INFORMAZIONE FILOSOFICA Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici Via Monte di Dio 14, 80132 Napoli Viale Monte Nero 68, 20135 Milano Edizione Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r.l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano Reg. n. 634 del 12/10/90 Tribunale di Milano. Sped. abb. post. gruppo IV/70. Prezzo: L. 7500 Copie arretrate L. 11000 Abbonamento annuale (5 numeri): L. 35000 studenti L. 25000 estero (Europa) L. 56000 (Paesi Extraeuropei) L.146000 Redazione, direzione, amministrazione: Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r. l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano tel. (02) 55190714 fax (02) 55015245 ccp 17707209 - intestato a: Cooperativa Edinform Informazione e Cultura s.r.l. 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DISTRIBUZIONE Joo Distribuzione Via G. Alessi 2, 20133 Milano Per l'invio di articoli e materiale informativo indirizzare a: Informazione Filosofica Viale Monte Nero, 68 20135 Milano In copertina: Egina, Tempio di Afaia. Capitello (500-490 a.C.) 10 Gentili lettori, il testo inedito di Hans-Georg Gadamer che presentiamo in questo numero, tratto da una serie memorabile di lezioni su “I presocratici e l’inizio della filosofia occidentale”, che egli tenne nel gennaio del 1988 presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, non pone semplicemente la domanda sugli inizi della filosofia greca; esso mette in discussione il senso stesso, il destino della cultura occidentale in un momento, come quello che stiamo vivendo, di particolare sviluppo, e anche per certi aspetti d’involuzione e irrigidimento, in cui da ogni parte, nonostante la contraddittorietà degli eventi, viene auspicato l’incontro con culture e tradizioni diverse, che non hanno la loro origine nel pensiero greco. Se, a distanza di anni, tornando sullo stesso tema, Gadamer può esordire provocatoriamente nella sua esposizione, affermando che «l’unico approccio scientifico nell’interpretazione dei presocratici» è cominciare da Platone e Aristotele, è perchè egli ha ben chiaro che non si può parlare di principio, d’inizio, se non a partire dal punto di arrivo, dall’esito a cui giunge il suo sviluppo. E’ dunque interrogandoci sulla fine che si può comprendere l’inizio. Il destino della nostra civiltà resta intimamente legato a questa dialettica. Ma con questo ci troviamo già all’interno di uno dei nodi fondamentali della conoscenza ermeneutica in quanto coscienza della determinazione storica. Non sarà dunque inopportuno riprendere qui le parole stesse, e la rinnovata passione, con cui Gadamer, in apertura delle sue lezioni traccia nuovamente i contorni di questa dottrina. «La mia prospettiva di ricerca e di interpretazione, io la chiamo Wirkungsgeschichte, storia degli effetti o delle determinazioni, e Wirkungsgeschichtliches Bewusstsein, coscienza della determianzione storica. Ciò significa innanzitutto che non è vero che studiare un testo o una tradizione dipenda da una nostra scelta. Questa libertà, questa presa di distanza dall’oggetto studiato non esiste. Noi stessi siamo nel flusso della tradizione; non ci troviamo a quella distanza sovrana nella quale si collocano le scienze naturali per sperimentare e teorizzare. E’ vero che nella scienza contemporanea, ad esempio nella fisica dei quanta, il soggetto può avere una funzione diversa da quella di puro osservatore oggettivante; ma è tutta un’altra cosa essere nel flusso della tradizione, essere condizionati e, essendo condizionati, riconoscere l’altro. Questa dialettica riguarda non solo la tradizione culturale, la filosofia, ma anche le scienze morali. Anche qui, infatti, noi non troviamo l’esperto che dall’esterno studia le norme, ma un uomo già formato da queste norme, un uomo che è già in una società, in un’epoca, in un complesso di pregiudizi, in una visione del mondo. Tutto questo è già operante e produttivo nel rivolgersi a una questione, nell’interpretare una dottrina. Il concetto di Wirkung è ambiguo e per certi aspetti è un attributo di storia; ma in qualche senso è anche attributo di coscienza. La coscienza è condizionata dalle determinazioni storiche. Noi non siamo osservatori a distanza della storia, in quanto enti storici noi siamo sempre nella storia che tentiamo di comprendere. Sta qui la irriducibile specificità di questo tipo di conoscenza. Per questa ragione mi sembra del tutto erroneo affermare che la distinzione tra scienze naturali e scienze morali non sarebbe più tanto importante, come credeva l’Ottocento, e che anzi sarebbe superata perché le stesse scienze naturali non parlano più di una natura senza evoluzione, senza storia, cosicché anche l’uomo avrebbe il suo posto nella lunga storia dell’universo e le scienze morali e dello spirito sarebbero una parte delle scienze naturali. Tutto questo è falso, non è una interpretazione corretta della storicità dell’ente umano. Quest’ultimo non si può osservare da un punto di vista fisso, non può essere ridotto ad oggetto di una teoria evoluzionistica. L’esperienza dell’incontro dell’uomo con se stesso nella storia, questa forma di dialogo, questa forma di comunicazione dell’uno con gli altri, è completamente differente dalla teoria della natura e anche della teoria dell’evoluzione dell’universo. SOMMARIO 5 INEDITO 33 L’antropologia filosofica di Humboldt I presocratici e l'inizio della filosofia occidentale. 33 L’antropologia filosofica di Plessner Il terreno solido in Platone eAristotele. 34 Max Weber: politica e scienza come professione 35 Francis Bacon: ministro della conoscenza SCHEDA 13 L'Università di San Marino AUTORI E IDEE 36 L’estetica dell’esperienza 36 Le prefazioni di Nietzsche 37 NOTIZIARIO 15 Se Dio non vince 15 Manuale di metafisica e ontologia CONVEGNI E SEMINARI 16 Una storia della ragione 39 L’immagine dell’uomo 16 Il male politico 40 Conferenze di Chieti 17 Un’archeologia dello sguardo 41 Arte e modernità 18 Oltre Heidegger, l’etica: Ernst Tugendhat 43 L’attualità dell’Estetico 18 Critica mitologica della ragione 44 Razionalità e cultura 19 Genesi e critica della modernità 45 Razionalità dell’ermeneutica 20 Il moderno e il suo diritto 46 Il problema della verità storica 21 Irigaray: cultura della differenza 48 Contemporaneità della filosofia 21 Il bivio e la convergenza 48 Nodi della volontà 50 Mito e polarità TENDENZE E DIBATTITI 50 Retorica della scienza 23 Riflessioni di Hegel 51 Percorsi della modernità 24 Confronti con Heidegger 53 Filosofie della storia nel Settecento 25 Nolte, Heidegger e il nazismo 53 Attualità dell’antropologia filosofica 25 Attualità del marxismo 54 Primo piano: lezioni italiane 27 Teologia, diritto, politica 28 Spinoza, nomade e sovversivo 59 CALENDARIO 28 Politica e filosofia 29 Terrorismo e responsabilità collettiva DIDATTICA 61 Prospettive di metodologia filosofica PROSPETTIVE DI RICERCA 62 Convegni 31 Montaigne, 400 anni dopo 31 Filosofia della rivelazione 63 RASSEGNA DELLE RIVISTE 32 Moralisti francesi del XVII secolo 32 Categorie dei segni 68 NOVITA’ IN LIBRERIA INEDITO Hans-Georg Gadamer (foto di E. Barbieri, Napoli) 4 N ell’affrontare questo tema, la prima questione possa essere di provenienza platonica, forse sofistica, o veramente importante che ci si presenta è quella forse socratica; non può essere però del VI secolo, poiché dei testi. Ritengo che i primi veri testi concer- in quell’epoca non c’erano né libri, né titoli, ma un’altra nenti i presocratici e l’inizio della filosofia occidentale forma di letteratura. E’ chiaro allora che il titolo periv sono quelli di Platone e Aristotele. Dobbiamo infatti fuvsew non è dei primi pensatori greci, ma è stato considerare che una raccolta di frammenti dei presocra- composto successivamente, in una visione retrospettiva tici o di testimonianze su di essi, per quanto sia un lavoro della storia dei presocratici. Tutto questo, oggi, non è più meritorio, non ha quasi alcun valore di fronte alle possi- oggetto di discussione ed è accettato unanimamente dagli bilità di comprendere che ci sono offerte da un testo studiosi, mentre la mia tesi che il concetto di fuvsi" autentico nella sua interezza. E’ noto, infatti, che con la non esisteva ancora nel VI secolo, nemmeno in Eraclito, tecnica della citazione si può provare qualsiasi cosa e il appare come un problema diverso e continua ad essere suo contrario, poiché anche la citazione più fedele e oggetto di discussione. letterale, in quanto separata da un contesto, finisce per Resta comunque il fatto che tutti i passi commentati da dire qualcosa di differente dall’originale. Citare è inter- Simplicio, scelti in funzione dei testi che aveva tra le pretare, anche solo per la forma in cui viene presentato il mani, sono già predeterminati dallo scopo di dimostrare testo. Ora, tutti i frammenti contenuti nelle raccolte come Aristotele sostenesse essenzialmente la tesi che la dedicate ai presocratici sono citazioni isolate, che non ci fuvsi" è la prima manifestazione dell’essere - una tesi, sono pervenute nella forma di un testo definito e compiu- vorrei qui aggiungere con piena consapevolezza, che to, ma attraverso Platone e dimostra come la meta-fiAristotele, il Peripato, gli sica sia solo un’appendice stoici, gli scettici, i Padri marginale della Fisica; se della Chiesa: una enorme lo si dimentica non si potrà quantità di autori, che citamai capire Aristotele, e neno e descrivono dottrine per anche l’uso che la Chiesa scopi completamente diverha fatto della Metafisica arisi. E’ dunque necessario, stotelica per fondare il conper prima cosa, individuacetto di divino come ente: re un testo in cui il pensiero un uso che ha impedito alIl terreno solido in Platone e Aristodei presocratici sia reso in l’averroismo di essere tele forma coerente. l’unica soluzione al problema. Tuttavia, nonostante L’unico testo che si riferidi Hans-Georg Gadamer questa “predeterminaziosca al pensiero presocratine” del testo, tutte le altre co nel suo complesso è il con un intervista all’autore fonti e tradizioni risultano commentario di Simplicio, di Luigi Lorusso secondarie rispetto a Simcontenuto nella Fisica di plicio. Aristotele. E’ il testo più Ma c’è un altro punto deciesteso che ci sia pervenuto sivo da tener presente quanriguardante i presocratici, do ci si avvicina ai presoopera di uno studioso ellecratici. Gli schemi d’internistico che era anche un a cura di Riccardo Ruschi pretazione, ormai consolieccellente interprete. Ma questo testo è collocato nell’ambito di un commentario dati nella nostra mentalità, sono essenzialmente due: una ad Aristotele e, in particolare, alla Fisica. Dobbiamo è l’interpretazione aristotelica, come ci perviene dalla chiederci, perciò, che cosa poteva significare fuvsi" descrizione di Simplicio, contenuta nel primo libro della nel VI e nel V secolo? Sono certo che questo termine è già Metafisica e nel primo libro della Fisica; l’altra è l’interpresente nel VI secolo, ma il suo concetto si forma più pretazione hegeliana. Entrambe queste interpretazioni tardi, in opposizione a tevcnh. Senza il concetto di sono così radicate in noi che sarebbe illusorio pensare di tevcnh non c’è quello di fuvsi". Ed è in tal senso che potersene liberare completamente. Nel rapporto tra Parquesto concetto viene usato da Aristotele per affermare menide ed Eraclito, ad esempio, il problema speculativo che il matematico Platone non ha colto l’essenza della deriva dal prevalere di pregiudizi di tipo hegeliano, ma fuvsi". Aristotele è un fisico e fuvsi" è il per lui il anche, in una qualche misura, di tipo platonico e aristoconcetto decisivo nella discussione dei suoi predecesso- telico. Non si può dunque non essere consapevoli che ri. In questo sta l’importanza del primo libro della Fisica, tutta la ricerca storica sulla fisolofia greca si sviluppa nel al quale Simplicio ha aggiunto un commentario molto quadro della dissoluzione della metafisica idealistica, hegeliana, e che questa idea di dissoluzione è presente, in ricco. Questa tesi, tuttavia, è ancora oggetto di dibattito e non modo più o meno esplicito, in tutti gli storici dell’Ottoappare con evidenza. Vorrei riferirmi invece al Fedone cento. Inoltre, da questo punto di vista appare chiara la platonico, e precisamente al fatto che qui Socrate, descri- debolezza della vulgata, della tradizione secondo la quavendo le sue esperienze con i sapienti dell’epoca, usa le tutte le storie della filosofia cominciano con Talete e la l’espressione periv fuvsew per dare un titolo alle “scuola di Mileto”. Che cosa poteva essere una “scuola” loro opere. Non c’è dubbio che l’uso di questo titolo nel VI secolo in una città come Mileto? Nessuno sapreb- I presocratici e l’inizio della filosofia occidentale INEDITO be rispondere a questa domanda. E che significato ha la la storia del mondo. tradizionale sequenza Talete-Anassimandro-Anassime- Tutto questo non può essere certamente scambiato con ne, se poi ci troviamo di fronte al noto problema di come una teologia, nel senso della tradizione cristiana. Da sia possibile, dopo la profondità speculativa di un Anas- questo punto di vista suona errato, ad esempio, il titolo del simandro che parlava dell’infinito indeterminato, am- libro, peraltro di grande valore, di Werner Jaeger: La mettere il regresso all’aria come sostanza prima? La teologia dei primi pensatori greci. Qui il termine “teoloverità è che questo modo di formulare problemi è debole gia” viene usato in modo equivoco. Jaeger è un autore di poiché poggia non su dati storici, ma su una costruzione grande ricchezza culturale e scientifica, ma in questo intellettuale. E’ infatti frutto delle ricostruzioni di Apol- libro non è stato così accorto come in Paideia, dove lodoro e di altri che Anassimandro sia stato un seguace di l’interesse per i sofisti gli aveva evitato di teologizzare la Talete e che Anassimene lo sia stato di Anassimandro. Se tradizione presocratica. E’ interessante, a questo propopure è possibile che una di queste costruzioni sia giusta, sito, confrontare le parti dei due libri dedicate a Senofane. sarebbe tuttavia un gioco d’azzardo volerlo affermare In Paideia Senofane è trattato in un modo che mi sembra con certezza. del tutto adeguato; nel nuovo libro, Jaeger modifica inveMa c’è un altro elemento che ce la sua interpretazione dei potrebbe essere assunto come versi di Senofane sul dio che punto di partenza, e cioè il è immobile, ecc. Credo che fondamento religioso delJaeger fosse nel giusto quanl’inizio della filosofia in Gredo affermava che tutta quecia. Questo fondamento è sta descrizione per immagini implicito nella nota formula: di Senofane è tipica di un “dal mito al logos”; altra forrapsodo, non di un teologo. mula usuale per interpretare Da qui la mia piccola critica la storia dei presocratici. Ma marginale ad un maestro delche cosa, in questo caso, si la ricerca in questo campo. deve intendere con “mito”? Ma entriamo ora nel merito Nell’Ottocento era chiaro: si del nostro discorso, interpretrattava della “religione ometando le più importanti testirica”. Ma quella omerica non monianze sulla filosofia preera certo una religione; la socratica presenti in Platone “teologia omerica” era in ree Aristotele. Cominciamo altà l’invenzione, la visione con Platone e, più precisadi un grande poeta che collemente, con il Fedone (96 e gava, componeva, interpresgg). Qui, com’è noto, Sotava una enorme ricchezza di crate traccia la sua autobiomiti locali, provenienti da grafia scientifica e filosofiambienti diversi del mondo ca. Prima di procedere all’ingreco. Di certo era la compoterpretazione di questo testo sizione di un poeta, e questo è tuttavia opportuno sottolipoeta apparteneva al IX seneare ancora una volta l’ercolo, vale a dire a un’epoca rore che si commette quando di almeno due secoli antecesi fa riferimento a un framdente rispetto alle notizie che mento isolato. Il testo al quaci giungono su Talete. L’alle ci riferiamo, infatti, è solatro poeta, al quale si fa riferimente un capitolo di un tutto, mento quando si parla della Pitagora di un intero. In effetti tutto il religione in Grecia in questo dialogo del Fedone, nella sua periodo, è naturalmente Esiodo con la sua Teogonia. Ora è vero che entrambi questi interezza, è testo nel quale è possibile, anche se in modo poeti sono citati da Aristotele come i primi che abbiano non facile, individuare la questione alla quale Platone svolto considerazioni sulla divinità, ma Aristotele non cerca di dare una risposta. intendeva parlare di una religione, bensì voleva dimo- Il Fedone è uno dei dialoghi platonici più noti. Nietzsche strare che pensieri logici e concetti filosofici latenti ha fatto notare come la figura di Socrate in punto di morte, esistono già nella concezione della nascita della famiglia che in esso viene delineata, divenne il nuovo ideale, al degli dei e dell’ordine dell’universo. Perciò lo schema posto di Omero, della migliore gioventù greca. In questo tradizionale “dal mito al logos” mi pare molto dubbio. c’è senz’altro qualcosa di vero. E’ ben noto infatti che il Forse il mito, nel caso della mitologia omerica, è più dialogo si apre con alcuni motivi omerici, e precisamente lovgo" che mu`qo". E’ infatti una cosa di un’umanità con il motivo della morte e del che cosa ci sia al di là di affascinante la descrizione degli dei come una nobile essa. A questo proposito ricordiamo le indimenticabili società di grandi signori, un’aristocrazia, dalla quale, in scene con le quali Omero descrive il viaggio di Odisseo un tempo indefinito, ha avuto origine per volontà di Zeus nell’Ade, per visitare gli eroi di Troia e, in particolare, 6 INEDITO gna studiare la forma in cui il problema dell’anima è trattato nel Fedone per comprendere il tipo di questioni ai quali poteva essere interessato un pensatore dell’epoca di Platone. Questa formulazione del problema è un esempio di come ritengo si debba leggere la tradizione che ci interessa in un testo che non è costruito a questo scopo, ma che pure permette di immaginare quali petevano essere le tendenze fondamentali della cultura dell’epoca. In questa prospettiva il problema potrebbe essere così formulato: l’anima è una forza vitale o è qualcosa come una capacità spirituale? E’ vivere o pensare? Oppure questi due aspetti sono tra loro intrecciati? E in che modo? Questo è il problema che aveva di mira di Platone; attraverso Platone noi dobbiamo ora capire come vi erano impegnati i presocratici. Voglio aggiungere un’ultima osservazione generale sul Fedone e, più precisamente, sullo scenario del dialogo. I due interlocutori di Socrate sono - come è noto - pitagorici in esilio ad Atene in un’epoca in cui la setta si era dissolta in seguito ad avvenimenti politici. Simmia e Cebete sono figure storiche e rappresentano non tanto il pitagorismo delle origini, quanto la sua evoluzione da setta religiosa a gruppo di ricercatori e scienziati. E’ questa una considerazione da tener presente per comprendere la discussione tra Socrate e i due amici, che non si presentano più come pitagorici, nel senso di seguaci del grande fondatore di una semi religione. Si tratta della discussione con due scienziati che usano sì temi e metafore propri dei pitagorici, ma per descrivere i risultati della scienza della loro epoca. Questa considerazione mi pare molto importante, anche perché i pitagorici continuano a essere un tema molto discusso. Ricordo che negli anni della mia giovinezza la tesi più radicale - che allora veniva sostenuta dall’opera di E. Frank, Plato und die sogennanten Pythagoreer (Halle 1923) - era che tutta la nostra tradizionale concezione dei pitagorici, intesi come matematici, astronomi ecc., fosse una reinterpretazione proveniente dalla scuola platonica, in particolare da Eraclide Pontico. Il radicalismo di questa tesi non ha retto. Oggi è chiaro, infatti, che esisteva una matematica di Pitagora e dei suoi contemporanei. Tuttavia bisogna precisare che all’epoca di Platone la matematica era già un’altra cosa, come testimonia il fatto che i due interlocutori di Socrate nel Fedone sono più o meno scienziati, che, ad esempio, sono all’oscuro delle prescrizioni religiose di Filolao - gran maestro della setta - ma conoscono bene la biologia e l’astronomia della loro epoca. Questa precisazione mi sembra determinante per comprendere come Platone inserisca già nello scenario e nella tipicità degli interlocutori la discussione tra una tradizione e l’interpretazione che di essa veniva data nella sua epoca. Naturalmente l’epoca del Fedone non corrisponde all’ultimo anno della vita di Socrate. E’ indiscutibile infatti che questo dialogo sia stato scritto più tardi, forse venti anni dopo. Platone riprende la figura di Socrate in punto di morte nel momento in cui si accinge a delineare i punti cardinali della sua teoria delle idee, avviandosi a fondare una forma di scuola, l’Accademia, che differiva sostanzialmente dalle cosiddette scuole dei sofisti, o degli atomisti, o degli eleati, e via dicendo, che non avevano affatto la struttura di scuole. l’immagine di Odisseo che perde la memoria e la riacquista bevendo il sangue del sacrificio: la morte è dunque la notte della memoria; si muore, quando non c’è più memoria. Si tratta, potremmo dire, di immagini che evocano qualcosa di simile ad una religione popolare. Ma appare anche chiaro che in queste immagini si annuncia un tema di riflessione. Le ombre degli eroi, infatti, esistono in un luogo, l’Ade, ma non è certo che abbiano memoria, che abbiano coscienza; il problema che si pone è dunque il problema dell’anima e di che cosa essa sia rispetto alla vita e alla morte. A questo punto però, una nuova fonte di possibili malintesi invade il nostro consueto modo di pensare: il concetto agostiniano di anima come interiorità della coscienza. E’ chiaro, infatti, che il Fedone non ci sarebbe stato se fosse già esistito Agostino. La complessa dottrina cristiana dell’immortalità dell’anima e della salvezza è implicita nel nostro concetto di anima o, come diciamo noi tedeschi, di Seele, un termine che suggerisce qualcosa di più attinente al sentimento, qualcosa di più sfuggente, anche nella fonetica, che non il termine anima. E’ chiaro che questa tradizione agisce su di noi, spingendoci a credere che nella poesia omerica ci sia un’idea di anima in qualche modo simile alla nostra. D’altra parte, la supposta religione di Omero non è la sola fonte di pregiudizi per l’interprete. C’è anche il cosidetto orfismo, un concetto che ha influito per lungo tempo sulla ricerca, e che è ancora un problema completamente aperto. Che cosa era, infatti, questo movimento religioso che si diffuse nel VII-VI secolo e che ai tempi di Omero non esisteva, o quanto meno non sembra fosse recepito dal poeta nel suo mettere insieme tanta ricchezza di movimenti religiosi e miti? Tutto questo resta un problema aperto; così come resta aperto il problema della datazione del culto di Dioniso, dal momento che questa figura risulta pressoché ignota nell’epos omerico, come è divenuto ampiamente noto dopo l’opera di Nietzsche. In ogni caso si tratta di concezioni molto vaghe e il nostro interesse per esse, occupandoci dei presocratici, sta solo nel fatto che in questo culto l’anima costituiva il centro della religiosità. Questo mi pare evidente per quanto riguarda la figura di Pitagora. D’altra parte, se leggiamo le biografie dei presocratici, emerge sempre la stessa cosa: ognuno di loro, da Parmenide ad Anassimandro e tutti gli altri, è presentato come un seguace di Pitagora. Questo fenomeno ha un suo significato; esso indica che Pitagora concentra in sé motivi speculativi fondamentali, come il mistero dei numeri, o il mistero dell’anima e della sua trasmigrazione e purificazione. Proprio questo fatto ci conduce al problema della memoria; è evidente, infatti, che una religione che parla di metempsicosi non presuppone, di norma, la memoria. Che poi qualcuno, come Empedocle, abbia una vaga divinazione di essere stato qualche altra cosa in un’altra vita, è un fatto del tutto eccezionale. Tutto un insieme di problemi si connette dunque a una definizione dell’anima. E’ forse un soffio che vivifica gli animali e gli uomini? Qualcosa come una prima luce nell’interiorità dell’uomo, una conoscenza incipiente, una memoria o qualcosa di simile? Tutto questo è destinato a rimanere una domanda vaga che non può essere usata come chiave di comprensione. Al contrario, biso7 INEDITO Tema del Fedone è il problema della vita e della morte, rivivere, è una realtà che i vivi si generano dai morti; del significato della vita di una persona, di che cosa sia ciò dunque le anime dei morti continuano ad esistere, non si che chiamiamo anima, yuchv. Il dialogo è una discus- annullano. Senonché il testo prosegue (72c) con sione appunto del problema dell’anima e degli argomenti l’osservazione:«kai; tai`" mevn ge ajgaqai`" a sostegno della sua immortalità con un punto di straor- “ameinon ei\nai, tai`" dev kakai`'" dinaria importanza, in cui gli stessi narratori interrompo- kavkion», e cioè: «questa nuova esistenza sarà necesno il loro racconto, a indicare che ci troviamo di fronte a sariamente migliore per i buoni, peggiore per i cattivi». un momento di massima tensione, che contiene una Un’affermazione, questa, che appare così incongruente risposta fondamentale. La discussione del problema del- con l’argomento della ciclicità della natura, che alcuni l’anima mette capo, nella narrazione di Platone, al lungo filologi l’hanno espunta. Io non sono sicuro che questo racconto autobiografico di Socrate, alle sue esperienze sia giusto. I manoscritti, a questo proposito, sono univoci, con gli scienziati dell’epoca e al suo nuovo orientamento. non ci sono varianti; e l’argomento è riscontrabile in tutta E’ qui che avviene propriamente la svolta di Socrate nel la tradizione, che forse è stata un po’ più sagace e ha capito che proprio questa cammino verso la verità: egli mancanza di consequenzianon procede più secondo le lità era nell’intenzione di Pladottrine dei suoi predecessotone, dato che il punto verari, ma secondo la teoria delle mente interessante, nella queidee. stione dell’immortalità delIl Fedone comincia con l’anima, è che cosa sia questa un’intonazione morale, quaesistenza e come essa possa si religiosa: il problema del essersi determinata da una suicidio e dell’attesa di una forma precedente di vita. nuova vita dopo la morte. E’ Alla fine di tutta l’argomenquesto il primo tema del diatazione Socrate affermerà, logo; il secondo riguarda contro le incertezze di Siml’immortalità dell’anima. Il mia, che sebbene sia vero nesso tra le due parti è costiche niente è sicuro in questo tuito, mi pare, dall’idea della ambito, è pur certo che è catarsi, della purificazione: meglio condurre una vita un elemento importante delonesta. Con questo Socrate la nostra interpretazione. E’ non pretende di aver dimonoto infatti che il pitagoristrato l’immortalità dell’anismo era innanzitutto un comma; l’ultimo argomento da plesso di regole per la purifilui addotto è quello secondo cazione. Il punto decisivo è cui è meglio vivere con queche Platone dà a quest’ideale sto orientamento che senza. di purezza un senso nuovo, Ritengo questo fatto di enorquel senso che alla fine ci è me importanza. Altrove ho diventato familiare attraverdimostrato che in Kant è preso Kant: il senso della ragion sente lo stesso tipo di argopura. La matematica è la ramentazione. Anche in Kant, gion pura, nel senso che essa infatti, non è dimostrato che trascende l’accesso sensibile esista la libertà. Pretendere alle cose, come appare già di fornire questa dimostranel Menone, nella teoria dei zione, interrogando la natura puri concetti matematici. Socrate e poi controllandone le riPerciò la visione morale e sposte, significa essere ciereligiosa della separazione dell’anima dal corpo corrisponde, nel suo nucleo, alla chi in partenza di fronte al valore ontologico della libertà, separazione della scienza matematica dall’esperienza che è un fatto di ragione, non di scienza naturale. Natusensibile. La vita del filosofo sarebbe, in tal senso, un ralmente la motivazione di Platone è diversa; egli non cammino verso la morte, intesa come separazione dal intende affermare che la scienza ha i suoi limiti e di conseguenza giustificare perché nella pratica si debba sensibile, dal corpo. Il primo argomento riguardante l’immortalità dell’anima seguire il consiglio di una vita onesta. La motivazione di è quello tratto dalla struttura ciclica della natura, per cui, Platone è di ordine trascendente; è conseguenza della essendo la vita un fenomeno naturale, anche la morte non limitatezza della nostra razionalità di fronte al mistero può che essere una tappa nel ciclo della gevnesi" e della morte e dell’eternità. Da questo punto di vista si della fqorav (Fedone, 70 e sgg.). La concezione della potrebbe dire che la “cattiva infinità” è anche la condizionatura come corso ciclico diviene un evidente argomento ne di Platone: la questione centrale della morale e della a sostegno della tesi del ritorno dalla morte. Così Socrate vita posa su una dialettica aperta e non su un risultato che conclude (71c), dicendo che anabiwvskesqai, il pretenda di essere frutto di una dimostrazione. 8 INEDITO Questo confronto tra Kant e Platone non riguarda tanto il concetto di libertà, dato che questo concetto, come è noto, non esiste nella filosofia platonica. Piuttosto, come Kant non fonda la metafisica su un argomento teoretico - la Critica della ragion pura, infatti, non presenta una metafisica in senso tradizionale - ma sulla vita morale, così Platone non pretende di dimostrare l’immortalità dell’anima con argomentazioni teoretiche, ma prende spunto dalla realtà della figura di Socrate e dal suo agire. Questo non significa però che si tratti dello stesso concetto di libertà. In tutto questo viene piuttosto alla luce l’inadeguatezza di un’argomentazione intorno all’immortalità dell’anima, fondata su un concetto di anima di stampo naturalistico. L’autobiografia intellettuale di Socrate comincia, infatti, con l’ammissione del suo forte impegno con i problemi della peri; fuvsew" Ôistoriva, l’istoria in senso greco, cioé il racconto di osservazioni fatte, come può essere la relazione di un viaggiatore sulle cose osservate durante il viaggio. In questo senso peri; fuvsew" Ôistoriva deve essere intesa come racconto delle esperienze fatte dal testimone degli eventi, che ha registrato certe cose, di cui fornisce un relazione. In realtà, all’epoca del Fedone, peri; fuvsew" Ôistoriva rappresentava un titolo ricorrente per designare relazioni riguardanti la natura, l’universo, il cielo, ecc. Inoltre, il secondo argomento, introdotto da Simmia come una ben nota dottrina socratica, è quello della ajnavmnhsi". Secondo Socrate la conoscenza deve essere un ricordare, dato che cose come i concetti matematici, ad esempio to; “ison, l’uguale in sé, non si possono ricavare dal piano dell’esistenza, dove non si danno mai due enti perfettamente uguali (e a questo proposito viene in mente la metafisica di Leibniz). Il concetto matematico di eguale rappresenta l’uguaglianza perfetta, che non è mai riscontrabile nell’esperienza sensibile; questo dimostrerebbe allora la preesistenza dell’anima, che ha visto quell’uguale in sé che non è visibile nell’esperienza esistenziale. Ma il mio scopo non è qui semplicemente di interpretare il Fedone, bensì di mostrare come i precedenti della filosofia platonica, le teorie dei presocratici, vengono presi in considerazione da Platone. A questo proposito, consideriamo le due obiezioni che notoriamente nel Fedone vengono sollevate contro l’immorinnanzitutto la causa della gevnesi" e della fqorav, perché solo così è possibile arrivare a comprendere qualcosa circa il senso della morte. Così Socrate inizia la narrazione delle sue esperienze con le scienze dell’epoca, fino alla decisione di imboccare un diverso orientamento. Questo testo di Hans-Georg Gadamer, che qui presentiamo in forma di anticipazione, è tratto, con qualche lieve ritocco nella forma linguistica, da un volume a cura di talità dell’anima. La prima, sollevata da Simmia, si può facilmente comprendere: l’anima non è altro che l’armonia del corpo; quando muore il corpo viene meno anche la cooperazione armoniosa dei suoi organi, e dunque anche l’anima si dissolve. Questo argomento deriva chiaramente dalla scienza dell’epoca e, più precisamente, è un argomento di tipo pitagorico. Esso è molto vicino alla definizione aristotelica dell’anima come &entelevceia del corpo, perfetta attualità dell’organismo vivente. La seconda obiezione, sollevata da Cebete, consiste nell’argomento secondo il quale l’anima potrebbe consumarsi attraverso la trasmigrazione nei vari corpi e dissolversi definitivamente nell’ultimo corpo. Anche in questa immagine si riflette, senza dubbio, una delle scoperte della biologia dell’epoca. Sappiamo, infatti, che gli scienziati dell’epoca platonica avevano già una concezione della vita come trasformazione dell’organismo materiale. Si può allora comprendere come l’obiezione, secondo la quale l’anima, pur essendo qualcosa che va al di là dei limiti dell’esistenza, finisce per consumarsi e svanire, ricalchi un’immagine che è frutto di una visione naturalistica dell’anima, quella stessa visione naturalistica che si esprime nel concetto di anima come armonia del corpo, destinata a scomparire con esso. Le due obiezioni si rivelano disastrose per ciò che riguarda la tesi dell’immortalità dell’anima. Esse appaiono tanto evidenti che anche Fedone e Echecrate, i due narratori del dialogo, interrompono il racconto per esprimere il loro smarrimento. E’ un momento di grande poesia. All’obiezione di Simmia Socrate risponde che l’anima non si identifica con l’armonia; semmai l’armonia è qualcosa che si desidera stabilire o trovare, per cui l’anima armoniosa non è un dato naturale, ma un bene verso cui si orienta la vita. Emerge qui chiaramente il conflitto tra una teoria naturalistica, o se si vuole matematica, dell’armonia, in cui essa è posta come dipendente dagli elementi che la compongono, e una teoria per così dire finalistica, che considera l’armonia come scopo della vita. L’altra obiezione, quella di Cebete, richiede una risposta più complessa e Socrate, dopo qualche momento di silenzio e di concentrazione, esordisce richiamando la necessità di chiarire Vittorio De Cesare, di prossima pubblicazione da parte dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli presso l’editore “Guerini e Associati” di Milano. Il volume raccoglie le lezioni su L’inizio della filosofia occidentale, tenute da Hans-Georg Gadamer nel gennaio 1988, nel quadro dei seminari che puntualmente ogni anno, dal 1979, egli dedica, presso l’Istituto napoletano, ai grandi temi del pensiero filosofico classico e moderno, da Platone a Hegel, dai presocratici a Heidegger, da Aristotele all’ermeneutica. La pubblicazione di queste lezioni intende innanzitutto rendere disponibile ad un più vasto pubblico il 9 materiale di studio e riflessione, raccolto dall’Istituto nell’ambito della propria attività seminariale. L’originalità di queste lezioni risiede nel modo in cui viene affrontata la questione dell’inizio del pensiero occidentale a partire dalla filosofia presocratica. Gadamer afferma infatti che una ricerca sui presocratici e sugli inizi del loro pensiero non può prendere le mosse da Talete, come ci insegna Aristotele, né dalla grande tradizione epica di Omero e Esiodo, che appare già “una tappa” verso l’interpretazione razionale della vita e dell’universo ad opera dei presocratici, né dalla lingua greca del se- INEDITO condo millennio prima di Cristo, con le sue intrinseche possibilità speculative e filosofiche, come l’uso del neutro o l’esistenza della copula. Occorre invece muovere da Platone e Aristotele. Il significato di questa scelta metodologica sta di fatto per Gadamer in una diversa accezione del termine “principio”, che non deve essere confuso con ciò che è primo, ma riceve il suo significato nel rapporto indissolubile con una fine, un punto di arrivo, da cui dipende lo sviluppo del principio, il suo dirigersi verso una fine. A questo proposito Gadamer propone una serie di interpretazioni di ciò che può essere inteso come punto di arrivo. La prima riguarda la fine della metafisica, come viene prospettata nell’Ottocento di fronte al positivismo delle scienze; in questo caso il principio risiederebbe, secondo Aristotele, in Talete come il primo che non ha raccontato miti sugli dei, ma ne ha parlato sulla base di dimostrazioni. Una seconda interpretazione considera come punto di arrivo la razionalità delle scienze, la cultura scientifica, che in tal senso si presenta come destino dell’umanità che ha il proprio principio nel mito. Una terza interpretazione, infine, propone come punto di arrivo la fine dell’uomo, dove principio e fine si perdono nell’ignoto. A queste interpretazioni Gadamer oppone invece un significato di principio, d’inizio, come “primitività”, “principialità”, secondo l’etimologia del termine tedesco Anfanglichkeit, dove l’esser principio è dato dal non essere determina- le cui tracce, del resto, si possomo trovare in Essere e Tempo, a cominciare dal titolo stesso dell’opera. Con questa interpretazione egli non è riuscito ad illuminare in modo compiuto l’enigmatico problema della metessi. Io penso che la metessi non sia da intendere come la partecipazione dell’idea al particolare, bensì come la partecipazione delle idee alle idee. Naturalmente c’è anche una partecipazione dell’anima alle idee; di ciò si è reso conProfessor Gadamer, la sua to un semplice insegnante, interpretazione della filosoquale è stato Ernst Hoffmann, fia greca si è gradualmente che ha parlato delle diverse differenziata da quella del forme di metessi. E’ un prosuo maestro Martin Heidegblema che appare già nel Parger. Qual è il punto fondamenide, uno dei più enigmamentale che secondo lei Heitici dialoghi platonici, dove degger non ha ben compreso il discorrere viene a giocare nel leggere Platone? un ruolo diverso da quello che in genere Socrate gli fa Il rapporto di Heidegger con assumere. Ogni lettore doPlatone è sempre e interavrebbe notare che ciò che qui mente condizionato da Aris’intende non sono le idee, e stotele: nel primo egli ha viche ciò che emerge nell’ultisto, in generale, solo il primo ma parte del dialogo è la parpasso di un cammino che poi tecipazione di un’idea all’alsi sarebbe svolto compiutatra. Se si riflette più a fondo, mente nel pensiero aristotesi scopre, infatti, che Platone lico. Questa è l’unilateralità Platone non è in alcun modo interesdell’approccio di Heidegger sato al problema della partealla filosofia dell’allievo di cipazione delle idee al sensibile, come risulta chiaramenSocrate; anche se bisogna ammettere che egli non ha mai te, ad esempio, dal Fedone, dove il problema è la parteavuto intenzione, per così dire, di leggere i presocratici o cipazione tra anima e morte, dunque tra due idee. Platone solo con gli occhi di Aristotele. Ovviamente Per gli studiosi tedeschi è stato determinante, in passato, Heidegger si lascia guidare anche dal proprio filosofare; lo schema di Julius Stenzel, per cui il primo problema era tuttavia, proprio la forza del suo stesso pensiero gli è in la partecipazione all’idea del bene; da qui scaturiva il qualche modo di ostacolo. In Heidegger vi era un che di problema della partecipazione alla realtà sensibile. Ora, geniale, tanto che altri filosofi della sua statura non si finché si tratta di partecipazione al bene, nel senso di sono avuti in questo secolo; il suo pensiero pervade areté, si può ricorrere al concetto di forza normativa del fortemente il proprio oggetto, traendone, però, solo ciò di bene, come fa Stenzel, dal momento che l’intento è di cui ha bisogno...ed è in questo modo che egli ha letto partecipare ad esso. Al contrario, se non si rimane, per Platone. così dire, confinati al bene nel senso dell’areté, emerge il Io ricordo molto bene la sua interpretazione del Sofista, problema di che cosa sia questa partecipazione. Perciò, anche se Stenzel non può essere considerato un allievo to in un senso o nell’altro, verso un fine o un altro, ma tutti gli sviluppi sono possibili. In tal senso, l’inizio della filosofia occidentale nei presocratici è dato appunto da un cercare senza sapere quale sarà il destino, il punto di arrivo di uno sviluppo che proprio per questo si presenta come possibilità infinita. Per un ulteriore approfondimento nelle tematiche fin qui esposte, proponiamo qui di seguito il testo di un’intervista rilasciata da Gadamer in occasione di una sua recente presenza a Napoli presso l’Istituto Italiano per gli Sudi Filosofici. 10 INEDITO In questo mio approccio ai testi antichi il linguaggio ha assunto un ruolo di primaria importanza; e fu proprio Heidegger a farmene capire l’importanza quando mi invitò a casa sua per un corso speciale su Aristotele, precisamente sul VII libro della Metafisica. Così il linguaggio divenne per me il nuovo punto di partenza per filosofare, in quanto voce di una esperienza accumulata che implica, appunto, un patrimonio culturale comune. Ovviamente è importante anche la forma, il modo di apparire del linguaggio, in quanto forme diverse implicano rimandi diversi, intenzioni diverse, e quindi più possibilità di lettura. La poesia ad esempio è ricca di metafore, e non può essere letta come si legge un testo didattico. diretto di Natorp, è certamente tra coloro che meglio hanno proseguito il lavoro di quest’ultimo. Il suo è pur sempre uno schema neokantiano; e sappiamo bene come per i neokantiani è fondamentale il poter rendere comprensibile la scienza moderna, prendendo le mosse da Platone. Ma la scienza moderna non esisteva nel mondo greco! C’era la matematica, che però è una scienza eidetica, non la scienza di una realtà contingente. Lei ha sempre sostenuto, che se si vuole realmente comprendere la filosofia greca bisogna guardare, contro la tradizionale interpretazione che vede Platone e Aristotele contrapposti, a ciò che essi hanno in comune, non alle differenze. Nel venir meno di tale contrapposizione, quanto è stato importante tener conto del linguaggio, della diversa forma linguistica con cui sono redatte le opere dei due filosofi? Nel suo scritto di abilitazione del 1928 Lei ha voluto applicare al Filebo platonico la tecnica della descrizione fenomenologica, che guarda “alle cose stesse” e muove dai fenomeni così come ci appaiono. Nonostante questa “modesta pretesa”, come Lei stesso la definì, già in questo suo lavoro riuscì ad illuminare in modo adeguato il problema della metessi e soprattutto a stabilire una relazione fra questa e il linguaggio? La lettura di Platone è, in primo luogo, un problema ermeneutico che deve condurre l’interprete a chiedersi perchè Platone si serva, per così dire, di maschere, di personaggi. Come si può trasformare in asserti teoretici ciò di cui discorrono Socrate e Parmenide, o lo stesso dialogo nel suo complesso, che è opera di grande poesia, prodotto letterario altamente stilizzato? E soprattutto, fino a che punto è possibile questa trasformazione e quanto viene perso, non visto, in una tale conversione? Io mi sono occupato di questo problema in rapporto al dibattito sollevato dalla scuola di Tubinga sulla cosidetta dottrina non scritta di Platone, cioè sul suo insegnamento orale. Mi sono sempre sforzato di far capire che è un errore ermeneutico fondamentale pensare che possa esistere una comparabilità diretta fra dialoghi platonici e testi didattici, quali sono quelli di Aristotele. In realtà, c’è un rapporto molto indiretto, che emerge solamente se si continuano a pensare i dialoghi platonici. Questa, in fondo, è l’intenzione di tutti i dialoghi: il discorrere deve sempre proseguire; non ha e non deve aver fine. Ogni dialogo termina in qualche modo con il presupposto che ciò a cui si è giunti è semplicemente un primo passo, un incitamento a proseguire. Se si prendono le mosse da una tale, fondamentale convinzione ermeneutica, diviene chiaro che Aristotele è molto più vicino a Platone di quanto hanno ritenuto gli studiosi che ci hanno preceduto. La contrapposizione fra i due filosofi greci è frutto di una interpretazione banale di entrambi; ne è un esempio evidente, come ho già accennato, il neokantismo, secondo il quale Aristotele sarebbe una figura epigonale del grande Platone. Questi finisce per essere una figura secondaria, che offre, come un medicamento, soluzioni a problemi filosofici. Ma il neokantismo non ha compreso il vero problema del rapporto fra Platone ed Aristotele. Per quanto mi riguarda, ho cercato di leggere in modo nuovo la filosofia greca, partendo dalla fenomenologia di Husserl, che proprio in vista di una scienza più rigorosa conferisce un ruolo fondamentale all’esperienza umana in sostituzione del “dato” dei neokantiani, passando attraverso la forte influenza esercitata su di me dal nuovo, impetuoso interrogare di Heidegger e traendo aiuto dalla filologia classica che avevo appreso alla scuola di Paul Friedlaender. A proposito del Filebo, io concentrerei l’attenzione innanzitutto sul terzo genere dell’essere, il “misto”, e sulla sua causa, il “metron”. Si tratta di qualcosa che precorre ciò che Aristorele intende con il termine tode ti e il rapporto di questo con l’idea. Leggendo il Filebo si vede subito la matrice platonica di questo concetto aristotelico. Nel mio primo libro ho svolto questa analisi in modo molto preciso, chiedendomi cosa significhi il fatto che nel Filebo sia così poco chiaro ciò che riguarda i numeri, che cosa essi indichino: il feras, per esempio, ma anche il metron (ci si potrebbe a questo proposito, riferire anche al Politico e chiedersi cosa rappresenti, in questo dialogo, la dottrina del metron). Quando Werner Jaeger ha sostenuto che Aristotele inizialmente fu un seguace della dottrina delle idee e successivamente si allontanò in modo critico da questa, si è avvalso dell’argomento che in Platone, in fondo, troviamo già tutto. Per comprendere la metexis non si deve mai dimenticare il concetto aristotelico di exis. Methexis è mit-sein, ed exis è naturalmente anche un Sein degli uomini. Muovendo da questa considerazione, credo che l’intero problema della metessi debba essere visto innanzitutto come problema della struttura del logos, come viene indicato nel tardo Platone. Ogni logos indica una comunanza; questo è chiaro per le lezioni di Aristotele. Per Platone esso indica una relazione ed allo stesso tempo, per così dire, una partecipazione. Metessi ha quindi il senso dell’esser dentro; e metà, peraltro, richiama meson. In methexis, cioè, non troviamo il senso del proiettrasi verso qualcosa dall’esterno, del cercare di afferrare qualcosa dal di fuori. Lo stesso metalambanein suggerisce più un modo d’essere, che di agire. Se si vuole realmente comprendere Platone e i greci non si deve procedere partendo dal nostro concetto di soggetto, così come hanno fatto Natorp e Cohen nel consiederare il dato come nozione fondamentale, come problema, al fine di porre il pensiero come fondazione della scienza (lo stesso Natorp ha più tardi riconosciuto che esso non è 11 INEDITO possiede una tale forza, una tale vitalità, da valere al di là del testo stesso. Un testo deve essere innanzitutto reso vivo; e questo lo si può fare anche trasformando ciò che è contenuto in esso. Dal mio punto di vista, credo che il più grosso pericolo presente in Heidegger consista in ciò che egli ha sempre voluto: «...tu stesso devi vedere come Platone, e poi pensare, trarre da ciò le conseguenze e realmente comprendere quello che tu lì hai pensato...». In verità, questo è ciò che fa anche Aristotele, poiché questo è ciò che fa parte della sua disposizione fondamentale, essendo lui un biologo, un fisico, ma non un matematico. Platone, invece, è un matematico, un pitagorico, così come tutti i suoi amici dell’Accademia, e di questo si lamenta Aristotele. E’ importante però non considerare reale ciò che Platone dice in forma poetica. Con ciò intendo dire che nello scrivere discorsi come poesie, la pura sfera eidetica viene naturalmente superata. Ad esempio, nel Sofista troviamo il ben noto passo: «Teeteto vola...», che vuole ovviamente significare qualcosa, e non semplicemente dire che Teeteto, che se ne sta lì seduto, vola. Ciò che questo passo sta a significare è molto più semplice di quanto in genere sia stato scritto in proposito. Non si coglie il punto fondamentale se si afferma semplicemente che questo esempio indica che vi è un singolo uomo laddove vi è l’idea di uomo. Mi pare ovvio che qui Teeteto sia un uomo...solo lo si vuole intendere in quanto idea, un’idea che non ha niente a che vedere con l’idea del volare. L’esempio intende appunto mostrare come l’idea di uomo sia incompatibile con quella del volare; si tratta infatti dell’incompatibilità tra due idee, e non di come il particolare partecipi all’idea. L’esempio mostra che questa partecipazione deve essere sempre presupposta e che in Platone il principio di individuazione non esiste come problema. Al suo posto vi è il mostrare, nel senso del dare sempre una direzione al proprio vedere, e nient’altro...; qui, direi, si ritorna al tode ti di Aristotele. sufficiente). Se oggi si rilegge il noto libro di Natorp, si rimane colpiti dal fatto che in esso i primi scritti di Platone, compreso lo stesso Teeteto, vengono trattati molto brevemente. Natorp era senza dubbio un grande erudito, un uomo perspicace, acuto, ma solo tardi egli si è liberato di un certo schema interpretativo di quello che avrebbe poi definito come il retroterra religioso della dottrina delle idee, dove il termine religioso indica qui, in senso molto ampio, che le idee non sono solamente dei concetti scientifici. Ho cercato di mostrare, in modo assai concreto, che cos’è la guida dell’anima, la Epagoghé, in un dialogo platonico, e posso affermare che siamo in errore, fintantoché continuiamo a leggere i dialoghi platonici come trattati logici. Certo, in Platone vi è molta logica, ma non vi è mai la pretesa che tutto debba essere pura logica; anzi, direi il contrario. La pretesa è quella di essere convincenti, e con ciò fare in modo che all’altro, per così dire, si aprano gli occhi. Ciò accade ad esempio con il mito della caverna, dove il venire alla luce del giorno rende possibile il vedere; ed è in fondo questa possibilità che Platone ha voluto prendere in considerazione con le sue opere letterarie. Da questo punto di vista possiamo ancor meglio comprendere ciò che è presupposto come ovvio, cioè la relazione che intercorre fra le idee (diairesis), o il modo con cui un’idea esclude l’altra (ma con questo siamo già al centro dell’argomentazione del Fedone). Che senso avrebbe altrimenti parlare di idee, se non si trattasse del modo con cui un’idea si rapporta ad un’altra? Pensiamo, ad esempio, al rapporto tra l’idea di anima e quella di vita e a come queste escludono l’idea di morte. Questo punto, che a suo tempo non è stato per niente compreso da Stenzel, può chiaramente aiutarci a capire il concetto di dialettica e mostrarci come esso si dispieghi completamente in base ad una tale considerazione. Heidegger ha interpretato la greca aletheia come non nascondimento, svelamento, mentre Lei ha in qualche modo corretto questa lettura. In che cosa è diverso il Suo contributo rispetto a quello di Heidegger riguardo al problema della verità ed alla sua connessione con quello che Lei chiama la “presenza delle idee”? Platone, dunque, aveva di mira le relazioni che intercorrono tra le idee. In che senso, allora, nella Sua interpretazione del Timeo, Lei parla della necessità del fenomeno? Ci eravamo già avvicinati a questo problema, quando parlavamo del Teeteto a proposito dell’espressione: «Teeteto vola». E’ chiaro che questa espressione, in fondo, vuol dire che un uomo non può volare; ma il fatto che si voglia intendere solo questo è un’importante limitazione. Essa sta a significare che dalle idee non si può dedurre in alcun modo la contingenza; si può solo ricorrere al mito - ananke - anche se Aristotele pensa, in senso critico, che questo significa ricorrere a delle metafore per l’insegnamento. Quando nel Timeo si parla della costruzione dell’universo e di cose simili, si tratta di metafore, certo, ma di metafore che per Platone hanno lo stesso valore di ciò che si apprende dai logoi, ovvero un valore eidetico. Aristotele invece, non usa il discorso mitico, ma concetti come dynamis o energheia, dove il dynamaion equivale quasi a ciò che viene pensato nella methexis. Il dynamaion è ciò che di per sé non è niente, è ciò che ancora non è, ma nello stesso tempo è il concetto che qualcosa non può essere prodotto dal niente. L’ananke Heidegger ha visto che l’idea è la presenza del presente. Ciò che bisogna comprendere, però, è che egli ha letto i greci come qualcosa di estremamente lontano, estraneo. Certamente lo ha fatto con grande ammirazione, ma anche in modo tale da non lasciar emergere il sapere e tutto ciò che da questo dipende, come ad esempio la storia. Questo significa che nella greca aletheia egli non ha visto la lethe, non ha posto l’accento sul nascondimento. Come ho già detto, Heidegger riusciva a pensare in modo eccezionale, ma non riusciva a pensare quello che gli altri avevano pensato. Egli coglieva, in base alla lingua, le unità semantiche e la loro interna connsessione; e talvolta ciò che lui pensava corrispondeva a ciò che il testo realmente voleva dire. Ma è veramente un caso fortunato, se quello che Heidegger pensava può essere effettivamente rinvenuto nei testi di Platone e di Aristotele. Heidegger, per lo più, ha interpretato in modo “errato”; ma nello stesso tempo la sua interpretazione 12 SCHEDA Didascalia 12 SCHEDA S ulla cima del monte Titano, nel territorio della to sono stati: “Le fonti della ricerca storica”, “Per una storia Repubblica di San Marino, sorge un ateneo giova- della città”, “Storiografia antica e pensiero politico modernissimo, che solo da pochi anni ha dato inizio alle at- no”, “La Rivoluzione francese”, “Fonti scritte e non scrittività accademiche e che appare destinato, grazie agli inve- te”, “Lo stato degli antichi e dei moderni”, “Le forme del stimenti del locale Governo e alle iniziative del neo-rettore, tempo”, “Mercanti e mercato: culture e modelli mercantili”, “Tendenze e caratteri fra medioevo e età moderna”, Prof. Renato Zangheri, ad ulteriori espansioni. Per quanto riguarda le scienze umane sono attivate presso “L’identità dell’Europa”. Tra gli studiosi che hanno svolto l’Università degli Studi di San Marino due importanti istitu- i loro seminari negli ultimi due anni accademici ricordiamo: zioni, entrambe rivolte a studenti già laureati, ma del tutto Maurizio Bettini, Innocenzo Cervelli, Nicola Matteucci, differenti per il modello organizzativo e le finalità didattico- Erich Hobsbawn, Pierangelo Schiera, Ilya Prigogine, Rugscientifiche. Il Centro Internazionale di Studi Semiotici giero Romano, Paolo Rossi, Giacomo Marramao, Remo e Cognitivi, diretto da Umberto Eco, si caratterizza come Bodei, Krzysztof Pomian, René Thom, Vittore Branca, Lucentro di studi che periodicamente (circa 5-6 volte all’anno) cio Villari, Adriano Prosperi, George Mosse, Luciano Galorganizza seminari, convegni, work-shops su argomenti lino, Luciano Canfora, Ezio Raimondi. specifici, attinenti per lo più alla semiotica. La partecipazio- Nei mesi senza lezioni gli allievi sono liberi di lavorare nella ne alle iniziative del Centro è libera, e per ogni incontro ven- sede accademica da loro prescelta. In quel periodo l’attività gono messe a disposizione di studenti, laureati e dottorandi si concentra sulla ricerca individuale e sulla stesura della delle borse di studio che coprono le spese di vitto e alloggio. propria tesi di dottorato. La Scuola individua fin dalle prime settimane per ogni singolo Per ottenere una delle borse I luoghi della filosofia allievo un docente compedi studio offerte è necessario tente nell’ambito del proinviare una motivata dogetto di ricerca proposto, il manda accompagnata da un quale dovrà seguire come breve curriculum. Tra i contutor l’andamento del lavovegni recentemente orgaro e partecipare alla discusnizzati dal Centro Internasione finale. Il titolo di dotzionale di Studi Semiotici e tore di ricerca concesso dalCognitivi si possono ricorl’Università sanmarinese è dare quello su “Knowledge riconosciuto dalla RepubThrough Singns: Ancient blica italiana ed è equipolSemiotic Theories” (Conolente a quello conseguito scere attraverso i segni: andi Gherardo Ugolini presso le Università italiatiche teorie semiotiche, giune. gno 1992), al quale hanno L’ambito della Scuola è represo parte tra gli altri Umlativo agli studi storici, ma berto Eco, Anthony A. non in modo esclusivo. Per Long, David Sedley, Mario accedere alle prove di seleVegetti, Walter Leszl, e zione non è infatti indispenquello su “Phonosymbolisabile essere laureati in stosm and Poetic Language” ria, ed eventuali progetti di (Fonosimbolismo e linricerca che riguardino la stoguaggio poetico, ottobre ria della filosofia, della letteratura, del diritto ecc., vengono 1992). Del tutto differente è il funzionamento della Scuola Supe- ugualmente presi in considerazione. riore di Studi Storici, diretta da Aldo Schiavone, che anno- Nonostante le inevitabili difficoltà iniziali l’ateneo sanmavera tra i membri del Consiglio Scientifico storici di grande rinese si va affermando come una realtà culturale di livello fama quali Maurice Aymard, Valerio Castronovo, Gabriele europeo. Progressivamente verranno ultimate anche le inDe Rosa, Giuseppe Galasso, Francis Haskell, Wolfgang frastrutture necessarie per il decollo dell’Università. E’ già Mommsen, Aldo Schiavone, Corrado Vivanti e Renato in funzione il campus universitario (moderni bilocali arreZangheri. Questa istituzione si caratterizza come vera e pro- dati, ricavati entro un antico castello), dove possono allogpria scuola di specializzazione per la formazione di dottori giare al momento quindici allievi. La biblioteca è ancora lidi ricerca. Per ogni ciclo triennale il Comitato Scientifico mitata e insufficiente sia per il patrimonio librario, sia per gli ammette alla Scuola, previa selezione per titoli ed esame, 24 spazi a disposizione, ma è prevedibile - anche grazie ai sugallievi italiani e stranieri: soltanto ai primi dodici della gra- gerimenti degli allievi - una enorme crescita nei prossimi duatoria viene garantita una borsa di studio di L. 1.200.000 anni. Infine nascerà una collana universitaria presso l’editonette mensili. Al momento della domanda ogni candidato re Einaudi per la pubblicazione delle tesi migliori e di alcune deve inoltre presentare un progetto di ricerca originale che, lezioni dei docenti. in caso di ammissione alla Scuola, costituirà il tema della Per informazioni di ogni genere e per la richiesta di bandi di sua tesi di dottorato. Le lezioni sono concentrate nei mesi concorso, ci si può rivolgere ai seguenti indirizzi: Centro Inestivi (giugno-luglio, settembre-ottobre), durante i quali è ternazionale di Studi Semiotici e Cognitivi, Contrada Omeobbligatoria la residenza a San Marino e la frequenza. I temi relli 77, 47031 San Marino, tel. 0549/882516, fax 0549/ delle lezioni svolte nell’ambito degli ultimi cicli di dottora- 882519; Scuola Superiore di Studi Storici, Contrada delle Mura, 47031 San Marino, tel. 0549/882507, fax 0549/ L’Università di San Marino 13 AUTORI E IDEE Pieter Bruegel, Saul o Battaglia del monte Gelboé (1562), particolare 14 AUTORI E IDEE AUTORI E IDEE Se Dio non vince Più che alla riflessione di Dietrich Bonhoeffer, alla quale pare collegarsi la tematica dell’impotenza di Dio nel mondo, l’ultimo saggio di Sergio Quinzio, LA SCONFITTA DI DIO (Adelphi, Milano 1992) rimanda alla precedente riflessione dell’autore, caratterizzata dall’individuazione nella tradizione greca di un’idea, quella della spiritualizzazione di Dio, nonché di premi e castighi per gli uomini, estranea alla tradizione ebraica e cristiana. Non c’è, nell’Antico Testamento, una tradizione di spiritualizzazione del divino; non c’è la promessa, o la minaccia, di un mondo futuro come al di là, premio o castigo di “questo” mondo, a esso contrapposto e per esso intangibile. Una tale spiritualizzazione, con il suo relegare nell’ambito del trascendente ciò che è oggetto dell’attesa messianica, è piuttosto il frutto dell’innestarsi sulla tradizione ebraica e su quella protocristiana dell’eredità del pensiero greco, improntata al dualismo di stampo platonico tra mondo sensibile e mondo intelligibile, fra materia e forma, fra al di qua e al di là. Questa la tesi portante della precedente e più ampia opera di Sergio Quinzio, Radici ebraiche del moderno (1990) di cui, quest’ultimo studio, La sconfitta di Dio, costituisce quasi un corollario. Nella tradizione ebraica l’attesa messianica non è desensibilizzata, non è privata della corporeità; per i Vangeli, e per tutta la tradizione protocristiana, l’avvento del Regno dei cieli non ha i caratteri di una proiezione nell’al di là con la promessa, più o meno scoperta di un risarcimento degli effetti prodotti da dinamiche storicamente determinate, dei desideri e delle aspettative rimasti inappagati nell’al di qua. Il Dio biblico è attore, oltre che regista, della dinamica storica, non si limita a scriverne il testo, o meglio non vi è un testo stabilito prima della rappresentazione: “si recita a soggetto”, e gli attori, Dio e gli uomini, entrano in gioco nella rappresentazione. Questo agire di Dio come attore, e non come deus ex machina, come parte in gioco, e non come supra partes, è precisamente ciò che la cultura cristiana, dopo i suoi inizi, ha costantemente rimosso. Significativa è a questo proposito, nota Quinzio, la questione della violenza, largamente presente nel testo biblico, che fin dai primi secoli del Cristianesimo si è tentato di eludere attraverso una sua trasfigurazione. Gli intenti vendicativi e annientatori del Signore sarebbero infatti da intendersi come una metafora, un’allusione ai castighi che nell’al di là potrebbero toccare agli empi, ai nemici di Dio. I resoconti, più o meno truculenti, di annientamenti “reali”, cioè storicamente determinati, dei nemici di Israele, sarebbero invece da attribuire ai costumi barbari di quelle antiche stirpi semitiche mediorientali, seppure portatrici di una verità inconcussa che le trascende. Si tratta del medesimo atteggiamento interpretativo che dà per scontata, da quasi duemila anni, la contrapposizione fra il Dio veterotestamentario, Signore degli eserciti e vendicatore, e il Dio, padre e misericordioso, del Nuovo Testamento. In verità, fa notare Quinzio, il Dio che toglie la vita ai nemici non toglie loro la “vita eterna” ma, più concretamente, li uccide; il Cristo che trasforma l’acqua in vino non allude «al frutto della vite e del nostro lavoro», ma dimostra la sua concreta potenza taumaturgica; e quando applica agli occhi del cieco il fango formato con il proprio sputo e lo rende capace di vedere le cose del mondo, non fornisce affatto al cieco un “altro sguardo”, gli “occhi della mente”, per guardare le meraviglie di un mondo iperuranico. Eppure questo Dio, che agisce così direttamente nel mondo, questo “Signore degli eserciti”, che interviene non a capo di schiere di angeli contro quelle di demoni guidati da Lucifero, ma a fianco delle ben più concrete falangi di Israele contro quelle dei suoi nemici, proprio questo Dio si espone in tal modo alla sconfitta, che infatti arriva, testimoniata dall’esistenza del male del mondo. Ma questa non può essere un’obiezione valida, sostiene Quinzio, contro il Dio che ha assunto le caratteristiche dell’Essere dei filosofi, stabile e intangibile al di là del divenire storico e delle sue sofferenze. Questo Dio, quello dei filosofi, di cui da due millenni è tributaria larga parte della cultura cristiana, è un Dio “pacifico”, sereno nella sua intangibilità; un Dio conciliante, che non fa guerre. Per Sabaoth, il “Si15 gnore degli eserciti”, è invece Auschwitz uno scacco decisivo, la croce una sconfitta irreparabile: questo è il vero carattere della sconfitta di Dio. Ed è qui, afferma Quinzio, che si apre la dimensione della fede autentica, qui che «si determina la differenza», in “questo” mondo, fra il bene e il male, fra il carnefice e la vittima; costoro sarebbero altrimenti uguali sub specie aeternitatis, cioè davanti allo sguardo di Dio, onnipotente e superiore alle vicende del mondo. Il rischio di tenere nel novero delle possibilità la sconfitta di Dio significa, osserva Quinzio, sospendere la propria vita su un abisso. Da questo rischio è esentato chi, in una scommessa solo apparente, perché già vinta, si pone in una dimensione di calcolo, e non di fede, chi crede nel Dio onnipotente e immutabile. F.C. Manuale di metafisica e ontologia Con oltre 450 articoli, lo HANDBOOK OF METAPHYSICS AND ONTOLOGY (Manuale di metafisica e ontologia, a cura di Hans Burkhardt e Barry Smith, Philosoph Verlag, Monaco-Filadelfia-Vienna 1991) propone una notevole quantità di riferimenti e materiali informativi di livello specialistico, utili per un orientamento attraverso la storia della metafisica e i suoi problemi. Che cos’è il mondo? È l’insieme delle “cose” (oggetti) o dei “fatti” che in esso accadono? E cosa significano termini come “evento”, “stato di cose”, “processo”? Esistono cose come “proprietà”, “insiemi” e “numeri”? Qual è lo statuto ontologico dei colori e delle superfici, dei segni e delle opere d’arte? Questo il genere di domande a cui risponde, con oltre 450 voci e articoli, lo Handbook of Metaphysics and Ontology. Attraverso l’inclusione, nelle diverse voci di cui si compone il manuale, di concetti della logica e delle scienze empiriche, s’intende rendere conto delle diverse forme della metafisica, dalla sua configurazione aristotelica fino alle sue espressioni moderne. Il legame storico della metafisica AUTORI E IDEE con la teologia - dalla filosofia prima di Aristotele fino ai Padri della Chiesa e alla scolastica medioevale - fa sì che nell’opera si trovino articoli dedicati agli angeli, alla teodicea e, naturalmente, all’ente supremo (“Dio”). Di necessità (visto il ricorrere delle questioni metafisiche - quale che sia la risposta che ad esse viene data - in tutti i grandi filosofi) l’opera presenta anche un ampio, dettagliato e aggiornato dizionario dei filosofi. Un’ulteriore elemento di interesse di quest’opera di consultazione è dato dal fatto che in essa vengono presi in considerazione problemi e ambiti sui quali risulta difficile trovare contributi specialistici: vengono così trattati, ad esempio, la scuola dei logici polacchi e figure singole di pensatori come Samuel Alexander, Friedrich Eduard Beneke, Christian von Ehrenfels, Kurt Lewin, Rudolf Hermann Lotze, Anton Marty, Moses Maimonides, Kaziemierz Twardowski, per citare solo alcuni nomi. La trattazione dei filosofi del XX secolo giunge sino alle ultime generazioni: così, accanto a W. V. Quine (1908) o René Thom (1923) troviamo filosofi “giovani” come Saul Kripke (1940) o David Lewis (1941). Alcuni articoli dedicati a voci di carattere più generale (“Metafisica”, “Ontologia”, “Parte/Tutto”, “Logica”) e ad epoche e scuole filosofiche, permettono di stabilire una rete di connessioni tra elementi informativi, reperibili in articoli dedicati ad argomenti più particolari. Risulta anche utile l’introduzione dei curatori, che offre una sintetica panoramica sui momenti fondamentali della storia della metafisica. Il reperimento, nel manuale, di filosofi e dottrine particolari, a cui non è dedicata una voce autonoma, è facilitato da un denso indice analitico. M.M. Una storia della ragione A sette anni dalla morte, l’edizione di UNE HISTOIRE DE LA RAISON (Una storia della ragione, interviste con Emile Noël, Seuil Parigi 1992) fa rivivere la parola di François Châtelet, riportandone alla memoria un’immagine che doveva essergli molto cara: quella di filosofo pubblico, di intellettuale che spezza la trasmissione esoterica del sapere per renderne partecipi i molti. In poco più di duecento pagine sono raccolti gli interventi di Châtelet ad un programma radiofonico del 1979 che portava il titolo: “France Culture”. Ad un pubblico di non-filosofi Châtelet racconta, oggi come allora, la storia della filosofia, «il cammino della ragione occidentale»; e se il tono è leggero, quasi una conversazione mondana, l’interrogazione problematica rimane tuttavia intatta, conservando tutta la sua profondità sotto la superficie brillantemente divulgativa. Tra il 1972 e il 1973 François Châtelet aveva diretto la pubblicazione di una Storia della filosofia, in otto volumi, che sarebbe diventata un classico; allora, l’idea di narrare una simile materia in qualche conversazione radiofonica sembrava pura follia. Eppure, il percorso di pensiero compiuto da Châtelet non solo ha aperto una simile possibilità, bensì è giunto anche, in un certo senso, a giustificarla. L’intera sua opera può infatti riassumersi nello sforzo di comprendere il cammino della ragione nella storia; successivamente l’accento però si sposta dalla ratio della storia all’intellegentia dello storico. Forte di una posizione che egli stesso definisce hegeliana, Châtelet ritiene dapprima che nella storia vi sia una logica, che il pensiero filosofico deve cogliere e restituire. Ma ben presto gli si palesa l’illusorietà di una ragione che, anziché esser propria della storia, appartiene alla ricostruzione storica, ed è irrimediabilmente compromessa con il punto di vista di quest’ultima. Ecco allora levarsi la critica alla razionalità - sia essa politica, o storica, o filosofica che pretende di «rinchiudere la totalità dell’essere tra la prima e l’ultima pagina di un libro», con la conseguente rinuncia al significato intrinseco dell’opera sistematica o dell’opera esaustiva. All’idea di “totalità”, intesa come realtà compatta e unitaria, percorribile e descrivibile quasi univocamente, si sostituisce l’idea di una «molteplicità di blocchi di pensiero», più spesso delimitati da cesure, che non uniti in punti di contatto, navigare attraverso i quali diviene quasi una necessità. Non si tratta tanto di farne la storia, allora, quanto di farne la geografia. Il filosofo diventa cartografo, e la traccia per il suo disegno è di volta in volta suggerita da ciò che traspare dagli interstizi: un leggere-tra, che colga il costituirsi della monoliticità dei saperi e della loro parvenza di razionalità attraverso le irrazionalità dell’arte, della letteratura, del mito, o comunque di ciò che è “altro”. È appunto all’interno di una tale metafora cartografica che si inscrive il percorso di pensiero tracciato da Châtelet in Une histoire de la raison. Inoltrandosi attraverso varie aperture, la continuità di questo percorso risulta di proposito spezzata, o quanto meno lasciata in secondo piano, per far emergere la trama delle diverse tradizioni di pensiero. M.V. Il male politico Il filo conduttore de LA PERSÉVÉRANCE DES ÉGARÉS (La perseveranza degli smarriti, Christian Bourgois ed., Parigi 1992) è indicato dall’autrice stessa, Myriam Revault d’Allonnes, nel male politico, nel male del vivere sociale, 16 insito nel gesto costitutivo del sociale stesso e pertanto in grado di minarne l’istituzionalizzazione e la regolamentazione in forma di governo. Ciò che in un tale contesto viene chiamato “perseveranza” è l’ostinata determinazione a non sottrarsi a quella che si pone come una questione ineluttabile. Definire il «politico» come l’istituirsi del vivere insieme significa dare al termine un’accezione estremamente ampia; ma soprattutto significa fondare la filosofia politica su di un’antropologia filosofica, in quanto il vivere insieme implicherebbe la messa in atto di una sorta di disposizione primaria al rapporto umano. Ed è nel rapporto umano, precisamente nella fragilità delle passioni e degli affetti chiamati in causa, che secondo Myriam Revault d’Allonnes si radica il male politico. Una specie di male originario, quindi, che inerisce immediatamente all’uomo e al suo inquietante essere sociale. Il Terrore, che fece seguito alla Rivoluzione francese, ne è un esempio paradigmatico, tant’è che Revault d’Allonnes ha già cercato di esplicitare la contraddizione propria di questo «precipitare storico» in un precedente scritto, D’une mort à l’autre: précipices de la Révolution (Da una morte all’altra: precipizi della Rivoluzione, 1989), dove appunto l’enigma del politico veniva reso oggetto di riflessione attraverso l’analisi di questo «periodo maledetto». Il Terrore assume qui le caratteristiche di una «esperienza-limite» che da un lato, non lasciandosi compiutamente cogliere dalla ragione, rivela l’irriducibile e il contingente dell’evento, e dall’altro inscena il paradosso tragico del politico: la ragionevolezza del vivere sociale è sempre esposta al rischio di sfociare nella furia antipolitica che minaccia ogni possibile ordine sociale. Nella Persévérance des égarés, Revault d’Allonnes ritorna sulla questione del Terrore, creando una sorta di continuità tra le due opere, benché quest’ultima si presenti di fatto come una raccolta di testi apparentemente molto diversi: alcuni decisamente storici, sulla Rivoluzione e sulla Shoah; altri più specificatamente filosofici, dedicati a Spinoza, Hannah Arendt e MerleauPonty; altri ancora dedicati all’analisi di testi di letteratura. Questa molteplicità, che non giunge mai ad una vera e propria costruzione sistematica, permette altrettante prospettive di lettura e insieme vuole restituire quella sorta di oscillazione, quel chiaroscuro che è l’esperienza del politico. «È un modo per rivendicare un lavoro che si situa all’intersezione di numerose discipline e per contestare il carattere egemonico dell’istanza filosofica, l’autorità del discorso filosofico. Di fatto, di fronte all’esperienza-limite si può avere la sensazione che una certa concettualità filosofica sia insufficiente, e che l’evento (evento storico, ma anche evento di pensiero) debba essere accompagnato da un altro tipo di AUTORI E IDEE Hsuan-Chi, strumento ottico cinese per la determinazione del calendario (v. 500 a. C.) scrittura, che potrebbe essere detta “più poetica”». M.V. Un’archeologia dello sguardo Con l’opera: DER BLICK, DAS SEIN UND DIE ERSCHEINUNGEN IN DER ANTIKEN OPTIK (Lo sguardo, l’essere e i fenomeni nell’ottica antica, Fink, München 1992) lo storico del pensiero scientifico Gérard Simon presenta una ricostruzione delle diverse concezioni dell’ottica antica, intendendo contribuire con ciò ad una «archeologia dello sguardo, dell’uomo in quanto vedente» e del suo «rapporto con il visibile»: un tema che per le sue implicazioni epistemologiche e antropologiche riveste un indubbio interesse anche per la filosofia. Il vedere, la visione occupano una posizione di rilievo non solo nella storia delle scienze, ma anche in quella della filosofia, ed in particolare nella filosofia dell’antichità greca, dove l’atteggiamento conoscitivo viene considerato (si pensi ad esempio a Platone) affine all’atto del vedere. Uno sviluppo contemporaneo di questa assimilazione della conoscenza filosofica alla visione, o quantomeno di un privilegio accordato a quest’ultima nella costruzione della filosofia, la si può trovare in Husserl e nel metodo fenomenologico della “visione delle essenze”. Se questo rende facil- mente comprensibile l’interesse che può venire da parte filosofica per una storia o “archeologia” della visione e dell’ottica come studio della modalità in cui l’essere si manifesta nei fenomeni, non altrettanto risulta evidente il fatto che il senso della vista, dunque qualcosa di apparentemente “naturale”, abbia una storia, sia cioè una facoltà complessa che muta nel tempo e nel variare delle culture. Su questa variabilità storica delle modalità percettive pone l’accento Gérard Simon, studioso del pensiero scientifico formatosi alla scuola di Alexandre Koyré, quando parla di un “atteggiamento spirituale” delle diverse epoche, indicando l’esigenza «di mettere in questione la pertinenza delle nostre classificazioni e dei nostri concetti, in modo da poter così ricostruire la corrispondenza tematica tra le concezioni che nelle epoche passate, in cui scrissero e pensarono questi autori, unificava i diversi ambiti della ricerca in un modo spesso non traducibile nella nostra cultura». Simon offre così l’immagine di un mondo teorico, assai lontano da quello delle attuali convinzioni scientifiche, un mondo di studiosi e di teorie nel campo dell’ottica, che a partire dalla trasformazione, avvenuta con Keplero, dell’ottica in una “fisica della luce”, sono state escluse dalla scienza. I punti di forza che spiegano il successo inoppugnabile e secolare di quest’ottica sono, per Simon, la sua concisione teorica 17 e la sua coerenza sistematica. Il suo nucleo fondamentale, che garantiva il legame tra lo sguardo, l’essere e i fenomeni, era il concetto, estraneo alla scienza odierna, di “raggio visivo”, che indica un’emissione dell’occhio, paragonata talvolta ad un fuoco, e da Ipparco addirittura ad una mano, che comunica al medium della visione (pneuma) una tensione e lo rende disponibile a cogliere il visibile. Per quanto possa sembrarci strana questa “ipotesi”, essa tuttavia permetteva la misurazione del visibile, l’indicazione di direzioni, distanze, grandezze, forme e movimenti; e il successo fu tale da impedire per molto tempo la nascita di una teoria fisica della luce, indipendente dal concetto di visibilità. Un’ulteriore caratteristica epistemologica dell’ottica antica, osserva Simon è la sua “circolarità”, in virtù della quale si ha un rinvio reciproco tra vedere e visibile attraverso la mediazione del colore. Accessibile solo al vedere, il colore viene inteso da Tolomeo come un elemento della visibilità che non può essere scisso dalle condizioni fondamentali del vedere: «lo sguardo - così sintetizza Simon - si colora, in senso proprio, di ciò che tocca». Simon sostiene in conclusione una tesi che conferisce particolare articolazione alla materia storica da lui presa in esame: la teoria del raggio visivo e l’affinità in essa implicita tra lo sguardo e ciò che viene visto, costituisce il fondamento dell’anti- AUTORI E IDEE ca geometria della percezione visiva. M.M. Oltre Heidegger, l’etica: Ernst Tugendhat Sono state pubblicate in Germania due raccolte di saggi che ripropongono al pubblico le tappe principali del percorso filosofico di Ernst Tugendhat e offrono al tempo stesso una panoramica sulla discussione filosofica tedesca dal dopoguerra ad oggi: si tratta dei PHILOSOPHISCHE AUFSÄTZE (Saggi filosofici, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1992) e di ETHIK UND POLITIK. VORTRÄGE UND STELLUNGNAHMEN AUS DEN JAHREN 1978 BIS 1991 (Etica e politica. Discorsi e prese di posizione 1978-1991, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1991). Accanto a testi già pubblicati in altre occasioni, queste due recenti raccolte propongono nuove pagine di Ernst Tugendhat, pensatore noto per essersi spostato, dopo gli inizi fenomenologici e heideggeriani, sul terreno della filosofia analitica di matrice anglo-americana e per avere posto al centro dei propri interessi filosofici questioni riguardanti l’etica e la possibilità di una sua fondazione. Tra i suoi studi principali va segnalato almeno Heideggers Frage nach dem Sinn des Seins, in cui Tugendhat giunge ad un risultato di tipo criticonegativo: si congeda dalla questione dell’essere e mette al tempo stesso in discussione l’idea di una filosofia di carattere puramente teoretico, mostrando così al lettore le vie per le quali l’interesse per i problemi dell’etica diventa centrale nella sua filosofia. Nell’affrontare il problema etico Tugendhat non intende applicare all’ambito della prassi principi sviluppati in sede di filosofia teoretica, ma piuttosto, in un senso abbastanza tradizionale, giungere ad una fondazione filosofica della morale e affermare il carattere assoluto delle obbligazioni etiche: si tratta di cercare una fondazione per quel particolare carattere di obbligazione a cui facciamo riferimento quando parliamo di obblighi etici. In analisi dettagliate, Tugendhat ripercorre i tentativi correnti di una fondazione dell’etica, e ne afferma l’insufficienza. Vengono così escluse sia le posizioni di carattere metafisico e religioso, sia le carenze argomentative dei tentativi di carattere utilitaristico e contrattualistico. Nella Premessa ai Philosophische Aufsätze Tugendhat presenta la domanda da cui ha preso le mosse il suo percorso nell’etica: è possibile fondare l’etica in modo semantico? La risposta è un secco no. Ma nemmeno è possibile seguire la via, praticata in Germania da Karl Otto Apel e da Jürgen Habermas, di una fondazione dell’etica attraverso la teoria dell’agire comunicativo e della razionalità pratica. Ogni norma morale ha carattere contenutistico, ma niente che abbia tale carattere può essere fondato in modo analitico come qualco- sa di “dovuto”. I saggi di Tugendhat hanno in buona parte un carattere negativo, sia nel descrivere il suo duplice distacco da Husserl e da Heidegger, sia nella critica degli attuali tentativi di fondazione dell’etica. Ma proprio da questa caratteristica, dalla precisione e dal rigore dell’argomentazione di una ricerca filosofica in progress deriva l’interesse di questi studi, attraverso i quali il lettore si trova di fronte ad una visione panoramica e ad una critica di alcuni dei punti di vista presenti nell’attuale discussione filosofica tedesca. Ma i saggi raccolti nei due volumi presentano anche un’immagine d’insieme dello sviluppo filosofico di Tugendhat. È dalle mani della madre che egli riceve, a quindici anni, nell’esilio in Venezuela, una copia di Essere e tempo di Heidegger. La zia Helene Weiß mette a sua disposizione le trascrizioni di alcune lezioni di Heidegger, che sarebbero poi state importanti per la pubblicazione delle opere heideggeriane. Così Tugendhat decide, a quindici anni, di ritornare in Germania per frequentare le lezioni di Heidegger. Ma, prima del ritorno in terra tedesca, trascorre un periodo all’Università di Stanford, dove studia con Hermann Fränkel - un tirocinio metodico che lo allontana dalla tentazione di scrivere in un modo che più tardi avrebbe identificato come il “gergo” heideggeriano. Interessandosi di Pindaro, Tugendhat cerca in questi anni di liberarsi dalla «gonfia idea tedesca di un concetto particolare di verità nei greci», suggerito dalla filosofia heideggeriana. Dedica poi la tesi di laurea ad un approfondito studio di Aristotele, che gli serve da preparazione al confronto con Heidegger. Dopo essersi laureato prosegue gli studi in vista dell’abilitazione nell’Università di Münster con Joachim Ritter e frequenta al tempo stesso un seminario sulla logica matematica. Nel 1960 scrive un saggio sul concetto semantico di verità in Tarski. Alla fine di un periodo in cui lavora come assistente all’Università di Tubinga pubblica, nel 1967, il celebre studio: Der Wahrheitsbegriff bei Husserl und Heidegger (Il concetto di verità in Husserl e Heidegger). La tesi fondamentale del libro è che in Heidegger andrebbe perduto il senso specifico del concetto di “verità”, in quanto egli distruggerebbe l’idea di misura, essenziale per il senso di tale concetto; questo porterebbe Heidegger a rinunciare all’idea della responsabilità del parlare e dell’agire. Per quanto riguarda Edmund Husserl, nell’opera del 1967 Tugendhat cercava di salvarne il concetto di intenzionalità, ma già nel 1972 doveva giungere alla conclusione che non si dà qualcosa come un’intuizione eidetica. Docente a Heidelberg dal 1966 al 1975, Tugendhat si avvicina ora alla filosofia analitica statunitense, che a suo parere permette di affrontare e determinare i temi della tradizione “classica” con un insieme di strumenti concettuali più raffinati rispet18 to a quelli di questa tradizione stessa. Di tale fase di pensiero testimoniano le Vorlesungen zur Einführung in die sprachanalytische Philosophie. In questo periodo Tugendhat cercava ancora di conferire un senso “mostrabile” alla questione heideggeriana dell’essere, cercando di stabilire se l’ ”essere” costituisce un punto universale di orientamento per ogni questione filosofica. Ma ora ammette di aver perso questa battaglia, e sostiene che non esiste un unico termine del nostro linguaggio a cui pensiero e linguaggio possano venire ridotti. Un altro tema presente in queste raccolte di saggi è la critica alla concezione sviluppata da Odo Marquard sulla funzione delle scienze dello spirito nella società moderna. Attraverso tale critica Tugendhat prende distanza anche rispetto al suo antico maestro Ritter, a cui le tesi di Marquard sulla modernità si ispirano. Secondo Tugendhat, Marquard descriverebbe la modernità in modo troppo globale, unilaterale e negativo: come tecnicizzazione, razionalizzazione, burocratizzazione e livellamento. Le tesi di Marquard misconoscerebbero inoltre il fatto che le scienze dello spirito non vanno intese come una reazione alle scienze della natura e alla modernità ma, al contrario, come il suo compimento. Le scienze dello spirito non sarebbero così un tentativo di salvare la tradizione che nella modernità andrebbe persa, ma una sua obiettivazione. In questo senso esse vanno intese come una forma di conoscenza che prosegue e sviluppa il progetto illuministico. M.M. Critica mitologica della ragione Indubbiamente, il progetto che l’ultimo lavoro di Bruno Pinchard ci propone è ambizioso: presentare una «critica mitologica della ragione», dove il termine “critica” è da intendersi in senso kantiano e l’aggettivo “mitologico” rimanda al “poema degli inizi”, all’originario, «del quale il sacro è l’oggetto, e le categorie sono le credenze». Ne scaturisce una ragione «sdoppiata»: questo appunto il titolo dell’opera di Pinchard, LA RAISON DÉDOUBLÉE. LA FABBRICA DELLA MENTE (La ragione sdoppiata, Aubier, Parigi 1992), i cui punti di riferimento essenziali debbono essere ricercati nel pensiero di Giambattista Vico e nella matematica di René Thom: un accostamento singolare, che non può non destare curiosità nel momento in cui si afferma che «l’eteronomia è concepita come principio di formazione della coscienza». Il tentativo intrapreso da Bruno Pinchard è di accedere alla coscienza del senso comune degli uomini, prima e invalicabile barriera eretta dall’istinto di sopravviven- AUTORI E IDEE za contro la tragicità dell’essere, per poter avviare un «pensiero umanista [...] che sappia parlare contemporaneamente la lingua del sapere e quella della paura, quella lingua che in un unico concetto possa esprimere la logica del sapere e le rappresentazioni delle comunità umane affrontate alla storia». In tal senso il sapere umanista è doppio in quanto «cerca il punto di congiungimento tra l’esercizio razionale della scienza e il poema fantastico della vita», in quanto riproduce dello spirito tanto le architetture logiche, quanto quelle mitiche, a loro volta mimesi dello sdoppiamento originario dell’essere. Uno sdoppiamento, dunque, che non è simmetrico se non come struttura, dato che non è possibile tradurre il concetto nel segno o viceversa. D’altro canto, uno sdoppiamento inteso come vera e propria rottura catastrofica appartiene ad un punto di vista statico; per poter cogliere l’armonizzarsi nello spirito delle due architetture, logica e mitica, bisogna entrare, afferma Pinchard, in una prospettiva dinamica: «occorre passare dal punto di vista discontinuo della differenza al punto di vista continuo della divisione». Infatti «non vi è ancora senso per chi si limita a dividere e comporre; il senso appartiene a chi sa dividere, riconoscendo l’anteriorità ontologica del continuo sul discontinuo e considera gli effetti del discontinuo solo rapportandoli all’efficacia che il continuo procura loro. Tutte le privazioni di una forma sono altrettanti richiami a una pienezza che forse la distrugge, ma il cui impatto fa però sorgere quella bellezza umana che rivela la nostra destinazione religiosa». L’anteriorità spetta all’indeterminato, all’informe; la metafisica di Pinchard muove dunque da un principio assoluto degno di tutto rispetto: un infinito che è «integralmente presente sotto tutti i dualismi che la riflessione moltiplica»; un infinito che «vale per noi come il mito di un maximum che eccede le nostre facoltà di rappresentazione e che, imponendosi come una fatalità, si lascia pensare come un ente: si può ben rinunciare a filosofare, ma non è concesso di filosofare senza fare i conti con l’assoluto». Ora questo infinito, secondo Pinchard, prende il nome di Dio, si caratterizza rispetto al finito come alterità infinita della potenza; di conseguenza il problema filosofico - ma in generale conoscitivo - viene ridotto «ad un problema di inscrizione dell’infinito nel finito». Così, se da una parte l’appello dell’umanesimo al valore della verosimiglianza o dell’analogia serve a manifestare «una verità che un’espressione soltanto logica aveva dissimulato, e della quale si era reso nullo l’effetto attraverso lo sviluppo dei formalismi», dall’altra ciò non significa che la verità possa svelarsi completamente: «il vero non è mai prodotto, ma è la profondità stessa di un agire che incessantemente si supera e moltiplica le cifre, non potendo fornire uno schema esaustivo dell’oggetto intelligibile assoluto». Umanesimo significa allora, per Pinchard, misurarsi con il tentativo di costruire un sistema integrale, globalizzante, che accolga in sé la totalità dell’uomo. Nocciolo di questo sistema è ciò che viene chiamata una fabbrica della mente, cioè una architettura dello spirito, una topologia delle sue metamorfosi, che contemporaneamente insegni che «se lo spirito è il principio di produzione delle configurazioni disgiunte della scienza e del mito, lo spirito non può da solo spiegare la dinamica che genera le forme e ne provoca la successione», sicché « nessuna forma può negare la sua iscrizione in una natura totale». La fabbrica della mente serve quindi come strumento per cogliere la fabrica mundi, mostrando come «la struttura dell’essere sia quella di “una natura che ama nascondersi” e che lo spirito imita senza mai rivelare». M.V. Genesi e critica della modernità Mappa di un percorso a ritroso sul cammino della modernità: così si configura il volume di Maurice de Gandillac, GENÈSE DE LA MODERNITÉ. LES DOUZE SIÈCLES OÙ SE FIT NOTRE EUROPE (Genesi della modernità. I dodici secoli che formarono la nostra Europa, Cerf, Paris 1992), che raccoglie i testi, nuovi o già pubblicati, relativi ad un arco di tempo che va dalla CITTÀ DI DIO (462) di Agostino alla NUOVA ATLANTIDE (1672) di Bacone. La genesi e il destino della modernità, intesa come categoria culturale e storica, sono anche al centro dell’analisi di Alain Touraine, CRITIQUE DE LA MODERNITÉ (Critica della modernità, Fayard, Paris 1992). È nel cuore del Medioevo, per antonomasia periodo di transizione di culture e di metamorfosi di civiltà, che Maurice de Gandillac va a ricercare quei segnali, quei concetti e quelle preoccupazioni in cui sembra annunciarsi la modernità. In questo, più percettibile diviene l’attenzione per un modello laico di conoscenza che si affianca, senza insidiarla, alla centralità della speculazione religiosa: la sete di conoscenza che anima le compilazioni di Isidoro di Siviglia e di Vincent de Beauvais diventa vera e propria scienza della misura in Nicola Cusano, fautore di un pubblico inventario dei beni e di una catalogazione sistematica. L’uso tecnologico della scienza per migliorare la vita degli uomini, messo in pratica da Leonardo, trova voce teorica nei progetti utopistici di More, Campanella e Bacone. Ma anche i mutamenti economici e sociali ricevono una nuova attenzione nel XIII secolo: Duns Scoto, monaco francescano, giustifica il ruolo e i benefici del ceto mercantile mettendo in rilievo l’importanza del commercio come fattore di mediazione culturale e di distribuzione di risorse per natura diseguali. 19 La ricerca di una vera scienza e la volontà di espansione, fattori culturali e più direttamente storici, portano a quella secolarizzazione del sapere che spezza la tradizionale visione del cosmo. Se nell’Alto Medioevo la formula del cerchio infinito, dove il centro è dovunque e la circonferenza da nessuna parte, era ancora riservata a Dio, Cusano è il primo a utilizzarla per descrivere la «macchina del mondo»: nel nuovo ordine cosmico che prende forma in questa metafora, de Gandillac individua «la cesura fondamentale dell’autentica modernità». Il sorgere di un pensiero laico, che procede nella «perigliosa avventura di trasformare il soggetto divino in soggetto umano», è anche per Alain Touraine il momento di rottura di una tradizione, che dal crollo dell’Impero Romano si dispiegherebbe fino al secolo dei Lumi. A partire dall’Illuminismo sono i concetti di natura, di diritto naturale e di ragione che definiscono la realtà dell’uomo. Da storico della filosofia che non trascura le dinamiche sociali, Touraine segue il corso delle idee e dei mutamenti che danno forma al moderno fino al momento in cui la nozione di soggetto individuale come motore della storia tende a sfumarsi per essere sostituita da quella di società e dall’idea di progresso collettivo. “Storicismo” è il nome di questa volontà di pensare che la Ragione, organizzata nella forma politica dello stato, possa dirigere il corso degli eventi nel senso di una rivoluzione «modernizzatrice, liberatrice e nazionale». In posizione critica, ma pur sempre agli estremi di tale processo, si situano le correnti romantiche, che cercano «un principio unitario del mondo naturale e del mondo umano», e i pensatori «ribelli alla filosofia progressiva della storia», che hanno in Tocqueville il loro portabandiera. È in queste posizioni che trovano alimento le correnti antimoderniste: Nietzsche è la voce filosoficamente più alta di una critica della modernità «identificata con l’integrazione sociale, la moralizzazione e la civiltà borghese». La stessa intenzione critica trova argomenti nell’opera di Freud, che procede ad una disarticolazione dell’Io «risultato dell’interiorizzazione delle norme sociali». La ricostruzione di Touraine si misura infine con le critiche del postmoderno, che insistono sui momenti di dissociazione tra razionalità strumentale e ragione umana, tra economia e cultura, tra individuo e società, al punto di proclamare l’impossibilità di una scelta tra posizioni e «esperienze, che devono tutte essere accettate». All’attuale catastrofe del soggetto, viene opposta una interpretazione della storia e della cultura moderne come «storia della sparizione e della ricomparsa del soggetto» alla luce delle condizioni e delle determinazioni che presiedono alla sua esistenza storica. Per l’autore di Critique de la modernité, il soggetto moderno continua ad AUTORI E IDEE Pieter Bruegel, Caduta degli angeli ribelli (1562), particolare esistere come espressione del conflitto tra «una logica della libertà, della libera creazione di sé», e un’antica, e persistente, «logica del dominio». E.N. Il moderno e il suo diritto La difesa della modernità che si svolge nell’opera di Hans Blumenberg, LA LEGITTIMITÀ DELL ’ETÀ MODERNA (traduzione italiana di C. Marelli, Marietti, Genova 1992) passa attraverso una ridefinizione della categoria del moderno, di cui vengono evidenziate le radici antropologiche, più che l’ascendenza teologico-assolutistica, con un attacco al “teorema della secolarizzazione”. Su questioni affini è da segnalare l’opuscolo di Mario Perniola, PIÙ CHE SACRO, PIÙ CHE PROFANO (Mimesis, Milano 1992). Il nucleo centrale, e anche il più evidente, del testo di Hans Blumenberg risiede nella polemica contro il cosiddetto “teorema della secolarizzazione”, che fonderebbe la modernità, secondo cui la genesi del moderno consista in una “secolarizzazione”, in una immanentizzazione delle categorie precedentemente attribuite al trascendente. Questo “teorema” rimuove, a parere di Blumenberg, il tratto caratteristico del passaggio, o meglio della rottura, che definisce il Moderno e che consiste, di fatto, nel mutamento di quelle categorie. Proprio la questione del “passaggio” viene d’altro canto posta in discussione da Mario Perniola, che individua tra le categorie del “sacro” e quelle del “profano” sia una comune consistenza di tipo monistico, il darsi di un “intermedio”, sia una radicalizzazione (nel darsi del “più che sacro”, il trascendente) della teoria classica della “differenza” tra le due categorie, sia, infine, una “ripetizione” del profano, che in quanto “più che profano” diventa “sacro”, come accade nella radicalizzazione del processo di demitizzazione, nello smascheramento di ciò che è “umano, troppo umano”. Il teorema della secolarizzazione pretende, secondo Blumenberg, di ritrovare nel Moderno il medesimo schema interpretativo dell’esistente proprio dell’epoca precedente, l’assolutismo, applicato però a una diversa realtà, quella umana, anziché a quella divina. Con il passaggio dal teocentrismo all’antropocentrismo, sostiene invece Blumenberg, mutano i termini del problema, perché cambia il senso in cui l’uomo diventa “centro” della realtà, in luogo di Dio. Su questo punto in particolare si fa palese che un obiettivo non secondario della polemica di Blumenberg contro il “teorema della secolarizzazione” è Heidegger. È infatti evidente come la tesi heideggeriana dell’unità solidale di teologia, ontologia, antropologia, espressa nella nozione di ontoteo-ego-logia, poggi le sue fondamenta sul “teorema della secolarizzazione”, cioè sul20 la convinzione dell’assenza di soluzioni di continuità tra il cosmologismo teocentrico medievale e l’affermazione dell’autonomia e della centralità dell’uomo. Proprio in Heidegger è d’altra parte evidente come la tesi “continuistica”, relativamente alla categoria e all’epoca moderne, sia finalizzata a una sua svalutazione o, ancor più radicalmente, alla negazione della sua legittimità, la cui difesa è proprio l’obiettivo di Blumenberg. L’uomo come centro del cosmo è “centro” in un modo diverso da quanto lo fosse Dio, per il fatto che il “cosmo” non è più un ordine “chiuso”, ma “aperto” come quello di Cusano, Bruno e Copernico. Quella copernicana fu effettivamente una “rivoluzione”, e non un semplice “ribaltamento”; l’autoaffermazione dell’uomo comporta un mutamento della struttura in cui esso si colloca, perché l’accento sul momento normativo intrinseco alle leggi e ai precetti umani si caratterizza, per forza di cose, più come autoregolamentazione del soggetto, che non come regolamentazione del soggetto nei confronti di un altro da sé. La norma, e l’ordine che ne deriva, appariranno dunque sotto la luce della soggettività della loro genesi, piuttosto che sotto quella dell’oggettività del loro sussistere. Conseguenza importante è che caos e ordine non risultano più termini contrapposti, dove il secondo si sovrappone al primo in maniera più o meno adeguata e il primo riesce spesso a sfuggire al secondo, se non AUTORI E IDEE talvolta addirittura a sovvertirlo, godendo di una sua vita, limitata e residuale, in settori marginali della cultura e della storia umana. Il caos diventa invece, dal punto di vista sincronico, una variabile funzionale dell’ordine e dal punto di vista diacronico il “brodo primordiale” da cui nascono possibilità di ordine, dunque, esso stesso una forma di ordine in continua autoregolamentazione. La conoscenza del mondo cessa dunque di giacere sul parallelismo tra uomo e natura, sulla adaequatio intellectus ad rem, fondata sulla provenienza dell’uno e dell’altro dalla comune fonte, Dio come ens entium, e diventa invece un atto del soggetto, funzione della sua curiositas. Anche qui è evidente la rottura con la tesi heideggeriana di un radicarsi della scienza moderna nella metafisica, attraverso la continuità fra il criterio soggettivo di verità stabilito da Cartesio e quello, già scolastico, dell’adaequatio. Seguendo la prospettiva di Blumenberg, la legittimità del Moderno riposa dunque da un lato, quello rivolto al Medioevo, sulla sua specificità, cioè sulla crisi propria del “passaggio”, dall’altro, quello rivolto al cosiddetto postmoderno, su una sorta di inglobamento: la categoria del Moderno, una volta ridefinita a partire dal carattere autoaffermativo del soggetto nella sua irriducibile singolarità, non può che inglobare le tematiche dei limiti e della crisi di fondazione del soggetto medesimo. F.C. Una tale uguaglianza non può realizzarsi senza un pensiero del genere, in quanto sessuato, e senza una riscrittura dei diritti e dei doveri di ciascun sesso, differente l’uno dall’altro nei diritti e nei doveri sociali. E affinché le lotte delle donne possano essere portate avanti in modo diverso dalla semplice rivendicazione della parità tra i sessi, e conducano all’iscrizione di diritti “equivalenti”, pur necessariamente differenti, bisogna permettere alle donne di accedere ad un’altra identità. Sarebbe inoltre auspicabile che le donne creino un ordine sociale nel quale la loro soggettività possa manifestarsi con i suoi simboli, le sue immagini, le sue realtà e sogni, dunque con mezzi oggettivi di scambi soggettivi. Le nostre società, costituite in parti uguali da uomini e donne, sono state generate da due genealogie; eppure il potere patriarcale si organizza attraverso la soggezione di una genealogia all’altra, che ha significato la soppressione della genealogia madri-figlie. Le difficoltà che le donne incontrano per entrare nel mondo culturale maschile hanno come conseguenza la quasi totale rinuncia alla soggettività femminile e ai rapporti con altre donne. Parlare dunque di un diritto sessuato, nel quale si iscrive il genere femminile, è perciò molto diverso dalla rivendicazione del concetto tradizionale di parità: non si tratta di leggi uguali per tutti, ma di pensare le leggi in un modo che tenga conto del fatto che le donne non sono uguali agli uomini. F.P. Irigaray: cultura della differenza Il bivio e la convergenza Edito in Francia per le Editions Grasset & Fasquelle nel 1990, viene ora pubblicato in Italia l’ultimo libro di Luce Irigaray: IO, TU, NOI. PER UNA CULTURA DELLA DIFFERENZA (a cura di M. Antonietta Schepisi, Bollati-Boringhieri, Torino 1992), una raccolta di saggi, alcuni dei quali già pubblicati in traduzione italiana negli anni 1987 e 1988 sulla rivista “Rinascita”. Il libro è stato presentato a Torino, Bologna e a Roma, dove per l’occasione si è svolto un incontro aperto, misto, per volere stesso della presentatrice francese, che da almeno un decennio rappresenta per il movimento delle donne italiano un fondamentale punto di riferimento teorico. Il “bivio”, cui allude il titolo dell’opera di Vittorio Possenti, LE SOCIETÀ LIBERALI AL BIVIO. LINEAMENTI DI FILOSOFIA DELLA SOCIETÀ (Marietti, Genova 1992) è quello a cui si trovano di fronte le società liberali dell’Occidente, sospese, secondo l’autore, fra l’eredità della filosofia politica classica e cristiana, da un lato, e l’impulso secolarizzante di un individualismo che assolutizza la libertà del singolo, e la separa dalla verità, dall’altro. Negli anni ’50 e ’60 il punto di riferimento principale per la cultura e il pensiero femminista è stata l’opera di Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, che ha contribuito a generare le basi del femminismo degli anni ’70 con le sue rivendicazioni sociali e politiche, che tanta importanza hanno avuto per generazioni di donne, impegnate nella rivendicazione della parità con l’uomo. Ma la semplice richiesta di uguaglianza tra uomo e donna non è sufficiente per Luce Irigaray. Come ha rilrvato Roberto Esposito in occasione della presentazione dell’opera di Possenti presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, il confronto che Vittorio Possenti instaura con la tradizione filosofico-politica dei classici e dell’Occidente cristiano riposa sul convincimento che i problemi là dibattuti, i nuclei tematici delle questioni là individuati non siano eccessivamente dissimili da quelle a cui si trova di fronte l’uomo contemporaneo. La collocazione di quest’ultimo attraverso categorie , quali quella di “moderno” o di “postmoderno”, che vogliono essere a un tempo teoretiche e storiografiche, risulta problematica proprio per la loro non univocità. 21 Della tradizione del Medioevo fanno infatti parte, a pieno titolo, non solo il filone immanentistico e illuminista che, prendendo le mosse da Cartesio, si svolge fino all’idealismo tedesco e a Marx, ma anche quello che, ancora da Cartesio, porta invece, attraverso Pascal, Malebranche e Vico, al neotomismo contemporaneo, in cui si colloca lo stesso Possenti, studioso e seguace di Jacques Maritain. Al di là delle differenze specifiche, di cui pure riconosce la rilevanza, Possenti vede una continuità e un’ispirazione unitaria fra il pensiero neoliberale contemporaneo (Bobbio, Hayek, Popper, Rawls, Rorty) e la tradizione liberale del Seicento e del Settecento. I fondamenti filosofici che costituiscono l’elemento di continuità riguardano, secondo Possenti, l’agnosticismo verso il problema della Trascendenza e quello del Bene, e determinano necessariamente una carenza sul piano della fondazione ontologica delle norme morali e del diritto naturale. Al di là di sintonie, pure evidenziate, con l’impostazione cattolica, è questo il motivo, per i cattolici, di inaccettabilità del pensiero liberale, che è laico e, proprio perciò, “tragico”. Il carattere tragico consiste nella consapevolezza del ruolo non esaustivo, non ultimativo, che rivestono i problemi etico-politici e, d’altra parte, nell’incapacità di procedere oltre di essi, verso un giudizio di tipo speculativo che, solo, potrebbe fondarli. Le questioni “fondamentali”, cioè fondative, vengono anzi relegate in interiore homine; contemporaneamente, e conseguentemente, le questioni politiche l’opzione, ad esempio, per i sistemi democratici - divengono materia di fede; si confondono così i fini con i mezzi, alla discussione dei quali si riduce infine, più o meno consapevolmente, la filosofia politica. La critica di Possenti a prospettive tutto sommato “riduzioniste” dell’analisi politica, che spiegano in termini esclusivamente utilitaristici o contrattualistici la dinamica delle decisioni politiche, non è solo la critica della politica da un punto di vista “etico” o da uno ontologico. In realtà, ricorda ancora Esposito, sono proprio le riduzioni pancontrattualistiche, l’illusione “demitizzante” (che in nome di una risolubilità razionale dei conflitti li espelle dall’orizzonte dell’analisi), a perdere di vista che il conflitto costituisce proprio l’essenza, il banco di prova, dell'analisi politica. Si perde così di vista anche l’origine storica della filosofia politica, della stessa riflessione filosoficopolitica che, nell’età moderna, affonda le sue radici nei pressi delle guerre di religione, dei conflitti sociali, e delle guerre di successione. Questa genesi storica è, d’altra parte, a sua volta avvenuta in stretta correlazione con un’altra prospettiva, un’altra linea di pensiero, quella a cui Possenti si sente più vicino. Il moderno e il postmoderno, se pure hanno un senso come strumenti di analisi, appaiono dunque come il luogo di un’antinomia che assume le sembianze di una contraddizione, di un bivio: le società liberaldemocratiche occidentali si trovano da un lato l’individualismo egocentrico e non fondato TENDENZE E DIBATTITI Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Incisione di Sichling da L. Sebbers 22 TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI Riflessioni di Hegel Il volume di Valerio Verra, LETTURE HE(il Mulino, Bologna 1992), che raccoglie una serie di recenti saggi dedicati al filosofo tedesco, più che una ricostruzione del pensiero hegeliano nel suo complesso, propone uno spettro significativo di approcci diversi, che dimostrano la fecondità di tale pensiero, anche al di là di una discussione meramente storiografica. Con un intendimento non dissimile si sviluppa lo studio di Daniele Goldoni, IL RIFLESSO DELL’ASSOLUTO. DESTINO E CONTRADDIZIONE IN HEGEL (1797-1805), che assume la questione della “riflessione” come categoria teoretica, con la quale riconsiderare storicamente la collocazione di Hegel. Decisamente collocata sul versante di un confronto teoretico del pensiero hegeliano con alcuni momenti nodali della tradizione di pensiero occidentale è invece l’opera di Massimo Donà, SULL’ASSOLUTO. PER UNA REINTERPRETAZIONE DELL ’IDEALISMO HEGELIANO (prefazione di Emanuele Severino, Einaudi, Torino 1992). GELIANE. IDEA, NATURA , STORIA Una questione di carattere metodologico motiva il titolo della raccolta di Valerio Verra, Letture hegeliane. Di “letture” si tratta, infatti, e non di “interpretazioni”, dato che l’intento non è quello di fornire una ricostruzione complessiva del pensiero hegeliano, e neppure la tematizzazione di un aspetto particolare di esso, ma di enucleare alcune chiavi di accesso teorico, importanti per situarlo storicamente. La doppia valenza, teoretica e storica, di alcuni di questi nodi concettuali, risulta ben evidente, ad esempio, rispetto alla questione della valutazione hegeliana dello scetticismo, nella quale agiscono, come ricorda Verra, parametri sia fenomenologici, sia logici. Risulta così che lo scetticismo appare non soltanto come momento storicamente determinato dello sviluppo della riflessione filosofica, ma soprattutto come categoria teoretica, nei confronti della quale Hegel precisa la propria posizione. In tal senso, la considerazione privilegiata che Hegel accorda allo scetticismo antico nei confronti di quello di Ernst Schultze, l’autore del celebre Enesidemo (1792), ha il significato della rivalutazione di un momento decisivo nella critica del dogmatismo della coscienza comune. Invece lo scetticismo, nella prospettiva a lui contemporanea, appare a Hegel legato, per quanto in modo critico, alla filosofia della rappresentazione, cioè a un’impostazione trascendentale di ascendenza kantiana, ferma al momento dello sguardo dell’intelletto finito. Lo scetticismo antico, di cui Hegel evidenzia il carattere logico-dialettico (tematizzando, tra l’altro, la differenza fra i tropi più antichi e quelli di Sesto Empirico) appare dunque come una “figura” propriamente filosofica, laddove quello moderno vuole essere una critica allo “sguardo filosofico”, condotta a partire dal punto di vista della coscienza comune. Anche il saggio che Verra dedica al rapporto tra “dialettica” e “metamorfosi” mostra come la questione teoretica, che contrappone la filosofia hegeliana a quella della natura di stampo romantico, porti immediatamente Hegel, dal punto di vista storiografico, al di là del rapporto con Goethe. In ogni caso, a prescindere dai diversi intenti - classificazione e comparazione delle realtà naturali come testimonianza dell’armonia del tutto, in Goethe; emergenza del nucleo logico-speculativo nella dialettica naturale, in Hegel - secondo Verra nei due pensatori «operano categorie e strutture problematiche comuni». Un rimescolamento, invece, delle categorie aristoteliche è il risultato del confronto di Hegel con i fondamenti della storia della tradizione speculativa, per quanto riguarda la questione della “determinazione del processo di riflessione” (identità, differenza, diversità, opposizione e contraddizione), che porta al cuore del sistema hegeliano e a cui Verra dedica un saggio della sua raccolta. Proprio il concetto di riflessione diviene, nell’interpretazione di Daniele Goldoni, banco di prova dell’organizzazione del pensiero hegeliano nel suo provenire, e insieme nel suo distaccarsi, dalla temperie culturale del primo periodo del Romanticismo. In particolare è per l’autore significativo il rapporto di Hegel con Hölderlin, al quale Goldoni aveva dedicato un precedente studio, Filosofia e paradosso. Il pen23 siero di Hölderlin e il problema del linguaggio da Herder a Hegel (ESI, Napoli 1990), che intendeva mostrare come proprio a partire dal concetto di riflessione Hölderlin pervenisse alla determinazione di una prospettiva tragica dell’esistenza. Il processo di riflessione sembrerebbe infatti chiarire, in Hölderlin, il nesso tra condizionato e incondizionato come aspirazione necessaria, e necessariamente vana, all’elevazione del finito all’infinito; la coscienza tragica consiste precisamente nella consapevolezza di tale necessità, e di tale vanità, e si realizza in Hölderlin come ricerca di una dimensione della trascendenza, che, pur tenendo fermo alla posizione kantiana come punto di non ritorno nella critica al dogmatismo della metafisica tradizionale, cerca nuove strade attraverso le quali ripensare la dimensione dell’incondizionato, rimossa proprio in seguito alla critica kantiana. La soluzione scelta da Hegel, come osserva Goldoni in Il riflesso dell’Assoluto, consiste tuttavia nell’ ”elusione del tragico”. La “riflessione assoluta” hegeliana consiste nel trascendimento dell’esser posto della finitezza, poiché questo è il compito della filosofia, non essendole concesso di fermarsi alla dimensione del condizionato. L’esperienza della contraddizione, dalla quale scaturisce l’uso di quest’ultima come strumento, logico e ontologico insieme, attraverso il quale si attua il superamento della dimensione della finitezza, ha proprio il significato di un “abbassamento” dell’esperienza del tragico, di una sua “riduzione”, finalizzata alla sua manipolazione e alla sua neutralizzazione. In verità il reale discrimine fra gli approcci dei due pensatori risiede proprio nella loro diversa concezione (tragica l’una, conciliativa l’altra) del nesso tra finito e infinito. Come rileva anche Emanuele Severino nella sua prefazione al volume, l’opera di Massimo Donà, Sull’Assoluto, muove dalla convinzione che in Hegel la totalità degli essenti si dia come eterna, «come relazione originaria e necessaria dove ogni essente è in relazione a ogni altro essente, e quindi rispecchia in sé il Tutto, e dove la temporalità non ha nulla a che vedere con l’uscita dal nulla e il ritornare nel nulla». L’Assoluto hegeliano non consiste in un’accettazio- TENDENZE E DIBATTITI ne del carattere processuale del divenire ma, al contrario, nella dimostrazione che tale processualità è un “falso movimento”, se concepito come kinesis tra un essere e un nulla, come passaggio degli enti da una condizione di partecipazione all’essere a una di assenza dello stesso. Reale, ovvero effettuale, non è questo passare, ma l’essere, l’Assoluto, la totalità che si manifesta nei momenti del processo dialettico; negare il carattere di effettualità al singolo momento, in quanto finito, significa attribuire effettualità, cioè realtà, non al gioco delle loro negazioni, ma alla struttura originaria che sottostà a questo gioco. Dall’indagine di Donà emerge dunque, in senso heideggeriano, «un Hegel alle prese con lo stesso di tutta la grande tradizione filosofica», l’Assoluto, che è, in ogni ente, in ogni praesentia, ciò che si fa presente. L’autore sviluppa la propria tesi attraverso l’analisi di alcuni topoi del confronto di Hegel con la tradizione occidentale: Adorno, Kant, Agostino. Relativamente all’interpretazione adorniana viene focalizzato il cuore del sistema di Hegel e la caratterizzazione fondamentale del suo Assoluto, la “dialetticità”, nel tentativo di dimostrare il “fallimento” dell’esegesi di Adorno, imperniata, come è noto, su un carattere diadico, cioè “aperto”, anziché triadico, della dialettica. Il confronto invece che Donà instaura fra Kant e Hegel, sul terreno dell’interpretazione della “prova ontologica” di Anselmo, mira a confutare l’interpretazione di un “superamento”, da parte di Hegel, della questione kantiana del noumeno. Infine nell’interpretazione del confronto tra Hegel e Agostino, relativamente alla questione del tempo, Donà rintraccia una forte affinità tra i due pensatori nell’affrontare il nodo del rapporto fra tempo e ontologia: la fenomenologia agostiniana, osserva Donà, anticipa in modo sorprendente «la concettualizzazione, tutta ontologica, che del divenire temporale verrà realizzata dal pensiero hegeliano». F.C. Confronti con Heidegger Le più significative sperimentazioni sull’opera di Martin Heidegger, promosse, tra il 1985 e il 1990, dalla cattedra di Filosofia Teoretica dell’Università di Bari con la collaborazione di sette studiosi, Valerio Bernardi, Ferruccio De Natale, Domenica Discipio, Michele Illiceto, Mauro G. Minervini, Giuseppe Semerari, Francesco Valerio, sono state raccolte nel volume: CONFRONTI CON HEIDEGGER (a cura di Giuseppe Semerari, Dedalo, Bari 1992), che si caratterizza per l’analisi sia di luoghi heideggeriani “molto frequentati”, sia di luoghi “poco frequentati” dalla critica e, comunque, tali da richiedere una “esplorazione” che esu- li dalle tendenze ermeneutiche dominanti. Luogo molto frequentato è quello in cui si colloca l’ente-uomo in Martin Heidegger. “La questione dell’ente-uomo in Heidegger” è appunto il titolo del saggio di Giuseppe Semerari, curatore dell’opera, che ha affrontato diverse tendenze critiche: l’indirizzo ermeneutico, che associa il pensiero di Heidegger alle diverse dichiarazioni di “morte” del soggetto; la posizione di Massimo Cacciari e Gianni Vattimo, che leggono Heidegger come “filosofo della tecnica”, considerata come processo definitivo; e infine le considerazioni sul tema svolte da Jacques Derrida, in particolare nella conferenza del 1987, pubblicata con il titolo: De l’Esprit, Heidegger et la question (Dello spirito, Heidegger e la domanda), dove, sulla base delle riflessioni heideggeriane del 1929-30 sul diverso rapporto che le cose materiali, gli animali e gli uomini intrattengono con il mondo, si sostiene la presenza di una teleologia antropocentrica, persino umanista, nel pensiero di Heidegger. L’estremità di queste posizioni riflette, per Semerari, l’ambiguità del pensiero di Heidegger su questa questione. Per ovviare a questa situazione, occorre individuare innanzitutto il “solido posto” che Heidegger occupa nell’ambito della storia della filosofia occidentale, interpretata da Semerari secondo due modelli: “parmenideo” e “protagoreo”, da lui già esposti in Filosofia. Lezioni preliminari (Milano 1991). All’uomo parmenideo è sottratta la decidibilità, il controllo della propria esistenza, mentre a quello protagoreo si riconosce il «progetto della propria autoresponsabilità», pur nell’ambito delle determinazioni biologiche e culturali. La caratterizzazione dell’Esserci in termini di “fatticità”, di “essere gettato”, di “essere colpevole”, colloca Heidegger nell’ambito del modello parmenideo; ed è proprio nello spazio parmenideo che si deve cogliere la singolarità ontologica dell’uomo: l’essere mai signore di se stesso, mai “faber fortunae sue”, ma “pastore dell’Essere”, diviene la condizione del suo privilegio. L’uomo in quanto Esserci è al di sopra di ogni altro ente in relazione alla peculiarità di pensare l’Essere, di essere il mezzo dell’apertura come disoccultamento e manifestatività dell’Essere. L’appartenenza di Heidegger al modello parmenideo definisce un’antropologia caratterizzata dal duplice movimento di spodestamento e di innalzamento dell’uomo. Il parmenidismo di Heidegger, osserva Semerari, va ricercato nel periodo precedente agli anni ’20 (periodo in cui Semerari colloca l’autentica Kehre nel pensiero heideggeriano). Indicare nella teologia il terreno di costituzione dell’ontologia parmenidea di Heidegger non è specificarne semplicemente la provenienza, ma è renderne visibile il carattere teologico intrinseco: la sentenza agostiniana merita nostra, dona 24 Eius diviene in tal senso sintesi dell’ontologia teologico-parmenidea di Heidegger. Un interessante completamento di questa tematica può essere rintracciato nel contributo di Valerio Bernardi, “Lo HeideggerStreit teologico degli anni Trenta”, che analizza le reazioni successive alla pubblicazione di Essere e Tempo in ambito teologico. Il periodo precedente gli anni ’20, in modo particolare quello che intercorre tra il 1912 e il 1916, è un periodo che, nonostante sia di notevole importanza per la costituzione del pensiero heideggeriano, è il meno frequentato dalla critica. A questo proposito è illuminante il saggio contenuto in quest’opera di Mauro G. Minervini, “Prima di Essere e Tempo: Heidegger di fronte a Hegel”, in cui, facendo riferimento a scritti giovanili di Heidegger come La dottrina del giudizio nello psicologismo del 1914, la dissertazione su Duns Scoto, Il concetto di tempo nella scienza storica, vengono messi in evidenza presenze e tracce di influenze e di stimoli propri della Hegel-Reinassance promossa dagli ambiti neo-kantiani e dall’affermarsi del pensiero di Dilthey e della sua opera critica su Hegel. Il saggio di Michele Illiceto “Il rapporto tra il sé e l’è nell’ontologia di Martin Heidegger”, affronta il problema della differenza ontologica, analizzando il passaggio, attuato da Heidegger, dal Sé di formazione cartesiana al Ci, al Ci-è. Il cogito cartesiano pone la precedenza del Sé, cioè afferma un tempo in cui l’Io è senza mondo; in Heidegger «prima del Sé c’è l’è che Ci-è». La differenza ontologica si definisce, così «...ontologizzazione del ritardo temporale del Sé rispetto all’è». In confronto alla fenomenologia husserliana come rinnovato cartesianesimo, in cui il rapporto di precedenza del sé rispetto al mondo si pone mediante il rifiuto del mondo inteso come datità, nell’accezione cartesiana, e attraverso una struttura bipolare del cogito: movimento dell’ego e distesa dell’è, l’ontologia heideggeriana si rivela una «filosofia dell’eccedenza dell’è». Luoghi poco frequentati del confronto con Heidegger sono anche quelli che coinvolgono pensatori così lontani nel tempo quali Plotino, Spinoza o Freud. Il saggio di Ferruccio De Natale, “Heidegger e Plotino: consonanze imperfette”, cerca di mettere a confronto la Lettera sull’Umanismo di Heidegger e le Enneadi di Plotino. E’ un confronto costitutivo: nel dialogo tra Heidegger e Plotino si inserisce l’autore, che entra in discussione con i due filosofi, con la scrittura delle Enneadi, della Lettera sull’Umanismo, con i versi di Silesius de Il pellegrino Cherubico; che guarda ed esprime l’Uno di Plotino per dire l’indicibilità dell’Essere heideggeriano. Nel saggio “Heidegger e Freud”, Domenica Discipio ripercorre invece, nella prima parte del confronto, le indagini condotte da M. Bartels in Selbstbewusstsein und Unbewusstes. Studien zu Freud und Heidegger (Autoco- TENDENZE E DIBATTITI scienza e inconscio. Studi su Freud e Heidegger) e da W. J. Richardson in The Place of unconscious in Heidegger (Il ruolo dell’inconscio in Heidegger), che mirano a completare l’elaborazione freudiana della struttura della personalità umana mediante l’analitica esistenzial-ontologica di Heidegger. La parte conclusiva del saggio di Discipio ribalta l’impostazione data dalle due interpretazioni sopra esaminate e ripercorre il pensiero di Heidegger attraverso la psicoanalisi freudiana anche nei suoi risultati terapeutici, centrando l’attenzione sul privilegio conferito da Heidegger, nell’analisi della condizione dell’esserci nel mondo, all’Essere dell’esserci. Il confronto tra Heidegger e Spinoza, che Francesco Valerio sviluppa nel saggio “Heidegger, Spinoza e il problema della soggettività”, è un «tentativo di attraversamento» di uno dei “violenti spazi oscuri” (A. Jäger) che Heidegger lascia aperti nella selettività che caratterizza la sua ermeneutica dell’intero pensiero occidentale. Sia Heidegger che Spinoza mirano a mantenere la priorità trascendentale (lo Stesso Sostanziale di Spinoza, il Sein selbst di Heidegger) in una teoria dell’Essere della differenza ontologica tra Essere ed ente, nel tentativo di sottrarsi all’errore della presentificazione, entificazione dell’Essere. L’orizzonte della Soggetti(vi)tà, non intesa nel senso equivoco della metafisica moderna, è la dimensione problematica di questo rapporto e ne definisce i termini. F.R.C. Nolte, Heidegger e il nazismo E’ dedicato a una ricostruzione monografica dell’itinerario filosofico di Heidegger il più recente studio dello storico tedesco Ernst Nolte dal titolo: MARTIN HEIDEGGER. POLITIK UND GESCHICHTE IM LEBEN UND DENKEN (Martin Heidegger. Politica e storia nella vita e nel pensiero, Propyläen Verlag, Berlin 1992). Discutendo l’annosa questione del rapporto di Heidegger con il nazionalsocialismo, Nolte riafferma la sua discussa visione del nazismo come risposta allo sviluppo del movimento bolscevico e alla rivoluzione d’Ottobre. Quest’ultimo studio di Ernst Nolte (che fu allievo di Martin Heidegger) va ad aggiungersi alla già imponente bibliografia dedicata al filosofo tedesco e si presenta come una introduzione di carattere generale al pensiero heideggeriano. Per quanto riguarda la ricostruzione della vita del filosofo Nolte riprende elementi già noti dalla documentazione presentata da Schneeberger, dai ricordi di Gadamer e Löwith, dalla biografia di Ott e dal controverso e unilaterale studio di Farias. Anche l’esposizione dei contenuti teorici della filosofia di Heidegger non contiene elementi nuovi, se si esclude la tesi, sostenuta nella parte dell’opera dedicata alla filosofia dell’ultimo Heidegger, che questi non abbia mai abbandonato il punto di partenza della fenomenologia husserliana. Circa la questione che negli ultimi anni ha sollevato accese discussioni - il rapporto di Heidegger con il nazionalsocialismo - Nolte si ferma alla constatazione di alcuni elementi che sembrano generalmente accettati dagli interpreti heideggeriani. Con Habermas - suo avversario nella polemica svoltasi nel 1986-87 tra gli storici tedeschi sulle origini del nazismo, sul problema dell’”unicità” dei suoi crimini e sul rapporto tra quel passato e l’attuale identità tedesca - Nolte condivide alcuni punti di vista: è nell’ultimo periodo della repubblica di Weimar che il pensiero di Heidegger si carica di elementi ideologici, e anzitutto del teorema della cosiddetta rivoluzione conservatrice; pur prendendo posizione, nel 1933-34, a favore del regime nazista, Heidegger non ne condivide il razzismo e l’antisemitismo; dopo il periodo di rettorato, non prendendo parte alla resistenza, né scegliendo la strada dell’emigrazione, il filosofo mantiene col nazismo un rapporto altamente ambiguo, considerandolo, alla pari di bolscevismo e americanismo, come una modalità dell’oblio dell’essere, pur vedendo in esso anche un momento necessario nella dialettica di nascondimento/disvelamento dell’essere stesso. In altri passaggi del suo studio, Nolte riprende (e ripete) alcuni punti di vista già esposti nelle sue opere di carattere storico, e in particolare l’idea del significato della rivoluzione d’Ottobre nella storia contemporanea. La rivoluzione bolscevica rappresenta per Nolte l’evento rivoluzionario per eccellenza, ma in senso negativo. Chiave interpretativa di questo fenomeno storico è per Nolte la discussa contrapposizione tra sterminio “di razza” (nazismo) e “di classe” (rivoluzione d’Ottobre e arcipelago Gulag). Partendo da questo confronto tra stalinismo e nazismo Nolte giunge così, pur non volendo negare la natura criminale del regime nazista, a ridurre l’unicità degli suoi orrori, relativizzandola in quanto “piccola soluzione” rispetto alla “grande soluzione” bolscevica e stalinista. Non è questo il luogo per discutere questa interpretazione, che del resto ha già trovato i suoi critici. Va però osservato che, applicata alla filosofia heideggeriana, essa suggerisce l’idea che l’adesione al nazismo di Heidegger sia stata motivata da una posizione anticomunista. Resta comunque ancora aperta tra gli storici la questione se il nemico principale dei sostenitori della “rivoluzione conservatrice” fosse il movimento operaio e comunista (come voleva, pur da un punto di vista ideologico diverso a quello di Nolte, Georg Lukàcs), o non piuttosto la democrazia parlamentare e liberale: che veniva identificata come il supporto politico dell’ordine uscito dalla pace 25 di Versailles, con cui era stata sancita la sconfitta tedesca nella prima guerra mondiale. M.M. Attualità del marxismo In un panorama culturale che tende a far ricadere sui padri (Marx ed Engels) le colpe di sedicenti figli e nipoti, due voci pressoché isolate si levano a rivendicare l’attualità del pensiero marxiano, altra cosa rispetto a quello troppo a lungo propagandato come marxista: in Francia il semestrale “ACTUEL MARX” (giunto alla sesta annata: n. 11, primo semestre 1992); in Italia la “nuova serie” di “CRITICA MARXISTA” (di cui è da poco uscito il n. 3/4, maggio/ ottobre 1992). In questo quadro, e nel momento in cui è da molti avvertita l’esigenza di un “riorientamento” del proprio pensiero intorno ai “classici” del marxismo, si colloca anche la recente raccolta di saggi di Giuseppe Vacca dal significativo titolo: GRAMSCI E TOGLIATTI (Editori Riuniti, Roma 1991). Quando, nel 1987, fu fondata la rivista “Actuel Marx”, la crisi delle società cosiddette comuniste, e con esse del “marxismoleninismo” ufficiale, appariva ormai irreversibile, anche se nessuno ne prevedeva allora una fine così repentina; era già per tanto avvertita la necessità di un rinnovamento «delle tradizioni marxiste [...] al di fuori di ogni ortodossia», e di un loro confronto con le «altre componenti principali della cultura contemporanea». Quest’ultima affermazione è particolarmente indicata per presentare il numero 11 di “Actuel Marx”, la cui parte monografica, che come al solito copre la prima metà abbondante del fascicolo («in realtà un vero libro», come recita la quarta di copertina), è dedicata questa volta a “Weber e Marx”. Presupposto di questa parte dedicata ai due autori è il saggio omonimo di Karl Löwith del 1932, cui idealmente si richiamano tutti i contributi qui ospitati: la relazione di Herbert Marcuse al Congresso dei sociologi tedeschi del 1965 su “Industrializzazione e capitalismo”, volta a denunciare la non identità tra razionalizzazione (capitalista), analizzata ed elogiata da Weber, ma in realtà tutt’altro che neutrale e “formale”, e razionalità tout court; l’articolo di JeanMarie Vincent, che nella critica weberiana alla razionalità marxista vede da un lato un volgere contro Marx di critiche da lui stesso sviluppate, dall’altro una critica anticipata al “socialismo reale”, che per altro non coinvolge “tutto” Marx, ma anzi aiuta a separarne il “pensiero vivo” dal “marxismo volgare” o “materialismo economico” (opera cui già si era accinto il “nostro” Gramsci); quindi il saggio di Michael Löwy su “Figure del marxismo weberiano” (Bloch e Lukács innanzitutto, poi la Scuola di Francoforte, infine Merleau-Ponty, ideatore dell’espressione “marxismo weberiano”) e quello di Catherine Colliot Thélène su TENDENZE E DIBATTITI “Habermas, lettore di Marx e Max Weber”. Seguono un’interessante antologia di testi weberiani dedicati a Marx ed al marxismo, curata da Enzo Traverso, ed una ricca sezione bibliografica. Almeno un cenno meritano infine le altre rubriche della rivista: “Storia del marxismo”, con un articolo di Jacques Texier (direttore della rivista insieme a Jacques Bidet) sui Gundrisse di Marx, un “Intervento” di Jeffrey Reiman su “Rawls contro Nozick”, e la consueta nutrita schiera di “Libri”, a sua volta articolata in sottosezioni, tra le quali “La nuova struttura del mondo”, argomento cui è anche dedicato l’editoriale di questo numero. Più articolata appare la “nuova serie” di “Critica marxista”, che si apre con un ampio “Osservatorio” sull’attualità politica ed economica. Soprattutto nell’analisi di quest’ultima si possono apprezzare, già nel numero 1, ad esempio, alcuni tentativi di sollevarsi al di sopra dell’immediata contingenza mediante il richiamo ad autori “forti”; anche in questo caso il pensiero di Marx viene messo a confronto con altri “classici”, stavolta dell’economia (Keynes e Schumpter), unica maniera per affrontare l’attuale crisi, osserva Giorgio Lunghini (“Occupazione e democrazia”), senza rifugiarsi nella speranza, condivisa da «molti, anche a sinistra [...], che il Dio che ci salverà è il Mercato [...], la vecchia ricetta degli ortodossi: laissez faire, laissez passer» (su questo aspetto si veda anche Roberto Tesi, “Aspettando l’innovazione”). Segue un “Laboratorio culturale”, più propriamente “filosofico”: uno dei temi che hanno dominato i primi fascicoli è rappresentato dal confronto tra liberalismo e marxismo a proposito dell’idea di libertà (argomento quantomai attuale, cui è stato anche dedicato un recente convegno del Goethe Institut romano, dal titolo: “Marxismo e liberalismo alla soglia del terzo millennio”). Il dibattito è stato aperto nel numero 1 da Stefano Petrucciani con un’interessante analisi di “Tre concetti di libertà”, liberale, democratico e socialista, cui appartiene quello marxiano, per un verso più estensivo “libertà collettiva”, economica , per l’altro esposto a gravi aporie, non riconoscendo dignità ai diritti “classici” (quelli dell’ ’89, per intendersi) e presupponendo l’abolizione del mercato e della libera competizione, improponibile, secondo Petrucciani, nelle società moderne; è quindi necessario un suo “ripensamento”, che ne faccia “un principio etico” volto allo sviluppo, e non al superamento, delle libertà democratiche. Sul medesimo tema sono poi intervenuti Nicola Badaloni (“Le tre libertà e il marxismo”, n. 2), che, pur accettando Karl Marx prima del 1875 (foto di John Mayall, Londra) 26 buona parte del discorso di Petrucciani, non vuole ridurre il marxismo a “ideale regolativo”, ritenendolo invece, sulle orme di Sartre (e di Gramsci) una «filosofia epocale [...] “insuperabile”, finché esistano le condizioni che determinano le disuguaglianze»; e Domenico Losurdo (“Liberalismo, comunismo e storia della libertà”, n. 3), che ha mostrato come il carattere autocontraddittorio del concetto liberale di “libertà negativa” non implichi necessariamente, come purtroppo è avvenuto nei paesi del “socialismo reale”, una sua liquidazione tout court, ma piuttosto la negazione di alcune libertà (“formali”), per affermarne altre (“sistemiche”). In ogni numero è presente poi una sezione dedicata alla “Battaglia delle idee” e una alle “Riletture”; seguono le consuete “Schede critiche”. In conclusione, siamo di fronte ad una rivista che, come sottolineava l’Editoriale del numero inaugurale (presumibilmente opera dei due direttori Aldo Tortorella e Aldo Zanardo), pur senza rinnegare la quasi trentennale esperienza della prima serie di “Critica marxista” (1965-91), «non ha niente a che fare con la nostalgia o con il “continuismo”», né con il «ristabilimento del “vero” Marx», ma «vuole essere la ripresa di un impegno di lettura critica della realtà», fornendo, come recita il suo sottotitolo, analisi e contributi per ripensare la sinistra. In questo contesto ci pare significativo segnalare il “ripensamento” delle figure e dell’opera di Gramsci e Togliatti che Giuseppe Vacca propone nel suo recente studio, Gramsci e Togliatti che muove dal riconoscimento della “inscindibilità del nesso Gramsci Togliatti”, decisivo per l’elaborazione di quella “via italiana al socialismo” che, pur ritenuta dall’autore nei fatti ormai storicamente superata (anzi, sostiene Vacca, ormai «probabilmente lo stesso termine socialismo è irrimediabilmente compromesso»), rappresenta pur sempre un punto di riferimento preciso in una situazione dove, secondo un’espressione gramsciana, mentre «il vecchio muore, il nuovo non può nascere». E questo innanzitutto perché i Quaderni del carcere di Gramsci «sono rivolti principalmente ad indagare le ragioni di fondo [...] della sconfitta del movimento operaio ed elaborare i fondamenti (e alcuni indirizzi essenziali) d’un nuovo programma», di cui la gramsciana «filosofia della prassi costituisce la base». La “vitalità di Gramsci” starebbe dunque nel fatto che la sua opera fondamentale è stata concepita in un’epoca di crisi profonda delle forze rinnovatrici della società, che presenta interessanti (e preoccupanti) analogie con l’attuale. Inoltre, l’aver tentato, tra i primi, quella “lettura diacronica” delle note gramsciane, resa possibile dalle in- TENDENZE E DIBATTITI Jürgen Habermas e Carl Schmitt tegrazioni e correzioni apportate da Francioni alla cronologia dei Quaderni stabilita dall’edizione critica curata da Gerratana nel ’75, rende nuova e stimolante l’analisi di Vacca, contenuta nella prima parte del suo studio (“I Quaderni e la politica del ‘900"), di concetti chiave del pensiero di Gramsci quali “egemonia”, “guerra di posizione”, “rivoluzione passiva” e così via, anche per chi, come Guido Liguori (nel n. 1 di “Critica marxista”), non sia convinto che «la posizione di Gramsci verso la democrazia rappresentativa è quella della “riforma”, non della “distruzione”» rivoluzionaria, ma sostenga invece che «Gramsci è tutto interno alla cultura della rivoluzione, termine di cui egli ridefinisce profondamente il senso, ma che non rinnega». E Togliatti? Il merito del successore di Gramsci alla guida del PCI consisterebbe, secondo Vacca, nell’aver sviluppato le intuizioni gramsciane «nella nozione di “democrazia progressiva”», con l’obiettivo di «dar vita ad un “processo” di trasformazioni politiche ed economiche intrecciate, tali da configurare, alla fine, “una nuova idea del socialismo”». Inoltre, osserva ancora Vacca, la parola d’ordine togliattiana del “partito nuovo”, lanciata subito dopo la caduta del fascismo, «era volta [...] ad esplorare la possibilità di dar vita ad un “partito unico della classe operaia e dei lavoratori”, che avrebbe potuto non essere un partito comunista»: un’operazione simile a quella che, da qualche tempo, i dirigenti del neonato PDS (tra cui, lo ricordiamo, va annoverato lo stesso Vacca) stanno tentando; ma questa è storia di oggi. G.C. Teologia, diritto, politica Definire la fonte del diritto, considerato come presupposto della risoluzione politica, è il tentativo, pur perseguito su piani differenti, che hanno in comune la raccolta di saggi di Jürgen Habermas, MORALE, DIRITTO, POLITICA (traduzione e cura di Leonardo Ceppa, Einaudi, Torino 1992) e l’opera di Carl Schmitt, TEOLOGIA POLITICA II (traduzione a cura di Antonio Caracciolo, Giuffré, Milano 1992). La parte più rilevante, dal punto di vista teoretico, dei saggi che compongono il volume di Jürgen Habermas, Morale, diritto, politica, è senz’altro costituita dalla prima, che compare sotto il titolo: “Diritto e morale”, nella quale viene riprodotto il testo delle cosiddette Tanner Lectures, già pubblicato nel 1988 negli Stati Uniti. Qui Habermas tenta di stabilire l’origine della 27 “forza legittimante” del diritto, che non può, a suo parere, essere fatta risiedere nella pura razionalità del potere politico, come la storia si è incaricata di dimostrare. La forza legittimante del diritto va invece ricercata nella dimensione etica: solo così la forma del diritto diventa risoluzione politica. Questa impostazione non potrebbe essere in alcun modo condivisa da Carl Schmitt, la cui teorizzazione della separatezza tra etica e politica rende necessario giustificare lo iato che in questo modo si apre non tanto fra diritto e morale, quanto fra diritto e politica. In altri termini la necessità di una giustificazione tocca, da un lato, proprio il diritto sul versante della sua effettualità, e dall’altro la politica su quello della sua legittimità formale. Per colmare lo iato, Schmitt ricorre, come è noto, all’antitesi amico-nemico come forma originaria del rapporto politico, derivando la forma del diritto, elevata a struttura giustificatoria di questo rapporto, dal modello teologico. Così i concetti giuridici risultano in Schmitt, in modo più o meno diretto, determinati da quelli teologici, con una decisa contiguità fra teologia e diritto. Teologia politica II è la risposta di Schmitt a Erik Peterson, che nel 1935 aveva criticato le tesi schmittiane contenute in Teologia politica del 1922, dove si identificavano esplicitamente i concetti giuridici come concetti teologici secolarizzati. Nel testo di TENDENZE E DIBATTITI replica la posizione di Schmitt risulta più sfumata, complici forse, più che le critiche di Peterson, proprio le analisi di Blumenberg, tendenti a sottolineare la specificità del Moderno, che la tesi della secolarizzazione relega in secondo piano. La distanza fra l’impostazione dell’analisi di Schmitt e quella di Habermas è certo grande, collocandosi l’una sul terreno di una fondazione a cui non è estranea la dimensione metafisica, l’altra su una strada più direttamente aperta verso sviluppi politologici, quali sono, in effetti, quelli tematizzati nella seconda parte di Morale, diritto, politica. Ciò accade in modo quasi paradossale se si considera che la qualifica di “filosofo” viene senza dubbio attribuita con maggiore immediatezza a Jürgen Habermas, piuttosto che a Carl Schmitt, il quale preferisce definirsi un “giurista”. Tuttavia lo scarto fra la teorizzazione della “autonomia del politico”, sottesa alla teologia politica schmittiana, e il radicamento nell’etica dell’effettualità del diritto, in quanto decisione politica, proposta da Habermas, è forse meno grande di quanto possa apparire dalle dichiarazioni di intenti. L’etica habermasiana è infatti priva del carattere normativo, ovvero del legame con una dimensione trascendente, da cui, a parere di Schmitt, proviene il diritto, che da essa però si distacca attraverso il processo di secolarizzazione. L’etica in Habermas si determina, infatti, come “etica del discorso”, da intendersi come discussione sulle procedure di comunicazione e, in quanto tale, sulle procedure di decisione politica. Come anche sottolinea Leonardo Ceppa nella sua Postfazione, la questione centrale degli ultimi trent’anni di riflessione filosofico-politica di Habermas consiste nella determinazione delle condizioni di possibilità relative allo stabilirsi, in una società alienata e fortemente mediatizzata, di meccanismi di comunicazione e decisione politica critici nei confronti del sistema. Pur su un altro versante, anche all’analisi habermasiana non è dunque estraneo un intento di fondazione, come tentativo di trovare, nella dimensione dell’effettualità, il terreno della connessione e della saldatura fra diritto e politica. F.C. Spinoza, nomade e sovversivo Con una nuova raccolta di saggi prosegue la ricerca filosofico-politica sulla figura e l’opera di Baruch Spinoza di Antonio Negri, SPINOZA SOVVERSIVO. VARIAZIONI (IN)ATTUALI (introduzione di Emilia Giancotti, Antonio Pellicani Editore, Roma 1992) che approfondisce il concetto spinoziano di potenza, tematizzando la questione della “prassi costitutiva”. Su un terreno più immediatamente politologico si colloca invece il testo composto da Negri in collaborazione con Felix Guattari, LE VERITÀ NOMADI. PER NUOVI SPAZI DI LIBERTÀ (traduzione di Gioacchino Lavanco, Antonio Pellicani Editore, Roma 1992). Dopo L’anomalia selvaggia. Potere e potenza nell’opera di Baruch Spinoza, del 1981, la nuova raccolta di saggi di Antonio Negri, Spinoza sovversivo, riprende la questione, cara all’autore, dell’attribuzione alla comunità di un primato etico che fonda la sua legittimità, contro Thomas Hobbes, al diritto di resistenza. E’ infatti noto, nel filosofo inglese, il coniugarsi di pactum unionis, ovvero il contratto sociale con il quale la moltitudine degli individui esce dallo stato di natura e fonda la società, e di pactum subjectionis, il contratto politico, l’atto che delega la sovranità, così costituita, allo Stato. Proprio attraverso l’identificazione, logica e temporale, dei due momenti, Hobbes perviene alla rimozione del diritto di resistenza da parte della società nei confronti dello Stato: la rottura del pactum subjectionis comporta ipso facto la rottura del pactum unionis, cosicché non è possibile, a rigore, neppure ipotizzare la resistenza della comunità, o della società civile contro lo Stato: al di fuori della subordinazione ad esso non si dà infatti società, “popolo” in senso proprio, ma solo moltitudine di individui, cioè stato di natura, caratterizzato dal bellum omnium contra omnes. Spinoza concorda con la valutazione hobbesiana del carattere bellicoso dello stato di natura, dove la radice di tale accordo risiede, per entrambi i pensatori, nella costituzione antropologica dell’uomo: il carattere espansivo del moto vitale interno in Hobbes, come il conatus in Spinoza, portano necessariamente a ritenere bellicoso, instabile, e perciò nocivo per l’essenza autoaffermativa dell’uomo, lo stato di natura. La differenza tra i due pensatori risiede nel fatto che lo stato civile deve in Spinoza non rimuovere, ma garantire e amplificare i diritti e lo “stato naturale” dell’uomo: in ciò consiste propriamente l’amplificazione della potenza, concetto centrale nell’interpretazione di Negri, pertinente a ogni singolo modo della Sostanza infinita, cioè a ogni singola sostanza individuale finita. Se un rapporto esiste tra questa interpretazione di Spinoza e le “verità nomadi”, cui fa riferimento il titolo del volume composto da Negri in collaborazione con Felix Guattari, esso va individuato nel fatto che il “nomadismo” consiste proprio nel riconoscimento del frammentarsi della totalità nelle singole soggettività individuali, legittimate in quanto tali, nel “multicentrismo funzionale”, tale per cui le aggregazioni individuali si rivelano capaci di «scatenare rivoluzioni molecolari irreversibili», sul terreno sociale e su quello politico. Il trait d’union tra i due volumi sembra in verità risiedere nell’interpretazione che dello spinozismo ha fornito Gilles Deleuze, secondo cui la tesi dell’univocità della sostanza 28 spinoziana, finalizzata a quella della sua radicale immanenza, serve proprio a fondare la legittimità delle sostanze finite in quanto singolarità irriducibili. Sul piano più specificatamente politico, la polemica antirappresentazionalistica di Deleuze, che sottolinea l’irriducibilità reciproca delle singolarità, si traduce in Negri nel carattere non rappresentativo e non pattizio della democrazia: il meccanismo di delega, conseguente al patto, prefigura infatti l’abdicazione, pur se finalizzata, nelle intenzioni, a una sua miglior difesa del diritto individuale, e dunque dell’irriducibilità del singolo individuo. Da qui la proposta di Negri di fondare la legittimità dell’azione politica su un legame tra la volontà del singolo e la sua espressione sul piano della volontà generale, anziché sulla sussunzione della volontà particolare in quella generale. Anzi, a questo proposito, in Spinoza sovversivo si può rilevare, a seguito del concetto di “ampliamento di potenza“, una maggior accentuazione, da parte di Negri, della singolarità individuale, che non della continuità, come avveniva in L’anomalia selvaggia. Certo, come fa notare Emilia Giancotti, senza un confronto puntuale con il testo spinoziano è «difficile stabilire quanto della lettura di Negri appartenga allo Spinoza storico, e quanto al Negri teorico»; ma, forse, proprio stabilire questa distanza non interessava all’interprete. F.C. Politica e filosofia Uno dei temi centrali del dibattito filosofico-politico nel mondo anglosassone è quello della legittimità del potere. A questo proposito si è recentemente espresso David Beetham, con un’opera dal titolo: THE LEGITIMATION OF POWER (La legittimità del potere, Macmillan, London 1991), in cui viene criticata, in riferimento a pensatori come Charles Taylor, Jürgen Habermas e Hanna Pitkin, la posizione di Max Weber e dei suoi seguaci, che riguardo a questo argomento ha avuto notevole influsso sul pensiero contemporaneo. Fa da riscontro a questo dibattito quello che si preoccupa di definire i legami esistenti tra filosofia, politica ed ideologia, evidenziando i limiti dell’argomento razionale. E’ ciò che si propone Stanley S. Kleinberg con il suo POLITICS AND PHOLOSOPHY : THE NECESSITY AND LIMITATIONS OF RATIONAL ARGUMENT (Politica e filosofia: la necessità e i limiti dell’argomento razionale, Basil Blackwell, Oxford 1991). Il concetto di legittimità è diventato una delle nozioni centrali nelle analisi delle scienze sociali come anche nella teoria politica tradizionale. Una adeguata spiegazione di come una relazione di potere sor- TENDENZE E DIBATTITI ge, sopravvive o scompare, deve far riferimento non solo ad un gioco di forze materiali, ma anche a norme di legittimità. Max Weber è stato considerato un’autorità in proposito, anche se tutt’oggi la sua posizione appare insoddisfacente. Per Weber la legittimità di un potere non dipende da nient’altro che dal credito che una parte di persone investe su di esso. Secondo Charles Taylor questo concetto è eccessivamente empirico, e non riesce a spiegare il fatto che ciò che rende legittimo un regime è un insieme complesso di ciò che egli chiama “significati inter-soggettivi”, cioé l’insieme di valori, significati, istituzioni e modalità pratiche che provvedono a fornire l’intelaiatura normativa, tramite cui si esprime il consenso per un potere. La posizione weberiana non riesce a distinguere tra la legittimità di un regime ottenuta tramite una manipolazione dell’opinione pubblica, e quella di un regime che esercita il potere in accordo con le leggi stabilite. Rispetto a tali argomenti, molte delle critiche di David Beetham sono rivolte contro Weber e ai suoi seguaci, ma anche contro i teorici realisti che insistono nel descrivere il mondo sociale interamente in termini materiali, nonché contro i marxisti - non contro Marx - che concepiscono la legittimità del potere semplicemente come l’imposizione di un’ideologia dominante. In accordo con la posizione weberiana questi ultimi concetti sono inaccettabili perché non riescono seriamente a spiegare in che maniera il potere possa trovare legittimità anche tramite le istituzioni legali, le convenzioni morali e la nozione di benessere pubblico. A questo proposito Beethan distingue in particolare tre elementi nel concetto di legittimità, affermando che il potere può essere considerato legittimo se è conforme alle regole stabilite, che le regole possono essere giustificate tramite la pubblica opinione dominante, e che esiste un’atteggiamento di consenso anche nella minoranza. The legittimation of power è dedicato in gran parte all’elaborazione di questa triplice struttura, a cui è affidato il compito di spiegare il contemporaneo sorgere, sopravvivere e decadere di relazioni di potere esistenti. Nella Politica Aristotele affermava che lo stato è un’entità naturale e che l’uomo è un animale politico e sociale. Mentre da allora la concezione dello stato è cambiata, rimane tuttora confermata la nostra esistenza politica. per Stanley S. Kleinberg questa considerazione è implicitamente alla base della politica. La politica considera gli ordinamenti in cui noi viviamo e può essere soggetta ad analisi da parte della filosofia. Di fatto la principale preoccupazione dello studio di Kleinberg consiste nell’esposizione dei limiti propri dell’argomentazione razionale, e nel mostrare come questi interessino anche la politica. In questa maniera egli cerca contemporaneamente di chiarire la natura stessa della filosofia. Secondo Kleinberg, il fatto che nella nostra esistenza facciamo certe ipotesi sul futuro che riflettono la nostra esperienza del passato è una condizione che sta alla base della politica, la quale cerca appunto di stabilire la maniera in cui i rapporti di una comunità dovrebbero essere regolati. Le discordanze in questa regolamentazione non dipendono da altro che da differenti ideologie. L’ideologia cerca di dirigere il nostro agire sulla base di assunzioni che possiedono un certo fondamento storico. Una volta stabilita la relazione esistente tra politica e ideologia, Kleinberg cerca ora di fornire una descrizione delle principali ideologie presenti nel pensiero politico occidentale, come il liberalismo, il conservatorismo e il socialismo. Scopo principale di Kleinberg è individuare gli elementi fondamentali di ciascuna ideologia per poter confermare la possibilità di usare argomentazioni razionali nella critica delle ideologie, dimostrando allo stesso tempo la legittimità dell’uso di argomenti razionali nel discorso politico. V.R. Terrorismo e responsabilità collettiva Negli anni ’50, i filosofi morali che si richiamavano al metodo analitico, evitavano di addentrarsi nei meandri della giustificazione delle scelte morali concrete. Soprattutto i filosofi anglosassoni avevano fatto della metaetica il loro campo esclusivo di indagine. Il grande interesse negli anni ’70 per la filosofia pratica sembrava avere spiazzato questa prospettiva, ma oggi la situazione è radicalmente cambiata. Il metodo analitico non evoca più la riflessione su teorie già confezionate, poiché molti autori hanno cercato di affrontare con la chiarezza e la rigorosità dello stile analitico i più vari temi della moralità. Burleigh Taylor Wilkins ne ha affrontati alcuni in un suo recente volume, TERRORISM AND COLLECTIVE RESPONSIBILITY (Terrorismo e Responsabilità collettiva, Routledge, London 1992). L’opera è suddivisa da Taylor Wilkins in due parti strettamente collegate: la prima è dedicata alla giustificazione morale del terrorismo ed enuclea come rilevante e problematico il concetto di responsabilità collettiva; la seconda esplora la portata morale della responsabilità collettiva attraverso la discussione di alcuni problemi di etica degli affari e di un celebre processo militare americano per il massacro di May Lay (Vietnam, 1968). Se non esiste una cosa come la colpa collettiva o la responsabilità collettiva di una società umana, allora il 29 terrorismo non può essere giustificato: in questa prospettiva Wilkins sceglie di evitare le considerazioni strettamente politiche e si muove solo sul terreno di argomentazioni puramente morali. Prendendo spunto da autori come Richard M. Hare e Ted Honderich, Karl Jaspers e Carl Wellman, Herbert Morris e Joel Feinberg, Wilkins offre innanzitutto una definizione di terrorismo che non contenga già in sé un germe di valutazione morale: il terrorismo è «l’insieme dei tentativi per ottenere cambiamenti politici, sociali, economici, oppure religiosi, attraverso l’impiego effettivo o la minaccia della violenza contro le persone o la proprietà». In base a questa definizione sembrerebbe che la guerra e la rivoluzione siano assimilabili al terrorismo: Wilkins riconosce che ci possa essere un fraintendimento, tuttavia fa notare come ogni giustificazione per la guerra possa anche valere come una giustificazione per il terrorismo. Se si ammette la liceità dell’uso della violenza, non vi è nessuna differenza moralmente rilevante tra la violenza terroristica e quella militare. I molti problemi concettuali affrontati da Wilkins lo portano a formulare una definizione di terrorismo capace di superare ogni obiezione contro la possibilità di una giustificazione morale del terrorismo. In certe situazioni, osserva Wilkins, è moralmente lecito ricorrere al terrorismo: «la violenza impiegata è in parte finalizzata a destabilizzare l’ordine politico e sociale esistente, ma principalmente a propagandare gli obiettivi o gli ideali propri dei terroristi; spesso, ma non sempre, detti tentativi hanno lo scopo di provocare reazioni che procureranno il pubblico consenso ai terroristi e alla loro causa; infine il terrorismo è sentito da chi lo pratica come un’attività finalizzata alla correzione di gravi ingiustizie che altrimenti resterebbero tali e quali». La giustificazione di Wilkins del terrorismo è a prima vista sorprendente e ha il suo punto di forza nell’altra sua tesi, per cui una collettività può essere responsabile senza che nessuno dei due componenti sia individualmente responsabile, bensì sia responsabile solo in quanto componente di quella collettività. Wilkins parla della responsabilità di avere accettato, per scelta, per abitudine o per tradizione, un certo modo di vivere (way of life): tutte le conseguenze di un certo stile di vita di un qualsiasi membro della collettività ricadono su tutti coloro che aderiscono a quello stile di vita. In questo Wilkins si richiama alla tesi di Jaspers per cui i crimini delle S.S. ricadono sull’intero popolo tedesco: allo stesso modo il popolo americano sarebbe responsabile degli orrori della guerra in Vietnam. Una volta accertata l’esistenza di una responsabilità collettiva che non si riduce alle responsabilità individuali, biso- PROSPETTIVE DI RICERCA Michel De Montaigne 30 PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA Montaigne, 400 anni dopo Guadagnato da sempre il titolo di classico, a quattro secoli di distanza dalla morte Montaigne è nel pantheon delle lettere francesi un monumento che corre il rischio di essere venerato invece che essere letto. Tuttavia, la ripubblicazione degli ESSAIS (Saggi, a cura di Claude Pinganaud, Arlea, Arles 1992) e la contemporanea uscita di una biografia ad opera di Madeleine Lazard, MONTAIGNE (Fayard, Paris 1992), nonché di alcuni saggi critici, tra cui quello di Pierre Leschemelle, MONTAIGNE OU LE MAL À L’AME (Montaigne o il male dell’anima, Ed. Imago, Paris 1992) e quello di M. A. Screech, MONTAIGNE ET LA MÉLANCOLIE (Montaigne e la malinconia, PUF, Paris 1992), hanno avuto il merito di far cadere l’aura di pensatore ufficiale di Montaigne, per riproporre la difficile lezione di questo singolare filosofo, del quale anche Nietzsche ammirava la lucidità. Il nome di Montaigne è innanzitutto legato agli Essais, opera di una vita, continuamente rifinita col cesello dello stile e dell’arguzia. La nuova edizione, curata da Claude Pinganaud, si propone, nello spazio di un unico volume, di soddisfare il principio di leggibilità del testo insieme alla fedeltà all’originale. La forma ortografica è modificata per le parole non più in uso, mentre un glossario e un cospicuo apparato di note consentono al lettore un percorso facilitato nella prosa di Montaigne. Come sottolineava Michel Butor nel suo Essai sur les Essais, (1968), quest’opera di Montaigne è concepita come un monumento manierista alla gloria dell’amico Etienne de La Boétie, morto a 33 anni e la cui perdita sarà sempre compianta da Montaigne con parole appassionate. Omaggio alla memoria dunque, ma anche essai, esperimento di sincerità, saggio dell’autopercezione che rifiuta l’ordine classico dell’esposizione compiuta per tentare una ridefinizione del sé attraverso la scrittura. Di fatto la peinture du moi si inaugura con una confessione che ha ben poco della serenità dei memorialisti classici: «Trovandomi completamente vuoto di quale che sia differente materia, mi sono presentato, io stesso a me stesso, come argomento e soggetto». Ma anche la certezza cartesiana dell’ego cogitans è ugualmente lontana nell’affermazione secondo cui «la parola appartiene per metà a chi parla e per metà a chi l’ascolta». E’ questa consapevolezza che dà alla scrittura di Montaigne quel carattere “aperto”, che sollecita l’interpretazione. Sta forse in ciò la misura della classicità degli Essais, ammirati da Nietzsche, criticati da Pascal, che considerava sciocco il progetto di Montaigne di autorappresentarsi, pur accettando di entrare in dialogo con questi, come interlocutore nascosto di un confronto che sarà produttivo di tanta parte delle sue Pensées. Come sottolinea Michel Tournier, è appunto il riconoscimento del carattere di reciprocità dell’atto linguistico, o di scrittura, che sta alla base della “tolleranza” di Montaigne, come del resto del suo rifiuto delle certezze dogmatiche. La verità non si dà come un possesso pieno della ragione salda nelle sue categorie, ma con un movimento infinito di accostamento, dove sono egualmente significativi le riflessioni personali e la citazione dei classici, l’elemento quotidiano e l’universale. La “fricassea” libresca, così qualificava Montaigne gli Essais, sono pertanto il ricercato disordine che risponde al progetto di dipingere se stesso, nel dialogo con altre menti, con uomini e fatti, nell’unica certezza che «ogni uomo porta in sé la forma intera dell’umana condizione». Montaigne en mouvement era del resto il titolo di un ispirato saggio del 1982 di Jean Starobinsky, che metteva in luce il carattere di “percorso” del progetto conoscitivo di Montaigne. Nel solco di questa analisi si collocano i due studi critici: Montaigne ou le mal à l’ame, di Pierre Leschemelle, e Montaigne et la mélancolie, di M. A. Screech, che, in una prospettiva biografica, il primo, più teorica, il secondo, mettono l’accento sull’importanza di questa malattia del sentire, coltivata e utilizzata come principio creativo. Ad essere attento scrutatore di sé Montaigne era del resto obbligato da una dolorosa affezione renale che lo ha accompagnato per tutta l’esistenza; questo non gli impedi31 va comunque di dedicarsi all’arte di viaggiare. L’edizione critica del suo diario di viaggio in Italia, pubblicata con il titolo: Journal de voyage (Giornale di viaggio, a cura di François Rigolot, PUF, Paris 1992) chiude la complessa vicenda delle edizioni di questo testo, il cui originale scomparve misteriosamente, per ricomparire nel 1770 negli archivi del castello di Montaigne. E’ sicuramente autografo il testo scritto in italiano, mentre la parte in francese si deve probabilmente alla stesura del segretario. Originale o scritto sotto dettatura che sia, il diario di viaggio in Italia mantiene lo stile “fluidamente discontinuo” della scrittura di questo viaggiatore riflessivo e attento, che considerava il viaggiare un’attività, alla stregua di quella artistica, o una vocazione per le scoperte. A tavola, come davanti a un’architettura o ad un paesaggio, Montaigne dà prova di una curiosità per tutto quanto è differente, ed ha le sue ragioni di esserlo. Se il motivo del viaggio era la presentazione al papa dei suoi Essais - ma c’è chi sostiene che la ragione fosse quella di un’ambasceria politica -, in tutta naturalezza il viaggio di Montaigne si trasforma in un percorso all’interno di un’altra cultura che non «traccia alcuna linea certa, né dritta né curva», simile in questo all’esistenza: «La vita è un movimento materiale e corporale, azione imperfetta per la sua propria essenza e priva di regole; mi adopero per servirla conformemente». E.N. Filosofia della rivelazione La pubblicazione, con il titolo: URFASSUNG DER P HILOSOPHIE DER O FFEN BARUNG , a cura di Walter E. Ehrhardt, Meiner, Amburgo 1992), di un testo di F. W. J. Schelling, trovato da Walter E. Ehrhardt nella biblioteca dell’Università Cattolica di Eichstätt, in cui va probabilmente ravvisata la prima stesura della “filosofia della rivelazione”, mette a disposizione degli studiosi elementi importanti per la comprensione dell’ultimo periodo della filosofia schellinghiana. PROSPETTIVE DI RICERCA La pubblicazione in questi ultimi anni di testi appartenenti all’ultimo periodo della filosofia schellinghiana, nonché di saggi critici e interpretazioni su questo filosofo, ha fatto parlare di una vera e propria “Schelling-Renaissance”. Dallo “scritto sulla libertà” del 1809 fino agli scritti, incompiuti, dedicati alla Filosofia della mitologia, alla Filosofia della rivelazione e ai frammenti, anch’essi incompiuti, delle Età del mondo, questo periodo dell’attività di Schelling è stato di volta in volta considerato come il compimento dell’idealismo tedesco o come una degenerazione di carattere oscurantistico e mistico della filosofia. La possibilità di queste diverse interpretazioni è (o era) data dalla situazione stessa dei testi di Schelling, dallo stato di conservazione dei manoscritti inediti e dalla qualità dell’edizione delle sue opere complete. Una fortunata scoperta ad opera di Walter E. Ehrhardt nella biblioteca dell’Università Cattolica di Eichstätt mette ora a disposizione nuovi materiali per un’adeguata valutazione di una delle opere fondamentali della tarda filosofia di Schelling. Si tratta, secondo le parole di Ehrhardt, della «scrupolosa trascrizione di un testo dettato da Schelling», rinvenuto tra le carte di Joseph Maximilian Wachtl, studente all’Università di Monaco dal 1829 al 1832, che rappresenta la prima stesura della Filosofia della rivelazione (1831-32). Nelle sue lezioni di questo periodo Schelling aveva sviluppato le proprie concezioni sistematiche di fondo, quelle di una “filosofia della mitologia” e di una interpretazione filosofica della rivelazione divina nella creazione e nell’incarnazione di Cristo. Queste lezioni, a cui si aggiungono un indice dei nomi e dei termini, alcune note e una postilla, stanno alla base dell’edizione di Ehrhardt della Filosofia della rivelazione. Tra le novità relative ai contenuti teorici dell’opera di Schelling, presentate dalla pubblicazione di questo testo, emerge che, attorno al 1830, Schelling non sembra distante da alcune delle concezioni di fondo di Hegel, suo antico compagno di studi e successivamente suo avversario filosofico. Come Hegel, anch’egli intende qui Dio come lo “spirito assoluto”, come una “autocoscienza” che diventa consapevole di se stessa nel processo dell’universo, da noi conosciuto in quanto storia del mondo e in quanto storia dello spirito che rivela se stesso. Ma contro Hegel (da lui criticato, in queste lezioni, due volte esplicitamente, ma più volte in maniera implicita), Schelling rifiuta il tentativo di far coincidere la libertà della creazione divina e la libertà umana nella comprensione dell’accadere universale dell’essere. Se la creazione è «solo un successivo venire a sé, un successivo diventare cosciente di sé stesso» da parte dell’Assoluto (su questo punto Hegel e Schelling sembrano concordare), essa giunge alla sua meta solo nel sapere filosofico umano, in cui l’Assoluto si mostra o si rivela. Così, laddove Hegel utilizza struttu- re concettuali rigorose, il pensiero dell’ultimo Schelling si esprime in un linguaggio più evocativo e seducente: la filosofia è “ricordo” del processo dell’Assoluto in quanto narrazione dei suoi gradi sulla base della pienezza del materiale storico e mitologico. Nella sua “filosofia della mitologia” Schelling racconta in che modo “alla coscienza” dell’uomo, che dopo lo stato edenico ha perso la propria unità con Dio, i momenti del processo dell’universo «appaiono in quanto divinità» (nelle configurazioni della mitologia). Nella “filosofia della rivelazione” egli presenta un’interpretazione dell’incarnazione di Cristo come “riconduzione” dell’uomo distaccatosi dalla sua originaria unità con Dio al “dominio” del Dio Uno, inteso come l’unica sorgente dell’essere. M.M. Moralisti francesi del XVII secolo L’interesse e il merito del volume a cura di Jean Lafond sui MORALISTES DU XVII SIÈCLE (Moralisti del XVII secolo, a cura di Jean Lafond Coll. Bouquins, Parigi 1992) è quello di raccogliere in un unica antologia i testi, per lo più introvabili, di grandi e meno grandi moralisti francesi del secolo di Cartesio. Istruito da una ricchissima prefazione, il lettore ha l’opportunità di accostare le riflessioni di La Rochefoucauld o di La Bruyère con le massime, non meno perfette all’occasione, di moralisti meno illustri come Pibrac, Puget de la Serre, M.me de Sablé, Urbain Chevreu. Al centro del campo d’indagine dei moralisti del XVII secolo c’è l’uomo, interrogato e messo in questione attraverso un’analisi che si raffina sempre più nell’uso dello scandaglio psicologico. L’indagine segue il solco di una riflessione che si potrebbe qualificare col titolo di antropologica. Grande è tuttavia la differenza con i pensatori antichi nel modo di occuparsi dei costumi: diverso lo sguardo sull’uomo, più carico di sospetto o d’umor nero, o forse soltanto con una maggiore carica di dubbio sulla possibilità di mettere a nudo la complessa fisiologia dell’animo umano. A voler riprendere il filo della storia, il precedente letterario più significativo è da rintracciarsi negli Essais di Montaigne, dove è rappresentata una visione dell’uomo che accorda mirabilmente la dimensione intellettuale con quella della scrittura. Il successo dei moralisti viene anche dalla loro capacità di chiudere con la tradizione “pedagogica”, ormai esausta, del trattato, con i suoi vincoli retorici e strutturali, per inaugurare la forma discontinua, asistematica ma ben più agile, della trattazione per massime e aforismi. E nondimeno c’è un ordine in 32 questa successione di pensieri apparentemente slegati, una regola che Blaise Pascal enuncia nei termini di una «digressione su ogni punto che mantiene il rapporto con la conclusione, per renderla sempre evidente». Il rinnovamento della letteratura gnomica, a cui mirano questi scrittori-filosofi, si misura attraverso il passaggio dalla sentenza alla massima, da intendersi non nell’accezione classica di regola di comportamento, ma di asserzione che, mantenendo il carattere di generalità, lascia trasparire la soggettività, nell’enunciato paradossale, nell’ornamento dello stile o nella raffinatezza psicologica dispiegata. Il progetto di mettere a nudo il cuore umano è perseguito dunque attraverso la ricerca del consenso del lettore, che deve prima riconoscersi per poi aderire; punto di partenza è la descrizione puramente antropologica della condizione umana e non il postulato metafisico. Ciò vale anche per Pascal, la cui apologia del cristianesimo si fonda su di una antropologia tragica, segnata dalla nozione di miseria e di contraddittorietà dell’uomo. Ad eccezione di La Bruyère, in cui a tratti si evidenzia un tono predicatorio, le massime dei moralisti seicenteschi «lasciano da pensare» più che far credere all’autorità dell’enunciato. Il loro discorso, come sostiene il curatore, Jean Lafond nella cospicua prefazione, mira a trovare il suo compimento attraverso l’interpretazione attiva del lettore. Ma questa ricerca della “complicità” del lettore non significa tuttavia simpatia a tutti i costi per il genere umano; il “pessimismo aristocratico”, che ha in La Rochefoucauld il capofila, viene ad esempio criticato da F. Jeanson come strategia di deprezzamento dell’altro in funzione della valorizzazione narcisistica del sé: al termine della messa in discussione dei valori, a salvarsi rimarrebbe soltanto la superiore coscienza critica dell’autore. Roland Barthes ha visto invece in questo isolamento critico la condizione originaria dell’intellettuale moderno «il cui compito è contestare». Restano invece incontestabili l’originalità e la ricchezza delle analisi, sull’uomo e le sue passioni, dei moralisti francesi del ‘600, maestri di disincanto anche per Nietzsche che salutava in La Rochefoucauld il primo critico coerente del “troppo umano”, nascosto nelle virtù professate. E.N. Categorie dei segni Il volume di Charles Sanders Peirce, CATEGORIE (traduzione e cura di Rossella Fabbrichesi Leo, Laterza, Roma-Bari 1992) raccoglie i testi più significativi, quasi tutti inediti o mai tradotti in italiano, che il filosofo statunitense ha dedicato al problema delle categorie. PROSPETTIVE DI RICERCA Secondo Charles Sanders Peirce la dottrina delle categorie era la parte della propria riflessione più degna di essere trasmessa ai posteri: un «dono che faccio al mondo», per citare le sue stesse parole. In effetti Peirce, come sostiene Rossella Fabbrichesi Leo, è l’ultimo grande costruttore di tavole categoriali dell’età contemporanea, e la questione delle categorie attraversa tutta l’evoluzione del suo pensiero, come vuole dimostrare la scelta antologica dei passi raccolti in questo volume. Determinante è l’incontro con Kant, che muove Peirce al convincimento del carattere preliminare, nella ricerca filosofica, dell’elaborazione di un modello categoriale. Il filo conduttore dei testi presentati in questa antologia è dunque tanto logico, quanto cronologico: la questione teoretica delle categorie segna l’evolversi della riflessione anche da un punto di vista storiografico. Mentre nello scritto del 1861, Io, Esso, Tu, che l’autore compose all’età di ventidue anni, gli elementi più semplici della realtà sono individuati nei pronomi personali, in quello che per Peirce è il suo «unico contributo alla filosofia», cioè il Nuovo elenco di categorie, del 1867, emerge l’idea di una categoria fondante rispetto alle altre, la rappresentazione. Permane tuttavia il riconoscimento, che Peirce non abbandonerà mai, del carattere triadico del modello categoriale, nonché del carattere di irriducibilità di ciascuna delle tre categorie alle altre. Non va dunque sopravvalutato il rapporto, stabilito da Peirce medesimo, fra la propria riflessione e il pensiero hegeliano, quando il filosofo americano sosteneva che le sue tre categorie non erano altro che i tre stadi della dialettica di Hegel. Occorre infatti sottolineare come a questo proposito si tratti più della suggestione di uno schema, che di una effettiva eredità teoretica; piuttosto, è opportuno rilevare come il ruolo fondativo assegnato alla rappresentazione costituisca un passo decisivo nel definirsi della prospettiva peirceana, che in tal senso, come fa notare la curatrice, si lascia abbracciare da uno sguardo unitario, quello del configurarsi della cosmologia peirceana come semiotica. L’unitarietà della rappresentazione ha un carattere interpretativo; essa è infatti fornita, al di là del rapporto diadico fra il segno e il suo denotato, dall’elemento triadico dell’Interpretante, il cui accadere ermeneutico struttura in realtà le impressioni confuse. Logica e ontologia dunque coincidono, caratterizzandosi entrambe come semiotica: i modi dell’essere divengono modi del segno. Il progressivo formalizzarsi dell'analisi categoriale in Peirce, nel corso dell’evolversi della sua riflessione - di cui è testimonianza lo scritto inedito Uno, Due, Tre del 1885, dove le tre categorie vengono semplicemente denominate Primo, Secondo, Terzo - va di pari passo con il tentativo, che questi intraprende, di applicare l’apparato categoriale ai differenti campi disciplinari dell’umana conoscenza. D’altra parte, non è questo il cammino con il quale Peirce approda alla “faneroscopia”, cioè alla prospettiva fenomenologica che, dopo il 1904, attraverso le categorie di Primità, Secondità e Terzità, reinterpreta il reale. Esiste in Peirce una linea evolutiva, i cui momenti di continuità prevalgono su quelli di discontinuità. In verità, osserva Fabbrichesi Leo, le tre categorie diventano, a questo punto, difficilmente distinguibili; se il Primo è l’idea dell’essere, nell’indipendenza da altro, e il Secondo l’idea di essere, relativamente a qualcosa, solo la Terzità rende il Primo e il Secondo rappresentabili, e costituisce la nozione di legge, cioè di realtà. Ma se la Terzità dà la parola al Primo e al Secondo, nel contempo li tradisce, rendendo rappresentabile ciò che “in sé” non è rappresentabile: dovendo esprimersi attraverso essi, essa si trasfigura e li trasfigura, nel luogo del comune coessere che è l’esperienza. F.C. L’antropologia filosofica di Humboldt Jean Quillien, che a Humboldt aveva già consacrato nel 1983 uno studio dal titolo: HUMBOLDT E LA GRECIA. MODÈLE ET HISTOIRE (Humboldt e la Grecia. Modello e storia), ha pubblicato recentemente una monumentale ricostruzione della vicenda intellettuale di questo pensatore dell’epoca di Goethe, L’ANTHROPOLOGIE PHILOSOPHIQUE DE G. DE HUMBOLDT (L’antropologia filosofica di W. von Humboldt, PUL, Lille 1991), che per un intero anno ha suscitato in Francia una certa discussione, divenendo un’opera imprescindibile per gli specialisti non solo di Humboldt, ma anche dell’antropologia linguistica. La prima parte, “La genèse du problème anthropologique” (La genesi del problema antropologico), dello studio di Jean Quillien, ripercorre il periodo di “apprendistato” di un filosofo la cui struttura di pensiero raggiunge la sua configurazione nel decennio 1790-1800. Wilhelm von Humboldt si avvale di tre fonti filosofiche: l’Aufklärung (Campe, Engel, Dohm), il “realismo” affascinante di Jacobi, e una lettura approfondita di Kant. Segue poi un ampio resoconto dei viaggi di Humboldt a Parigi e poi in Grecia, al ritorno dai quali, a Jena nel 1794, egli si dedica principalmente, con Schiller, ai problemi della creazione estetica e dell’immaginazione poetica. Dal 1797 al 1801 Humboldt è di nuovo a Parigi, dove, secondo Quillien, inizia a interessarsi al problema del linguaggio. Nella seconda parte del volume, “L’anthropologie philosophique” (L’antropologia filosofica), Quillien rivendica la dimensione filosofica della riflessione di 33 Humboldt, o per meglio dire, della riflessione antropologica, a cui l’investigazione sul linguaggio non apporterebbe nulla di decisivo. Lo scopo dell’antropologia filosofica di Humboldt è la comprensione dell’individualità attraverso l’immaginazione, facoltà in grado di coniugare gli approcci dello storico, del naturalista e del filosofo. A questo proposito Quillien si sofferma lungamente sulla fascinazione di Humboldt per l’anatomia comparativa di Goethe, per la fisiognomica di Lavater e per la “fisiognomica naturale” del fratello Alessandro. Il concetto unificante questi vari ambiti del sapere è quello di forza, che Humboldt va elaborando come “energia” e che ne rende originale la posizione rispetto alla filosofia della storia e alla riflessione morale dell’epoca. La discussione fra specialisti e non riguardo a questa ricostruzione preziosa, documentata e originale del pensiero humboldtiano, ha messo in evidenza tesi di fondo di Quillien, che sostiene la totale indipendenza dell’antropologia rispetto a ciò che non ne sarebbe che la “trasposizione” in termini di linguaggio. Che il passaggio dall’antropologia allo studio linguistico non modifichi affatto la riflessione di Humboldt, è idea centrale di Quillien, giustificata, da un lato, dall’immenso lavoro di ricostruzione genetica del pensiero dell’autore tedesco, dall’altro, dal fatto che numerosi “assiomi” della filosofia del linguaggio humboldtiana siano già presenti in contesti non linguistici negli anni di formazione (in particolare la nozione di energia e la celebre formula «perseguire scopi infiniti con mezzi finiti»). Così diversi commentatori hanno notato come Quillien “trascuri”, in un certo qual modo, l’originalità di Humboldt, consistente nell’approccio trascendentale al linguaggio e alle condizioni del pensiero. F.M.Z. L’antropologia filosofica di Plessner Lo studio di Stephan Pietrowicz dal titolo: HELMUTH PLESSNER. GENESE UND SYSTEM SEINES PHILOSOPHISCH-ANTROPOLOGISCHEN DENKENS (Helmuth Plessner. Genesi e sistema del suo pensiero filosofico-antropologico, Alber, Freiburg i.Br.-München 1992) intende offrire un’immagine complessiva dell’antropologia filosofica di Plessner - pensatore di rilievo, ancora poco conosciuto in Italia - ricostruendo il contesto storico-culturale e filosofico in cui si è sviluppato il pensiero del filosofo. Secondo Stephan Pietrowicz l’antropologia filosofica di Helmuth Plessner si sviluppa in un rapporto critico con l’antropologia di Kant. Questi aveva diviso tale ambito del sapere in due parti: la conoscen- PROSPETTIVE DI RICERCA za “fisiologica” dell’essere umano (che considera l’uomo come parte della natura) e quella “pragmatica” (che lo indaga in quanto essere che agisce liberamente in vista di scopi pratici), ponendo così una scissione tra l’uomo considerato come corpo, oggetto della scienza della natura, e l’uomo come soggettività, che stabilisce liberamente valori e scopi, oggetto della riflessione filosofica. Il tentativo di Plessner è quello di gettare un ponte, nell’antropologia filosofica, tra la considerazione biologica e quella culturale dell’essere umano. In questo senso Pietrowicz interpreta i primi scritti di Plessner, dedicati a Kant, come una preparazione all’opera principale del 1928, Die stufen des Organischen und der Mensch (I livelli dell’organico e l’uomo). Il modello kantiano di una scissione tra corpo e spirito (o quello cartesiano di una separazione tra sostanza estesa e sostanza pensante) non era però l’unico da cui Plessner poteva attingere elementi per la propria antropologia filosofica. In Germania le scienze della storia e dello spirito avevano iniziato già nel secolo XVIII a indagare l’uomo come essere storico e culturale, come essere vivente creativo che si esprime nelle diverse culture ed epoche storiche. Wilhelm Dilthey aveva cercato, con la sua “critica della ragione storica”, non solo di offrire un fondamento gnoseologico alle scienze dello spirito, ma anche di utilizzare i risultati di tali scienze e il loro modello conoscitivo psicologico-ermeneutico al fine di sviluppare un’immagine globale del mondo umano, storico e spirituale. Su un versante opposto, quello di una considerazione “fisiologica” dell’umano, la biologia dell’evoluzione considerava l’essere umano come appartenente alla storia naturale del vivente e ne riduceva ogni facoltà autonoma o spirituale a mera funzione di autoconservazione del corpo. Pietrowicz mostra come in tale contesto Plessner abbia tentato di superare l’opposizione tra i due poli dialettici del problema attraverso una sorta di arte combinatoria. Importante, in questo tentativo, è l’influsso della fenomenologia: Edmund Husserl, con il suo metodo della riduzione a ciò che è dato in modo evidente alla coscienza, e Max Scheler, che applica tale metodo allo studio dell’uomo, rendono Plessner consapevole della necessità di prendere le mosse, nell’indagine filosofica, dall’uomo considerato come essere vivente unitario. Significativa è anche, per lo sviluppo del progetto teorico plessneriano, la figura di Georg Misch (allievo di Dilthey e docente fino al 1933 nell’Università di Göttingen), che partendo dalla filosofia diltheyana si proponeva di sviluppare una logica ermeneutica e una fondazione filosofica del mondo della cultura adeguate al punto di vista raggiunto dalla Lebensphilosophie. Per quanto riguarda invece i fondamenti “empirici” della sua antropologia filosofi- ca, Plessner si rivolge ai biologi-filosofi Driesch e Uexküll. Partendo da queste basi filosofico-scientifiche, la domanda di fondo dell’antropologia di Plessner è in che modo l’uomo è costituito dalla natura come un essere che agisce liberamente e secondo un progetto? Non si tratta qui, secondo Pietrowicz, della ricerca di una teleologia nascosta della natura, che farebbe dell’uomo un essere libero, ma di una domanda di carattere trascendentale circa le condizioni di possibilità del vivente in generale. Dai primi studi su Kant risulta come Plessner accettasse l’esigenza kantiana per cui la filosofia deve giungere, in maniera critico-costruttiva, ad un principio che non ha origine nell’esperienza, ma che con l’esperienza deve accordarsi. Se Kant, secondo l’interpretazione che Plessner offre del suo pensiero, aveva scelto il principio dell’unità delle funzioni dell’intelletto, partendo dal modello di esperienza della fisica newtoniana, il compito di un’antropologia filosofica è ora quello di giungere ad un principio che renda conto del livello di esperienza delle scienze della vita e della cultura. In questo tentativo, Plessner segue due direzioni. Per quanto riguarda il lato biologico-naturale del problema, il concetto di “confine” (Grenze) è la condizione di possibilità del corpo vivente in generale, che è sempre caratterizzato dalla sua posizione intermedia tra soggetto e oggetto, interno ed esterno, tra “essere” un corpo proprio ed “avere” una corporeità naturale. L’uomo, come tutto il vivente, occupa sempre una posizione in un ambiente. Ma la sua caratteristica specifica, che lo differenzia dagli altri animali, è di prendere distanza rispetto a tale ambiente in quanto gli è dato nella percezione e nella coscienza: l’essere umano è così definito per Plessner dalla categoria di “posizionalità eccentrica”, che esprime la forma umana particolare della generale struttura “posizionata” del vivente. Per quanto riguarda l’altro aspetto del problema antropologico (l’uomo come essere storico e culturale), Plessner afferma che l’essere umano si mostra, nel medium delle sue culture, come un essere naturale che deve realizzarsi in maniera “artificiale” per giungere all’ ”equilibrio” e all’espressione di se stesso. Viene così evitata ogni immediatezza: l’uomo esprime la sua essenza solo attraverso una mediazione artificiale nella dimensione della cultura e della storia. Attraverso l’esperienza storica l’uomo resta qualcosa di “ambiguo” e “insondabile”, e resta una “domanda aperta” a cui si può tentare di rispondere attraverso un’ermeneutica della diversità. Riecheggiando una categoria teologica, Plessner parla, a questo proposito, anche di un homo absconditus, trasferendo così all’uomo (secondo Pietrowicz, in una “svolta antropologi34 pensabile, ma non conoscibile, di ogni cultura. M.M. Max Weber: politica e scienza come professione Nell’edizione delle opere complete di Max Weber sono stati recentemente ristampati due saggi: WISSENSCHAFT ALS BERUF E POLITIK ALS BERUF (Scienza come professione e Politica come professione, a cura di Wolfgang J. Mommsen e Wolfgang Schluchter in collaborazione con Birgitt Morgenbrod, in MAX WEBER GESAMTAUSGABE, parte I: “Scritti e discorsi”, J. C. B. Mohr, Tübingen 1992) che, assieme al celebre studio su L’ETICA PROTESTANTE E LO SPIRITO DEL CAPI TALISMO , si trovano alla base del grande influsso del sociologo, storico e filosofo Weber sulla cultura contemporanea. Nel gennaio 1919 Max Weber aveva tenuto a Monaco di Baviera due conferenze, seguite da un vasto pubblico di studenti, intellettuali e militanti politici, che sarebbero poi state pubblicate sotto forma di saggio e sarebbero diventate due delle sue opere più lette e influenti. In Wissenschaft als Beruf e in Politik als Beruf Weber presenta infatti alcuni elementi tipici e fondamentali della propria visione del mondo moderno e della funzione dell’attività scientifica e politica in esso. La nuova edizione di questi scritti nella Max Webers Gesamtausgabe (Edizione completa delle opere di Max Weber) riunisce ora in un unico volume i due testi, precedentemente disponibili in edizioni separate. Oltre che da un apparato di note, il volume è arricchito da un’introduzione di Wolfgang Schluchter, che situa i due testi nel contesto dell’opera complessiva di Weber, e dalle note editoriali di Wolfgang J. Mommsen, che discute e chiarisce le questioni relative alla datazione delle conferenze e ricostruisce la situazione storica in cui esse vanno inserite. La fortuna di questi due saggi di Weber è stata probabilmente in gran parte legata al loro carattere originario di conferenze. Di questa modalità espositiva i saggi mantengono la forza comunicativa, la brevità e la pregnanza delle formulazioni. Sarebbe tuttavia fuorviante leggere questi pur importanti testi di Weber come un’introduzione di carattere generale al suo pensiero e alla sua concezione della sociologia e dell’attività politica e intellettuale. Proprio per la necessità di semplificare, che si impone al conferenziere di fronte al grande pubblico, i due testi trasmettono un’immagine per certi aspetti unilaterale della sfera di pensiero weberiana, caratterizzata invece da tensioni e contraddizioni. Wissenschaft als Beruf rende conto delle tonalità positive (e talvolta di esaltazione) PROSPETTIVE DI RICERCA Max Weber e Francis Bacon con cui Weber presenta il mondo moderno, razionalizzato e amministrato: la trasformazione delle università in grandi imprese scientifiche; il rapporto tra la vocazione interiore alla scienza e il processo di intellettualizzazione e di disincanto del mondo; il problema del senso della scienza nella modernità. Politik als Beruf presenta invece alcuni temi classici dell’indagine weberiana: la sociologia del dominio; la storia dello sviluppo dello stato moderno e la sua tipologia; la sociologia dei partiti e del parlamentarismo; la descrizione delle virtù del politico e la discussione del rapporto tra etica e politica. Da questi testi resta però escluso quello che secondo alcuni interpreti è il lato “oscuro” e “demonico” del pensiero e della personalità di Weber; ugualmente non emerge quell’immagine critica della modernità che, pur con una valutazione ideologica di segno opposto, avvicina Weber ad alcuni punti di vista della critica della modernità formulata da pensatori come Tönnies, Simmel, Klages, il giovane Lukács e il fratello Alfred Weber. Così, ad esempio, pur dando una valutazione nettamente positiva del mondo moderno con la sua crescente differenziazione della vita in ambiti separati, con la sua burocratizzazione e razionalizzazione, Weber descrive l’affermazione della modernità attraverso immagini di morte, irrigidimento, soffocamento, congelamento. Questa contradditorietà o tensione tra un Weber che vede i limiti e i rischi della “gabbia d’acciaio” della razionalizzazione della vita, ma che anche considera tale processo come sostanzialmente positivo e ineludibile (prendendo così distanza rispetto alle critiche provenienti dai circoli letterari e dai citati intellettuali e filosofi dell’epoca) si esprime in alcuni punti di Politik als Beruf. Qui troviamo alcuni grandi temi introdotti da Weber nella cultura contemporanea: l’opposizione tra un’etica “della convinzione” (Gesinnungsethik), orientata in base a principi e valori, e un’etica “della responsabilità”, che tiene conto degli effetti e delle conseguenze dell’agire umano e che per questo è secondo Weber in grado di rispondere alle esigenze dell’età moderna; il contrasto tra giudizi scientifici e giudizi di valore, e l’esclusione di questi ultimi (se non al livello della scelta degli oggetti di studio) dall’edificio della scienza; il dissidio tra una politica intesa come gestione e amministrazione dell’esistente e una politica che, attraverso l’opera di grandi individui dotati di carisma, prepara nuove possibilità e apre nuovi orizzonti. E su questo punto Weber, che pure intende contribuire al successo della nuova democrazia tedesca della repubblica di Weimar (dopo la guerra egli fu tra l’altro consigliere nella stesura della costituzione), sembra tendere, nel profondo, non verso la figura del politico amministratore, ma del politico individuo d’eccezione, lasciando così tra35 pelare quel coté della sua formazione culturale che è debitore delle grandi critiche tedesche di una razionalità di carattere puramente strumentale o intellettualistica, e quel lato della sua personalità che tendeva verso l’oscuro e l’irrazionale. M.M. Francis Bacon: ministro della conoscenza E’ stata recentemente pubblicata una monografia su Francis Bacon di Jiulian Martin, FRANCIS BACON, THE STATE, AND THE REFORM OF NATURAL PHILOSOPHY (Francis Bacon, lo stato e la riforma della filosofia naturale, Cambridge University Press, Cambridge 1992), che propone un’interpretazione del filosofo che in un certo senso assoggetta l’interesse scientifico dell’opera di questo autore al suo intento politico di rendere l’Inghilterra un grande e prospero impero. Per Jiulian Martin la versatilità speculativa di cui Francisc Bacon seppe dare ragione non dà semplicemente adito a un insieme considerevole, anche se scollegato, di risultati, quanto piuttosto è indice di un’unità essenziale del suo pensiero. Non fu un caso che Bacon si interessò proprio di politica, di legge e di scienza naturale. Nell’insieme del suo pensiero queste tre aree sono parte di un progetto articolato, e nessuna di esse può essere compresa PROSPETTIVE DI RICERCA senza le altre. Tenendo conto delle circostanze che lo conducono verso la carriera politica, risulta plausibile che l’ambizione filosofica di Bacone s’identificasse con la necessità politica di proporre un vasto programma di progresso sociale. Ciò che emerge in particolare dal suo pensiero politico, osserva Martin, è una visione coerente, in cui il livello più alto del governo esercita una supervisione sui pubblici uffici, cercando di razionalizzare le leggi, di rendersi responsabile dei progressi della conoscenza, di fare il miglior uso dell’esperienza e della saggezza per render l’Inghilterra un grande impero. L’originalità dell’analisi del pensiero di Bacon proposta da Martin sta nel mostrare lo strettissimo legame che intercorre tra l’impegno politico del filosofo ed il corpus del suo pensiero. Una tale interpretazione tuttavia è sottoposta al rischio di considerare la filosofia naturale di Bacone in relazione al contesto politico, sottovalutando il puro e semplice interesse di Bacon per la scienza e la ricerca. La passione di Bacon per la conoscenza va ben al di là dell’intento politico di far progredire l’Inghilterra, come invece sembra suggerire l’analisi di Martin. V.R. L’estetica dell’esperienza Raccolta di testi in parte inediti, e comunque per la prima volta tradotti in italiano, il volume di Wilhelm Dilthey, ESTETICA E POETICA. MATERIALI EDITI E INEDITI (traduzione a cura di Giovanni Matteucci, Franco Angeli, Milano 1992) ricostruisce il percorso del filosofo tedesco nell’ambito del dominio estetico, inteso qui in un’accezione che ne mette in evidenza il carattere esorbitante rispetto a quello dell’esperienza artistica. Come avverte Giovanni Matteucci all’inizio dell’utilissimo saggio introduttivo a questa raccolta, l’intento di una ricostruzione sistematica del pensiero di Wilhelm Dilthey, anche limitato all’ambito delle sue riflessioni in campo estetico, rischia di costituire un intralcio, se assunto come un dato di fatto nello sviluppo oggettivo della riflessione diltheyana in campo estetico, ma può essere fecondo, se utilizzato come ipotesi metodologica per l’individuazione, in essa, di un filo conduttore. Una costante della riflessione estetica diltheyana è la distinzione, cui Dilthey tiene fermo, tra esperienza estetica e artistica. I due termini non sono coestensivi, in quanto la seconda è un caso particolare della prima o, come sostiene Dilthey, una sua “formalizzazione tipica”; qui il concetto di “tipico” indica appunto il carattere di irriducibile singolarità del momento individuale, nel quale si estrinsecano le forze che “in generale” agiscono nel campo estetico. L’esperienza artistica è dunque un “caso particolare” di quella estetica; per comprendere appieno la prima occorre ricondurla alla seconda, visto che non solo i principi, ma la possibilità stessa di un’esperienza artistica, così come essa si manifesta tanto nel momento creativo, quanto in quello fruitivo, riposano sull’esistenza di strutture universali, cioè comuni a tutti gli uomini in quanto tali. L’esperienza estetica si presenta ora come modello su cui si struttura la comprensione conoscitiva dell’uomo, al cui interno viene ricondotta l’esperienza artistica. L’eredità kantiana presente in questa impostazione è evidente per almeno due aspetti. In primo luogo la nozione di “universalità” è inerente alle strutture conoscitive, concepite come “estetiche”, e determina scientificamente la ricerca delle strutture fondamentali dell’esperienza; le scienze dello spirito si qualificano come “scienze” in virtù appunto dell’ “oggettività”, intesa, in senso kantiano, come “universalità”, delle strutture conoscitive individuate attraverso l’analisi. In secondo luogo, nel carattere preliminare di queste stesse strutture, nella loro trascendentalità rispetto all’esperienza, è presente un indubbio momento di contiguità fra l’approccio kantiano e quello diltheyano. Da ciò deriva anche il fenomenismo antipsicologistico che accomuna Dilthey a Kant, in quanto nelle nozioni psicologiste viene ravvisata una carenza di radicalità fondativa. Il distacco da Kant avviene in rapporto al concetto centrale di esperienza, o meglio di “vissuto d’esperienza” (Erlebnis); il tentativo fondativo di Dilthey si determina come antiformalistico, dove la cifra dell’esperienza estetica risiede nel coappartenersi di vissuto (Erlebnis) e forma (Gestalt), nel tradursi dell’uno nell’altra nella rappresentazione intuitiva della vita, ovvero nel carattere vitale che il sentimento conferisce alla forma intuitiva. La nozione di “vita” diventa dunque il discrimine tra il formalismo criticista e la “fondazione” diltheyana che vuole por capo a una «conoscenza storica dell’umano», a partire dalla quale affermare l’intrascendibilità della vita stessa, il suo non poter essere «lasciata dietro le spalle». Ed è a partire dalla nozione di Erlebnis, nel suo carattere ontologicofondativo, che può essere messa a fuoco la critica di Dilthey alla metafisica, un altro filo conduttore che percorre tutto l’evolversi della riflessione diltheyana. Alla metafisica Dilthey riconosce una valenza positiva in rapporto al requisito essenziale di scientificità, cioè di validità oggettiva, in quanto universale, implicita nel carattere sovrastorico delle verità metafisiche. D’altra parte, proprio 36 questa sovrastoricità riduce le categorie della metafisica a strutture rigide e chiuse, a schemi che, sovrapposti all’esperienza estetica e a quella artistica, non solo non sono in grado di darne conto, ma anzi le annullano. F.C. Le prefazioni di Nietzsche L’edizione italiana di materiali appartenenti a periodi differenti della produzione di Friedrich Nietzsche, FRAMMENTI POSTUMI 1872-1874 (trad. it. di Sossio Giametta, Adelphi, Milano 1992) e quella di cinque prefazioni, presentate con il titolo di TENTATIVO DI AUTOCRITICA (trad. it. e introd. a cura di Marco Brusotti, Il Melangolo, Genova 1992) offrono l’occasione per riportare il discorso sul pensatore tedesco e sulla fortuna della sua opera. L’edizione critica di quest’ultima, come è noto, ha avuto il curioso destino di essere curata da due studiosi non tedeschi, Giorgio Colli e Mazzino Montinari, che peraltro differivano sensibilmente nel loro personale approccio alla filosofia e al pensiero nietzscheano. Di Montinari segnaliamo qui la recente pubblicazione di un breve studio interpretativo: L’ARTE DI LEGGERE NIETZSCHE (Ponte alle Grazie, Firenze 1992). I Frammenti postumi 1872-1874 appartengono al periodo che intercorre fra La nascita della tragedia e La filosofia nell’epoca tragica dei Greci. E’ il periodo in cui l’attenzione di Friedrich Nietzsche si rivolge al tentativo di definire il rapporto tra l’elemento apollineo e quello dionisiaco, trovando nell’arte il luogo del loro intrecciarsi. L’elemento dionisiaco che emerge dalla tragedia appare come la verità sotterranea e inquietante, l’elemento perturbante che sconvolge la serenità dell’animo greco, rappresentata dagli dei olimpici, dall’arte statuaria e dall’architettura. Tale sconvolgimento non viene però all’animo greco dall’esterno; quella serenità è anzi una maschera funzionale al rapporto con l’elemento perturbante e nella continuità di questa funzione di mascheramento, che è al contempo mediazione, risiede la continuità fra la religione dei Greci e la loro filosofia. L’una e l’altra ricoprono il medesimo ruolo: permettere all’uomo greco di vivere nella consapevolezza della verità della propria esistenza. Ma, in quest’opera di dissimulazione, la filosofia va troppo oltre; l’impianto che essa costruisce, la metafisica, pone la questione del vero, pretende per sé la verità e dunque richiede nei suoi stessi confronti che s’intraprenda un’opera di smascheramento e se ne scopra la genealogia, il luogo d’origine. E’ precisamente questo luogo, il “da dove” dell’ ”anelito alla bellezza”, e ancor più il TESTATINA “da dove” dell’ ”anelito al brutto”, ciò che nel 1886, quattordici anni dopo la prima edizione della Nascita della tragedia, in un “tentativo di autocritica”, Nietzsche ritiene di dover precisare con un’evidenza maggiore rispetto al proprio scritto giovanile. Tentativo di autocritica è infatti il titolo del volume che raccoglie cinque nuove prefazioni, composte da Nietzsche fra il 1886 e il 1887, a cinque sue opere precedentemente pubblicate, tra cui La nascita della tragedia. Un’operazione teoretica e non “editoriale”, motivata da una ricollocazione delle opere del periodo giovanile, quello della scoperta del ruolo dell’elemento dionisiaco, e di quelle del periodo “illuminista”, Umano, troppo umano, La Gaia Scienza, Aurora, Sulla genealogia della morale. Dopo lo Zarathustra Nietzsche sente infatti il bisogno di puntualizzare la propria estraneità al proposito, perseguito negli anni ai quali si riferiscono i Frammenti, di «vedere la scienza sotto l’ottica dell’artista, l’arte sotto quella della vita». Il “sì alla vita” zarathustriano ha da tempo preso le distanze da qualsiasi ottimismo, oltre che dal pessimismo “romantico”, quello dei deboli, dei malriusciti, dei vinti. Uno dei principali obiettivi polemici di queste prefazioni è la morale stessa, che era apparsa come fondamento della metafisica e viene ora relegata non nel mondo delle apparenze, «nel senso del terminus technicus», come dice Nietzsche, ma nel campo delle vere e proprie illusioni. Gli scritti del periodo dei Frammenti hanno la “colpa”, per Nietzsche, di trattare con un intento “da studioso”, e attraverso la mediazione di Wagner e Schopenhauer, di questioni di cui egli avrebbe potuto parlare per esperienza diretta. Come nota Marco Brusotti nell’Introduzione, proprio la svolta verso il ben noto e peculiare “autobiografismo” nietzscheano è il filo che lega queste prefazioni e il tentativo teoretico che sottendono. Così la questione principe del periodo illuminista, quella della genealogia della morale, viene addirittura retrodatata da Nietzsche a un’esperienza dell’epoca dei suoi tredici anni, nel tentativo di fornire una chiave di lettura univoca, a partire dallo Zarathustra, della sua produzione precedente. Proprio intorno alla questione della “chiave” per accedere all’opera di Nietzsche si è sviluppata la storia della travagliata ricezione di Nietzsche. In questa prospettiva rientra anche il fatto che siano stati due studiosi non tedeschi, Giorgio Colli e Mazzino Montinari, a curare, a partire dal 1967, l’edizione critica dell’opera nietzscheana da punti di vista per certi aspetti addirittura conflittuali. La dimensione oracolare della riflessione nietzscheana, e quindi il permanere e l’inverarsi dell’elemento dionisiaco nel canto zarathustriano, erano per Colli i caratteri essenziali del pensiero di Nietzsche. Per quanto riguarda invece Montinari, benché nell’edizione critica egli abbia sempre interpretato il proprio ruolo più nella prospettiva di un’esegesi storico- NOTIZIARIO Nel corso di una ricerca presso l’Archivio di Stato di Amburgo lo studioso Günther Baum ha scoperto una lettera di KANT finora sconosciuta. Nella lettera, indirizzata nell’ottobre 1794 al suo allievo Friedrich August Nitsch, che teneva a Londra un corso sulla filosofia del maestro, Kant delinea alcuni principi fondamentali del suo pensiero, e dà a Nitsch alcuni consigli di carattere didattico, da utilizzare nelle lezioni. A Baum si deve anche la scoperta, nel 1986, dei primi quattro manoscritti dello scritto di Kant Sulla pace perpetua. Gli esiti più significativi dell’attività di studio e di ricerca che la Fondazione Collegio San Carlo svolge da oltre vent’anni nell’ambito della filosofia, delle scienze sociali e delle scienze religiose, saranno raccolti nella collana PUNTI CRITICI. L’orizzonte delle riflessioni è circoscritto da uno sguardo filosofico e storico-antropologico sull’esperienza e sulle modalità in cui le forme dell’esperienza si sono costituite nel tempo. Autori, temi e questioni, che di volta in volta prendono risalto su questo sfondo (le istituzioni che organizzano il senso, gli atteggiamenti verso il tempo e gli oggetti, la tensione tra identità e differenza), danno luogo a campi di tensione che interpellano e connettono trasversalmente le diverse scienze dell’uomo. Sui singoli punti viene così operata una pressione che, scomponendo quegli universi di sapere che si pongono come autosufficienti, mira a riattivare il pensiero critico e a riconsegnare alla ricerca il suo carattere problematico. Tra i titoli in programmazione: L’esperienza delle cose; Esodo, paradigma dell’attesa. Dal 1989, a cadenza annuale, è apparsa in Spagna la rivista di filosofia DAIMON, a cura del Dipartimento di Logica e Filosofia dell’Università di Murcia. Lo scopo di questa rivista è quella di aprire uno spazio alle ricerche in merito a qualsiasi campo delle discipline di filosofia. Il titolo della rivista indica l’idea di un progetto di ricerca aperto, che rifiuta qualsiasi impostazione dogmatica e che si pone invece in una prospettiva pluralistica di ricerca. Molteplici sono naturalmente le tematiche toccate nel corso 37 di questi quattro anni di vita, anche se appare senz’altro privilegiata l’area delle problematiche legate alla riflessione contemporanea; infatti al centro del primo numero della rivista troviamo una serie di interventi dedicati a Habermas; il secondo numero (1990) è dedicato a Wittgenstein; il terzo (1991) alla teoria dell’azione. Per il 1994, duecentesimo anniversario della comparsa dei Fondamenti della dottrina della scienza, è prevista l’uscita di un numero monografico dedicato a Fichte. Lo scopo di questa iniziativa è quello di focalizzare le tematiche di individualità e comunità attraverso le figure più significative dell’idealismo tedesco in campo morale, religioso, giuridico e politico; verrà anche fornita l’occasione per fare il punto sul dibattito internazionale della critica fichtiana. Dalla collaborazione del Centro di Studi Tomistici di Modena con l’Istituto di Studi Politici Economici Sociali di Bologna è nata la rivista CONTRATTO (Il polografico, Padova, due numeri all’anno), il cui intento fondamentale è quello di aprire uno spazio di confronto e di dibattito fra la tradizione metafisica tomista e alcuni percorsi del pensiero filosofico contemporaneo. Lo scopo è di allargare l’orizzonte della ricerca filosofica attraverso un serio confronto critico tra realtà culturali diverse, al di là di una sterile settorialità e della logica dominante della specializzazione. La rivista si struttura in due sezioni, una d’ispirazione tomista e l’altra tesa a far emergere tematiche ed autori legati più direttamente alle tendenze dominanti della riflessione contemporanea, con particolare riguardo alle sollecitazioni provenienti dall’ermeneutica. Nel numero 1 (novembre 1992) la parte tomista è dedicata al tema: “Gnosi e nichilismo”, a cura di E. Corradi; la questione fondamentale che qui viene affrontata è quella dell’individuazione delle istanze teoretiche che soggiacciono ad una soteriologia secolarizzata. Gran parte della cultura contemporanea, priva ormai di un reale riferimento al trascendente, sembra tradurre questa assenza in un’inesplicabile volontà di non-senso sulla base del tacito presupposto di una possibile autosalvazione. La parte di filosofia contemporanea, centrata sul tema: “Ermeneutiche leopardiane”, affronta il problema del pensiero poetante in rapporto ai destini della filosofia occidentale. Attraverso interpretazioni forti del poeta di Recanati si tenta di delineare un possibile cammino verso quella regione dove poesia e filosofia sono chiamate ad interrogarsi. Per il numero 2 (maggio 1993) è previsto come tema centrale “Heidegger e l’etica”. CONVEGNI E SEMINARI Edouard Bonè (in alto), Evandro Agazzi (a sinistra), Ilya Prigogine, Georges C. Anawati, Jean Louis Leuba (in basso) 38 CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI L’immagine dell’uomo All’Istituto Suor Orsola Benincasa di Napoli il 4 e il 5 giugno Evandro Agazzi, Ilya Prigogine, Vittorio Mathieu, Georges C. Anawati, Jean Louis Leuba e numerosi altri scienziati, antropologi, teologi, filosofi hanno discusso delle INTERPRETAZIONI ATTUALI DELL’UOMO FRA FILOSOFIA SCIENZA E RELIGIONE. Nella relazione che ha introdotto i lavori, Evandro Agazzi ha illustrato il programma del convegno il cui telos è stato quello di incrociare e integrare le grandi aree linguistiche e di ricerca che oggi cercano di definire il modello dell’umano: dalla fisica, la biologia, la genetica, l’informatica, alla religione cristiana, islamica, buddhista, alla psicologia, l’antropologia, la filosofia ermeneutica e la fenomenologia. La modellizzazione dell’umano procede infatti per approcci globalizzanti e intuizionistici, da un lato, e per approcci analitici e settoriali, dall’altro, senza che si giunga ad una loro integrazione significativa. La problematicità della nozione di umano è, secondo Agazzi, espressione della mancanza di un punto di convergenza e di focalizzazione delle conoscenze in favore di una trasmigrazione accellerata di categorie e modelli da un campo all’altro del sapere, con il conseguente abbattimento delle frontiere disciplinari, senza tuttavia giungere ad alcuna unificazione paradigmatica. Jean Louis Leuba ha indagato lo spazio inter-confessionale della religiosità come ambito di un domandare esterno allo spazio della Ragione, di una interrogazione continua oltre il limite del comprensibile e dello spiegabile che apre allo spazio dell’Altro Totale al fine di dischiudere un rapporto ad esso che sia di rinascita e di abbandono. La vera religione si distinguerà dalla falsa religione proprio in base a questa spinta liberatrice che emancipa l’umano da se stesso. Edouard Bonè, dell’Accademia Internazionale di Filosofia della Scienza, ha aperto la serie delle relazioni di argomento scientifico prendendo in esame lo stato attuale delle teorie evoluzionistiche, per ciò che attiene alla specie umana. Il punto di approdo delle teorie evoluzionistiche del passato è la concezione della specie umana come frutto di un evento irripetibile che ha segnato la nascita di una specie unica, quella umana appunto, dotata di caratteri biologici (e culturali) straordinari: è l’ipotesi della coupure anthropologique. Questa teoria ha ricevuto recentemente una nuova formulazione che individua l’origine della specie umana nella combinazione di ben tre differenti specie pre-esistenti. La specie umana sembra peraltro essere ad un punto critico della sua evoluzione in quanto è giunta a porsi il problema della padronanza delle proprie facoltà biotecnologiche: il problema etico. Il Premio Nobel Ilya Prigogine ha invece affrontato l’ambito delle scienze naturali del nostro tempo dal punto di vista dello studio dei fenomeni naturali sotto l’aspetto della variabilità piuttosto che sotto l’aspetto, “classico”, dell’invarianza. La legge di natura oggi non indaga più un tempo omogeneo, senza passato né futuro, ma piuttosto un tempo eterogeneo e irreversibile, direzionato verso mete che si strutturano nel corso del processo stesso. Ciò significa che la nascita della specie umana in seno alla natura è solo uno degli eventi della storia della natura e non certo l’Evento unico e formidabile che giunge, per caso o per necessità, a violare le leggi dell’identità del sistema. I sistemi giungono a punti di disequilibrio, detti “punti di biforcazione”, rispetto ai quali non può attagliarsi alcuno schema perdittivo, ma ciò non esclude che, al di là della biforcazione, si manifesti una nuova regolarità a cui si possa applicare un modello deduttivo. La scienza della natura del XX secolo si è incorporata, con il concetto di tempo qualitativo, la nozione di irreversibilità e quella di probabilità, dalle quali scaturisce una immagine ottimistica dell’Universo e del ruolo della specie umana in esso. Giuseppe Del Re si è soffermato sulle emergenze attuali di quei settori della bioscienza che sono volti allo studio e alla manipolazione della materia vivente: genetica, ecologia, medicina. In tali settori gli interrogativi etici si affiancano sempre più spesso ai tradizionali problemi scientifici tanto da far ritenere incompleta ogni forma di descrizione meccanicistica del rapporto fra la specie umana e il suo ambiente. Gunther Rager, aprendo la sezione cogni39 tivistica del convegno, ha affrontato il tema del rapporto fra linguaggio, mente e cervello dell’uomo, riproponendo la concezione di Eccles Popper che distingue metodologicamente il campo degli eventi mentali dal campo dei fatti neurali e identifica il linguaggio con un’ampia parte dell’attività della mente umana a cui si affiancano i processi mentali non-verbali. Sul piano della realtà risulta invece evidente che il cervello è la pre-condizione dei processi mentali nel loro complesso. Leon Cassiers ha integrato la rassegna di Rager con le problematiche della discussione francese sul rapporto fa Conscio ed Inconscio per come è stato formulato, a partire da Freud, dalla scuola fenomenologica e dalla scuola strutturalista di Lacan. A sintetizzare questi due approcci è la concezione auto-poietica formulata da Morvin-Maturana-Valera-Pichot secondo la quale le differenti istanze della mente si strutturano reciprocamente sulla base della pulsione psicobiologica verso un superiore equilibrio, sintesi di inconscio e mondo. Questo costituirebbe il principio neghentropico tipico della specie umana in seno alla natura vivente. Vittorio Mathieu ha invece evidenziato come il vasto territorio delle discipline ermeneutiche sia diventato il luogo fondativo di tutte le correnti della filosofia contemporanea. L’attuale immagine dell’uomo restituitaci dalla filosofia è quella di un animal hermeneuticus ed appartiene simultaneamente al mondo della natura e della cultura, al mondo dell’azione e al mondo dei valori. Mariano Artigas, infine, ha cercato di dimostrare come l’approccio scientifico empirico alla natura, tipico delle scienze contemporanee, comporti un presupposto gnoseologico di tipo realistico che non esclude una integrazione di scienza e metafisica. Riprendendo la questione cognitivista Jean Pierre Desclés e Jean Ladriere hanno affrontato il tema della specificità cognitiva dell’essere umano sotto l’aspetto della cosiddetta “Intelligenza artificiale”. Una delle implicazioni di questa branca dell’informatica è quella di rintracciare una corrispondenza fra le operazioni mentali ridotte a procedure esatte ripetibili attraverso macchine, dette algoritmi, e il funzionamento dei circuiti neurali del cervello umano, con l’intento di realizzare una omologia fra CONVEGNI E SEMINARI sistemi artificiali e sistemi biologici. Ladriere peraltro ha precisato che si può sostenere con fondatezza che il cervello umano attivi procedure algoritmiche, o anche che sia solo parzialmente una macchina algoritmica. D’altra parte vi è una pluralità di atti, sentimenti e volizioni che non si lasciano facilmente unificare in procedure di tipo algoritmico. Lo scarto fra coscienza, non oggettivabile, e riflessione, oggettivante, rappresenta pur sempre un momento di rottura fra l’ordine neurale obbiettivo e l’ordine mentale subbiettivoobbiettivo. La prospettiva antropologico-religiosa, dapprima quella cristiano-occidentale, da una parte, islamico-orientale, dall’altra, si è aperta con la relazione di Jean Marie Van Cangh: “L’homme dans la Bible” che ha ricostruito i termini originari con i quali è tematizzata la realtà dell’uomo nella Bibbia. In particolare Van Cangh si è soffermato sulla concezione pre-dualistica e preplatonica dell’uomo tipica del pensiero ebraico, sulla concezione della “creazione divina” come passaggio dal Caos al Cosmos, sul mito dell’albero della conoscenza. Claude Geffré si è invece impegnato in riflessioni metodologiche in merito al concetto stesso di “antropologia cristiana”, distinguendo fra una antropologia dogmatica, che intende dedurre dalla teologia e dai Testi le categorie antropologiche (Rahner), e una antropologia cristiana critica (Pannenberg), che mira ad una analisi dell’antropologia in base storica. Problematico nell’antropologia cristiana dogmatica, sarebbe, per Geffré, l’umanismo, in un’epoca di crisi dell’ideologia del soggetto, il rapporto fra il cristianesimo e le “altre culture”, la visione maschilista della religione e della società. Geffré sembra invece propendere per un cristianesimo come religione della liberazione. Particolarmente interessante è stata la sezione del Convegno dedicata agli universi religiosi non-occidentali. Georges C. Anawati, dell’Università de Il Cairo, ha trattato il tema dell’Homo Arabicus in terre di deserto e dal contatto con un crogiuolo di popoli (greci, indù, persiani, romani, cristiani) come antecedente storico e “materia” dell’uomo islamico, dell’uomo “sottomesso” interamente a Dio. Analizzando estesamente la specificità della teologia e della antropologia islamiche a partire dal VII secolo, Anawati ha messo in luce i contorni di una dottrina assai articolata per quanto riguarda il rapporto anima-corpo, la responsabilità individuale delle proprie azioni, il diretto coinvolgimento dell’uomo nei confronti di Dio, la negazione del “peccato originale”, giungendo alla conclusione che il mondo islamico è custode di una tradizione etica e religiosa di grande valore e dignità nel quadro d’assieme della civiltà contemporanea. La tradizione buddhista è stata invece argomento dell’intervento di E. Cornelis. Nel pensiero buddhista in dissidio con la tradizione vedica, ogni antropologia è vista necessariamente come una ideologia, una concezione illusoria, frutto dello stato di alienazione e di cecità in cui si trova l’uomo, che, essendo una costruzione della mente condizionata dal samshara, è una immagine fallace, laddove non è dato, per gli illuminati, nulla che possa dirsi la sostanza di un soggetto. L’esser uomo è per il buddhista uno stadio provvisorio da cui può dipartirsi un cammino ascetico e non egocentrico indirizzato verso la liberazione dallo stato del dolore e dell’inganno. Il Convegno si è concluso con l’intervento di Jean Greisch che ha posto una sorta si “sigillo” filosofico ai lavori. Greisch, esaminando le opere di autori quali Heidegger, Wittgenstein, Ricoeur, Strawson, Rorty, Parfit, Vattimo, ha proposto un tavolo comune di lavoro fra la filosofia ermeneutica, punto di approdo della fenomenologia, e la filosofia analitica anglosassone. Nell’opera di Ricoeur, Soi-meme comme un autre, una importante riconsiderazione ermeneutica delle categorie di soggetto, persona, mondo, ecc., lo scenario nuovo che consente un’ampia traducibilità fra culture filosofiche sin qui poco comunicanti è la rivalutazione della “filosofia pratica” e dell’etica in quanto oggetti primari del pensiero filosofico: la vita, la persona, intese come fatticità, sauci, azione, sono l’ambito concreto della prassi fìda cui scaturiscono tanto le conoscenze, quanto i valori. Proprio la questione dei valori è stata in definitiva il vero punto unificante dei vari stili di linguaggio e di pensiero di questo Convegno. G.de.M. Conferenze di Chieti Nell’ambito di una serie di seminari e conferenze organizzati dai docenti dell’Istituto di Filosofia dell’Università di Chieti, il 29 aprile 1992 Giorgio Penzo ha tenuto una conferenza sul tema: DOLORE E PENSIERO TRA METAFISICA E NICHILISMO. Il 14 maggio 1992 è intervenuto Virgilio Melchiorre con una puntuale relazione dal titolo: ANALOGIA E METAFISICA IN KANT, prendendo spunto dalle acquisizioni presenti nel suo ultimo libro: ANALOGIA E ANALISI TRASCENDENTALE - LINEE PER UNA NUOVA LETTURA DI KANT (Mursia, Milano 1992). Sempre all’Università di Chieti i Cattolici Popolari della facoltà di Lettere e Filosofia hanno organizzato il 1 giugno 1992 una conferenza su L’ATTUALITÀ DEL PENSIERO DI AUGUSTO DEL NOCE. L’appassionata conferenza di Giorgio Penzo avrebbe potuto anche intitolarsi: “Potere - non potere”, in quanto l’esistenza, luogo delle passioni e, quindi, anche della sofferenza, coglie la debolezza dell’uomo, mentre, d’altro canto, la fiducia nella cono40 scenza accentua il mito dell’onnipotenza dell’uomo “liberato” dall’inquietudine e dal dolore. La metafisica classica occidentale, ben rappresentata, per esempio, da S. Tommaso, tenendo a un Dio buono, fonte di sicurezza, non può ammettere Dio come fonte di insicurezza, dubbio, sofferenza, mentre la sofferenza ha un valore e un senso soltanto nell’ambito del non-potere dell’uomo autentico, che ammette i limiti e si rifà a un Dio problematico. Solo in riferimento a un Dio senza volto, a un Dio assente, ha fatto notare Penzo, posso sperimentare una fede a rischio, ma autentica, che mi libera da una fede-superstizione, falsa quanto la scienza quando diventa superstizione legata a una eccessiva fiducia nell’oggetto. Pochi rappresentanti della metafisica classica cristiana, come Meister Eckhart e S. Giovanni della Croce, hanno insistito sulla figura di Cristo crocefisso, mentre, in S. Tommaso, Leibniz, Pascal, per esempio, il male è incompatibile con l’essenza di Dio infinitamente buono. Nietzsche ha contribuito a mettere in discussione la mentalità metafisica razionalistica basata su un Dio buono, saggio, onnipotente, evidenziando l’oscurità delle risposte divine al grido di colui che si chiede il perché della sofferenza. Opponendo il suo esistenzialismo dionisiaco all’aldilà del bene e del male, Nietzsche propone una trasfigurazione dell’esistenza in cui il dolore diventa l’ultima ragione dell’esistenza umana, dando inizio alla tematica della teologia della morte di Dio, di un Dio che muore in Croce e che è essere per la sofferenza contro l’arroganza del teologo che ricorre sempre alle categorie intellettuali di causa-effetto. La conferenza su Kant di Virgilio Melchiorre ha messo in luce come, ancora una volta, il pensiero del filosofo di Königsberg continui a riservare nuove possibili questioni, proprio quando appare conchiusa e/o ovvia la sua interpretazione più diffusa. Melchiorre, in particolare, si è soffermato sul concetto di analogia che, nell’analisi trascendentale kantiana, risulterebbe da una parte (esplicitamente) identificabile con l’analogia - debole - di “proporzionalità” ma, dall’altra (implicitamente) riconducibile anche nella direzione - forte - di un’analogia di “attribuzione”. La regione della produzione kantiana, in cui Melchiorre ha individuato tale duplicità, è quella in cui Kant affronta il problema di Dio e/o della sua dimostrabilità, sebbene abbia messo in risalto tutte le implicanze metafisiche di una tale ermeneutica. Nella sua interpretazione, Melchiorre ha voluto vedere in Kant la figura di un filosofo continuamente in lotta con se stesso: per questo, nell’itinerario speculativo kantiano, il Kant “detto” non è affatto più autorevole di quello “non-detto”. La conferenza dedicata ad Augusto Del Noce è stata tenuta all’Università di Chieti da Pierluigi Pollini, collaboratore della cattedra di Filosofia della Politica presso la CONVEGNI E SEMINARI facoltà di Scienze Politiche di Teramo e studioso del pensiero di Del Noce ormai da dieci anni. Partendo da alcuni cenni biografici, Pierluigi Pollini ha esordito con un’interessante contestazione del titolo del dibattito: egli ha infatti dimostrato “l’inattualità” del pensiero di Del Noce alla luce del principio, strettamente delnociano, secondo cui la verità non si esaurisce nella sua attualità. La trattazione è proseguita secondo alcune precise tematiche: il problema del rapporto di Del Noce con il marxismo e con il fascismo, la questione dell’interpretazione transpolitica della società contemporanea, la crisi della modernità e la questione dell’irreligione occidentale. La conferenza si è poi conclusa con un vivace dibattito che ha permesso al relatore di approfondire alcuni temi, come la subordinazione dell’etica alla politica, la teoria dell’eterogenesi dei fini e il rapporto tra Del Noce e il mondo cattolico contemporaneo. C.C./G.F. Arte e modernità Con il titolo: LA FORMA DELL’ARTE E L’IDEA DEL MODERNO si è tenuto a Napoli, pres- so l’Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa” dal 11 maggio al 24 giugno 1992, un corso di aggiornamento e perfezionamento in Estetica con la partecipazione di Aldo Trione, Sergio Givone, Franco Fanizza, Grazia Marchianò, Remo Guidieri, Michel Rey, Rafael Argullol, Gianni Vattimo, José Jimenez, Stefano Zecchi, Yves Hersant, Domenico Conci, Emilio Garroni, studiosi impegnati nei vari ambiti della riflessione estetica contemporanea, che hanno condiviso l’intento di individuare le categorie più rilevanti che hanno segnato la storia dell’Estetica e l’articolarsi delle varie poetiche in epoca moderna. Il punto di partenza della riflessione di Aldo Trione, ideatore e curatore del corso, è una analisi costruttiva della specificità dell’Estetica moderna e della trama fitta di relazioni e rapporti che essa intrattiene con altri contesti e saperi. Nella Monadologia leibniziana la realtà è un organismo vivente in cui le parti e il tutto sono correlati armonicamente. L’opera poetica, ha osservato Trione, è un microcosmo speculare in cui la rappresentazione arabescata e geroglifica delle cose, preservata dal rischio metafisico, si configura come costruzione e divenire. I mondi possibili di Leibniz, esemplificati con finzioni letterarie ed artistiche, sono mondi “finzionali”, alternativi ai mondi reali. L’estetica diviene qui «strategia della poiesis» e l’universo della finzione oltrepassa il mondo reale. Un esempio può essere la poesia Crise de vers di Mallarmé, che prelude ad una scrittura in cui prende vita la possibilità di dissoluzione del mondo e insieme la ricomposizione di una nuova ontologia delle cose, attraverso la cifrazione melodica della purezza. Poiein è qui gioco infinito, in cui la costruzione e la creazione della poiesis non hanno bisogno della persistenza del mondo vero e la purezza e la legittimità degli arabeschi alludono all’infinita legge del “fare”. Secondo Sergio Givone, dopo la critica di Gadamer alla coscienza estetica moderna, l’arte prospetta una verità al di là del principio di non contraddizione. L’infinità dell’interpretazione, ponendo la verità come conflitto, ci introduce ad una domanda più radicale, quella del pensiero tragico, dove le prospettive, pur legittimate, sono le une contro le altre. Ma se l’esperienza estetica ci mostra che la contraddizione è l’esperienza essenziale della verità, una terza via, rispetto al prospettivismo e al pensiero tragico, è rappresentata, per Givone, dall’ermeneutica di Pareyson, per la quale è invece la verità, intesa come libertà, che nell’interpretazione fa valere i propri diritti. Franco Fanizza ha invitato a cogliere la modernità dell’Estetica al di là dei canoni tradizionali dell’Estetica letteraria e filosofica di Croce che, sebbene abbia avuto il merito indiscutibile di aver conferito a questa disciplina una specificità moderna, ha nel contempo prestato scarsa attenzione alla sfera dell’ “esteticità diffusa”, alla voce infinita e molteplice della vita che canta all’unisono con gli artisti. Percorrendo una diversa strada, Fanizza intende disegnare un nuovo orizzonte teorico, entro il quale leggere un modo nuovo di sentire la modernità e di apprezzare il gioco continuo e lo scambio ininterrotto tra estetico ed Estetica. In questo senso egli analizza il rapporto tra Esteticità e modernità, mediato dalla lettura di Roland Freart de Chambray, un autore poco noto del ‘600, la cui opera, L’idea della perfezione nell’arte, segna il passaggio nella pittura da mestiere ad arte, da “saper fare” a scienza. L’intervento di Grazia Marchianò ha posto decisamente la tradizione estetica in una prospettiva storica e teorica comparativa, che critica l’atteggiamento etnocentrico della cultura occidentale e propone un confronto alla “pari” tra diverse tradizioni filosofiche. Impostare una ricerca comparata nel campo dell’Estetica significa esplorare i concetti classici di tale disciplina, così come sono “messi in uso” in tradizioni differenti, per proiettarli in un tempo nuovo che non può prescindere da un confronto serrato con l’Oriente, alla luce in particolare delle ricerche di estetologi come il giapponese Sasaki-Ken-Ichi e il cinese Fei Ximpei. Porre in evidenza la complementarietà e la correlazione esistente nel rapporto tra arte e politica nella modernità è il tema proposto da Remo Guidieri. Con sempre maggiore evidenza appare oggi come qualsiasi 41 oggetto, qualsiasi immagine, possono diventare arte a pieno titolo indipendentemente dalla qualità formale, dall’origine o dal contesto di cui fanno parte. L’estetica moderna rivela il carattere di artisticità diffusa, di estetizzazione generalizzata, che definisce la sfera dell’arte nella società contemporanea. Lo spazio estetico assume le dimensioni di una galassia caratterizzata dal tentativo cronico di sfondamento del limite tra ciò che è artistico e ciò che non lo è. Parallelamente assistiamo nella politica ad un analogo sfondamento dei limiti. La prima frontiera che cade è quella tra autorità e potere, poiché lo spazio estetico viene usato per mobilitare l’opinione pubblica e rilegittimare l’esercizio di un potere ormai esautorato. La seconda frontiera che viene meno è quella tra utopia e futuro, poiché la fine delle utopie fa sì che nella politica permanga unicamente la categoria del futuro. La terza frontiera che viene abolita è quella tra giustizia e territorio, con l’unificazione nel “villaggio globale” di tutte le minoranze etniche. Infine la soppressione della frontiera tra realtà e rappresentazione che determina un nuovo disordine e giustifica l’immane responsabilità dell’estetico nella modernità. Michel Rey ha presentato alcuni motivi di pensiero propri di Valéry, impegnato nel pensare in maniera radicale la poesia e la prospettiva estetica. Per Valéry, l’artista libero è colui che conferisce ad “altri” il Dono di ri-fare l’opera artistica. Paradigmatico è il caso di Baudelaire, che si impadronisce, in una sorta di plagio-innovatorio, del principio poetico di Poe. L’appropriazione non è possesso dell’oggetto, ma ri-presa a fare, ri-messa in opera del testo di un altro. Questo movimento tra il dare e il ricevere porta l’Estetica ad incrociarsi con l’etica, la vita dell’opera con la metafora della rovina. Rafael Argullol, filosofo spagnolo, ha letto lo Zibaldone in chiave teoretico-filosofica, interpretando Leopardi come “filosofo” che anticipa le tesi nietzscheane sullo smascheramento della verità, criticando la concezione metafisica sul fronte del razionalismo e dello spiritualismo moderno. La poesia di Leopardi si rileva per tale motivo topos dell’Estetica moderna, la forma più elevata di illusione e al tempo stesso oblio del nulla. Per caratterizzare la modernità, José Jiménez ha proposto una concettualizzazione del tempo che nell’epoca classica individua il destino dell’arte nel tentativo di fermare il tempo per dar corpo all’istante nella sua pienezza estatica ed estetica. Tale prospettiva viene rovesciata dalle avanguardie storiche, in particolare con il Futurismo, che sostituisce alla volontà di fermare il tempo la necessità di cogliere nell’arte il dinamismo eterno dell’azione, la velocità della vita, il movimento e la trasformazione tumultuosa della realtà. Nella modernità l’espansione del predominio della tecnica ha generato una nuova dimen- CONVEGNI E SEMINARI Andy Warhol, Campbell’s Soup Cans 200 (1962), particolare 42 CONVEGNI E SEMINARI sione temporale, per cui, con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, il tempo diviene “reversibile”: passato e futuro divengono parte di un processo circolare in cui si consuma la rottura della mimesis e della rappresentazione in senso classico. Si tratta ora per l’arte di trovare uno spazio suo proprio, una nuova moralità per sfuggire alla sua completa dissoluzione, per smascherare l’era dell’ “estetizzazione vuota”. Per Stefano Zecchi, di fronte allo sperimentalismo e al nichilismo della cultura contemporanea, che ha messo a “morte” qualunque valore di verità della creatività, e dove più nessuno è responsabile politicamente della Bellezza, è necessario difendere l’idea di un’ “estetica militante”. La nostra cultura deve porsi alla ricerca della Bellezza come idea ricostruttiva/propositiva. Il romanticismo ha difeso con passione l’azione creativa dell’uomo e il suo rapporto con la potenza cosmica e sacra della vita. La bellezza ritorna nel romanticismo con la figura di Ermes, il dio della metamorfosi e della simbolicità. Il mondo che si apre con la crisi del romanticismo è quello della decadenza che inaugura con Nietzsche l’impossibilità della rappresentazione della forma bella. A questa idea di decadenza Zecchi oppone la “ricerca di ciò che manca”, la restaurazione della bellezza che impone una ricostruzione simbolico-mitica della stessa filosofia. Yves Hersant ha posto al centro del suo intervento la malinconia come categoria costitutiva dell’uomo, in cui si raccoglie un insieme di miti, sentimenti, umori che ruotano attorno al rapporto corpo-anima. La malinconia nasce nella Grecia socratica, nell’era dell’intellettualizzazione, quando l’uomo scopre la sua natura doppia, ambigua e contraddittoria. Nella storia del pensiero antico, Ippocrate per primo la connette al sentimento di tristezza e paura, alla smaniosa immobilità di chi soffre interiormente, mentre Aristotele rintraccia un legame tra genio e umore nero. Per lo Pseudo Ippocrate, invece, vi è collegamento tra la malinconia e la satira, il riso feroce. In Baudelaire la malinconia, come carattere della modernità, è pienezza del presente e si oppone al moderno, come vivere attuale nel presente. L’arte della modernità, legata alla perdita del fondamento e delle certezze, alla lacerazione e scissione del soggetto, non è pensabile al di fuori della malinconia. Attraverso la fenomenologia dell’arte etnologica, Conci ha mostrato la differenza e al tempo stesso il rapporto tra “presenza” e “fenomeno”. Nell’arte realistica delle culture primitive, il reale è così com’è e non come appare, perché in questo tipo di culture vi è l’assenza del testimone, dello spettatore. Il concetto di presenza legato alla credenza del realismo segnico, richiama la valutazione attestativa del reale come dominio ideologico della verità: la presenza è autodatità. Ma alla fine del 1100/900 a.c., quando la cultura magico-mitica dei popoli primitivi viene smarrita, nell’area del bacino mediterraneo avviene il “collasso” fra apparire ed essere, proprio del realismo segnico, ed emerge il concetto di “fenomeno”. A questo smarrimento i Greci rispondono con il Logos, con il quale si cerca di ricucire il segno con l’ente. Nasce così in Grecia l’osservatore e con lui il fenomeno è consegnato alla sfera dell’individuale come presenza derealizzata e inadeguata, privata di segni. Nel corso del tempo la metafisica ha tentato di colmare la voragine tra il segno e l’ente; ma la scienza, che avanza attraverso congetture e ipotesi gli ha mostrato che ciò è impossibile, spazzando via l’evidenza, l’ultima grande categoria millenaria della presenza. Per Emilio Garroni, l’estetica è filosofia tout-court, strettamente pertinente alle problematiche epistemologiche. Nella Critica del Giudizio il gusto, che nel pensiero filosofico tra il ‘600 ed il ‘700 veniva inteso come proprio del regno della soggettività e dell’arbitrio, diviene disposizione e proporzione delle facoltà conoscitive nell’accordare il particolare con l’intelletto, rendendo così possibile la conoscenza oggettiva. In Kant e, più in generale, nell’Estetica del XVIII secolo, l’Arte dona senso ad un intreccio di somiglianze e differenze non definibile, ma omogeneo, che, nel ‘700, si raccoglie nella definizione di Belle Arti. Nel nostro secolo, l’Arte che ha allargato smisuratamente il suo ambito materiale e messo in questione radicalmente la propria esistenza nel tentativo di instaurare il senso, diviene all’opposto rivelatrice del non senso. In conclusione, l’estetica per Garroni non sostituisce la metafisica, ma la comprende nella sua istanza di indeterminatezza. L.B./C.P. L’attualità dell’Estetico Si è svolto a Hannover dal 3 al 5 settembre un convegno sul tema: L’ATTUALITÀ DELL ’ESTETICO. In 43 interventi, filosofi, sociologi, storici dell’arte, scienziati, designers, studiosi delle comunicazioni di massa si sono chiesti quale sia lo statuto dell’estetica e quali siano i significati di ciò che è estetico nella società attuale, nei suoi stili di vita e modelli percettivi. Il tema che ha fatto da filo conduttore dei diversi interventi è stato quello dei confini e dello statuto epistemologico dell’estetica: deve l’estetica limitarsi ad essere una “filosofia dell’arte” o, riferendosi al significato originario del termine di teoria della sensibilità, oltrepassare i limiti di uno studio del fatto artistico, per prendere parte al fenomeno di “estetizzazione del mondo della vita” tipico delle società occidentali e “post-moderne”? Gli interventi di KarlHeinz Bohrer (Bielefeld) e di Wolfgang 43 Welsch (Bamberg) possono essere considerati come rappresentativi di questo contrasto tra un’estetica intesa come scienza dell’arte e una filosofia che tenta di derivare la conoscenza stessa da principi di carattere estetico. Bohrer ha criticato l’ “ampliamento dei confini” (Entgrenzung) dell’ambito estetico, con il quale l’estetica rischierebbe di perdere il suo nucleo teoretico sostanziale e la propria autonomia di scienza. Se a partire dall’idealismo l’autonomia dell’estetica veniva minacciata dal discorso storico, il rischio sarebbe oggi di identificare l’ “estetico” con l’attuale mondo edonistico della vita. All’estremo opposto si è situato l’intervento di Welsch, che ha sostenuto invece l’idea di una “estetizzazione epistemologica”, mettendo in evidenza, attraverso un’ampia panoramica delle forme di estetizzazione nella società contemporanea, l’importanza dell’estetica per tutti gli ambiti della vita quotidiana. Il panorama, proposto da Welsch (uno degli ideatori del Convegno), di un’estetizzazione della società contemporanea ha fornito il quadro strutturale di una della sezione del convegno dedicata appunto al tema: “Estetizzazione nel mondo della vita”. Qui, problemi tipici della società attuale come la stilizzazione del sé, le strategie dell’abbellimento, design e pubblicità, il ruolo dei nuovi media e delle nuove tecnologie, politica, scienza ed estetica femminile, si sono affiancati a questioni più tradizionali, quali l’esperienza della natura e l’esperienza artistica. La maggior parte degli interventi di questa sezione ha presentato una descrizione dello stato attuale delle scienze e della società considerate dal punto di vista dei problemi estetici. Thomas Ziehe (Francoforte) ha descritto con ricchezza di dati l’evoluzione nella società tedesca dal dopoguerra ad oggi come passaggio da uno “standard di vita” a uno “stile di vita”; uno sviluppo che, contrariamente al verdetto di “raggrinzimento del presente”, pronunciato da Hermann Lübbe, permette possibilità di differenziazione e non conduce a una mera estetizzazione della vita in quanto opera d’arte. A favore di quest’ultima è invece intervenuto Wilhelm Schmid (Berlino) che, riferendosi a Montaigne, ha inteso mostrare come possa oggi configurarsi un’etica che metta la vita al primo posto, facendo fronte alla crescente complessità e alle contraddizioni del presente non attraverso una “grande saggezza” (Weisheit) ma una “piccola intelligenza” (Klugheit). Al design è stato dedicato l’intervento di Francois Burkhardt, già direttore del Centre Georges Pompidou di Parigi. Barometro della situazione della società moderna, il design esprimerebbe la tendenza dell’estetica moderna a diventare popolare, reagendo così ai tentativi di disciplinare ed universalizzare il gusto. Tra gli interventi dedicati ai nuovi media e alle nuove tecnologie, quello di Derrick de Kerckhove (Toronto) ha individuato una crescente accelerazione, moltiplicazione ed estensione CONVEGNI E SEMINARI del sé attraverso la tecnica, che condurrebbero ad una perdita del senso della corporeità. La tendenza, in tale contesto, a considerare adeguata alla società contemporanea solo un’arte ispirata alle nuove tecnologie è stata criticata da Wibke von Bonin (Colonia), che ha presentato in un filmato alcune modalità di applicazione di queste tecnologie all’attività artistica. Pessimistica invece la visione di Neil Postman, secondo cui la società attuale è caratterizzata da un eccesso di informazioni che vengono accettate passivamente e non sono sostenute da un orizzonte di senso. Si tratterebbe allora di sviluppare nuove “narrazioni” e di trovare nuovi contesti che conferiscano senso alle informazioni. Un’immagine e una valutazione della società contemporanea e dei suoi problemi opposta rispetto a quella di Postman, è stata presentata da Richard Sennet (New York): non la ricerca di quadri antropologici stabili e purificatori rispetto alla complessità del reale è la soluzione auspicabile, bensì lo spostamento (displacement) di ciò che si presenta come fisso e stabile; a ciò può contribuire proprio l’arte contemporanea. Oltre a un gruppo di interventi di critici e storici dell’arte come Jean-Cristophe Ammann del Museo d’arte moderna di Francoforte, Thierry de Duve (Parigi) e Stephan Schmidt-Wullfen (Amburgo), bisogna ricordare alcuni contributi che, con riferimento a problemi di epistemologia e delle scienze naturali, hanno tentato di conferire un significato obiettivo a uno dei concetti-chiave della storia dell’estetica, quello di bellezza. Bernd-Olaf Küppers (Heidelberg) ha sottolineato che, se è vero che le immagini della “ricerca sul caos” possono essere definite “belle”, il concetto di bellezza non può però essere ridotto a ciò. Inscenando una sorta di dialogo tra La Mettrie, Einstein e Picasso, Ernst Pöppel (Monaco) ha proposto un concetto di bellezza di carattere sostanzialistico, che ha suscitato perplessità e imbarazzo tra i filosofi presenti: descrivendo il funzionamento della percezione Pöppel ha parlato di “finestre di presenza” (Gegenwartsfenster) nel cervello umano, la cui durata (tre secondi) corrisponderebbe alla lunghezza di molti versi poetici “belli”. Deludente è sembrato anche l’intervento del biologo cileno Humberto Maturana, che ha sostenuto l’esistenza di un rapporto di dipendenza tra cervello e ambiente, giungendo ad affermare, su questa base, un ideale di bellezza di carattere armonico. Al rapporto tra scienza ed estetica è stato dedicato anche l’intervento di Paul Feyerabend: sulla base di esempi relativi al modo di procedere dell’esperimento scientifico e al relativo carattere “artificiale” dei loro risultati, Feyerabend ha presentato un concetto di “natura come opera d’arte” - una tesi che sembra però riguardare più gli aspetti creativi nell’attività scientifica, che non l’estetica in senso stretto. Martin Seel (Amburgo) ha infine distinto nel proprio intervento tre diverse forme del comportamento estetico, e ha ribadito la distinzione tra un’estetica come scienza dell’arte e come teoria generale della percezione. E’ a quest’ultimo aspetto dell’estetica, e alla necessità di discutere l’estetizzazione della società e della cultura contemporanea, che ha fatto riferimento la maggioranza dei partecipanti al Convegno di Hannover. M.M. Razionalità e cultura Alla Sala Incontri dell’ISU di Milano si è svolta a giugno, introdotta da Aldo Giulio Gargani, una conferenza di Richard Rorty, sul tema: UNA VISIONE PRAGMATISTA DELLA RAZIONALITÀ E DELLA DIFFERENZA CULTURALE. Attraverso un’analisi del concetto di razionalità e di quello di cultura, con particolare riferimento all’impostazione deweyana, Rorty ha indagato la possibilità di proporre teoricamente un agire “razionale”, in quanto tollerante di modi d’agire diversi dal proprio. Introducendo la conferenza, Aldo Giulio Gargani ha rilevato come per il filosofo statunitense il neopragmatismo funga da premessa, affiancato però da altre correnti filosofiche. La filosofia analitica in primo luogo, di cui Rorty è critico ma anche interlocutore, e la stessa continental philosophy, dalla quale egli prende in chiave antimetafisica. L’obiettivo polemico è la nozione dell’uomo come glassy essence, propria della teoria gnoseologica del rispecchiamento, in base alla quale la conoscenza sarebbe adeguamento delle capacità del soggetto alla realtà esterna ad esso. Rorty individua una scissione che, nel momento “critico” della scoperta scientifica, diventa una frizione tra la prospettiva della “scienza normale” e quella dell’ermeneutica. Da un punto di vista che non è evidentemente solo gnoseologico, Rorty contrappone i cosiddetti “uomini dell’obiettività”, che fanno riferimento a una verità certa, astorica, agli “uomini della solidarietà”, per i quali la verità è fondata in quanto condivisa. Quella di verità appare qui dunque una nozione contestualizzata, riconducibile a “pratiche linguistiche sociali”. Per questa ragione Rorty non approda al relativismo, perché dare per scontato il coesistere di culture definite, in modo statico, come differenti l’una dall’altra, presuppone la reintroduzione di una nozione di ragione (sia pur delineata al plurale) ancora metafisica, in quanto decontestualizzata dalla pratiche che, sole, la possono definire. Proprio a una messa a fuoco della connessione fra il concetto di razionalità e quello di cultura si è rivolta la conferenza di Richard Rorty a Milano, che ha esordito distinguendo tre differenti accezioni del 44 termine “razionalità”. La prima, talvolta definita come “ragione tecnica”, consiste nell’abilità strumentale, che si riassume in una capacità di sopravvivenza, cioè nella capacità di adattamento all’ambiente nel modo il più possibile proficuo per l’individuo; in questa accezione la razionalità è dunque eticamente neutra, a differenza della seconda accezione del termine che va al di là della mera sopravvivenza e, implicando una possibile gerarchia di opzioni, cioè di valutazioni, è propria degli uomini. La terza accezione comprende infine la capacità, da parte di individui o gruppi sociali, di accogliere il “diverso da sé” con una perturbazione il meno rilevante possibile. Per quanto i tre significati vengano spesso sovrapposti, Rorty ha ribadito la distinzione indicando l’obiettivo della propria indagine nella determinazione del rapporto fra la prima accezione del termine e la terza, lasciando cadere la seconda. Analogamente, Rorty ha distinto tre diverse accezioni di cultura: una sociologico-antropologica, in quanto insieme storicamente determinato di usi e costumi; l’altra “qualitativostrumentale”, in quanto capacità di manipolare strumenti concettuali; la terza “qualitativo finale”, dove “cultura” è lo stadio di realizzazione dell’ ”essenza universale” dell’uomo. Rifacendosi alla prospettiva di John Dewey, Rorty ha notato come si possa postulare un collegamento, seppur non necessario, fra l’aumento della razionalità, intesa secondo la prima accezione, l’efficienza tecnico-scientifica, e quello della “razionalità” nella terza accezione, cioè la tolleranza. A chi, come Ashis Nandy, etichetta tale posizione come “pragmatismo evoluzionista tecnocratico”, mirante, proprio in nome della bontà e tolleranza della propria particolare cultura, a eliminare le altre, Rorty ribatte che il contrasto fra Dewey e Nandy non è di natura propriamente teorica, ma empirica, e verte sulla predizione di ciò che può accadere se il “pragmatismo evoluzionista tecnocratico” si affermasse in una comunità globale unificata politicamente. In effetti oltre alla seconda accezione del termine razionalità, Dewey, seguito da Rorty, lascia cadere la terza del termine “cultura”, escludendo così che possa darsi la pretesa, da parte di una qualsivoglia particolare cultura, di porsi, proprio in forza della propria tolleranza, come superiore alle altre e quindi come momento risolutivo delle differenze culturali. Nella convinzione, tutta deweyana, che la teoria vada incoraggiata solo se può giovare alla prassi, Rorty sostiene che il compito del filosofo non è comporre ampie sintesi (o ampie contrapposizioni) teoriche, ma «inasprire le questioni» cioè radicalizzarle. L’obiettivo deve essere dunque quello di costruire un’utopia globale multiculturale, dove il confronto, spinto all’estremo, fra le “culture” (nella prima accezione del termine) CONVEGNI E SEMINARI ponga capo alla loro coesistenza in una prospettiva, quella della tolleranza, quale si dà nella terza accezione di razionalità, quella più propriamente etica. F.C. Razionalità dell’ermeneutica A partire dalle tematiche che affiorano dai saggi raccolti nell’annuario FILOSOFIA 91 (a cura di Gianni Vattimo, Laterza, Roma-Bari 1992) nel mese di giugno 1992 si è tenuto alla Sala Incontri dell’ISU di Milano un dibattito su RAZIONALITÀ DELL’ERMENEUTICA, al quale hanno partecipato Maurizio Ferraris, Aldo Giulio Gargani, Guido Morpurgo-Tagliabue, Pier Aldo Rovatti, Mario Ruggenini. Con un’introduzione di carattere generale al dibattito, Aldo Giulio Gargani ha rilevato come la questione relativa alla razionalità dell’ermeneutica risalga alla distinzione diltheyana fa scienze della natura e scienze dello spirito. L’ermeneutica nasce infatti come progressione filosofica di significato in significato, laddove il paradigma deduttivistico delle matematiche della natura prevede il passaggio dalla premessa alle conseguenze, o da ipotesi teorica a verifica sperimentale. Nella prospettiva di un “reticolo di significati” che definisce la struttura euristica dell’ermeneutica, Gargani ha rilevato, riprendendo il saggio di Ferraris, contenuto nella raccolta, come sia possibile costruire, partendo da Husserl, una nozione di soggettività che comprenda in sé, fin dal momento del suo costituirsi, l’alterità. Questo, contro la riduzione di marca idealistica dell’alterità ad autoidentificazione, ma contro anche la teoria adeguativa della conoscenza. Da questo punto di vista le preoccupazioni di Vattimo circa il destino della nozione di verità dell’ermeneutica, messa “a rischio” dal carattere narrativo di talune trattazioni di ambito ermeneutico, toccano senz’altro, secondo Gargani, un problema cruciale, ma lo pongono in termini impropri, quelli di un’alternativa tra filosofia e narrazione. Illuminanti a questo proposito sono, secondo Gargani, la posizione di Rorty, che rifiuta di riconoscere nel linguaggio un veicolo di chiarificazione totale, e quella di Rovatti, che sostiene il costituirsi della soggettività in un rapporto di consustanzialità con l’alterità, nella dimensione di un linguaggio che non è più solo inferenziale, ma neppure solo evocativo. In rapporto a queste considerazioni, Maurizio Ferraris ha tuttavia ribadito che dal punto di vista teoretico la contrapposizione fra scienze della natura e scienze dello spirito è “retorica”. Più che sul rapporto fra identità e alterità, cioè fra impostazione trascendentale e impostazione fenomenico-espressiva, la questione della razionalità dell’ermeneutica nasce storicamente in Heidegger, laddove questi, come tematizza Jacques Derrida, afferma essere l’inter- pretazione a fondare l’asserzione, e non viceversa. E’ qui che vengono poste le basi del primato della filosofia a partire dal ruolo fondativo, nel costituirsi della soggettività, attribuito all’ascolto della “voce dell’amico”. E’ in questo modo, secondo Ferraris, che Heidegger introduce e fonda un’ ”esperienza dell’altro” autenticamente ermeneutica, in quanto non sensistica, empatica, ma “razionale”. A parere di Ferraris l’ermeneutica heideggeriana ha fatto passare in secondo piano proprio il fatto, ben presente invece a Heidegger, che l’ ”altro” è “dentro al sé”; affermazione che non paradossalmente avvicina Heidegger alla logica della ricerca scientifica, dove l’ ”altro” è l’elemento di “realtà” che dovrebbe “stare in fronte” alla teoria, per verificarla o per falsificarla, ma si colloca in realtà internamente alla teoria stessa. Proprio quella dell’alterità e del suo supporto ontologico è, secondo Pier Aldo Rovatti, la questione centrale in merito al tema della razionalità dell’ermeneutica. Questione che si decide nell’ambito del linguaggio, per cui l’indagine sulla razionalità dell’ermeneutica si trasforma in quella sul linguaggio dell’ermeneutica. Su questo punto, osserva Rovatti, Vattimo rimprovera a Derrida un mancato passaggio dal momento decostruttivo a quello ricostruttivo, proprio per rispondere alla questione della razionalità dell’ermeneutica, che rischia di perdersi nell’eccessiva “dispersività” dell’operazione decostruttiva. In questo modo, obietta Rovatti, si rischia però di «gettare il bambino insieme all’acqua sporca»: è fuori luogo richiedere al linguaggio dell’ermeneutica, per salvare la sua valenza veritativa, un surplus di oggettività, avvicinando così quello dell’ermeneutica al linguaggio “normale”. Obiettivo del linguaggio dell’ermeneutica è proprio quello di mettere in mora la struttura obiettivante del linguaggio ordinario. In questo senso, per quanto sia certo legittimo cercare in Heidegger elementi di provenienza husserliana, considerando Heidegger “più avanti” di Husserl sulla strada dell’ermeneutica, pure è possibile, secondo Rovatti, operare in modo inverso e leggere “heideggerianamente”, cioè in senso ermeneutico, talune affermazioni husserliane, riconoscendo che le “cose stesse”, alle quali occorre rivolgersi, non sono sic et simpliciter (neppure da un punto di vista fenomenologico) oggetti. Di fronte alla constatazione husserliana secondo cui “mancano i nomi”, il problema non sarà trovare i nomi, ma un linguaggio non oggettivante che sappia mettere - come fa la metafora - in relazione la dimensione verbale con quella extraverbale. Mario Ruggenini ha valutato come novità positiva il fatto che Vattimo si sia posto il problema della razionalità, perché, a suo parere, il “pensiero debole”, 45 di cui Vattimo è stato uno dei rappresentanti, ha portato proprio a una liquidazione di questa problematica. E proprio la questione del linguaggio è, secondo Ruggenini, ciò che divide la razionalità dell’ermeneutica da quella della metafisica. Quest’ultima chiede ragione di ciò che si dice dell’essere, perché l’essere è la ragione ultima delle cose; da questo punto di vista, la questione del linguaggio è accessoria: la metafisica, l’ontologia, rappresentano la liquidazione del linguaggio come problema. L’ermeneutica non può invece prescindere dal linguaggio; essa rifiuta infatti una trascendenza metalinguistica, coglibile intuitivamente. La posta in gioco è la pluralità della verità, è la pluralità irriducibile delle narrazioni, che nella loro comune condizione di finitezza raccontano le singole aperture al mondo, le singole esperienze linguistiche del mondo. Proprio a partire dall’esperienza della finitezza, fa notare Ruggenini, avviene l’esperienza dell’alterità. Da bandire è la husserliana “percezione dell’altro”, riedizione di quel criterio con il quale, da Cartesio in poi, la metafisica ha espunto l’alterità. Occorre invece riscoprire la nozione di “esperienza dell’altro”, nel parlare con l’ ”altro”: è in questo modo che l’io diventa “un secondo” rispetto all’altro; si parla sempre a partire dall’altro. La razionalità dell’ermeneutica consiste dunque nello stare al gioco del discorso; solo così si esorcizza la fin troppo frequente accusa di relativismo. Un accenno merita l’intervento nel dibattito, a conclusione delle relazioni, di Guido Morpurgo-Tagliabue, il quale ha posto una domanda che nella sua radicalità è quasi risuonata come provocatoria: «perché l’altro?». Il dialogo, ha sostenuto Morpurgo-Tagliabue, non necessariamente ha luogo con un “altro da sé”; il dialogare con sé stessi, la “voce dell’amico” , possono ben essere espressioni della propria voce interiore. Ma il “linguaggio” vale qui come “codice”, non necessariamente verbale, ha obiettato Ferraris: il dialogo con se stessi è dunque dialogo con un altro, con un’alterità. Anche nel dialogo con se stessi, ha aggiunto Ruggenini, si è alle prese con parole già date, quindi con un’alterità per cui il soggetto “è secondo”. In realtà, ha proseguito Morpurgo-Tagliabue, contestando la dimensione “linguistica” in cui l’ermeneutica contemporanea ha collocato la questione ontologica, la domanda «perché l’altro» si riformula anche in quella «perché il linguaggio?». Il termine “ermeneutica”, in Aristotele, indica il linguaggio, ma anche, semplicemente, l’atto dell’interpretazione; e quest’ultima può avvenire sen- CONVEGNI E SEMINARI Botticelli, Sant’Agostino nello studio, particolare za parole, senza dialogo, mettendo solo in gioco significati. Questo è, d’altra parte, ciò che accade con la “dialettica”, dove il pensiero dialettico non mette in gioco il linguaggio e, dunque neppure un “altro da sé”, ma, appunto, solo significati. F.C. Il problema della verità storica Presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, Paul Ricoeur ha tenuto, dal 25 al 29 maggio, un seminario dal titolo: LE PROBLÊME DE LA VERITÉ EN HISTOIRE (Il problema della verità nella storia), che ha inteso innanzitutto sgomberare il campo dalle molteplici versioni “speculative” della filosofia della storia. Critico dunque, non tanto in senso kantiano, quanto antispeculativo, è stato l’approccio di Ricoeur al problema della credibilità delle ricostruzioni storiche, nel tentativo di aggiustare il tiro della riflessione filosofica in tale ambito, mirando alle dinamiche e alle difficoltà specifiche dell’attività pratico-teorica dello storico di professione. Un ulteriore approfondimento di queste tematiche è stata la conferenza dal titolo: FRAGILITÀ E RESPONSABILITÀ, tenuta da Ricoeur, in occasione del suo soggiorno partenopeo, all’Università di Napoli. Se il dibattito sulla nozione di verità storica catalizza con accenti nuovi le preoccupazioni contemporanee d’interpreti diversi: storici, filosofi, semiologi, nonché retori, è perché una volta smantellate le pretese universalistiche della storia filosofica, diviene centrale, ha affermato Paul Ricoeur, l’esigenza di riflettere «sul mestiere stesso dello storico, al fine di farne emergere gli scopi e i mezzi, i vincoli e le ambizioni». In tal senso, rispetto ai grandi scenari interpretativi della trilogia Tempo e racconto, Ricoeur rilancia la riflessione ermeneutica grazie a un’attenzione tutta particolare per il piano concreto del lavoro dello storico, alle prese con la «riconfigurazione plausibile e sensata delle vicende del passato». Due sono i tratti salienti di questo approccio: da un lato, l’interesse rinnovato del filosofo non solo per i testi interpretativi del lavoro, già “interpretativo”, degli storici, ma anche per i lavori “primi” degli storici, risultati concreti di una professione d’intelligenza al contempo pratica e teorica; dall’altro, la continuità fra le ultime opere ricoeuriane, in particolare Se stesso come un altro, e l’interesse per il piano pratico dell’azione, per la singolarità degli eventi, per la storicità di uomini calati in situazioni volta per volta uniche, contingenti, irripetibili, con cui lo storico si trova a fare i conti. A domande quali: che cosa considerare un documento, una fonte? 46 Come distinguere un fatto da un evento storico? Come rendere credibile la ricostruzione di un tempo passato? si può rispondere solo attraverso una perspicua “alleanza” fra duttilità pratica, ponderatezza filosofica, esercizio fenomenologico della descrizione, riflessione teoretica. In tal senso, verità storica non significa tanto corrispondenza con una realtà trascorsa, ma pur sempre rintracciabile nei resti del presente, né rappresentazione pittorica di un’immagine lontana, consunta dalla memoria storica, bensì verosimiglianza e plausibilità di un racconto storico. Il problema è la “realtà del passato”, lo statuto ontologico del tempo trascorso in quanto “esser-stato-ciò-chenon-è-più”. Ciò che è stato diviene nel lavoro dello storico il contenuto di un enunciato che mira a restituire un passato, che non può che definirsi “grande assente”. La scrittura storiografica, guidata da una o più ipotesi interpretative, è destinata a presentare la totalità esplicativa solamente come plausibile, credibile, attestabile. In questa situazione «il filosofo - afferma Ricoeur - non ha nulla da insegnare allo storico, se non forse a riflettere sulla complessità e sulla ricchezza del termine ‘evento’». Nel quadro di una filosofia critica della storia, a cui appartiene Ricoeur stesso, il filosofo invita a riflettere sull’impegno concreto dello storico, mettendo a fuoco tre piani di preoccupazioni al contempo pratiche e teoriche: lo storico si trova alle prese infatti con l’esigenza di attestare prove documentarie affidabili, con la pretesa di ricostruire il passato in modo oggettivo e scientifico attraverso l’esercizio letterario-retorico di comporre in scrittura le proprie argomentazioni. Ma come la spiegazione scientifica determina il ruolo e la portata dei singoli documenti? E ancora, come la forma letteraria, seducente e persuasiva, agisce sulle prove e sul giudizio? Per quanto riguarda il problema delle fonti, Ricoeur taglia alla radice un possibile malinteso: le tracce del passato non sono affatto dirette, non appartengono all’ordine del visibile. Per Ricoeur, la non visibilità della traccia e la discontinuità dell’evento singolo in un modello esplicativo indicano che un elemento (un dettaglio, un semplice dato) per divenire “documento”, atto all’intelligibilità di un momento storico, deve sottoporsi a un’ipotesi esplicativa, a un’interrogazione preliminare. L’attività dello storico nasce dall’ancestrale capacità, culturalmente educata, di porre domande orientate, di saper interrogare, ancor prima che cercare. Ma allora, si potrebbe obiettare, se tutto è potenzialmente traccia, ma non documento, sembrerebbe sufficiente un’ipotesi esplicativa per poter parlare anche di storia degli astri, della terra, di qualsiasi cosa, umana e non umana. A questo Ricoeur risponde, rivendicando il carattere specificatamente umano della storia, basato sull’analogia e omologia fra «gli uomini che hanno fatto la storia e gli storici che rifanno la storia». Inoltre, la distanza tem- CONVEGNI E SEMINARI porale vieta ogni concezione ingenuamente rappresentativa: ogni fatto storico è principalmente il contenuto di un enunciato che domanda un attestato di fiducia. In ogni interpretazione, osserva Ricoeur, un dato momento storico può essere rivalutato, studiato sotto una particolare angolatura rimettendone in discussione i tratti fondamentali. Solo attraverso forme più sottili di “relazione referenziale”, la ricostruzione storica elude il gioco retorico, l’abbellimento letterario, e un giudizio non certo, ma plausibile, può essere esercitato sulla coerenza e affidabilità del lavoro interpretativo: “agenti e soffrenti”: non si tratta di giustificare il passato, sottolinea Ricoeur, né di verificarlo, bensì di sottoporre a contestazione, replica, revisione tutte le versioni “plausibili” di un dato processo storico. La “plausibilità” di una ricostruzione storica, la sua specifica veracità, dipendono dalla garanzia che le singole prove apportano alle diverse ipotesi esplicative: la storiografia non è solo linguaggio, poiché la critica documentaria, la selezione e la preliminare indagine delle tracce, sono condizione di autonomia per la spiegazione storica e al contempo costituiscono il polo referenziale, per quanto indiretto, dello storico, che passo per passo commisura, soppesa, controbilancia le ipotesi con i documenti. In particolare, la scientificità della ricostruzione storica inerisce alla duttilità con cui lo storico sa intrecciare comprensione e spiegazione, con particolare riferimento alle capacità “immaginativa” del medesimo. L’utilizzo dell’argomento immaginario serve a cogliere più da vicino la “singolarità unica” di un dato evento storico. A questo proposito, centrale è in Ricoeur l’idea che i corsi e i decorsi storici siano principalmente svolgimenti di azioni e di passioni, i cui motivi e ritmi, per quanto complessi, non sono incomprensibili; tutt’altro, essi sono costitutivamente analoghi alle azioni, alle passioni, agli interventi con cui gli uomini di oggi si misurano con le grandezze e le qualità della realtà sociale, politica di ieri. Modelli culturali permettono oggi di attraversare, senza abolirla, la distanza paradossale tra un tempo che è stato una volta, e che ora non è più. La storia, sottolinea Ricoeur, è una disciplina “mista”, che coniuga senza confondere «la validità di un sapere e la verosimiglianza di un racconto», la tenacità di un metodo scientifico e la coscienza della fragilità del suo oggetto. Questa “fragilità”, connessa all’oggetto storico, è dovuta al fatto che la storia, "fatta” o “raccontata”, è principalmente storia di azioni e dell’azione detiene tutti i tratti: precarietà, ragionevolezza, non necessità. Per questo, fra le risorse proprie del lavoro dello storico spicca l’elaborazione della nozione di “intervento” (Ricoeur si riferisce qui in particolare al lavoro di G. H. von Wright, Explanation and Understanding, del 1971; tr. it. di G. di Bernardo, Spiegazione e compren- sione, Bologna 1977). Nell’idea d’intervento Ricoeur individua l’espressione perspicua dell’ambiguità dell’evento storico: ogni accaduto presuppone infatti che esso sia stato compiuto da un agente e che d’altro canto s’inserisca nell’ordine (sociale, politico, cosmologico anche) delle cose. L’azione in quanto intervento e iniziativa si offre allora alla comprensione dello storico in grado di “cogliere” le motivazioni e le intenzioni di un agente lontano, le cui “ragioni” sono antropologicamente condivisibili sulla base di una teoria dell’azione. Inoltre, inserendosi nel corso delle cose, l’evento è suscettibile di essere spiegato in una connessione causale. Questo articolarsi di segmenti nomologici e di segmenti motivazionali sulla scala dell’azione storica permette di cogliere con più forza l’analogia fra gli uomini che hanno fatto la storia e gli storici che la rifanno: nel “fare la storia”, uomini storici e storici degli uomini partecipano del medesimo statuto di “agenti e sofferenti”. Questa analogia giustifica il “realismo critico” dello storico, la “fiducia-confidenza” nell’impegno ricostruttivo del passato. Nel fare la storia, né gli attori, né gli storici sono “padroni” degli eventi: il passato inafferrabile non si fa rappresentare, bensì “sentire” nei suoi effetti, nelle sue conseguenze, rendendo tutti quanti eredi a volte inconsapevoli, non sempre volenterosi di un “debito”. Centrale, per Ricoeur, resta in tal senso l’esigenza “etica” della ricostruzione del passato. Definendo il passato come essendo-stato-non-più, il “debito” verso il passato implica l’obbligo di non dimenticare, di «risarcire i nostri morti». Ricoeur propone “tre modelli” teorico-pratici, capaci di guidare comportamenti responsabili nel difficile, spesso ingrato, compito di risarcire i “debiti” del passato: vie possibili di un’integrazione “fragile” fra presente e passato, identità e alterità, che la nuova situazione europea e mondiale invita a considerare seriamente. Il primo modello è quello della “traduzione”, che non è una semplice transazione, ma un’esigenza di diritto, poiché il linguaggio esiste solo mediante le lingue. Tradurre è “un atto spirituale”, non meccanico, che implica un trasporsi nelle motivazioni spirituali dell’altro, non per impadronirsene, bensì per “abitare” presso l’altro, «al fine - sottolinea Ricoeur - di ricondurlo a casa propria a titolo di ospite invitato». Questa nozione di “ospitalità linguistica” è un primo modello, esportabile nella vita pubblica, in grado d’indicare come attraversare le distanze fra noi e gli altri (per lingua, sesso, temporalità). Il secondo modello è quello dello “scambio di memorie”: bisogna spezzare la chiusura delle proprie ragioni, uscire dai pregiudizi non per una generica e melliflua “tolleranza”, ma per uno scambio attivo e partecipe delle me- Sébastien Stoskopf, La grande Vanité (1641), particolare 47 CONVEGNI E SEMINARI morie, delle storie fondatrici degli altri, attraverso cui gli “altri” si raccontano e ci raccontano. Quest’esigenza porta lo storico alla correzione delle memorie attraverso la correzione dei racconti, al confronto dei propri racconti con quelli degli uomini di ieri, con i “contemporanei” di allora, per dare accesso nella propria storia alla storia degli altri. L’ultimo modello, il “perdono”, porta nel cuore della fragilità delle azioni e delle passioni umane. La storia è anche il cumulo dei torti reciprocamente inflitti e subiti: “gli agenti sono stati tutti, prima o poi, dei sofferenti”. Bisogna partire allora dalla sofferenza altrui, se si vuole “restituire” non solo i colpi ricevuti, ma anche i debiti. Il perdono è in tal senso connesso per Ricoeur a un’economia del dono e a una perspicua idea di memoria, e come tale assunto a categoria dell’interpretazione storica e dell’agire politico. Il perdono, secondo Ricoeur, si presenta come “terapeutica della memoria”: non abolisce i torti, ma insegna a gestire e a convivere con il male inflitto e subito; opera nella logica del “dono”, della sovrabbondanza, e come tale coopera con la regola del riconoscimento reciproco, del confronto con l’alterità. Il perdono esige lunga pazienza”, ha concluso Ricoeur, sottolineando la tensione costitutiva fra l’urgenza del risarcimento e la temperanza catartica del perdono. Quest’attesa, certo, può significare l’auspicabile elaborazione luttuosa e mortifera della vendetta, ma anche il rischio, sempre presente, di sottovalutare, se non di rinnegare, le lotte e le speranze “contemporanee” degli uomini di ieri, di cui, perdonando, si potrebbero cancellare non tanto le tracce di un tempo “non più, pur essendo stato”, quanto di un passato mai stato, perché dimenticato una volta per tutte. F.M.Z. Contemporaneità della filosofia Si è inaugurato nel mese di ottobre alla Casa della Cultura di Milano un ciclo di conferenze dal titolo: LA FILOSOFIA CONTEMPORANEA . CIÒ CHE È VIVO , CIÒ CHE È MORTO a cura di Fulvio Papi, che con questa iniziativa ha inteso ribadire il carattere essenzialmente contemporaneo della filosofia, come identità tra riflessione su se stessa e prassi filosofica, il cui senso non può essere scisso dal suo accadere. Queste le relazioni previste: “Attualità di Sartre”, di Pierangelo Rovatti; “Giochi di verità: Foucault epistemologo e genealogista”, di Salvatore Natoli; “Wittgenstein: il linguaggio come forma”, di Silvana Borutti; “Popper: scienza come democrazia”, di Giulio Giorello; “Derrida e la filosofia”, di Maurizio Ferraris; “Platone e noi”, di Mario Vegetti; “Bilancio su Heidegger”, di Carlo Sini. Anche se oltrepassa un approccio meramente storiografico, la strutturazione di questo ciclo di conferenze non esclude un aspetto didattico, introduttivo o di aggiornamento rispetto ai contenuti proposti. Più precisamente, ricorda Fulvio Papi, le lezioni sono state pensate attraverso un problema teorico: come è possibile oggi tentare di pensare? La domanda esclude che si possa ritenere che la filosofia sia già accaduta, e quindi non resti che ricostruire genealogie che ci dicano come è possibile che si siano strutturate determinate forme di pensiero. Così, questa serie di lezioni intende definire l’orizzonte di un problema attraverso strade identificabili, che consistono senza dubbio in questioni e riflessioni teoriche, ma percepite attraverso la necessaria mediazione degli autori o, perlomeno, delle prospettive da questi aperte. Papi rifiuta di concepire la filosofia come una sorta di ermeneutica “breve”, che consista in una specie di continua dialogicità con i fatti del mondo. Se la pratica filosofica certo non deve esaurirsi nella storiografia filosofica, tantomeno può a suo parere ridursi a quell’atteggiamento un po’ naïf, “ingenuo”, che pretende d’incamminarsi senza fondamenti sulla strada della scoperta della verità. In tal senso non è possibile per Papi alcuna tabula rasa: il processo euristico non «scopre la verità», ma procede piuttosto penetrando in forme di pensiero che organizzano i loro propri effetti di verità. Ciò accade perché le pratiche filosofiche provocano forme di sapere, e quindi di verità, alla stessa stregua di quelle scientifiche, o di quelle artistiche. Come ogni pratica, anche quella filosofica, per quanto “attuale” nel suo farsi, assume le forme vincolanti e vincolate di un sapere. Esiste dunque una precisa ragione di fondo della scelta, per il corso, di autori appartenenti alla filosofia istituzionalmente riconosciuta come contemporanea. Se per “fare filosofia” occorre non dare per scontato che essa si esaurisca nelle due opzioni sopra ricordate, quella dello storiografismo e quella della naïveté, questo presupposto non si realizza in una dichiarazione di intenti, in un atto di volontà, ma nel mettersi in condizione di affrontare la prova. Occorre cioè “stare in mezzo” alla filosofia contemporanea, perché il senso della filosofia medesima non può essere scisso dalla contemporaneità del suo accadere, cioè del suo farsi: per Papi la filosofia deve la propria giustificazione teorica alla situazione filosofica in cui si colloca. La determinazione temporale non è, evidentemente, solo cronologica; la nozione di contemporaneità in filosofia, osserva Papi, non può infatti significare in alcun modo un’identità dello sviluppo cronologico, indipendentemente dalla storia reale dei contenuti. La contemporaneità non è un dato di fatto, ma consiste piuttosto in un accadere temporale, che deriva dal mettersi in condizione di accadere come tentativo di pensiero delle filosofie contempora48 tifica con la filosofia, ovvero con la prassi filosofica, il problema si pone allora nei termini di come pensare, collocandosi all’interno di quest’ultima (che è dunque, necessariamente, “contemporanea”), e subendone l’insieme degli effetti, che non sono omogenei. In questo senso, proprio per quello che può ancora dirci, proprio per come può ancora condizionare il nostro fare filosofia, anche Platone è nostro contemporaneo, fors’anche più di pensatori a lui posteriori. F.C. Nodi della volontà Provocati da eccesso d’impeto o da abulia, i “nodi della volontà” sono da sempre uno dei temi privilegiati della riflessione morale. In un recente seminario di studi dedicato a questa tematica, tenutosi a Napoli presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici dal 29 giugno al 3 luglio 1992, Remo Bodei ne ha messo in rilievo la centralità in ogni considerazione problematica del volere e la significatività imprescindibile in rapporto alla domanda, che si ripropone oggi in senso forte, su che cosa fare di fronte alla patologia del volere, alla sua acrasia. Intorno al problema della fedeltà della volontà a se stessa e quindi, originariamente, al problema stesso del volere, si incontrano e scontrano esigenze e prospettive diverse: l’autonomia del volere e la sua normatività o razionalità; l’efficacia selettiva dell’azione e le possibilità energetiche infinite di passioni e desideri. Ripercorrendo in modo discontinuo prospettive diverse e lontane nel tempo, Remo Bodei ne fa emergere però una chiara linea di continuità e su tale base procede alla ricerca di una armonia possibile, come concordia e coerenza dell’uomo con se stesso, che in parte è andata perduta con la dissoluzione del modello greco classico di un agire corrispondente all’idea, e in parte è da ricreare, per superare la scissione agostiniana di voluntas e noluntas e, insieme, riconoscere diritto di cittadinanza a pulsioni e desideri che la concezione platonica preclude alla persuasione e sottopone al controllo della forza. Il nodo fondamentale da sciogliere si delinea allora nello spazio libero della decisione, quando, tra razionalità dei fini e loro messa in pratica, la tradizione ebraico-cristiana insinua il dilemma della scelta accompagnata da senso di colpa, scoprendo l’incapacità della volontà di comandare a se stessa. In tal modo, il problema di decidere, ovvero di “re-cidere” il possibile, trasformandolo in effettuale, non appare più una operazione automatica, ma una decisione di volere, quindi un decidere di decidere. In questa sua assurdità di comandamento autocontraddittorio, e quindi inseguibile, il problema del decidere, dalla CONVEGNI E SEMINARI “scommessa” di Pascal alla volontà di credere di James, individua lo specifico del carattere riflessivo del volere. Da Agostino a Freud, da Simon a Elster a Ricoeur i nodi della volontà vengono sciolti aggredendo la volontà alle spalle, con strategie indirette che la vincolano al proposito iniziale o alla parola data e che, senza obliare l’inevitabilità del conflitto, mettono in movimento la riconciliazione del sé come identità da acquisire e mantenere in gradi sempre più alti di ricomposizione. In particolare, nell’ “ipseità” di Ricoeur, come volontà che lega se stessa allo schema della promessa, Bodei legge una volontà di permanere coerenti a se stessi che supplisce il carattere dell’integrità morale classica, perché non presuppone naturalisticamente, né ricompone per grazia divina, quell’amicizia con se stessi che si realizza solo nella fedeltà morale rivolta al futuro. Altro merito significativo Bodei riconosce poi a Cartesio, che capovolge la concezione classica del troppo desiderare come peccato. La volontà, che per Cartesio è sempre capace, se ben “addestrata”, di dirigere e orientare, si rafforza non mortificando le passioni e i desideri, ma mediante la loro espansione. Anche in Kant, infine, i nodi della volontà vengono sciolti strategicamente, in virtù della non obbedienza alla propria singola volontà: è la razionalità, come legge morale generale, che ha potere sul singolo, appunto perché non è il singolo a decidere. Un punto è tuttavia fermo, secondo Bodei, nelle posizioni considerate: il conflitto con la volontà o la legge è insolubile finché è diretto e immediato. Sciogliere i nodi della volontà è possibile o attraverso il ricorso a vincoli e stratagemmi, o disponendo la propria volontà, con i suoi vincoli, ad accogliere una volontà divina o universale in cui annullarla e così sbloccarla. Pure accettando quella linea di pensiero che da Spencer a Binet giunge sino a Freud e Ribau nel ribadire che la patologia della volontà è la regressione, si deve convenire, osserva Bodei, che la volontà, più che rimandare ad altro, deve fare i conti con la molteplicità di potenziali io centrifughi, che sabotano l’io egemonico quando conflitti non risolti, pur essendo rimossi dalla coscienza, continuano a logorare la volontà dal profondo. Abolire la rimozione di quelle esperienze non comprese e di quei conflitti non risolti non basta per Bodei, a sbloccare la volontà: resta il senso di colpa. Si tratta allora di creare nuove edizioni dei vecchi conflitti, di portare ad un altro livello la carica e la contro-carica, e così allargare l’area di coscienza e rafforzare l’io nella revisione di processi frettolosamente conclusi con la condanna di certe pulsioni o idee. La libertà della Sant’Agostino (in alto, dipinto del Botticelli) e Blaise Pascal 49 CONVEGNI E SEMINARI decisione è in tal senso espansione della conoscenza, decifrazione dei conflitti che, nel portare alla luce della conoscenza la voce tirannica dell’autorità, le norme sociali interiorizzate, ricostruisce la storia dei sensi di colpa e stabilisce con chiarezza ciò che è da rifiutare o da accettare. In conclusione, il conflitto si risolve indirettamente spostando il livello dello scontro e, per Bodei, portando alla coscienza la voce del Super-io, che in noi chiede obbedienza, sia pure per venire a patti o scontrarsi con esso: “peggio di tutto”, per sanare la volontà divisa, è la non consapevolezza tanto del conflitto quanto dei limiti. L.S. Mito e polarità Un nuovo intervento sulla polarità “mythos-logos”, dal mondo antico alla contemporaneità, ha avuto luogo all’Università di Chieti in tre Colloqui distinti sul tema: MITO E POLARITÀ, organizzati rispettivamente nei giorni 20 febbraio, 1 aprile e 30 aprile 1992 dalla cattedra di Filosofia Antica, con il patrocinio del Centro Servizi Culturali della Regione Abruzzo. Sotto il titolo: Mitologie comparate e loro ermeneutiche, hanno avuto inizio i lavori del primo Colloquio con interventi di taglio storico ed ermeneutico incentrati sul mondo antico e sulla prospettiva che di esso ha la modernità. Gian Battista Vaccaro ha ricostruito la vicenda filosofica del problema da Platone a Nietzsche, cioè dall’inizio alla fine di un pensiero che si caratterizza come “occidentale”, per mettere in evidenza la modernità dell’intrinseca caratterizzazione polare del pensiero mitico nella vicenda celtico-cristiana dell’opposta simbologia della spada e del calice. Pietro De Vitiis ha esposto l’interpretazione del mito nella filosofia ermeneutica fino a Blumenberg, desumendo una originale riconsiderazione della distinzione ottocentesca tra scienze della natura e scienze dello spirito. Gli ultimi due interventi di questo primo Colloquio, di Maurizio De Innocentis e Patrizia Deplano, erano tesi a ricercare luoghi di analisi della polarità mitica al di fuori o al margine della tradizione greca ed occidentale: nella Bibbia ebraica e nella tarda tradizione giudaica. Nel primo caso è stata messa in evidenza la particolare originalità del “discorso” biblico della creazione nella fondamentale ripresa “polemica” di toni ed elementi delle mitologie mesopotamiche contemporanee; nel secondo caso, attraverso un lavoro comparativo sulle tradizioni esegetiche giudaiche, è stato sottolineato il senso destabilizzante del leggendario nei confronti della misurata fissità del testo canonico. Nel secondo Colloquio dal titolo: Mito antico: contesto originario, sue utilizzazioni e sopravvivenza letteraria, sono stati prevalenti gli interventi di filologia e storia greca e romana. Lucio Bertelli ha mostrato come continue versioni e riappropriazioni del mito di Teseo abbiano potuto fungere in età classica da sostegno ideologico di posizioni politiche di volta in volta diverse o addirittura in conflitto fra loro. Riccardo Scarcia e Maria Laetitia Coletti hanno ripercorso, il primo la vicenda letteraria del topos della solitudine e della melanconia dell’intellettuale letterato, rintracciato nel mito di Bellerofonte, riletto da Cicerone nelle Tuscolanae, la seconda, la vicenda del motivo della passione filiale e della donna malefica e mortale che in ogni epoca si ripropone nei moduli tragici del mito di Fedra. Giovanni Giorgini, rifacendosi ad una classificazione dei caratteri femminili nella società inglese dell’Ottocento, desunta da A. Mac Intyre, ne ha rintracciato le rappresentazioni nella relativa letteratura, e gli archetipi nella letteratura classica e indietro fino alla mitologia indeuropea. A Francesco Iengo è toccato il compito di trarre conclusioni teoriche sulla reale persistenza culturale del mito greco nella nostra letteratura e sulla sua effettiva funzione di elemento di riorganizzazione di contesti ideologici diversi. Con il terzo Colloquio dal titolo: Mito, epistemologia e forme della conoscenza, si è tornati alla considerazione teoretica e storico-scientifica del mito, dall’età pre-moderna all’età moderna e postmoderna. Ugo Baldini ha messo in evidenza come, fin dalla prospettiva positivistica di M. Müller, si sia tentata una valutazione del mito in chiave scientifica e naturalistica, e come da De Santillana a Feyerabend ci sia stata ultimamente una riconsiderazione positiva della conoscenza mitica da parte degli storici e dei teorici della razionalità scientifica. Cesare Preti, inserendosi nel contesto aperto dalla prima relazione, ha dato un esempio di come tra il ‘500 e il ‘600 il mito biblico del Diluvio abbia costituito un forte referente per i primi tentativi di spiegazione scientifica della natura dei fossili marini. Di carattere diverso è stata la relazione di Giuseppe Cognetti sulla ricerca di una razionalità veritativa del mito in Kurt Hübner, a metà strada tra strutturalismo ed ermeneutica e con accenni ai cultori delle tradizioni esoteriche tra Ottocento e Novecento. Francesco Paolo Ciglia ha affrontato, invece, il problema della localizzazione del mitico nel complesso ed originale discorso filoso- 50 fico di Levinas, per il quale il mito, come l’arte, è il controverso segnale del fondo oscuro, “brulicante”, ma privo di senso, che soggiace l’esistenza umana. Nell’ultimo intervento della serie, Pier Luigi Santangelo ha rilevato in Wittgenstein l’esistenza di una categoria di “miticità” che gli consente una distinzione teorica tra mitologia “incantatrice” e mitologia “paradigmatica”, l’una riferibile ai complessi organizzati di “credenze” da cui si coglie il mondo, l’altra agli oggetti di questo stesso considerare; si comprende, così, come ogni tentativo di demitizzare le credenze mediante l’analisi dei loro oggetti non possa portare ad altro, per Wittgenstein, che alla manifestazione di una diversa “mitologia”. M.D.I. Retorica della scienza Organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, si è svolto a Napoli, dall' 8 al 13 giugno 1992, un seminario dal titolo: DAL METODO DELLA SCIENZA ALLA RETORICA DEGLI SCIENZIATI, condotto da Marcello Pera sul ruolo fondamentale svolto dalla retorica e dalla dialettica nella formazione delle teorie scientifiche. La cosiddetta “nuova filosofia della scienza” non sembra essersi ancora sufficientemente interrogata sul perché si sia passati, in tempi relativamente brevi, da una concezione della ricerca scientifica come unica forma di conoscenza razionale della realtà alla riduzione della scienza al rango di una forma razionale di cultura al pari di altre. Per spiegare questa situazione, ha osservato Marcello Pera, occorre partire dall’analisi dello statuto epistemologico della cosiddetta “scienza classica”, cioè dalla “scienza come dimostrazione”. Facendo riferimento alle teorie dei più autorevoli rappresentanti del pensiero scientifico moderno (Bacone, Cartesio, Leibniz, Newton), Pera ha rilevato le due componenti fondamentali della “scienza come dimostrazione”: una componente epistemica, che presuppone che la scienza disponga di “dati certi”, siano essi di origine empirica o razionale, in grado di consentire un accesso diretto alla realtà; e una componente metodologica, secondo cui esiste una procedura ben definita che, a partire dai “dati certi”, garantisce la validità delle conclusioni. Un tale impianto subisce un primo scossone tra ‘800 e ‘900 con la messa in questione della componente epistemica e la conseguenza che a) quelle che erano ritenute cartesianamente «idee chiare e distinte» (spazio, tempo, causa, numero, ecc.) potevano essere oggetto di ridefinizioni totali; che b) anche le percezioni apparentemente più “pure” erano, in realtà, «pregne di teoria» e indissolubilmente legate al particolare punto di vista assunto dall’os- CONVEGNI E SEMINARI servatore. Tuttavia, benché privato di un sostegno fondamentale, l’edificio della “scienza come dimostrazione” rimane ancora in equilibrio sul pilastro della componente metodologica. Non a caso anche quei filosofi come Popper e Lakatos, che pure hanno messo in evidenza l’indebolimento dello scopo epistemico della scienza, continuano a riconoscersi in quello che Pera definisce “progetto cartesiano” e che può essere schematicamente così riassunto: 1) esiste un metodo universale che permette di distinguere la scienza da ogni altra forma di cultura; 2) la corretta utilizzazione delle norme metodologiche garantisce il raggiungimento dello scopo della scienza; 3) se la scienza non avesse un metodo, non potrebbe essere considerata un’attività conoscitiva razionale. Proprio questo “progetto cartesiano” è stato oggetto, negli ultimi anni, degli attacchi della “nuova filosofia della scienza”, che ha messo in evidenza come l’ipotesi di due principi metodologici immutabili e assolutamente vincolanti per l’indagine scientifica risulti decisamente smentita dal fatto che le più rilevanti acquisizioni della scienza sono nate dalla violazione (più o meno consapevole) da parte degli scienziati di determinate norme metodologiche. La “nuova filosofia della scienza”, ha osservato Pera, ha tentato poi di sostituire al “modello metodologico” di scienza di stampo cartesiano “modelli contrometodologici” di almeno tre tipi: a) di tipo “anarchico” (Feyerabend), secondo cui le pretese cognitive della scienza e le valutazioni epistemiche dipendono da “mezzi non argomentativi” o “irrazionali”; b) di tipo “sociologico” (D. Bloor, M. Hesse), secondo cui il succedersi delle teorie va spiegato facendo riferimento a fattori sociali, più che logici; c) di tipo “post-filosofico” (Rorty), in cui l’idea di metodo scientifico si dissolve nell’ottica di un’ermeneutica onnicomprensiva. Tuttavia, se i modelli contrometodologici hanno colpito al cuore le prime due tesi del “progetto cartesiano”, è anche vero che essi hanno implicitamente alimentato l’opinione che l’unica alternativa al metodo sia l’irrazionalità o, quanto meno, la riduzione della scienza a «normale conversazione tra persone ben educate». Per cercare di superare l’empasse epistemologica costituita dal riproporsi del “dilemma cartesiano” (o metodo, o irrazionalità), Pera ha proposto l’adozione di un “modello retorico” di scienza che sia in grado di salvaguardare alcune proprietà tipiche della scienza (oggettività, razionalità, progressività), senza per questo sacrificare le acquisizioni della critica più recente (storicità, incommensurabilità fra le teorie, varianza di significato ecc.). Secondo Pera, il tradizionale modello metodologico concepisce la ricerca scientifica come una partita tra lo scienziato, che pone le sue domande, e la natura, che fornisce delle risposte (dati e risultati). La partita ha poi fine quando lo scienziato, nel rispetto delle regole dettate dal metodo scientifico, è riuscito a porre le sue domande in modo tale da costringere la natura a rivelargli i suoi segreti. Nei modelli di tipo contrometodologico avviene invece che in assenza di regole metodologiche, i “fattori esterni” (psicologici, sociali, linguistici) producono tanto “rumore” che gli scienziati non possono far altro che interpretare i sempre più flebili suoni della natura secondo le proprie tendenze e gusti personali. Al contrario, ha osservato Pera, nel “modello retorico” l’indagine scientifica viene innovativamente concepita come una partita a tre tra la natura, lo scienziato e la comunità scientifica. Lo scienziato interroga la natura, la natura fornisce dati e risultati sperimentali e la comunità scientifica discute sia la domanda, che la risposta, mediante il dibattito e la ripetizione degli esperimenti. La partita ha poi fine nel momento in cui i tre protagonisti si sono, per così dire, messi d’accordo sulla risposta corretta al problema di partenza. In questo caso, dal momento che la validità o meno di una teoria dipende esclusivamente dagli esiti del dibattito che si instaura tra la natura, lo scienziato e la comunità scientifica, è chiaro che venga messa in primo piano l’importanza delle tecniche di persuasione e, quindi, della retorica. Ciò non significa, ha sottolineato Pera, una riduzione della scienza a “normale conversazione”, poiché la retorica cui si fa riferimento è una retorica tipica della scienza, con norme e procedure ben definite, «forme dell’argomentazione scientifica», che a loro volta, rimandano al concetto di “dialettica scientifica”, intesa come logica di validazione di tali forme. A.N. Filosofie della storia nel Settecento Assumendo come punto di partenza della propria ricostruzione storico-critica il presupposto che nel ‘700 “coesistano” teorie della storia fondate sul concetto di Provvidenza e teorie fondate su quello alternativo di progresso, Pietro Rossi ha tenuto, dal 22 al 26 giugno, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, un seminario sul tema: TEORIE DEL PROGRESSO E TEORIE DELLA PROVVIDENZA NELLE FILOSOFIE DELLA STORIA DEL SETTECENTO . Secondo Pietro Rossi l’origine comune delle settecentesche teorie della storia deve essere rintracciata nel complesso orizzonte culturale degli ultimi decenni del ‘600 che, se da un lato conosce una diffusa rilettura e riproposizione del De civitate Dei di Agostino, pure, dall’altro, raccoglie l’eredità della cultura libertina, vede l’affermazione della critica biblica e la sem51 pre maggiore divulgazione di informazioni sui popoli del vicino ed estremo Oriente. Si deve, in primo luogo, al differente modo di considerare il rapporto storia sacra-storia profana la distinzione in due ambiti diversi della riflessione sulla storia nel ‘700. Nel Discorso sulla storia universale (1681) la storia profana è per Bossuet realizzazione di un disegno provvidenziale, in cui le “rivoluzioni” degli imperi hanno senso solo in funzione della vicenda sacra del popolo ebreo. In Vico, nella Scienza Nuova seconda (1730), il corso e ricorso storico delle nazioni è retto dalla Provvidenza divina, anche se senza interventi diretti, miracolosi, ma per reconditi disegni. Invece nel Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni (1756) di Voltaire, che pure si propone come una continuazione dell’opera storica di Bossuet, la vicenda del popolo ebreo diventa assolutamente marginale ed è ben lungi dal costituire l’asse della storia universale. L’affermarsi della concezione della storia come sviluppo verso la civiltà è legata all’emergere delle idee di civiltà e di progresso. Subito dopo la metà del XVIII secolo, il termine francese civilisation viene a designare il processo di civilizzazione di un individuo o di un popolo e insieme lo stato raggiunto da chi è passato attraverso questo processo. La nozione di progresso ha, invece, la sua genesi nella Querelle des Anciens et des Modernes e si viene arricchendo nelle posteriori formulazioni di Voltaire e Turgot: il primo afferma una teoria del progresso in termini di sviluppo scientifico e di perfezionamento dei costumi; il secondo stabilisce per la prima volta il carattere di “infinità” del progresso, nascostamente presente anche nei periodi di decadenza. Ma in entrambi è assente la dimensione socio-politica del progresso, recuperata invece da Montesquieu con la nota antitesi ideologica tra Asia (continente dei dispotismi) e Europa (terra dei governi “moderati”) e, in termini più originalmente socio-economici, dallo storico e sociologo scozzese Adam Ferguson, che nel suo Saggio sulla storia della società civile (1767) indica nell’istituzione della proprietà e nella sua successiva codificazione giuridica il passaggio dallo stato selvaggio alla barbarie e allo stato civile. Solo nella cultura illuministica, osserva Rossi, la riflessione sull’idea di progresso tocca inevitabilmente il problema della continuità o discontinuità del progresso stesso, che finisce per essere concepito come indefinito e illimitato nell’Abbozzo di un quadro storico dei progressi della natura umana (1793) di Condorcet. Qui lo spettacolo di una rivoluzione riuscita (quella americana) consente non solo di descrivere il progresso storico, ma anche di prevedere quello futuro come eliminazione della diseguaglianza e perfezionamento della stessa natura umana. Tutto questo non deve suscitare l’impres- CONVEGNI E SEMINARI Johann Gottfried Herder. Dipinto di Anton Graff 52 CONVEGNI E SEMINARI sione, fa notare Rossi, che nel corso del ‘700 non ci sia spazio per le teorie provvidenzialistiche della storia. Nell’opuscolo Ancora una filosofia della storia per l’educazione dell’umanità (1774) di Herder, la successione delle epoche risponde ad un piano provvidenziale, che però, a differenza di Bossuet, non presuppone la distinzione tra storia sacra e storia profana, ma sancisce ben prima di Hegel, la prima radicale sacralizzazione della storia: «La storia - scrive Herder - è il cammino di Dio attraverso le nazioni»; e ancora, «la storia è l’epopea di Dio attraverso tutte le età, tutti i continenti, tutti i popoli». E la storia non è soltanto sacralizzata, ma divinizzata nella grossa opera sistematica di Herder, Idee per la filosofia della storia dell’umanità (1784-91), dove la lettura organica del Deus sive natura spinoziano consentiva a Herder di concepire la relazione naturastoria umana in termini già romantici di una totalità vivente, che si articola in uno sviluppo biologico finalizzato alla nascita dell’uomo, anello di congiunzione tra mondo naturale e mondo storico. Da ultimo Rossi ha considerato il particolare problema della presenza o meno delle civiltà extraeuropee nei quadri storiografici del ‘700. Nella concezione provvidenzialistica della storia l’assunzione della teoria monogenetica, ovvero della tesi dell’unica origine dell’umanità e il conseguente rifiuto del poligenismo, comporta l’esclusione dei popoli extreuropei. Quanto poi alla concezione della storia come progresso verso la civiltà, essa presuppone lo schema evolutivo stato-selvaggio-barbarie-civiltà, che permette di collocare comodamente al primo o al secondo livello le civiltà extraeuropee: così viene di fatto risolto il “problema” dei selvaggi americani; mentre le culture azteche, maya, inca, non sono considerate culture “civili” nell’orizzonte storico settecentesco. Non così per la Cina, mitizzata da Voltaire come la civiltà che ha dato vita alla religione più priva di elementi mitologici, quella più vicina alla religione naturale, ma anche, secondo uno schema di derivazione montesqueiana, terra di tradizioni dispotiche e pertanto non civile. Dunque, se le teorie della storia come progresso verso la civiltà consentono più e meglio di “avvicinarsi” alle civiltà dei popoli extraeuropei, non si può tuttavia affermare, osserva Rossi, che con esse siamo di fronte al riconoscimento di una pluralità di direzioni di sviluppo verso la civiltà. A.I. Percorsi della modernità Secondo le significative e attualissime parole pronunciate da Fichte nel 1794 nell’opera omonima, la “missione del dotto” consiste nel «sorvegliare dall’alto il progresso effettivo del genere umano e nel promuovere incessantemente tale progresso». Sulla base di questo imperativo, Alberto Tenenti, dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences di Parigi, ha condotto il seminario dal titolo: PERCORSI DELLA MODERNITÀ, tenutosi dal 21 al 24 aprile 1992 all’Istituto Italiano di Studi Filosofici di Napoli. Il richiamo ad un filosofo così distante nel tempo per introdurre il ciclo di conferenze di Alberto Tenenti non apparirà arbitrario se guardiamo al legame sotterraneo che tiene unite, al di là dell’apparente disomogeneità dei contenuti proposti, la serie delle relazioni: “Stato e ragion di Stato”; “Le trasformazioni della città italiana”; “Luci e ombre dell’utopia”; “Tolleranza religiosa e libero pensiero”; e infine “La visione dello spazio europeo”. Nella conferenza di apertura Tenenti ha illustrato, in riferimento allo scacchiere europeo dei primi Stati nazionali, la concezione dello Stato sottesa alle politiche delle diverse monarchie sorte nell’epoca moderna e l’influenza della ragion di Stato sulle decisioni effettive delle ologarchie, mostrando «il ruolo delle dottrine politiche nel cambiamento delle istituzioni». Anche in riferimento alle trasformazioni della città italiana, prendendo spunto dalle vicende specifiche di progressivo allontanamento dal volto originariamente comunale-medioevale di città campione come Genova, Torino, Roma, Tenenti ha mostrato come le forze politico-economiche abbiano addirittura finito col favorire nuove concezioni architettoniche, che avevano come scopo di rendere la città medioevale rappresentazione del potere politico dominante. A partire dal ‘500, Genova assiste a una spartizione ufficiale del potere politico tra i banchieri delle maggiori casate nobiliari della città i quali, pur facendone una capitale monetaria, ne modificano però l’aspetto prevalentemente medioevale, appropriandosi di due quartieri di proprietà comunale per trasformarli in dimore private di prestigio. A Roma, invece, la notevole sensibilità urbanistica dei Papi si espresse nel rifunzionalizzare l’edilizia pubblica preesistente per dare alla città, accanto al ruolo di centro spirituale, un’immagine che valorizzasse il suo maestoso passato di capitale imperiale e la ponesse anche come polo di un potere temporale. Soltanto la Torino sabauda, tralasciando i preesistenti nuclei romanomedievali, utilizzerà a partire dal ‘500, accanto ad altre trasformazioni essenziali in campo economico e politico, un’urbanistica moderna e razionale a fini sociali e collettivi, ponendosi già da allora come modello urbanistico di capitale in uno stato moderno. Con un excursus storico sul concetto di utopia attraverso Platone, il Cristianesimo, Lutero, Moore, Bacone, Rousseau e altri, Tenenti ha affrontato l’analisi del53 l’«influenza del livello ideologico sulla realtà esistente» e quindi sulla formazione della società moderna. Si tratta di considerare l’utopia come regno del possibile e perciò forza spirituale di rinnovamento, rintracciandola nella sua forzata attribuzione ad antichi predicatori o legislatori, o nella necessaria rappresentazione di società paradigmatiche e perfette, e infine nei suoi tentativi di realizzazione politicosociale a partire dal XVIII secolo, coinvolta nelle problematiche della distribuzione del lavoro e della ricchezza, della scissione tra potere spirituale e temporale e della felicità nella vita di fronte alla morte. Questo significa, per Tenenti, interpretare la laicizzazione del regno ideale come progressivo allontanamento dall’oltremondano verso l’intramondano e dell’ideale verso il progettuale, mettendo in evidenza sia il carattere critico-teorico dell’utopia nei confronti dell’esistente, sia il carattere di esercizio ideologico di gruppi o singoli individui dottrinari e autoritari. Tenenti ha poi affrontato la visione eticoculturale che l’Occidente ha di se stesso in rapporto all’altro da sé, sia all’esterno che all’interno dei confini geografici. Solo dopo circa tre secoli di tentativi di assorbimento o di annullamento del “diverso”, in campo economico, politico, religioso, culturale, si giunge a riempire di contenuto ideali come la tolleranza religiosa e la libertà di pensiero con uno «sguardo alla realtà dell’altro, che nella sua opposizione ha anch’essa contribuito a modificare la percezione di sé dell’Occidente». Questa visione che nel ‘500 l’Occidente ha di se stesso e del diverso, e la sua lenta trasformazione, sono leggibili per Tenenti anche nella rappresentazione dello spazio: in tutto il ‘500 il notevole scarto tra realtà geografica e rappresentazione cartografica è dovuto al fatto che si continuano a utilizzare come base le indicazioni di Tolomeo sia per l’Europa - la “Cristianità” - che per gli altri mondi e che solo lentamente lo spazio geografico conosciuto, suddiviso tra il Baltico, il Mediterraneo e l’Egeo, viene allargato a includere altre terre, con sempre maggiore consapevolezza che la conoscenza della realtà dell’altro significa conoscenza della realtà del sé in modo nuovo e diverso. In tale contesto di progressiva apertura e cambiamenti, Tenenti ha messo in luce il ruolo dell’intellettuale nella società, sviluppando in particolare la possibilità di un’azione reale e perciò stesso etica dell’intellettuale nella storia, impegnato col suo stesso lavoro a favorire lo sviluppo pacifico e l’integrazione armonica di quei semi già comunque presenti nella storia che egli stesso vive. Solo in una tale prospettiva di realismo storico, sembra voler concludere Tenenti, è possibile assolvere fino in fondo alla missione fichtiana del dotto. S.S. CONVEGNI E SEMINARI Primo piano: lezioni italiane Prendendo ispirazione dalla tradizione anglosassone delle ‘University Lectures’, la Fondazione Sigma-Tau, in collaborazione con la casa editrice Laterza, ha organizzato a cura di Pino Donghi e Lorena Preta una serie di conferenze, raccolte sotto il titolo di Lezioni italiane, che hanno affrontato temi di attualità scientifica e culturale. Condotte nella forma di brevi corsi universitari della durata di due o tre giorni consecutivi, le conferenze avevano l’intento di proporre un laboratorio permanente di riflessione sulle tendenze che i movimenti culturali e il progresso delle scienze vanno delineando per i prossimi anni. Soprattutto si è voluto tentare di gettare un ponte che colmasse la separazione tra cultura scientifica e umanistica. E affinché questo ponte fosse in seguito percorribile e ripercorribile più volte, i testi delle varie conferenze sono stati raccolti, interamente o in parte, in una serie di volumi dall’editore Laterza. Di questa serie di conferenze vogliamo qui segnalare quelle che più direttamente hanno investito il mondo della filosofia. Ci riferiamo alle lezioni di John David Barrow, PERCHÉ IL MONDO È MATEMATICO? (11-13 dicembre 1991, Università degli Studi di Milano), di Francisco Varela, UN KNOW-HOW PER L’ETICA (16-18 dicembre 1991, Università degli Studi di Bologna), di Ilya Prigogine, LE LEGGI DEL CAOS (febbraio 1992, Università degli Studi di Milano), di Hilary Putnam, IL PRAGMATISMO: UNA QUESTIONE APERTA (24-26 aprile 1992, Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’), di Aldo Giorgio Gargani, IL TESTO DEL TEMPO (7-9 aprile 1992, Università degli Studi di Milano ). Presentato all’Università di Milano da Giulio Giorello, John David Barrow, docente di astronomia all’Università del Sussex, già noto al pubblico italiano con il volume: Il mondo dentro il mondo (Adelphi, Milano 1991) ha indagato il problema dei fondamenti di validità della moderna impresa scientifica, riprendendo motivi del suo ultimo libro, Theories of Everything. The Quest for Ultimate Explanation (Teorie del tutto. La ricerca di una spiegazione ultima, Oxford UP, Oxford 1991), di prossima traduzione preso la casa editrice Adelphi. Perché i modelli offerti dalle teorie scientifiche si rivelano adatti al mondo nel quale viviamo? Esiste una corrispondenza certa tra mondo matematico e mondo fisico? Questi i principali interrogativi a cui Barrow ha cercato di dare una risposta, affrontando innanzitutto dal punto di vista storico il problema dei fondamenti della scienza moderna. Dapprima è stata presa in esame l’evoluzione di un primitivo metodo di conta da strumento utile alla vita quotidiana e strettamente legato alle esigenze di questa (controllo del numero di pecore in un gregge, ecc.) a sistema di numerazione autonomo, astratto e fecondo come quello matematico odierno (parente di sistemi già sofisticati come quello Maya o Babilonese); un’evoluzione resa possibile grazie alla “scoperta” e all’introduzione di tre fattori: la base di conta, il sistema posizionale e l’invenzione dello zero. Sul problema della validità delle rappresentazioni matematiche si sono scontrati pensatori appartenenti a differenti radici culturali, dando vita a scuole di pensiero che hanno contribuito ad analizzare in profondità il problema. E’ stato questo il secondo argomento affrontato da Barrow, che ha esposto la posizione delle scuole di pensiero nate a partire dalla seconda metà del XIX sec.: formalismo, costruttivismo, platonismo, empirismo. Da queste dispute è scaturito un risultato fondamentale per la comprensione delle capacità e della validità di un sistema matematico: il teorema di incompletezza di Gödel (1930-31), secondo il quale non è possibile stabilire la verità di qualsiasi proposizione appartenente ad un sistema assiomatico consistente, abbastanza ampio da contenere anche l’aritmetica. In pratica: in un sistema di questo tipo vi saranno sempre una o più proposizioni, la cui verità sarà indecidibile, con la conseguente presa di coscienza dell’impossibilità di poter affrontare e risolvere tutti i problemi insiti nel sistema. Un risultato del genere sembrerebbe mettere a tacere ogni disputa sulla validità dell’uso della matematica nelle descrizioni della realtà. Ma la fiducia riposta da Barrow nella validità del linguaggio matematico si basa sulla sua obiettività, comprovata dalla sua regolarità, dalla sua capacità autoproduttiva, dal proliferare di molteplici scoperte; e si basa inoltre sulle relazioni tra mondo matematico e mondo fisico, che permangono feconde. Barrow ha mostrato il rapporto simbiotico esistente tra le due discipline: è il caso, ad esempio, di come la teoria dei tensori e le geometrie non euclidee abbiano permesso la nascita della Relatività Generale; o di come, viceversa, dagli studi sull’ottica siano nate le serie di Fourier. Il ruolo rilevante della matematica nel mondo scientifico è stato ulteriormente messo in evidenza da Barrow in riferimen54 to alla situazione attuale della ricerca teorica in fisica, impegnata nella formulazione della “teoria dell’uno”, la grande teoria unificatrice, che al di là delle diverse separate correnti teoriche dovrebbe riunire in un unico modello l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Di fatto il teorema di Godel impedisce ad un sistema formale di dare prova della propria verità, ma non di provare verità di complessità inferiore a quella del sistema stesso. La matematica è uno strumento del nostro cervello, che a sua volta è il risultato di un evoluzione durata milioni di anni: la nostra capacità di operare semplificazioni del mondo circostante è stata plasmata e corretta dalla selezione naturale; la complessità del nostro cervello si è accresciuta tanto da poter comprendere in maniera soddisfacente la realtà e di poterla rappresentare esaurientemente tramite descrizioni matematiche. Se ciò non fosse vero, avremmo solamente una serie di sequenze casuali di dati. Al contrario, il mondo sembra algoritmicamente comprimibile e la scienza esiste grazie a ciò. A questo proposito, fa notare Barrow, i risultati ottenuti dalla scienza parlano chiaro: siamo arrivati al punto in cui possiamo disporre di funzioni d’onda dell’intero universo; descriverne lo stato in ogni direzione spazio-temporale; porre questioni di ordine teologico con strumenti scientifici e indagare sulla prima natura dell’universo. Tutto ciò conferma il ruolo importantissimo della matematica e soprattutto della sua figlia prediletta: l’elaborazione al calcolatore. La natura è dunque per Barrow un grande libro scritto in un linguaggio codificato, ma accessibile ad un buon compressore algoritmico, un organo in grado di semplificare senza perdita di informazione rilevante le sequenze di codici naturali; questo compressore è il nostro cervello. Ciò giustifica la nostra fiducia nelle teorie scientifiche, rendendoci accessibile l’idea di un progressivo avvicinamento a una verità comprensibile. In tal senso è fondamentale per Barrow la simulazione all’elaboratore elettronico: la produzione della realtà virtuale. Alla base di questa fiducia nelle possibilità della scienza vi è un principio esposto da Barrow nel volume The anthropic Cosmological Principle (Il principio antropico cosmologico, Oxford UP, Oxford 1986, 1988, 1989), scritto in collaborazione con Franck J. Tipler, nel quale viene descritto esplicitamente il “principio antropico” che giustifica la presenza dell’uomo nell’universo come conseguenza necessaria di una serie di variabili d’ingresso. L’organizzazione dell’universo e la vita come-noi-laconosciamo implicano la presenza di un’intelligenza cosciente e capace di comprendere tutto ciò che la circonda in maniera soddisfacente: il creato necessita di un pubblico! La matematica è lo strumento adatto per questa descrizione dell’universo, perché è il linguaggio in base al quale il nostro cervello, a seguito di millenni di evoluzio- CONVEGNI E SEMINARI ne selettiva, codifica le esperienze fisiche. Dare fiducia alle rappresentazioni matematiche significa dunque considerare una possibile immagine computazionale dell’universo, come è rappresentato virtualmente: non più supremazia delle leggi simmetriche, né continuità di un substrato spazio-temporale, ma l’abbandono dell’illusoria concezione di universo simmetrico e l’adozione di una base discreta: un universo discontinuo, afferrabile gradatamente attraverso schematismi matematici che non hanno comunque la presunzione di inglobare l’essenza della vita, ma solamente la funzione di comprendere i problemi che di volta in volta compaiono. M.P. Nelle sue tre lezioni all’Università di Bologna, con la presentazione di Paolo Fabbri, il biologo ed epistemologo cileno Francisco Varela ha sostanzialmente presentato le posizioni di fondo a cui egli perviene, insieme a Eleanor Rosch e Evan Thompson, nel suo ultimo libro, The embodied mind (MIT Press, Londra 1991, in corso di traduzione presso l’editore Feltrinelli di Milano), aggiungendovi però alcune importanti estensioni. È Ormai da oltre un quarantennio che si è andata coagulando intorno al problema dell’intelligenza artificiale quella disciplina nota ai più come scienza cognitiva. Il problema di formulare un modello soddisfacente della mente umana e dei suoi meccanismi d’apprendimento è vecchio forse quanto il pensiero stesso dell’uomo, ma le esigenze sempre imperative e pressanti dell’industria e della ricerca tecnologica hanno sicuramente favorito un’impennata negli sforzi dedicati a questo problema. Un dibattito classico dell’area cognitivista è quello sorto, più di dieci anni fa, fra il filosofo americano John Searle e chi a lui si contrapponeva con la cosiddetta ipotesi forte dell’intelligenza artificiale, ovvero che l’intelligenza fosse essenzialmente sistemica, in senso stretto, e algoritmica, e dunque riproducibile in sistemi strutturalmente analoghi al cervello umano, ma materialmente molto dissimili, quali sono appunto i computer. Benché anche altri, prima di lui, avessero sollevato il limite dell’approccio computazionalista, Searle fu il primo a farlo pubblicamente e da una posizione di specialista della materia. I suoi argomenti si basavano sulla necessità di tener conto della struttura biologica del cervello, degli scambi ormonali che si verificano nel corso del passaggio di informazione lungo il sistema nervoso: una considerazione dell’uomo, questa, come individuo fisiologicamente inscindibile nelle sue parti. Inoltre Searle fu uno dei primi a far intravedere la possibilità di recupero di argomenti fenomenologici accanto alla vecchia impostazione razionalistica, sottolineando l’importanza dell’atto cognitivo come atto intenzionale. All’interno di questa nuova corrente di pensiero che anima il dibattito contemporaneo sia nella riflessione cognitivista, sia nella ricerca tecnologica attiva in ambito di intelligenza artificiale, Varela opera brillantemente da circa un ventennio. Biologo di formazione, compie insieme a Humberto Maturana, i fondamentali studi sulla visione nelle rane, da cui i due scienziati trassero spunto per formulare quella che molti hanno acclamato come la nuova cibernetica, ovvero la teoria dei sistemi autopoietici, o auto-organizzati. Questa nuova metodologia concettuale ha infatti trovato altrettanti sbocchi in altre discipline di quanti non ne ebbe la cibernetica wieneriana negli anni cinquanta. Dalla biologia alla sociologia delle organizzazioni, dall’economia alla filosofia della scienza in generale, il concetto di sistema autopoietico è ormai strumento consueto. Ma l’applicazione più immediata fu, naturalmente, quella in ambito cognitivista; applicazione portata a compimento, tra gli altri, dallo stesso Varela. Come si può arguire dal titolo stesso delle conferenze, Varela pone le basi del suo discorso sull’etica nella distinzione tra i due termini, know-how e know-what, che starebbero poi ad indicare i due diversi atteggiamenti di utilizzo delle nostre capacità e conoscenze. Per definire i due termini, è esplicito il riferimento di Varela al dibattito cognitivista, di cui si diceva sopra, che vede contrapposti da un lato coloro che concepiscono l’agire umano come una interminabile sequenza di impostazione di spazi problemici e di ricerca algoritmica delle soluzioni, dall’altro coloro che non si esimono dal far proprio il vocabolario husserliano, o addirittura heideggeriano, parlando di intenzionalità, di globalità dell’esperienza esistenziale, di gettatezza dell’esserci, di deiezione; il tutto pur sempre, beninteso, in un’ottica implementativa di realizzazione tecnologica. Oltre alle due tradizioni occidentali kantiana e hegeliana, nel suo discorso sull’etica Varela fa riferimento anche a tre delle più importanti tradizioni di pensiero orientali: Confucianesimo, Taoismo e Buddismo. Particolari sono state alcune citazioni dal Meng-tzu, il Libro di Mencio, uno dei primi testi confuciani. Dunque quello che ci propone Varela è di recuperare la vecchia figura del saggio, come colui il quale sa essere buono, agisce secondo il proprio know-how, in maniera immediata e spontanea, e non perché ha appreso, nel vivere in società, alcune regole di comportamento. In pratica tutti noi siamo degli ethical experts e non abbiamo bisogno di sottoporci ad alcun tipo di training per imparare a comportarsi eticamente. Il discorso di Varela rimane tuttavia condizionato da citazioni e categorizzazioni prese a prestito dal mondo della biologia, dell’epistemologia, e lo sfondo teorico resta pur sempre quello di una particolare “filosofia della mente”, che egli tenta di estendere anche a campi non tecnicamente 55 attigui, come quello appunto dell’etica. Un’operazione che gli riesce senz’altro e che, anzi, gli permette di fare anche delle previsioni sul futuro della scienza e della filosofia: alcuni concetti, sorti o comunque utilizzati in maniera nuova nell’enorme area di ricerca dell’intelligenza artificiale, sembrano destinati a entrare nel comune vocabolario filosofico, suggerendo nuove strutture concettuali per ogni disciplina che si riveli abbastanza ricettiva. G.B. La scissione ricorrente tra ricerca scientifica attiva e riflessione filosofica sembra sfumare del tutto di fronte al lavoro di scienziati come il chimico belga Ilya Prigogine, vincitore del premio “Nobel” per la chimica nel 1977 e autore di studi importanti sui sistemi dissipativi, nonché di ricerche originali in campo biologico. Di questi studi, i più importanti sono già noti in Italia, come La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza (1981, in collaborazione con I. Stengers) e Le strutture dissipative (1982, in collaborazione con G. Nicolis); recentemente sono apparsi: La complessità. Esplorazioni nei nuovi campi della scienza (Einaudi, Torino 1991, in collaborazione con G. Nicolis) e La nascita del tempo (Bompiani, Milano 1992). Ilya Prigogine è stato ospite all’Università di Milano, presentato da Giulio Giorello, per una serie di lezioni in cui è stata affrontata la situazione odierna della scienza di fronte a certi problemi che sembrano minacciarne la potenza esplicativa, come le leggi del caos o l’origine dell’universo. Prigogine ha difeso un concetto di scienza come “scienza del divenire”, da contrapporre a una vetusta idea di ipotesi scientifica, non più in grado, ormai, di affrontare i problemi che le nuove frontiere tecnologiche pongono necessariamente. Questa “nuova” scienza «non è una nuova “visione del mondo”, separata dalle sue radici, che si imponga come una verità rivelata.» E’ piuttosto una lunga e complessa costruzione di un linguaggio, di nuovi modi di pensare, è «la costruzione di una coerenza tra la realtà che viviamo e ciò che siamo in grado di pensare...», da sostituire alle lenti cognitivistiche, divenute ormai obsolete, con cui finora abbiamo guardato al realtà. Ma quali sono gli aspetti della realtà che le vecchie lenti distorgono o non ci mostrano in modo adeguato? Per Prigogine è la realtà stessa dell’universo, il suo aspetto sempre evolutivo, il carattere costitutivo dei processi instabili di non-equilibrio, l’irreversibilità del tempo. Una solida base di studio per la comprensione e la risoluzione di questi problemi, ha osservato Prigogine, è costituita dalla cosiddetta casual dynamics (o subdynamics), che consiste nello studio di quei fenomeni che pur svolgendosi lontani da una situazione di equilibrio conducono a stati di ordine tramite processi di fluttuazione, strutture dissipative, solitamente non analizzate e invece «fonda- CONVEGNI E SEMINARI mentali per comprendere la coerenza e l’organizzazione del mondo di non-equilibrio nel quale siamo inseriti.» Un esempio di questa capacità della materia di organizzarsi in strutture nuove grazie all’applicazione di forze in situazioni caotiche sono i cosiddetti “vortici di Bernard”, piccoli movimenti odinati delle molecole di un fluido, dovuti alla variazione di temperatura a cui viene sottoposto il liquido. Situazioni come queste non sono affatto marginali, come potrebbe sembrare, ma chiamano in causa un concetto di fluttuazione e di processo non-lineare. Il modello astrofisico condiviso da Prigogine è quello proposto dal fisico E. Tyron negli anni Settanta e conosciuto col nome di “modello free lunch”, secondo cui la nascita dell’universo presuppone il Nulla all’origine e una “gratuita”, spontanea fluttuazione del vuoto come “movimento” iniziale: l’essere dal non-essere. L’idea può essere ricondotta al modello dell’universo di Minkowski e può essere resa visibilmente in riferimento al processo di cristallizzazione di un liquido sopraffuso. Una tale interazione tra vuoto quantistico e materia stravolge anche l’antica interpretazione di entropia. Non è più veritiero, infatti, associare a trasformazioni irreversibili un valore crescente di entropia; sembra invece che sia possibile parlare di un «nuovo principio di equivalenza tra materia ed entropia.» L’aumento di entropia non simboleggerebbe più il costo che si deve pagare, in termini di energia, per avere un qualunque tipo di organizzazione all’interno di un sistema; anzi, talvolta, l’aumento del disordine delle componenti del sistema può portare a nuove situazioni stabili. La scienza dovrebbe in tal senso essere consapevole del suo carattere primariamente probabilistico, non certo dovuto a questioni di minore o maggiore conoscenza, né a una qualsivoglia approssimazione. Il probabilismo, osserva Prigogine, è una qualità necessaria della struttura dell’universo; è strettamente legato al concetto di asimmetria temporale e al secondo principio della termodinamica, il principio di “degradazione dell’energia”, a cui è connesso un accrescimento di entropia, considerato come “fatto fisico fondamentale”. Lo spazio-tempo di einsteiniana memoria era una costruzione simmetrica coniforme, con un osservatore posto nel vertice: nel presente. L’osservatore non era un elemento attivo nei coni di luce, non modificava la visione del passato, né influenzava la struttura del futuro. Ebbene, la rottura della simmetria temporale genera un osservatore per il quale il futuro non è più esattamente speculare al passato: da qui l’irreversibilità di ogni processo fisico e cognitivo, garante dell’esistenza delle strutture dissipative e del loro funzionamento. La nuova scienza non può più prevedere con esattezza l’evento, semplicemente perché una tale previsione non è possibile. John D. Barrow, Aldo Giorgio Gargani Hylary Putnam Ilya Prigogine, Francisco Varela 56 CONVEGNI E SEMINARI La fisica sembra essersi resa conto di questa situazione in alcune sue creazioni più recenti, come le leggi del caos. Alcuni dei risultati di questo nuovo ramo della scienza, ha mostrato Prigogine, indicano come sia naturale il formarsi di strutture ordinate, perfettamente organizzate e dunque disentropiche, a partire, proprio, da situazioni caotiche e disordinate. Questo, secondo Prigogine, dovrebbe portare a una riconsiderazione della teoria scientifica, che dovrebbe rendere palese il fallimento delle concezioni classiche della scienza di carattere deterministico, atemporale e che proprio per questo non colgono quello che caratterizza l’evento fisico: la casualità e la sua storia. L’alternativa presa in esame da Prigogine è quella delle scienze umane, molto più attente al singolo evento, molto più fedeli nel descriverlo, appunto perché ne colgono le mutazioni, l’evoluzione, attraverso schemi che si adattano alla storia del problema e non cercano, viceversa, di costringerlo all’interno di uno schema invariante. Il tempo è qui il concetto fondamentale; solamente considerando il percorso evolutivo di un sistema, si potrà stabilire integralmente la sua conformazione presente, senza correre il rischio di avere a che fare con una statica ed artefatta immagine di esso. Sulla necessità della ricerca di una base culturale comune alle scienze naturali e umane, Prigogine si era già espresso in La nuova alleanza: «Oggi la sfida alla scienza è totale. E' per questo che ci sembra paradossale separare la scienza dalla società [...] Dobbiamo cercare di rendere l’interfaccia tra scienza e società la più fluida possibile [... attraverso] nuovi canali di comunicazione.» Una visione dell’impresa scientifica, questa di Prigogine, che presuppone un’idea di scienza meno forte: la natura stessa di scienza statistica ne definisce i limiti, ma, nello stesso tempo, ne unifica gli ambiti particolari, permettendo una diversa interpretazione dei principii. In quest’ottica il grado d’ordine di un sistema, o il degrado di energia, non è più strettamente legato al concetto di entropia; se in termodinamica, fenomeni ordinati, creatisi da situazioni caotiche, come i vortici di Bernard, denunciano infatti una diminuzione di entropia nel sistema, il sistema ordinato per eccellenza, il nostro universo, sarà, dal punto di vista della “nuova scienza”, un sistema aperto a nuove ipotesi generazionali, come a nuove prospettive di sviluppo futuro. Per quanto riguarda il presente l’immagine offerta da Prigogine sembra essere molto suggestiva: il nostro universo è immerso in un mare di antimateria che funge da serbatoio entropico e permette il crearsi di fenomeni ordinati di carattere disentropico. Il lento morire dell’universo previsto dalla cosmologia classica viene sostituito da una visione nebulosa del futuro, più incerta perché aperta a ogni cambiamento. M.P. Il pragmatismo sembra essere la dottrina più democratica all’interno del panorama filosofico, e sicuramente la più efficace in rapporto all’indagine scientifica; ma proprio per questo il pragmatismo è anche la dottrina che ha più bisogno di referenti esterni per non ricadere nella sua forma anarchica: il relativismo. Da questo punto di vista, sia il pragmatismo di Peirce, sia quello di James non offrono criteri universalmente validi che permettano di scegliere tra varie teorie per la soluzione di un problema; Peirce parla di scelta dipendente dalle conseguenze pratiche ottenibili, quindi quasi di una convalida dell’esperienza, mentre James si affida a un salto di fede kierkegaardiano. Fatto sta che la semplice condizione di coerenza di una teoria non è sufficiente ad assegnarle valore di verità, né è in grado di selezionare la pluralità di visioni e di soluzioni, ugualmente coerenti, esistente per uno stesso problema. Nelle sue lezioni all’Università di Roma con la presentazione di Carlo Cellucci, Emilio Garroni e Eugenio Lecaldano, Hilary Putnam, docente di Logica matematica ad Harvard, già collaboratore di Carnap e Reichembach, si è ricollegato espressamente a questa tradizione ottocentesca, che ancora trova interpreti illustri come Rorty, nel mondo accademico filosofico anglosassone, ed è normalmente adottata nel mondo scientifico. L’intento di Putnam è di individuare quel criterio di scelta interno alla dottrina pragmatista che può conferire una veste filosofica completa al pragmatismo e nello stesso tempo una giustificazione filosofica accettabile al procedere attraverso selezione di “paradigmi” proprio della comunità scientifica. Questa prospettiva di “realismo interno”, come viene definita, è già stata anticipata da Putnam in alcuni scritti, noti anche in Italia: Verità ed etica (1982), Ragione, verità e storia (1985) e il più recente La sfida del realismo (Garzanti, Milano 1991). La posizione di Putnam si contrappone alle dottrine oggettivistiche, denominate dallo stesso Putnam “realismo metafisico”, come quella corrente filosofica che unisce una visione oggettiva, univoca della realtà alla credenza nella possibilità, da parte dell’uomo, di cogliere il mondo in sé senza alcuna interferenza teoretica nella percezione sensoriale. All’interno di questa ampia corrente di pensiero rientra anche, secondo Putnam, l’ambizioso programma dell’intelligenza artificiale di riproduzione algoritmica della capacità di conoscenza propriamente umana sulla base di un’inappropriata concezione di intenzionalità e sull’idea che la nostra organizzazione funzionale mentale sia in fondo riducibile al funzionamento di una macchina di Turing, sia, cioè, riproducibile. Ricollegandosi alle posizioni di James, di Singer e proponendo una lettura pragmatista di Wittgenstein, a partire dalle Ricerche filosofiche e dal trattato Sulla certezza, Putnam dimostra come la posizione del 57 realismo metafisico sia insostenibile: la nostra percezione non è mai immediata, ma intrisa di teoria, di una visione del mondo che si è formata man mano durante la crescita e l’apprendimento, in modo personale perché dipendente dalla nostra esperienza di vita e dal nostro personalissimo modo di “giocare” con lo strumento che ci permette di conoscere: il linguaggio. Lo schema, in parte ripreso da Singer, allievo di James, con cui Putnam critica il realismo metafisico comprende sei punti: 1) la conoscenza dei fatti presuppone la conoscenza delle teorie; 2) la conoscenza delle teorie presuppone la conoscenza dei fatti; 3) la conoscenza dei fatti presuppone la conoscenza dei valori; 4) la conoscenza dei valori presuppone la conoscenza dei fatti; 5) la conoscenza dei fatti presuppone la conoscenza delle interpretazioni; 6) la conoscenza delle interpretazioni presuppone la conoscenza dei fatti. Questo schema è l’antitesi dei protocolli neopositivistici; espone, cioè, l’inscindibile relazione tra ciò che è conoscenza soggettiva e ciò che invece è riconducibile a un qualche grado di oggettività. Allo stesso modo viene dimostrata l’impossibilità di ridurre la nostra conoscenza a una equivalenza tra stati mentali e stati funzionali del cervello, come invece si propone di fare l’intelligenza artificiale, proprio per via dello stretto legame che intercorre tra valutazioni etiche e cognitive. In questo la posizione di Putnam non sembra differire da quella di Rorty, altra figura di spicco del pragmatismo anglosassone, secondo il quale una qualunque produzione teorica è giustificabile per il fatto di essere stata concepita in relazione alle concezioni vigenti in un determinato ambito culturale. In realtà per Putnam, se non si può affermare che ci sia un criterio di scelta universale, si può comunque ammettere una direzione prioritaria nella quale vanno le scelte fondamentali dell’esistenza umana. In questo Putnam si richiama a Kant: l’idea che la natura sia governata da leggi non è una convinzione propria della ragione teoretica, ma è figlia della ragion pratica. La filosofia kantiana contempla l’esistenza di diverse e interdipendenti visioni corrette del mondo, guidate e selezionate nel loro evolversi dall’azione della ragion pratica: quest’azione è ciò che determina la caratteristica fondamentale del “realismo interno” di Putnam. Queste considerazioni si possono ricollegare allo schema esposto in precedenza. Le interpretazioni, le teorie, i valori risultano strettamente legate ai fatti; questo significa sia che le nostre percezioni sono influenzate dal nostro background culturale ed esistenziale, sia anche che il mondo esterno in sé contribuisce a fornire il materiale che verrà poi analizzato e inglobato nella nostra personale ontologia, e che servirà a determinarne la fisionomia. Non è che sia escluso dalla nostra conoscenza un fattore oggettivo; solo esso non è isolabile, non è CONVEGNII E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI scindibile dal contesto personale nel quale è sito, e ci consente di cogliere lo iato tra le nostre congetture e la verità, ci permette di sentire la nostra vicinanza alla realtà delle cose; è un’intima consapevolezza, che non solo è garante dell’esistenza di fatti indipendenti, ma giustifica un olismo intellettuale invidiabile, che permette una pluralità di descrizioni del mondo ugualmente attendibili, rivalutando anche le forme di conoscenza meno rigorose come l’arte. Questa consapevolezza, nonostante sia esplicitamente dichiarata universalmente valida da Putnam, risulta essere un po’ troppo intima, personale per poter avere il compito selettivo che gli viene attribuito, tanto da non riuscire a spiegare come la storia della conoscenza umana abbia le sue dispute, i suoi errori, il suo progresso poco lineare; rischiando di ricadere nel tanto odiato relativismo. M.P. I tre incontri con Aldo Giorgio Gargani, svoltisi all’Università di Milano con la presentazione di Carlo Sini, sono stati certamente fra i più particolari nell’ambito delle “Lezioni italiane”. Nel suo intervento Gargani ha voluto portare all’attenzione del pubblico, già nella struttura delle sue conferenze, il tema della crisi del filosofare, in una costellazione di citazioni e rimandi concernenti la tradizione analitica anglosassone, così come la cultura tedesca del nostro secolo. Non sono mancate riprese dell’oramai nota critica alla concezione corrispondendistica della verità di certa filosofia anglosassone, proponendo una definizione che intende sradicare la nozione di verità dall’interno delle teorie, rendendola appunto “extra-teorica” e assimilandola ad un atteggiamento nei confronti di un interlocutore, all’interno di un contesto discorsivo. L’accento, così, si è spostato inevitabilmente sulla questione della scrittura: nella scrittura l’argomentare filosofico si può liberare da obiezioni di carattere metafisico; ogni espressione deve articolarsi in rapporto all’intero testo; dall’isolamento dell’espressione non deriva alcuna comprensione; il linguaggio da transitivo, denotativo, diventa intransitivo, è responsabile di se stesso, esprime ciò che esprime e lo fa di proprio pugno, evitando così il tentativo di trovare condizioni di possibilità che siano altro dal linguaggio stesso. Prendendo spunto dalla considerazione di Wittgenstein della dimostrazione matematica non come un insieme di premesse che “causano” le conclusioni, ma come modelli di pratica simbolica, come «una frase musicale da cui usciamo convinti», Gargani ha rilevato come il linguaggio sia dominato da regole e criteri pratici, e non da necessità causali. Si possono di fatto individuare due sfere di utilizzo del linguaggio (e della scrittura in particolare): quella convenzionale, in cui può avere un senso “argomentare”, e quella in cui, invece, si ela- borano nuovi linguaggi, nuove metafore, non giustificabili in senso argomentativo. E’ emerso così un primo abbozzo di risposta alla domanda che ha percorso l’intera serie dei tre incontri: che cosa significhi “fare” filosofia ai giorni nostri. E la risposta, inizialmente, Gargani la prende a prestito da Richard Rorty, esponente di rilievo della corrente cosiddetta post-analitica: la filosofia è una narrazione, un’attività concettuale vicina all’attività poetica, un lavoro di carattere “compositivo” sul linguaggio attraverso la scrittura. Ma bisogna evitare di cadere in teorizzazioni sulla scrittura: questa va avvicinata dal punto di vista del suo evento, assumendola non in termini illuministici, ma come evento imprevedibile portatore di verità, intesa non come oggetto di argomentazione, ma come pratica. La scrittura filosofica è, dunque, narrazione, espressione del luogo dal quale si parla; non più manualità, non più tecnica, ma un atto di coraggio, di rinuncia al possesso, alla sicurezza: scrivere è come cercare, senza sapere cosa andiamo a cercare, con il coraggio di scendere nella profondità di se stessi. La scrittura diviene un teatro di segni coesistenti, ed è questa coesistenza, e non un qualsivoglia fattore causale, che le dà la coerenza. La struttura delle lezioni di Gargani non ha mancato certo di rispecchiare queste premesse “teoriche”. Così, per buona parte di ognuno dei tre incontri, si è trattato di un progressivo avvicinamento alla scrittura che lo stesso Gargani propone con il suo “testo del tempo”. Ampi stralci di questo testo sono stati letti dall’autore: l’impressione che ne è derivata è quella di una filosofia che si protende in modo complesso e problematico verso la letteratura. La si potrebbe forse definire una provocazione, questa di Gargani, volta soprattutto alla filosofia “normale”; ma anche, come qualcuno ha avuto modo di commentare, una provocazione alla letteratura, al quadro di desolante assenza di opere letterarie che riescano a svincolarsi dalla tecnica di scrittura e narrino di “viaggi” nel profondo di noi stessi, che si liberino da stili imposti e logorati dalla tradizione. Così Gargani ha raccontato sé stesso e ha letto questa narrazione di fronte ad un pubblico sorpreso, inoltrandosi attraverso una rivisitazione del suo passato, in cui vengono recuperati ricordi d’infanzia e in particolare la figura paterna, un pittore anarchico il quale, a suo tempo, decise di abbandonare strade già percorse prima ancora d’intraprenderle e dedicarsi infine alla pittura. In questo l’esistenza è assimilata a un teatro, nel quale noi siamo veri e propri attori: il problema è riuscire ad interpretare un ruolo nella scena della verità. La narrazione diventa narrazione di ciò che non si è, di ciò che non si è riusciti ad essere, ed è proprio attraverso la scrittura che si può ora nascere ad una nuova vita. Il testo di Gargani diviene con questo una ricerca di che cosa sia la verità, in luogo di predicarla senza conoscerla. G.B. 58 CALENDARIO CALENDARIO La Casa della Cultura di Milano, nell’ambito della serie d’incontri dedicati alla Filosofia Contemporanea, ha organizzato per il 19 novembre la conferenza di Maurizio Ferraris dal titolo: Derrida e la filosofia; sempre nell’ambito della medesima serie d’incontri, il 26 novembre Mario Vegetti ha tenuto una conferenza sul tema: Platone e noi. In occasione della pubblicazione del libro di Tomás Maldonado: Reale e Virtuale, edito da Feltrinelli, si è svolto il 24 novembre un dibattito sul tema: Reale e virtuale. Rapporto tra mondi reali, mondi virtuali e mondi possibili. Sono intervenuti: Gio- vanni Anceschi, Omar Calabrese, Gillo Dorfles, Corrado Mangione, Ugo Volli. Presente l’autore. ● Informazioni: Casa della Cultura, Via Borgogna 3, 20122 Milano, tel. 02/795567. Organizzata dall’Istituto Ludovico Geymonat per la Filosofia della scienza, la Logica e la Storia della scienza e della tecnica in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, il 30 novembre ha avuto luogo presso il Teatro Franco Parenti una serata in onore di Ludovico Geymonat, dal titolo: Omaggio a Ludovico Geymonat: Scienza, filosofia e vita civile. Sono intervenuti: Giulio Gio- rello, Inge Feltrinelli, Mario Capanna, Francesco Barone, Norberto Bobbio, Felice Burdino, Giò Pomodoro e Giovanna Cavazzoni. Nell’occasione è stato presentato il volume: Omaggio a Ludovico Geymonat, edito da Franco Muzzio. ● Informazioni: Il Salone della Via Pier Lombardo 14, 20135 Milano, tel. 02/55184075. Il 3 dicembre, nella “Sala Ripetta” della residenza Ripetta (Via di Ripetta 231, Roma), la Fondazione Ugo Spirito ha presentato il terzo volume (1991) degli Annali della Fondazione Ugo Spirito. Sono intervenuti: Bruno Bottai, Gaetano Calabrò, Renzo De Felice, Gaetano Rasi, Vincenzo Saba. ● Informazioni: Fondazione Ugo Spirito, Via Genova 24, Roma, tel. 06/4743779. 59 CALENDARIO Organizzato dalla Fondazione Rosselli, ha avuto luogo nei giorni 3-4-5 dicembre un Convegno Internazionale dal titolo: What is Left? Il futuro della sinistra democratica in Europa . Gli interventi sono stati rag- gruppati in ambiti tematici: “L’eredità e il futuro della sinistra europea”, con interventi di J. Dunn, S. N. Eisenstadt, P. Flores d’Arcais, L. Pellicani, U. Ranieri, G. E. Rusconi, M. L. Salvadori; “I dilemmi della libertà e della giustizia”, con interventi di M. Walzer, T. Giddens, A. E. Galeotti, B. K. Paz, N. Urbinati, S. Veca, S. Zamagni; “I diritti politici e sociali della cittadinanza in Europa”, con interventi di P. Flora, G. Zincone, G. Esping Andersen, M. Fedele, M. Ferrara, F. Forte, E. Granaglia; “La democrazia economica e le nuove relazioni industriali”, con interventi di G. Giungi, A. Michnik, A. Accornero, F. Cavazzuti, G. Gazzola, I. Cipolletta, M. Regini, T. Treu, A. Martinelli. Ha concluso il convegno una tavola rotonda sul tema: “Quale futuro per la sinistra italiana?”, con interventi di S. Vertone, A. Barbera, G. Bodrato, G. Giugni, A. Manzella, M. Pannella ● Informazioni: Fondazione Rosselli, Torino, tel. 011/5622510. La Casa del Popolo S.M.S. di Rifredi ha organizzato un Convegno dal titolo: Individuo e Insurrezione, che si è svolto dal 12 al 13 dicembre con relazioni di Giorgio Penzo: “Max Stirner. La rivolta esistenziale”; Roberto Escobar: “L’uomo in rivolta: da Stirner a Camus”; Ferruccio Andolfi: “L’essenza umana: Stirner e i suoi contemporanei”; Sandro Galli: “Ricomincio da uno”; Enrico Ferri: “Dimensioni della rivolta in Max Stirner”; Carmine Mangone: “L’individuo e il governo sociale della ‘mancanza’ “; Franco DiSabantonio: “Stirner e l’anarchismo”; Antimo Negri: “Marx legge Stirner”; Alfredo Maria Bonanno: “Individualismo e comunismo. Una realtà e due falsi problemi”; Guido Durante: “La scuola in fiamme: riflessioni su ‘il falso principio della nostra educazione’”; Fabio Bazzani: “Stirner come segno della cesura nel paradigma della ragione moderna”; Massimo Passamani: “L’utilizzazione reciproca: relazionalità e rivolta in Max Stirner”; Pier Leone Porcu: “Il naufragio dell’esistere”. ● Informazioni: Libera Associazione di Studi Anarchici, Via Mascarella 24/b, Bologna, tel. 051/266445. Il 14 e 15 dicembre ha avuto luogo un ciclo di lezioni su Brain and Cognitive Processes, organizzato dal Centro Internazionale di Studi Semiotici e Cognitivi dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino. Queste le relazioni: Jerry A. Fodor, “Cognitive Science: Where are we, haw did we get here, and what happens next?”; Gerald M. Edelman, “Neural Darwinism: Population Thinking and Psycological Theory”; Tavola Rotonda con interventi di Beatrice De Gelder, Riccardo Luccio, Luciano Mecacci, Jean Petitot, Massimo Piattelli Palmarini e Zenon Pylyshyn. ● Informazioni: Università di San Marino - Contrada Omerelli 77, 47031 San Marino, tel. 0549/882516. Organizzato dal Centro Culturale della Fondazione San Carlo di Modena per il periodo novembre 1992-maggio 1993, il ciclo di lezioni: Questioni del tradurre: traducibilità e intraducibilità di linguaggi, culture e forme di vita, prosegue secondo il seguente calendario: 4 dicembre, Simona Argentini: “Gli scrittori in lingua non materna”; 22 gennaio, Diego Marconi: “Problemi filosofici della traduzione radicale”; 5 febbraio, Alessandro Pizzorno: “La spiegazione sociale come traduzione”; 19 febbraio, Goffredo Bartocci: “L’inconscio dell’altro”; 5 marzo, Alessandro Simonicca: “Forme di vita e culture”; 19 marzo, Steven Lukes: “Razionalità e relativismo”; 21 maggio, Clifford Geertz: “Riflessioni sullo studio della cultura”. Organizzato invece dal Centro Studi Religiosi della Fondazione San Carlo, il ciclo di lezioni: I paesaggi del sacro, ha il seguente svolgimento: 10 dicembre, Giuseppe Barbaglio: “La desacralizzazione dello spazio nella Bibbia”; 21 gennaio, Pierangelo Sequeri: “L’inferno e il paradiso”; 4 febbraio, Filippo Gentiloni: “L’Europa della ‘Nuova Evangelizzazione’”; 18 febbraio, Aldo Natale Terrini: “Tra vecchi e nuovi paradisi”; 25 febbraio, Franco La Cecla: “La sacralità del guard-rail”; 11 marzo, Paolo Ricca: “Né sul Garizim né a Gerusalemme”. Nell’ambito del seminario di studio dal titolo: Emile Durkheim: Società, sacro, individuo, tenutosi da ottobre a dicembre con interventi di Massimo Borlandi, Realino Marra, Sandro Nannini e Francois Chazel, il 16 dicembre Francois Chazel, docente di Sociologia presso l’Università Sorbona di Parigi, ha tenuto una lezione pubblica conclusiva sul tema: 23 marzo, “Eros trionfante e censurato. I ‘gioielli indiscreti’ e ‘La monaca’ di Diderot”; 30 marzo, “La morte e la calma degli dei. ‘Il cimitero marino’ di Paul Valery”; 6 febbraio, “Nella mia fine è il mio principio. ‘I quattro quartetti’ di T. S. Eliot”. ● Informazioni: La ‘Casa Zoiosa’, C.so di Porta Nuova 34, 20121 Milano, tel. 02/6551813. W. Fesser, G. Tembrock, R. Riedl, D. Ploog), “Comunicazione e individuo” (fra gli altri, I. V. Eibl-Eibesfeldt), “Uomo e natura nel processo comunicativo” (J. Götschel, E. Oeser). ● Informazioni: Frank Naumann, Interdisziplinäres Institut für Wissenschaftsphilosophie und Humanontogenese, Humboldt-Universität, Am Kupfergraben 5, D-O-1086 Berlin. Il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con il Goethe-Institut di Milano, ha in programma un ciclo di lezioni dal titolo: La Filosofia in Germania Oggi. Questo il calendario delle conferenze: 17 febbraio, Günther Patzig: “La filosofia analitica”; 23 marzo, Hans Michael Baumgartner: “La filosofia trascendentale”; 21 aprile, Odo Marquard: “Il Postmoderno”. ● Informazioni: Goethe Institut, Via S. Paolo 10, Milano, tel. 02/76005571; Università degli Studi, Via Festa del Perdono 7, Milano, tel. 02/809431. Dal 3 al 5 marzo 1993 si terrà a Jena il convegno annuale della Deutsche Gesellschaft für Sprachwissenschaft sul tema: Sprachvariation und Sprachgeschichte. ● Informazioni: Rudolf Emons, Innstr. 40, D-8390 Passau. Nell’ambito dei “Lunedì Letterari: incontri alla scoperta del nuovo umanesimo”, organizzati dall’Associazione Culturale Italiana presso il Teatro Franco Parenti di Milano, il 18 gennaio Remo Bodei presenta una relazione sul tema: La ragione delle passioni; il 22 febbraio Vassilis Vassilikos terrà una conferenza dal titolo: Il nostro avvenire: i presocratici; il 22 marzo, è in programma una conferenza di Dennis W. Sciama dal titolo: L’origine dell’Universo. ● Informazioni: A.C.I., Via Po 39, 10124 Torino, tel. 011/831638. Dal 17 al 19 marzo si terrà a Padova un seminario internazionale su: Ontologia formale nell’analisi concettuale e nella rappresentazione della conoscenza. Il seminario met- terà a contatto filosofi che lavorano nella tradizione di Brentano e Husserl con quelli che si occupano di “knowledge representation” e “lexical semantics”. Sono stati invitati a parlare N. Cocchiarella, T. Gruber, P. Hayes, J. Hobbs, G. Link, J. Petitott, P. Simons, B. Smith e J. Sowa. Il numero dei partecipanti è limitato a 45 persone. Gli interessati possono inviare un prospetto del proprio intervento (massimo dieci cartelle A4). ● Informazioni: Nicola Guarino, LADSEB-NR, Corso Stati Uniti 4, I35020, Padova. Emile Durkheim: apparente inattualità e nuove letture. ● Informazioni: Collegio San Carlo, Via San Carlo 5, Modena, tel. 059/ 222315. Nell’ambito delle attività culturali della Centro Culturale “Casa Zoiosa” di Milano, Giuseppe Rizzardi ha tenuto, a partire dal 2 dicembre, tre incontri sul tema: L’io e la Trascendenza (spiritualità induista), l’io e il Sé (spiritualità buddhista), l’io e il Creatore (spiritualità islamica). Dal 3 al 5 marzo avrà luogo la III Conferenza Internazionale Berlinese sul tema: Comunicazione e ontogenesi umana, organizzata dall’Interdisziplinäres Institut für Wissenschaftsphilosophie und Humangenetik della Humboldt-Universität di Berlino e dal gruppo di ricerca “Biopsychosoziale Einheit Mensch” ad esso collegato. Sono previste sezioni su: “Presupposti della comunicazione umana” (interventi fra gli altri di K.- Il 17 dicembre, Emanuele Severino ha tenuto una conferenza su: L’uomo e la gioia . A partire dal 19 gennaio, ogni martedì, avranno luogo quattro incontri con Francesco Moiso su: La filosofia della natura da Rousseau a Nietzsche. Dal 23 marzo, ogni martedì, Elio Franzini terrà una serie di tre incontri sul tema: Le parole e l’arte; questi i titoli delle relazioni: 60 Dal 10 al 12 marzo 1993 la Hochschule für Philosophie di Monaco di Baviera terrà un simposio sul tema: L’uomo e il suo bisogno di assoluto, a cui parteciperanno anche filoso- fi russi. Terranno relazioni, tra gli altri: Haeffner (München), v. Kutschera (Augsburg), Ricken (München), Splett (Frankfurt), Wenzler (Freiburg) e Gusejnow (Mosca), Michailow (Minsk), Motroschilowa (Mosca). ● Informazioni: Hochschule für Philosophie, Sekretariat, Kaulbachstr. 33, D-8000 München 22, tel. (089) 2386-2310. L’Istituto di Filosofia e Storia della Filosofia della Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Bari organizza il giorno 19 gennaio, presso Palazzo Ateneo di Bari, una tavola rotonda sul tema: La memoria e l’occidente, a cui partecipano Davide Bigalli, Giorgio Cerboni Baiardi, Enrico Rambaldi, Paolo Rossi, Fulvio Tessitore. Occasione di dibattito è il recente volume di Paolo Rossi, Il passato, la memoria, l’oblio (Il Mulino, Bologna 1991). ● Informazioni: Istituto di Filosofia e Storia della Filosofia, Facoltà di Magistero, Bari. L’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con l’ISU di Milano, organizza presso la Sala Incontri ISU, il giorno 20 gennaio 1993, in occasione dell’edizione italiana del volume di Nicholas Rescher, Il conflitto dei sistemi (Marietti Genova 1993) una tavola rotonda dal titolo: L’interconnessione sistemica degli argomenti filosodfici., a cui partecipano, oltre all’autore, Carlo Sini, Carlo Penco, Michele Marsonet, Andrea Bottani. ● Informazioni: ISU, Istituto per il Diritto allo Studio Universitario, C.so di Porta Romana 19, Milano. DIDATTICA DIDATTICA a cura di Riccardo Lazzari Prospettive di metodologia filosofica In Francia, la riflessione sul metodo, sulle tecniche di apprendimento e di insegnamento, appartiene costitutivamente alla pratica della filosofia. Non sorprende allora che due docenti di filosofia presso le Università di Rennes I e di Bourgogne, Dominique Folscheid e Jean-Jacques Wunenburger, abbiano dedicato uno specifico studio alla metodologia filosofica, MÉTODOLOGIE PHILOSOPHIQUE (Metodologia filosofica, PUF, Paris 1992), affrontando in modo sistematico i principali problemi di metodo relativi sia alla lettura e interpretazione dei testi filosofici, sia all’argomentazione scritta con cui solitamente si trova a confrontarsi lo studente di filosofia. Métodologie philosophique nasce dalla collaborazione fra Dominique Folscheid e Jean-Jacques Wunenburger, docenti universitari di filosofia, e dal contributo di Philippe Choulet, insegnante nelle classi preparatorie alle grandes écoles. L’opera vuole anzitutto essere una sistematizzazione delle tecniche intellettuali alle quali lo studente è già stato abituato durante l’insegnamento della filosofia nelle scuole secondarie. Poiché tale insegnamento in Francia è relegato essenzialmente all’ultimo anno, lo studente che ha sostenuto il “baccalaureato” (l’esame corrispondente alla nostra “maturità”) è in possesso soltanto di una sorta di iniziazione generale alla filosofia, che resta ben lontana dalle esigenze di un approfondimento universitario di questa disciplina. Métodologie philosophique si rivolge pertanto agli studenti che si accingono ad intraprendere il ciclo universitario o a frequentare le classi preparatorie che danno accesso alle grandes écoles. La struttura del libro, che si articola attraverso sezioni più propriamente teoriche e capitoli dedicati alle applicazioni e agli esercizi, appare in larga parte finalizzata allo scopo di aiutare lo studente ad affrontare le classiche prove d’esame e di concorso, costituite dalla dissertation scritta e dalla prova specificamente orale. Non si è trattato però, specificano gli auto- ri, di fornire un insieme di tecniche generali dell’apprendimento, al solo scopo di facilitare il lavoro dello studente e la sua preparazione agli esami, poiché diversamente «in filosofia non si possono acquisire dei metodi di lavoro se non si comprende già che il metodo è inerente alla filosofia stessa», sicché elaborare una metodologia significa già fare filosofia ed entrare nel merito delle esigenze speculative che contraddistinguono la filosofia. Gli autori sottolineano inoltre che non esiste un unico metodo, valido in tutti i casi e per tutti gli usi, e che dunque non è possibile approntare uno strumento didattico capace di prevedere tutte le difficoltà che lo studente incontrerà nel suo studio della disciplina. Anziché dispensare lo studente del primo ciclo universitario da ogni sforzo d’invenzione e di adattamento, una volta che questi si troverà da solo dinanzi ad un esercizio filosofico, questo strumento per l’apprendimento della filosofia intende invece avviarlo a filosofare, vale a dire non solo a porsi in rapporto con una o più filosofie anteriori, ma anche ad esercitarsi a formulare e a risolvere problemi. La prima parte dell’opera è dedicata al testo filosofico ed affronta i problemi relativi alla lettura, alla spiegazione e al commento dei testi secondo un approccio di analisi progressiva dei diversi livelli di difficoltà. Per fare un esempio: il capitolo sulla spiegazione del testo si articola a partire da una chiarificazione di ciò che non è una spiegazione, distinguendo quest’ultima dal commento, dalla parafrasi e dalla disamina letterale e minuziosa del testo, per poi passare ad una chiarificazione di ciò in cui essa positivamente consiste e delle tecniche che consentono di attuarla. Ma la sezione più ricca della prima parte è dedicata alle esercitazioni, dove si esemplifica l’itinerario teorico attraverso applicazioni relative a testi di Cartesio, di Aristotele, di Platone, di Rousseau. La seconda parte dell’opera è dedicata alla dissertazione filosofica. Lungi dal costituire un esercizio scolastico di routine, la dissertation diventa per gli autori l’occasione privilegiata per un pensiero in formazione di mettersi alla prova, di mettersi in gioco assumendo dei rischi, operando delle scelte e formulando delle conclusio61 ni, per quanto provvisorie ed ipotetiche. Nel campo della filosofia essa non può prescindere da una cultura propriamente storica, intesa tuttavia non come un repertorio steoreotipato di soluzioni, ma come «materia prima» per un pensiero vivente e capace di confrontarsi con i diversi stili dell’argomentazione filosofica. Anche qui, un’ampia sezione è dedicata alle esemplificazioni relative alla produzione di testi scritti. Seguono altre due parti relative alle esercitazioni di tipo orale e agli strumenti di lavoro. Su “Le Monde de l’éducation” (n. 196, sett. 1992) Frédérique Pascal, introducendo un dossier relativo alle prove di filosofia per la sessione di giugno degli esami di baccalaureato, affronta alcuni temi più generali dai titoli: Commencer en philosophie (Cominciare in filosofia), Réussir l’écrit (riuscire nello scritto), L’oral peut payer (L’orale può pagare). Nel primo di questi articoli l’autore, rinviando anche alle prese di posizioni di insegnanti di filosofia comparse sulla rivista “L’école des philosophes” (n. 1, giugno 1991, CRDP de Lille), rileva come abitualmente chi insegna filosofia presenti l’avviamento a questa disciplina come un atto di rottura, destinato a sorprendere e a stupire gli allievi per la radicalità delle sue domande. Più che per un gusto dell’originalità, questo atteggiamento sembra imposto dalla natura stessa della disciplina: il suo insegnamento infatti non può consistere in una semplice trasmissione di contenuti del sapere, ma solo nel fare direttamente filosofia con gli allievi. Secondo Charles Coutel, professore all’IUFM di Lille, la difficoltà nasce dal fatto che «la filosofia non è elementarizzabile». C’è chi ritiene indispensabile partire dall’esperienza diretta di vita e riferirsi ai punti di riferimento che sono famigliari allo studente, per condurlo progressivamente ad acquisire l’attitudine per il discorso filosofico. C’è chi utilizza invece un questionario scritto come primo avvio alle grandi questioni del pensiero filosofico. Qualcun altro imposta il problema di “cominciare in filosofia” in diretto rapporto con la dissertation, con l’argomentazione scritta intorno a un soggetto specifico. M. Rizk, per esempio, ritiene che «l’esercizio della dissertazione DIDATTICA Dominique Folscheid e Jean-Jacques Wunenburger obbedisce a delle regole, senza ridursi peraltro a semplice retorica, e che è così che gli studenti, in un certo modo, faranno un lavoro filosofico». Una serie di altri articoli di Pascal, presente nel dossier, mette a fuoco i problemi interni alla didattica “liceale” della filosofia in Francia, che in larga misura appare condizionata dalla preminenza assegnata alla dissertation scritta, passaggio necessario per ottenere il baccalauréat. Una particolare attenzione è dedicata dall’autore alle modalità rigorose per impostare la prova orale, in modo che essa sia sottratta ad ogni rischio di nozionismo mnemonico. Convegni In collaborazione con l’IRRSAE Lombardia e la Società Filosofica Italiana, l’Associazione “Politeia” ha organizzato a Milano, a partire dal dicembre 1992 fino al marzo 1993, la II edizione del corso di aggiornamento dal titolo: L’INSEGNAMENTO DELL’ETICA NELLA SCUOLA MEDIA SUPERIORE. Il corso ha lo scopo di dotare i docenti di strumentazione analitica e di informazioni per sviluppare nei giovani la consapevolezza del ruolo della valutazione morale nei rapporti personali e sociali. L’idea di fondo è che la cura del ragionamento morale nell’educazione costituisca una solida garanzia che i futuri cittadini sappiano affrontare le questioni pratiche emergenti da società in rapido sviluppo attraverso un costruttivo spirito di ricerca e collaborazione. Il corso, che si rivolge a insegnanti di filosofia, lettere, scienze, diritto, economia e religione, si articola: a) in un corso di base, rivolto a chi si è iscritto per la prima volta al corso; b) in un corso progredito, rivolto a chi ha frequentato la precedente edizione del corso. La partecipazione, previa iscrizione (possono partecipare solo 25 corsisti), è gratuita. Questo il programma del corso di base: giovedì 17 dicembre 1992, ore 15: Attilio Agnoletto, Paolo Martelli, Luciana Vigone, “Apertura del corso”; Carlo Augusto Viano, “L’etica tra teoria e argomentazione”. Venerdì 15 gennaio 1993, ore 15: Enrico Berti, “Perché e come insegnare etica”. Venerdì 12 febbraio, ore 15: Paolo Comanducci, “Cognitivismo e non-cognitivismo nel ragionamento pratico”. Venerdì 19 febbraio, ore 15: Maurizio Mori, “Perché si può insegnare l’etica applicata”. Venerdì 5 marzo, ore 15: Paolo Cattorini, “L’insegnamento della bioetica”. Venerdì 19 marzo, ore 15: Sebastiano Maffettone, “Teorie normative della politica: una introduzione”. Venerdì 19 marzo, ore 15: Lorenzo Sacconi, “Dilemmi della vita eco62 nomica e insegnamento dell’etica”. Venerdì 26 marzo, ore 15: Mario Jori, “Diritto o giustizia?”. Giovedì 1 aprile, ore 15: Luciana Vigone, “Chiusura del corso”. Il corso si tiene presso la sede milanese dell’Associazione “Politeia”, via Cosimo del Fante, 13. Per informazioni: tel. 02/ 58.31.39.88. La sezione novarese della Società Filosofica Italiana organizza presso l’Istituto Magistrale “Bellini” un corso di studio e di aggiornamento sul tema : LA FILOSOFIA POLITICA NEL NOVECENTO, aperto alla partecipazione gratuita di insegnanti, studenti o persone comunque interessate. Il corso, coordinato da Santo Arcoleo, si articolerà in sette incontri: sei dedicati alla trattazione da parte di un docente universitario di un argomento relativo al tema; il settimo dedicato a un seminario volto a verificare le modalità di traduzione didattica dei contenuti trattati. Il programma del corso è il seguente: 12 gennaio, S. Natoli: “La filosofia politica del ‘900. Temi e problemi”; 25 gennaio, L. Boella: “H. Arendt: l’agire come presenza nel mondo”; 16 febbraio, G. Invitto: “L’idea di rivoluzione in Simone Weil”; 9 marzo, A. Ferraro: “J. Habermas. Tra Marx e la modernità: vitalità del pensiero critico”; 6 aprile, A. E. Galeotti: “Il neocontrattualismo: nuove prospettive sulla giustizia”. Il 20 aprile concluderà il corso RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi Vol. 90, maggio 1992 Institut Supérieur de Philosophie Louvain La Neuve stione, sembra approdare a un’idea trascendentale che lo pone in una posizione di transizione tra la kantiana Dissertazione del 1770 e la Critica della ragion pura. L’unité de l’Etre parménidien, di H. Pasqua: secondo l’autore, la tesi fondamentale di Parmenide si giustifica solo se l’Essere si identifica con l’Uno. A partire da questo presupposto si sviluppa un confronto con le più recenti interpretazioni di Parmenide. Le trois images de l’absolu. Contribution a l’étude de la dernière philosophie de Fichte, di M. Vetö: l’articolo analizza i concetti fondamentali della seconda versione delle Tatsachen des Bewusstseins (18101814) di Fichte come chiave di lettura dell’ultima fase del suo pensiero. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN Le concept de vie dans la Grèce ancienne et le serment d’Hippocrate di L. R. Angeletti: la sensibilità nei confronti della vita e le prescrizioni contro l’aborto sembrano indicare un concetto etico della vita in un’epoca pre-cristiana. Savoir et mort chez F. Rosenzweig, di E. Robberechts: dietro il sapere e l’apparenza di una ricerca di un’armonia logica globalizzante e senza fratture, tipica dell’Occidente, si celerebbe, secondo Rosenzweig, un rifiuto di responsabilità, una fuga davanti alla vita e all’angoscia per la morte che l’attraversa. Scienza e filosofia vorrebbero evitare il confronto con l’angoscia e la morte alla luce di un accordo tra il pensiero e un principio di ragione superiore. Quali sono, allora, le prospettive per la modernità? REVUE PHILOSOPHIQUE DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER n. 1, gennaio-marzo 1992 PUF, Paris Tema della rivista: “Intorno a Kant”. Tetens et la crise de la métaphysique allemande en 1775, di M. Puech: il breve scritto Über die allgemeine speculativische Philosophie di Johann Nicolas Tetens (1775) permette di descrivere la situazione filosofica in Germania in uno dei momenti più decisivi per la formazione del pensiero kantiano. La “crisi metafisica” un concetto chiave della filosofia tedesca di questo periodo e Tetens, nell’affrontare la que- La thèse peircienne de l’identité de la pensée et du signe, di P. Thibaud: la tesi di Peirce dell’identità assoluta di segni e pensiero è al centro della stessa determinazione del senso della sua nozione di pragmatismo. Réalisme et anti-réalisme en logique, di F. Nef: analisi dell’opera di P. Engel: La norme du vrai. Philosophie de la Logique (Paris, Gallimard, 1989) Les figures de l’intersubjectivité . Etude des Husserliana XIII, XIV, Xv zur Intersubjectivität, di N. Depraz. ARCHIVES DE PHILOSOPHIE Vol. 55, luglio-settembre 1992 Beauchesne, Paris Que reste-t-il de la fondation de la raison?, di J. E. Joos: l’articolo mostra come il concetto di dialettica negativa adorniano sia in realtà un’elaborazione di un aspetto della filosofia di Kant: i due filosofi condividono l’ipotesi della legittimazione razionale come processo infinito. E’ a partire da questa stessa interpretazione che Lyotard vede i rapporti tra la legislazione razionale e la facoltà di giudicare in Kant. L’entrelacs du temps, di F. Proust: l’elaborazione di una nuova nozione di storia e di tempo in Benjamin. Une philosophie de la grammaire d’après Kant: la Sprachlehre d’A. F. Bernhardi, di D. Thouard: uno degli aspetti significativi della critica kantiana ai fondamenti ontologici dell’antica metafisica consiste nell’aver messo in discussione le grammatiche generali del XVII e XVIII sec., che avevano la pretesa di mostrare le leggi universali del linguaggio, indipendentemente dalla diversità delle lingue. Di conseguenza una delle possibili direzioni delle ricerche di grammatica non poteva che essere l’elaborazione, su fondamenti kantiani, di una reoria universale del linguaggio in relazione ad una grammatica trascendentale delle categorie. E’ questa appunto la direzione di pensiero assunta dal grammatico e pedagogo A. F. Bernhardi (1769-1820) 63 REVUE INTERNATIONALE DE PHILOSOPHIE Vol. 46, n. 2/1992 Universa, Wetteren Tema: “Montaigne filosofo” Une critique du jugement, di E. Baillon: la questione della formulazione dei giudizi di valore è al centro dell’opera e della vita di Montaigne. Montaigne me manque, di M. Conche. L’imagination philosophique de Montaigne, di J. P. Dumont: considerazioni sull’amore e sulla morte in Montaigne. La déliason secrète, di J. M. Le Lannou: una delle più importanti e radicali esperienze di Montaigne nei Saggi é quella dell’alterità come esperienza costitutiva dell’essere dell’uomo, che apre una nuova interpretazione dello statuto della negatività. Entretien, di J. G. Poletti e C. Rosset: colloquio a proposito di Entretien de Pascal avec M. de Sacy (1655), testo che evidenzia lo stimolo costante che Montaigne esercitò su Pascal. Montaigne cynique?, di A. Comte Sponville: valore e verità nei Saggi. RASSEGNA DELLE RIVISTE DAIMON n. 4, 1992 Compobell, Murcia El Parménides de Platón: parricidio o suicidio?, di J. Lorite Mena: l’articolo analizza la struttura interna del Parmenide platonico alla luce di due elementi, il ripiegamento su se stesso del pensiero platonico come totale autoreferenzialità e la prima comparsa nel panorama della filosofia occidentale di una teoria che si costituisce come sistema. Sabiduría y enseñanza en la Carta VII de Platón, di J. De Dios Bares: l’articolo analizza la settima lettera di Platone, concentrandosi, in particolare, sulla differenza tra i contenuti orali e scritti della sua filosofia. INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL QUARTERLY Vol. XXXII, n. 3, settembre 1992 Fordham University, New York Some remarks on the object of physical knowledge, di Y. R. Simon: attraverso tre scritti, Introduction to metaphysics of knowledge (1934), Critique de la connaissance morale (1934), Prévoir et savoir (1944), che rappresentano, nel loro insieme, la base della teoria della conoscenza di Yves R. Simon, viene analizzato il problema dell’oggetto della conoscenza, che ad un primo livello di astrazione può essere definito, con una terminologia di tradizione tomista, ens mobile, ens sensibile, ens materiale. Belleza y terror en Platón, di F. Duque. Sobre el carácter jurídico de la razón critica: logros y perspectivas, di M. Hernandez Marcos: l’articolo intende rivolgersi ad un aspetto spesso trascurato del criticismo kantiano, la riflessione sulla filosofia del diritto. Quest’analisi risulta supportata dalla ricerca in merito compiuta da F. Kaulbach Schopenhauer y la primera edición de la Crítica de la Razón Pura: los fundamentos del nihilismo, di J. L. Villacañas: la relazione tra l’esegesi della Critica della Ragion Pura compiuta da Schopenhauer e la tradizione precedente. El ejercicio de la desilusión en la reflexión crítica de Nietzsche, di R. Avila Crespo. Carlo Michelstaedter y la experiencia del sentido, di C. La Rocca: la finalità fondamentale della riflessione del filosofo triestino sarebbe la rivendicazione di una forma di comunicazione umana basata sulla categoria della persuasione. Dios como condición de la racionalidad según E. Husserl, di A. Garcia Marques. Metodología y experiencia hermenéutica, di J. M. Martinez: il campo prioritario che accomuna metodologia ed ermeneutica sembra essere quello dell’attività prescientifica. L’ermeneutica, come riflessione filosofica, mostra i caratteri storici e linguistici che costituiscono i fondamenti della comprensione. Più che un metodo essa appare quindi come un processo che evidenzia i caratteri della phronesis. Comprehending Anna Karenina: a test for theories of happiness, di D. W. Hudson. Wittgenstein on voluntary actions, di J. V. Arregui: seguendo il pensiero di Wittgenstein l’articolo propone una critica al dualismo nell’uomo tra pensare e volere. Aristotle’s argument from motion, di J. F. Mc Niff: l’argomentazione aristotelica circa l’esistenza di Dio non può essere interpretata come un vero e proprio argomento dell’esistenza di Dio o di un’altra entità, quanto piuttosto come la dimostrazione dell’esistenza di un qualcosa che governa l’universo e che è assolutamente immobile. “Inverse Correspondence” in the philosophy of Nishida: the emergence of the notion, di M. Abe: l’articolo analizza il concetto di gyakutaio (“inverse correspondance”) elaborato da Nishida, pensatore giapponese (1870-1945), artefice di una sintesi originale tra filosofia orientale e occidentale. Music of the spheres: kierkegaardian selves and transformations, di E. F. Mooney: benché i modelli kierkegaardiani mutuati dalla musica siano stati scarsamente presi in considerazione dalla critica, l’articolo vuole analizzare l’elaborazione del Sé e la sua trasformazione che Kierkegaard propone in chiave musicale. La sua analisi del Don Giovanni di Mozart è rilevante per la comprensione della sfera estetica dell’esistenza umana. Heidegger’s autobiographies, di J. Van Buren: attraverso l’analisi di saggi e corsi heideggeriani recentemente riscoperti, l’articolo vuole mettere in evidenza l’intima relazione tra gli scritti del primo e dell’ultimo Heidegger. Lask, Heidegger and the homelessness of logic, di S. Galt Crowell: dalle prime pubblicazioni di Heidegger emerge che il cammino della questione dell’Essere passa attraverso una teoria della logica. Particolarmente importante in questa prospettiva è il debito che Heidegger ha verso il filosofo neokantiano Emil Lask (1875-1915), da cui trae specifici motivi di ordine logico e elementi di teoria del significato. Un’eco di tale influenza è particolarmente evidente nella Habilitationschrift heideggeriana. Essential thinking: reflections on Heidegger’s Beiträge zur Philosophie, di A. Grieder. Poetizing and thinking in Heidegger’s thought, di T. O’Connor: una riflessione sui concetti heideggeriani di Essere, linguaggio, verità, da cui emerge l’importanza del rapporto con la poesia. Against aesthetics: Heidegger on art, di J. Hodge: la riflessione estetica di Heidegger in rapporto a Nietzsche e contesrtualmente alla questione della relazione tra soggetto e oggetto. MAN AND WORLD Vol. 25, n. 3-4. ottobre 1992 Kluwer Academic Publishers, Dordrecht The hermeneutic dimension of social science and its normative foundation, di K. O. Apel: la questione della dimensione ermeneutica delle scienze sociali e la sua funzione normativa è al centro non solo dell’odierno dibattito sulla filosofia delle scienze umane, ma anche della riflessione sui rapporti tra scienze umane, epistemologia, comunicazione intersoggettiva. Heidegger im Gespräch mit Hegel: zur negativität bei Hegel, di W. Biemel. Forgetting remembered, di E. S. Casey: alcune riflessioni sull’oblio, dalle considerazioni del Gorgia platonico alla speculazione del nostro secolo. On confronting species-specific skepticism as we near the end of the twentieth century, di J. M. Edie. J. B. S. P. Vol. 23, n. 3, ottobre 1992 University of Manchester, Manchester Tema della rivista: “Il primo e l’ultimo Heidegger”. The primacy of the body, not the primacy of perception, di E. T. Gendlin: l’articolo analizza in modo critico il legame instaurato da Merleau-Ponty tra corpo e linguaggio. Phenomenological interpretations with 64 RASSEGNA DELLE RIVISTE respect to Aristotle: indication of the hermeneutical situation, di M. Heidegger (a cura di M. Baur). Gerold Prauss: die Welt und Wir, di B. Sandkaulen: recensione dell’omonimo testo (J. B. Metzler, Stuttgart, 1990). Habermas a Derrida e la funzione di apertura al mondo del linguaggio. Genesis and modern theories of evolution, di K. Hübner: prendendo le mosse dalla constatazione che il desiderio di conoscenza della genesi e dell’evoluzione dell’universo sta alla base di ogni più remota forma di espressione dell’uomo, l’articolo analizza più precisamente le teorie di Eigen e Vollmert ed il complesso rapporto che intercorre tra teologia e scienza. ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG FILOSOFIA Time and space in technological society, di S, Ijsseling. Martin Heidegger und der Neukantianismus, di E. W. Orth. Against the grain of modernity: the politics of difference and the conservation of “race”, di L. Outlaw: una riflessione sul significato filosofico e pratico dei termini razza e etnia. Lavinas on technology and nature, di A. Peperzak: la posizione di Levinas sulla tecnologia, a partire da una rilettura della riflessione antitecnologica di Heidegger. Rorty and analytic heideggerian epistemology - and Heidegger, di R. C. Scharff. Vol. 46, n. 1, gennaio-marzo 1992 Klostermann, Frankfurt a/M, Georgi Schischkoff zum Gedenken (19121991), di G. Dontschev. Freiheits “Dialektik” und immanente “Nicht-Freiheit”, di R. Kühn: l’articolo analizza il concetto di situazione nel pensiero di Michel Henry, che con Levinas, Ricoeur e Derrida rappresenta uno dei più autorevoli fenomenologi francesi. Die Konstitution des Sozialen, di L. Ellrich: i motivi fenomenologici presenti nella teoria del sistema di Luhmann. Aufforderung zur nationalen Selstbestimmung, di P. L. Oesterreich: l’articolo esamina i Discorsi alla nazione tedesca di Fichte, soffermandosi sulla curvatura politica della filosofia del linguaggio qui proposta. Sokratisch-platonische Tradition im “Expertensystem”, di E. Martens. Vol. XLIII, n. 2, maggio-agosto 1992 Mursia, Milano Manifesto di un movimento ermeneutico universale, di V. Mathieu: partendo dalla domanda su quale sia lo spazio della filosofia, l’articolo, attraverso una serie di osservazioni sviluppate per punti, pone l’ermeneutica come cuore di tutte le attività umane e di ogni possibile forma di filosofare infinito. La conciliazione estetica e l’etica, di G. Gallino: Schiller, l’unità dell’etico e dell’estetico e l’utopia dell’uomo totale. Malinconia e nichilismo, di L. Bottani: dalla “ferita mortale”, per cui sia nella tradizione ebraica, che in quella biblica la conoscenza rappresenterebbe per l’uomo uno strumento di perdizione e di possibile salvazione, emerge la piena consapevolezza della propria mortalità, attraverso la quale la coscienza perviene con malinconia ad abbracciare il nulla come non-senso ed insignificanza. Da questa coscienza del nulla e della morte scaturiscono il pensiero tragico, da un lato, e l’ironia, dall’altro. On the limits of literalness, di Z. Radman. The preconscious, the unconscious and the subconscious: a phenomenological explication, di T. Seebohm: alcuni filosofi ritengono che la nozione di inconscio e subconscio non possa essere investigata attraverso le tecniche della descrizione fenomenologica, mentre altri studiosi dell’ultimo Husserl non concordano con questa posizione. L’articolo vuole analizzare questo prolema proprio in rapporto a Husserl. Neues über die Erkenntnistheorie Isaac Newtons, di E. Dellian. MESOTES n. 1, 1992 Braumüller, Wien Psychoanalyse und Deutscher Idealismus, di S. Zizek. PHILOSOPHISCHE RUNDSCHAU Vol. 39, n. 3, 1992 J. C. B. Mohr, Tübingen Mystik und Philosophie, di R. Margreiter: l’articolo esamina una serie di testi pubblicati negli ultimi anni, relativi al tema della mistica. Zwischen Epistemologie und Ethik, di B. Liebsch: il rapporto tra etica ed epistemologia in relazione al pensiero di Foucault, filosofo a cui sono dedicati molti testi di recente pubblicazione in Germania. Vom Risiko der Positivität. Philosophieren nach dem Tod der Subjects, di R. Konersmann: analisi dell’attuale discussione filosofica sulla soggettività. Nota sul “pensiero tragico” di Sergio Givone, di F. Tomatis: due libri di Givone, Disincanto del mondo e pensiero tragico (1988) e La questione romantica (1992) rappresentano un tentativo di interpretazione della realtà contemporanea alla luce di questioni emergenti all’interno del pensiero romantico e tragico. Il problema del fondamento e la filosofia italiana del ‘900, un convegno a Subiaco, di C. Gily Reda: l’omonimo convegno tenutosi a Subiaco il 28-30 ottobre 1991. Fantasy and the theory of justice, di R. Salecl: attraverso il sostegno delle teorie di Lacan, l’articolo intende mostrare come l’etica dell’utilitarismo si fondi su un’esclusione della fantasia e come, in relazione a questa esclusione, l’etica liberale sia in realtà non-liberale. I poeti nel tempo della povertà, di A. Mazzarella: recensione dell’opera di A. Trione: L’ostinata armonia. Filosofia ed estetica tra ‘800 e ‘900 (Laterza, Bari, 1992). Verkennen, Erkennen, di R. Pfaller: la psicanalisi come strumento di una teoria della conoscenza in Bachelard ed Althusser. RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO Zu einer pragmatischen Wahrheitstheorie, di F. Tallar. Philosophie zwischen Rhetorik und Sprachgrammatik, di B. Mikulic: la critica di Vol. LXIX, n. 1, gennaio-marzo 1992 Giuffrè, Milano L’universalità dei diritti dell’uomo, di M. Kriele: le tematiche principali delle recenti discussioni sull’universalità dei diritti dell’uomo: il relativismo regionale e storico, la reazione utilitarista, lo Stato e la divisione dei poteri, l’universalità dello Stato. Linguaggio giuridico e realtà sociale, di M. La Torre: la critica realistica del concet- 65 RASSEGNA DELLE RIVISTE to di diritto soggettivo: Duguit, Alf Ross, Karl Olivecrona. “Golah”. Il nomos della responsabilità, di S. Tarter: giustizia e religione ebraica. IL CANNOCCHIALE n. 1, gennaio-aprile 1992, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli La teoria vichiana del linguaggio, di A. M. Jacobelli Isoldi: la riflessione vichiana sul linguaggio rappresenta un elemento fondamentale della sua filosofia, fin dalle prime produzioni; centrale è il concetto di vis veri, cioé l’aspirazione della coscienza ad attingere ad una verità assoluta che coincide con Dio e che si manifesta sotto forma di facoltà poetica. Si delinea quindi una connessione tra lo sviluppo della vita civile e quello del linguaggio, connessione che rappresenta uno degli sviluppi più originali del pensiero vichiano. El principio de perfeccion y la idea de progreso moral en Leibniz, di C. R. Panadero. Il concetto di Bildung nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel, di S. Dallavalle: nonostante la centralità, nella produzione hegeliana jenese, del concetto di Bildung, la critica non sembra essersi sufficientemente soffermata sull’uso che di questo termine fa Hegel in tre contesti semantici diversi: in un primo senso Bildung significa «un processo di formazione della coscienza individuale, dalle forme di conoscenza più semplici ed immediate fino alla scienza ed alla verità»; in un secondo senso Bildung é il processo di formazione dell’intera umanità; in un terzo senso Bildung é una categoria di una precisa figura della Fenomenologia, appartenente allo “spirito che si è reso estraneo a sé”. Se per quanto riguarda le prime due accezioni i tratti in comune sono piuttosto evidenti, più complessa risulta l’analisi della terza, dove il concetto di Bildung appare, “negativamente”, suscettibile di un superamento dialettico. Ciò nonostante l’articolo conclude con la non contraddittorietà degli usi hegeliani del concetto di Bildung nell’opera jenese. Carlo Michelstaedter e l’esperienza del senso, di C. La Rocca: l’opera del filosofo triestino, gli influssi e le influenze. Teoresi del fondamento, di P. Miccoli: l’indagine sul problema filosofico del fondamento rappresenta una tappa ineludibile dell’analisi dell’esperienza conoscitiva umana ed investe, accanto al piano logicognoseologico, anche quello metafisico ed etico. La scuola di Tubinga-Milano per una nuova immagine di Platone, di M. Migliori: l’articolo si propone di inquadrare, anche da un punto di vista storico, l’interpretazione platonica fornita dalla scuola di Tubin- ga- Milano nelle persone di Krämer, Gaiser, Reale, Szlezak. Ad esso segue un’appendice sulle principali opere afferenti a questa nuova interpretazione. Vico e lo spirito intersoggettivo, di G. D’Acunto: l’articolo analizza l’introduzione all’edizione tedesca, per la prima volta integrale, della Scienza nuova (Felix Meiner Verlag, Hamburg, 1990). ITINERARI FILOSOFICI Vol. II, n. 2, gennaio-aprile 1992 Società Italiana per la Ricerca Filosofica Milano La caduta della luna. L’esperienza della distanza nel XXXVII Canto di Leopardi “Odi Melisso...”, di A. Carrera: in questo canto leopardiano l’autore ritrova un contenuto di pensiero che si riferisce al costituirsi del soggetto umano. Nella relazione segnica che lega l’uomo alla luna ha luogo l’originaria esperienza della distanza che definisce il costituirsi di due enti in quanto tali. Rythmòs e differenza ontologica. L’evento ritmico da Platone a Derrida, di S. Pappalardo: ripercorrendo, attraverso un’indagine filologica, la nozione di ritmo dalla cultura greca fino a Heidegger e Derrida, l’articolo intende mostrare come l’ambizione di questo concetto sia accedere ad uno sguardo “altro” dalla metafisica. Tra linguistica ed ontologia. Tipi di semanticità emergenti dal lessico tomista, di R. Diodato: vengono qui esposti i risultati di una ricerca di classificazione, basata su i diversi tipi di semanticità, di 20173 lemmi dell’Index thomosticus che riassumono integralmente le 147088 forme reperite nell’opera di S. Tommaso ed altre opere medievali. Inediti leibniziani sulle polemiche trinitarie, a cura di M. R. Antognazza: testi leibniziani relativi alla polemica scoppiata nel XVII sec. in seguito alla diffusione dell’antitrinitarismo sociniano. La filosofia come musica, di V. Mathieu: filosofia, musica e i problema del “senso”. Fondazione ed applicazione dei principi etici. Aspetti del dibattito sulla bioetica, di A. Pessina. Un nuovo commentario filosofico al Parmenide di Platone, di R. Radice: recensione dell’opera di M. Migliori, Dialettica e verità, commentario filosofico al Parmenide di Platone (Vita e Pensiero, Milano 1990). Dire la differenza con la persona. A proposito della terza edizione di Essere e Parola di Melchiorre, di U. Regina. FENOMENOLOGIA E SOCIETA’ L’orizzonte filosofico della psicologia comprensiva di Karl Jaspers: Wilhelm Dilthey e Georg Simmel, di F. Paracchini. Filosofia e storia della filosofia in Mario Dal Pra. Conversazione con Fulvio Papi, a cura di F. Cassinari. RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA Anno LXXXIII, n. 4, ottobre-dicembre 1991 Vita e Pensiero, Milano Una nuova interpretazione delle opere perdute di Aristotele, di E. Peroli: un recente testo di A. P. Bos, Teologia cosmica e metacosmica: per una nuova interpretazione dei dialoghi perduti di Aristotele (Milano 1991) ha definitivamente messo in crisi la tradizionale interpretazione proposta fin dal 1923 dallo Jaeger circa lo sviluppo evolutivo della filosofia aristotelica. Questo libro, invece, ricostruendo in maniera articolata il contenuto delle opere perdute dello Stagirita, propone la tesi dell’originalità e dell’autonomia delle riflessioni filosofiche di Aristotele. 66 Anno XV, n. 1, 1992, Piemme Edizioni, Milano Le prime pagine della rivista sono dedicate ad un ricordo di Emilio Agazzi a cura di E. Mascitelli e N. Bobbio. Oltre la religione e l’illuminismo, di C. Larmore: l’articolo si incentra sulla tesi che la secolarizzazione rappresenti una sorta di logica interna del monoteismo giudaicocristiano. La decisione di Ulisse. Scelte razionali e scelte morali, di A. Villani: il riferimento al mito omerico offre lo spunto per una riflessione sul rapporto tra moralità e razionalità nelle scelte individuali e collettive. Il problema dell’attualità della filosofia pratica aristotelica, di F. Ingravalle: l’area tedesca, nel dopoguerra, ha mostrato un interesse crescente per la filosofia pratica aristotelica, al fine di recuperare nuove basi per una fondazione veritativa della prassi. E’ in quest’ottica che si situa la corrente “neoaristotelica” della filosofia tedesca contemporanea che fa capo a Luhmann, Riedel, e Bien, il cui intento non è soltanto quello di rivitalizzare la filosofia pratica aristotelica, ma anche quello di interpretarla. RASSEGNA DELLE RIVISTE Pierre Bourdieu. Il punto di vista scolastico, a cura di A. Boschetti: il testo qui riportato è la trascrizione di una conferenza tenuta nel 1989 a Berlino da P. Bourdieu, docente al Collège de France. L’antropologia filosofica di Ludwig Binswanger, di G. Nardi. Il gioco in Gadamer tra rischio e simmetria di G. Qualizza: se, come sottolinea Habermas, l’opera di Gadamer rappresenta uno sforzo di ridurre la portata della critica heideggeriana alla tradizione metafisica, la nozione di gioco svolge un ruolo fondamentale nel delineare il nostro rapporto con l’opera d’arte, la tradizione, il linguaggio e l’essere. Attenzione particolare viene dedicata al concetto gadameriano di “stare al gioco”. Hans Blumenberg: per un’estetica del possibile, di L. A. Terzuolo. Esperienza e metariflessione nel pensiero di Giulio Preti, di M. Pavesi. AUT AUT n. 250, luglio-agosto 1992 La Nuova Italia, Firenze L’Essere, un Mac Guffin. Come preservare il desiderio di pensare, di H. Blumenberg: come il Mac Guffin di cinematografica memoria induce un accrescimento della “suspense” dell’azione, così la leggendaria seconda parte di Essere e Tempo rappresenta una sorta di Mac Guffin della filosofia, in quanto la comprensione dell’Essere genererebbe solo noia, interrompendo il cammino continuo della filosofia. Comunità. Appunti sulla permanenza di un mito, di A. Dal Lago: l’articolo si propone come un esortazione ad una ricerca filosofica che si incentri non soltanto sulla delineazione di utopistiche società future o immaginarie società originarie, ma anche su un’analisi del mondo e della comunità attuali. di elaborata una teoria “speciale” dell’immaginazione che ne rivela gli aspetti attivi e multilaterali, anche alla luce della riflessione posteriore. Circostanze serresiane, di G. Polizzi; L’origine della geometria, di M. Serres; Chiarimenti. Un incontro con Michel Serres, a cura di G. Polizzi e M. Porro: interpretazioni dell’opera di Michel Serres, in particolare di Eclaircissements. Cinq entretiens avec Bruno Latour (Bourin, Paris, 1992). IDEE Vol. VII, n. 19, gennaio-aprile 1992 Milella, Lecce Il sacro e il divino, di P. de Vitiis: l’articolo cerca di individuare i presupposti storici che condizionano il delinearsi del concetto di “sacro” a partire da Schleiermacher che, in contrasto con Kant, rivendicò per primo l’autonomia della religione rispetto all’etica. Nel corso del tempo si è poi delineata una posizione scissionista tra” sacro” e “divino”, che rischia di svalutare tutto ciò che non è riducibile ad una pura concettualità logica, come hanno messo in luce da Scheler, Heidegger e Gehlen. Religione e filosofia in Descartes e Malebranche, di N. Grimaldi: benchè il grande merito di Cartesio sia stata la descrizione della condizione metafisica dell’uomo, è stato soprattutto Malebranche ad aver individuato nella religione la via che ha aperto alla filosofia la capacità di comprendere il senso della condizione umana. La probatività delle cinque vie in S. Tommaso, di F. Fiorentino. Il bisogno moderno dell’antico e l’incontro con la teologia greca, di D. Goldoni: un cammino a ritroso dalle secche del nichilismo contemporaneo alla ricerca di una “verità di vivere” che approda alla teologia greca, secondo una chiave di lettura già adombrata da Jaeger e Pannenberg. Note sulla cristologia di Unamuno, di F. Gorani. Le ragioni della fede nell’ultimo Carlini, di N. Pascolo. STUDI KANTIANI n. 5, 1992 Giardini Editori e Stampatori, Pisa Sull’uso dei termini “genere” e “specie” nella filosofia di Kant, di S. Marcucci: prendendo spunto dal titolo dato da Kant allo scritto del 1788 Circa l’uso dei principi teologici in filosofia, l’articolo analizza i principi dell’omogeneità, della specificità e della continuità delle forme in rapporto alla riflessione kantiana intorno alla letteratura naturalistica del tempo. “Apriori” e “trascendentale” nella prima edizione di Kants Theorie der Erfahrung di H. Cohen, di G. Gigliotti: quest’opera di Cohen del 1871 affronta uno dei nodi centrali della filosofia kantiana, che, secondo alcuni, è rimasto aperto: la connessione tra natura delle forme a priori e modo della loro conoscenza. Teodicea autentica e teodicea storica. Kant e Cohen, di A. Poma: l’occasione di questo scritto è dato dal bicentenario del saggio di I. Kant Sull’insuccesso di ogni saggio filosofico di teodicea (1791-1991). Sulle relazioni tra bene, sommo bene e necessità e tra contingenza e male nelle Vorlesungen kantiane, di P. Colonnello. La teoria kantiana delle leggi fisiche, di S. Marcucci: recensione dell’opera di V. Mudroch: Kants Theorie der physikalischen Gesetze (Walter de Gruyter, Berlin-New York 1987). IRIDE n. 8, gennaio-aprile 1992 Ponte alle Grazie, Firenze Ricordando Pareyson, di P. Birtolo. La scrittura come esenzione. Montaigne e La Boétie, di G. Gabetta: l’articolo esamina l’ambivalenza interna della scrittura dei Saggi di Montaigne: da un lato la malinconia per la prematura scomparsa dell’amico Etienne de La Boétie, dall’altro la goia dello scrivere. Ermeneutica filosofica e pluralismo religioso, di C. Ciancio: l’ermeneutica come possibile via di unificazione del particolare e dell’universale è stata al centro del convegno: “Cristianesimo e religioni. Filosofia e teologia di fronte alla sfida del pluralismo” (Torino, 18-19 ottobre 1991). Immaginazione e socialità. Saggio di materialismo antropologico, di U. Fadini e G. Pascucci: il ruolo che l’immaginazione gioca all’interno dell’opera di Spinoza non è soltanto di natura conoscitiva, ma anche di carattere produttivo, in quanto l’immaginazione sembra aprire una dimensione “altra” rispetto a quella consueta. Viene quin- Ermeneutica e verità, di F. Brezzi: recensione dell’opera di G. Mura: Ermeneutica e verità (Città nuova, Roma 1990). 67 Il relativismo ontologico, di P. Feyerabend: l’articolo analizza il dibattito tra realismo e relativismo a partire dalle indicazioni di Parmenide ed Aristotele. Il fanatico e l’arcangelo. Una critica della meta-etica di R. M. Hare, di S. Nannini. La svolta linguistica nell’ermeneutica tedesca contemporanea, di P. Tomasello: benché tra tradizione filosofica continentale, legata alla fenomenologia ed all’ermeneutica, e tradizione analitica anglosassone si sia sempre instaurato un clima di reciproca indifferenza, di recente, secondo quanto osservato anche da R. Bubner, si è RASSEGNA DELLE RIVISTE andato affermando un rapporto di mutua influenza dovuto e al successo all’estero, prima che in madrepatria, di autori come Frege e Wittgenstein, e alla ricettività mostrata dall’ermeneutica e dalla fenomenologia per le problematiche legate alla filosofia del linguaggio. In quest’ottica, rilevanti appaiono i contributi di autori come Habermas, Apel e Tugendhat, legati alla tradizione ermeneutica, ma attenti anche all’influsso della filosofia analitica. Isaiah Berlin tra la filosofia e la storia delle idee, un’intervista autobiografica a cura di S. Lukes. Riflessioni su genere morale e potere: la cura e il problema morale dell’alterità, di J. C. Tronto; Moralità della cura, differenza sessuale e teoria femminista, di M. Drakopoulou; I due percorsi dello sviluppo morale: una svolta nel cammino del femminismo?, di P. A. Meyers: motivi del recente dibattito sul rapporto tra donne e morale, questione fondamentale della prospettiva morale femminista. Spirito e cultura. In margine ad un recente libro di Maurizio Ferraris, di G. Carchia: recensione dell’opera di M. Ferraris: La filosofia e lo spirito vivente (Laterza, RomaBari 1991). la realtà che nel trasformarla. Nel numero successivo (aprile-giugno 1992) vengono affrontate problematiche relative alla filosofia francese contemporanea, con particolare attenzione alle figure di Bergson, Merleau-Ponty, Sartre, Derrida, Lavelle, Fénelon, Lequier. FILOSOFIA OGGI (Vol. XV, n. 58, aprile- giugno 1992) presenta un interessante intervento di S. A. Salvaggio: De l’état de nature à la société civile: “contrat special” et intellegibilité de la transition chez Spinoza. Il numero successivo (Vol. XV, n. 59, luglio-settembre 1992) presenta un intervento di A. Deregibus, Pascal e Descartes, che propone un confronto tra i due filosofi in merito alla questione morale. Un simile confronto risulta particolarmente significativo non soltanto alla luce di una comune temperie storica e culturale, ma anche perchè sull’importante concetto di “cuore” pascaliano gioca un ruolo rilevante la componente volontaristica cartesiana. Segnaliamo inltre l’intervento do P. P. Ottonello su Gentile: Gentile: la religione come morale assoluta. automi all’automazione”. L’occasione per riflettere sul ruolo della tecnologia e dell’automazione è stata offerta dal convegno organizzato dall’AIMMA (Associazione Industriali Metallurgici, Meccanici ed affini) sul tema: “Dagli automati all’automazione. Un’aspirazione umana tra mito e realtà” (Torino, 30 ottobre 1990). La rivista pubblica gli interventi al convegno, che spaziano dall’antichità al XVIII secolo, fino alle considerazione sugli attuali robot. INTERSEZIONI (Vol. XII, n. 3, dicembre 1992, Il Mulino, Bologna) presenta un articolo di S. Weber dal titolo Dopo la decostruzione, che affronta non tanto problematiche relative alla scomparsa della decostruzione, o alle sue conseguenze, quanto tratti salienti e distintivi della decostruzione stessa, al fine di cogliere con più precisione la questione del suo influsso e della “scia” che essa ha lasciato. Segnaliamo inoltre un interessante intervento di N. Pollastri: La filosofia della natura é di nuovo attuale?. Hegel, la scienza e l’epistemologia contemporanea, che offre una panoramica dei contributi storiografici alla comprensione del pensiero hegeliano. NUOVA CIVILTA’ DELLE MACCHINE (Vol. X, n. 2, 1992) propone il tema: “Dagli Sulla storia e l’analisi della filosofia continentale, di K. Mulligan: l’articolo analizza brevemente le differenze più appariscenti tra filosofia analitica e filosofia continentale a partire dal metodo, dal ruolo della storia, dall’influsso della filosofia tedesca. Agostino, l’anima e la storia, di R. de Monticelli: recensione dell’opera di R. Bodei: Ordo amoris (Il Mulino, Bologna 1991). Differenza e identità personale, di G. Mari: la “questione del soggetto” nelle due tradizioni postmetafisiche, quella tragica e quella postmoderna, tradizioni che hanno in comune l’idea di poter pensare le questioni relative al soggetto indipendentemente dalle considerazioni sul tempo. La nota intende appunto integrare tali posizioni con osservazioni di carattere temporale. LES ETUDES PHILOSOPHIQUES (gennaio-marzo 1992, PUF, Paris) affronta il tema della crisi del marxismo. I recenti avvenimenti storici hanno messo in dicussione i capisaldi del pensiero di Marx; anche se oggi non è più possibile definire Marx come il Copernico dell’economia politica, secondo l’indicazione di Althusser, senza dubbio egli fu un pensatore “assetato” di giustizia, profondo fenomenologo e sagace analista, più abile, forse, nell’interpretare 68 FILOSOFIA E TEOLOGIA (Vol. IV, n. 2, NOVITA’ IN LIBRERIA AA.VV Arbeit und Humanitat. Wege in eine humane Arbeitsgesellschaft Schulz-Kirchner, luglio-agosto 1992 pp. 176, DM 28 AA.VV. Transzendentalphilosophie und Evolutionstheorie Rodopi, settembre 1992 Dfl. 80 O.-D. Creutzfeld: Principi dell’organizzazione cerebrale come condizione della percezione, del pensiero e del comportamento. G. Vollmer: E’ancora pensabile l’autorganizzazione evolutiva nella vita e nella coscienza? H. Girndt: Teoria dell’evoluzione e pensiero trascendentale: compendio di problemi scientifico-teoretici. W. Lütterfelds: L’esperienza idealistica ha una base naturalistica? La prima filosofia trascendentale di Fichte. AA.VV. Aggiornamenti sull’idea di “caso” Bollati Boringhieri, novembre 1992 pp.192, L. 20.000 Onnipresente e inafferrabile, il caso sembra farsi beffe del mondo degli uomini. E’ una realtà oggettiva oppure un effetto della nostra ignoranza? Non potendo risolvere l’enigma, la scienza tenta di addomesticare il caso. In questa serie di quindici conversazioni sociologi, linguisti, matematici, filologi, fisici e filosofi testimoniano della ricchezza di questo concetto che è al giorno d’oggi il cardine di un nuovo rivoluzionario paradigma scientifico. Akerma, Karim Der Gewinn des Symbolischen. Zur Ableitung von Naturtheorie aus dem gesellschaftlichen Sein in der Tradition kritischerTheorie seit Marx Lit, luglio-agosto 1992 pp.380, DM 58 Alexander, Peter Sensationalism and scientific explanation Thoemmes, novembre 1992 pp.158, £ 12,99 Alexander sostiene in modo convincente che il sensazionalismo, con la sua enfasi sul ruolo puramente “descrittivo” della scienza, non rende giustizia al suo ruolo esplicativo, altrettanto importante. Allen, R.T. The education of autonomous man. Historical and critical studies Avebury, settembre 1992 pp. 88, £ 30 Il presente studio del moderno pensiero educazionale mette in relazione certi pensatori e teorie con il profondo cambiamento intervenuto nella concezione che gli uomini hanno di sé (come esseri autodeterminanti e autolegiferanti) e del mondo. Fra i filosofi di cui si tratta, Rousseau, Kant, Hegel, Froebel, Marx e Nietzsche. NOVITA’ IN LIBRERIA “De generatione animalium” in cui Aristotele porta a termine la propria teoria riproduttiva. Le note spiegano le affermazioni di Aristotele e discutono le sue idee su questioni importanti quale la teleologia naturale. Bartuschat, Wolfgang Spinozas Theorie des Menschen Meiner, settembre 1992 pp.396, DM 128 Baule, Bernward Kulturerkenntnis und Kulturbewertung bei Theodor Lessing Lax, settembre 1992 pp.266, DM 44 Ammitzboll, Niels P. Menschenbild und Erziehungskonseption bei William Godwin. Zum sensualistischen und utilitaristischen Charakter seiner Pädagogik G. Olms, luglio-agosto 1992 pp.250, DM 44,80 William Godwin (1756-1836), filosofo e autore di romanzi, biografie, opere storiche, libri scolastici e per bambini, pose l’informazione, l’educazione e l’istruzione al centro della propria filosofia. Arnauld, Antoine - Nicole, Pierre Jourdain, Charles (a cura di) La Logique ou l’arte de penser Gallimard, ottobre 1992 pp.404, F 63 Pubblicato per la prima volta nel 1662, La Logique de Port-Royal è al contempo una grammatica intellettuale e un compendio dell’epistemologia del classicismo cartesiano e pascaliano. Questo modo di pensare è strutturato secondo i quattro aspetti del pensiero razionale: comprendere, giudicare, dedurre e ordinare. Augias, Jean-Marie Michel Serres, philosophe occitan Fédérop, ottobre 1992 pp.167, F 90 Michel Serres appartiene con tutto se stesso al pensiero occitano. La terra, i luoghi, i giochi, l’infanzia e l’autenticità, tutto vi riporta. Ma la cosa più importante, secondo l’autore, è l’apporto di M. Serres alla cultura occitana. Anders, Günther Über philosophische Diktion und das Problem der Popularisierung Wallstein, luglio-agosto 1992 pp.28, DM 15 Angiulli, Andrea Gli hegeliani e i positivisti in Italia a cura di A. Savorelli Leo S. Olschki, novembre 1992 pp.314, L. 58.000 I testi inediti di uno dei protagonisti della cultura filosofica italiana dopo l’Unità: un originale percorso intellettuale che, dalla riflessione su temi etico-politici, approda ad una revisione critica del positivismo evoluzionistico. Bachelard, Gaston L’Air et les songes: essai sur l’imagination du mouvement LGF, ottobre 1992 pp.350, F 46 Bachelard riunisce e interpreta gli elementi che compongono quello che si potrebbe chiamare lo “psichismo aereo”, vale a dire tutto ciò che nello spirito umano partecipa dei fantasmi legati all’aria e soprattutto il fatto di volare, oggetto di numerose credenze e di innumerevoli elaborazioni poetiche. Annas, Julia (a cura di) Oxford studies in ancient philosophy: Vol. X. 1992 Clarendon, dicembre 1992 pp.304, £ 35 Decima pubblicazione annuale (1992) della serie su antichi saggi di filosofia, questo volume copre una vasta gamma di argomenti della filosofia antica e riesamina libri importanti. Balke, F. - Méchoulan, E. Wagner, B. (a cura di) Zeit des Ereignisses Ende der Geschichte? W. Fink, luglio-agosto 1992 pp.280, DM 68 Dove c’è una teoria sulla fine si inserisce il discorso sul fenomeno. Ciò dimostra in modo impressionante l’attuale congiuntura del “fenomeno” in filosofia, sociologia, storiografia e “politica”. Aristote Ethique à Nicomaque trad. dal greco di J. Defradas intr. e comm. di R. Arnaldez Presses-Pocket, luglio-agosto 1992 F 70 Armour, Leslie Being and idea. Developments of some themes in Spinoza and Hegel Olms, ottobre 1992 pp.185, DM 39,80 Balme, D. M. - Gothelf, Allan (a cura di) Aristotle: “De partibus animalium I” and “De generatione animalium I” Clarendon, novembre 1992 pp.192, £ 14 La traduzione comprende parte del 68 Baxter, Timothy M. S. The Cratylus. Plato’s critique of naming Brill, ottobre 1992 pp.200, Dfl 130 Beare, John I. Greek theories of elementary cognition. From Alcmaeon to Aristotle (1906) Thoemmes Press, novembre 1992 pp.366, £ 42 Saggio sulle teorie greche della cognizione elementare, da Alcmane ad Aristotele. Bechtel. W.- Richardson, R. C. Discovering complexity. Decomposition and localization as strategies in scientific research Princeton UP, ottobre 1992 pp.328, $ 48 Il libro offre un resoconto della scoperta scientifica che cerca di essere psicologicamente e storicamente realistico. Prendendo esempi tratti da numerose scienze vitali questo saggio sulle dinemiche dell’elaborazione di teorie si focalizza su due euristiche psicologiche, la decomposizione e la localizzazione. Beckmann, Jan P. Ockham-Bibliographie 1900 bis 1990 Meiner, settembre 1992 pp.167, DM 120 Il curatore ha ordinato alfabeticamente per autori la bibliografia secondaria, munendo questa edizione di quattro indici (dei nomi, delle opere, sistematico e delle cose). Bellebaum, A. (a cura di) Glückforschung. Eine Symposium Westdt. Verlag, settembre 1992 pp.200, DM 28 Le venerabili teorie filosofiche (morali) e teologiche della fortuna attualmente non vengono più sviluppate con altrettanto vigore che in altri tempi. D’altronde, la ricerca sulla fortuna e la soddisfazione nelle scienze sociali di orientamento empirico si espande, mentre al contempo si parla meno della fortuna come qualità di vita eccetera. Qui si propone un ulteriore campo di ricerca sulla fortuna, psicologico e sociopsicologico. NOVITA’ IN LIBRERIA Bellet, Maurice Critique de la raison sourde Desclée de B., luglio-agosto 1992 pp.207, F 98 Che cos’è la ragione sorda? Quella che non sente, che si ripiega su se stessa, chiusa sui suoi principi, ostile a ciò che le è estraneo. Benedikt, M. et al. Verdrängter Humanismus verzögerte Aufklärung. Österreische Philosophie zur Zeit der Aufklärung und Revolution Turia und Kant, luglio-agosto 1992 pp.960, DM 68 Benjamin, Andrew (a cura di) Judging Lyotard Routledge, settembre 1992 pp.224, £ 11 Raccolta di scritti dedicati all’opera di Lyotard, che costituisce una valutazione e una critica della sua opera e in particolare si sofferma sull’importanza per Lyotard della questione del giudizio e delle sue idee su ciò in un contesto kantiano. Bergson, H. Lettere a Xavier Léon e ad altri a cura di Renzo Ragghianti Bibliopolis, novembre 1992 pp. 188, L. 50.000 Le lettere di Bergson a Xavier Léon, rintracciate presso la biblioteca Victor Cousin in Sorbona, registrano un intenso scambio ideale protrattosi per oltre un quarantennio. L’epistolario indugia sulle circostanze che accompagnarono la fondazione e il successivo affermarsi della “Revue de Métaphysique et de Morale” della Societé Francaise de Philosophie, in un serrato intreccio tra annotazioni di cronaca e itinerari speculativi, aperto ad una fitta rete di collaborazioni internazionali. Bergson, Henri Durée et simultanéité PUF, luglio-agosto 1992 pp.232, F 58 Pubblicata nel 1922, quest’opera presenta una nuova prova della teoria di Bergson della durata, una teoria fondamentale per la comprensione di tutto il suo pensiero, visto che proprio a partire da essa si è sviluppata la filosofia dell’intuizione. Bianco, Franco - Sichirollo, Livio (a cura di) Logica e storia. Scritti in onore di Leo Lugarini Franco Angeli, ottobre 1992 pp.240, L. 35.000 Nel riunire gli scritti si studiosi italiani e stranieri sotto il titolo di Logica e storia i curatori del volume hanno ritenuto di poter indicare non solo l’ambito dei problemi affrontati nei singoli contributi, ma anche la cerchia tematica cui più intensamente si è rivolta la riflessione di Lugarini. Bianco, Franco (a cura di) Heidegger in discussione Franco Angeli, ottobre 1992 pp. 368, L. 50.000 Interrogarsi sulla eredità di Heideg- ger significa cercare di tener conto non solo delle luci ma anche delle ombre che ne hanno accompagnato l’opera e la vita. Accanto alla riflessione sulla prassi vengono indagati, in questo volume, i problemi connessi con la comprensione del logos e della soggettività, il rapporto decostruttivo-costruttivo instaurato da Heidegger con la tradizione e l’orizzonte in senso lato “religioso” che ne caratterizza l’intera evoluzione speculativa. Brzoska, Andreas Absolutes Sein. Parmenides’ Lehrgedicht und seine Spiegelung im Sophistes Lit Verlag, ottobre 1992 pp.184, DM 48,80 Buchdahl, Gerd The dynamics of reason: Essays on the structure of Kant’s philosophy Blackwell Publishing , ottobre 1992 pp.356, £ 45 Al centro di questo libro sull’interpretazione della filosofia trascendentale di Kant c’è l’assunto che la si possa capire meglio dinamicamente. Si fa uso del processo riduttivo-realizzativo come chiave di interpretazione delle sezioni più oscure dell’opera di Kant. Bicchieri, Cristina Dalla Chiara, Maria Luisa Knowledge, belief and strategic interaction Cambridge UP, novembre 1992 pp.544, £ 40 Il libro offre un panorama dell’interazine fra teoria del gioco, logica ed epistemologia nei modelli formali di conoscenza, credenza, deliberazione e apprendimento e nel rapporto fra la teoria decisionale bayesiana e la teoria del gioco, nonché fra razionalità vincolata e complessità computazionale. Bucher, Zeno Die Abstammung des Menschen als naturphilosophisches Problem A cura di G. Witzany Königshausen , ottobre 1992 pp.136, DM 29,80 Zeno Bucher OSB (1907-1984) è stato professore a S.Anselmo, Roma, e all’Istituto Filosofico della Facoltà di Teologia di Salisburgo. Egli ha chiarito che i metodi delle scienze naturali non possono essere efficaci per l’evoluzione dello spirito umano e che non si può rinunciare a un lavoro di filosofia naturale. Binder, Fabian, Valent International bibliography of Austrian philosophy 1984-1985 Ed. Rodopi, luglio-agosto 1992 pp.300, Dfl 120 Böhme, Hartmut Das andere der Vernunft. Zur Entwicklung von Rationalitätsstrukturen am Beispiel Kants. 2. Auflage Suhrkamp, luglio-agosto 1992 pp.516, DM 32 Burmester, Ute Schlagworte der frühen deutschen Aufklärung. Exemplarische Textanalyse zu Gottfried Wilhelm Leibniz Lang, luglio-agosto 1992 pp.446 Brandt, Richard B. Morality, utilitarianism and rights Cambridge UP, ottobre 1992 pp.400, £ 14 Richard Brandt è uno dei più eminenti e influenti filosofi morali contemporanei. Il presente volume comprende molti classici brani della teoria metaetica ed etica normativa. Burton, Steven J. (a cura di) Judging in good faith Cambridge UP, novembre 1992 pp.272, £ 32,50 Interessato all’etica delle corti di giustizia, Burton analizza il terreno, il contenuto e la forza del dovere legale e morale di un giudice di sostenere la legge, e difende due tesi principali: prima, quella della “buona fede” laddove i giudici sono tenuti a sostenere la legge, e seconda quella della discrezione ammissibile. Braun, Eberhard ”Aufhebung der Philosophen”. Marx und die folgen J. B. Metzler, ottobre 1992 pp. 428, DM 68 Si è verificata una frattura rivoluzionaria con la tradizione filosofica. Vi hanno partecipato importanti filosofi, tutti prima di Marx e Nietzsche. Come va pensata questa rivoluzionaria frattura? Burwick, Frederick et al. (a cura di) The crisis in modernism. Bergson and the vitalist controversy Cambridge UP, luglio-agosto 1992 pp.420, £ 50 Il movimento modernista è stato considerato la rappresentazione di un punto critico nel pensiero occidentale. Il presente volume guarda a quella crisi dal punto di vista della sua reinterpretazione delle idee sul vitalismo: l’animazione (spirituale o basata su energie fisiche) dell’universo. Brendel, Elke Die Wahrheit über den Lügner. Eine philosophisch-logische Analyse der Antinomie des Lügners de Gruyter, ottobre 1992 pp.230, DM 108 Indagine storica e sistematica della problematica della verità sull’esempio dei più noti paradossi della logica filosofica. Monografia scientifica e libro di testo per studenti di grado avanzato. Buttlar, Johannes v. Gottes Würfel. Schicksal oder Zufall Herbig , luglio-agosto 1992 pp.272, DM 39,80 Critica spietata della teoria del caos, 69 della scienza naturale stabilita e della fredda arringa. L’astrofisico Johannes v. Buttlar si applica al nuovo pensiero intuitivo della fisica, per una comprensione totalizzante dell’universo e della sua legalità, per una strategia pianificata del cosmo. Byrne, Peter The philosophical and theoogical foundations of ethics: An introduction to moral theory and its relations to religious belief Macmillan, ottobre 1992 pp.192, £ 40 Il presente saggio è un’introduzione ai problemi della filosofia morale, pensata in particolare per studenti di teologia e di discipline religiose. Esso offre un resoconto della natura e propone temi di discussione morale e dei principali tipi di teoria morale della filosofia morale contemporanea. Campbell, Richard Truth and historicity Clarendon, ottobre 1992 pp.480, £ 48 Quest’opera chiarisce il concetto di verità rintracciandone la storia dagli antichi greci fino all’esistenzialismo, al marxismo e alla moderna filosofia analitica, esponendo le concezioni di diversi pensatori e illustrando il loro impegno nei problemi contemporanei. Carr, Karen L. The banalization of nihilism Twentieth-century responses to meaninglessness State Univ. of New York Pr. luglio-agosto 1992 pp.142, $ 13 Dopo una ricognizione storica e concettuale dei cambiamenti subiti dal nichilismo nell’ultimo secolo, la Carr esamina la diagnosi di Nietzsche del nichilismo come grande crisi della modernità. L’autrice poi mette a confronto le risposte al nichilismo dal primo Karl Barth e da Richard Rorty. Centre Culturel International (a cura di) Epistémologie et cognition Mardaga, luglio-agosto 1992 F 219 Un testo fondamentale in un’indagine a metà strada fra la filosofia e la cognizione. Le scienze cognitive sono discipline che studiano le capacità di formare, integrare o manipolare le informazioni e le rappresentazioni mentali. Esse aprono alla filosofia nuove questioni. Chevalier, Jacques Histoire de la pensée 3: De Saint Augustin à Saint Thomas 4: De Duns Scoto à Suarez Ed. universitaires luglio-agosto 1992 pp.306, F 198 Uno studio della filosofia dal IV al XII secolo e l’evoluzione della filosofia dal Medio Evo ai giorni nostri. NOVITA’ IN LIBRERIA Chrétien, Jean-Louis L’Appel et la réponse Minuit, ottobre 1992 pp.160, F 129 Attraverso analisi che vanno da Aristotele alla fenomenologia contemporanea, ecco una riflessione sulla bellezza come richiamo, una critica del pensiero portata da una voce interiore, silenziosa e incorporea, come la voce della coscienza, e una descrizione delle funzioni del toccare nel nostro rapporto con il mondo. Clark, Austen Sensory qualities Clarendon, novembre 1992 pp.224, £ 25 Molti filosofi dubitano che si possa dare una spiegazione soddisfacente delle qualità sensoriali, di come le cose appaiono, sembrano o impressionano il soggetto che le percepisce. Clark si rivolge a questi problemi apparentemente intrattabili e suggerisce che in effetti è possibile una soluzione. Cleary, John J. (a cura di) Proceedings of the Boston area colloquium in ancient philosophy: Vol. 7 UP of America, novembre 1992 pp.250, £ 17,50 Il volume contiene scritti e commenti presentati nel 13º Congresso della zona di Boston sulla Filosofia Antica nell’anno accademico 1990-91. Cobb-Stevens, Richard Taminiaux, Jacques Granel, Gérard et al. La Phénoménologie aux confins TER, luglio-agosto 1992 pp.113, F 69 Raccolta di quattro saggi che furono quattro conferenze tenute al Collège International de philosophie nel novembre 1991. Essi cercano di mostrare i limiti del concetto di fenomenologia attraverso il pensiero di Husserl, Heidegger e Wittgenstein. Cody, Michael W. J. Richardson, R. Lynn Honest government: An ethics guide for public service Praeger Publishers, novembre 1992 £ 12,85 Il testo è rivolto ha chi ha bisogno di una vasta valutazione del comportamento etico dei pubblici funzionari e degli impiegati di ogni livello nel governo degli Stati Uniti, Gli autori esaminano la questione di come gli americani potrebbero misurare l’etica routinaria, quotidiana di uomini e donne che prestano servizio pubblico. Colby, Ann - Damon, William Some do care: Contemporary lives of moral commitment Free, ottobre 1992 pp.325, £ 16,95 Il libro si propone di fornire un resoconto psicologico di 23 esemplari morali contemporanei che hanno dato una guida morale alle comunità per tutti gli Stati Uniti. In genere queste persone hanno lavorato per i poveri, combattuto per i diritti civili dedicando le proprie vite al bene altrui. de ogni questione di valore. Critchley ritiene che la decostruzione di Derrida possa e in realtà debba essere letta come una richiesta etica, ammesso che quell’etica venga interpretata nel senso che le è dato dall’opera di Levinas. Collège International de philosophie (Paris) Politique et modernité Osiris, luglio-agosto 1992 Dagognet, François Le corps multiple et un. Laboratoires Delagrange luglio-agosto 1992 pp.215, F 84 Perché i filosofi si sono sempre interessati così poco al corpo, preferendogli la più nobile coscienza? L’autore riprende questa questione per mezzo di quattro grandi filosofi, da Platone a Bergson. Al programma degli studenti al concorso delle scuole di commercio. Collingwood, R. G. The new Leviathan: On man, society, civilization and barbarism A cura di David Boucher Clarendon, novembre 1992 pp.576, £ 45 Edizione riveduta dell’ultima grande opera del filosofo oxoniense R. G. Collingwood. David Boucher vi ha aggiunto pregevole materiale inedito tratto dai manoscritti di Collingwood. Copenhaver, Br. P. (a cura di) Hermetica. Cambridge UP, ottobre 1992 pp.380, £ 40 L’introduzione di Copenhaver e le note forniscono un contesto interpretativo che tiene conto dei recenti progressi degli studiosi ermetici. Dalfert, Ingolf U. Gott. Philosophischtheologische Denkversuch J. C. B. Mohr, ottobre 1992 pp.280, DM 59 In che senso si può dire che Dio esiste? Può Dio agire? Se Dio è onnipotente, può anche peccare? In che misura Dio è ovvio? Che cosa bisogna pensare se si vuole pensare Dio? Copenhaver, Brian P. A history of Western philosophy. Vol.3: Renaissance philosophy Oxford Univ., settembre 1992 pp.464, £ 10 Il Rinascimento è visto come un momento brillante nello sviluppo della civiltà occidentale. Ai contributi della filosofia alla cultura rinascimentale tuttavia è stato dedicato relativamente poco spazio. Nel volume si tratta di Marsilio Ficino, Justus Lipsius, Erasmo e Machiavelli. Dancy, Jonathan et al. A companion to epistemology Blackwell Publ., settembre 1992 pp.352, £ 65 L’epistemologia, la teoria della conoscenza e la sua giustificazione, ha sempre avuto un’importanza centrale nella filosofia. Questa opera di consultazione del campo contiene oltre 250 articoli che vanno dalle discussioni sommarie a saggi su argomenti attualmente oggetto di dibattito. Cotten, Jean-Pierre Autour de Victor Cousin: une politique de la philosophie Belles Lettres, luglio-agosto 1992 pp.237, F 220 Attraverso una serie di saggi, l’autore cerca di dimostrare che una “politica della filosofia” nel XIX secolo francese, non si confonde con una “filosofia politica”, né si può ridurre al portare in luce interessi eminentemente pratici che si possono soddisfare sotto l’egida di un discorso filosofico. Davis, Michael Aristotle’s “Poetics”: The poetry of philosophy Rowman & Littlefield, ottobre 1992 pp.256, £ 15,95 Michael Davis qui sostiene in modo convincente che oltre a insegnarci qualcosa sulla poesia, la “Poetica” contiene un’interpretazione della struttura comune dell’azione umana e del pensiero umano che la riporta ad altri scritti di Aristotele di politica e morale. Cottingham, John (a cura di) The Cambridge companion to Descartes Cambridge UP, novembre 1992 pp.464, £ 12,95 Questi scritti su Descartes riguardano la vita, l’evoluzione del suo pensiero e il retroterra intellettuale della sua opera. C’è anche una sezione centrale sulla sua metafisica, in cui si tratta fra l’altro dell’argomentazione del “cogito”, delle prove dell’esistenza di Dio, del circolo cartesiano e altro ancora. Davis, Michael To make the punishment f fit the crime: Essays in the theory of criminal justice Westview Press, novembre 1992 pp.260, £ 33,50 Analisi dei molti problemi pratici della punizione, questo libro sarà utilissimo per filosofi, avvocati e criminologi. Fra le questioni discusse, lo stupro, le recidive, i tentativi falliti di compiere crimini, la follia criminale e i crimini di stretta responsabilità Critchley, Simon The ethics of deconstruction. Derrida and Levinas Blackwell , luglio-agosto 1992 pp.272, £ 14 L’autore attacca le polemiche secondo le quali l’opera di Derrida sospen- Dawes Hicks, G. Berkeley (1932) Thoemmes, novembre 1992 pp.346, £ 16,99 Un saggio del dottor Dawes Hicks che costituisce un esame critico degli scritti di George Berkeley. 70 Delhomme, Jeanne Exercise de la pensée Deux-temps Tierce, ottobre 1992 pp.200, F 130 Una scelta di articoli per contribuire a far conoscere il pensiero di J. Delhomme. Un pensiero insolito, esigente che riconosce come unico compito quello di ricordare che l’esercizio della più estrema lucidità riflessiva costituisce il senso stesso dell’atto di filosofare. Dell’Utri, Massimo Le vie del realismo Verità, linguaggio e conoscenza in H. Putnam Franco Angeli, ottobre 1992 pp.224, L. 32.000 L’opposizione di Hilary Putnam ad ogni presunta guida assoluta e univoca della conoscenza razionale è radicata nella salda convinzione che quei concetti abbiano un loro peculiare contenuto, le cui possibili descrizioni sono calate nella storia e intrise di sensibilità, aspettative e valori profondamente umani. Tale convinzione è frutto appunto di un graduale processo di maturazione che avviene sotto il segno del realismo. Demmerlich, Chr. Kambartel, Fr. (a cura di) Vernunftkritik nach Hegel. Beiträge zu Ethik, Gerechtigkeitstheorie und Normenlogik Böhlau, ottobre 1992 pp.520, DM 140 Dilman, Ilham Existentialist critique of Cartesianism Macmillan, novembre 1992 pp.200, £ 35 Una discussione delle critiche esistenzialiste all’epistemologia cartesiana, lo scetticismo a cui essa porta, la sua concezione oggettivista dell’io, il dualismo e il solipsismo cartesiano e la concezione deterministica della vita umana. Dall’autore di “Morality and the Inner Life: A Study of Plato’s Gorgias”. Ditfurth, Hoimar von Das Erbe des Neandertalers. Weltbild zwischen Wissenschaft und Glaube Kiepenheur, luglio-agosto 1992 pp.400, DM 39,80 In questo saggio, finora inedito nei suoi libri, su una moderna immagine del mondo, il grande giornalista scientifico ammonisce i colleghi dal distacco dell’ignoranza antropocentrica di fronte alla creazione. Domenach, Jean-Marie Une morale sens moralisme Flammarion, ottobre 1992 pp.260, F 120 Gli anni ’90 saranno gli anni della morale? Secondo l’autore, la morale non ha alcun senso se non confrontata a situazioni concrete. Restaurare i valori e celebrare le virtù non vuol dire esattamente tornare al moralismo, che sia di destra o di sinistra? NOVITA’ IN LIBRERIA Douglas Geivett, R. Sweetman, Brendan Contemporary Perspectives on religious epistemology Oxford UP, novembre 1992 pp.384, £ 14,95 Questa antologia contiene 28 saggi chiave che rappresentano le correnti dominanti nell’epistemologia religiosa contemporanea. Fra gli approcci discussi la teologia naturale, la fede razionale basata sull’esperienza religiosa, la sfida ateistica, il fideismo wittgensteiniano e l’epistemologia riformata. Drieschner, Michael Carl Friedrich von Weizsäcker zur Einführung Junius, ottobre 1992 pp.150, DM 16,80 Drieschner mette in luce nella propria introduzione l’unità dell’opera di Weizsäcker e dimostra quali siano i suoi contributi alla fisica, alla filosofia, alla politica e alla religione. Echeverria, J. - Ibarra, A. Mormann, Th. (a cura di) The space of mathematics. Philosophical, epistemological and historical explorations de Gruyter, settembre 1992 pp.422, DM 228 Scritti sulla “nuova” teoria della matematica. In particolare evidenza le questioni concettuali e storiche che pongono la conoscenza matematica all’interno del contesto generale della conoscenza (scientifica). Eidam, Heinz Discrimen der Zeit. Zur Historiographie der Moderne bei W. Benjamin Königshausen und Neumann settembre 1992 pp.494, DM 98 Questa estesa e completa monografia sulla prima e l’ultima opera di Walter Benjamin costituisce al tempo stesso un contributo al dibattito dei problemi filosofici del tempo e della storia. Eisner, Gary Nietzsche: A philosophical biography UP of America, ottobre 1992 pp.206, £ 19,95 Questo studio delle concezioni di Nietzsche intreccia le azioni rilevanti nella sua vita così da presentare una biografia filosofica. La premessa principale dell’opera è che solo una simile presentazione storica possa dar luogo a una comprensione della persona di Nietzsche, che fu un filosofo. Erdmann, Johann Eduard Grundriß der Geschichte der Philosophie. Bd. 1: Philosophie des Altertums und des Mittelalters. Bd. 2: Philosophie der Neuzeit Klotz, settembre 1992 pp.1610, DM 400 Faye, Jean-Pierre (a cura di) L’Europe une: les philosophes et l’Europe Gallimard, ottobre 1992 pp.290, F 75 J.-P. Faye si richiama ai testi dei grandi pensatori della storia per commentare il gioco filosofico degli avvenimenti politici contemporanei: Rousseau, Voltaire, Pasolini e soprattutto Nietzsche, che scriveva: l’Europa viene a noi “lentamente e come esitando” ma “spinta da necessità”. Heidegger zur Einführung Junius, ottobre 1992 pp.200, DM 19,80 Nella sua introduzione Figal cerca di rintracciare l’origine dei fondamenti del pensiero di Heidegger e di evidenziarne la loro dipendenza reciproca. Solo in questa cornice sistematica molte delle formulazioni di Heidegger perdono la loro enigmaticità. Filodemo Testimonianze su Socrate trad. di E. A. Mendéz e A. Angeli Bibliopolis, ottobre 1992 pp.408, L. 160.000 La critica epicurea a Socrate si inserisce nella tradizione ostile al filosofo attestata in Aristofane e in altri poeti comici, nella Accusa di Policrate e in alcuni allievi di Aristotele. Da questi emerge che l’antisocratismo epicureo, pur conservando durante l’intero percorso storico della scuola il rifiuto dei concetti socratici di “filosofia” e di “sapere”, attraversò fasi diverse. Ferry, Luc Le nouvel ordre écologique: l’arbre, l’animal et l’homme Grasset, ottobre 1992 pp.275, F 115 Che cosa sappiamo del contesto intellettuale nel quale la Germania nazista elaborò le prime grandi leggi sulla protezione degli animali (1933) e della natura (1935)? Quali sono oggi le motivazioni filosofiche e politiche delle correnti ecologiche fondamentaliste? L’autore auspica un’etica dell’ambiente alleata alla democrazia. Fischer, Kuno Descartes and his school (1887) Thoemmes Press, novembre 1992 pp.610, £ 48 Un’opera sugli eroi della moderna filosofia, compreso Descartes e i suoi seguaci. Feucht, Roland H. Die Neoontologie Nicolai Hartmanns im Licht der evolutionären Erkenntnistheorie Roderer, ottobre 1992 pp.300, DM 52 Folina, Janet M. Poincaré and the philosophy of mathematics Macmillan Academic settembre 1992 pp.224, £ 40 Una ricostruzione della filosofia della matematica antirealista di Henri Poicaré. Feuerbach, Ludwig L’essence du christianisme A cura di J.-P. Osier Gallimard, ottobre 1992 F 98 L’opera di Feuerbach è ancora oggi oggetto di scandalo, poiché tratta di religione e divide gli uomini. Essa costringe a pronunciarsi su quella che rimane indubbiamente una questione cruciale: per una filosofia religiosa o per una filosofia coscientemente e rigorosamente antireligiosa. Folscheid, Dominique Wunenburger, Jean-Jacques Méthodologie philosophique PUF, settembre 1992 pp. 384, F 118 L’apprendimento della filosofia non può prescindere dalla lettura, dall’interpretazione di testi e dalla riflessione su questioni sempre vive. Per tutti questi esercizi, qui si troveranno i fondamenti teorici, i mezzi di applicazione seguiti da esempi nelle situazioni. Feyerabend, Paul K. Über die Erkenntnis. Zwei Dialoge Campus, ottobre 1992 pp.210, DM 28 I due dialoghi sono stati tradotti dall’inglese da Ilse Grimm, il saggio che chiude il volume da Hans Günther Holl. Fotion, Nick - Elfstrom, Gerard Toleration Univ. of Alabama, novembre 1992 pp.200, £ 21,50 Il libro sostiene che la tolleranza offre l’utile possibilità di rispondere a situazioni difficili con un grado di flessibilità che non è possibile con i concetti dicotomici di bene-male, giustosbagliato, etica-non etico, destra-sinistra. Fietz, Rudolf Medienphilosophie. Musik, Sprache und Schrift bei Friedrich Nietzsche Königshausen und Neumann settembre 1992 pp.440, DM 98 Per i propri testi, Nietzsche reclamava un altro modo di scrivere, più musicale. In questo libro si dimostra che cosa era secondo Nietzsche l’organizzazione dei segni e come dunque si possano leggere e comprendere i suoi scritti. Foucault, Michel Tecnologie del sé Bollati Boringhieri, ottobre 1992 pp.168, L. 20.000 Verso la fine della sua vita, Foucault si volse dallo studio delle tecniche del potere e del dominio mediante le quali il “sé” era stato oggettivato, allo studio di come un individuo interagisce con gli altri e agisce su se stesso. Figal, Günter 71 Nel libro, che avrebbe dovuto nascere da un seminario tenuto nel 1982 negli Stati Uniti, Foucault si proponeva di ricostruire «una geneoalogia di come il sé costituì se stesso in soggetto». La morte gli impedì di realizzare tale progetto, di cui restano però i materiali poi scrupolosamente editi da alcuni suoi discepoli. Fraser, Nancy Widerspenstige Praktiken. Macht, Diskurs, Geschlecht. Gender Studies Suhrkamp, luglio-agosto 1992 pp.230, DM 16 La filosofa Nancy Fraser esplora una linea di nuovi principi critici di teoria della società in Francia, Germania e America, con un occhio alla teoria e alla prassi dei movimenti femminili. Freudenthal, Gad (a cura di) Studies on Gersonides: A fourteenth-century jewish philosopher-scientist E. J. Brill, novembre 1992 pp.400, Dfl 150 Una rassegna completa e una valutazione dell’opera scientifica di Gersonide, una della più grandi figure del pensiero ebreo medievale. Il volume adotta un’ampia nozione di scienza che comprende, oltre all’astronomia, alla matematica e alla logica, anche la fisica e la filosofia. Friedman, Michael Kant and the exact sciences Harvard UP, luglio-agosto 1992 pp.368, $53 L’autore sostiene che gli sforzi di Kant per arrivare a una metafisica che fornisse i fondamenti scientifici sono essenziali per comprendere lo sviluppo del suo pensiero dagli inizi nella tesi del 1747 alla “Critica della ragion pura” fino ai suoi ultimi scritti nell’”Opus postumum”. Friedrichsdorf, Ulf Einführung in die klassische und intensionale Logik Vieweg, settembre 1992 pp.360, DM 68 Il libro si propone di introdurre anche il lettore con una scarsa formazione matematica alla logica classica bivalente e ai suoi sviluppi intensionali come la logica modale, la logica del tempo e la logica dinamica. Fromm, Erich Humanismus als reale Utopie. Der Glaube an den Menschen Beltz Quadriga, luglio-agosto 1992 pp.200, DM 26 L’enorme ricchezza di pensiero di questo testo finora inedito ci viene proposta in un’edizione in otto volume e rappresenta un’indispensabile integrazione delle opere complete. Gabel. Gernot U. Sartre. A comprehensive bibliography of international theses and dissertation 1950-1985 Ed. Gemini, luglio-agosto 1992 pp.70, DM 20 Gähde, U. - Schrader, W. H. NOVITA’ IN LIBRERIA (a cura di) Der klassische Utilitarismus. Einflüsse - Entwicklungen - Folgen Akademie, ottobre 1992 pp.360, DM 78 Gandillac, Maurice de Genèses de la modernité: les douze siècles où se fit notre Europe, de La Cité de Dieu à La Nouvelle Atlantide Cerf, ottobre 1992 pp.670, F 295 Le origini spirituali dell’Europa, dalla Città di Dio di Sant’Agostino alla Nuova Atlantide di Bacone. La prima parte si ferma all’inizio del XIV secolo con Lullo, araldo delle utopie del Rinascimento; la seconda annuncia lo sconvolgimento cosmologico che avrebbe abolito tutti i limiti dell’estensione e del tempo. Gans, Chaim Philosophical anarchism and political disobedience Cambridge UP, luglio-agosto 1992 pp.180, £ 28 Ispirandosi all’esperienza israeliana di disobbedienza civile motivata da differenti visioni morali, l’autore espone i principi che secondo lui dovrebbero guidare il nostro atteggiamento verso la legge e l’autorità politica anche fra ideologie contrastanti e moralità inconciliabili. Gauthier, David - Sugden, Robert (a cura di) Rationality, justice and the social contract: Themes from “Morals by agreement” Harvester Wheatsheaf, ottobre 1992 pp.192, £ 35 Un gruppo di filosofi, economisti e teorici politici discute l’opera di David Gauthier, il quale cerca di dimostrare che l’individuo razionale accetterebbe determinate costrizioni morali sulle proprie scelte. Si analizzano possibilità e limiti di un approccio contrattuale alle questioni di giustizia. Geach, Peter Mental acts (1971) Thoemmes Press, novembre 1992 pp.148, £ 10,99 Scritto in contrasto con il behaviourismo dominante in quel periodo, questo libro agile ma acuto sostiene la realtà degli “atti mentali” quali gli atti di giudizio. Geach prosegue screditando la teoria astrazionista del concetto di formazione e criticando la teoria relazionale del giudizio di Russell. Geliner, Ernest Reason and rationalism Blackwell, luglio-agosto 1992 pp.224, £ 10 Un esame della disparità fra la storia dell’idea di razionalità e ciò che costituisce e ha costituito il comportamento “ragionevole”. L’autore confronta le idee delle società secolari con quelle di società dichiaratamente teocratiche, fra cui quella musulmana. Gerassi, John Sartre. Conscience haie de son siècle Rocher, luglio-agosto 1992 pp.312, FF 150 L’autore si rifà a documenti inediti e soprattutto su una decina di ore di colloquio con Sartre e i suoi parenti. Il testo esplora le questioni relative alla natura della rappresentazione nell’arte, chiedendosi per esempio come facciamo a cogliere la somiglianza nelle caricature o nei ritratti. Presenta poi le tesi e le opinioni contrastanti di uno storico dell’arte, uno psicologo e un filosofo. Gerhardt, Volker Friedrich Nietzsche C. H. Beck, ottobre 1992 pp.180, DM 22 Volker Gerhardt ci offre un’immagine completa della vita e delle opere di Nietzsche, dedicandosi ai primi scritti con altrettanta cura che alle grandi visioni delle ultime opere. Goodman, L. E. Avicenna Routledge, ottobre 1992 pp.256, 12,99 Un ritratto filosofico di uno dei grandi metafisici della storia. Avicenna viene inserito efficacemente nel contesto storico, ma al contempo si collegano le sue teorie a centrali questioni filosofiche contemporanee. Gerl, Hanna-B. Nach dem Jahrhundert der Wölfe. Werte im Aufbruch Benziger, luglio-agosto 1992 pp.200, DM 29,80 A che cosa si può obbligare tutta l’umanità? Quali valori rimangono ancora intatti? Quali criteri sono importanti per una futura cultura della vita? Hanna-B. Gerl risponde allo spirito dei tempi moderno, indica la strada nella giungla delle ideologie di questo secolo e delinea le direttive di una nuova cultura dell’uomo. Gorby, Ivan Pythagore Ed. universitaire, ottobre 1992 pp.128, F 145 Una presentazione di colui che fu considerato il padre della filosofia. L’autore si sofferma soprattutto sull’influenza di Pitagora sui primi autori cristiani e in particolare sui Padri della Chiesa. Gosepath, Stefan Aufgeklärtes Eigeninteresse. Eine Theorie theoretischer und praktischer Rationalität Suhrkamp, ottobre 1992 pp.380, DM 48 Oggi giorno la razionalità e la ragione appartengono non solo alla filosofia, ma anche al dibattito pubblico sui concetti affini. Sia nel linguaggio di tutti i giorni che in filosofia però c’è poca chiarezza su cosa significhino questi concetti. Il presente volume si occupa di chiarire il concetto di razionalità. Gerlich, Siegfried Sinn, Unsinn, Sein. Philosophische Studien über Psychoanalyse, Dekonstruktion und Genealogie Passagen-Vlg., ottobre 1992 pp.256, DM 55 Geyer, P. - Hagenbüche, R. (a cura di) Das Paradox: Signatur der Krise. Eine Herausforderung des abendländischen Denkens Stauffenburg, luglio-agosto 1992 pp.671, DM 128 Graham, A. C. Two chinese philosophers: The metaphysics of the brothers Ch’eng Open Court Publ., ottobre 1992 pp.230, £ 14,95 I fratelli Ch’eng furono esponenti di punta del revival neo-confuciano, che divenne la dottrina ortodossa di stato, usata quindi per educare e forgiare ideologicamente la classe governante cinese. Questo libro analizza i fratelli Ch’eng e ne esamina la filosofia. Gillett, Grant Representation, meaning and thought Clarendon, ottobre 1992 pp.232, £ 25 Il libro esamina il rapporto fra pensiero e linguaggio prendendo in considerazione le idee di Kant e di Wittgenstein oltre a numerosi rami del dibattito contemporaneo nell’area del contenuto mentale. Grimal, Pierre Seneca Garzanti, ottobre 1992 pp.352, L. 55.000 L’indagine di Grimal si è orientata soprattutto verso il pensiero di Seneca, la sua adesione convinta e totale alle dottrine stoiche, il suo impegno a coglierne continuamente i risvolti morali e pratici. Goddard, Jean-Christophe Le Corps Vrin, luglio-agosto 1992 pp.320, F 144 Esposizione in quindici lezioni delle tappe principali della storia del pensiero del corpo, nella filosofia della conoscenza come in filosofia morale e politica, estetica, psicoanalisi e fenomenologia. Destinato agli allievi delle classi preparatorie delle scuole di commercio. Grossman, Reinhardt The existence of the world. An introduction to ontology Routledge, luglio-agosto 1992 pp.152, £ 30 L’autore vede la storia della filosofia occidentale come una grande battaglia fra naturalisti e ontologisti, ed esamina i dibattiti che li separano. Gombridge, E. H. Hochberg, Julian Black, Max (a cura di) Art, perception and reality The Johns Hopkins , novembre 1992 pp.146, £ 11,50 72 Grote, George Plato, and the other companions of Sokrates Thoemmes Press, novembre 1992 pp.1888, £ 150 Uno studio in tre volumi dell’opera di Platone, Socrate e la loro cerchia. Günther, Horst Montaigne. Ein Essay Insel-Vlg., settembre 1992 pp.160, DM 10 Haardt, Alexander Husserl in Rußland. Phänomenologie der Sprache und Kunst bei G. Spet und A. Losev W. Fink, settembre 1992 pp.280, DM 68 Ciò che nel pensiero di Husserl appare in dissolvenza, ciò che in lui rimane solo periferico, per i fenomenologi russi si trova al centro della loro rilfessione. Habermas, Jürgen Faktizität und Geltung. Beiträge zur Diskurstheorie des Rechts und des demokratischen Rechtsstaates Suhrkamp, luglio-agosto 1992 pp.500, DM 48 L’approccio teoretico del discorso era fino a questo momento impostato sulla costruzione della volontà individuale e trovava la sua dimostrazione negli ambiti della filosofia morale ed etica. Ma lo si può motivare già da un punto di vista funzionale, perché la forma post-tradizionale di una morale fondata sui principi è avviata al completamente attraverso il diritto positivo. Hagestedt, Jens Freud und Heidegger. Zum Begriff der Geschichte im Ausgang des subjektzentrischen Denkens W. Fink, ottobre 1992 pp.380, DM 88 Ciò che dopo Heidegger rende possibile l’approfondimento della storia della metafisica in una cornice collettiva è quanto praticato dalla psicoanalisi in campo individuale: il superamento del problema attraverso l’annullamento dell’amnesia, il ricordo di determinati avvenimenti, che a suo tempo non hanno potuto essere esperiti adeguatamente. Haksar, Vinit Invisible selves and practical life Edinburgh UP, novembre 1992 pp.240, £ 13,95 Il testo sostiene che i presupposti della nostra vita morale e pratica hanno un’influenza su quanto crediamo delle persone e dell’identità personale. L’autore difende la concezione dell’io indivisibile, servendosi di prove empiriche, dalla schizofrenia a molti casi di personalità multipla. Hamlyn, D. W. Being a philosopher. The history of a practice Routledge, settembre 1992 pp.224, £ 25 ”Being a philosopher” esamina le ten- NOVITA’ IN LIBRERIA denze principali della pratica di considerare la filosofia come un’istituzione e osserva come i filosofi vengano visti in tempi diversi, dai greci al medio evo fino ai giorni nostri, in cui la filosofia è entrata a far parte dei corsi di studio universitari. Hansen, Chad A Daoist theory of chinese thought: A philosophical interpretation Oxford UP, ottobre 1992 pp.496, £ 50 In un tentativo di rimuovere le barriere fra filosofia cinese e mondiale, il presente saggio cerca di presentare una teoria unificata del pensiero cinese classico. L’autore usa il Taoismo, invece del confucianesimo, come principio unificante centrale. Haren, Michael Medieval thought: The western intellectual tradition from antiquity to the 13th century Macmillan, novembre 1992 pp.276, £ 11,99 Questa seconda edizione comprende, oltre alla revisione di particolari, un’ulteriore bibliografia di scuole primarie e secondarie recenti e un nuovo capitolo conclusivo che tira le somme criticamente e inserisce in un contesto le implicazioni delle ultime ricerche. Harris, Errol E. The foundations of metaphysics in science Humanitie, dicembre 1992 pp.528, £ 15,95 In questo testo, l’autore dimostra come la scienza contemporanea impliche una metafisica olistica. La sua posizione è sostenuta da tre importanti concetti: l’unità del mondo fisico, la totalità organica della biosfera e il Principio Antropico. Hartmann, Eduard von Zur Geschichte und Begründung des Pessimismus Klotz, settembre 1992 pp.141, DM 49 Hauerwas, Stanley Against the nations: War and survival in a liberal society Univ. of Notre Dame, ottobre 1992 pp.216, £ 10 In quanto tentativo dell’autore di elaborare un’etica tipicamente cristiana, questo libro parte da temi generali quali “Mantenere teologica l’etica teologica” e “Mantenere teologica l’etica immaginativa” per applicarli ad argomenti diversi come l’Olocausto, Jonestown e la guerra nucleare. Hauser, Margit Gesellschaftsbild und Frauenrolle in der Aufklärung. Zur Herausbildung des egalitären und komplementären Geschlechtsrollenkonzeptes bei Poullain de la Barre und Rousseau Passagen-Vlg., luglio-agosto 1992 pp.232, DM 46 - ÖS 320 Hayter, Thomas Remarks on Mr. Hume’s Dialogues concerning natural religion (1780) Thoemmes, novembre 1992 pp.80, £ 32 Analisi dell’opera del filosofo scozzese David Hume sulla religione naturale, a opera di Thomas Hayter. Il poeta Hölderlin influenzò con la propria opera filosofica la formazione della filosofia postkantiana in modo rilevante. Questo libro mette in luce le concezioni di Hölderlin e la sua genesi. Herrmann, Friedrich-W.v. Augustinus und die phänomenologische Frage nach der Zeit Klostermann, ottobre 1992 pp.160, DM 38 Hegel, G. W. F. Vorlesungen. Band 11: Vorlesungen über Logik und Metaphysik A cura di K. Gloy Felix Meiner, ottobre 1992 pp.327, DM 218 Oltre al testo delle lezioni il testo presenta una prefazione dettagliata, un voluminoso commento storico sistematico ai passi e concetti più importanti e una bibliografia competa per la prima parte dell’Enciclopedia. Hobohm, Carsten Naturethik - Analyse und Ausblick Hochschul-Vlg, ottobre 1992 pp.148, DM 36,50 Höffe, O. et al. (a cura di) Lexikon der Ethik C. H. Beck, ottobre 1992 pp.300, DM 24 Completamento delle voci: Antropocentrico - Biocentrico, Discorso etico, Dilemmi morali e positivismo del diritto. A parte ciò c’è una serie di nuovi rimandi, fra cui Etica della ricerca, Dilemma della carcerazione, Guerra giusta. Hegel, G. W. Friedrich L’Esprit du christianisme Presses-Pocket, ottobre 1992 F 60 Attraverso lo studio del cristianesimo e dell’ebraismoHegel pose i grandi concetti della sua filosofia. Accompagnato da un’appendice di commenti. Hoffman, Robert A portion of reason UP of America, novembre 1992 pp.394, £ 19,95 Una raccolta di saggi che esamina diversi argomenti nei quali l’irragionevolezza o un basso livello di razionalità sostituisce gli slogan o il sentimentalismo per il pensiero sobrio e quindi restringe l’azione. Il saggio difende i valori interconnessi della ragionevolezza e della libertà. Heil, John The nature of true minds Cambridge UP, novembre 1992 pp.272, £ 12,95 Il volume vuole riconciliare le emergenti concezioni della mente con il loro contenuto che, negli ultimi anni, sembrava invece inconciliabile. Si esplorano numerose tesi indicando una strada per una sintesi naturalistica, che accordi al mentale un posto nel mondo fisico insieme al non-mentale. Honnefelder, L. (a cura di) Sittliche Lebensform und praktische Vernunft Schöningh, luglio-agosto 1992 pp.223, DM 28 Heiland, Stefan Naturverständnis. Dimensionen des menschlichen Naturbezugs Prefazione di G. Altner Wissenschaftl. Buchges. settembre 1992 pp.180, DM 24,80 Dalla ricerca alle risposte la storia della filosofia e della scienza vengono considerate anche come forme storiche dei rapporti fra uomo e natura. Honneth, Axel Kampf um anerkennung. Zur moralischen Grammatik sozialer Konflikte Suhrkamp, ottobre 1992 pp.280, DM 48 Lo scopo di questo libro è di elaborare i fondamenti di una sostanziosa teoria normativa della società, partendo dal modello di pensiero hegeliano di una “lotta per il riconoscimento”, scopo che approda al risultato a cui ha portato la ricerca di Honneth sulla “critica del potere”. Heitsch, Ernst Wege zu Platon. Beiträge zum Verständnis seines Argumentierens Vandenhoeck & Ruprecht ottobre 1992 pp.160, DM 45 Chi viene a contatto con la sua argomentazione ancora oggi non ne ricava solo un piacere intellettuale, ma ne guadagna anche in conoscenza proprio laddove non si ottiene un risultato chiaro o quello che si ottiene non ci convince più. Hopkins, James - Savile, Anthony (a cura di) Psychoanalysis, Mind and art:Perspectives on Richard Wollheim Blackwell Publishing, ottobre 1992 pp.368, £ 40 Raccolta di saggi che discute, esamina e passa in rassegna i risultati raggiunti da Richard Wollheim nel campo della psicoanalisi, della mente e delle emozioni, dell’arte, della politica e dei valori analizzando insieme l’eterno problema di mente e arte. Henrich, Dieter Der Grund im Bewußtsein. Untersuchungen zu Hölderlins Denken Klett-Cotta, luglio-agosto 1992 pp.750, DM 96 73 Hösle, Vittorio Praktische Philosophie in der modernen Welt C. H. Beck, ottobre 1992 pp.200, DM 19,80 Nonostante tutte le difficoltà, la filosofia non può eludere le domande etiche che assillano ogni uomo pensante di fronte alla crisi ecologica, all’approfondimento del divario fra primo e e terzo mondo al pericolo di una guerra nucleare. I saggi qui raccolti sono un primo contributo alla riflessione su queste difficoltà. Huisman, Bruno Ribes, François Les philosophes et le corps Dunod, ottobre 1992 pp.448, F 160 Rivolto agli studenti delle classi preparatorie HEC. Hume, David Essays on suicide and the immortality of the soul Thoemmes Press, novembre 1992 pp.132, £ 10,99 I “Saggi sul suicidio e sull’immortalità dell’anima” di David Hume vengono qui ripubblicati con una nuova introduzione di John Valdimir Price. Hüntelmann, Rafael Bekennen. Philosophische Meditationen zu einem Grundphänomen im Ausgang von den Augustinischen ”Confessiones” Centaurus-Vlgs., settembre 1992 pp.208, DM 38 Husak, Douglas N. Drugs and rights Cambridge UP, ottobre 1992 pp.352, £ 12,95 In questo testo, l’autore sostiene che la “guerra alla droga” viola i diritti morali degli adulti che vogliono far uso di droghe per piacere, e che la criminalizzazione contro tale uso sono incompatibili con i diritti morali. Husserl, Edmund Gesammelte Schriften A cura di E. Ströker Felix Meiner, ottobre 1992 pp.3152, DM 238 I testi raccolti in questa edizione si basano sull’edizione critica “Husserliana” e costituiscono un’edizione definitiva e completa di tutte le opere pubblicate da Husserl stesso, a eccezione di alcuni piccoli trattati e saggi. Hütter, A. (a cura di) Paradigmenvielfalt und Wissensintegration. Beiträge zur Postmoderne im Umkreis von Jean-François Lyotard Passagen-Vlg, ottobre 1992 pp.240, DM 49,80 Iacono, Alfonso M. Le Fétichisme: histoire d’un concept PUF, luglio-agosto 1992 pp.128, F 45 Il feticismo non indica un oggetto positivo che può essere isolato una NOVITA’ IN LIBRERIA volta per tutte, ma un movimento di pensiero (che appartiene ora alla teoria, ora alla pratica) del primitivo e dell’evoluto, dove le procedure dell’identificazione sembrano confondersi con quelle dell’alienazione. Imbach, R. (a cura di) Thomas von Aqyuin: Prologe zu den AristotelesKommentaren Klostermann, ottobre 1992 pp.150, DM 24 Imhof, Arthur E. Die Kunst des Sterbens als Modell für ein besseres Leben Picus-Vlg., settembre 1992 pp.80, DM 14,80 Institut für Sozialforschung (a cura di) Kritik und Utopie im Werk von Herbert Marcuse Suhrkamp, ottobre 1992 pp.408, DM 26 Isak, Rainer Evolution ohne Ziel? Ein interdisziplinärer Forschungsbeitrag Herder, settembre 1992 pp.464, DM 56 Ivànka von, Endre Platonismo cristiano. Recezione e trasformazione del Platonismo nella Patristica Vita e Pensiero, ottobre 1992 Il volume offre il quadro generale più soddisfacente e nuovo che negli anni passati sia stato presentato sull’argomento, e quindi si impone come un punto di partenza essenziale e veramente irrinunciabile per chi si occupa di tale tematica. Ivekovic, Rada Orients: critiques de la raison postmoderne N. Blandin, ottobre 1992 pp.192, F 120 Vari saggi sui dibattiti filosofici esagonali a proposito del meticciato, dell’interculturale e del postmodernismo. Jacob, Alexander Henry More’s Refutation of Spinoza G. Olms, luglio-agosto 1992 pp.138, DM 58 Henry More (1614-1687), filosofo neoplatonico di Cambridge, è stato fra i primi a smascherare il fondamento materialistico del sistema filosofico del suo contemporaneo Baruch Spinoza (1632-1677). Jacquette, Dale Meinongian logic: The semantics of existence and nonexistence Philosophia, novembre 1992 pp.322, £ 53 In risposta al bisogno avvertito da molti di un riesame dei cardini fondamentali della filosofia di Meinong, questo libro è uno sviluppo revisionista della logica e della semantica di Meinong, basata su determinati prin- cipi della teoria dell’oggetto maturo di Meinong. nel contesto fenomenologico, a partire dall’opera di Husserl, Scheler e Ingarden. Jaeschke, W. (a cura di) Sinnlichkeit und Rationalität. Der Umbruch in der Philosophie des 19. Jhdts: Ludwig Feuerbach Akademie Verlag, ottobre 1992 pp.212, DM 124 Kant, Immanuel Kant’s “Introduction to logic” and “Essay on the mistaken subtility of the four figures” (1885) Thoemmes, novembre 1992 pp.108, £ 10,99 La “Logica” di Kant (1800) è solo un compendio della comune logica scolastica, chiaramente volta all’insegnamento e di scarsio interesse filosofico. La sua “Introduzione” invece ci offre, in un linguaggio non tecnico, le sue idee su diverse questioni epistemologiche. Jaeschke, W. (a cura di) Transzendentalphilosophie und Spekulation. Quellen. Der Streit um di Gestalt einer Ersten Philosophie (1799-1807) Felix Meiner, ottobre 1992 pp.436, DM 136 Il volume si articola in quattro gruppi tematici: Realismo contro idealismo trascendentale, idealismo trascendentale contro idealismo trascendentale e assoluto, realismo contro idealismo trascendentale e assoluto, scetticismo contro idealismo assoluto. Kant, Immanuel Kant on education (Über Pädagogik) (1899) Thoemmes, novembre 1992 pp.146, £ 10,99 Un libro che contiene le idee di Immanuel Kant sull’educazione. Janacek, Karel Indice delle vite dei Filosofi di Diogene Laerzio Leo S. Olschki, novembre 1992 pp. 374, L. 115.000 L’autore presenta il risultato di un’attività di studioso di filosofia antica protrattasi per più di quarant’anni. L’Indice costituisce uno strumento essenziale nell’indagine filosofica classica, di cui si avvertiva profondamente la mancanze. Kaspar, Rudolf F. Wittgensteins Ästhetik. Eine Studie Europa-Vlg., ottobre 1992 pp.140, DM 26 Kenny, Anthony Aristotle on the perfect life Clarendon Press, luglio-agosto 1992 pp.184, £ 22,50 Studiando l’”Etica Nicomachea” e l’”Etica Eudemia” di Aristotele, quest’opera combina la discussione scolastica dei testi greci con la riflessione sugli argomenti trattati da Aristotele, tenendo conto di come nel post aristotelismo sono stati trattati argomenti come la vocazione morale o la fortuna morale. Jeffrey, Richard Probability and the art of judgment Cambridge UP, luglio-agosto 1992 pp.264, £ 11 Questa raccolta di saggi sulla teoria della decisione e la teoria della conoscenza abbraccia un periodo di circa trentacinque anni e include quelli che ormai sono alcuni dei lavori classici nel campo. C’è anche un brano completamente nuovo, mentre nella maggior parte dei casi aggiunge ai vecchi saggi qualche nota. Keown, Damien The nature of Buddhist ethics Macmillan Acad., settembre 1992 pp.240, £ 40 Il presente volume esamina i dati etici di fonte antica e più recente nel tentativo di cogliere la natura teoretica dell’etica buddista e di chiarirne il ruolo. Il libro respinge l’idea che si tratti di un’etica di valore limitato o provvisionale. Joas, Hans Die Kreativität des Handelns Suhrkamp, luglio-agosto 1992 pp.416, DM 56 Il pensiero centrale di questo libro sta nell’affermazione che ai modelli dominanti dell’agire razionale e normativo se ne può aggiungere un terzo, per il quale ci si affida al discorso sul carattere creativo dell’agire umano. Kettern, Bernd Sozialethik und Gemeinwohl. Die Begründung einer realistischen Sozialethik bei Arthur F. Utz Duncker & Hum., settembre 1992 pp.194, DM 98 Jordan, William Ancient Concepts of philosophy Routledge, novembre 1992 pp.224, £ 10,99 In tutto il libro l’opera degli antichi viene inserita nel contesto del pensiero più recente sulla natura e il valore della filosofia. Si dimostra che c’è molto da imparare dalle idee deglinantichi sulla vita di un filosofo. Kalinovski, Georges Expérience et phénoménologie Ed. univers., luglio-agosto 1992 pp.110, F 140 Il concetto di esperienza analizzato 74 Tommaso d’Aquino, Thomas Hobbes, Rousseau, Hegel, Nietzsche, Plessner, Jaspers, Arendt, Foucault e altri. Prefazione di Panajotis Kondylis. Korfmacher, Wolfgang Ideen und Ideenerkenntnis in der ästhetischen Theorie Arthur Schopenhauers Centaurus-Vlgsges, settembre 1992 pp.204, DM 58 Korte, Eduard Kulturphilosophie und Anthropologie Kovac, ottobre 1992 pp.198, DM 79,80 Koslow, Arnold A structuralist theory of logic Cambridge UP, settembre 1992 pp.416, £ 45 Koslow propone una nuova esposizione dei concetti basilari della logica. Un punto centrale della teoria è che essa non richiede che gli elementi della logica siano basati su un linguaggio formalizzato, ma utilizza la nozione generica di implicazione come strumento per organizzare i risultati formali di vari sistemi logici in modo semplice ma acuto. Kreiner, Armin Ende der Wahrheit? Zum Wahrheitsverständnis in Philosophie und Theologie Herder, settembre 1992 pp.608, DM 68 Krusekamp, Harald Archäologen der Moderne. Zum Verhältnis von Mythos und Rationalität in der Kritischen Theorie Westdt. Vlg., settembre 1992 pp.231, DM 42 Il saggio indaga sui rapporti fra mito e razionalità nell’opera di Horkheimer, Adorno e Habermas. Si chiarisce così che l’attuale deprezzamento delle forme di pensiero mitico nell’analisi sociale della teoria critica è dovuto ai modelli di pensiero dell’illuminismo europeo. Kuhn, Rolf Leiblichkeit und Lebendigkeit Michel Henrys Lebensphänomenologie absoluter Subjektivität als Affektivität Karl Alber, ottobre 1992 pp.640, DM 178 Kim, Yong I. Existentielle Bewegung und existentielles Verstehen bei Sören Kierkegaard Roderer, luglio-agosto 1992 pp.200, DM 48 Kulke, Chr. - Scheich, E. (a cura di) Zwielicht der Vernunft. Die Dialektik der Aufklärung aus der Sicht von Frauen Centaurus-Vl, luglio-agosto 1992 pp.189, DM 38 Kondylis, Panajotis (a cura di) Der Philosoph und die Macht. Eine Anthologie Junius Vlg., settembre 1992 pp.256, DM 34 Un intenso rapporto di tensioni, nelle riflessioni di: Platone, Aristotele, Kulp, Christopher B. The end of epistemology: Dewey and his current allies on the spectator theory of knowledge Greenwood Press, novembre 1992 £ 36,40 Il libro propone un esame degli in- NOVITA’ IN LIBRERIA fluenti argomenti di John Dewey contro le teorie tradizionali della conoscenza; in particolare contro la tradizionale teoria dello spettatore, la tesi che conoscere sia un rapporto “contemplativo” fondamentalmente passivo fra il conoscente e l’oggetto conosciuto. Lamarche-Vadel, Gaëtane (a cura di) L’humilité: la grandeur de l’intime Autrement, ottobre 1992 pp.189, F 98 Agli antipodi del mondo occidentale contemporaneo, l’umiltà elabora un pensiero paradossale, propone un’altra scala di valori, un’altra misura delle cose. Sul filo dei testi, il filosofo, il poeta, il caminatore e l’artista tracciano la linea impercettibile dove l’insignificante e l’essenziale si riuniscono e si allontanano. Lance, Pierre Au-delà de Nietzsche L’Ere nouvelle, luglio-agosto 1992 pp.272, F 125. Lanfranconi, Aldo Krisis. Eine Lektüre der “Weltalter”. Texte F. W. J. Schelling Frommann, luglio-agosto 1992 pp.380, DM 152 Questo volume è stato presentato dalla Schelling-Kommission della Accademia bavarese delle scienze. Laruelle, François Théories des Identités PUF, luglio-agosto 1992 pp.320, F 198 Le identità, nella scienza e fuori dalla filosofia, vanno citate al plurale. Viventi, inalienabili, si perdono nel mondo, la storia, il potere, il linguaggio. Lasswitz, Kurd Die Lehre Kants von der Idealität des Raumes und der Zeit allgemeinverständlich dargestellt Klotz, settembre 1992 pp.246, DM 70 Laursen, John Christian The politics of skepticism in the ancients, Montaigne, Hume and Kant Brill, ottobre 1992 pp.250, Dfl 100 Lavelle, Louis De l’acte Aubier, ottobre 1992 pp.576, F 195 Pubblicato nel 1937, questo libro vuole dimostrare che il pensiero deve compiere l’esperienza di uscire dall’essere, esperienza alla quale partecipa la nostra coscienza. Lee, Donald C. Toward a sound world order. A multidimensional, hierarchical ethical theory Greenwood Press, settembre 1992 £ 31,85 Con i filosofi e gli psicologi da Platone a Maslow, l’autore ritiene che gli uomini progrediscano per mezzo di stadi gerarchici di evoluzione morale e biologica, e che l’obiettivo etica dell’umanità sia di creare un ordine mondiale che soddisfi a tutti i livelli i bisogni umani e ambientali. Lönheysen, Wolfgang von Raffael unter den Philosophen. Philosophen über Raffael. Denkbild und Sprache der Interpretation Dunker & Humblot, luglio-agosto 1992 pp.415, DM 68 I quadri di questo artista possono servire a interpretare anche le immagini mentali dei filosofi. Di fronte ai dipinti di un tempo lontano solo il pensiero può costruire un ponte attraverso il quale possiamo ancora comprenderli superando l’abisso temporale, visto che la scienza a dispetto della molteplicità della sua conoscenza causale non riesce a fornire spiegazioni soddisfacenti. Lerner, M.P. Tre saggi sulla cosmologia alla fine del Cinquecento Bibliopolis, ottobre 1992 pp.104, L. 20.000 Questo volume raccoglie il testo riveduto e annotato di tre conferenze tenute a Firenze nel giugno 1991 sotto gli auspici dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici insieme con l’Istituto sul Rinascimento e con l’Istituto e Museo di Storia delle Scienze. Levy, Charles S. Social work ethics on the line Haworth Press, dicembre 1992 pp.138, £ 8,95 Una guida che vuole essere di aiuto agli operatori sociali nei dilemmi etici e assisterli nell’esercizio nella discrezione professionale senza dover ricorrere esclusivamente ai codici di etica professionale a cui essi sono legati. Con 24 descrizioni che rappresentano situazioni che si incontrano di frequente. Lueken, Geert-Lueke Inkommensurabilität als Problem rationalen Argumentieren Frommann-Holzboog, ottobre 1992 pp.410, DM 118 Malebranche, Nicolas de Treatise on nature and grace Clarendon, ottobre 1992 pp.256, £ 30 Traduzione di un’opera controversa e influente di Nicolas Malebranche (1638-1715), filosofo francese. Il “Trattato” ebbe grande importanza nei dibattiti del XVII secolo sulla natura della grazia divina e della salvezza. La traduzione è accompagnata da una sostanziosa ed erudita introduzione. Lindberg, David C. The beginnings of Western science. The European scientific tradition in philosophical, religious and institutional context, 600 B.C. to A.D. 1450 Univ. of Chicago Pr., ottobre 1992 pp.424, $ 23 Ampia cronaca dell’evoluzione di idee, pratiche e istituzioni scientifiche dai filosofi greci presocratici agli scolasti del tardo medio evo. Malebranche, Nicolas de Oeuvres A cura di G. Rodis-Lewis Gallimard, ottobre 1992 F 460 L’apparizione del Trattato della natura e della grazia, nel 1680, fruttò al suo autore gli attacchi violenti di Arnauld e soprattutto di Boussuet, che denunciò quesl razionalismo in cui Dio non era più “l’autore che di un certo ordine generale mentre il resto si sviluppa come può”. Linke, Werner Zum Wandel des Selbstbewußtseins. Anthropologischen Betrachtungen Schäuble, ottobre 1992 pp.120, DM 62 Litschev, A. - Kegler, D. (a cura di) Abschied vom Marxismus. Sowjetische Philosophie im Umbruch Rowohlt, luglio- agosto 1992 DM 24,90 12 testi mostrano le dimensioni di problemi che in un periodo di rivolgimenti appaiono con tutti i segnali di una transizione: critica e superamentp dei sistemi totalitari. Indagine sui nuovi orientamenti. Spaccatura del pensiero e della coscienza storica. Mali, Joseph The rehabilitation of myth. Vico’s “New Science” Cambridge UP, ottobre 1992 pp.272, £ 35 Mali sostiene che la Nuova Scienza di Vico va interpretata secondo le chiavi e le regole di interpretazione dello stesso Vico, soprattutto sulla sua affermazione che la “chiave di volta” di questa Nuova Scienza sia la scoperta del mito. Malpas, J. E. Donald Davidson and the mirror of meaning. Holism, truth, interpretation Cambridge UP, settembre 1992 pp.296, £ 35 L’autore ci offre un resoconto della concezione olistica ed ermeneutica dell’interpretazione linguistica di Davidson e, più in generale, della mente. Locke, John Lettres sur la tolérance A cura di J.-F. Spitz Flammarion, ottobre 1992 pp.288, F 38 La società poggia su un contratto e il sovrano deve obbedire alle leggi; in caso contrario l’insurrezione del popolo è legittima. Così dice John Locke in quest’opera apparsa nel 1689, un anno prima del Saggio sull’intelletto umano. 75 Manz, Hans-G. v. Fairneß und Vernunftrecht Olms, ottobre 1992 pp.282, DM 49,80 Mariotte, Edme Roberval, Gilles Personne de Picolet, Guy (a cura di) Essai de logique; Les principes du devoir et des connaissance humaines Fayard, ottobre 1992 pp.206, F 195 Edme Mariotte (1620-1684), fisico francese, è noto anche come filosofo. Un testo di logica matematica fra i più potenti di tutto il XVII secolo. Mayer, Hans Der Zeitgenosse Walter Benjamin Jüdischer, luglio-agosto 1992 pp.96, DM 24 Un saggio presentato da Hans Mayer il 15 luglio 1992 per il centesimo anniversario della nascita di Walter Benjamin. McKirahan, Richard D. Principles and proofs. Aristotle’s theory of demonstrative science Princeton UP, settembre 1992 pp.356, $ 55 I “Secondi analitici” contengono la prima trattazione estesa della natura e della struttura della scienza nella storia della filosofia. McKirahan tenta un’interpretazioe simpatetica, seguendo la guida del testo, piuttosto che imponendovi una cornice contemporanea. Mehring, Reinhard Heideggers Überlieferungsgeschick. Eine dionysische Inszenierung Königshausen und Neumann ottobre 1992 pp.160, DM 34 L’abilità di Heidegger di curarsi della propria tradizione viene raccomandata e correntemente discussa come nuovo approccio all’interpretazione complessiva degli enigmi del pensiero dell’essere, la saga dell’evento. Miller, Richard W. Moral differences. Truth, justice and conscience in a world of conflict Princeton UP, luglio-agosto 1992 pp.416, $ 23 L’autore, attingendo a diversi campi della filosofia e delle scienze sociali, tra cui i suoi lavori precedenti di filosofia della scienza, propone un quadro del nostro accesso alla verità morale e, all’interno di questa cornice, elabora una teoria della giustizia e una valutazione del ruolo della moralità nella scelta razionale. Misrahi, Robert Le corps et l’esprit dans la philosophie de Spinoza Laborat. Delagrange, ottobre 1992 pp.139, F 74 Spinoza combatté instancabilmente contro il dualismo. Dopo aver criticato il dualismo anima-corpo, combatté quello interno all’anima: l’opposizio- NOVITA’ IN LIBRERIA ne tradizionale della volontà e dell’intelletto. Mitterer, Joseph Das Jenseits der Philosophie. Wider das dualistische Erkenntnisprinzip Passagen-Vlg., ottobre 1992 pp.120, DM 26 Mohanty, Jitendra Nath Reason and tradition in indian thought: An essay on the nature of indian philosophical thinking Clarendon, ottobre 1992 pp.320, £ 37,50 Il volume esplora il pensiero indiano per mezzo dei concetti fondamentali che lo ispirano. Fra quelli discussi coscienza e soggettività, linguaggio e significato, logica e verità. Per aiutare la comprensione, vengono applicate concezioni della moderna filosofia analitica e fenomenologica occidentale. Montaigne, Michel de Essais. Diogenes, ottobre 1992 pp.2744, DM 248 Questa edizione riunisce tutti i saggi, una biografia di Montaigne, le sue lettere, “Von der freiwilligen Dienstbarkeit” di Etienne de la Boéties, le critiche agli Essais e un dettagliato indice analitico delle persone e delle parole chiave. Montmarquet, James A. Epistemic virtue and doxastic responsability Rowman & Littlefield novembre 1992 pp.188, £ 31,50 Difendendo un’originale idea sulla nostra responsabilità per la convinzione e la relazione di tale responsabilità con la giustificazione morale delle nostre azioni, Montmarquet presenta un dettagliato resoconto di alcuni tratti del carattere intellettuale (le virtù epistemiche) e del loro rapporto con le credenze di ognuno. Mooney, Michael Vico e la tradizione della retorica Il Mulino, luglio 1992 pp. 362, L. 40.000 L’autore cerca di collocare la riflessione e l’opera di Giambattista Vico all’interno di una tradizione retorica che affonda le sue radici tanto nell’antichità quanto nella cultura umanistica (Aristotele, Cicerone, Quintiliano), secondo la quale la retorica stessa è intesa non come dottrina linguistica accessoria ed esornativa, ma come cultura attiva portatrice anche di valori etici, sociali e civili. Moravcsik, Julius Plato and platonism: Plato’s conception of appearance and reality in ontology, epistemology and ethics and its modern echoes Blackwell Publis., ottobre 1992 pp.352, £ 40 Il volume si apre con un dibattito sulla concezione platonica di disciplina autenticamente razionale (“techne”). L’autore dimostra come la teoria della reminiscenza, della Forma come fattore ultimo di spiegazione e dell’etica platonica dell’ideale umano di bene emergano da condizioni essenziali delle “technai”. conflitti della sua vita, un’ultima parola dalla sua posizione di filosofo, psicologo e anti-Cristo. Nietzsche, Friedrich Wilhelm Maximes et pensées A. Silvaire, ottobre 1992 F 39 Scelta di aforismi sferzanti scritti dall’autore della Gaia scienza. Morgenstern, Martin Nicolai Hartmann. Grundlinien einer wissenschaftlich orientierten Philosophie Francke, ottobre 1992 pp.230, DM 58 Nietzsche, Friedrich Wilhelm Ecce homo; Nietzsche contre Wagner A cura di E. Blondel Flammarion, ottobre 1992 pp.320, F 42 Nel primo libro, testo autobiografico, Nietzsche rivela la diversità della sua personalità e l’origine della propria saggezza. Nel secondo il filosofo intenta un processo postumo contro il musicista, “colpevole” di aver disprezzato l’esistenza rifugiandosi nel romanticismo e nella tragedia. Morris, Michael The good and the true Clarendon, novembre 1992 pp.352, £ 37,50 Confrontando la concezione scientifica della natura della realtà, Michael Morris suggerisce che per noi il concetto di possesso, fede e verità hanno senso solo in un’ottica in cui i valori in generale, e il bene morale in particolare, contino qualcosa come parte del mondo. Nolte, Ernst Martin Heidegger. Politik und Geschichte im Leben und Denken Propyläen, settembre 1992 pp.336, DM 39,80 Mugnai, Massimo Leibniz’s theory of relations Steiner, luglio-agosto 1992 pp.291, DM 96 Nussbaum, Martha - Sen, Amartya (a cura di) The quality of life Clarendon, novembre 1992 pp.460, £ 50 Economisti e filosofi di punta compiono il tentativo di definire e misurare la qualità di vita. Vengono discussi e connessi a questioni pratiche i recenti sviluppi delle definizioni filosofiche di benessere. Müller, W. E. Schulz, H. H. R. (a cura di) Theologie und Aufklärung. Festschrift für Gottfried Hornig zum 65. Geburstag Königshausen und Neumann settembre 1992 pp.446, DM 138 A fronte del giudizio per lo più complessivamente negativo sull’illuminismo, che si rovescia nel suo contrario, i saggi di questo volume si adoperano per raggiungere una chiarificazione immanente dello stato di cose dell’”Illuminismo” nelle differenti forme illuministiche della filosofia, della teologia e della poesia. O’Brien, Denis Theodicee plotinienne, theodicee gnostique E. J. Brill, novembre 1992 pp.128, Dfl 80 Analisi del “Contro gli gnostici” di Plotino, quest’opera sostiene che nei primi trattati delle “Enneadi” Plotino propone una teoria della generazione della materia dall’anima che poi dà per scontata nei suoi attacchi agli gnostici. Müller, Wolfgang H. Ethik als Wissenschaft und Rechtsphilosophie nach Immanuel Kant Königshausen und Neumann ottobre 1992 pp.118, DM 26 Nel presente saggio l’autore dimostra come la morale, nonché il diritto privato, quello penale e quello pubblico si possano formare da un punto di vista scientifico. Oelmüller, W. (a cura di) Worüber man nicht schweigen kann. Neue Diskussion zur Theodizeefrage W. Fink, settembre 1992 pp.317, DM 78 Che cosa possono dire filosofi e teologi senza minimizzare né rimuovere, senza autoinganno né “inganno per Dio” (Giobbe) all’anonima, incolpevole e provocata dagli uomini sofferenza nella natura, nella storia e nella convivenza umana? L’introduzione al dibattito e il protocollo autorizzato di un congresso internazionale cercano le risposte a tali domande. Neumann, Walter G. Das Wesen von Geist und Natur. Zur negativen Metaphysik Haag & Herchen, settembre 1992 pp.256, DM 38 Nietzsche, Friedrich Ecce homo: How one becomes what one is Penguin Books, novembre 1992 pp.144, £ 4,99 Un’autobiografia portata a termine pochi giorni prima del collasso mentale di Nietzsche, e in ogni caso il suo ultimo testamento. Si tratta di un sommario in cui si ritrovano l’opera e i Olson, Alan M. Hegel and the spirit. Philosophy as pneumatology Princeton UP, luglio-agosto 1992 pp.240, $ 30 Il testo indaga sul significato della 76 grande categoria filosofica hegeliana di “Geist”, per mezzo di quella che Olson definisce una tesi pneumatologica. Egli sostiene che l’elaborazione di Hegel di una filosofia come pneumatologia deriva da una lettura dell’interpretazione dialettica luterana dello spirito. Otsuru, Tadashi Gerechtigkeit und “dike”. Der Denkweg als SelbstKritik in Heideggers Nietzsche-Auslegung Königshausen und Neumann luglio-agosto 1992 pp.190, DM 44 Il libro è un tentativo di evidenziare la svolta nel pensiero di Heidegger verso “Sein und Zeit” alla luce dei suoi studi nietzscheani rispetto al tentativo sistematico di trovare un’impostazione per i quesiti sui rapporti fra storia e libertà che non derivano più dall’odierno concetto di autodeterminazione. Otto, Stephan Giambattista Vico. Lineamenti della sua filosofia Guida Editori, giugno 1992 pp.163 Qual’è il motivo per cui Vico fu scoperto solo nel XIX secolo e perché ci fu bisogno di un altro secolo prima che fosse definitivamente tratto fuori dal “deserto” in cui visse durante il suo tempo? Da queste domande muove il libro di Stephan Otto che costituisce la prima introduzione sistematica al pensiero vichiano apparsa in Germania. Sostenuta da un esplicito intento divulgativo, questa introduzione, che vuole contribuire a porre fine alla «storia dell’oblio cui Vico in Germania non è stato ancora sottratto», è tuttavia organizzata intorno a una proposta interpretativa forte: una lettura in chiave trascendentalista della filosofia vichiana che unisce originalità filosofica e ricostruzione sistematica. Owens, David Causes and coincidences Cambridge UP, settembre 1992 pp.200, £ 30 Owens mette in discussione le idee associate a Hume, Davidson e Lewis e costruisce una teoria che distingue la necessità nomologica e la sufficienza dalle loro controparti logiche, riuscendo a fornire una soluzione nuova ai maggiori problemi della causalità. Owens, Joseph Cognition: An epistemological inquiry Univ. of Notre Dame, ottobre 1992 pp.384, £ 11,95 ”Cognition” è un fondamentale testo introduttivo per corsi universitari di filosofia della conoscenza. Joseph Owens qui amplia l’angusta trattazione della metafisica che aveva dato nel suo libro precedente, “An Elementary Christian Metaphysics”, facendone un’epistemologia pienamente sviluppata. NOVITA’ IN LIBRERIA Padgett, Alan God, eternity and the nature of time Macmillan Acad., settembre 1992 pp.208, £ 35 Analisi e discussione della natura del tempo e dell’eternità, focalizzata sull’atemporalità di Dio. Dopo aver preso in esame due teorie del tempo alla luce della scienza moderna, l’autore sostiene un concetto “processo” del tempo. Panichas, George A. The critic as conservator: Essays in literature, society and culture Catholic University of America dicembre 1992 pp.262, £ 39,95 Terzo libro di una trilogia. “The Reverent Discipline”, “The Courage of Judgement” e quest’ultima raccolta sono tutte critiche non solo della letteratura e della critica, ma anche della cultura e della società, scritte dalla tradizione di quella che Edmund Burke chiama “la dissidenza del dissenso”. Patocka, Jan Introduction à la phénoménologie de Husserl J. Millon, ottobre 1992 pp.240, F 120 Scritto nel 1965-66, il libro è una messa a punto critica e una contestualizzazione storica dell’opera del fondatore della fenomenologia. Paul, Dietmar O. Menschliches und Philosophisches oder Der nächste Untergang der Welt Universitas, settembre 1992 pp.210, DM 29,80 Anacronistica riflessione di un pensatore erudito e di un buon parlatore, che osserva i nostri rapporti odierni e le nostre teorie, i nostri modi e i nostri capricci alla luce sorprendente della filosofia e dell’estetica classica e classicista. Peter, Niklaus Im Shatten der Modernität. Franz Overbecks Weg zur ”Christlichkeit unserer heutigen Theologie” J. B. Metzler, ottobre 1992 pp.184, DM 48 Il teologo e critico della teologia Overbeck alla fine del XIX secolo si pone in una cesura nella quale si incrociano importanti linee di un dibattito di critica della civiltà. In tal modo egli costituisce in tempi di rinnovato dibattito sul moderno una figura interessante sia da un punto di vista storico che sistematico. Piaget, Jean Sagesse et illusion de la philosophie PUF, luglio-agosto 1992 pp.320, F 64 Lo sviluppo della psicologia scientifica e di altre scienze che toccano i problemi dello spirito è secondo Piaget irreversibile, in quanto riposa sulla coscienza degli errori che non si faranno più poiché nella scienza è impossibile sbagliarsi due volte nello stesso modo. prefazione, “Poscript to Marxism”, e un ulteriore saggio bibliografico. Picht, Georg Zukunft und Utopie. Einleitung von Heinz Wismann Klett-Cotta, luglio-agosto 1992 pp.420, DM 68 Finché vivono, gli uomini sono condannati al futuro. Allo stanco cinismo e alla paura di una generazione, viene qui contrapposto il progetto di una filosofia illuminata che incoraggi un’azione e un pensiero responsabili. Price, John Valdimir The ironic Hume (1965) Thoemmes, novembre 1992 pp.208, £ 32 Uno studio dell’opera di David Hume, il filosofo e storico scozzese, firmato da John Valdimir Price, il quale conclude che il testo da solo non basta a stabilire il significato di un autore. Prigogine, Ilya Stengers, Isabelle Entre le temps et l’eternité Flammarion, ottobre 1992 pp.222, F 46 La filosofia occidentale, da Kant a Bergson, si fonda sulla scissione fra un mondo esteriore autonomo e un mondo interiore di libertà e di responsabilità. Oggi le immagini di questi due mondi convergono, non sono più separabili; la nostra percezione del tempo scientifico ne è sconvolta. Pieper, A. (a cura di) Geschichte der neueren Ethik. Bd. 1: Neuzeit. Bd. 2: Gegenwart Francke, ottobre 1992 pp.32 , DM 32,80 Plato The Republic Everyman’s Libr., novembre 1992 pp.368, £ 8,99 L’opera di Platone descrive una società che ad alcuni sembra la comunità umana ideale, ad altri un incubo totalitario, ma in ogni caso continua a sollevare questioni politiche, artistiche, educative e in genere di condotta di vita. Prini, Pietro Plotino e la fondazione dell’umanesimo interiore Vita e Pesiero, 1992 Ripensare Plotino vuol dire oggi ritrovare la dimensione, la consistenza del proprio sé, lontano dalla “coscienza infelice” della separazione di sé da sé nel generale appiattimento delle tensioni spirituali del nostro tempo. Platon République A cura di E. Chambry Gallimard, ottobre 1992 F 90 Le questioni indiscrete e fastidiose (che cos’è la virtù? il coraggio? la pietà?) con le quali Socrate esasperava i suoi concittadini sono ancora più attuali e più imbarazzanti che mai. Puech, Bernard Comprachicos Corti, ottobre 1992 pp.217, F 100 Per l’autore di questa riflessione sulla filosofia e il suo atto di nascita, ai giorni nostri bisogna fare ben più che leggere fra le righe di un testo di Platone, ma leggere proprio quelle righe che una certa lettura dimentica. Platon Apologie de Socrate; Criton; Phédon A cura di B. e R. Piettre LGF, ottobre 1992 pp.382, F 31 L’Apologia di Socrate mette in scena il famoso processo del grande filosofo. I tre testi formano un tutt’unico che fa luce sulla personalità morale di Socrate, rivelando tutti i temi della sua dottrina: ideale di giustizia, distacco dalla vita e dai beni umani, visione del bene supremo, serenità dell’anima giusta. Pugliese Carratelli, G. Blasucci, L. - Sacarese, G. Villani, P. Incontro con Albino Pierro Bibliopolis, novembre 1992 pp.61, L. 15.000 Albino Pierro dà testimonianza del perenne vigore, in rinnovate forme, dell’ispirazione poetica animatrice di scrittori, artisti e pensatori della Magna Grecia. L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici non poteva dimenticare un poeta classico del nostro tempo e intorno a lui si sono pertanto riuniti il 12 gennaio 1991, nel Palazzo Serra di Cassano, amici devoti per esprimergli consenso e anmmirazione. Da qui lo spunto del libretto. Pleines, Jürgen E. Studien zur Ethik Olms, ottobre 1992 pp.431, DM 68 Popper, Karl Die offene Gesellschaft und ihre Feinde. Band I: Der Zauber Platons. Band II: Falsche Propheten. Hegel. Marx und die Folgen. J.C.B. Mohr, luglio-agosto 1992 pp.500, DM 78 Rand, Benjamin Baldwin, James M. (a cura di) Bibliography of philosophy, psychology and cognate subjects (1905): Part I of volume III of dictionary of philosophy and psychology Thoemmes Press, novembre 1992 pp.570, £ 60 Bibliografia della storia della filosofia fino al 1900, il volume risulterà di grande aiuto nella ricerca per gli studiosi. Popper, Karl Unended quest. An intellectual biography Routledge, settembre 1992 pp.288, £ 10 A questa edizione della sua autobiografia Karl Popper ha aggiunto una 77 Reeve, C. D. C. Practices of reason. Aristotle’s “Nicomachean Ethics” Clarendon Press, settembre 1992 pp.240, £ 27,50 Un’esplorazione dei fondamenti epistemologici, metafisici e psicologici dell’”Etica Nicomachea” di Aristotele. Fra gli argomenti trattati il ruolo dell’”episteme” (la conoscenza scientifica), del “nous” (dialettica e interpretazione), della “phronesis” (la saggezza pratica) e dell’”eudaimonia” (la felicità). Regehly, Thomas Hermeneutische Reflexionen über den Gegenstand des Verstehens Olms, ottobre 1992 pp.300, DM 48 Reinecke, Volker Kultur und Todesantinomie. Die Geschichtsphilosophie Franz Borkenaus Passagen-Vlg., ottobre 1992 pp.240, DM 49,80 Renan, Ernst - Retat, Laudyce (a cura di) Dialogues philosophiques Ed. du CNRS, ottobre 1992 F 135 Questi testi sono una testimonianza fondamentale del trauma prodotto dalla guerra del 1870 e quindi dalla Comune su una certa mentalità intellettuale del tempo. Nel terzo dialogo l’immaginazione dei sapienti arriva a una visione allucinata della scienza, creatrice dei miti e di quelle religioni a cui sostiene di sostituirsi. Resch, Robert P. Althusser and the renewal of Marxist social theory Univ. of California, settembre 1992 pp.381, $ 48 Rasch ci offre un’introduzione vasta e tematica all’opera di Althusser, Nicos Poulantzas, Pierre Macherey, Etienne Balibar, Emmanuel Terray, Terry Eagleton, Goran Therborn, Renée Balibar, Perry Anderson, Pierre-Philippe Rey, Michel pèchaux, Guy Bois e altri. Robinson, Daniel N. (a cura di) Social discourse and moral judgement Academic, novembre 1992 pp.266, £ 34 La presente raccolta di saggi (presentati a un simposio su costruttivismo sociale e moralità) esplora lo sviluppo della moralità all’interno dell’individuo, la sua evoluzione all’interno della società e il suo posto all’interno della legge. Röd, Wolfgang Der Gott der reinen Vernunft. Die Auseinandersetzung um den ontologischen Gottesbeweis vonn Anselm bis Hegel Beck, München ottobre 1992 pp.240, DM 48 NOVITA’ IN LIBRERIA Rodd, Rosemary Biology, ethics and animals Clarendon, ottobre 1992 pp.280, £ 10,95 Nel dibattito sui diritti animali, i biologi a volte si sentono minacciati dalle critiche all’uso che fanno degli animali. Talvolta forse pensano anche che la discussione filosofica sugli animali sia a tal punto astratta da essere priva di senso. Il libro propone una trattazione congiunta di biologia e filosofia di questi atteggiamenti. Roethke, Gisela Zur symbolik in Hermann Brochs Werken. Platons Höhlengleichnis als Subtext Francke, luglio-agosto 1992 pp.199, DM 48 Rorty, A. O. (a cura di) Essays on Aristotle’s poetics Princeton UP, settembre 1992 pp.480, $ 24 In questi ventun saggi, filosofi e classicisti esplorano il corpus dell’opera di Aristotele cercando di collegare la Poetica alle altre concezioni della psicologia e della storia, etica e politica. Rossetti, L. (a cura di) Understanding the Phaedrus. Proceedings of the II. Symposium Platonicum Akademia-Vlg., luglio-agosto 1992 pp.328, DM 98. Rotschild, Kurt W. Ethik und Wirtschaftstheorie J.C.B. Mohr, settembre 1992 pp.120, DM 40 Spesso etica e scienza economica vengono in conflitto. Rotschild ci mostra quali elementi etici si celino nella teoria economica e perché si generino difficoltà e malintesi nel dibattito etico-economico. Rudolph, E. (a cura di) Die Vernunft und ihr Gott. Studien zum Streit zwischen Religion und Aufklärung Klett-Cotta, luglio-agosto 1992 pp.147, DM 48 Chi, nelle grandi contrapposizioni ideologiche del XVIII secolo, ha riportato la vittoria? L’Illuminismo in forma di prassi scientifica non soggiogata? O la religione, come necessario soddisfacimento dei bisogni, a superare significativamente la finitezza dell’esserci? Ruffing, Rainer Agnes Heller. Pluralität und Moral Lescke & Budrich, settembre 1992 pp.172, DM 33 Una presentazione complessiva delle opere filosofiche e di teoria politica di Agnes Heller. L’autore mette a confronto Agnes Heller con Jürgen Habermas, Marianne Gronemeyer e Jean Baudrillard ed espone la particolare proposta della Heller di una teoria del moderno. Ruprecht, E. und A. (a cura di) Tod und Unsterblichkeit. Texte aus Philosophie, Theologie und Dichtung vom Mittelalter bis zur Gegenwart. Band 1: Von der Mystik des Mittelalters bis zur Aufklärung Urachhaus, settembre 1992 pp.600, DM 128 approda a una totalità confusa. Schmitz, Heinz-G. Die Glücklichen und die Unglücklichen. Politische Eudämonologie, ästhetischer Staat und erhabene Kunst im Werk Friedrich Schillers Königshausen und Neumann ottobre 1992 pp.128, DM 29,80 Salamun, K. (a cura di) Ideologien und Ideologiekritik Wissenschaftl. Buc., ottobre 1992 pp.216, DM 36 Si discute dei rapporti fra ideologia e politica e della tesi della fine delle ideologie, nonché di singoli fenomeni di ideologizzazione in etica, scienza e teologia. Schmitz, Hermann Die entfremdete Subjektivität. Von Fichte zu Hegel Bouvier, ottobre 1992 pp.320, DM 95 Schmitz-Moormann, K. (a cura di) Schöpfung und Evolution. Neue Ansätze zum Dialog zwischen Theologie und Naturwissenschaft. Beiträge zu dem Symposium aus Anlaß der 300-Jahr-Feier der Publikation der Principia Mathematica Newtons Patmos-Vlg.,ottobre 1992 pp.168, DM 32,80 Schelling, Friedrich W. J. System des transzendentalen Idealismus Prefazione di W. Schulz a cura di H. D. Brandt e P. Müller Felix Meiner, ottobre 1992 pp.310, DM 36 Con il Sistema dell’idealismo trascendentale (1800) Schelling fondava il programma della propria filosofia. Nuova edizione sull’impronta della prima. Schneider, Fridhelm Die Wahrnehmung der Wirklichkeit. Ein philosophischer Essay Attempto-Vlg., ottobre 1992 pp.322, DM 39,80 Scherb, Martin Künstliche und natürliche Sprache. Bemerkungen zur Semantik bei Tarski und Wittgenstein Olms, ottobre 1992 pp.90, DM 25,80 Schneider, H. J. Inhetveen, R. (a cura di) Enteignen uns die Wissenschaften? Zum Verhältnis zwischen Erfahrung und Empirismus W. Fink, settembre 1992 pp.192, DM 48 Gli autori dimostrano come i metodi oggettivanti portano a risultati insoddisfacenti degli “oggetti” (per esempio in sociologia e in filosofia della politica) ed esplorano anche la specificità delle complesse forme di articolazione dell’esperienza (etica, estetica, psicoanalisi). Scherer, Georg Philosophie des Mittelalters J. B. Metzler, ottobre 1992 pp.160, DM 22,80 Scherer, Klaus (a cura di) Justice: Interdisciplinary perspectives Cambridge UP, ottobre 1992 pp.314, £ 40 Il volume mette assieme i principali studiosi delle scienze sociali e discute i recenti studi teoretici ed empirici della giustizia, che esaminano la natura della giustizia nelle ottiche attuali filosofiche, economiche, legali, sociologiche e psicologiche, esplorando possibili linee di convergenza. Schnelzer, Thomas Tod als lezte Entsheidung. Plädoyer für die Endentscheidungshypothese des Ladislaus Boros Roderer, luglio-agosto 1992 pp.140, DM 36 Schleiermacher, Friedrich Schleiermacher’s introduction to the Dialogues of Plato (1836) Thoemmes Press, novembre 1992 pp.454, £ 48 Studio della filosofia antica, in particolare di Platone, a opera del filosofo tedesco Friedrich Schleiermacher, che analizza anche la composizione dei “Dialoghi” platonici. Schobingen, Jean-Pierre Miszellen zu Nietzsche. Versuche von operationalen Auslegungen Schwabe, ottobre 1992 pp.180, DM 43 - Sfr 36 Schoeman, David Ferdinand Privacy and social freedom Cambridge UP, ottobre 1992 pp.240, £ 30 Il libro attacca la premessa che si ritrova in molta filosofia morale che il controllo sociale in quanto tale sia una forza intellettualmente e moralmente distruttiva. Questa concezione viene sostituita con una visione sulla natura del carattere sociale che mira a Schmidt-Biggeman, Wilhelm Sinn-Welten, Welten-Sinn. Eine philosophische Topik Suhrkamp, luglio-agosto 1992 pp.180, DM 32 Con questo libro Schmidt-Biggeman ci offre un rendiconto filosofico. Il risultato (come al solito, attraverso l’esperienza, il viaggio): una topografia dei ricordi, che nel complesso 78 mostrare come la libertà sociale non possa significare immunità dalle pressioni sociali. Schopenhauer, Arthur Eis éauton (A soi-même) A cura di G. Fillion Anabase, ottobre 1992 pp.55, F 65 In questi appunti intimi, tradotti per la prima volta in francese, Schopenhauer ha riunito per quasi trentacinque anni osservazioni su se stesso, riflessioni sull’esistenza e citazioni che corroborano la sua visione pessimista dell’umanità. Schöttker, Detlev Walter Benjamin J.B. Metzler, luglio-agosto 1992 pp.160, DM 22,80 Schubert, Elke Günther Anders Rororo, settembre 1992 DM 10,90 La sua originale e conseguente opera filosofica è a tutt’oggi pressoché inosservata. Decisiva da questo punto di vista è la radicalità con cui Anders mette in crisi la filosofia occidentale: il “Signore della Creazione” non è l’uomo, ma la tecnica, alla quale egli si pone di fronte come essere manchevole e antiquato. Schulthess, Peter Sein, Signifikation und Erkenntnis bei Wilhelm von Ockham Akad.-Verlag, luglio-agosto 1992 pp.336, DM 74 Schüßler, Werner Leibniz’ Auffassung des menschlichen Verstandes (intellectus). Eine Untersuchung zum Standpunktwechsel zwischen ”système commun” und ”système nouveau” und dem Versuch ihrer Vermittlung de Gruyter, ottobre 1992 pp.256, DM 138 Per la prima volta qui viene resa accessibile la difficilissima problematica della comprensione nel pensiero di G. W. Leibniz, nell’ambito della sua problematica del punto di vista. L’immagine consueta di Leibniz ne esce non poco modificata. Scott, William R. Francis Hutcheson. His life, teaching and position in the history of philosophy (1900) Thoemmes, novembre 1992 pp.318, £ 14,99 Uno studio su Francis Hutcheson dal punto di vista della vita, dell’insegnamento e della sua posizione nella storia della filosofia. Scott era partito con il modesto progetto di raccogliere materiale per un articolo sul periodo dublinese di Hutcheson, prima della nomina alla cattedra di filosofia morale a Glasgow. Secret, François Hermétisme et Kabbale Bibliopolis,novembre 1992 pp.146, L. 22.000 NOVITA’ IN LIBRERIA Il tema trattato dall’autore in questo volume è il risultato di numerosi lavori, tra i quali anche quello del Prof. Cesare Vasoli. Lo scopo è fornire dei chiarimenti su una inchiesta iniziata più di quarant’anni fa e che è stata chiamata la “Cabala cristiana”. Seidel Menchi, Silvana Erasmus als Ketzer: Reformation und Inquisition im Italien des 16. Jahrhunderts E. J. Brill, ottobre 1992 pp.604, Dfl 260 Basato principalmente sui verbali dei processi dell’Inquisizione provenienti da ogni parte della penisola, questo saggio sulla Riforma e sull’Inquisizione mette in luce l’ampia diffusione delle idee di Erasmo in Italia. Uno studio tanto sull’accoglienza di Erasmo quanto sulla dimensione sociale della Riforma. Seifen, Johannes Der Zufall - Eine Chimäre? Untersuchungen zum Zufallsbegriff in der philosophische Tradition und bei Gottfried Wilhelm Leibniz Akademia-Vlg., ottobre 1992 pp.260, DM 48 Seifert, Helmut Einführung in die Hermeneutik. Die Lehre von der Interpretation in der Fachwissenschaften Francke, settembre 1992 pp.240, DM 29,80 Severino, Emanuele La bilancia. Pensiero sul nostro tempo Rizzoli, novembre 1992 pp.218, L. 29.000 Dagli anni Ottanta la Storia ha subito una velocissima trasformazione; tutto è in crisi e la stessa filosofia - quasi paralizzata dal crollo del suo ultimo grande sistema - sembra impotente a trasmetterci nuove ipotesi, a darci risposte che sappiano accompagnarci e aiutarci. In questo libro, Emanuele Severino ci offre risposte che gettano nuova luce su idee, fatti ed eventi che sembrano sfuggire a una qualsiasi logica, ci parla di come la storia stia portandoci al di fuori del nostro passato - ad di fuori, cioè, della tradizione dell’Occidente. Shea R., William Interpreting the World Science and Society a cura di A. Spadafora Science History UP, settembre 1992 pp.215 Shelton, George Morality and sovereignty in the philosophy of Hobbes Macmillan, ottobre 1992 pp.336, £ 47,50 Studio di due punti controversi della filosofia di Hobbes: la moralità e la sovranità. Il saggio distingue fra le due versioni di patto proposte da Hobbes, una delle quali stabilisce un vero sistema di moralità basato sulla regole aurea e l’altro giustifica il potere assoluto del sovrano. Sholem, Gershom Fidelité et utopie Press Pocket, luglio-agosto 1992 Sorensen, Roy A. Thought experiments Oxford UP, settembre 1992 pp.352, £ 40 L’autore presenta una teoria generale degli esperimenti del pensiero filosofico, descrivendone pregi e difetti. Egli sostiene che sia possibile comprendere questi esperimenti concentrandosi sulla loro somiglianza con relativi scientifici. Siep, Ludwig Praktische Philosophie im deutschen Idealismus Suhrkamp, ottobre 1992 pp.360, DM 24 Simmons, A. John The Lockean theory of rights Princeton UP, luglio-agosto 1992 pp.384, $ 50 Uno studio vasto e sistematico della teoria del diritto di Locke e delle sue potenzialità come autentico contributo ai dibattiti contemporanei sui diritti e sul loro posto nella filosofia politica. Simmons fa ampio riferimento a opere pubblicate e non pubblicate di Locke. Sowa, Hubert Krisis der Poiesis. Schaffen und Bewahren als doppelter Grund im Denken Martin Heideggers Königshausen und Neumann ottobre 1992 pp.400, DM 78 Sprockhoff, Harald von Naturwissenschaft und christlicher Glaube ein Widerspruch? Fink, luglio-agosto 1992 pp.230, DM 26,80 Sull’esempio dell’evoluzione con la sua fase cosmica, chimica e biologica e del suo legame con quasi tutti i rami della scienza naturale, l’autore vorrebbe dimostrare che è possibile un incontro delle due discipline fino a una reale intesa. Slater, John G. Frohmann, Bernd (a cura di) Collected papers of Bertrand Russell: Logical and philosophical papers: Vol. 6 1909-13 Routledge, ottobre 1992 pp.682, £ 95 Gli anni presi in esame da questo volume della “Raccolta di scritti di Bertrand Russell” furono fra i più produttivi di tutta la carriera di Russell. Stewart, Melville Y. The greater good defence: An essay on the rationality of faith Macmillan, ottobre 1992 pp.256, £ 40 Il libro offre definizioni coerenti e compatibili di onnipotenza, onniscienza e onnibenevolenza. Ledifese del bene maggiore vengono esaminate, rintracciando le derivazioni di un resoconto di base di tale difesa nei principi teistici. Il volume dà poi un resoconto delle origini del male. Slote, Michael From morality to virtue Oxford UP, ottobre 1992 pp.320, £ 32,50 L’obiettivo principale di questo trattato è di sostenere che l’”etica della virtù” dovrebbe essere considerata la teoria fondante che può dare una spiegazione più soddisfacente di tutta una serie di idee sul valore, la scelta, l’obbligo e l’azione razionale rispetto all’etica kantiana, a quella del buon senso o all’utilitarismo. Stoyan, H. (a cura di) Erklärung im Gespräch - Erklärung im Mensch-Maschine-Dialog. Veröffentlichungen eines Symposium an der TH Darmstadt, Juli 1989 Springer, luglio-agosto 1992 pp.149, DM 50 Il volume documenta lo stadio della ricerca nel campo della spiegazione e dello scambio scientifico fra informatici e filosofi. Smith, C. U. M. Problem of mind: Evolution, neuroscience, philosophy The Athlone Press, novembre 1992 pp.320, £ 28 Il testo discute il posto della mente nella natura e spiega l’esistenza della soggettività in un mondo di cose. Fra le altre pubblicazioni di Smith, “The problem of life: An essay in the origins of biological thought” e “Elements of molecular neurobiology”. Strawson, P. F. Analysis and metaphysics. An introduction to philosophy Oxford UP, luglio-agosto 1992 pp.160, £ 8 Questo libro sostiene che le tre discipline tradizionalmente separate della metafisica, dell’epistemologia e della logica sono altrettanti aspetti di una sola ricerca. Sommerville, Johann P. Thomas Hobbes. Political ideas in historical context Macmillan Education, ottobre 1992 pp.256, £ 35 Attingendo a recenti studi e a quasi sconosciute fonti del XVII secolo, l’autore pone gli insegnamenti di Hobbes sullo “stato di natura”, le origini del governo, il potere dei governanti, la natura della famiglia e altre questioni sullo sfondo del dibattito contemporaneo. Tachibana, Shundo The ethics of Buddhism Curzion Press, ottobre 1992 pp.304, £ 10,99 Il libro vuole dimostrare che il Buddismo, alle sue origini, è una religione di grande statura morale e che la moralità propugnata dal Buddismo è 79 di tipo pratico. Il volume presenta un’indagine delle virtù cardinali del Buddismo, non limitandosi ad astrarne l’idea morale e a filosofeggiare su di essa. Tanner, John S. Anxiety in Eden: A Kierkegaardian reading of “Paradise lost” Oxford UP, ottobre 1992 pp.256. £ 27,50 L’autore si serve del pensiero di Kierkegaard, in particolare della sua teoria dell’ansia, per proporre una nuova lettura del “Paradiso perduto”. Egli sostiene che, per Milton e Kierkegaard, la via al peccato o alla salvezza sta nell’ansia, che entrambi includono nel paradiso. Tegtmeier, Erwin Grundzüge einer kategorialen Ontologie. Dinge, Eigenschaften, Beziehungen, Sachverhalte Karl Alber, ottobre 1992 pp.222, DM 68 Tejera, V. The city-state foundation of western thought UP of America, novembre 1992 pp.182, £ 14,95 Le due differenze principali fra la presente edizione riveduta e la prima sono l’aggiunta di una sezione dell’etica di Solone nel capitolo II, e l’approccio più diretto al discorso del visitatore di Elea nel “Politicus” di Platone. Thomas, Jean-François Simone Weil et Edith Stein: souffrance et malheur Culture et vérité, ottobre 1992 Thompson, Paul B. The ethics of trade and aid: Us food policy, foreign competition and the social contract Cambridge UP, ottobre 1992 pp.272, £ 35 L’autore sostituisce al tradizionale modello militare-territoriale dello stato nazionale il concetto di stato commerciale che vede il proprio ruolo in termini di istituzioni internazionali che stabilizzino e facilitino gli scambi culturali, intellettuali e commerciali fra le nazioni. Titze, Hans Das philosophische Gesamtwerk Band 2: Kausalität in Physik und Philosophie Schäuble, settembre 1992 pp.240, DM 128 Todorov, Tzvetan Nous et les autres: la réflexion française sur la diversité humaine Seuil, ottobre 1992 pp.538, F 55 La relazione fra noi (il gruppo sociale o culturale al quale apparteniamo) e gli altri (quelli che non ne fanno parte) nei pensatori francesi: da Montesquieu a Segalen, da Montaigne a Lévi-Strauss. NOVITA’ IN LIBRERIA Tozzi, Roberto Ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale Mursia Ed., novembre 1992 pp.728, L. 65.000 Questo terzo volume dell’Antologia dei grandi filosofi copre il periodo che va dagli inizi dell’Ottocento al 1867, anno di pubblicazione del primo volume del Capitale di Karl Marx. In questi pochi decenni compaiono grandi figure di pensatori che influenzeranno profondamente la filosofia successiva. Grande protagonista è la filosofia di Hegel nel suo affermarsi come pensiero egemone in Germania. Traub, Hartmut J.G. Fichtes Populärphilosophie. Eine Untersuchung der populärphilosophischen Schriften Frommann-Holz., settembre 1992 pp270, DM 84 Unger, Erich Vom Expressionismus zum Mythos des Hebräertums. Schriften 1909 bis 1931 A cura di M. Voigts Königshausen und Neumann ottobre 1992 pp.149, DM 49,80 Il volume raccoglie saggi ancora parzialmente inediti di Erich Unger del periodo fra il 1909 al 1931. Grazie a questa edizione diviene evidente il forte influsso di Unger su Walter Benjamin e fa di questo testo un indispensabile strumento di ricerca per la valutazione dello sviluppo del pensiero benjaminiano. Valberg, J. J. The puzzle of experience Clarendon Press, novembre 1992 pp.240, £ 25 Il libro esplora il puzzle dell’esperienza percettuale. Riflettendo sulla nostra esperienza possiamo “ragionare” su di essa, oppure “aprirci” a essa. Tali riflessioni generano una contraddizione sull’oggetto dell’esistenza. Il volume spiega come e perché sorge questa contraddizione e prende in considerazione le soluzioni. Valenti, Cesare Dissuasione metafisica Franco Angeli, ottobre 1992 pp. 320, L. 40.000 Si deve tornare a una ragione-verità eticamente “unificata”, pre-moderna e pre-weberiana? Da qui la “rottura”, i due “regni” proposti dall’autore: da un lato la verità metafisica, metafisicamente “dissuasa”, immediata materialità senza spessore e memoria, dall’altra l’emozione come metafisiscamente nascente da una matrice insersoggettivo-sociale e stante per l’intero del mondo umanao, della vita, della civiltà e cultura. Verstraten, Philippe La généalogie de la parole Osiris, ottobre 1992 pp.118, F 80 Una riflessione genealogica che si basa sull’analisi di due casi storici di silenzio: Nietzsche e Hölderlin. Watzlawick, Paul Vom Unsinn des Sinns oder vom Sinn des Unsinns Picus Verlag, luglio-agosto 1992 pp.64, DM 14,80 Un saggio del brillante filosofo e psicoanalista Paul Watzlawick su una questione centrale dell’esistenza umana: quella del senso e delle sue illusioni. Vico, Giambattista Autobiografia Il Mulino, luglio 1992 Si tratta della ristampa anastatica della celebre Vita scritta da Vico in più riprese a partire dal 1725, che senza dubbio costituisce non solo un testo fondamentale e privilegiato per la comprensione del suo pensiero, ma anche un notevole modello letterario che lascerà una traccia indelebile nella storia moderna dell’autobiografia intellettuale. Weizsäcker, Carl Fr. von Zeit und Wissen C. Hanser, settembre 1992 pp.1104, DM 78 ”Zeit und Wissen” è la summa della vita di Carl Fr. von Weizsäcker e al contempo il progetto di una filosofia futura, una nuova, grande opera. Volkmann-Schluck, Karl-Heinz Die Philosophie der Vorsokratiker. Der Anfang der abendländischen Metaphysik A cura di P. Kremer Königshausen und Neumann, settembre 1992 pp.157, DM 38 In questo volume Volkmann-Schluck rivela il carattere “originario” del pensiero presocratico. Contro le altre interpretazioni che conducono a una visione aristotelica dei presocratici, Volkmann-Schluck dimostra che l’”inizio” del pensiero presocratico è più ricco di quanto è seguito. Wettersten, John R. The roots of critical rationalism Edition Rodopi, luglio-agosto 1992 pp.250 Dfl 80 Il libro di Wettersten rintraccia le radici storiche e intellettuali del razionalismo critico dai giorni del dibattito classico Whewell-Mill all’opera di Popper. Wetzel, James Augustine and the limits of virtue Cambridge UP, luglio-agosto 1992 pp.280, £ 32,50 Il testo valuta lo sviluppo della psicologia morale di Agostino, dimostrando che la visione del libero arbitrio offerta da Agostino non è stata apprezzata come doveva a causa di un’anacronistica distinzione fra teologia e filosofia. Walsh, W. H. An introduction to the philosophy of history (1961) Thoemmes, novembre 1992 pp.176, £ 12,99 Un libro che tratta la logica del pensiero storico e costituisce anche una discussione critica dei vari tentativi di arrivare a una metafisica, o a una interpretazione metafisica della storia. Willaschek, Marcus Praktische Vernunft. Handlungstheorie und Moralbegründung bei Kant J. B. Metzler, ottobre 1992 pp.332, DM 68 La teoria del comportamento è una disciplina filosofica relativamente giovane. Per quanto sorprendente ciò possa apparire, dietro la concezione kantiana di una “ragione pura” si nasconde già in abbozzo, se non completamente sviluppata, una teoria del comportamento umano. Ward, Keith Defending the soul Oneworld Publ., ottobre 1992 pp.176, £ 6,95 L’autore sostiene che la negazione dell’esistenza dell’anima umana ha effetti devastanti sulla nostra valutazione degli esseri umani e dei loro doveri. Riporta le attuali argomentazioni scientifiche all’essenzialità e presenta un caso convincente che contrasta tale negazione. Williams, Robert Recognition. Fichte and Hegel on the other State Univ. of New York Pr. luglio-agosto 1992 pp.352, $ 20 L’aspetto più saliente di questo libro è la trattazione estesa e dettagliata del concetto idealista di intersoggettività, o riconoscimento, raramente studiato nei particolari, pressoché unica nelle bibliografie inglesi contemporanee. Warnke, Georgia Justice and interpretation Polity Press, settembre 1992 pp.220, £ 35 Un esame dei più importanti contributi alla filosofia politica contemporanea, comprendente l’opera di Rawls, Walzer, Dworkin, Taylor, MacIntyre e Habermas. Il testo dimostra che il lavoro di questi autori ha assunto sempre più un carattere ermeneutico e analizza le implicazioni di questa evoluzione. Wilmer, Heiner Mystik zwischen Tun und Denken. Ein neuer Zugang zur Philosophie Maurice Blondels Herder, settembre 1992 pp.277, DM 42 Washner, R. - von Borzeszkowski, H.-H. Die Wirklichkeit der Physik. Studien zu Idealität und Realität in einer messenden Wissenschaft Lang, luglio-agosto 1992 pp.362 80 Wolbert, Werner Vom Nutzen der Gerechtigkeit. Zur Diskussion um Utilitarismus und teleologische Theorie Herder, settembre 1992 pp.240, DM 46 Wolf, A. The oldest biography of Spinoza (1927) Thoemmes, novembre 1992 pp.208, £ 36 Prima edizione e traduzione inglese dell’anonimo “La vie de feu de Monsieur de Spinoza”, che dovrebbe contribuire a colmare alcune lacune nella letteratura spinoziana di questo paese. Wolin, Richard The terms of cultural criticism. The Frankfurt School, existentialism, poststructuralism Columbia UP, settembre 1992 pp.300, $ 44 Le tre scuole si indirizzano tutte all’evidente collasso della tradizione europea e tutte pongono una sfida formidabile a eredità dell’Illuminismo quali il liberalismo politico, la ragione strumentale e la soggettività autopositiva. Woods, Michael (a cura di) Aristotle: Eudemian Ethics: Books I, II and VIII Clarendon Press, novembre 1992 pp.224, £ 13,95 Il volume comprende una traduzione di tre degli otto libri dell’”Etica Eudemia”, insieme a un commento filosofico su di essi da un punto di vista contemporaneo. Wyss, Dieter Die Philosophie des Chaos oder das irrationale Königshausen und Neumann luglio-agosto 1992 pp. 200, DM 38 Un’introduzione comprensibile e di facile lettura alla moderna ricerca sul caos, così come viene affrontata nel campo matematico e fisico, che presenta il rapporto di questa “teoria” con la psicoterapia e la psicologia, ma anche con la “filosofia dell’uomo”. Zemach, Eddy M. Types. Essays in metaphysics E. J. Brill, ottobre 1992 pp.320, Dfl 160 Il volume comprende una serie di applicazioni sull’ontologia, filosofia della mente ed estetica, a due tesi nominalistiche: che tutte le cose che incontriamo siano tipi e che le cose siano ontologicamente incomplete e quindi possano essere identiche ad altre cose più complete. Ziegler, Walther U. Anerkennung und Nicht-Anerkennung. Studien zur Struktur zwischenmenschlicher.Beziehung aus symbolischinteraktionistischer existenz-philosophischer und dialogischer Sicht Bouvier, luglio-agosto 1992 pp.262, DM 58