studi sul cervello adolescente e scrivono:
Il nostro modello neurobiologico propone che la combinazione di una reattività accentuata alle ricompense e immaturità delle aree di controllo del comportamento potrebbe
influenzare gli adolescenti nel cercare vantaggi immediati rispetto a quelli a lungo termine, forse anche spiegando il loro comportamento più impulsivo e rischioso nel prendere
decisioni15.
Semplificando, si ritiene che negli adolescenti si associa una incompleta maturazione
delle regioni prefrontali ad un aumento dell’attività del “nucleo accumbens”16. Quest’ultimo,
iperattivo, “sbilancia” fortemente gli adolescenti verso la ricerca del piacere. Da un punto di
14 E. Crone, Het Buberende brein, tr. it., Nella testa degli adolescenti, I nostri ragazzi spiegati attraverso lo studio del
loro cervello (a cura di V. Sala), Urra Apogeo, Milano, 2012. p. 38.
15 B. Casey, S. Getza, A. Galvan, The adolescent brain, National Institutes of Health, 2008, tr. it. Il cervello adolescente, a cura dell’Unità di Neuroscienze, Dipartimento delle dipendenze, ULSS 20 Verona, p. 55. Il testo completo che illustra un’ampia serie di esperimenti condotti è reperibile anche su Internet all’indirizzo:
http://iport.dronet.org/com/filedownloadlink/allegatoA.php?key=588&lingua=1
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vista percettivo, l’attività del nucleo accumbens e dei neurotrasmettitori interessati garantisce una sensazione di benessere, di euforia. Pur di attivare questi sistemi “di ricompensa”
che lavorano massimamente a quell’età, i giovani sono disposti a “rischiare” molto, soprattutto in considerazione del fatto che l’attività inibitoria dei lobi frontali non è ancora ottimale17. Recentemente si è poi dimostrata una particolarità del cervello adolescente rispetto a
quello adulto. In quest’ultimo l’attività del nucleo accumbens determina il senso di benessere, ma nel contempo lo modera, rendendo la ricerca della gratificazione più saggia, in
quanto la sua attività è ormai connessa alla corteccia prefrontale.
Nell’adolescente tende a prevalere, sull’attività del n. a., quella dello striato dorsale che
accentua decisamente l’attivazione dell’apparato somato-sensoriale, deputato al movimento,
all’azione anche temeraria. Lo striato dorsale è stimolato appunto dal sistema dopaminergico (che determina il senso della ricompensa). Il nucleo accumbens, parte dello striato centrale, riceve proiezioni dall’amigdala e dalla corteccia e spinge alle azioni in funzione della
motivazione. Quest’ultimo, come detto, è più attivo negli adulti e garantisce una maggiore
cautela nei comportamenti.
Una ricerca recente ha dimostrato che , quindi, il cervello degli adolescenti risponde
all’ambiente e agli stimoli in modo assai differente rispetto agli adulti. Soprattutto la motivazione segue percorsi molto diversi ed è assai poco gestita dall’attività mediatrice delle
aree preposte al ragionamento, al senso della responsabilità e della moderazione18. Alcuni
specialisti, tuttavia, hanno ipotizzato che molto influirebbe sui comportamenti rischiosi degli adolescenti, la loro scarsa informazione sugli effettivi pericoli a cui andavano incontro.
Come dire che se fossero meglio informati, le conseguenze negative sarebbero limitate. Indubbiamente una tale posizione conferma che l’ambiente, l’informazione, la formazione dei
giovani può contribuire in modo anche determinante all’assunzione di comportamenti più
responsabili19.
L’individuo non è deterministicamente programmato per essere ciò che è. Lo studio neurobiologico non conduce ad un passivo fatalismo a proposito degli atteggiamenti irresponsabili degli adolescenti. Si tratta piuttosto di comprenderne i meccanismi per potere intervenire opportunamente, ma nel rispetto delle fasi di maturazione dell’apparato cerebrale dei ragazzi. Non si può non tenere conto che vi è una chiara differenziazione nei tempi di maturazione del sistema cognitivo e di quello affettivo-motivazionale. L’adolescenza comporta un
16 Si tratta di una formazione costituita da neuroni che si trova nel corpo striato, che ha sede nei nuclei della base. Il
neurotrasmettitore che lo percorre è il GABA. Per questo è fondamentale per il sistema limbico, legato al piacere che, in
particolare, è rafforzato dall’assunzione di sostanze stupefacenti. Quest’area è sempre connessa con la corteccia
prefrontale e con i neuroni dopaminergici della regione medio basale del mesencefalo. La regione più esterna è collegata all’amigdala.
17 In questo processo sono coinvolte aree cerebrali (sistema mesolimbico) che generano le risposte emotive e determinano il sistema della motivazione che ci spinge a ricercare una gratificazione nelle diverse attività. Se lo stimolo è gratificante, generalmente l’individuo tende a reiterare quel comportamento che è connesso allo stimolo.
18 La ricerca è stata realizzata presso l’Università di Pittsburgh ed è stata pubblicata su “Proceedings of the National
Academy of Sciences”. I risultati dell’indagine e le metodologie sono sintetizzati in Le Scienze, “Il cervello dell’adolescente e lo stimolo della ricompensa”, gennaio 2012. Per il resoconto dettagliato e tecnico, si veda D. A. Sturman e B.
Moghaddam, “Striatun processes renard differently in adolescents versus adults”, reperibile all’indirizzo Internet,
www.pnas.org.content/109/5/1719.full
19 Molti test sono stati condotti presso la Yale’s School of Medicine della New York University e sono anch’essi pubblicati su “Proceedings of the National Academy of Sciences”.
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forte mutamento nell’equilibrio tra le funzioni limbiche-subcorticali e le funzioni del lobo
frontale.
A questo proposito, si è aperto un altro fronte interpretativo, fondato sulle osservazioni
sperimentali. A quanto affermato finora, si aggiunge oggi il fatto che le diverse aree cerebrali maturano in momenti differenti e che, quindi, nel corso dell’adolescenza si registrano difficoltà di interconnessione che potrebbero spiegare alcuni comportamenti caratteristici. In
particolare l’approccio ai problemi, la pianificazione, i metodi impiegati nella soluzione delle difficoltà sono fortemente legati all’età in rapporto all’efficacia delle connessione neurali
delle diverse aree. Ad esempio, è noto che la funzione preposta all’apprendimento di una
lingua straniera è massimamente sviluppata nel corso dell’infanzia. Per questo sarebbe necessario approfittarne. Ancora. Se si considera che a quattordici anni le aree cerebrali predisposte per la pianificazione non sono ancora mature, non si può pretendere che il giovane
sappia organizzarsi in modo ottimale. Analogamente la “memoria di lavoro” che consente di
memorizzare dati in un arco di tempo breve, non è del tutto efficace intorno ai 10 anni
(come si pensava un tempo), ma si perfezione anche durante l’adolescenza. Quindi, le dimenticanze improvvise e apparentemente incomprensibili dei giovani fino ai 20/22 anni
sono da attribuirsi ad una ancora non precisa interconnessione a quel livello cerebrale. Ovviamente, e questo vale per tutto, molto dipende anche da quanto le abilità legate alle memorie procedurali sono esercitate.
EMOTIVITÀ NELL’ADOLESCENTE
Un ambito ancora più delicato è rappresentato dalla sfera emotiva. Sofisticati esperimenti
con la risonanza magnetica ad alto potenziale (fRMI) hanno consentito di comprendere perché assai spesso gli adolescenti male interpretano i segnali emozionali, percependo ostilità
e rabbia nei loro confronti anche laddove non vi siano20. Perciò uno studente può più facilmente convincersi di essere odiato o “preso di mira” da un suo insegnante. Lo specialista M.
Poletti riferisce di una complessa indagine che ha consentito di spiegare una tale propensione tipicamente adolescenziale:
Il peggioramento dei tempi di reazione viene imputato alla proliferazione sinaptica che
avviene all’inizio della pubertà. Probabilmente, fino a che il processo di pruning sinaptico non sfoltisce le connessioni in eccesso nella corteccia prefrontale, l’abbondanza di sinapsi produce un segnale di fondo, “un rumore bianco”, che interferisce con le prestazioni cognitive e le rende meno efficienti. Più avanti nello sviluppo, la potatura delle sinapsi inutilizzate a vantaggio di quelle più specializzate potrebbe rendere contro dei miglioramenti delle prestazioni post puberali21.
20 Questi esperimenti sono stati condotti presso l’ospedale Mc Lean di Belmont nel Massachussets dalla neuropsicologa D. Yurgelun-Todd, la quale ha sottoposto degli adolescenti alla fRMI, mentre osservavano fotografie con volti che
esprimevano diversi sentimenti. Questi esperimenti sono stati reiterati più volte nel tempo con gli stessi soggetti.
21 Si veda Michele Poletti, Sviluppo cerebrale, funzioni esecutive e capacità decisionali in adolescenza. Lo specialista
lavora presso l’Accademia di Neuropsicologia dello Sviluppo (Parma) e presso l’UOC Neurologia, Ospedale Versilia,
Lido di Camaiore (LU). L’articolo, molto ricco di riferimenti agli studi più recenti, è reperibile all’indirizzo Internet:
http://www.airipa.it/wp-content/uploads/2013/04/Sviluppo_cerebrale.pdf
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L’aspetto emotivo, anche nell’apprendimento, è oggi considerato determinante dai neuroscienziati. L’emozione e gli affetti colorano continuamente il nostro vissuto e anche i contenuti logico-razionali sono mediati, anche se spesso inconsapevolmente, dal nostro rapporto
emotivo con l’ambiente e con gli altri22.
Centrale risulta il “nodo affettivo”, che si lega alla ricompensa o alla punizione (connessa all’amigdala, l’ipotalamo e la corteccia orbito-frontale). Su questa base lo stimolo acquisisce un significato emotivo e la componente più razionale (gestita dalla corteccia prefrontale) decide se è interessante dedicarvi attenzione oppure no. La motivazione rispetto allo
studio o ad altre attività è certamente connessa all’aspetto emotivo. Questa constatazione ha
rilievo imprescindibile in ogni processo formativo ed educativo. L’empatia, la responsività,
la sintonizzazione affettiva sono la base di ogni esperienza di accrescimento culturale e di
ogni rapporto interpersonale.
Scrivono Monniello e Quadrana:
L’adolescente sarebbe biologicamente orientato a ricercare il rispecchiamento, condizione che rilancia lo scambio intersoggettivo e permette la progressiva consapevolezza
dell’esistenza di qualcuno che capisce e risponde intenzionalmente alle sue attese adolescenziali23.
L’elaborazione emotiva e relazionale è fortemente attivata negli adolescenti nei contesti
sociali, poiché le risposte degli altri altri individui, e in particolare anche dei coetanei, assumono un notevole valore affettivo. Un’area cerebrale cruciale è, al proposito, la corteccia
frontale mediale che favorisce la cosiddetta “mentalizzazione” (la nostra capacità di poter
pensare agli stati mentali). Sono processi di ordine superiore che ci permettono di comprendere gli altri, i loro atteggiamenti e le loro intenzioni24. Molti studi hanno mostrato come
proprio queste disposizioni evolvano nell’adolescenza in modo da orientare i giovani verso
un discorso etico e sociale e come questo sia, a quell’età, molto più stimolato dal rapporto
con i coetanei che non con quello con i genitori e gli adulti. Le trasformazione cerebrali consentono progressivamente ai giovani di inserirsi nei gruppi sociali, entrare in relazione con i
coetanei dell’altro sesso, poiché la pubertà (con i suoi effetti ormonali) favorisce un approccio relazionale differente con gli altri. Perciò assume tanta importanza l’esigenza di essere
accettati dagli altri. Gli studiosi ritengano che ciò sia connesso ad una spinta evolutiva che
orienta, in concomitanza con la pubertà, verso i coetanei dell’altro sesso. Molti ricercatori
ritengono che il cosiddetto “cervello sociale” abbia proprio sede nella corteccia frontale mediale e che, in concomitanza con lo sviluppo puberale, orienti il giovane verso i coetanei, relegando il ruolo dei genitori e degli educatori su un piano diverso e, per molti aspetti, meno
incisivo25.
22 Su questi temi uno dei massimi Autori di riferimento è il A. Damasio che ha scritto testi di fondamentale importanza. Tra questi si veda A. Damasio, Emozione e …, op. cit.
23 G. Monniello, L. Quadrana, Neuroscienze e …, op, cit. p. 93.
24 Basti pensare ai fondamentali studi di Utah Frith che hanno consentito di comprendere che le cause dell’autismo
debbono essere rintracciate a livello biologico e cerebrale.
25 E. Crone, Nella testa…, op. cit., Cfr. 131-133.
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ADOLESCENTI ED EDUCATORI
Tale processo di crescita presenta una sua drammaticità che non può essere sottovalutata,
perché porta l’adolescente dalla sua naturale e rassicurante condizione di narcisismo al problematico rapporto con gli altri. Con il linguaggio della psicanalisi, Monniello e Quadrana
scrivono:
Un’azione terapeutica fondamentale è riconoscere e nominare la sofferenza narcisistica
dell’adolescente e così darle dignità ai suoi occhi. Questo significa percepire dentro di
noi la sofferenza dell’adolescente, impegnato suo malgrado nel processo di crescita, sofferenza che si cela sotto i suoi agiti tragici, onnipotenti e drastici, autodistruttivi e distruttivi26.
La sofferenza dell’adolescenza deve sempre essere rispettata. Questa indicazione è di notevole valore umano anche nel rapporto educativo con gli adolescenti. Infine la creatività. Si
tratta della più straordinaria opportunità di cui dispone il cervello dell’adolescente. La plasticità cerebrale, che nell’adolescenza ha le sue massime potenzialità, è un dato ormai indubitabile. Ogni esperienza è “registrata” dalle reti neurali che si modificano costantemente27.
Un campo di studi non nuovo, ma che oggi promette moltissimo è quello dell’epigenetica, a
cui ho già fatto cenno. Molti fattori ambientali, agendo su base molecolare, possono modificare il grado di attività dei geni, mutando il fenotipo, senza alterare le sequenze di DNA.
Questi cambiamenti, pur non alterando il DNA, sono ereditabili e sono sempre determinati
da influenze ambientali. Questa branca della genetica dimostra che non siamo il semplice
prodotto del DNA, ma che le influenze ambientali, i rapporti con gli altri, gli stimoli “culturali” di ogni genere modificano il nostro modo di essere. Il “connettoma” è la totalità delle
connessioni tra i neuroni di un sistema nervoso ed è ciò che ci rende unici. Ciascuno di noi
ha un proprio “connettoma” che è sempre modificabile in base alle esperienze. Questo è
vero soprattutto nel corso dell’adolescenza28. Perciò la creatività può e deve essere coltivata
proprio a quell’età. Molti adolescenti mostrano talenti musicali e sportivi particolari. Sono
spesso animati dal desiderio di discutere e di confrontarsi. I genitori e gli insegnanti non
possono non tenere conto di questa vivacità intellettuale che, se irrigidita eccessivamente in
schemi predefiniti, rischia di inaridirsi. La flessibilità nella formazione deve essere tale, tuttavia, da favorire lo sviluppo delle capacità individuale e, nel contempo, tale da non lasciar
prevalere quella impulsività che è peculiare dell’età. Il confronto con i coetanei e il dialogo
favoriscono proprio quel processo di “mentalizzazione” di cui si diceva. Nel contempo,
deve essere chiaro che un’eccessiva autonomia può risultare controproducente, poiché gli
adolescenti non dispongono ancora di uno sviluppo delle interconnessioni tale da gestirla
26 G. Monniello, L. Quadrana, Neuroscienze e mente…, op. cit. 95.
27 Su questo aspetto sono ormai acquisiti i risultati delle ricerche del grande premio nobel E. Kandel. In particolare si
veda E. Kandel, Alla ricerca della memoria, Codice Edizioni, Torino, 2007.
28 Oggi i neuroscienziati sperano di poter dimostrare che il “connettoma” sia la spiegazione di tutti i nostri pensieri,
sentimenti, emozioni, desideri, ecc. La certezza scientifica su questo non è ancora acquisita, ma si è avviato un colossale
progetto proprio per “mappare” il connettoma umano, così come si è fatto per il DNA. Saranno necessari milioni di dollari e anni di ricerche, ma da questa impresa scientifica i neuro- scienziati si attendono risposte davvero risolutive sia
per quanto riguarda la conoscenza di noi stessi che per quanto concerne possibili indicazioni terapeutiche. Questo complesso progetto è illustrato in tutti i suoi aspetti dal recente S. Seung, Connettoma. La nuova geografia della mente, Codice Edizioni, Torino, 2013.
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adeguatamente. La capacità di pianificare autonomamente spesso matura intorno ai venti
anni. Difficilmente prima. Perciò ogni richiesta eccessiva, in questo senso, risulta foriera di
frustrazioni che penalizzano una crescita positiva. Soprattutto, è ormai condiviso il fatto che
il cervello dell’adolescente è, in genere, ben predisposto per risolvere i problemi in modo
creativo e divergente, spesso molto lontano da una visione riduttiva che è casomai tipica di
un cervello più maturo. L’adulto, sia esso genitore, insegnante o educatore, non dovrebbe
pertanto giudicare come sicuramente inadeguate soluzioni che possono apparire non
conformi a moduli prestabiliti. Tutto questo deve avvenire, tuttavia, nel quadro di un rispetto
dei ruoli che garantisca, comunque, la “responsabilità verticale, della sua formazione”,
secondo l’espressione di M. Recalcati29. Ciò dovrebbe avvenire non in nome di un
autoritarismo fine a se stesso, ma in virtù dell’esempio, della testimonianza costante e
quotidiana di genitori ed educatori. Il permissivismo, al contrario, lascia l’adolescente in
uno stato di “specularità narcisistica”, oggi troppo diffuso e in cui è abolito il confronto tra
giovani e adulti, poiché ai primi tutto è dovuto. Non è così e non deve essere così. Il senso
del limite che si impone all’adolescente, connesso alla sua incapacità di autocontrollo, non
può essere un’arida regola fine a se stessa, ma deve alimentare quel desiderio, quella
tensione emotiva che spinge, con fatica, verso la possibile e mai compiuta realizzazione di
se stesso.
Sono spunti di riflessione che abbandonano il campo delle neuroscienze per aprirsi ad un
orizzonte più complesso, ricco di sfumature e variabili, legate all’unicità della persona,
all’ambiente, ai rapporti interpersonali. Per molti l’unicità della persona è del tutto irriducibile al nostro substrato biologico e neurofisiologico. Per altri, invece, la complessità dei
nostri vissuti sarà comprensibile alla luce del “connettoma”, il cui studio rappresenta oggi la
sfida più alte e ambiziosa delle neuroscienze contemporanee.
29 M. Recalcati, Il complesso di Telemaco…, op. cit. p. 107.
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