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10
Gentili lettori,
il testo inedito di Hans-Georg Gadamer che presentiamo in questo numero, tratto da una serie
memorabile di lezioni su “I presocratici e l’inizio
della filosofia occidentale”, che egli tenne nel
gennaio del 1988 presso l’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici di Napoli, non pone semplicemente la domanda sugli inizi della filosofia greca;
esso mette in discussione il senso stesso, il destino
della cultura occidentale in un momento, come
quello che stiamo vivendo, di particolare sviluppo, e anche per certi aspetti d’involuzione e irrigidimento, in cui da ogni parte, nonostante la
contraddittorietà degli eventi, viene auspicato
l’incontro con culture e tradizioni diverse, che
non hanno la loro origine nel pensiero greco. Se,
a distanza di anni, tornando sullo stesso tema,
Gadamer può esordire provocatoriamente nella
sua esposizione, affermando che «l’unico approccio scientifico nell’interpretazione dei presocratici» è cominciare da Platone e Aristotele, è perchè egli ha ben chiaro che non si può parlare di
principio, d’inizio, se non a partire dal punto di
arrivo, dall’esito a cui giunge il suo sviluppo. E’
dunque interrogandoci sulla fine che si può comprendere l’inizio. Il destino della nostra civiltà
resta intimamente legato a questa dialettica.
Ma con questo ci troviamo già all’interno di uno
dei nodi fondamentali della conoscenza ermeneutica in quanto coscienza della determinazione
storica. Non sarà dunque inopportuno riprendere
qui le parole stesse, e la rinnovata passione, con
cui Gadamer, in apertura delle sue lezioni traccia
nuovamente i contorni di questa dottrina.
«La mia prospettiva di ricerca e di interpretazione, io la chiamo Wirkungsgeschichte, storia degli
effetti o delle determinazioni, e Wirkungsgeschichtliches Bewusstsein, coscienza della determianzione storica. Ciò significa innanzitutto che non è
vero che studiare un testo o una tradizione dipenda da una nostra scelta. Questa libertà, questa
presa di distanza dall’oggetto studiato non esiste.
Noi stessi siamo nel flusso della tradizione; non ci
troviamo a
quella distanza sovrana nella quale si collocano le
scienze naturali per sperimentare e teorizzare. E’
vero che nella scienza contemporanea, ad esempio nella fisica dei quanta, il soggetto può avere
una funzione diversa da quella di puro osservatore
oggettivante; ma è tutta un’altra cosa essere nel
flusso della tradizione, essere condizionati e, essendo condizionati, riconoscere l’altro.
Questa dialettica riguarda non solo la tradizione
culturale, la filosofia, ma anche le scienze morali.
Anche qui, infatti, noi non troviamo l’esperto che
dall’esterno studia le norme, ma un uomo già
formato da queste norme, un uomo che è già in una
società, in un’epoca, in un complesso di pregiudizi, in una visione del mondo. Tutto questo è
già operante e produttivo nel rivolgersi a una
questione, nell’interpretare una dottrina. Il concetto di Wirkung è ambiguo e per certi aspetti è un
attributo di storia; ma in qualche senso è anche
attributo di coscienza. La coscienza è condizionata dalle determinazioni storiche. Noi non siamo
osservatori a distanza della storia, in quanto enti
storici noi siamo sempre nella storia che tentiamo
di comprendere. Sta qui la irriducibile specificità
di questo tipo di conoscenza. Per questa ragione
mi sembra del tutto erroneo affermare che la
distinzione tra scienze naturali e scienze morali
non sarebbe più tanto importante, come credeva
l’Ottocento, e che anzi sarebbe superata perché le
stesse scienze naturali non parlano più di una
natura senza evoluzione, senza storia, cosicché
anche l’uomo avrebbe il suo posto nella lunga
storia dell’universo e le scienze morali e dello
spirito sarebbero una parte delle scienze naturali.
Tutto questo è falso, non è una interpretazione
corretta della storicità dell’ente umano. Quest’ultimo non si può osservare da un punto di vista
fisso, non può essere ridotto ad oggetto di una
teoria evoluzionistica. L’esperienza dell’incontro
dell’uomo con se stesso nella storia, questa forma
di dialogo, questa forma di comunicazione dell’uno con gli altri, è completamente differente
dalla teoria della natura e anche della teoria dell’evoluzione dell’universo.
SOMMARIO
5
INEDITO
33 L’antropologia filosofica di Humboldt
I presocratici e l'inizio della filosofia occidentale.
33 L’antropologia filosofica di Plessner
Il terreno solido in Platone eAristotele.
34 Max Weber: politica e scienza come professione
35 Francis Bacon: ministro della conoscenza
SCHEDA
13 L'Università di San Marino
AUTORI E IDEE
36 L’estetica dell’esperienza
36 Le prefazioni di Nietzsche
37 NOTIZIARIO
15 Se Dio non vince
15 Manuale di metafisica e ontologia
CONVEGNI E SEMINARI
16 Una storia della ragione
39 L’immagine dell’uomo
16 Il male politico
40 Conferenze di Chieti
17 Un’archeologia dello sguardo
41 Arte e modernità
18 Oltre Heidegger, l’etica: Ernst Tugendhat
43 L’attualità dell’Estetico
18 Critica mitologica della ragione
44 Razionalità e cultura
19 Genesi e critica della modernità
45 Razionalità dell’ermeneutica
20 Il moderno e il suo diritto
46 Il problema della verità storica
21 Irigaray: cultura della differenza
48 Contemporaneità della filosofia
21 Il bivio e la convergenza
48 Nodi della volontà
50 Mito e polarità
TENDENZE E DIBATTITI
50 Retorica della scienza
23 Riflessioni di Hegel
51 Percorsi della modernità
24 Confronti con Heidegger
53 Filosofie della storia nel Settecento
25 Nolte, Heidegger e il nazismo
53 Attualità dell’antropologia filosofica
25 Attualità del marxismo
54 Primo piano: lezioni italiane
27 Teologia, diritto, politica
28 Spinoza, nomade e sovversivo
59 CALENDARIO
28 Politica e filosofia
29 Terrorismo e responsabilità collettiva
DIDATTICA
61 Prospettive di metodologia filosofica
PROSPETTIVE DI RICERCA
62 Convegni
31 Montaigne, 400 anni dopo
31 Filosofia della rivelazione
63 RASSEGNA DELLE RIVISTE
32 Moralisti francesi del XVII secolo
32 Categorie dei segni
68 NOVITA’ IN LIBRERIA
INEDITO
Hans-Georg Gadamer (foto di E. Barbieri, Napoli)
4
N
ell’affrontare questo tema, la prima questione possa essere di provenienza platonica, forse sofistica, o
veramente importante che ci si presenta è quella forse socratica; non può essere però del VI secolo, poiché
dei testi. Ritengo che i primi veri testi concer- in quell’epoca non c’erano né libri, né titoli, ma un’altra
nenti i presocratici e l’inizio della filosofia occidentale forma di letteratura. E’ chiaro allora che il titolo periv
sono quelli di Platone e Aristotele. Dobbiamo infatti fuvsew non è dei primi pensatori greci, ma è stato
considerare che una raccolta di frammenti dei presocra- composto successivamente, in una visione retrospettiva
tici o di testimonianze su di essi, per quanto sia un lavoro della storia dei presocratici. Tutto questo, oggi, non è più
meritorio, non ha quasi alcun valore di fronte alle possi- oggetto di discussione ed è accettato unanimamente dagli
bilità di comprendere che ci sono offerte da un testo studiosi, mentre la mia tesi che il concetto di fuvsi"
autentico nella sua interezza. E’ noto, infatti, che con la non esisteva ancora nel VI secolo, nemmeno in Eraclito,
tecnica della citazione si può provare qualsiasi cosa e il appare come un problema diverso e continua ad essere
suo contrario, poiché anche la citazione più fedele e oggetto di discussione.
letterale, in quanto separata da un contesto, finisce per Resta comunque il fatto che tutti i passi commentati da
dire qualcosa di differente dall’originale. Citare è inter- Simplicio, scelti in funzione dei testi che aveva tra le
pretare, anche solo per la forma in cui viene presentato il mani, sono già predeterminati dallo scopo di dimostrare
testo. Ora, tutti i frammenti contenuti nelle raccolte come Aristotele sostenesse essenzialmente la tesi che la
dedicate ai presocratici sono citazioni isolate, che non ci fuvsi" è la prima manifestazione dell’essere - una tesi,
sono pervenute nella forma di un testo definito e compiu- vorrei qui aggiungere con piena consapevolezza, che
to, ma attraverso Platone e
dimostra come la meta-fiAristotele, il Peripato, gli
sica sia solo un’appendice
stoici, gli scettici, i Padri
marginale della Fisica; se
della Chiesa: una enorme
lo si dimentica non si potrà
quantità di autori, che citamai capire Aristotele, e neno e descrivono dottrine per
anche l’uso che la Chiesa
scopi completamente diverha fatto della Metafisica arisi. E’ dunque necessario,
stotelica per fondare il conper prima cosa, individuacetto di divino come ente:
re un testo in cui il pensiero
un uso che ha impedito alIl terreno solido in Platone e Aristodei presocratici sia reso in
l’averroismo di essere
tele
forma coerente.
l’unica soluzione al problema. Tuttavia, nonostante
L’unico testo che si riferidi Hans-Georg Gadamer
questa “predeterminaziosca al pensiero presocratine” del testo, tutte le altre
co nel suo complesso è il
con un intervista all’autore
fonti e tradizioni risultano
commentario di Simplicio,
di Luigi Lorusso
secondarie rispetto a Simcontenuto nella Fisica di
plicio.
Aristotele. E’ il testo più
Ma c’è un altro punto deciesteso che ci sia pervenuto
sivo da tener presente quanriguardante i presocratici,
do ci si avvicina ai presoopera di uno studioso ellecratici. Gli schemi d’internistico che era anche un
a cura di Riccardo Ruschi
pretazione, ormai consolieccellente interprete. Ma
questo testo è collocato nell’ambito di un commentario dati nella nostra mentalità, sono essenzialmente due: una
ad Aristotele e, in particolare, alla Fisica. Dobbiamo è l’interpretazione aristotelica, come ci perviene dalla
chiederci, perciò, che cosa poteva significare fuvsi" descrizione di Simplicio, contenuta nel primo libro della
nel VI e nel V secolo? Sono certo che questo termine è già Metafisica e nel primo libro della Fisica; l’altra è l’interpresente nel VI secolo, ma il suo concetto si forma più pretazione hegeliana. Entrambe queste interpretazioni
tardi, in opposizione a tevcnh. Senza il concetto di sono così radicate in noi che sarebbe illusorio pensare di
tevcnh non c’è quello di fuvsi". Ed è in tal senso che potersene liberare completamente. Nel rapporto tra Parquesto concetto viene usato da Aristotele per affermare menide ed Eraclito, ad esempio, il problema speculativo
che il matematico Platone non ha colto l’essenza della deriva dal prevalere di pregiudizi di tipo hegeliano, ma
fuvsi". Aristotele è un fisico e fuvsi" è il per lui il anche, in una qualche misura, di tipo platonico e aristoconcetto decisivo nella discussione dei suoi predecesso- telico. Non si può dunque non essere consapevoli che
ri. In questo sta l’importanza del primo libro della Fisica, tutta la ricerca storica sulla fisolofia greca si sviluppa nel
al quale Simplicio ha aggiunto un commentario molto quadro della dissoluzione della metafisica idealistica,
hegeliana, e che questa idea di dissoluzione è presente, in
ricco.
Questa tesi, tuttavia, è ancora oggetto di dibattito e non modo più o meno esplicito, in tutti gli storici dell’Ottoappare con evidenza. Vorrei riferirmi invece al Fedone cento. Inoltre, da questo punto di vista appare chiara la
platonico, e precisamente al fatto che qui Socrate, descri- debolezza della vulgata, della tradizione secondo la quavendo le sue esperienze con i sapienti dell’epoca, usa le tutte le storie della filosofia cominciano con Talete e la
l’espressione periv fuvsew per dare un titolo alle “scuola di Mileto”. Che cosa poteva essere una “scuola”
loro opere. Non c’è dubbio che l’uso di questo titolo nel VI secolo in una città come Mileto? Nessuno sapreb-
I presocratici
e l’inizio
della filosofia
occidentale
INEDITO
be rispondere a questa domanda. E che significato ha la la storia del mondo.
tradizionale sequenza Talete-Anassimandro-Anassime- Tutto questo non può essere certamente scambiato con
ne, se poi ci troviamo di fronte al noto problema di come una teologia, nel senso della tradizione cristiana. Da
sia possibile, dopo la profondità speculativa di un Anas- questo punto di vista suona errato, ad esempio, il titolo del
simandro che parlava dell’infinito indeterminato, am- libro, peraltro di grande valore, di Werner Jaeger: La
mettere il regresso all’aria come sostanza prima? La teologia dei primi pensatori greci. Qui il termine “teoloverità è che questo modo di formulare problemi è debole gia” viene usato in modo equivoco. Jaeger è un autore di
poiché poggia non su dati storici, ma su una costruzione grande ricchezza culturale e scientifica, ma in questo
intellettuale. E’ infatti frutto delle ricostruzioni di Apol- libro non è stato così accorto come in Paideia, dove
lodoro e di altri che Anassimandro sia stato un seguace di l’interesse per i sofisti gli aveva evitato di teologizzare la
Talete e che Anassimene lo sia stato di Anassimandro. Se tradizione presocratica. E’ interessante, a questo propopure è possibile che una di queste costruzioni sia giusta, sito, confrontare le parti dei due libri dedicate a Senofane.
sarebbe tuttavia un gioco d’azzardo volerlo affermare In Paideia Senofane è trattato in un modo che mi sembra
con certezza.
del tutto adeguato; nel nuovo
libro, Jaeger modifica inveMa c’è un altro elemento che
ce la sua interpretazione dei
potrebbe essere assunto come
versi di Senofane sul dio che
punto di partenza, e cioè il
è immobile, ecc. Credo che
fondamento religioso delJaeger fosse nel giusto quanl’inizio della filosofia in Gredo affermava che tutta quecia. Questo fondamento è
sta descrizione per immagini
implicito nella nota formula:
di Senofane è tipica di un
“dal mito al logos”; altra forrapsodo, non di un teologo.
mula usuale per interpretare
Da qui la mia piccola critica
la storia dei presocratici. Ma
marginale ad un maestro delche cosa, in questo caso, si
la ricerca in questo campo.
deve intendere con “mito”?
Ma entriamo ora nel merito
Nell’Ottocento era chiaro: si
del nostro discorso, interpretrattava della “religione ometando le più importanti testirica”. Ma quella omerica non
monianze sulla filosofia preera certo una religione; la
socratica presenti in Platone
“teologia omerica” era in ree Aristotele. Cominciamo
altà l’invenzione, la visione
con Platone e, più precisadi un grande poeta che collemente, con il Fedone (96 e
gava, componeva, interpresgg). Qui, com’è noto, Sotava una enorme ricchezza di
crate traccia la sua autobiomiti locali, provenienti da
grafia scientifica e filosofiambienti diversi del mondo
ca. Prima di procedere all’ingreco. Di certo era la compoterpretazione di questo testo
sizione di un poeta, e questo
è tuttavia opportuno sottolipoeta apparteneva al IX seneare ancora una volta l’ercolo, vale a dire a un’epoca
rore che si commette quando
di almeno due secoli antecesi fa riferimento a un framdente rispetto alle notizie che
mento isolato. Il testo al quaci giungono su Talete. L’alle ci riferiamo, infatti, è solatro poeta, al quale si fa riferimente un capitolo di un tutto,
mento quando si parla della
Pitagora
di un intero. In effetti tutto il
religione in Grecia in questo
dialogo del Fedone, nella sua
periodo, è naturalmente Esiodo con la sua Teogonia. Ora è vero che entrambi questi interezza, è testo nel quale è possibile, anche se in modo
poeti sono citati da Aristotele come i primi che abbiano non facile, individuare la questione alla quale Platone
svolto considerazioni sulla divinità, ma Aristotele non cerca di dare una risposta.
intendeva parlare di una religione, bensì voleva dimo- Il Fedone è uno dei dialoghi platonici più noti. Nietzsche
strare che pensieri logici e concetti filosofici latenti ha fatto notare come la figura di Socrate in punto di morte,
esistono già nella concezione della nascita della famiglia che in esso viene delineata, divenne il nuovo ideale, al
degli dei e dell’ordine dell’universo. Perciò lo schema posto di Omero, della migliore gioventù greca. In questo
tradizionale “dal mito al logos” mi pare molto dubbio. c’è senz’altro qualcosa di vero. E’ ben noto infatti che il
Forse il mito, nel caso della mitologia omerica, è più dialogo si apre con alcuni motivi omerici, e precisamente
lovgo" che mu`qo". E’ infatti una cosa di un’umanità con il motivo della morte e del che cosa ci sia al di là di
affascinante la descrizione degli dei come una nobile essa. A questo proposito ricordiamo le indimenticabili
società di grandi signori, un’aristocrazia, dalla quale, in scene con le quali Omero descrive il viaggio di Odisseo
un tempo indefinito, ha avuto origine per volontà di Zeus nell’Ade, per visitare gli eroi di Troia e, in particolare,
6
INEDITO
gna studiare la forma in cui il problema dell’anima è
trattato nel Fedone per comprendere il tipo di questioni ai
quali poteva essere interessato un pensatore dell’epoca di
Platone. Questa formulazione del problema è un esempio
di come ritengo si debba leggere la tradizione che ci
interessa in un testo che non è costruito a questo scopo,
ma che pure permette di immaginare quali petevano
essere le tendenze fondamentali della cultura dell’epoca.
In questa prospettiva il problema potrebbe essere così
formulato: l’anima è una forza vitale o è qualcosa come
una capacità spirituale? E’ vivere o pensare? Oppure
questi due aspetti sono tra loro intrecciati? E in che
modo? Questo è il problema che aveva di mira di Platone;
attraverso Platone noi dobbiamo ora capire come vi erano
impegnati i presocratici.
Voglio aggiungere un’ultima osservazione generale sul
Fedone e, più precisamente, sullo scenario del dialogo. I
due interlocutori di Socrate sono - come è noto - pitagorici in esilio ad Atene in un’epoca in cui la setta si era
dissolta in seguito ad avvenimenti politici. Simmia e
Cebete sono figure storiche e rappresentano non tanto il
pitagorismo delle origini, quanto la sua evoluzione da
setta religiosa a gruppo di ricercatori e scienziati. E’
questa una considerazione da tener presente per comprendere la discussione tra Socrate e i due amici, che non
si presentano più come pitagorici, nel senso di seguaci del
grande fondatore di una semi religione. Si tratta della
discussione con due scienziati che usano sì temi e metafore propri dei pitagorici, ma per descrivere i risultati
della scienza della loro epoca.
Questa considerazione mi pare molto importante, anche
perché i pitagorici continuano a essere un tema molto
discusso. Ricordo che negli anni della mia giovinezza la
tesi più radicale - che allora veniva sostenuta dall’opera
di E. Frank, Plato und die sogennanten Pythagoreer
(Halle 1923) - era che tutta la nostra tradizionale concezione dei pitagorici, intesi come matematici, astronomi
ecc., fosse una reinterpretazione proveniente dalla scuola
platonica, in particolare da Eraclide Pontico. Il radicalismo di questa tesi non ha retto. Oggi è chiaro, infatti, che
esisteva una matematica di Pitagora e dei suoi contemporanei. Tuttavia bisogna precisare che all’epoca di Platone
la matematica era già un’altra cosa, come testimonia il
fatto che i due interlocutori di Socrate nel Fedone sono
più o meno scienziati, che, ad esempio, sono all’oscuro
delle prescrizioni religiose di Filolao - gran maestro della
setta - ma conoscono bene la biologia e l’astronomia della
loro epoca. Questa precisazione mi sembra determinante
per comprendere come Platone inserisca già nello scenario e nella tipicità degli interlocutori la discussione tra
una tradizione e l’interpretazione che di essa veniva data
nella sua epoca. Naturalmente l’epoca del Fedone non
corrisponde all’ultimo anno della vita di Socrate. E’
indiscutibile infatti che questo dialogo sia stato scritto più
tardi, forse venti anni dopo. Platone riprende la figura di
Socrate in punto di morte nel momento in cui si accinge
a delineare i punti cardinali della sua teoria delle idee,
avviandosi a fondare una forma di scuola, l’Accademia,
che differiva sostanzialmente dalle cosiddette scuole dei
sofisti, o degli atomisti, o degli eleati, e via dicendo, che
non avevano affatto la struttura di scuole.
l’immagine di Odisseo che perde la memoria e la riacquista bevendo il sangue del sacrificio: la morte è dunque la
notte della memoria; si muore, quando non c’è più
memoria. Si tratta, potremmo dire, di immagini che
evocano qualcosa di simile ad una religione popolare. Ma
appare anche chiaro che in queste immagini si annuncia
un tema di riflessione. Le ombre degli eroi, infatti,
esistono in un luogo, l’Ade, ma non è certo che abbiano
memoria, che abbiano coscienza; il problema che si pone
è dunque il problema dell’anima e di che cosa essa sia
rispetto alla vita e alla morte. A questo punto però, una
nuova fonte di possibili malintesi invade il nostro consueto modo di pensare: il concetto agostiniano di anima
come interiorità della coscienza. E’ chiaro, infatti, che il
Fedone non ci sarebbe stato se fosse già esistito Agostino.
La complessa dottrina cristiana dell’immortalità dell’anima e della salvezza è implicita nel nostro concetto di
anima o, come diciamo noi tedeschi, di Seele, un termine
che suggerisce qualcosa di più attinente al sentimento,
qualcosa di più sfuggente, anche nella fonetica, che non
il termine anima. E’ chiaro che questa tradizione agisce
su di noi, spingendoci a credere che nella poesia omerica
ci sia un’idea di anima in qualche modo simile alla nostra.
D’altra parte, la supposta religione di Omero non è la sola
fonte di pregiudizi per l’interprete. C’è anche il cosidetto
orfismo, un concetto che ha influito per lungo tempo sulla
ricerca, e che è ancora un problema completamente
aperto. Che cosa era, infatti, questo movimento religioso
che si diffuse nel VII-VI secolo e che ai tempi di Omero
non esisteva, o quanto meno non sembra fosse recepito
dal poeta nel suo mettere insieme tanta ricchezza di
movimenti religiosi e miti? Tutto questo resta un problema aperto; così come resta aperto il problema della
datazione del culto di Dioniso, dal momento che questa
figura risulta pressoché ignota nell’epos omerico, come
è divenuto ampiamente noto dopo l’opera di Nietzsche.
In ogni caso si tratta di concezioni molto vaghe e il nostro
interesse per esse, occupandoci dei presocratici, sta solo
nel fatto che in questo culto l’anima costituiva il centro
della religiosità. Questo mi pare evidente per quanto
riguarda la figura di Pitagora. D’altra parte, se leggiamo
le biografie dei presocratici, emerge sempre la stessa
cosa: ognuno di loro, da Parmenide ad Anassimandro e
tutti gli altri, è presentato come un seguace di Pitagora.
Questo fenomeno ha un suo significato; esso indica che
Pitagora concentra in sé motivi speculativi fondamentali,
come il mistero dei numeri, o il mistero dell’anima e della
sua trasmigrazione e purificazione. Proprio questo fatto
ci conduce al problema della memoria; è evidente, infatti,
che una religione che parla di metempsicosi non presuppone, di norma, la memoria. Che poi qualcuno, come
Empedocle, abbia una vaga divinazione di essere stato
qualche altra cosa in un’altra vita, è un fatto del tutto
eccezionale.
Tutto un insieme di problemi si connette dunque a una
definizione dell’anima. E’ forse un soffio che vivifica gli
animali e gli uomini? Qualcosa come una prima luce
nell’interiorità dell’uomo, una conoscenza incipiente,
una memoria o qualcosa di simile? Tutto questo è destinato a rimanere una domanda vaga che non può essere
usata come chiave di comprensione. Al contrario, biso7
INEDITO
Tema del Fedone è il problema della vita e della morte, rivivere, è una realtà che i vivi si generano dai morti;
del significato della vita di una persona, di che cosa sia ciò dunque le anime dei morti continuano ad esistere, non si
che chiamiamo anima, yuchv. Il dialogo è una discus- annullano. Senonché il testo prosegue (72c) con
sione appunto del problema dell’anima e degli argomenti l’osservazione:«kai; tai`" mevn ge ajgaqai`"
a sostegno della sua immortalità con un punto di straor- “ameinon ei\nai, tai`" dev kakai`'"
dinaria importanza, in cui gli stessi narratori interrompo- kavkion», e cioè: «questa nuova esistenza sarà necesno il loro racconto, a indicare che ci troviamo di fronte a sariamente migliore per i buoni, peggiore per i cattivi».
un momento di massima tensione, che contiene una Un’affermazione, questa, che appare così incongruente
risposta fondamentale. La discussione del problema del- con l’argomento della ciclicità della natura, che alcuni
l’anima mette capo, nella narrazione di Platone, al lungo filologi l’hanno espunta. Io non sono sicuro che questo
racconto autobiografico di Socrate, alle sue esperienze sia giusto. I manoscritti, a questo proposito, sono univoci,
con gli scienziati dell’epoca e al suo nuovo orientamento. non ci sono varianti; e l’argomento è riscontrabile in tutta
E’ qui che avviene propriamente la svolta di Socrate nel la tradizione, che forse è stata un po’ più sagace e ha
capito che proprio questa
cammino verso la verità: egli
mancanza di consequenzianon procede più secondo le
lità era nell’intenzione di Pladottrine dei suoi predecessotone, dato che il punto verari, ma secondo la teoria delle
mente interessante, nella queidee.
stione dell’immortalità delIl Fedone comincia con
l’anima, è che cosa sia questa
un’intonazione morale, quaesistenza e come essa possa
si religiosa: il problema del
essersi determinata da una
suicidio e dell’attesa di una
forma precedente di vita.
nuova vita dopo la morte. E’
Alla fine di tutta l’argomenquesto il primo tema del diatazione Socrate affermerà,
logo; il secondo riguarda
contro le incertezze di Siml’immortalità dell’anima. Il
mia, che sebbene sia vero
nesso tra le due parti è costiche niente è sicuro in questo
tuito, mi pare, dall’idea della
ambito, è pur certo che è
catarsi, della purificazione:
meglio condurre una vita
un elemento importante delonesta. Con questo Socrate
la nostra interpretazione. E’
non pretende di aver dimonoto infatti che il pitagoristrato l’immortalità dell’anismo era innanzitutto un comma; l’ultimo argomento da
plesso di regole per la purifilui addotto è quello secondo
cazione. Il punto decisivo è
cui è meglio vivere con queche Platone dà a quest’ideale
sto orientamento che senza.
di purezza un senso nuovo,
Ritengo questo fatto di enorquel senso che alla fine ci è
me importanza. Altrove ho
diventato familiare attraverdimostrato che in Kant è preso Kant: il senso della ragion
sente lo stesso tipo di argopura. La matematica è la ramentazione. Anche in Kant,
gion pura, nel senso che essa
infatti, non è dimostrato che
trascende l’accesso sensibile
esista la libertà. Pretendere
alle cose, come appare già
di fornire questa dimostranel Menone, nella teoria dei
zione, interrogando la natura
puri concetti matematici.
Socrate
e poi controllandone le riPerciò la visione morale e
sposte, significa essere ciereligiosa della separazione
dell’anima dal corpo corrisponde, nel suo nucleo, alla chi in partenza di fronte al valore ontologico della libertà,
separazione della scienza matematica dall’esperienza che è un fatto di ragione, non di scienza naturale. Natusensibile. La vita del filosofo sarebbe, in tal senso, un ralmente la motivazione di Platone è diversa; egli non
cammino verso la morte, intesa come separazione dal intende affermare che la scienza ha i suoi limiti e di
conseguenza giustificare perché nella pratica si debba
sensibile, dal corpo.
Il primo argomento riguardante l’immortalità dell’anima seguire il consiglio di una vita onesta. La motivazione di
è quello tratto dalla struttura ciclica della natura, per cui, Platone è di ordine trascendente; è conseguenza della
essendo la vita un fenomeno naturale, anche la morte non limitatezza della nostra razionalità di fronte al mistero
può che essere una tappa nel ciclo della gevnesi" e della morte e dell’eternità. Da questo punto di vista si
della fqorav (Fedone, 70 e sgg.). La concezione della potrebbe dire che la “cattiva infinità” è anche la condizionatura come corso ciclico diviene un evidente argomento ne di Platone: la questione centrale della morale e della
a sostegno della tesi del ritorno dalla morte. Così Socrate vita posa su una dialettica aperta e non su un risultato che
conclude (71c), dicendo che anabiwvskesqai, il pretenda di essere frutto di una dimostrazione.
8
INEDITO
Questo confronto tra Kant e Platone non riguarda tanto il
concetto di libertà, dato che questo concetto, come è noto,
non esiste nella filosofia platonica. Piuttosto, come
Kant non fonda la metafisica su un argomento teoretico - la Critica della ragion pura, infatti, non presenta
una metafisica in senso tradizionale - ma sulla vita
morale, così Platone non pretende di dimostrare l’immortalità dell’anima con argomentazioni teoretiche,
ma prende spunto dalla realtà della figura di Socrate e
dal suo agire. Questo non significa però che si tratti
dello stesso concetto di libertà. In tutto questo viene
piuttosto alla luce l’inadeguatezza di un’argomentazione intorno all’immortalità dell’anima, fondata su
un concetto di anima di stampo naturalistico.
L’autobiografia intellettuale di Socrate comincia, infatti, con l’ammissione del suo forte impegno con i
problemi della peri; fuvsew" Ôistoriva,
l’istoria in senso greco, cioé il racconto di osservazioni fatte, come può essere la relazione di un viaggiatore
sulle cose osservate durante il viaggio. In questo senso
peri; fuvsew" Ôistoriva deve essere intesa
come racconto delle esperienze fatte dal testimone
degli eventi, che ha registrato certe cose, di cui fornisce un relazione. In realtà, all’epoca del Fedone,
peri; fuvsew" Ôistoriva rappresentava un
titolo ricorrente per designare relazioni riguardanti la
natura, l’universo, il cielo, ecc. Inoltre, il secondo
argomento, introdotto da Simmia come una ben nota
dottrina socratica, è quello della ajnavmnhsi".
Secondo Socrate la conoscenza deve essere un ricordare, dato che cose come i concetti matematici, ad
esempio to; “ison, l’uguale in sé, non si possono
ricavare dal piano dell’esistenza, dove non si danno
mai due enti perfettamente uguali (e a questo proposito viene in mente la metafisica di Leibniz). Il concetto
matematico di eguale rappresenta l’uguaglianza perfetta, che non è mai riscontrabile nell’esperienza sensibile; questo dimostrerebbe allora la preesistenza
dell’anima, che ha visto quell’uguale in sé che non è
visibile nell’esperienza esistenziale.
Ma il mio scopo non è qui semplicemente di interpretare il Fedone, bensì di mostrare come i precedenti
della filosofia platonica, le teorie dei presocratici,
vengono presi in considerazione da Platone. A questo
proposito, consideriamo le due obiezioni che notoriamente nel Fedone vengono sollevate contro l’immorinnanzitutto la causa della gevnesi" e della fqorav, perché
solo così è possibile arrivare a comprendere qualcosa circa il senso
della morte. Così Socrate inizia la
narrazione delle sue esperienze con
le scienze dell’epoca, fino alla decisione di imboccare un diverso
orientamento.
Questo testo di Hans-Georg Gadamer, che
qui presentiamo in forma di anticipazione,
è tratto, con qualche lieve ritocco nella
forma linguistica, da un volume a cura di
talità dell’anima. La prima, sollevata da Simmia, si
può facilmente comprendere: l’anima non è altro che
l’armonia del corpo; quando muore il corpo viene
meno anche la cooperazione armoniosa dei suoi organi, e dunque anche l’anima si dissolve. Questo argomento deriva chiaramente dalla scienza dell’epoca e,
più precisamente, è un argomento di tipo pitagorico.
Esso è molto vicino alla definizione aristotelica dell’anima come &entelevceia del corpo, perfetta
attualità dell’organismo vivente. La seconda obiezione, sollevata da Cebete, consiste nell’argomento secondo il quale l’anima potrebbe consumarsi attraverso la trasmigrazione nei vari corpi e dissolversi definitivamente nell’ultimo corpo. Anche in questa immagine si riflette, senza dubbio, una delle scoperte
della biologia dell’epoca. Sappiamo, infatti, che gli
scienziati dell’epoca platonica avevano già una concezione della vita come trasformazione dell’organismo materiale. Si può allora comprendere come l’obiezione, secondo la quale l’anima, pur essendo qualcosa
che va al di là dei limiti dell’esistenza, finisce per
consumarsi e svanire, ricalchi un’immagine che è
frutto di una visione naturalistica dell’anima, quella
stessa visione naturalistica che si esprime nel concetto
di anima come armonia del corpo, destinata a scomparire con esso.
Le due obiezioni si rivelano disastrose per ciò che
riguarda la tesi dell’immortalità dell’anima. Esse appaiono tanto evidenti che anche Fedone e Echecrate, i
due narratori del dialogo, interrompono il racconto
per esprimere il loro smarrimento. E’ un momento di
grande poesia.
All’obiezione di Simmia Socrate risponde che l’anima non si identifica con l’armonia; semmai l’armonia
è qualcosa che si desidera stabilire o trovare, per cui
l’anima armoniosa non è un dato naturale, ma un bene
verso cui si orienta la vita. Emerge qui chiaramente il
conflitto tra una teoria naturalistica, o se si vuole
matematica, dell’armonia, in cui essa è posta come
dipendente dagli elementi che la compongono, e una
teoria per così dire finalistica, che considera l’armonia come scopo della vita. L’altra obiezione, quella di
Cebete, richiede una risposta più complessa e Socrate,
dopo qualche momento di silenzio e di concentrazione, esordisce richiamando la necessità di chiarire
Vittorio De Cesare, di prossima pubblicazione da parte dell’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici di Napoli presso l’editore
“Guerini e Associati” di Milano. Il volume
raccoglie le lezioni su L’inizio della filosofia occidentale, tenute da Hans-Georg Gadamer nel gennaio 1988, nel quadro dei
seminari che puntualmente ogni anno, dal
1979, egli dedica, presso l’Istituto napoletano, ai grandi temi del pensiero filosofico
classico e moderno, da Platone a Hegel,
dai presocratici a Heidegger, da Aristotele
all’ermeneutica. La pubblicazione di queste lezioni intende innanzitutto rendere
disponibile ad un più vasto pubblico il
9
materiale di studio e riflessione, raccolto
dall’Istituto nell’ambito della propria attività seminariale.
L’originalità di queste lezioni risiede nel
modo in cui viene affrontata la questione
dell’inizio del pensiero occidentale a partire dalla filosofia presocratica. Gadamer
afferma infatti che una ricerca sui presocratici e sugli inizi del loro pensiero non può
prendere le mosse da Talete, come ci insegna Aristotele, né dalla grande tradizione
epica di Omero e Esiodo, che appare già
“una tappa” verso l’interpretazione razionale della vita e dell’universo ad opera dei
presocratici, né dalla lingua greca del se-
INEDITO
condo millennio prima di Cristo, con le
sue intrinseche possibilità speculative e
filosofiche, come l’uso del neutro o l’esistenza della copula. Occorre invece muovere da Platone e Aristotele. Il significato
di questa scelta metodologica sta di fatto
per Gadamer in una diversa accezione del
termine “principio”, che non deve essere
confuso con ciò che è primo, ma riceve il
suo significato nel rapporto indissolubile
con una fine, un punto di arrivo, da cui
dipende lo sviluppo del principio, il suo
dirigersi verso una fine.
A questo proposito Gadamer propone una
serie di interpretazioni di ciò che può essere inteso come punto di arrivo. La prima
riguarda la fine della metafisica, come viene prospettata nell’Ottocento di fronte al
positivismo delle scienze; in questo caso il
principio risiederebbe, secondo Aristotele,
in Talete come il primo che non ha raccontato miti sugli dei, ma ne ha parlato sulla
base di dimostrazioni. Una seconda interpretazione considera come punto di arrivo
la razionalità delle scienze, la cultura scientifica, che in tal senso si presenta come
destino dell’umanità che ha il proprio principio nel mito. Una terza interpretazione,
infine, propone come punto di arrivo la fine
dell’uomo, dove principio e fine si perdono
nell’ignoto. A queste interpretazioni Gadamer oppone invece un significato di principio, d’inizio, come “primitività”, “principialità”, secondo l’etimologia del termine tedesco Anfanglichkeit, dove l’esser
principio è dato dal non essere determina-
le cui tracce, del resto, si possomo trovare in Essere e Tempo, a cominciare dal titolo
stesso dell’opera. Con questa interpretazione egli non è
riuscito ad illuminare in
modo compiuto l’enigmatico problema della metessi. Io
penso che la metessi non sia
da intendere come la partecipazione dell’idea al particolare, bensì come la partecipazione delle idee alle idee.
Naturalmente c’è anche una
partecipazione dell’anima
alle idee; di ciò si è reso conProfessor Gadamer, la sua
to un semplice insegnante,
interpretazione della filosoquale è stato Ernst Hoffmann,
fia greca si è gradualmente
che ha parlato delle diverse
differenziata da quella del
forme di metessi. E’ un prosuo maestro Martin Heidegblema che appare già nel Parger. Qual è il punto fondamenide, uno dei più enigmamentale che secondo lei Heitici dialoghi platonici, dove
degger non ha ben compreso
il discorrere viene a giocare
nel leggere Platone?
un ruolo diverso da quello
che in genere Socrate gli fa
Il rapporto di Heidegger con
assumere. Ogni lettore doPlatone è sempre e interavrebbe notare che ciò che qui
mente condizionato da Aris’intende non sono le idee, e
stotele: nel primo egli ha viche ciò che emerge nell’ultisto, in generale, solo il primo
ma parte del dialogo è la parpasso di un cammino che poi
tecipazione di un’idea all’alsi sarebbe svolto compiutatra. Se si riflette più a fondo,
mente nel pensiero aristotesi scopre, infatti, che Platone
lico. Questa è l’unilateralità
Platone
non è in alcun modo interesdell’approccio di Heidegger
sato al problema della partealla filosofia dell’allievo di
cipazione delle idee al sensibile, come risulta chiaramenSocrate; anche se bisogna ammettere che egli non ha mai te, ad esempio, dal Fedone, dove il problema è la parteavuto intenzione, per così dire, di leggere i presocratici o cipazione tra anima e morte, dunque tra due idee.
Platone solo con gli occhi di Aristotele. Ovviamente Per gli studiosi tedeschi è stato determinante, in passato,
Heidegger si lascia guidare anche dal proprio filosofare; lo schema di Julius Stenzel, per cui il primo problema era
tuttavia, proprio la forza del suo stesso pensiero gli è in la partecipazione all’idea del bene; da qui scaturiva il
qualche modo di ostacolo. In Heidegger vi era un che di problema della partecipazione alla realtà sensibile. Ora,
geniale, tanto che altri filosofi della sua statura non si finché si tratta di partecipazione al bene, nel senso di
sono avuti in questo secolo; il suo pensiero pervade areté, si può ricorrere al concetto di forza normativa del
fortemente il proprio oggetto, traendone, però, solo ciò di bene, come fa Stenzel, dal momento che l’intento è di
cui ha bisogno...ed è in questo modo che egli ha letto partecipare ad esso. Al contrario, se non si rimane, per
Platone.
così dire, confinati al bene nel senso dell’areté, emerge il
Io ricordo molto bene la sua interpretazione del Sofista, problema di che cosa sia questa partecipazione. Perciò,
anche se Stenzel non può essere considerato un allievo
to in un senso o nell’altro, verso
un fine o un altro, ma tutti gli
sviluppi sono possibili. In tal senso, l’inizio della filosofia occidentale nei presocratici è dato
appunto da un cercare senza sapere quale sarà il destino, il punto di arrivo di uno sviluppo che
proprio per questo si presenta
come possibilità infinita.
Per un ulteriore approfondimento nelle tematiche fin qui esposte,
proponiamo qui di seguito il testo
di un’intervista rilasciata da Gadamer in occasione di una sua
recente presenza a Napoli presso
l’Istituto Italiano per gli Sudi Filosofici.
10
INEDITO
In questo mio approccio ai testi antichi il linguaggio ha
assunto un ruolo di primaria importanza; e fu proprio
Heidegger a farmene capire l’importanza quando mi
invitò a casa sua per un corso speciale su Aristotele,
precisamente sul VII libro della Metafisica. Così il linguaggio divenne per me il nuovo punto di partenza per
filosofare, in quanto voce di una esperienza accumulata
che implica, appunto, un patrimonio culturale comune.
Ovviamente è importante anche la forma, il modo di
apparire del linguaggio, in quanto forme diverse implicano rimandi diversi, intenzioni diverse, e quindi più possibilità di lettura. La poesia ad esempio è ricca di metafore, e non può essere letta come si legge un testo didattico.
diretto di Natorp, è certamente tra coloro che meglio
hanno proseguito il lavoro di quest’ultimo. Il suo è pur
sempre uno schema neokantiano; e sappiamo bene come
per i neokantiani è fondamentale il poter rendere comprensibile la scienza moderna, prendendo le mosse da
Platone. Ma la scienza moderna non esisteva nel mondo
greco! C’era la matematica, che però è una scienza
eidetica, non la scienza di una realtà contingente.
Lei ha sempre sostenuto, che se si vuole realmente
comprendere la filosofia greca bisogna guardare, contro
la tradizionale interpretazione che vede Platone e Aristotele contrapposti, a ciò che essi hanno in comune, non
alle differenze. Nel venir meno di tale contrapposizione,
quanto è stato importante tener conto del linguaggio,
della diversa forma linguistica con cui sono redatte le
opere dei due filosofi?
Nel suo scritto di abilitazione del 1928 Lei ha voluto
applicare al Filebo platonico la tecnica della descrizione
fenomenologica, che guarda “alle cose stesse” e muove
dai fenomeni così come ci appaiono. Nonostante questa
“modesta pretesa”, come Lei stesso la definì, già in
questo suo lavoro riuscì ad illuminare in modo adeguato
il problema della metessi e soprattutto a stabilire una
relazione fra questa e il linguaggio?
La lettura di Platone è, in primo luogo, un problema
ermeneutico che deve condurre l’interprete a chiedersi
perchè Platone si serva, per così dire, di maschere, di
personaggi. Come si può trasformare in asserti teoretici
ciò di cui discorrono Socrate e Parmenide, o lo stesso
dialogo nel suo complesso, che è opera di grande poesia,
prodotto letterario altamente stilizzato? E soprattutto,
fino a che punto è possibile questa trasformazione e
quanto viene perso, non visto, in una tale conversione? Io
mi sono occupato di questo problema in rapporto al
dibattito sollevato dalla scuola di Tubinga sulla cosidetta
dottrina non scritta di Platone, cioè sul suo insegnamento
orale. Mi sono sempre sforzato di far capire che è un
errore ermeneutico fondamentale pensare che possa esistere una comparabilità diretta fra dialoghi platonici e
testi didattici, quali sono quelli di Aristotele. In realtà, c’è
un rapporto molto indiretto, che emerge solamente se si
continuano a pensare i dialoghi platonici. Questa, in
fondo, è l’intenzione di tutti i dialoghi: il discorrere deve
sempre proseguire; non ha e non deve aver fine. Ogni
dialogo termina in qualche modo con il presupposto che
ciò a cui si è giunti è semplicemente un primo passo, un
incitamento a proseguire. Se si prendono le mosse da una
tale, fondamentale convinzione ermeneutica, diviene
chiaro che Aristotele è molto più vicino a Platone di
quanto hanno ritenuto gli studiosi che ci hanno preceduto. La contrapposizione fra i due filosofi greci è frutto di
una interpretazione banale di entrambi; ne è un esempio
evidente, come ho già accennato, il neokantismo, secondo il quale Aristotele sarebbe una figura epigonale del
grande Platone. Questi finisce per essere una figura
secondaria, che offre, come un medicamento, soluzioni a
problemi filosofici. Ma il neokantismo non ha compreso
il vero problema del rapporto fra Platone ed Aristotele.
Per quanto mi riguarda, ho cercato di leggere in modo
nuovo la filosofia greca, partendo dalla fenomenologia di
Husserl, che proprio in vista di una scienza più rigorosa
conferisce un ruolo fondamentale all’esperienza umana
in sostituzione del “dato” dei neokantiani, passando
attraverso la forte influenza esercitata su di me dal nuovo,
impetuoso interrogare di Heidegger e traendo aiuto dalla
filologia classica che avevo appreso alla scuola di Paul
Friedlaender.
A proposito del Filebo, io concentrerei l’attenzione innanzitutto sul terzo genere dell’essere, il “misto”, e sulla
sua causa, il “metron”. Si tratta di qualcosa che precorre
ciò che Aristorele intende con il termine tode ti e il
rapporto di questo con l’idea. Leggendo il Filebo si vede
subito la matrice platonica di questo concetto aristotelico. Nel mio primo libro ho svolto questa analisi in modo
molto preciso, chiedendomi cosa significhi il fatto che
nel Filebo sia così poco chiaro ciò che riguarda i numeri,
che cosa essi indichino: il feras, per esempio, ma anche
il metron (ci si potrebbe a questo proposito, riferire anche
al Politico e chiedersi cosa rappresenti, in questo dialogo,
la dottrina del metron). Quando Werner Jaeger ha sostenuto che Aristotele inizialmente fu un seguace della
dottrina delle idee e successivamente si allontanò in
modo critico da questa, si è avvalso dell’argomento che
in Platone, in fondo, troviamo già tutto. Per comprendere
la metexis non si deve mai dimenticare il concetto aristotelico di exis. Methexis è mit-sein, ed exis è naturalmente
anche un Sein degli uomini. Muovendo da questa considerazione, credo che l’intero problema della metessi
debba essere visto innanzitutto come problema della
struttura del logos, come viene indicato nel tardo Platone.
Ogni logos indica una comunanza; questo è chiaro per le
lezioni di Aristotele. Per Platone esso indica una relazione ed allo stesso tempo, per così dire, una partecipazione.
Metessi ha quindi il senso dell’esser dentro; e metà,
peraltro, richiama meson. In methexis, cioè, non troviamo
il senso del proiettrasi verso qualcosa dall’esterno, del
cercare di afferrare qualcosa dal di fuori. Lo stesso
metalambanein suggerisce più un modo d’essere, che di
agire.
Se si vuole realmente comprendere Platone e i greci non
si deve procedere partendo dal nostro concetto di soggetto, così come hanno fatto Natorp e Cohen nel consiederare il dato come nozione fondamentale, come problema,
al fine di porre il pensiero come fondazione della scienza
(lo stesso Natorp ha più tardi riconosciuto che esso non è
11
INEDITO
possiede una tale forza, una tale vitalità, da valere al di là
del testo stesso. Un testo deve essere innanzitutto reso
vivo; e questo lo si può fare anche trasformando ciò che
è contenuto in esso. Dal mio punto di vista, credo che il
più grosso pericolo presente in Heidegger consista in ciò
che egli ha sempre voluto: «...tu stesso devi vedere come
Platone, e poi pensare, trarre da ciò le conseguenze e
realmente comprendere quello che tu lì hai pensato...».
In verità, questo è ciò che fa anche Aristotele, poiché
questo è ciò che fa parte della sua disposizione fondamentale, essendo lui un biologo, un fisico, ma non un
matematico. Platone, invece, è un matematico, un pitagorico, così come tutti i suoi amici dell’Accademia, e di
questo si lamenta Aristotele. E’ importante però non
considerare reale ciò che Platone dice in forma poetica.
Con ciò intendo dire che nello scrivere discorsi come
poesie, la pura sfera eidetica viene naturalmente superata. Ad esempio, nel Sofista troviamo il ben noto passo:
«Teeteto vola...», che vuole ovviamente significare qualcosa, e non semplicemente dire che Teeteto, che se ne sta
lì seduto, vola. Ciò che questo passo sta a significare è
molto più semplice di quanto in genere sia stato scritto in
proposito. Non si coglie il punto fondamentale se si
afferma semplicemente che questo esempio indica che vi
è un singolo uomo laddove vi è l’idea di uomo. Mi pare
ovvio che qui Teeteto sia un uomo...solo lo si vuole
intendere in quanto idea, un’idea che non ha niente a che
vedere con l’idea del volare. L’esempio intende appunto
mostrare come l’idea di uomo sia incompatibile con
quella del volare; si tratta infatti dell’incompatibilità tra
due idee, e non di come il particolare partecipi all’idea.
L’esempio mostra che questa partecipazione deve essere
sempre presupposta e che in Platone il principio di
individuazione non esiste come problema. Al suo posto
vi è il mostrare, nel senso del dare sempre una direzione
al proprio vedere, e nient’altro...; qui, direi, si ritorna al
tode ti di Aristotele.
sufficiente). Se oggi si rilegge il noto libro di Natorp, si
rimane colpiti dal fatto che in esso i primi scritti di
Platone, compreso lo stesso Teeteto, vengono trattati
molto brevemente. Natorp era senza dubbio un grande
erudito, un uomo perspicace, acuto, ma solo tardi egli si
è liberato di un certo schema interpretativo di quello che
avrebbe poi definito come il retroterra religioso della
dottrina delle idee, dove il termine religioso indica qui, in
senso molto ampio, che le idee non sono solamente dei
concetti scientifici. Ho cercato di mostrare, in modo assai
concreto, che cos’è la guida dell’anima, la Epagoghé, in
un dialogo platonico, e posso affermare che siamo in
errore, fintantoché continuiamo a leggere i dialoghi platonici come trattati logici. Certo, in Platone vi è molta
logica, ma non vi è mai la pretesa che tutto debba essere
pura logica; anzi, direi il contrario. La pretesa è quella di
essere convincenti, e con ciò fare in modo che all’altro,
per così dire, si aprano gli occhi. Ciò accade ad esempio
con il mito della caverna, dove il venire alla luce del
giorno rende possibile il vedere; ed è in fondo questa
possibilità che Platone ha voluto prendere in considerazione con le sue opere letterarie. Da questo punto di vista
possiamo ancor meglio comprendere ciò che è presupposto come ovvio, cioè la relazione che intercorre fra le idee
(diairesis), o il modo con cui un’idea esclude l’altra (ma
con questo siamo già al centro dell’argomentazione del
Fedone). Che senso avrebbe altrimenti parlare di idee, se
non si trattasse del modo con cui un’idea si rapporta ad
un’altra? Pensiamo, ad esempio, al rapporto tra l’idea di
anima e quella di vita e a come queste escludono l’idea
di morte.
Questo punto, che a suo tempo non è stato per niente
compreso da Stenzel, può chiaramente aiutarci a capire il
concetto di dialettica e mostrarci come esso si dispieghi
completamente in base ad una tale considerazione.
Heidegger ha interpretato la greca aletheia come non
nascondimento, svelamento, mentre Lei ha in qualche
modo corretto questa lettura. In che cosa è diverso il Suo
contributo rispetto a quello di Heidegger riguardo al
problema della verità ed alla sua connessione con quello
che Lei chiama la “presenza delle idee”?
Platone, dunque, aveva di mira le relazioni che intercorrono tra le idee. In che senso, allora, nella Sua interpretazione del Timeo, Lei parla della necessità del fenomeno?
Ci eravamo già avvicinati a questo problema, quando
parlavamo del Teeteto a proposito dell’espressione: «Teeteto vola». E’ chiaro che questa espressione, in fondo,
vuol dire che un uomo non può volare; ma il fatto che si
voglia intendere solo questo è un’importante limitazione. Essa sta a significare che dalle idee non si può dedurre
in alcun modo la contingenza; si può solo ricorrere al
mito - ananke - anche se Aristotele pensa, in senso
critico, che questo significa ricorrere a delle metafore per
l’insegnamento. Quando nel Timeo si parla della costruzione dell’universo e di cose simili, si tratta di metafore,
certo, ma di metafore che per Platone hanno lo stesso
valore di ciò che si apprende dai logoi, ovvero un valore
eidetico. Aristotele invece, non usa il discorso mitico, ma
concetti come dynamis o energheia, dove il dynamaion
equivale quasi a ciò che viene pensato nella methexis. Il
dynamaion è ciò che di per sé non è niente, è ciò che
ancora non è, ma nello stesso tempo è il concetto che
qualcosa non può essere prodotto dal niente. L’ananke
Heidegger ha visto che l’idea è la presenza del presente.
Ciò che bisogna comprendere, però, è che egli ha letto i
greci come qualcosa di estremamente lontano, estraneo.
Certamente lo ha fatto con grande ammirazione, ma
anche in modo tale da non lasciar emergere il sapere e
tutto ciò che da questo dipende, come ad esempio la
storia. Questo significa che nella greca aletheia egli non
ha visto la lethe, non ha posto l’accento sul nascondimento. Come ho già detto, Heidegger riusciva a pensare in
modo eccezionale, ma non riusciva a pensare quello che
gli altri avevano pensato. Egli coglieva, in base alla
lingua, le unità semantiche e la loro interna connsessione; e talvolta ciò che lui pensava corrispondeva a ciò che
il testo realmente voleva dire. Ma è veramente un caso
fortunato, se quello che Heidegger pensava può essere
effettivamente rinvenuto nei testi di Platone e di Aristotele. Heidegger, per lo più, ha interpretato in modo
“errato”; ma nello stesso tempo la sua interpretazione
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SCHEDA
Didascalia
12
SCHEDA
S
ulla cima del monte Titano, nel territorio della to sono stati: “Le fonti della ricerca storica”, “Per una storia
Repubblica di San Marino, sorge un ateneo giova- della città”, “Storiografia antica e pensiero politico modernissimo, che solo da pochi anni ha dato inizio alle at- no”, “La Rivoluzione francese”, “Fonti scritte e non scrittività accademiche e che appare destinato, grazie agli inve- te”, “Lo stato degli antichi e dei moderni”, “Le forme del
stimenti del locale Governo e alle iniziative del neo-rettore, tempo”, “Mercanti e mercato: culture e modelli mercantili”, “Tendenze e caratteri fra medioevo e età moderna”,
Prof. Renato Zangheri, ad ulteriori espansioni.
Per quanto riguarda le scienze umane sono attivate presso “L’identità dell’Europa”. Tra gli studiosi che hanno svolto
l’Università degli Studi di San Marino due importanti istitu- i loro seminari negli ultimi due anni accademici ricordiamo:
zioni, entrambe rivolte a studenti già laureati, ma del tutto Maurizio Bettini, Innocenzo Cervelli, Nicola Matteucci,
differenti per il modello organizzativo e le finalità didattico- Erich Hobsbawn, Pierangelo Schiera, Ilya Prigogine, Rugscientifiche. Il Centro Internazionale di Studi Semiotici giero Romano, Paolo Rossi, Giacomo Marramao, Remo
e Cognitivi, diretto da Umberto Eco, si caratterizza come Bodei, Krzysztof Pomian, René Thom, Vittore Branca, Lucentro di studi che periodicamente (circa 5-6 volte all’anno) cio Villari, Adriano Prosperi, George Mosse, Luciano Galorganizza seminari, convegni, work-shops su argomenti lino, Luciano Canfora, Ezio Raimondi.
specifici, attinenti per lo più alla semiotica. La partecipazio- Nei mesi senza lezioni gli allievi sono liberi di lavorare nella
ne alle iniziative del Centro è libera, e per ogni incontro ven- sede accademica da loro prescelta. In quel periodo l’attività
gono messe a disposizione di studenti, laureati e dottorandi si concentra sulla ricerca individuale e sulla stesura della
delle borse di studio che coprono le spese di vitto e alloggio. propria tesi di dottorato. La Scuola individua fin dalle prime
settimane per ogni singolo
Per ottenere una delle borse
I luoghi della filosofia
allievo un docente compedi studio offerte è necessario
tente nell’ambito del proinviare una motivata dogetto di ricerca proposto, il
manda accompagnata da un
quale dovrà seguire come
breve curriculum. Tra i contutor l’andamento del lavovegni recentemente orgaro e partecipare alla discusnizzati dal Centro Internasione finale. Il titolo di dotzionale di Studi Semiotici e
tore di ricerca concesso dalCognitivi si possono ricorl’Università sanmarinese è
dare quello su “Knowledge
riconosciuto dalla RepubThrough Singns: Ancient
blica italiana ed è equipolSemiotic Theories” (Conolente a quello conseguito
scere attraverso i segni: andi Gherardo Ugolini
presso le Università italiatiche teorie semiotiche, giune.
gno 1992), al quale hanno
L’ambito della Scuola è represo parte tra gli altri Umlativo agli studi storici, ma
berto Eco, Anthony A.
non in modo esclusivo. Per
Long, David Sedley, Mario
accedere alle prove di seleVegetti, Walter Leszl, e
zione non è infatti indispenquello su “Phonosymbolisabile essere laureati in stosm and Poetic Language”
ria, ed eventuali progetti di
(Fonosimbolismo e linricerca che riguardino la stoguaggio poetico, ottobre
ria della filosofia, della letteratura, del diritto ecc., vengono
1992).
Del tutto differente è il funzionamento della Scuola Supe- ugualmente presi in considerazione.
riore di Studi Storici, diretta da Aldo Schiavone, che anno- Nonostante le inevitabili difficoltà iniziali l’ateneo sanmavera tra i membri del Consiglio Scientifico storici di grande rinese si va affermando come una realtà culturale di livello
fama quali Maurice Aymard, Valerio Castronovo, Gabriele europeo. Progressivamente verranno ultimate anche le inDe Rosa, Giuseppe Galasso, Francis Haskell, Wolfgang frastrutture necessarie per il decollo dell’Università. E’ già
Mommsen, Aldo Schiavone, Corrado Vivanti e Renato in funzione il campus universitario (moderni bilocali arreZangheri. Questa istituzione si caratterizza come vera e pro- dati, ricavati entro un antico castello), dove possono allogpria scuola di specializzazione per la formazione di dottori giare al momento quindici allievi. La biblioteca è ancora lidi ricerca. Per ogni ciclo triennale il Comitato Scientifico mitata e insufficiente sia per il patrimonio librario, sia per gli
ammette alla Scuola, previa selezione per titoli ed esame, 24 spazi a disposizione, ma è prevedibile - anche grazie ai sugallievi italiani e stranieri: soltanto ai primi dodici della gra- gerimenti degli allievi - una enorme crescita nei prossimi
duatoria viene garantita una borsa di studio di L. 1.200.000 anni. Infine nascerà una collana universitaria presso l’editonette mensili. Al momento della domanda ogni candidato re Einaudi per la pubblicazione delle tesi migliori e di alcune
deve inoltre presentare un progetto di ricerca originale che, lezioni dei docenti.
in caso di ammissione alla Scuola, costituirà il tema della Per informazioni di ogni genere e per la richiesta di bandi di
sua tesi di dottorato. Le lezioni sono concentrate nei mesi concorso, ci si può rivolgere ai seguenti indirizzi: Centro Inestivi (giugno-luglio, settembre-ottobre), durante i quali è ternazionale di Studi Semiotici e Cognitivi, Contrada Omeobbligatoria la residenza a San Marino e la frequenza. I temi relli 77, 47031 San Marino, tel. 0549/882516, fax 0549/
delle lezioni svolte nell’ambito degli ultimi cicli di dottora- 882519; Scuola Superiore di Studi Storici, Contrada delle
Mura, 47031 San Marino, tel. 0549/882507, fax 0549/
L’Università
di
San Marino
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AUTORI E IDEE
Pieter Bruegel, Saul o Battaglia del monte Gelboé (1562), particolare
14
AUTORI E IDEE
AUTORI E IDEE
Se Dio non vince
Più che alla riflessione di Dietrich
Bonhoeffer, alla quale pare collegarsi
la tematica dell’impotenza di Dio nel
mondo, l’ultimo saggio di Sergio Quinzio, LA SCONFITTA DI DIO (Adelphi, Milano
1992) rimanda alla precedente riflessione dell’autore, caratterizzata dall’individuazione nella tradizione greca
di un’idea, quella della spiritualizzazione di Dio, nonché di premi e castighi
per gli uomini, estranea alla tradizione
ebraica e cristiana.
Non c’è, nell’Antico Testamento, una tradizione di spiritualizzazione del divino; non
c’è la promessa, o la minaccia, di un mondo futuro come al di là, premio o castigo di
“questo” mondo, a esso contrapposto e per
esso intangibile. Una tale spiritualizzazione, con il suo relegare nell’ambito del trascendente ciò che è oggetto dell’attesa messianica, è piuttosto il frutto dell’innestarsi
sulla tradizione ebraica e su quella protocristiana dell’eredità del pensiero greco,
improntata al dualismo di stampo platonico tra mondo sensibile e mondo intelligibile, fra materia e forma, fra al di qua e al di
là. Questa la tesi portante della precedente
e più ampia opera di Sergio Quinzio, Radici ebraiche del moderno (1990) di cui,
quest’ultimo studio, La sconfitta di Dio, costituisce quasi un corollario.
Nella tradizione ebraica l’attesa messianica non è desensibilizzata, non è privata
della corporeità; per i Vangeli, e per tutta la
tradizione protocristiana, l’avvento del
Regno dei cieli non ha i caratteri di una
proiezione nell’al di là con la promessa, più
o meno scoperta di un risarcimento degli
effetti prodotti da dinamiche storicamente
determinate, dei desideri e delle aspettative
rimasti inappagati nell’al di qua. Il Dio
biblico è attore, oltre che regista, della
dinamica storica, non si limita a scriverne il
testo, o meglio non vi è un testo stabilito
prima della rappresentazione: “si recita a
soggetto”, e gli attori, Dio e gli uomini,
entrano in gioco nella rappresentazione.
Questo agire di Dio come attore, e non
come deus ex machina, come parte in gioco, e non come supra partes, è precisamente ciò che la cultura cristiana, dopo i suoi
inizi, ha costantemente rimosso.
Significativa è a questo proposito, nota
Quinzio, la questione della violenza, largamente presente nel testo biblico, che fin dai
primi secoli del Cristianesimo si è tentato
di eludere attraverso una sua trasfigurazione. Gli intenti vendicativi e annientatori del
Signore sarebbero infatti da intendersi come
una metafora, un’allusione ai castighi che
nell’al di là potrebbero toccare agli empi,
ai nemici di Dio. I resoconti, più o meno
truculenti, di annientamenti “reali”, cioè
storicamente determinati, dei nemici di Israele, sarebbero invece da attribuire ai costumi barbari di quelle antiche stirpi semitiche
mediorientali, seppure portatrici di una
verità inconcussa che le trascende. Si tratta
del medesimo atteggiamento interpretativo che dà per scontata, da quasi duemila
anni, la contrapposizione fra il Dio veterotestamentario, Signore degli eserciti e vendicatore, e il Dio, padre e misericordioso,
del Nuovo Testamento. In verità, fa notare
Quinzio, il Dio che toglie la vita ai nemici
non toglie loro la “vita eterna” ma, più
concretamente, li uccide; il Cristo che trasforma l’acqua in vino non allude «al frutto
della vite e del nostro lavoro», ma dimostra
la sua concreta potenza taumaturgica; e
quando applica agli occhi del cieco il fango
formato con il proprio sputo e lo rende
capace di vedere le cose del mondo, non
fornisce affatto al cieco un “altro sguardo”,
gli “occhi della mente”, per guardare le
meraviglie di un mondo iperuranico.
Eppure questo Dio, che agisce così direttamente nel mondo, questo “Signore degli
eserciti”, che interviene non a capo di schiere
di angeli contro quelle di demoni guidati da
Lucifero, ma a fianco delle ben più concrete falangi di Israele contro quelle dei suoi
nemici, proprio questo Dio si espone in tal
modo alla sconfitta, che infatti arriva, testimoniata dall’esistenza del male del mondo. Ma questa non può essere un’obiezione
valida, sostiene Quinzio, contro il Dio che
ha assunto le caratteristiche dell’Essere dei
filosofi, stabile e intangibile al di là del
divenire storico e delle sue sofferenze.
Questo Dio, quello dei filosofi, di cui da
due millenni è tributaria larga parte della
cultura cristiana, è un Dio “pacifico”, sereno nella sua intangibilità; un Dio conciliante, che non fa guerre. Per Sabaoth, il “Si15
gnore degli eserciti”, è invece Auschwitz
uno scacco decisivo, la croce una sconfitta
irreparabile: questo è il vero carattere della
sconfitta di Dio. Ed è qui, afferma Quinzio,
che si apre la dimensione della fede autentica, qui che «si determina la differenza», in
“questo” mondo, fra il bene e il male, fra il
carnefice e la vittima; costoro sarebbero
altrimenti uguali sub specie aeternitatis,
cioè davanti allo sguardo di Dio, onnipotente e superiore alle vicende del mondo. Il
rischio di tenere nel novero delle possibilità la sconfitta di Dio significa, osserva
Quinzio, sospendere la propria vita su un
abisso. Da questo rischio è esentato chi, in
una scommessa solo apparente, perché già
vinta, si pone in una dimensione di calcolo,
e non di fede, chi crede nel Dio onnipotente
e immutabile. F.C.
Manuale di metafisica
e ontologia
Con oltre 450 articoli, lo HANDBOOK OF
METAPHYSICS AND ONTOLOGY (Manuale
di metafisica e ontologia, a cura di
Hans Burkhardt e Barry Smith, Philosoph Verlag, Monaco-Filadelfia-Vienna 1991) propone una notevole quantità di riferimenti e materiali informativi di livello specialistico, utili per un
orientamento attraverso la storia della metafisica e i suoi problemi.
Che cos’è il mondo? È l’insieme delle
“cose” (oggetti) o dei “fatti” che in esso
accadono? E cosa significano termini come
“evento”, “stato di cose”, “processo”? Esistono cose come “proprietà”, “insiemi” e
“numeri”? Qual è lo statuto ontologico dei
colori e delle superfici, dei segni e delle
opere d’arte? Questo il genere di domande
a cui risponde, con oltre 450 voci e articoli,
lo Handbook of Metaphysics and Ontology. Attraverso l’inclusione, nelle diverse
voci di cui si compone il manuale, di concetti della logica e delle scienze empiriche,
s’intende rendere conto delle diverse forme della metafisica, dalla sua configurazione aristotelica fino alle sue espressioni
moderne. Il legame storico della metafisica
AUTORI E IDEE
con la teologia - dalla filosofia prima di
Aristotele fino ai Padri della Chiesa e alla
scolastica medioevale - fa sì che nell’opera
si trovino articoli dedicati agli angeli, alla
teodicea e, naturalmente, all’ente supremo
(“Dio”). Di necessità (visto il ricorrere delle questioni metafisiche - quale che sia la
risposta che ad esse viene data - in tutti i
grandi filosofi) l’opera presenta anche un
ampio, dettagliato e aggiornato dizionario
dei filosofi.
Un’ulteriore elemento di interesse di quest’opera di consultazione è dato dal fatto
che in essa vengono presi in considerazione problemi e ambiti sui quali risulta difficile trovare contributi specialistici: vengono così trattati, ad esempio, la scuola dei
logici polacchi e figure singole di pensatori
come Samuel Alexander, Friedrich
Eduard Beneke, Christian von Ehrenfels, Kurt Lewin, Rudolf Hermann Lotze, Anton Marty, Moses Maimonides,
Kaziemierz Twardowski, per citare solo
alcuni nomi. La trattazione dei filosofi del
XX secolo giunge sino alle ultime generazioni: così, accanto a W. V. Quine (1908)
o René Thom (1923) troviamo filosofi
“giovani” come Saul Kripke (1940) o
David Lewis (1941). Alcuni articoli dedicati a voci di carattere più generale (“Metafisica”, “Ontologia”, “Parte/Tutto”, “Logica”) e ad epoche e scuole filosofiche, permettono di stabilire una rete di connessioni
tra elementi informativi, reperibili in articoli dedicati ad argomenti più particolari.
Risulta anche utile l’introduzione dei curatori, che offre una sintetica panoramica sui
momenti fondamentali della storia della
metafisica. Il reperimento, nel manuale, di
filosofi e dottrine particolari, a cui non è
dedicata una voce autonoma, è facilitato da
un denso indice analitico. M.M.
Una storia della ragione
A sette anni dalla morte, l’edizione di
UNE HISTOIRE DE LA RAISON (Una storia
della ragione, interviste con Emile
Noël, Seuil Parigi 1992) fa rivivere la
parola di François Châtelet, riportandone alla memoria un’immagine che
doveva essergli molto cara: quella di
filosofo pubblico, di intellettuale che
spezza la trasmissione esoterica del
sapere per renderne partecipi i molti.
In poco più di duecento pagine sono
raccolti gli interventi di Châtelet ad un
programma radiofonico del 1979 che
portava il titolo: “France Culture”. Ad
un pubblico di non-filosofi Châtelet
racconta, oggi come allora, la storia
della filosofia, «il cammino della ragione occidentale»; e se il tono è leggero, quasi una conversazione mondana, l’interrogazione problematica
rimane tuttavia intatta, conservando
tutta la sua profondità sotto la superficie brillantemente divulgativa.
Tra il 1972 e il 1973 François Châtelet
aveva diretto la pubblicazione di una Storia
della filosofia, in otto volumi, che sarebbe
diventata un classico; allora, l’idea di narrare una simile materia in qualche conversazione radiofonica sembrava pura follia.
Eppure, il percorso di pensiero compiuto
da Châtelet non solo ha aperto una simile
possibilità, bensì è giunto anche, in un
certo senso, a giustificarla. L’intera sua
opera può infatti riassumersi nello sforzo di
comprendere il cammino della ragione nella storia; successivamente l’accento però si
sposta dalla ratio della storia all’intellegentia dello storico.
Forte di una posizione che egli stesso definisce hegeliana, Châtelet ritiene dapprima
che nella storia vi sia una logica, che il
pensiero filosofico deve cogliere e restituire. Ma ben presto gli si palesa l’illusorietà
di una ragione che, anziché esser propria
della storia, appartiene alla ricostruzione
storica, ed è irrimediabilmente compromessa con il punto di vista di quest’ultima.
Ecco allora levarsi la critica alla razionalità
- sia essa politica, o storica, o filosofica che pretende di «rinchiudere la totalità dell’essere tra la prima e l’ultima pagina di un
libro», con la conseguente rinuncia al significato intrinseco dell’opera sistematica
o dell’opera esaustiva. All’idea di “totalità”, intesa come realtà compatta e unitaria,
percorribile e descrivibile quasi univocamente, si sostituisce l’idea di una «molteplicità di blocchi di pensiero», più spesso
delimitati da cesure, che non uniti in punti
di contatto, navigare attraverso i quali diviene quasi una necessità. Non si tratta
tanto di farne la storia, allora, quanto di
farne la geografia. Il filosofo diventa cartografo, e la traccia per il suo disegno è di
volta in volta suggerita da ciò che traspare
dagli interstizi: un leggere-tra, che colga il
costituirsi della monoliticità dei saperi e
della loro parvenza di razionalità attraverso le irrazionalità dell’arte, della letteratura, del mito, o comunque di ciò che è
“altro”.
È appunto all’interno di una tale metafora
cartografica che si inscrive il percorso di
pensiero tracciato da Châtelet in Une histoire de la raison. Inoltrandosi attraverso
varie aperture, la continuità di questo percorso risulta di proposito spezzata, o quanto meno lasciata in secondo piano, per far
emergere la trama delle diverse tradizioni
di pensiero. M.V.
Il male politico
Il filo conduttore de LA PERSÉVÉRANCE
DES ÉGARÉS (La perseveranza degli
smarriti, Christian Bourgois ed., Parigi
1992) è indicato dall’autrice stessa,
Myriam Revault d’Allonnes, nel male
politico, nel male del vivere sociale,
16
insito nel gesto costitutivo del sociale
stesso e pertanto in grado di minarne
l’istituzionalizzazione e la regolamentazione in forma di governo. Ciò che in
un tale contesto viene chiamato “perseveranza” è l’ostinata determinazione a non sottrarsi a quella che si pone
come una questione ineluttabile.
Definire il «politico» come l’istituirsi del
vivere insieme significa dare al termine
un’accezione estremamente ampia; ma soprattutto significa fondare la filosofia politica su di un’antropologia filosofica, in
quanto il vivere insieme implicherebbe la
messa in atto di una sorta di disposizione
primaria al rapporto umano. Ed è nel rapporto umano, precisamente nella fragilità
delle passioni e degli affetti chiamati in
causa, che secondo Myriam Revault d’Allonnes si radica il male politico. Una specie
di male originario, quindi, che inerisce
immediatamente all’uomo e al suo inquietante essere sociale. Il Terrore, che fece
seguito alla Rivoluzione francese, ne è un
esempio paradigmatico, tant’è che Revault
d’Allonnes ha già cercato di esplicitare la
contraddizione propria di questo «precipitare storico» in un precedente scritto, D’une
mort à l’autre: précipices de la Révolution
(Da una morte all’altra: precipizi della Rivoluzione, 1989), dove appunto l’enigma
del politico veniva reso oggetto di riflessione attraverso l’analisi di questo «periodo
maledetto». Il Terrore assume qui le caratteristiche di una «esperienza-limite» che
da un lato, non lasciandosi compiutamente
cogliere dalla ragione, rivela l’irriducibile
e il contingente dell’evento, e dall’altro
inscena il paradosso tragico del politico: la
ragionevolezza del vivere sociale è sempre
esposta al rischio di sfociare nella furia
antipolitica che minaccia ogni possibile
ordine sociale.
Nella Persévérance des égarés, Revault
d’Allonnes ritorna sulla questione del Terrore, creando una sorta di continuità tra le
due opere, benché quest’ultima si presenti
di fatto come una raccolta di testi apparentemente molto diversi: alcuni decisamente
storici, sulla Rivoluzione e sulla Shoah;
altri più specificatamente filosofici, dedicati a Spinoza, Hannah Arendt e MerleauPonty; altri ancora dedicati all’analisi di
testi di letteratura. Questa molteplicità, che
non giunge mai ad una vera e propria costruzione sistematica, permette altrettante
prospettive di lettura e insieme vuole restituire quella sorta di oscillazione, quel chiaroscuro che è l’esperienza del politico. «È
un modo per rivendicare un lavoro che si
situa all’intersezione di numerose discipline e per contestare il carattere egemonico
dell’istanza filosofica, l’autorità del discorso filosofico. Di fatto, di fronte all’esperienza-limite si può avere la sensazione
che una certa concettualità filosofica sia
insufficiente, e che l’evento (evento storico, ma anche evento di pensiero) debba
essere accompagnato da un altro tipo di
AUTORI E IDEE
Hsuan-Chi, strumento ottico cinese per la determinazione del calendario (v. 500 a. C.)
scrittura, che potrebbe essere detta “più
poetica”». M.V.
Un’archeologia dello sguardo
Con l’opera: DER BLICK, DAS SEIN UND DIE
ERSCHEINUNGEN IN DER ANTIKEN OPTIK (Lo
sguardo, l’essere e i fenomeni nell’ottica antica, Fink, München 1992) lo
storico del pensiero scientifico Gérard
Simon presenta una ricostruzione delle diverse concezioni dell’ottica antica, intendendo contribuire con ciò ad
una «archeologia dello sguardo, dell’uomo in quanto vedente» e del suo
«rapporto con il visibile»: un tema
che per le sue implicazioni epistemologiche e antropologiche riveste un
indubbio interesse anche per la filosofia.
Il vedere, la visione occupano una posizione di rilievo non solo nella storia delle
scienze, ma anche in quella della filosofia,
ed in particolare nella filosofia dell’antichità greca, dove l’atteggiamento conoscitivo viene considerato (si pensi ad esempio
a Platone) affine all’atto del vedere. Uno
sviluppo contemporaneo di questa assimilazione della conoscenza filosofica alla visione, o quantomeno di un privilegio accordato a quest’ultima nella costruzione
della filosofia, la si può trovare in Husserl
e nel metodo fenomenologico della “visione delle essenze”. Se questo rende facil-
mente comprensibile l’interesse che può
venire da parte filosofica per una storia o
“archeologia” della visione e dell’ottica
come studio della modalità in cui l’essere si
manifesta nei fenomeni, non altrettanto risulta evidente il fatto che il senso della
vista, dunque qualcosa di apparentemente
“naturale”, abbia una storia, sia cioè una
facoltà complessa che muta nel tempo e nel
variare delle culture.
Su questa variabilità storica delle modalità
percettive pone l’accento Gérard Simon,
studioso del pensiero scientifico formatosi
alla scuola di Alexandre Koyré, quando
parla di un “atteggiamento spirituale” delle
diverse epoche, indicando l’esigenza «di
mettere in questione la pertinenza delle
nostre classificazioni e dei nostri concetti,
in modo da poter così ricostruire la corrispondenza tematica tra le concezioni che
nelle epoche passate, in cui scrissero e
pensarono questi autori, unificava i diversi
ambiti della ricerca in un modo spesso non
traducibile nella nostra cultura». Simon
offre così l’immagine di un mondo teorico,
assai lontano da quello delle attuali convinzioni scientifiche, un mondo di studiosi e di
teorie nel campo dell’ottica, che a partire
dalla trasformazione, avvenuta con Keplero, dell’ottica in una “fisica della luce”,
sono state escluse dalla scienza.
I punti di forza che spiegano il successo
inoppugnabile e secolare di quest’ottica
sono, per Simon, la sua concisione teorica
17
e la sua coerenza sistematica. Il suo nucleo
fondamentale, che garantiva il legame tra
lo sguardo, l’essere e i fenomeni, era il
concetto, estraneo alla scienza odierna, di
“raggio visivo”, che indica un’emissione
dell’occhio, paragonata talvolta ad un fuoco, e da Ipparco addirittura ad una mano,
che comunica al medium della visione
(pneuma) una tensione e lo rende disponibile a cogliere il visibile. Per quanto possa
sembrarci strana questa “ipotesi”, essa tuttavia permetteva la misurazione del visibile, l’indicazione di direzioni, distanze, grandezze, forme e movimenti; e il successo fu
tale da impedire per molto tempo la nascita
di una teoria fisica della luce, indipendente
dal concetto di visibilità.
Un’ulteriore caratteristica epistemologica
dell’ottica antica, osserva Simon è la sua
“circolarità”, in virtù della quale si ha un
rinvio reciproco tra vedere e visibile attraverso la mediazione del colore. Accessibile
solo al vedere, il colore viene inteso da
Tolomeo come un elemento della visibilità
che non può essere scisso dalle condizioni
fondamentali del vedere: «lo sguardo - così
sintetizza Simon - si colora, in senso proprio, di ciò che tocca».
Simon sostiene in conclusione una tesi che
conferisce particolare articolazione alla
materia storica da lui presa in esame: la
teoria del raggio visivo e l’affinità in essa
implicita tra lo sguardo e ciò che viene
visto, costituisce il fondamento dell’anti-
AUTORI E IDEE
ca geometria della percezione visiva. M.M.
Oltre Heidegger, l’etica:
Ernst Tugendhat
Sono state pubblicate in Germania
due raccolte di saggi che ripropongono al pubblico le tappe principali del
percorso filosofico di Ernst Tugendhat
e offrono al tempo stesso una panoramica sulla discussione filosofica tedesca dal dopoguerra ad oggi: si tratta
dei PHILOSOPHISCHE AUFSÄTZE (Saggi filosofici, Suhrkamp, Frankfurt a. M.
1992) e di ETHIK UND POLITIK. VORTRÄGE
UND STELLUNGNAHMEN AUS DEN JAHREN
1978 BIS 1991 (Etica e politica. Discorsi
e prese di posizione 1978-1991,
Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1991).
Accanto a testi già pubblicati in altre occasioni, queste due recenti raccolte propongono nuove pagine di Ernst Tugendhat,
pensatore noto per essersi spostato, dopo
gli inizi fenomenologici e heideggeriani,
sul terreno della filosofia analitica di matrice anglo-americana e per avere posto al
centro dei propri interessi filosofici questioni riguardanti l’etica e la possibilità di
una sua fondazione. Tra i suoi studi principali va segnalato almeno Heideggers Frage nach dem Sinn des Seins, in cui Tugendhat giunge ad un risultato di tipo criticonegativo: si congeda dalla questione dell’essere e mette al tempo stesso in discussione l’idea di una filosofia di carattere
puramente teoretico, mostrando così al lettore le vie per le quali l’interesse per i
problemi dell’etica diventa centrale nella
sua filosofia.
Nell’affrontare il problema etico Tugendhat non intende applicare all’ambito della
prassi principi sviluppati in sede di filosofia teoretica, ma piuttosto, in un senso
abbastanza tradizionale, giungere ad una
fondazione filosofica della morale e affermare il carattere assoluto delle obbligazioni etiche: si tratta di cercare una fondazione
per quel particolare carattere di obbligazione a cui facciamo riferimento quando parliamo di obblighi etici. In analisi dettagliate, Tugendhat ripercorre i tentativi correnti
di una fondazione dell’etica, e ne afferma
l’insufficienza. Vengono così escluse sia le
posizioni di carattere metafisico e religioso, sia le carenze argomentative dei tentativi di carattere utilitaristico e contrattualistico. Nella Premessa ai Philosophische
Aufsätze Tugendhat presenta la domanda
da cui ha preso le mosse il suo percorso
nell’etica: è possibile fondare l’etica in
modo semantico? La risposta è un secco
no. Ma nemmeno è possibile seguire la via,
praticata in Germania da Karl Otto Apel e
da Jürgen Habermas, di una fondazione
dell’etica attraverso la teoria dell’agire comunicativo e della razionalità pratica. Ogni
norma morale ha carattere contenutistico,
ma niente che abbia tale carattere può essere fondato in modo analitico come qualco-
sa di “dovuto”.
I saggi di Tugendhat hanno in buona parte
un carattere negativo, sia nel descrivere il
suo duplice distacco da Husserl e da Heidegger, sia nella critica degli attuali tentativi di fondazione dell’etica. Ma proprio da
questa caratteristica, dalla precisione e dal
rigore dell’argomentazione di una ricerca
filosofica in progress deriva l’interesse di
questi studi, attraverso i quali il lettore si
trova di fronte ad una visione panoramica e
ad una critica di alcuni dei punti di vista
presenti nell’attuale discussione filosofica
tedesca.
Ma i saggi raccolti nei due volumi presentano anche un’immagine d’insieme dello
sviluppo filosofico di Tugendhat. È dalle
mani della madre che egli riceve, a quindici
anni, nell’esilio in Venezuela, una copia di
Essere e tempo di Heidegger. La zia Helene
Weiß mette a sua disposizione le trascrizioni di alcune lezioni di Heidegger, che sarebbero poi state importanti per la pubblicazione delle opere heideggeriane. Così
Tugendhat decide, a quindici anni, di ritornare in Germania per frequentare le lezioni
di Heidegger. Ma, prima del ritorno in terra
tedesca, trascorre un periodo all’Università di Stanford, dove studia con Hermann
Fränkel - un tirocinio metodico che lo allontana dalla tentazione di scrivere in un
modo che più tardi avrebbe identificato
come il “gergo” heideggeriano.
Interessandosi di Pindaro, Tugendhat cerca in questi anni di liberarsi dalla «gonfia
idea tedesca di un concetto particolare di
verità nei greci», suggerito dalla filosofia
heideggeriana. Dedica poi la tesi di laurea
ad un approfondito studio di Aristotele, che
gli serve da preparazione al confronto con
Heidegger. Dopo essersi laureato prosegue
gli studi in vista dell’abilitazione nell’Università di Münster con Joachim Ritter e
frequenta al tempo stesso un seminario
sulla logica matematica. Nel 1960 scrive
un saggio sul concetto semantico di verità
in Tarski. Alla fine di un periodo in cui
lavora come assistente all’Università di
Tubinga pubblica, nel 1967, il celebre studio: Der Wahrheitsbegriff bei Husserl und
Heidegger (Il concetto di verità in Husserl
e Heidegger). La tesi fondamentale del
libro è che in Heidegger andrebbe perduto
il senso specifico del concetto di “verità”,
in quanto egli distruggerebbe l’idea di misura, essenziale per il senso di tale concetto; questo porterebbe Heidegger a rinunciare all’idea della responsabilità del parlare e dell’agire. Per quanto riguarda Edmund Husserl, nell’opera del 1967 Tugendhat cercava di salvarne il concetto di
intenzionalità, ma già nel 1972 doveva
giungere alla conclusione che non si dà
qualcosa come un’intuizione eidetica.
Docente a Heidelberg dal 1966 al 1975,
Tugendhat si avvicina ora alla filosofia
analitica statunitense, che a suo parere permette di affrontare e determinare i temi
della tradizione “classica” con un insieme
di strumenti concettuali più raffinati rispet18
to a quelli di questa tradizione stessa. Di
tale fase di pensiero testimoniano le Vorlesungen zur Einführung in die sprachanalytische Philosophie. In questo periodo
Tugendhat cercava ancora di conferire un
senso “mostrabile” alla questione heideggeriana dell’essere, cercando di stabilire se
l’ ”essere” costituisce un punto universale
di orientamento per ogni questione filosofica. Ma ora ammette di aver perso questa
battaglia, e sostiene che non esiste un unico
termine del nostro linguaggio a cui pensiero e linguaggio possano venire ridotti.
Un altro tema presente in queste raccolte di
saggi è la critica alla concezione sviluppata
da Odo Marquard sulla funzione delle
scienze dello spirito nella società moderna.
Attraverso tale critica Tugendhat prende
distanza anche rispetto al suo antico maestro Ritter, a cui le tesi di Marquard sulla
modernità si ispirano. Secondo Tugendhat,
Marquard descriverebbe la modernità in
modo troppo globale, unilaterale e negativo: come tecnicizzazione, razionalizzazione, burocratizzazione e livellamento. Le
tesi di Marquard misconoscerebbero inoltre il fatto che le scienze dello spirito non
vanno intese come una reazione alle scienze della natura e alla modernità ma, al
contrario, come il suo compimento. Le
scienze dello spirito non sarebbero così un
tentativo di salvare la tradizione che nella
modernità andrebbe persa, ma una sua
obiettivazione. In questo senso esse vanno
intese come una forma di conoscenza che
prosegue e sviluppa il progetto illuministico. M.M.
Critica mitologica della ragione
Indubbiamente, il progetto che l’ultimo lavoro di Bruno Pinchard ci propone è ambizioso: presentare una «critica mitologica della ragione», dove il
termine “critica” è da intendersi in
senso kantiano e l’aggettivo “mitologico” rimanda al “poema degli inizi”,
all’originario, «del quale il sacro è l’oggetto, e le categorie sono le credenze». Ne scaturisce una ragione «sdoppiata»: questo appunto il titolo dell’opera di Pinchard, LA RAISON DÉDOUBLÉE. LA FABBRICA DELLA MENTE (La ragione sdoppiata, Aubier, Parigi 1992), i
cui punti di riferimento essenziali debbono essere ricercati nel pensiero di
Giambattista Vico e nella matematica
di René Thom: un accostamento singolare, che non può non destare curiosità nel momento in cui si afferma che
«l’eteronomia è concepita come principio di formazione della coscienza».
Il tentativo intrapreso da Bruno Pinchard
è di accedere alla coscienza del senso comune degli uomini, prima e invalicabile
barriera eretta dall’istinto di sopravviven-
AUTORI E IDEE
za contro la tragicità dell’essere, per poter
avviare un «pensiero umanista [...] che
sappia parlare contemporaneamente la lingua del sapere e quella della paura, quella
lingua che in un unico concetto possa esprimere la logica del sapere e le rappresentazioni delle comunità umane affrontate alla
storia». In tal senso il sapere umanista è
doppio in quanto «cerca il punto di congiungimento tra l’esercizio razionale della
scienza e il poema fantastico della vita», in
quanto riproduce dello spirito tanto le architetture logiche, quanto quelle mitiche, a
loro volta mimesi dello sdoppiamento originario dell’essere. Uno sdoppiamento,
dunque, che non è simmetrico se non come
struttura, dato che non è possibile tradurre
il concetto nel segno o viceversa. D’altro
canto, uno sdoppiamento inteso come vera
e propria rottura catastrofica appartiene ad
un punto di vista statico; per poter cogliere
l’armonizzarsi nello spirito delle due architetture, logica e mitica, bisogna entrare,
afferma Pinchard, in una prospettiva dinamica: «occorre passare dal punto di vista
discontinuo della differenza al punto di
vista continuo della divisione». Infatti «non
vi è ancora senso per chi si limita a dividere
e comporre; il senso appartiene a chi sa
dividere, riconoscendo l’anteriorità ontologica del continuo sul discontinuo e considera gli effetti del discontinuo solo rapportandoli all’efficacia che il continuo procura loro. Tutte le privazioni di una forma
sono altrettanti richiami a una pienezza che
forse la distrugge, ma il cui impatto fa però
sorgere quella bellezza umana che rivela la
nostra destinazione religiosa».
L’anteriorità spetta all’indeterminato, all’informe; la metafisica di Pinchard muove
dunque da un principio assoluto degno di
tutto rispetto: un infinito che è «integralmente presente sotto tutti i dualismi che la
riflessione moltiplica»; un infinito che «vale
per noi come il mito di un maximum che
eccede le nostre facoltà di rappresentazione e che, imponendosi come una fatalità, si
lascia pensare come un ente: si può ben
rinunciare a filosofare, ma non è concesso
di filosofare senza fare i conti con l’assoluto». Ora questo infinito, secondo Pinchard,
prende il nome di Dio, si caratterizza rispetto al finito come alterità infinita della
potenza; di conseguenza il problema filosofico - ma in generale conoscitivo - viene
ridotto «ad un problema di inscrizione dell’infinito nel finito». Così, se da una parte
l’appello dell’umanesimo al valore della
verosimiglianza o dell’analogia serve a
manifestare «una verità che un’espressione soltanto logica aveva dissimulato, e della quale si era reso nullo l’effetto attraverso
lo sviluppo dei formalismi», dall’altra ciò
non significa che la verità possa svelarsi
completamente: «il vero non è mai prodotto, ma è la profondità stessa di un agire che
incessantemente si supera e moltiplica le
cifre, non potendo fornire uno schema esaustivo dell’oggetto intelligibile assoluto».
Umanesimo significa allora, per Pinchard,
misurarsi con il tentativo di costruire un
sistema integrale, globalizzante, che accolga in sé la totalità dell’uomo. Nocciolo di
questo sistema è ciò che viene chiamata
una fabbrica della mente, cioè una architettura dello spirito, una topologia delle sue
metamorfosi, che contemporaneamente
insegni che «se lo spirito è il principio di
produzione delle configurazioni disgiunte
della scienza e del mito, lo spirito non può
da solo spiegare la dinamica che genera le
forme e ne provoca la successione», sicché
« nessuna forma può negare la sua iscrizione in una natura totale». La fabbrica della
mente serve quindi come strumento per
cogliere la fabrica mundi, mostrando come
«la struttura dell’essere sia quella di “una
natura che ama nascondersi” e che lo spirito imita senza mai rivelare». M.V.
Genesi e critica della modernità
Mappa di un percorso a ritroso sul
cammino della modernità: così si configura il volume di Maurice de Gandillac, GENÈSE DE LA MODERNITÉ. LES DOUZE
SIÈCLES OÙ SE FIT NOTRE EUROPE (Genesi
della modernità. I dodici secoli che
formarono la nostra Europa, Cerf, Paris 1992), che raccoglie i testi, nuovi o
già pubblicati, relativi ad un arco di
tempo che va dalla CITTÀ DI DIO (462) di
Agostino alla NUOVA ATLANTIDE (1672)
di Bacone. La genesi e il destino della
modernità, intesa come categoria culturale e storica, sono anche al centro
dell’analisi di Alain Touraine, CRITIQUE
DE LA MODERNITÉ (Critica della modernità, Fayard, Paris 1992).
È nel cuore del Medioevo, per antonomasia
periodo di transizione di culture e di metamorfosi di civiltà, che Maurice de Gandillac va a ricercare quei segnali, quei concetti
e quelle preoccupazioni in cui sembra annunciarsi la modernità. In questo, più percettibile diviene l’attenzione per un modello laico di conoscenza che si affianca, senza insidiarla, alla centralità della speculazione religiosa: la sete di conoscenza che
anima le compilazioni di Isidoro di Siviglia
e di Vincent de Beauvais diventa vera e
propria scienza della misura in Nicola Cusano, fautore di un pubblico inventario dei
beni e di una catalogazione sistematica.
L’uso tecnologico della scienza per migliorare la vita degli uomini, messo in pratica da Leonardo, trova voce teorica nei
progetti utopistici di More, Campanella e
Bacone. Ma anche i mutamenti economici
e sociali ricevono una nuova attenzione nel
XIII secolo: Duns Scoto, monaco francescano, giustifica il ruolo e i benefici del
ceto mercantile mettendo in rilievo l’importanza del commercio come fattore di
mediazione culturale e di distribuzione di
risorse per natura diseguali.
19
La ricerca di una vera scienza e la volontà
di espansione, fattori culturali e più direttamente storici, portano a quella secolarizzazione del sapere che spezza la tradizionale
visione del cosmo. Se nell’Alto Medioevo
la formula del cerchio infinito, dove il
centro è dovunque e la circonferenza da
nessuna parte, era ancora riservata a Dio,
Cusano è il primo a utilizzarla per descrivere la «macchina del mondo»: nel nuovo
ordine cosmico che prende forma in questa
metafora, de Gandillac individua «la cesura fondamentale dell’autentica modernità».
Il sorgere di un pensiero laico, che procede
nella «perigliosa avventura di trasformare
il soggetto divino in soggetto umano», è
anche per Alain Touraine il momento di
rottura di una tradizione, che dal crollo
dell’Impero Romano si dispiegherebbe fino
al secolo dei Lumi. A partire dall’Illuminismo sono i concetti di natura, di diritto
naturale e di ragione che definiscono la
realtà dell’uomo. Da storico della filosofia
che non trascura le dinamiche sociali, Touraine segue il corso delle idee e dei mutamenti che danno forma al moderno fino al
momento in cui la nozione di soggetto
individuale come motore della storia tende
a sfumarsi per essere sostituita da quella di
società e dall’idea di progresso collettivo.
“Storicismo” è il nome di questa volontà di
pensare che la Ragione, organizzata nella
forma politica dello stato, possa dirigere il
corso degli eventi nel senso di una rivoluzione «modernizzatrice, liberatrice e nazionale».
In posizione critica, ma pur sempre agli
estremi di tale processo, si situano le correnti romantiche, che cercano «un principio unitario del mondo naturale e del mondo umano», e i pensatori «ribelli alla filosofia progressiva della storia», che hanno in
Tocqueville il loro portabandiera. È in queste posizioni che trovano alimento le correnti antimoderniste: Nietzsche è la voce
filosoficamente più alta di una critica della
modernità «identificata con l’integrazione
sociale, la moralizzazione e la civiltà borghese». La stessa intenzione critica trova
argomenti nell’opera di Freud, che procede
ad una disarticolazione dell’Io «risultato
dell’interiorizzazione delle norme sociali».
La ricostruzione di Touraine si misura infine con le critiche del postmoderno, che
insistono sui momenti di dissociazione tra
razionalità strumentale e ragione umana,
tra economia e cultura, tra individuo e
società, al punto di proclamare l’impossibilità di una scelta tra posizioni e «esperienze, che devono tutte essere accettate».
All’attuale catastrofe del soggetto, viene
opposta una interpretazione della storia e
della cultura moderne come «storia della
sparizione e della ricomparsa del soggetto»
alla luce delle condizioni e delle determinazioni che presiedono alla sua esistenza
storica. Per l’autore di Critique de la modernité, il soggetto moderno continua ad
AUTORI E IDEE
Pieter Bruegel, Caduta degli angeli ribelli (1562), particolare
esistere come espressione del conflitto tra
«una logica della libertà, della libera creazione di sé», e un’antica, e persistente,
«logica del dominio». E.N.
Il moderno e il suo diritto
La difesa della modernità che si svolge
nell’opera di Hans Blumenberg, LA LEGITTIMITÀ DELL ’ETÀ MODERNA (traduzione
italiana di C. Marelli, Marietti, Genova
1992) passa attraverso una ridefinizione della categoria del moderno, di cui
vengono evidenziate le radici antropologiche, più che l’ascendenza teologico-assolutistica, con un attacco al
“teorema della secolarizzazione”. Su
questioni affini è da segnalare l’opuscolo di Mario Perniola, PIÙ CHE SACRO,
PIÙ CHE PROFANO (Mimesis, Milano 1992).
Il nucleo centrale, e anche il più evidente,
del testo di Hans Blumenberg risiede nella polemica contro il cosiddetto “teorema
della secolarizzazione”, che fonderebbe la
modernità, secondo cui la genesi del moderno consista in una “secolarizzazione”,
in una immanentizzazione delle categorie
precedentemente attribuite al trascendente. Questo “teorema” rimuove, a parere di
Blumenberg, il tratto caratteristico del passaggio, o meglio della rottura, che definisce il Moderno e che consiste, di fatto, nel
mutamento di quelle categorie.
Proprio la questione del “passaggio” viene
d’altro canto posta in discussione da Mario
Perniola, che individua tra le categorie del
“sacro” e quelle del “profano” sia una comune consistenza di tipo monistico, il darsi
di un “intermedio”, sia una radicalizzazione (nel darsi del “più che sacro”, il trascendente) della teoria classica della “differenza” tra le due categorie, sia, infine, una
“ripetizione” del profano, che in quanto
“più che profano” diventa “sacro”, come
accade nella radicalizzazione del processo
di demitizzazione, nello smascheramento
di ciò che è “umano, troppo umano”.
Il teorema della secolarizzazione pretende,
secondo Blumenberg, di ritrovare nel Moderno il medesimo schema interpretativo
dell’esistente proprio dell’epoca precedente, l’assolutismo, applicato però a una diversa realtà, quella umana, anziché a quella
divina. Con il passaggio dal teocentrismo
all’antropocentrismo, sostiene invece Blumenberg, mutano i termini del problema,
perché cambia il senso in cui l’uomo diventa “centro” della realtà, in luogo di Dio. Su
questo punto in particolare si fa palese che
un obiettivo non secondario della polemica
di Blumenberg contro il “teorema della
secolarizzazione” è Heidegger. È infatti
evidente come la tesi heideggeriana dell’unità solidale di teologia, ontologia, antropologia, espressa nella nozione di ontoteo-ego-logia, poggi le sue fondamenta sul
“teorema della secolarizzazione”, cioè sul20
la convinzione dell’assenza di soluzioni di
continuità tra il cosmologismo teocentrico
medievale e l’affermazione dell’autonomia e della centralità dell’uomo. Proprio in
Heidegger è d’altra parte evidente come la
tesi “continuistica”, relativamente alla categoria e all’epoca moderne, sia finalizzata
a una sua svalutazione o, ancor più radicalmente, alla negazione della sua legittimità,
la cui difesa è proprio l’obiettivo di Blumenberg. L’uomo come centro del cosmo
è “centro” in un modo diverso da quanto lo
fosse Dio, per il fatto che il “cosmo” non è
più un ordine “chiuso”, ma “aperto” come
quello di Cusano, Bruno e Copernico.
Quella copernicana fu effettivamente una
“rivoluzione”, e non un semplice “ribaltamento”; l’autoaffermazione dell’uomo
comporta un mutamento della struttura in
cui esso si colloca, perché l’accento sul
momento normativo intrinseco alle leggi e
ai precetti umani si caratterizza, per forza
di cose, più come autoregolamentazione
del soggetto, che non come regolamentazione del soggetto nei confronti di un altro
da sé. La norma, e l’ordine che ne deriva,
appariranno dunque sotto la luce della soggettività della loro genesi, piuttosto che
sotto quella dell’oggettività del loro sussistere. Conseguenza importante è che caos e
ordine non risultano più termini contrapposti, dove il secondo si sovrappone al primo
in maniera più o meno adeguata e il primo
riesce spesso a sfuggire al secondo, se non
AUTORI E IDEE
talvolta addirittura a sovvertirlo, godendo
di una sua vita, limitata e residuale, in
settori marginali della cultura e della storia
umana. Il caos diventa invece, dal punto di
vista sincronico, una variabile funzionale
dell’ordine e dal punto di vista diacronico
il “brodo primordiale” da cui nascono possibilità di ordine, dunque, esso stesso una
forma di ordine in continua autoregolamentazione.
La conoscenza del mondo cessa dunque di
giacere sul parallelismo tra uomo e natura,
sulla adaequatio intellectus ad rem, fondata sulla provenienza dell’uno e dell’altro
dalla comune fonte, Dio come ens entium,
e diventa invece un atto del soggetto, funzione della sua curiositas. Anche qui è
evidente la rottura con la tesi heideggeriana
di un radicarsi della scienza moderna nella
metafisica, attraverso la continuità fra il
criterio soggettivo di verità stabilito da
Cartesio e quello, già scolastico, dell’adaequatio. Seguendo la prospettiva di Blumenberg, la legittimità del Moderno riposa
dunque da un lato, quello rivolto al Medioevo, sulla sua specificità, cioè sulla crisi
propria del “passaggio”, dall’altro, quello
rivolto al cosiddetto postmoderno, su una
sorta di inglobamento: la categoria del
Moderno, una volta ridefinita a partire dal
carattere autoaffermativo del soggetto nella sua irriducibile singolarità, non può che
inglobare le tematiche dei limiti e della
crisi di fondazione del soggetto medesimo. F.C.
Una tale uguaglianza non può realizzarsi
senza un pensiero del genere, in quanto sessuato, e senza una riscrittura dei diritti e dei
doveri di ciascun sesso, differente l’uno
dall’altro nei diritti e nei doveri sociali. E
affinché le lotte delle donne possano essere
portate avanti in modo diverso dalla semplice rivendicazione della parità tra i sessi, e
conducano all’iscrizione di diritti “equivalenti”, pur necessariamente differenti, bisogna permettere alle donne di accedere ad
un’altra identità. Sarebbe inoltre auspicabile che le donne creino un ordine sociale nel
quale la loro soggettività possa manifestarsi
con i suoi simboli, le sue immagini, le sue
realtà e sogni, dunque con mezzi oggettivi
di scambi soggettivi.
Le nostre società, costituite in parti uguali
da uomini e donne, sono state generate da
due genealogie; eppure il potere patriarcale
si organizza attraverso la soggezione di una
genealogia all’altra, che ha significato la
soppressione della genealogia madri-figlie.
Le difficoltà che le donne incontrano per
entrare nel mondo culturale maschile hanno
come conseguenza la quasi totale rinuncia
alla soggettività femminile e ai rapporti con
altre donne. Parlare dunque di un diritto sessuato, nel quale si iscrive il genere femminile, è perciò molto diverso dalla rivendicazione del concetto tradizionale di parità:
non si tratta di leggi uguali per tutti, ma di
pensare le leggi in un modo che tenga conto
del fatto che le donne non sono uguali agli
uomini. F.P.
Irigaray: cultura della differenza
Il bivio e la convergenza
Edito in Francia per le Editions Grasset
& Fasquelle nel 1990, viene ora pubblicato in Italia l’ultimo libro di Luce Irigaray: IO, TU, NOI. PER UNA CULTURA DELLA
DIFFERENZA (a cura di M. Antonietta
Schepisi, Bollati-Boringhieri, Torino
1992), una raccolta di saggi, alcuni dei
quali già pubblicati in traduzione italiana negli anni 1987 e 1988 sulla rivista “Rinascita”. Il libro è stato presentato a Torino, Bologna e a Roma, dove
per l’occasione si è svolto un incontro
aperto, misto, per volere stesso della
presentatrice francese, che da almeno
un decennio rappresenta per il movimento delle donne italiano un fondamentale punto di riferimento teorico.
Il “bivio”, cui allude il titolo dell’opera
di Vittorio Possenti, LE SOCIETÀ LIBERALI
AL BIVIO. LINEAMENTI DI FILOSOFIA DELLA
SOCIETÀ (Marietti, Genova 1992) è quello a cui si trovano di fronte le società
liberali dell’Occidente, sospese, secondo l’autore, fra l’eredità della filosofia
politica classica e cristiana, da un lato,
e l’impulso secolarizzante di un individualismo che assolutizza la libertà del
singolo, e la separa dalla verità, dall’altro.
Negli anni ’50 e ’60 il punto di riferimento
principale per la cultura e il pensiero femminista è stata l’opera di Simone de Beauvoir,
Il secondo sesso, che ha contribuito a generare le basi del femminismo degli anni ’70
con le sue rivendicazioni sociali e politiche,
che tanta importanza hanno avuto per generazioni di donne, impegnate nella rivendicazione della parità con l’uomo. Ma la semplice richiesta di uguaglianza tra uomo e
donna non è sufficiente per Luce Irigaray.
Come ha rilrvato Roberto Esposito in occasione della presentazione dell’opera di
Possenti presso l’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici di Napoli, il confronto che
Vittorio Possenti instaura con la tradizione
filosofico-politica dei classici e dell’Occidente cristiano riposa sul convincimento
che i problemi là dibattuti, i nuclei tematici
delle questioni là individuati non siano eccessivamente dissimili da quelle a cui si trova di fronte l’uomo contemporaneo. La collocazione di quest’ultimo attraverso categorie , quali quella di “moderno” o di “postmoderno”, che vogliono essere a un tempo teoretiche e storiografiche, risulta problematica proprio per la loro non univocità.
21
Della tradizione del Medioevo fanno infatti
parte, a pieno titolo, non solo il filone immanentistico e illuminista che, prendendo le
mosse da Cartesio, si svolge fino all’idealismo tedesco e a Marx, ma anche quello che,
ancora da Cartesio, porta invece, attraverso
Pascal, Malebranche e Vico, al neotomismo
contemporaneo, in cui si colloca lo stesso
Possenti, studioso e seguace di Jacques Maritain. Al di là delle differenze specifiche, di
cui pure riconosce la rilevanza, Possenti
vede una continuità e un’ispirazione unitaria fra il pensiero neoliberale contemporaneo (Bobbio, Hayek, Popper, Rawls, Rorty)
e la tradizione liberale del Seicento e del
Settecento. I fondamenti filosofici che costituiscono l’elemento di continuità riguardano, secondo Possenti, l’agnosticismo
verso il problema della Trascendenza e
quello del Bene, e determinano necessariamente una carenza sul piano della fondazione ontologica delle norme morali e del diritto naturale. Al di là di sintonie, pure evidenziate, con l’impostazione cattolica, è questo
il motivo, per i cattolici, di inaccettabilità
del pensiero liberale, che è laico e, proprio
perciò, “tragico”. Il carattere tragico consiste nella consapevolezza del ruolo non
esaustivo, non ultimativo, che rivestono i
problemi etico-politici e, d’altra parte, nell’incapacità di procedere oltre di essi, verso
un giudizio di tipo speculativo che, solo, potrebbe fondarli. Le questioni “fondamentali”, cioè fondative, vengono anzi relegate in
interiore homine; contemporaneamente, e
conseguentemente, le questioni politiche l’opzione, ad esempio, per i sistemi democratici - divengono materia di fede; si confondono così i fini con i mezzi, alla discussione dei quali si riduce infine, più o meno
consapevolmente, la filosofia politica.
La critica di Possenti a prospettive tutto
sommato “riduzioniste” dell’analisi politica, che spiegano in termini esclusivamente
utilitaristici o contrattualistici la dinamica
delle decisioni politiche, non è solo la critica
della politica da un punto di vista “etico” o
da uno ontologico. In realtà, ricorda ancora
Esposito, sono proprio le riduzioni pancontrattualistiche, l’illusione “demitizzante”
(che in nome di una risolubilità razionale
dei conflitti li espelle dall’orizzonte dell’analisi), a perdere di vista che il conflitto
costituisce proprio l’essenza, il banco di
prova, dell'analisi politica. Si perde così di
vista anche l’origine storica della filosofia
politica, della stessa riflessione filosoficopolitica che, nell’età moderna, affonda le
sue radici nei pressi delle guerre di religione, dei conflitti sociali, e delle guerre di
successione. Questa genesi storica è, d’altra
parte, a sua volta avvenuta in stretta correlazione con un’altra prospettiva, un’altra linea
di pensiero, quella a cui Possenti si sente più
vicino.
Il moderno e il postmoderno, se pure hanno
un senso come strumenti di analisi, appaiono dunque come il luogo di un’antinomia
che assume le sembianze di una contraddizione, di un bivio: le società liberaldemocratiche occidentali si trovano da un lato
l’individualismo egocentrico e non fondato
TENDENZE E DIBATTITI
Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Incisione di Sichling da L. Sebbers
22
TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
Riflessioni di Hegel
Il volume di Valerio Verra, LETTURE HE(il Mulino,
Bologna 1992), che raccoglie una serie
di recenti saggi dedicati al filosofo
tedesco, più che una ricostruzione del
pensiero hegeliano nel suo complesso, propone uno spettro significativo
di approcci diversi, che dimostrano la
fecondità di tale pensiero, anche al di
là di una discussione meramente storiografica. Con un intendimento non
dissimile si sviluppa lo studio di Daniele Goldoni, IL RIFLESSO DELL’ASSOLUTO. DESTINO E CONTRADDIZIONE IN HEGEL
(1797-1805), che assume la questione
della “riflessione” come categoria teoretica, con la quale riconsiderare storicamente la collocazione di Hegel. Decisamente collocata sul versante di un
confronto teoretico del pensiero hegeliano con alcuni momenti nodali
della tradizione di pensiero occidentale è invece l’opera di Massimo Donà,
SULL’ASSOLUTO. PER UNA REINTERPRETAZIONE DELL ’IDEALISMO HEGELIANO (prefazione di Emanuele Severino, Einaudi,
Torino 1992).
GELIANE. IDEA, NATURA , STORIA
Una questione di carattere metodologico
motiva il titolo della raccolta di Valerio
Verra, Letture hegeliane. Di “letture” si
tratta, infatti, e non di “interpretazioni”,
dato che l’intento non è quello di fornire
una ricostruzione complessiva del pensiero hegeliano, e neppure la tematizzazione
di un aspetto particolare di esso, ma di
enucleare alcune chiavi di accesso teorico,
importanti per situarlo storicamente. La
doppia valenza, teoretica e storica, di alcuni di questi nodi concettuali, risulta ben
evidente, ad esempio, rispetto alla questione della valutazione hegeliana dello scetticismo, nella quale agiscono, come ricorda
Verra, parametri sia fenomenologici, sia
logici. Risulta così che lo scetticismo appare non soltanto come momento storicamente determinato dello sviluppo della riflessione filosofica, ma soprattutto come
categoria teoretica, nei confronti della quale Hegel precisa la propria posizione. In tal
senso, la considerazione privilegiata che
Hegel accorda allo scetticismo antico nei
confronti di quello di Ernst Schultze, l’autore del celebre Enesidemo (1792), ha il
significato della rivalutazione di un momento decisivo nella critica del dogmatismo della coscienza comune. Invece lo
scetticismo, nella prospettiva a lui contemporanea, appare a Hegel legato, per quanto
in modo critico, alla filosofia della rappresentazione, cioè a un’impostazione trascendentale di ascendenza kantiana, ferma al
momento dello sguardo dell’intelletto finito. Lo scetticismo antico, di cui Hegel
evidenzia il carattere logico-dialettico (tematizzando, tra l’altro, la differenza fra i
tropi più antichi e quelli di Sesto Empirico)
appare dunque come una “figura” propriamente filosofica, laddove quello moderno
vuole essere una critica allo “sguardo filosofico”, condotta a partire dal punto di vista
della coscienza comune.
Anche il saggio che Verra dedica al rapporto tra “dialettica” e “metamorfosi” mostra
come la questione teoretica, che contrappone la filosofia hegeliana a quella della
natura di stampo romantico, porti immediatamente Hegel, dal punto di vista storiografico, al di là del rapporto con Goethe. In
ogni caso, a prescindere dai diversi intenti
- classificazione e comparazione delle realtà naturali come testimonianza dell’armonia del tutto, in Goethe; emergenza del
nucleo logico-speculativo nella dialettica
naturale, in Hegel - secondo Verra nei due
pensatori «operano categorie e strutture
problematiche comuni». Un rimescolamento, invece, delle categorie aristoteliche è il
risultato del confronto di Hegel con i fondamenti della storia della tradizione speculativa, per quanto riguarda la questione
della “determinazione del processo di riflessione” (identità, differenza, diversità,
opposizione e contraddizione), che porta al
cuore del sistema hegeliano e a cui Verra
dedica un saggio della sua raccolta.
Proprio il concetto di riflessione diviene,
nell’interpretazione di Daniele Goldoni,
banco di prova dell’organizzazione del
pensiero hegeliano nel suo provenire, e
insieme nel suo distaccarsi, dalla temperie
culturale del primo periodo del Romanticismo. In particolare è per l’autore significativo il rapporto di Hegel con Hölderlin, al
quale Goldoni aveva dedicato un precedente studio, Filosofia e paradosso. Il pen23
siero di Hölderlin e il problema del linguaggio da Herder a Hegel (ESI, Napoli
1990), che intendeva mostrare come proprio a partire dal concetto di riflessione
Hölderlin pervenisse alla determinazione
di una prospettiva tragica dell’esistenza. Il
processo di riflessione sembrerebbe infatti
chiarire, in Hölderlin, il nesso tra condizionato e incondizionato come aspirazione
necessaria, e necessariamente vana, all’elevazione del finito all’infinito; la coscienza
tragica consiste precisamente nella consapevolezza di tale necessità, e di tale vanità,
e si realizza in Hölderlin come ricerca di
una dimensione della trascendenza, che,
pur tenendo fermo alla posizione kantiana
come punto di non ritorno nella critica al
dogmatismo della metafisica tradizionale,
cerca nuove strade attraverso le quali ripensare la dimensione dell’incondizionato, rimossa proprio in seguito alla critica
kantiana.
La soluzione scelta da Hegel, come osserva
Goldoni in Il riflesso dell’Assoluto, consiste tuttavia nell’ ”elusione del tragico”. La
“riflessione assoluta” hegeliana consiste
nel trascendimento dell’esser posto della
finitezza, poiché questo è il compito della
filosofia, non essendole concesso di fermarsi alla dimensione del condizionato.
L’esperienza della contraddizione, dalla
quale scaturisce l’uso di quest’ultima come
strumento, logico e ontologico insieme,
attraverso il quale si attua il superamento
della dimensione della finitezza, ha proprio
il significato di un “abbassamento” dell’esperienza del tragico, di una sua “riduzione”, finalizzata alla sua manipolazione
e alla sua neutralizzazione. In verità il reale
discrimine fra gli approcci dei due pensatori risiede proprio nella loro diversa concezione (tragica l’una, conciliativa l’altra)
del nesso tra finito e infinito.
Come rileva anche Emanuele Severino
nella sua prefazione al volume, l’opera di
Massimo Donà, Sull’Assoluto, muove dalla
convinzione che in Hegel la totalità degli
essenti si dia come eterna, «come relazione
originaria e necessaria dove ogni essente è
in relazione a ogni altro essente, e quindi
rispecchia in sé il Tutto, e dove la temporalità non ha nulla a che vedere con l’uscita
dal nulla e il ritornare nel nulla». L’Assoluto hegeliano non consiste in un’accettazio-
TENDENZE E DIBATTITI
ne del carattere processuale del divenire
ma, al contrario, nella dimostrazione che
tale processualità è un “falso movimento”,
se concepito come kinesis tra un essere e un
nulla, come passaggio degli enti da una
condizione di partecipazione all’essere a
una di assenza dello stesso. Reale, ovvero
effettuale, non è questo passare, ma l’essere, l’Assoluto, la totalità che si manifesta
nei momenti del processo dialettico; negare il carattere di effettualità al singolo momento, in quanto finito, significa attribuire
effettualità, cioè realtà, non al gioco delle
loro negazioni, ma alla struttura originaria
che sottostà a questo gioco.
Dall’indagine di Donà emerge dunque, in
senso heideggeriano, «un Hegel alle prese
con lo stesso di tutta la grande tradizione
filosofica», l’Assoluto, che è, in ogni ente,
in ogni praesentia, ciò che si fa presente.
L’autore sviluppa la propria tesi attraverso
l’analisi di alcuni topoi del confronto di
Hegel con la tradizione occidentale: Adorno, Kant, Agostino. Relativamente all’interpretazione adorniana viene focalizzato il cuore del sistema di Hegel e la
caratterizzazione fondamentale del suo
Assoluto, la “dialetticità”, nel tentativo di
dimostrare il “fallimento” dell’esegesi di
Adorno, imperniata, come è noto, su un
carattere diadico, cioè “aperto”, anziché
triadico, della dialettica. Il confronto invece che Donà instaura fra Kant e Hegel, sul
terreno dell’interpretazione della “prova
ontologica” di Anselmo, mira a confutare
l’interpretazione di un “superamento”, da
parte di Hegel, della questione kantiana
del noumeno. Infine nell’interpretazione
del confronto tra Hegel e Agostino, relativamente alla questione del tempo, Donà
rintraccia una forte affinità tra i due pensatori nell’affrontare il nodo del rapporto fra
tempo e ontologia: la fenomenologia agostiniana, osserva Donà, anticipa in modo
sorprendente «la concettualizzazione, tutta ontologica, che del divenire temporale
verrà realizzata dal pensiero hegeliano».
F.C.
Confronti con Heidegger
Le più significative sperimentazioni
sull’opera di Martin Heidegger, promosse, tra il 1985 e il 1990, dalla cattedra di Filosofia Teoretica dell’Università di Bari con la collaborazione di
sette studiosi, Valerio Bernardi, Ferruccio De Natale, Domenica Discipio,
Michele Illiceto, Mauro G. Minervini,
Giuseppe Semerari, Francesco Valerio, sono state raccolte nel volume:
CONFRONTI CON HEIDEGGER (a cura di Giuseppe Semerari, Dedalo, Bari 1992),
che si caratterizza per l’analisi sia di
luoghi heideggeriani “molto frequentati”, sia di luoghi “poco frequentati”
dalla critica e, comunque, tali da richiedere una “esplorazione” che esu-
li dalle tendenze ermeneutiche dominanti.
Luogo molto frequentato è quello in cui si
colloca l’ente-uomo in Martin Heidegger.
“La questione dell’ente-uomo in Heidegger” è appunto il titolo del saggio di Giuseppe Semerari, curatore dell’opera, che
ha affrontato diverse tendenze critiche: l’indirizzo ermeneutico, che associa il pensiero di Heidegger alle diverse dichiarazioni
di “morte” del soggetto; la posizione di
Massimo Cacciari e Gianni Vattimo, che
leggono Heidegger come “filosofo della
tecnica”, considerata come processo definitivo; e infine le considerazioni sul tema
svolte da Jacques Derrida, in particolare
nella conferenza del 1987, pubblicata con
il titolo: De l’Esprit, Heidegger et la question (Dello spirito, Heidegger e la domanda), dove, sulla base delle riflessioni heideggeriane del 1929-30 sul diverso rapporto che le cose materiali, gli animali e gli
uomini intrattengono con il mondo, si sostiene la presenza di una teleologia antropocentrica, persino umanista, nel pensiero
di Heidegger.
L’estremità di queste posizioni riflette, per
Semerari, l’ambiguità del pensiero di Heidegger su questa questione. Per ovviare a
questa situazione, occorre individuare innanzitutto il “solido posto” che Heidegger
occupa nell’ambito della storia della filosofia occidentale, interpretata da Semerari
secondo due modelli: “parmenideo” e “protagoreo”, da lui già esposti in Filosofia.
Lezioni preliminari (Milano 1991). All’uomo parmenideo è sottratta la decidibilità, il
controllo della propria esistenza, mentre a
quello protagoreo si riconosce il «progetto
della propria autoresponsabilità», pur nell’ambito delle determinazioni biologiche e
culturali. La caratterizzazione dell’Esserci
in termini di “fatticità”, di “essere gettato”,
di “essere colpevole”, colloca Heidegger
nell’ambito del modello parmenideo; ed è
proprio nello spazio parmenideo che si
deve cogliere la singolarità ontologica dell’uomo: l’essere mai signore di se stesso,
mai “faber fortunae sue”, ma “pastore dell’Essere”, diviene la condizione del suo
privilegio. L’uomo in quanto Esserci è al di
sopra di ogni altro ente in relazione alla
peculiarità di pensare l’Essere, di essere il
mezzo dell’apertura come disoccultamento e manifestatività dell’Essere. L’appartenenza di Heidegger al modello parmenideo
definisce un’antropologia caratterizzata dal
duplice movimento di spodestamento e di
innalzamento dell’uomo.
Il parmenidismo di Heidegger, osserva
Semerari, va ricercato nel periodo precedente agli anni ’20 (periodo in cui Semerari
colloca l’autentica Kehre nel pensiero heideggeriano). Indicare nella teologia il terreno di costituzione dell’ontologia parmenidea di Heidegger non è specificarne semplicemente la provenienza, ma è renderne
visibile il carattere teologico intrinseco: la
sentenza agostiniana merita nostra, dona
24
Eius diviene in tal senso sintesi dell’ontologia teologico-parmenidea di Heidegger.
Un interessante completamento di questa
tematica può essere rintracciato nel contributo di Valerio Bernardi, “Lo HeideggerStreit teologico degli anni Trenta”, che
analizza le reazioni successive alla pubblicazione di Essere e Tempo in ambito teologico.
Il periodo precedente gli anni ’20, in modo
particolare quello che intercorre tra il 1912
e il 1916, è un periodo che, nonostante sia
di notevole importanza per la costituzione
del pensiero heideggeriano, è il meno frequentato dalla critica. A questo proposito è
illuminante il saggio contenuto in quest’opera di Mauro G. Minervini, “Prima
di Essere e Tempo: Heidegger di fronte a
Hegel”, in cui, facendo riferimento a scritti
giovanili di Heidegger come La dottrina
del giudizio nello psicologismo del 1914, la
dissertazione su Duns Scoto, Il concetto di
tempo nella scienza storica, vengono messi in evidenza presenze e tracce di influenze
e di stimoli propri della Hegel-Reinassance promossa dagli ambiti neo-kantiani e
dall’affermarsi del pensiero di Dilthey e
della sua opera critica su Hegel.
Il saggio di Michele Illiceto “Il rapporto
tra il sé e l’è nell’ontologia di Martin Heidegger”, affronta il problema della differenza ontologica, analizzando il passaggio,
attuato da Heidegger, dal Sé di formazione
cartesiana al Ci, al Ci-è. Il cogito cartesiano
pone la precedenza del Sé, cioè afferma un
tempo in cui l’Io è senza mondo; in Heidegger «prima del Sé c’è l’è che Ci-è». La
differenza ontologica si definisce, così
«...ontologizzazione del ritardo temporale
del Sé rispetto all’è». In confronto alla
fenomenologia husserliana come rinnovato cartesianesimo, in cui il rapporto di precedenza del sé rispetto al mondo si pone
mediante il rifiuto del mondo inteso come
datità, nell’accezione cartesiana, e attraverso una struttura bipolare del cogito:
movimento dell’ego e distesa dell’è, l’ontologia heideggeriana si rivela una «filosofia dell’eccedenza dell’è».
Luoghi poco frequentati del confronto con
Heidegger sono anche quelli che coinvolgono pensatori così lontani nel tempo quali
Plotino, Spinoza o Freud. Il saggio di Ferruccio De Natale, “Heidegger e Plotino:
consonanze imperfette”, cerca di mettere a
confronto la Lettera sull’Umanismo di
Heidegger e le Enneadi di Plotino. E’ un
confronto costitutivo: nel dialogo tra Heidegger e Plotino si inserisce l’autore, che
entra in discussione con i due filosofi, con
la scrittura delle Enneadi, della Lettera
sull’Umanismo, con i versi di Silesius de Il
pellegrino Cherubico; che guarda ed esprime l’Uno di Plotino per dire l’indicibilità
dell’Essere heideggeriano. Nel saggio “Heidegger e Freud”, Domenica Discipio ripercorre invece, nella prima parte del confronto, le indagini condotte da M. Bartels
in Selbstbewusstsein und Unbewusstes. Studien zu Freud und Heidegger (Autoco-
TENDENZE E DIBATTITI
scienza e inconscio. Studi su Freud e Heidegger) e da W. J. Richardson in The Place
of unconscious in Heidegger (Il ruolo dell’inconscio in Heidegger), che mirano a
completare l’elaborazione freudiana della
struttura della personalità umana mediante
l’analitica esistenzial-ontologica di Heidegger. La parte conclusiva del saggio di
Discipio ribalta l’impostazione data dalle
due interpretazioni sopra esaminate e ripercorre il pensiero di Heidegger attraverso la psicoanalisi freudiana anche nei suoi
risultati terapeutici, centrando l’attenzione
sul privilegio conferito da Heidegger, nell’analisi della condizione dell’esserci nel
mondo, all’Essere dell’esserci.
Il confronto tra Heidegger e Spinoza, che
Francesco Valerio sviluppa nel saggio
“Heidegger, Spinoza e il problema della
soggettività”, è un «tentativo di attraversamento» di uno dei “violenti spazi oscuri”
(A. Jäger) che Heidegger lascia aperti nella
selettività che caratterizza la sua ermeneutica dell’intero pensiero occidentale. Sia
Heidegger che Spinoza mirano a mantenere la priorità trascendentale (lo Stesso Sostanziale di Spinoza, il Sein selbst di Heidegger) in una teoria dell’Essere della differenza ontologica tra Essere ed ente, nel
tentativo di sottrarsi all’errore della presentificazione, entificazione dell’Essere.
L’orizzonte della Soggetti(vi)tà, non intesa
nel senso equivoco della metafisica moderna, è la dimensione problematica di questo
rapporto e ne definisce i termini. F.R.C.
Nolte, Heidegger e il nazismo
E’ dedicato a una ricostruzione monografica dell’itinerario filosofico di Heidegger il più recente studio dello storico tedesco Ernst Nolte dal titolo:
MARTIN HEIDEGGER. POLITIK UND GESCHICHTE IM LEBEN UND DENKEN (Martin Heidegger. Politica e storia nella vita e nel
pensiero, Propyläen Verlag, Berlin
1992). Discutendo l’annosa questione
del rapporto di Heidegger con il nazionalsocialismo, Nolte riafferma la sua
discussa visione del nazismo come
risposta allo sviluppo del movimento
bolscevico e alla rivoluzione d’Ottobre.
Quest’ultimo studio di Ernst Nolte (che fu
allievo di Martin Heidegger) va ad aggiungersi alla già imponente bibliografia
dedicata al filosofo tedesco e si presenta
come una introduzione di carattere generale al pensiero heideggeriano. Per quanto
riguarda la ricostruzione della vita del filosofo Nolte riprende elementi già noti dalla
documentazione presentata da Schneeberger, dai ricordi di Gadamer e Löwith,
dalla biografia di Ott e dal controverso e
unilaterale studio di Farias. Anche l’esposizione dei contenuti teorici della filosofia
di Heidegger non contiene elementi nuovi,
se si esclude la tesi, sostenuta nella parte
dell’opera dedicata alla filosofia dell’ultimo Heidegger, che questi non abbia mai
abbandonato il punto di partenza della fenomenologia husserliana.
Circa la questione che negli ultimi anni ha
sollevato accese discussioni - il rapporto di
Heidegger con il nazionalsocialismo - Nolte si ferma alla constatazione di alcuni
elementi che sembrano generalmente accettati dagli interpreti heideggeriani. Con
Habermas - suo avversario nella polemica
svoltasi nel 1986-87 tra gli storici tedeschi
sulle origini del nazismo, sul problema
dell’”unicità” dei suoi crimini e sul rapporto tra quel passato e l’attuale identità tedesca - Nolte condivide alcuni punti di vista:
è nell’ultimo periodo della repubblica di
Weimar che il pensiero di Heidegger si
carica di elementi ideologici, e anzitutto
del teorema della cosiddetta rivoluzione
conservatrice; pur prendendo posizione,
nel 1933-34, a favore del regime nazista,
Heidegger non ne condivide il razzismo e
l’antisemitismo; dopo il periodo di rettorato, non prendendo parte alla resistenza, né
scegliendo la strada dell’emigrazione, il
filosofo mantiene col nazismo un rapporto
altamente ambiguo, considerandolo, alla
pari di bolscevismo e americanismo, come
una modalità dell’oblio dell’essere, pur
vedendo in esso anche un momento necessario nella dialettica di nascondimento/disvelamento dell’essere stesso.
In altri passaggi del suo studio, Nolte riprende (e ripete) alcuni punti di vista già
esposti nelle sue opere di carattere storico,
e in particolare l’idea del significato della
rivoluzione d’Ottobre nella storia contemporanea. La rivoluzione bolscevica rappresenta per Nolte l’evento rivoluzionario per
eccellenza, ma in senso negativo. Chiave
interpretativa di questo fenomeno storico è
per Nolte la discussa contrapposizione tra
sterminio “di razza” (nazismo) e “di classe” (rivoluzione d’Ottobre e arcipelago
Gulag). Partendo da questo confronto tra
stalinismo e nazismo Nolte giunge così,
pur non volendo negare la natura criminale
del regime nazista, a ridurre l’unicità degli
suoi orrori, relativizzandola in quanto “piccola soluzione” rispetto alla “grande soluzione” bolscevica e stalinista.
Non è questo il luogo per discutere questa
interpretazione, che del resto ha già trovato
i suoi critici. Va però osservato che, applicata alla filosofia heideggeriana, essa suggerisce l’idea che l’adesione al nazismo di
Heidegger sia stata motivata da una posizione anticomunista. Resta comunque ancora aperta tra gli storici la questione se il
nemico principale dei sostenitori della “rivoluzione conservatrice” fosse il movimento operaio e comunista (come voleva,
pur da un punto di vista ideologico diverso
a quello di Nolte, Georg Lukàcs), o non
piuttosto la democrazia parlamentare e liberale: che veniva identificata come il supporto politico dell’ordine uscito dalla pace
25
di Versailles, con cui era stata sancita la
sconfitta tedesca nella prima guerra mondiale. M.M.
Attualità del marxismo
In un panorama culturale che tende a
far ricadere sui padri (Marx ed Engels)
le colpe di sedicenti figli e nipoti, due
voci pressoché isolate si levano a rivendicare l’attualità del pensiero
marxiano, altra cosa rispetto a quello
troppo a lungo propagandato come
marxista: in Francia il semestrale “ACTUEL MARX” (giunto alla sesta annata:
n. 11, primo semestre 1992); in Italia la
“nuova serie” di “CRITICA MARXISTA” (di
cui è da poco uscito il n. 3/4, maggio/
ottobre 1992). In questo quadro, e nel
momento in cui è da molti avvertita
l’esigenza di un “riorientamento” del
proprio pensiero intorno ai “classici”
del marxismo, si colloca anche la recente raccolta di saggi di Giuseppe
Vacca dal significativo titolo: GRAMSCI
E TOGLIATTI (Editori Riuniti, Roma 1991).
Quando, nel 1987, fu fondata la rivista
“Actuel Marx”, la crisi delle società cosiddette comuniste, e con esse del “marxismoleninismo” ufficiale, appariva ormai irreversibile, anche se nessuno ne prevedeva
allora una fine così repentina; era già per
tanto avvertita la necessità di un rinnovamento «delle tradizioni marxiste [...] al di
fuori di ogni ortodossia», e di un loro confronto con le «altre componenti principali
della cultura contemporanea». Quest’ultima affermazione è particolarmente indicata per presentare il numero 11 di “Actuel
Marx”, la cui parte monografica, che come
al solito copre la prima metà abbondante
del fascicolo («in realtà un vero libro»,
come recita la quarta di copertina), è dedicata questa volta a “Weber e Marx”.
Presupposto di questa parte dedicata ai due
autori è il saggio omonimo di Karl Löwith
del 1932, cui idealmente si richiamano tutti
i contributi qui ospitati: la relazione di
Herbert Marcuse al Congresso dei sociologi tedeschi del 1965 su “Industrializzazione e capitalismo”, volta a denunciare la
non identità tra razionalizzazione (capitalista), analizzata ed elogiata da Weber, ma in
realtà tutt’altro che neutrale e “formale”, e
razionalità tout court; l’articolo di JeanMarie Vincent, che nella critica weberiana alla razionalità marxista vede da un lato
un volgere contro Marx di critiche da lui
stesso sviluppate, dall’altro una critica anticipata al “socialismo reale”, che per altro
non coinvolge “tutto” Marx, ma anzi aiuta
a separarne il “pensiero vivo” dal “marxismo volgare” o “materialismo economico”
(opera cui già si era accinto il “nostro”
Gramsci); quindi il saggio di Michael Löwy
su “Figure del marxismo weberiano” (Bloch e Lukács innanzitutto, poi la Scuola di
Francoforte, infine Merleau-Ponty, ideatore dell’espressione “marxismo weberiano”)
e quello di Catherine Colliot Thélène su
TENDENZE E DIBATTITI
“Habermas, lettore di Marx e Max Weber”.
Seguono un’interessante antologia di testi
weberiani dedicati a Marx ed al marxismo,
curata da Enzo Traverso, ed una ricca
sezione bibliografica.
Almeno un cenno meritano infine le altre rubriche della rivista: “Storia del
marxismo”, con un articolo di Jacques
Texier (direttore della rivista insieme a
Jacques Bidet) sui Gundrisse di Marx,
un “Intervento” di Jeffrey Reiman su
“Rawls contro Nozick”, e la consueta
nutrita schiera di “Libri”, a sua volta
articolata in sottosezioni, tra le quali “La
nuova struttura del mondo”, argomento
cui è anche dedicato l’editoriale di questo numero.
Più articolata appare la “nuova serie” di
“Critica marxista”, che si apre con un
ampio “Osservatorio” sull’attualità politica ed economica. Soprattutto nell’analisi di quest’ultima si possono apprezzare, già nel numero 1, ad esempio, alcuni
tentativi di sollevarsi al di sopra dell’immediata contingenza mediante il richiamo ad autori “forti”; anche in questo
caso il pensiero di Marx viene messo a
confronto con altri “classici”, stavolta
dell’economia (Keynes e Schumpter),
unica maniera per affrontare l’attuale
crisi, osserva Giorgio Lunghini (“Occupazione e democrazia”), senza rifugiarsi nella speranza, condivisa da «molti, anche a sinistra [...], che il Dio che ci
salverà è il Mercato [...], la vecchia ricetta degli ortodossi: laissez faire, laissez passer» (su questo aspetto si veda
anche Roberto Tesi, “Aspettando l’innovazione”).
Segue un “Laboratorio culturale”, più
propriamente “filosofico”: uno dei temi
che hanno dominato i primi fascicoli è
rappresentato dal confronto tra liberalismo e marxismo a proposito dell’idea di
libertà (argomento quantomai attuale,
cui è stato anche dedicato un recente
convegno del Goethe Institut romano,
dal titolo: “Marxismo e liberalismo alla
soglia del terzo millennio”). Il dibattito
è stato aperto nel numero 1 da Stefano
Petrucciani con un’interessante analisi
di “Tre concetti di libertà”, liberale, democratico e socialista, cui appartiene
quello marxiano, per un verso più estensivo “libertà collettiva”, economica ,
per l’altro esposto a gravi aporie, non
riconoscendo dignità ai diritti “classici”
(quelli dell’ ’89, per intendersi) e presupponendo l’abolizione del mercato e
della libera competizione, improponibile, secondo Petrucciani, nelle società
moderne; è quindi necessario un suo
“ripensamento”, che ne faccia “un principio etico” volto allo sviluppo, e non al
superamento, delle libertà democratiche.
Sul medesimo tema sono poi intervenuti
Nicola Badaloni (“Le tre libertà e il
marxismo”, n. 2), che, pur accettando
Karl Marx prima del 1875 (foto di John Mayall, Londra)
26
buona parte del discorso di Petrucciani,
non vuole ridurre il marxismo a “ideale
regolativo”, ritenendolo invece, sulle
orme di Sartre (e di Gramsci) una «filosofia epocale [...] “insuperabile”, finché
esistano le condizioni che determinano
le disuguaglianze»; e Domenico Losurdo (“Liberalismo, comunismo e storia
della libertà”, n. 3), che ha mostrato
come il carattere autocontraddittorio del
concetto liberale di “libertà negativa”
non implichi necessariamente, come
purtroppo è avvenuto nei paesi del “socialismo reale”, una sua liquidazione tout
court, ma piuttosto la negazione di alcune libertà (“formali”), per affermarne
altre (“sistemiche”). In ogni numero è
presente poi una sezione dedicata alla
“Battaglia delle idee” e una alle “Riletture”; seguono le consuete “Schede critiche”.
In conclusione, siamo di fronte ad una
rivista che, come sottolineava l’Editoriale del numero inaugurale (presumibilmente opera dei due direttori Aldo
Tortorella e Aldo Zanardo), pur senza
rinnegare la quasi trentennale esperienza della prima serie di “Critica marxista”
(1965-91), «non ha niente a che fare con
la nostalgia o con il “continuismo”», né
con il «ristabilimento del “vero” Marx»,
ma «vuole essere la ripresa di un impegno di lettura critica della realtà», fornendo, come recita il suo sottotitolo,
analisi e contributi per ripensare la sinistra.
In questo contesto ci pare significativo
segnalare il “ripensamento” delle figure
e dell’opera di Gramsci e Togliatti che
Giuseppe Vacca propone nel suo recente studio, Gramsci e Togliatti che muove
dal riconoscimento della “inscindibilità
del nesso Gramsci Togliatti”, decisivo
per l’elaborazione di quella “via italiana
al socialismo” che, pur ritenuta dall’autore nei fatti ormai storicamente superata (anzi, sostiene Vacca, ormai «probabilmente lo stesso termine socialismo è
irrimediabilmente compromesso»), rappresenta pur sempre un punto di riferimento preciso in una situazione dove,
secondo un’espressione gramsciana,
mentre «il vecchio muore, il nuovo non
può nascere». E questo innanzitutto perché i Quaderni del carcere di Gramsci
«sono rivolti principalmente ad indagare le ragioni di fondo [...] della sconfitta
del movimento operaio ed elaborare i
fondamenti (e alcuni indirizzi essenziali) d’un nuovo programma», di cui la
gramsciana «filosofia della prassi costituisce la base». La “vitalità di Gramsci”
starebbe dunque nel fatto che la sua
opera fondamentale è stata concepita in
un’epoca di crisi profonda delle forze
rinnovatrici della società, che presenta
interessanti (e preoccupanti) analogie
con l’attuale. Inoltre, l’aver tentato, tra i
primi, quella “lettura diacronica” delle
note gramsciane, resa possibile dalle in-
TENDENZE E DIBATTITI
Jürgen Habermas e Carl Schmitt
tegrazioni e correzioni apportate da
Francioni alla cronologia dei Quaderni
stabilita dall’edizione critica curata da
Gerratana nel ’75, rende nuova e stimolante l’analisi di Vacca, contenuta
nella prima parte del suo studio (“I Quaderni e la politica del ‘900"), di concetti
chiave del pensiero di Gramsci quali
“egemonia”, “guerra di posizione”, “rivoluzione passiva” e così via, anche per
chi, come Guido Liguori (nel n. 1 di
“Critica marxista”), non sia convinto che
«la posizione di Gramsci verso la democrazia rappresentativa è quella della “riforma”, non della “distruzione”» rivoluzionaria, ma sostenga invece che «Gramsci è tutto interno alla cultura della rivoluzione, termine di cui egli ridefinisce
profondamente il senso, ma che non rinnega».
E Togliatti? Il merito del successore di
Gramsci alla guida del PCI consisterebbe, secondo Vacca, nell’aver sviluppato
le intuizioni gramsciane «nella nozione
di “democrazia progressiva”», con
l’obiettivo di «dar vita ad un “processo”
di trasformazioni politiche ed economiche intrecciate, tali da configurare, alla
fine, “una nuova idea del socialismo”».
Inoltre, osserva ancora Vacca, la parola
d’ordine togliattiana del “partito nuovo”, lanciata subito dopo la caduta del
fascismo, «era volta [...] ad esplorare la
possibilità di dar vita ad un “partito unico della classe operaia e dei lavoratori”,
che avrebbe potuto non essere un partito
comunista»: un’operazione simile a quella che, da qualche tempo, i dirigenti del
neonato PDS (tra cui, lo ricordiamo, va
annoverato lo stesso Vacca) stanno tentando; ma questa è storia di oggi. G.C.
Teologia, diritto, politica
Definire la fonte del diritto, considerato come presupposto della risoluzione politica, è il tentativo, pur perseguito su piani differenti, che hanno in
comune la raccolta di saggi di Jürgen
Habermas, MORALE, DIRITTO, POLITICA (traduzione e cura di Leonardo Ceppa,
Einaudi, Torino 1992) e l’opera di Carl
Schmitt, TEOLOGIA POLITICA II (traduzione a cura di Antonio Caracciolo, Giuffré, Milano 1992).
La parte più rilevante, dal punto di vista
teoretico, dei saggi che compongono il
volume di Jürgen Habermas, Morale, diritto, politica, è senz’altro costituita dalla
prima, che compare sotto il titolo: “Diritto
e morale”, nella quale viene riprodotto il
testo delle cosiddette Tanner Lectures, già
pubblicato nel 1988 negli Stati Uniti. Qui
Habermas tenta di stabilire l’origine della
27
“forza legittimante” del diritto, che non
può, a suo parere, essere fatta risiedere
nella pura razionalità del potere politico,
come la storia si è incaricata di dimostrare.
La forza legittimante del diritto va invece
ricercata nella dimensione etica: solo così
la forma del diritto diventa risoluzione politica.
Questa impostazione non potrebbe essere
in alcun modo condivisa da Carl Schmitt,
la cui teorizzazione della separatezza tra
etica e politica rende necessario giustificare lo iato che in questo modo si apre non
tanto fra diritto e morale, quanto fra diritto
e politica. In altri termini la necessità di una
giustificazione tocca, da un lato, proprio il
diritto sul versante della sua effettualità, e
dall’altro la politica su quello della sua
legittimità formale. Per colmare lo iato,
Schmitt ricorre, come è noto, all’antitesi
amico-nemico come forma originaria del
rapporto politico, derivando la forma del
diritto, elevata a struttura giustificatoria di
questo rapporto, dal modello teologico.
Così i concetti giuridici risultano in Schmitt, in modo più o meno diretto, determinati da quelli teologici, con una decisa
contiguità fra teologia e diritto.
Teologia politica II è la risposta di Schmitt
a Erik Peterson, che nel 1935 aveva criticato le tesi schmittiane contenute in Teologia
politica del 1922, dove si identificavano
esplicitamente i concetti giuridici come
concetti teologici secolarizzati. Nel testo di
TENDENZE E DIBATTITI
replica la posizione di Schmitt risulta più
sfumata, complici forse, più che le critiche
di Peterson, proprio le analisi di Blumenberg, tendenti a sottolineare la specificità
del Moderno, che la tesi della secolarizzazione relega in secondo piano.
La distanza fra l’impostazione dell’analisi
di Schmitt e quella di Habermas è certo
grande, collocandosi l’una sul terreno di
una fondazione a cui non è estranea la
dimensione metafisica, l’altra su una strada
più direttamente aperta verso sviluppi politologici, quali sono, in effetti, quelli tematizzati nella seconda parte di Morale, diritto, politica. Ciò accade in modo quasi paradossale se si considera che la qualifica di
“filosofo” viene senza dubbio attribuita
con maggiore immediatezza a Jürgen Habermas, piuttosto che a Carl Schmitt, il
quale preferisce definirsi un “giurista”.
Tuttavia lo scarto fra la teorizzazione della
“autonomia del politico”, sottesa alla teologia politica schmittiana, e il radicamento
nell’etica dell’effettualità del diritto, in
quanto decisione politica, proposta da Habermas, è forse meno grande di quanto
possa apparire dalle dichiarazioni di intenti. L’etica habermasiana è infatti priva del
carattere normativo, ovvero del legame con
una dimensione trascendente, da cui, a parere di Schmitt, proviene il diritto, che da
essa però si distacca attraverso il processo
di secolarizzazione. L’etica in Habermas si
determina, infatti, come “etica del discorso”, da intendersi come discussione sulle
procedure di comunicazione e, in quanto
tale, sulle procedure di decisione politica.
Come anche sottolinea Leonardo Ceppa
nella sua Postfazione, la questione centrale
degli ultimi trent’anni di riflessione filosofico-politica di Habermas consiste nella
determinazione delle condizioni di possibilità relative allo stabilirsi, in una società
alienata e fortemente mediatizzata, di meccanismi di comunicazione e decisione politica critici nei confronti del sistema. Pur
su un altro versante, anche all’analisi habermasiana non è dunque estraneo un intento di fondazione, come tentativo di trovare, nella dimensione dell’effettualità, il
terreno della connessione e della saldatura
fra diritto e politica. F.C.
Spinoza, nomade e sovversivo
Con una nuova raccolta di saggi prosegue la ricerca filosofico-politica sulla figura e l’opera di Baruch Spinoza di
Antonio Negri, SPINOZA SOVVERSIVO.
VARIAZIONI (IN)ATTUALI (introduzione di
Emilia Giancotti, Antonio Pellicani
Editore, Roma 1992) che approfondisce il concetto spinoziano di potenza,
tematizzando la questione della “prassi costitutiva”. Su un terreno più immediatamente politologico si colloca
invece il testo composto da Negri in
collaborazione con Felix Guattari, LE
VERITÀ NOMADI. PER NUOVI SPAZI DI LIBERTÀ
(traduzione di Gioacchino Lavanco,
Antonio Pellicani Editore, Roma 1992).
Dopo L’anomalia selvaggia. Potere e potenza nell’opera di Baruch Spinoza, del
1981, la nuova raccolta di saggi di Antonio
Negri, Spinoza sovversivo, riprende la questione, cara all’autore, dell’attribuzione alla
comunità di un primato etico che fonda la
sua legittimità, contro Thomas Hobbes, al
diritto di resistenza. E’ infatti noto, nel
filosofo inglese, il coniugarsi di pactum
unionis, ovvero il contratto sociale con il
quale la moltitudine degli individui esce
dallo stato di natura e fonda la società, e di
pactum subjectionis, il contratto politico,
l’atto che delega la sovranità, così costituita, allo Stato. Proprio attraverso l’identificazione, logica e temporale, dei due momenti, Hobbes perviene alla rimozione del
diritto di resistenza da parte della società
nei confronti dello Stato: la rottura del
pactum subjectionis comporta ipso facto
la rottura del pactum unionis, cosicché non
è possibile, a rigore, neppure ipotizzare la
resistenza della comunità, o della società
civile contro lo Stato: al di fuori della
subordinazione ad esso non si dà infatti
società, “popolo” in senso proprio, ma
solo moltitudine di individui, cioè stato di
natura, caratterizzato dal bellum omnium
contra omnes.
Spinoza concorda con la valutazione hobbesiana del carattere bellicoso dello stato di
natura, dove la radice di tale accordo risiede, per entrambi i pensatori, nella costituzione antropologica dell’uomo: il carattere
espansivo del moto vitale interno in Hobbes, come il conatus in Spinoza, portano
necessariamente a ritenere bellicoso, instabile, e perciò nocivo per l’essenza autoaffermativa dell’uomo, lo stato di natura. La
differenza tra i due pensatori risiede nel
fatto che lo stato civile deve in Spinoza non
rimuovere, ma garantire e amplificare i
diritti e lo “stato naturale” dell’uomo: in
ciò consiste propriamente l’amplificazione della potenza, concetto centrale nell’interpretazione di Negri, pertinente a ogni
singolo modo della Sostanza infinita, cioè
a ogni singola sostanza individuale finita.
Se un rapporto esiste tra questa interpretazione di Spinoza e le “verità nomadi”, cui
fa riferimento il titolo del volume composto da Negri in collaborazione con Felix
Guattari, esso va individuato nel fatto che
il “nomadismo” consiste proprio nel riconoscimento del frammentarsi della totalità
nelle singole soggettività individuali, legittimate in quanto tali, nel “multicentrismo
funzionale”, tale per cui le aggregazioni
individuali si rivelano capaci di «scatenare
rivoluzioni molecolari irreversibili», sul
terreno sociale e su quello politico. Il trait
d’union tra i due volumi sembra in verità
risiedere nell’interpretazione che dello spinozismo ha fornito Gilles Deleuze, secondo cui la tesi dell’univocità della sostanza
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spinoziana, finalizzata a quella della sua
radicale immanenza, serve proprio a fondare la legittimità delle sostanze finite in
quanto singolarità irriducibili. Sul piano
più specificatamente politico, la polemica
antirappresentazionalistica di Deleuze, che
sottolinea l’irriducibilità reciproca delle
singolarità, si traduce in Negri nel carattere
non rappresentativo e non pattizio della
democrazia: il meccanismo di delega, conseguente al patto, prefigura infatti l’abdicazione, pur se finalizzata, nelle intenzioni, a
una sua miglior difesa del diritto individuale, e dunque dell’irriducibilità del singolo
individuo. Da qui la proposta di Negri di
fondare la legittimità dell’azione politica
su un legame tra la volontà del singolo e la
sua espressione sul piano della volontà
generale, anziché sulla sussunzione della
volontà particolare in quella generale. Anzi,
a questo proposito, in Spinoza sovversivo si
può rilevare, a seguito del concetto di “ampliamento di potenza“, una maggior accentuazione, da parte di Negri, della singolarità individuale, che non della continuità,
come avveniva in L’anomalia selvaggia.
Certo, come fa notare Emilia Giancotti,
senza un confronto puntuale con il testo
spinoziano è «difficile stabilire quanto della lettura di Negri appartenga allo Spinoza
storico, e quanto al Negri teorico»; ma,
forse, proprio stabilire questa distanza non
interessava all’interprete. F.C.
Politica e filosofia
Uno dei temi centrali del dibattito filosofico-politico nel mondo anglosassone è quello della legittimità del potere. A questo proposito si è recentemente espresso David Beetham, con
un’opera dal titolo: THE LEGITIMATION OF
POWER (La legittimità del potere, Macmillan, London 1991), in cui viene criticata, in riferimento a pensatori come
Charles Taylor, Jürgen Habermas e
Hanna Pitkin, la posizione di Max Weber e dei suoi seguaci, che riguardo a
questo argomento ha avuto notevole
influsso sul pensiero contemporaneo.
Fa da riscontro a questo dibattito quello che si preoccupa di definire i legami
esistenti tra filosofia, politica ed ideologia, evidenziando i limiti dell’argomento razionale. E’ ciò che si propone
Stanley S. Kleinberg con il suo POLITICS
AND PHOLOSOPHY : THE NECESSITY AND LIMITATIONS OF RATIONAL ARGUMENT (Politica
e filosofia: la necessità e i limiti dell’argomento razionale, Basil Blackwell,
Oxford 1991).
Il concetto di legittimità è diventato una
delle nozioni centrali nelle analisi delle
scienze sociali come anche nella teoria
politica tradizionale. Una adeguata spiegazione di come una relazione di potere sor-
TENDENZE E DIBATTITI
ge, sopravvive o scompare, deve far riferimento non solo ad un gioco di forze materiali, ma anche a norme di legittimità. Max
Weber è stato considerato un’autorità in
proposito, anche se tutt’oggi la sua posizione appare insoddisfacente. Per Weber la
legittimità di un potere non dipende da
nient’altro che dal credito che una parte di
persone investe su di esso.
Secondo Charles Taylor questo concetto
è eccessivamente empirico, e non riesce a
spiegare il fatto che ciò che rende legittimo
un regime è un insieme complesso di ciò
che egli chiama “significati inter-soggettivi”, cioé l’insieme di valori, significati,
istituzioni e modalità pratiche che provvedono a fornire l’intelaiatura normativa, tramite cui si esprime il consenso per un
potere. La posizione weberiana non riesce
a distinguere tra la legittimità di un regime
ottenuta tramite una manipolazione dell’opinione pubblica, e quella di un regime
che esercita il potere in accordo con le leggi
stabilite.
Rispetto a tali argomenti, molte delle critiche di David Beetham sono rivolte contro
Weber e ai suoi seguaci, ma anche contro i
teorici realisti che insistono nel descrivere
il mondo sociale interamente in termini
materiali, nonché contro i marxisti - non
contro Marx - che concepiscono la legittimità del potere semplicemente come l’imposizione di un’ideologia dominante. In
accordo con la posizione weberiana questi
ultimi concetti sono inaccettabili perché
non riescono seriamente a spiegare in che
maniera il potere possa trovare legittimità
anche tramite le istituzioni legali, le convenzioni morali e la nozione di benessere
pubblico. A questo proposito Beethan distingue in particolare tre elementi nel concetto di legittimità, affermando che il potere può essere considerato legittimo se è
conforme alle regole stabilite, che le regole
possono essere giustificate tramite la pubblica opinione dominante, e che esiste un’atteggiamento di consenso anche nella minoranza. The legittimation of power è dedicato in gran parte all’elaborazione di questa
triplice struttura, a cui è affidato il compito
di spiegare il contemporaneo sorgere, sopravvivere e decadere di relazioni di potere
esistenti.
Nella Politica Aristotele affermava che lo
stato è un’entità naturale e che l’uomo è un
animale politico e sociale. Mentre da allora
la concezione dello stato è cambiata, rimane tuttora confermata la nostra esistenza
politica. per Stanley S. Kleinberg questa
considerazione è implicitamente alla base
della politica. La politica considera gli ordinamenti in cui noi viviamo e può essere
soggetta ad analisi da parte della filosofia.
Di fatto la principale preoccupazione dello
studio di Kleinberg consiste nell’esposizione dei limiti propri dell’argomentazione razionale, e nel mostrare come questi
interessino anche la politica. In questa
maniera egli cerca contemporaneamente di
chiarire la natura stessa della filosofia.
Secondo Kleinberg, il fatto che nella
nostra esistenza facciamo certe ipotesi
sul futuro che riflettono la nostra esperienza del passato è una condizione che
sta alla base della politica, la quale cerca
appunto di stabilire la maniera in cui i
rapporti di una comunità dovrebbero
essere regolati. Le discordanze in questa
regolamentazione non dipendono da altro che da differenti ideologie. L’ideologia cerca di dirigere il nostro agire sulla
base di assunzioni che possiedono un
certo fondamento storico.
Una volta stabilita la relazione esistente tra
politica e ideologia, Kleinberg cerca ora di
fornire una descrizione delle principali ideologie presenti nel pensiero politico occidentale, come il liberalismo, il conservatorismo e il socialismo. Scopo principale di
Kleinberg è individuare gli elementi fondamentali di ciascuna ideologia per poter
confermare la possibilità di usare argomentazioni razionali nella critica delle ideologie, dimostrando allo stesso tempo la
legittimità dell’uso di argomenti razionali
nel discorso politico. V.R.
Terrorismo
e responsabilità collettiva
Negli anni ’50, i filosofi morali che si
richiamavano al metodo analitico, evitavano di addentrarsi nei meandri della giustificazione delle scelte morali
concrete. Soprattutto i filosofi anglosassoni avevano fatto della metaetica
il loro campo esclusivo di indagine. Il
grande interesse negli anni ’70 per la
filosofia pratica sembrava avere spiazzato questa prospettiva, ma oggi la
situazione è radicalmente cambiata. Il
metodo analitico non evoca più la riflessione su teorie già confezionate,
poiché molti autori hanno cercato di
affrontare con la chiarezza e la rigorosità dello stile analitico i più vari temi
della moralità. Burleigh Taylor Wilkins
ne ha affrontati alcuni in un suo recente volume, TERRORISM AND COLLECTIVE RESPONSIBILITY (Terrorismo e Responsabilità collettiva, Routledge, London
1992).
L’opera è suddivisa da Taylor Wilkins
in due parti strettamente collegate: la
prima è dedicata alla giustificazione
morale del terrorismo ed enuclea come
rilevante e problematico il concetto di
responsabilità collettiva; la seconda
esplora la portata morale della responsabilità collettiva attraverso la discussione
di alcuni problemi di etica degli affari e
di un celebre processo militare americano per il massacro di May Lay (Vietnam,
1968). Se non esiste una cosa come la
colpa collettiva o la responsabilità collettiva di una società umana, allora il
29
terrorismo non può essere giustificato:
in questa prospettiva Wilkins sceglie di
evitare le considerazioni strettamente
politiche e si muove solo sul terreno di
argomentazioni puramente morali.
Prendendo spunto da autori come Richard M. Hare e Ted Honderich, Karl
Jaspers e Carl Wellman, Herbert
Morris e Joel Feinberg, Wilkins offre
innanzitutto una definizione di terrorismo che non contenga già in sé un germe
di valutazione morale: il terrorismo è
«l’insieme dei tentativi per ottenere cambiamenti politici, sociali, economici,
oppure religiosi, attraverso l’impiego
effettivo o la minaccia della violenza
contro le persone o la proprietà». In base
a questa definizione sembrerebbe che la
guerra e la rivoluzione siano assimilabili
al terrorismo: Wilkins riconosce che ci
possa essere un fraintendimento, tuttavia fa notare come ogni giustificazione
per la guerra possa anche valere come
una giustificazione per il terrorismo. Se
si ammette la liceità dell’uso della violenza, non vi è nessuna differenza moralmente rilevante tra la violenza terroristica e quella militare.
I molti problemi concettuali affrontati
da Wilkins lo portano a formulare una
definizione di terrorismo capace di superare ogni obiezione contro la possibilità di una giustificazione morale del
terrorismo. In certe situazioni, osserva
Wilkins, è moralmente lecito ricorrere al
terrorismo: «la violenza impiegata è in
parte finalizzata a destabilizzare l’ordine politico e sociale esistente, ma principalmente a propagandare gli obiettivi o
gli ideali propri dei terroristi; spesso, ma
non sempre, detti tentativi hanno lo scopo di provocare reazioni che procureranno il pubblico consenso ai terroristi e
alla loro causa; infine il terrorismo è
sentito da chi lo pratica come un’attività
finalizzata alla correzione di gravi ingiustizie che altrimenti resterebbero tali
e quali».
La giustificazione di Wilkins del terrorismo è a prima vista sorprendente e ha il
suo punto di forza nell’altra sua tesi, per
cui una collettività può essere responsabile senza che nessuno dei due componenti sia individualmente responsabile,
bensì sia responsabile solo in quanto
componente di quella collettività.
Wilkins parla della responsabilità di avere accettato, per scelta, per abitudine o
per tradizione, un certo modo di vivere
(way of life): tutte le conseguenze di un
certo stile di vita di un qualsiasi membro
della collettività ricadono su tutti coloro
che aderiscono a quello stile di vita. In
questo Wilkins si richiama alla tesi di
Jaspers per cui i crimini delle S.S. ricadono sull’intero popolo tedesco: allo stesso modo il popolo americano sarebbe
responsabile degli orrori della guerra in
Vietnam.
Una volta accertata l’esistenza di una
responsabilità collettiva che non si riduce alle responsabilità individuali, biso-
PROSPETTIVE DI RICERCA
Michel De Montaigne
30
PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
Montaigne, 400 anni dopo
Guadagnato da sempre il titolo di classico, a quattro secoli di distanza dalla
morte Montaigne è nel pantheon delle
lettere francesi un monumento che
corre il rischio di essere venerato invece che essere letto. Tuttavia, la ripubblicazione degli ESSAIS (Saggi, a cura
di Claude Pinganaud, Arlea, Arles 1992)
e la contemporanea uscita di una biografia ad opera di Madeleine Lazard,
MONTAIGNE (Fayard, Paris 1992), nonché di alcuni saggi critici, tra cui quello
di Pierre Leschemelle, MONTAIGNE OU LE
MAL À L’AME (Montaigne o il male dell’anima, Ed. Imago, Paris 1992) e quello di M. A. Screech, MONTAIGNE ET LA
MÉLANCOLIE (Montaigne e la malinconia, PUF, Paris 1992), hanno avuto il
merito di far cadere l’aura di pensatore ufficiale di Montaigne, per riproporre la difficile lezione di questo singolare filosofo, del quale anche Nietzsche
ammirava la lucidità.
Il nome di Montaigne è innanzitutto legato
agli Essais, opera di una vita, continuamente rifinita col cesello dello stile e dell’arguzia. La nuova edizione, curata da
Claude Pinganaud, si propone, nello spazio di un unico volume, di soddisfare il
principio di leggibilità del testo insieme
alla fedeltà all’originale. La forma ortografica è modificata per le parole non più in
uso, mentre un glossario e un cospicuo
apparato di note consentono al lettore un
percorso facilitato nella prosa di Montaigne.
Come sottolineava Michel Butor nel suo
Essai sur les Essais, (1968), quest’opera di
Montaigne è concepita come un monumento manierista alla gloria dell’amico
Etienne de La Boétie, morto a 33 anni e la
cui perdita sarà sempre compianta da Montaigne con parole appassionate. Omaggio
alla memoria dunque, ma anche essai, esperimento di sincerità, saggio dell’autopercezione che rifiuta l’ordine classico dell’esposizione compiuta per tentare una ridefinizione del sé attraverso la scrittura. Di fatto
la peinture du moi si inaugura con una
confessione che ha ben poco della serenità
dei memorialisti classici: «Trovandomi
completamente vuoto di quale che sia differente materia, mi sono presentato, io stesso a me stesso, come argomento e soggetto». Ma anche la certezza cartesiana dell’ego cogitans è ugualmente lontana nell’affermazione secondo cui «la parola appartiene per metà a chi parla e per metà a chi
l’ascolta». E’ questa consapevolezza che
dà alla scrittura di Montaigne quel carattere
“aperto”, che sollecita l’interpretazione.
Sta forse in ciò la misura della classicità
degli Essais, ammirati da Nietzsche, criticati da Pascal, che considerava sciocco il
progetto di Montaigne di autorappresentarsi, pur accettando di entrare in dialogo
con questi, come interlocutore nascosto di
un confronto che sarà produttivo di tanta
parte delle sue Pensées.
Come sottolinea Michel Tournier, è appunto il riconoscimento del carattere di
reciprocità dell’atto linguistico, o di scrittura, che sta alla base della “tolleranza” di
Montaigne, come del resto del suo rifiuto
delle certezze dogmatiche. La verità non si
dà come un possesso pieno della ragione
salda nelle sue categorie, ma con un movimento infinito di accostamento, dove sono
egualmente significativi le riflessioni personali e la citazione dei classici, l’elemento
quotidiano e l’universale. La “fricassea”
libresca, così qualificava Montaigne gli
Essais, sono pertanto il ricercato disordine
che risponde al progetto di dipingere se
stesso, nel dialogo con altre menti, con
uomini e fatti, nell’unica certezza che «ogni
uomo porta in sé la forma intera dell’umana condizione».
Montaigne en mouvement era del resto il
titolo di un ispirato saggio del 1982 di Jean
Starobinsky, che metteva in luce il carattere di “percorso” del progetto conoscitivo
di Montaigne. Nel solco di questa analisi si
collocano i due studi critici: Montaigne ou
le mal à l’ame, di Pierre Leschemelle, e
Montaigne et la mélancolie, di M. A. Screech, che, in una prospettiva biografica, il
primo, più teorica, il secondo, mettono
l’accento sull’importanza di questa malattia del sentire, coltivata e utilizzata come
principio creativo.
Ad essere attento scrutatore di sé Montaigne era del resto obbligato da una dolorosa
affezione renale che lo ha accompagnato
per tutta l’esistenza; questo non gli impedi31
va comunque di dedicarsi all’arte di viaggiare. L’edizione critica del suo diario di
viaggio in Italia, pubblicata con il titolo:
Journal de voyage (Giornale di viaggio, a
cura di François Rigolot, PUF, Paris 1992)
chiude la complessa vicenda delle edizioni
di questo testo, il cui originale scomparve
misteriosamente, per ricomparire nel 1770
negli archivi del castello di Montaigne. E’
sicuramente autografo il testo scritto in
italiano, mentre la parte in francese si deve
probabilmente alla stesura del segretario.
Originale o scritto sotto dettatura che sia, il
diario di viaggio in Italia mantiene lo stile
“fluidamente discontinuo” della scrittura
di questo viaggiatore riflessivo e attento,
che considerava il viaggiare un’attività,
alla stregua di quella artistica, o una vocazione per le scoperte. A tavola, come davanti a un’architettura o ad un paesaggio,
Montaigne dà prova di una curiosità per
tutto quanto è differente, ed ha le sue ragioni di esserlo. Se il motivo del viaggio era la
presentazione al papa dei suoi Essais - ma
c’è chi sostiene che la ragione fosse quella
di un’ambasceria politica -, in tutta naturalezza il viaggio di Montaigne si trasforma
in un percorso all’interno di un’altra cultura che non «traccia alcuna linea certa, né
dritta né curva», simile in questo all’esistenza: «La vita è un movimento materiale
e corporale, azione imperfetta per la sua
propria essenza e priva di regole; mi adopero per servirla conformemente». E.N.
Filosofia della rivelazione
La pubblicazione, con il titolo: URFASSUNG DER P HILOSOPHIE DER O FFEN BARUNG , a cura di Walter E. Ehrhardt, Meiner, Amburgo 1992), di un
testo di F. W. J. Schelling, trovato
da Walter E. Ehrhardt nella biblioteca dell’Università Cattolica di Eichstätt, in cui va probabilmente
ravvisata la prima stesura della “filosofia della rivelazione”, mette a
disposizione degli studiosi elementi
importanti per la comprensione dell’ultimo periodo della filosofia
schellinghiana.
PROSPETTIVE DI RICERCA
La pubblicazione in questi ultimi anni di
testi appartenenti all’ultimo periodo della
filosofia schellinghiana, nonché di saggi
critici e interpretazioni su questo filosofo,
ha fatto parlare di una vera e propria “Schelling-Renaissance”. Dallo “scritto sulla libertà” del 1809 fino agli scritti, incompiuti,
dedicati alla Filosofia della mitologia, alla
Filosofia della rivelazione e ai frammenti,
anch’essi incompiuti, delle Età del mondo,
questo periodo dell’attività di Schelling è
stato di volta in volta considerato come il
compimento dell’idealismo tedesco o come
una degenerazione di carattere oscurantistico e mistico della filosofia. La possibilità di queste diverse interpretazioni è (o era)
data dalla situazione stessa dei testi di Schelling, dallo stato di conservazione dei manoscritti inediti e dalla qualità dell’edizione delle sue opere complete.
Una fortunata scoperta ad opera di Walter
E. Ehrhardt nella biblioteca dell’Università Cattolica di Eichstätt mette ora a disposizione nuovi materiali per un’adeguata
valutazione di una delle opere fondamentali della tarda filosofia di Schelling. Si tratta,
secondo le parole di Ehrhardt, della «scrupolosa trascrizione di un testo dettato da
Schelling», rinvenuto tra le carte di Joseph
Maximilian Wachtl, studente all’Università di Monaco dal 1829 al 1832, che rappresenta la prima stesura della Filosofia della
rivelazione (1831-32). Nelle sue lezioni di
questo periodo Schelling aveva sviluppato
le proprie concezioni sistematiche di fondo, quelle di una “filosofia della mitologia”
e di una interpretazione filosofica della
rivelazione divina nella creazione e nell’incarnazione di Cristo. Queste lezioni, a
cui si aggiungono un indice dei nomi e dei
termini, alcune note e una postilla, stanno
alla base dell’edizione di Ehrhardt della
Filosofia della rivelazione.
Tra le novità relative ai contenuti teorici
dell’opera di Schelling, presentate dalla
pubblicazione di questo testo, emerge che,
attorno al 1830, Schelling non sembra distante da alcune delle concezioni di fondo
di Hegel, suo antico compagno di studi e
successivamente suo avversario filosofico.
Come Hegel, anch’egli intende qui Dio
come lo “spirito assoluto”, come una “autocoscienza” che diventa consapevole di se
stessa nel processo dell’universo, da noi
conosciuto in quanto storia del mondo e in
quanto storia dello spirito che rivela se
stesso. Ma contro Hegel (da lui criticato, in
queste lezioni, due volte esplicitamente,
ma più volte in maniera implicita), Schelling rifiuta il tentativo di far coincidere la
libertà della creazione divina e la libertà
umana nella comprensione dell’accadere
universale dell’essere. Se la creazione è
«solo un successivo venire a sé, un successivo diventare cosciente di sé stesso» da
parte dell’Assoluto (su questo punto Hegel
e Schelling sembrano concordare), essa
giunge alla sua meta solo nel sapere filosofico umano, in cui l’Assoluto si mostra o si
rivela. Così, laddove Hegel utilizza struttu-
re concettuali rigorose, il pensiero dell’ultimo Schelling si esprime in un linguaggio
più evocativo e seducente: la filosofia è
“ricordo” del processo dell’Assoluto in
quanto narrazione dei suoi gradi sulla base
della pienezza del materiale storico e mitologico. Nella sua “filosofia della mitologia” Schelling racconta in che modo “alla
coscienza” dell’uomo, che dopo lo stato
edenico ha perso la propria unità con Dio,
i momenti del processo dell’universo «appaiono in quanto divinità» (nelle configurazioni della mitologia). Nella “filosofia
della rivelazione” egli presenta un’interpretazione dell’incarnazione di Cristo come
“riconduzione” dell’uomo distaccatosi dalla
sua originaria unità con Dio al “dominio”
del Dio Uno, inteso come l’unica sorgente
dell’essere. M.M.
Moralisti francesi
del XVII secolo
L’interesse e il merito del volume a
cura di Jean Lafond sui MORALISTES DU
XVII SIÈCLE (Moralisti del XVII secolo, a
cura di Jean Lafond Coll. Bouquins,
Parigi 1992) è quello di raccogliere in
un unica antologia i testi, per lo più
introvabili, di grandi e meno grandi
moralisti francesi del secolo di Cartesio. Istruito da una ricchissima prefazione, il lettore ha l’opportunità di accostare le riflessioni di La Rochefoucauld o di La Bruyère con le massime,
non meno perfette all’occasione, di
moralisti meno illustri come Pibrac,
Puget de la Serre, M.me de Sablé,
Urbain Chevreu.
Al centro del campo d’indagine dei moralisti del XVII secolo c’è l’uomo, interrogato e messo in questione attraverso un’analisi che si raffina sempre più nell’uso dello
scandaglio psicologico. L’indagine segue
il solco di una riflessione che si potrebbe
qualificare col titolo di antropologica. Grande è tuttavia la differenza con i pensatori
antichi nel modo di occuparsi dei costumi:
diverso lo sguardo sull’uomo, più carico di
sospetto o d’umor nero, o forse soltanto
con una maggiore carica di dubbio sulla
possibilità di mettere a nudo la complessa
fisiologia dell’animo umano. A voler riprendere il filo della storia, il precedente
letterario più significativo è da rintracciarsi
negli Essais di Montaigne, dove è rappresentata una visione dell’uomo che accorda
mirabilmente la dimensione intellettuale
con quella della scrittura. Il successo dei
moralisti viene anche dalla loro capacità di
chiudere con la tradizione “pedagogica”,
ormai esausta, del trattato, con i suoi vincoli retorici e strutturali, per inaugurare la
forma discontinua, asistematica ma ben
più agile, della trattazione per massime e
aforismi. E nondimeno c’è un ordine in
32
questa successione di pensieri apparentemente slegati, una regola che Blaise Pascal
enuncia nei termini di una «digressione su
ogni punto che mantiene il rapporto con la
conclusione, per renderla sempre evidente».
Il rinnovamento della letteratura gnomica,
a cui mirano questi scrittori-filosofi, si misura attraverso il passaggio dalla sentenza
alla massima, da intendersi non nell’accezione classica di regola di comportamento,
ma di asserzione che, mantenendo il carattere di generalità, lascia trasparire la soggettività, nell’enunciato paradossale, nell’ornamento dello stile o nella raffinatezza
psicologica dispiegata. Il progetto di mettere a nudo il cuore umano è perseguito
dunque attraverso la ricerca del consenso
del lettore, che deve prima riconoscersi per
poi aderire; punto di partenza è la descrizione puramente antropologica della condizione umana e non il postulato metafisico. Ciò vale anche per Pascal, la cui apologia del cristianesimo si fonda su di una
antropologia tragica, segnata dalla nozione
di miseria e di contraddittorietà dell’uomo.
Ad eccezione di La Bruyère, in cui a tratti
si evidenzia un tono predicatorio, le massime dei moralisti seicenteschi «lasciano da
pensare» più che far credere all’autorità
dell’enunciato. Il loro discorso, come sostiene il curatore, Jean Lafond nella cospicua prefazione, mira a trovare il suo compimento attraverso l’interpretazione attiva
del lettore. Ma questa ricerca della “complicità” del lettore non significa tuttavia
simpatia a tutti i costi per il genere umano;
il “pessimismo aristocratico”, che ha in La
Rochefoucauld il capofila, viene ad esempio criticato da F. Jeanson come strategia
di deprezzamento dell’altro in funzione
della valorizzazione narcisistica del sé: al
termine della messa in discussione dei valori, a salvarsi rimarrebbe soltanto la superiore coscienza critica dell’autore. Roland
Barthes ha visto invece in questo isolamento critico la condizione originaria dell’intellettuale moderno «il cui compito è
contestare». Restano invece incontestabili
l’originalità e la ricchezza delle analisi,
sull’uomo e le sue passioni, dei moralisti
francesi del ‘600, maestri di disincanto
anche per Nietzsche che salutava in La
Rochefoucauld il primo critico coerente
del “troppo umano”, nascosto nelle virtù
professate. E.N.
Categorie dei segni
Il volume di Charles Sanders Peirce, CATEGORIE (traduzione e cura di
Rossella Fabbrichesi Leo, Laterza,
Roma-Bari 1992) raccoglie i testi più
significativi, quasi tutti inediti o
mai tradotti in italiano, che il filosofo statunitense ha dedicato al
problema delle categorie.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Secondo Charles Sanders Peirce la dottrina delle categorie era la parte della propria riflessione più degna di essere trasmessa ai posteri: un «dono che faccio al
mondo», per citare le sue stesse parole. In
effetti Peirce, come sostiene Rossella Fabbrichesi Leo, è l’ultimo grande costruttore
di tavole categoriali dell’età contemporanea, e la questione delle categorie attraversa tutta l’evoluzione del suo pensiero, come
vuole dimostrare la scelta antologica dei
passi raccolti in questo volume. Determinante è l’incontro con Kant, che muove
Peirce al convincimento del carattere preliminare, nella ricerca filosofica, dell’elaborazione di un modello categoriale.
Il filo conduttore dei testi presentati in
questa antologia è dunque tanto logico,
quanto cronologico: la questione teoretica
delle categorie segna l’evolversi della riflessione anche da un punto di vista storiografico. Mentre nello scritto del 1861, Io,
Esso, Tu, che l’autore compose all’età di
ventidue anni, gli elementi più semplici
della realtà sono individuati nei pronomi
personali, in quello che per Peirce è il suo
«unico contributo alla filosofia», cioè il
Nuovo elenco di categorie, del 1867, emerge l’idea di una categoria fondante rispetto
alle altre, la rappresentazione. Permane
tuttavia il riconoscimento, che Peirce non
abbandonerà mai, del carattere triadico del
modello categoriale, nonché del carattere
di irriducibilità di ciascuna delle tre categorie alle altre. Non va dunque sopravvalutato il rapporto, stabilito da Peirce medesimo, fra la propria riflessione e il pensiero
hegeliano, quando il filosofo americano
sosteneva che le sue tre categorie non erano
altro che i tre stadi della dialettica di Hegel.
Occorre infatti sottolineare come a questo
proposito si tratti più della suggestione di
uno schema, che di una effettiva eredità
teoretica; piuttosto, è opportuno rilevare
come il ruolo fondativo assegnato alla rappresentazione costituisca un passo decisivo nel definirsi della prospettiva peirceana,
che in tal senso, come fa notare la curatrice,
si lascia abbracciare da uno sguardo unitario, quello del configurarsi della cosmologia peirceana come semiotica.
L’unitarietà della rappresentazione ha un
carattere interpretativo; essa è infatti fornita, al di là del rapporto diadico fra il segno
e il suo denotato, dall’elemento triadico
dell’Interpretante, il cui accadere ermeneutico struttura in realtà le impressioni
confuse. Logica e ontologia dunque coincidono, caratterizzandosi entrambe come
semiotica: i modi dell’essere divengono
modi del segno. Il progressivo formalizzarsi dell'analisi categoriale in Peirce, nel corso dell’evolversi della sua riflessione - di
cui è testimonianza lo scritto inedito Uno,
Due, Tre del 1885, dove le tre categorie
vengono semplicemente denominate Primo, Secondo, Terzo - va di pari passo con
il tentativo, che questi intraprende, di applicare l’apparato categoriale ai differenti
campi disciplinari dell’umana conoscenza.
D’altra parte, non è questo il cammino con
il quale Peirce approda alla “faneroscopia”, cioè alla prospettiva fenomenologica
che, dopo il 1904, attraverso le categorie di
Primità, Secondità e Terzità, reinterpreta il
reale. Esiste in Peirce una linea evolutiva,
i cui momenti di continuità prevalgono su
quelli di discontinuità. In verità, osserva
Fabbrichesi Leo, le tre categorie diventano, a questo punto, difficilmente distinguibili; se il Primo è l’idea dell’essere, nell’indipendenza da altro, e il Secondo l’idea di
essere, relativamente a qualcosa, solo la
Terzità rende il Primo e il Secondo rappresentabili, e costituisce la nozione di legge,
cioè di realtà. Ma se la Terzità dà la parola
al Primo e al Secondo, nel contempo li
tradisce, rendendo rappresentabile ciò che
“in sé” non è rappresentabile: dovendo
esprimersi attraverso essi, essa si trasfigura
e li trasfigura, nel luogo del comune coessere che è l’esperienza. F.C.
L’antropologia filosofica
di Humboldt
Jean Quillien, che a Humboldt aveva
già consacrato nel 1983 uno studio dal
titolo: HUMBOLDT E LA GRECIA. MODÈLE ET
HISTOIRE (Humboldt e la Grecia. Modello e storia), ha pubblicato recentemente una monumentale ricostruzione della vicenda intellettuale di questo pensatore dell’epoca di Goethe,
L’ANTHROPOLOGIE PHILOSOPHIQUE DE G. DE
HUMBOLDT (L’antropologia filosofica di
W. von Humboldt, PUL, Lille 1991), che
per un intero anno ha suscitato in
Francia una certa discussione, divenendo un’opera imprescindibile per
gli specialisti non solo di Humboldt,
ma anche dell’antropologia linguistica.
La prima parte, “La genèse du problème
anthropologique” (La genesi del problema
antropologico), dello studio di Jean Quillien, ripercorre il periodo di “apprendistato” di un filosofo la cui struttura di pensiero
raggiunge la sua configurazione nel decennio 1790-1800. Wilhelm von Humboldt
si avvale di tre fonti filosofiche:
l’Aufklärung (Campe, Engel, Dohm), il
“realismo” affascinante di Jacobi, e una
lettura approfondita di Kant. Segue poi un
ampio resoconto dei viaggi di Humboldt a
Parigi e poi in Grecia, al ritorno dai quali,
a Jena nel 1794, egli si dedica principalmente, con Schiller, ai problemi della creazione estetica e dell’immaginazione poetica. Dal 1797 al 1801 Humboldt è di nuovo
a Parigi, dove, secondo Quillien, inizia a
interessarsi al problema del linguaggio.
Nella seconda parte del volume, “L’anthropologie philosophique” (L’antropologia filosofica), Quillien rivendica la dimensione filosofica della riflessione di
33
Humboldt, o per meglio dire, della riflessione antropologica, a cui l’investigazione
sul linguaggio non apporterebbe nulla di
decisivo. Lo scopo dell’antropologia filosofica di Humboldt è la comprensione dell’individualità attraverso l’immaginazione, facoltà in grado di coniugare gli approcci dello storico, del naturalista e del filosofo. A questo proposito Quillien si sofferma
lungamente sulla fascinazione di Humboldt per l’anatomia comparativa di Goethe,
per la fisiognomica di Lavater e per la
“fisiognomica naturale” del fratello Alessandro. Il concetto unificante questi vari
ambiti del sapere è quello di forza, che
Humboldt va elaborando come “energia” e
che ne rende originale la posizione rispetto
alla filosofia della storia e alla riflessione
morale dell’epoca.
La discussione fra specialisti e non riguardo a questa ricostruzione preziosa, documentata e originale del pensiero humboldtiano, ha messo in evidenza tesi di fondo
di Quillien, che sostiene la totale indipendenza dell’antropologia rispetto a ciò che
non ne sarebbe che la “trasposizione” in
termini di linguaggio. Che il passaggio
dall’antropologia allo studio linguistico non
modifichi affatto la riflessione di Humboldt, è idea centrale di Quillien, giustificata,
da un lato, dall’immenso lavoro di ricostruzione genetica del pensiero dell’autore tedesco, dall’altro, dal fatto che numerosi
“assiomi” della filosofia del linguaggio
humboldtiana siano già presenti in contesti
non linguistici negli anni di formazione (in
particolare la nozione di energia e la celebre formula «perseguire scopi infiniti con
mezzi finiti»). Così diversi commentatori
hanno notato come Quillien “trascuri”, in
un certo qual modo, l’originalità di Humboldt, consistente nell’approccio trascendentale al linguaggio e alle condizioni del
pensiero. F.M.Z.
L’antropologia filosofica
di Plessner
Lo studio di Stephan Pietrowicz dal
titolo: HELMUTH PLESSNER. GENESE UND
SYSTEM SEINES PHILOSOPHISCH-ANTROPOLOGISCHEN DENKENS (Helmuth Plessner.
Genesi e sistema del suo pensiero filosofico-antropologico, Alber, Freiburg
i.Br.-München 1992) intende offrire
un’immagine complessiva dell’antropologia filosofica di Plessner - pensatore di rilievo, ancora poco conosciuto
in Italia - ricostruendo il contesto storico-culturale e filosofico in cui si è
sviluppato il pensiero del filosofo.
Secondo Stephan Pietrowicz l’antropologia filosofica di Helmuth Plessner si sviluppa in un rapporto critico con l’antropologia di Kant. Questi aveva diviso tale
ambito del sapere in due parti: la conoscen-
PROSPETTIVE DI RICERCA
za “fisiologica” dell’essere umano (che
considera l’uomo come parte della natura)
e quella “pragmatica” (che lo indaga in
quanto essere che agisce liberamente in
vista di scopi pratici), ponendo così una
scissione tra l’uomo considerato come corpo, oggetto della scienza della natura, e
l’uomo come soggettività, che stabilisce
liberamente valori e scopi, oggetto della
riflessione filosofica. Il tentativo di Plessner è quello di gettare un ponte, nell’antropologia filosofica, tra la considerazione
biologica e quella culturale dell’essere
umano. In questo senso Pietrowicz interpreta i primi scritti di Plessner, dedicati a
Kant, come una preparazione all’opera principale del 1928, Die stufen des Organischen und der Mensch (I livelli dell’organico e l’uomo).
Il modello kantiano di una scissione tra
corpo e spirito (o quello cartesiano di una
separazione tra sostanza estesa e sostanza
pensante) non era però l’unico da cui Plessner poteva attingere elementi per la propria antropologia filosofica. In Germania
le scienze della storia e dello spirito avevano iniziato già nel secolo XVIII a indagare
l’uomo come essere storico e culturale,
come essere vivente creativo che si esprime nelle diverse culture ed epoche storiche. Wilhelm Dilthey aveva cercato, con
la sua “critica della ragione storica”, non
solo di offrire un fondamento gnoseologico alle scienze dello spirito, ma anche di
utilizzare i risultati di tali scienze e il loro
modello conoscitivo psicologico-ermeneutico al fine di sviluppare un’immagine globale del mondo umano, storico e spirituale.
Su un versante opposto, quello di una considerazione “fisiologica” dell’umano, la
biologia dell’evoluzione considerava l’essere umano come appartenente alla storia naturale del vivente e ne riduceva
ogni facoltà autonoma o spirituale a mera
funzione di autoconservazione del corpo. Pietrowicz mostra come in tale contesto Plessner abbia tentato di superare
l’opposizione tra i due poli dialettici del
problema attraverso una sorta di arte
combinatoria. Importante, in questo tentativo, è l’influsso della fenomenologia:
Edmund Husserl, con il suo metodo
della riduzione a ciò che è dato in modo
evidente alla coscienza, e Max Scheler,
che applica tale metodo allo studio dell’uomo, rendono Plessner consapevole
della necessità di prendere le mosse,
nell’indagine filosofica, dall’uomo considerato come essere vivente unitario.
Significativa è anche, per lo sviluppo del
progetto teorico plessneriano, la figura di
Georg Misch (allievo di Dilthey e docente
fino al 1933 nell’Università di Göttingen),
che partendo dalla filosofia diltheyana si
proponeva di sviluppare una logica ermeneutica e una fondazione filosofica del
mondo della cultura adeguate al punto di
vista raggiunto dalla Lebensphilosophie.
Per quanto riguarda invece i fondamenti
“empirici” della sua antropologia filosofi-
ca, Plessner si rivolge ai biologi-filosofi
Driesch e Uexküll.
Partendo da queste basi filosofico-scientifiche, la domanda di fondo dell’antropologia di Plessner è in che modo l’uomo è
costituito dalla natura come un essere
che agisce liberamente e secondo un
progetto? Non si tratta qui, secondo Pietrowicz, della ricerca di una teleologia
nascosta della natura, che farebbe dell’uomo un essere libero, ma di una domanda di carattere trascendentale circa
le condizioni di possibilità del vivente in
generale. Dai primi studi su Kant risulta
come Plessner accettasse l’esigenza kantiana per cui la filosofia deve giungere,
in maniera critico-costruttiva, ad un principio che non ha origine nell’esperienza,
ma che con l’esperienza deve accordarsi. Se Kant, secondo l’interpretazione
che Plessner offre del suo pensiero, aveva scelto il principio dell’unità delle
funzioni dell’intelletto, partendo dal
modello di esperienza della fisica newtoniana, il compito di un’antropologia filosofica è ora quello di giungere ad un
principio che renda conto del livello di
esperienza delle scienze della vita e della cultura.
In questo tentativo, Plessner segue due
direzioni. Per quanto riguarda il lato
biologico-naturale del problema, il concetto di “confine” (Grenze) è la condizione di possibilità del corpo vivente in
generale, che è sempre caratterizzato
dalla sua posizione intermedia tra soggetto e oggetto, interno ed esterno, tra
“essere” un corpo proprio ed “avere”
una corporeità naturale. L’uomo, come
tutto il vivente, occupa sempre una posizione in un ambiente. Ma la sua caratteristica specifica, che lo differenzia dagli
altri animali, è di prendere distanza rispetto a tale ambiente in quanto gli è
dato nella percezione e nella coscienza:
l’essere umano è così definito per Plessner dalla categoria di “posizionalità
eccentrica”, che esprime la forma umana
particolare della generale struttura “posizionata” del vivente. Per quanto riguarda l’altro aspetto del problema antropologico (l’uomo come essere storico
e culturale), Plessner afferma che l’essere umano si mostra, nel medium delle
sue culture, come un essere naturale che
deve realizzarsi in maniera “artificiale”
per giungere all’ ”equilibrio” e all’espressione di se stesso. Viene così evitata
ogni immediatezza: l’uomo esprime la
sua essenza solo attraverso una mediazione artificiale nella dimensione della
cultura e della storia. Attraverso l’esperienza storica l’uomo resta qualcosa di
“ambiguo” e “insondabile”, e resta una
“domanda aperta” a cui si può tentare di
rispondere attraverso un’ermeneutica
della diversità. Riecheggiando una categoria teologica, Plessner parla, a questo
proposito, anche di un homo absconditus, trasferendo così all’uomo (secondo
Pietrowicz, in una “svolta antropologi34
pensabile, ma non conoscibile, di ogni
cultura. M.M.
Max Weber: politica e scienza
come professione
Nell’edizione delle opere complete di
Max Weber sono stati recentemente
ristampati due saggi: WISSENSCHAFT ALS
BERUF E POLITIK ALS BERUF (Scienza come
professione e Politica come professione, a cura di Wolfgang J. Mommsen e
Wolfgang Schluchter in collaborazione con Birgitt Morgenbrod, in MAX
WEBER GESAMTAUSGABE, parte I: “Scritti
e discorsi”, J. C. B. Mohr, Tübingen
1992) che, assieme al celebre studio su
L’ETICA PROTESTANTE E LO SPIRITO DEL CAPI TALISMO , si trovano alla base del grande influsso del sociologo, storico e
filosofo Weber sulla cultura contemporanea.
Nel gennaio 1919 Max Weber aveva tenuto a Monaco di Baviera due conferenze,
seguite da un vasto pubblico di studenti,
intellettuali e militanti politici, che sarebbero poi state pubblicate sotto forma di
saggio e sarebbero diventate due delle sue
opere più lette e influenti. In Wissenschaft
als Beruf e in Politik als Beruf Weber
presenta infatti alcuni elementi tipici e fondamentali della propria visione del mondo
moderno e della funzione dell’attività scientifica e politica in esso. La nuova edizione
di questi scritti nella Max Webers Gesamtausgabe (Edizione completa delle
opere di Max Weber) riunisce ora in un
unico volume i due testi, precedentemente
disponibili in edizioni separate.
Oltre che da un apparato di note, il volume
è arricchito da un’introduzione di Wolfgang Schluchter, che situa i due testi nel
contesto dell’opera complessiva di Weber,
e dalle note editoriali di Wolfgang J. Mommsen, che discute e chiarisce le questioni
relative alla datazione delle conferenze e
ricostruisce la situazione storica in cui esse
vanno inserite. La fortuna di questi due
saggi di Weber è stata probabilmente in
gran parte legata al loro carattere originario
di conferenze. Di questa modalità espositiva i saggi mantengono la forza comunicativa, la brevità e la pregnanza delle formulazioni. Sarebbe tuttavia fuorviante leggere questi pur importanti testi di Weber
come un’introduzione di carattere generale
al suo pensiero e alla sua concezione della
sociologia e dell’attività politica e intellettuale.
Proprio per la necessità di semplificare,
che si impone al conferenziere di fronte al
grande pubblico, i due testi trasmettono
un’immagine per certi aspetti unilaterale
della sfera di pensiero weberiana, caratterizzata invece da tensioni e contraddizioni.
Wissenschaft als Beruf rende conto delle
tonalità positive (e talvolta di esaltazione)
PROSPETTIVE DI RICERCA
Max Weber e Francis Bacon
con cui Weber presenta il mondo moderno,
razionalizzato e amministrato: la trasformazione delle università in grandi imprese
scientifiche; il rapporto tra la vocazione
interiore alla scienza e il processo di intellettualizzazione e di disincanto del mondo;
il problema del senso della scienza nella
modernità. Politik als Beruf presenta invece alcuni temi classici dell’indagine weberiana: la sociologia del dominio; la storia
dello sviluppo dello stato moderno e la sua
tipologia; la sociologia dei partiti e del
parlamentarismo; la descrizione delle virtù
del politico e la discussione del rapporto tra
etica e politica. Da questi testi resta però
escluso quello che secondo alcuni interpreti è il lato “oscuro” e “demonico” del pensiero e della personalità di Weber; ugualmente non emerge quell’immagine critica
della modernità che, pur con una valutazione ideologica di segno opposto, avvicina
Weber ad alcuni punti di vista della critica
della modernità formulata da pensatori
come Tönnies, Simmel, Klages, il giovane Lukács e il fratello Alfred Weber.
Così, ad esempio, pur dando una valutazione nettamente positiva del mondo moderno
con la sua crescente differenziazione della
vita in ambiti separati, con la sua burocratizzazione e razionalizzazione, Weber descrive l’affermazione della modernità attraverso immagini di morte, irrigidimento,
soffocamento, congelamento.
Questa contradditorietà o tensione tra un
Weber che vede i limiti e i rischi della
“gabbia d’acciaio” della razionalizzazione
della vita, ma che anche considera tale
processo come sostanzialmente positivo e
ineludibile (prendendo così distanza rispetto
alle critiche provenienti dai circoli letterari
e dai citati intellettuali e filosofi dell’epoca) si esprime in alcuni punti di Politik als
Beruf. Qui troviamo alcuni grandi temi
introdotti da Weber nella cultura contemporanea: l’opposizione tra un’etica “della
convinzione” (Gesinnungsethik), orientata
in base a principi e valori, e un’etica “della
responsabilità”, che tiene conto degli effetti e delle conseguenze dell’agire umano e
che per questo è secondo Weber in grado di
rispondere alle esigenze dell’età moderna;
il contrasto tra giudizi scientifici e giudizi
di valore, e l’esclusione di questi ultimi (se
non al livello della scelta degli oggetti di
studio) dall’edificio della scienza; il dissidio tra una politica intesa come gestione e
amministrazione dell’esistente e una politica che, attraverso l’opera di grandi individui dotati di carisma, prepara nuove possibilità e apre nuovi orizzonti. E su questo
punto Weber, che pure intende contribuire
al successo della nuova democrazia tedesca della repubblica di Weimar (dopo la
guerra egli fu tra l’altro consigliere nella
stesura della costituzione), sembra tendere, nel profondo, non verso la figura del
politico amministratore, ma del politico
individuo d’eccezione, lasciando così tra35
pelare quel coté della sua formazione culturale che è debitore delle grandi critiche
tedesche di una razionalità di carattere puramente strumentale o intellettualistica, e
quel lato della sua personalità che tendeva
verso l’oscuro e l’irrazionale. M.M.
Francis Bacon:
ministro della conoscenza
E’ stata recentemente pubblicata una
monografia su Francis Bacon di Jiulian Martin, FRANCIS BACON, THE STATE,
AND THE REFORM OF NATURAL PHILOSOPHY
(Francis Bacon, lo stato e la riforma
della filosofia naturale, Cambridge
University Press, Cambridge 1992), che
propone un’interpretazione del filosofo che in un certo senso assoggetta
l’interesse scientifico dell’opera di
questo autore al suo intento politico
di rendere l’Inghilterra un grande e
prospero impero.
Per Jiulian Martin la versatilità speculativa di cui Francisc Bacon seppe dare ragione non dà semplicemente adito a un insieme considerevole, anche se scollegato, di
risultati, quanto piuttosto è indice di
un’unità essenziale del suo pensiero. Non
fu un caso che Bacon si interessò proprio
di politica, di legge e di scienza naturale.
Nell’insieme del suo pensiero queste tre
aree sono parte di un progetto articolato,
e nessuna di esse può essere compresa
PROSPETTIVE DI RICERCA
senza le altre. Tenendo conto delle circostanze che lo conducono verso la carriera politica, risulta plausibile che l’ambizione filosofica di Bacone s’identificasse con la necessità politica di proporre un vasto programma di progresso sociale.
Ciò che emerge in particolare dal suo pensiero politico, osserva Martin, è una visione coerente, in cui il livello più alto del
governo esercita una supervisione sui pubblici uffici, cercando di razionalizzare le
leggi, di rendersi responsabile dei progressi della conoscenza, di fare il miglior uso
dell’esperienza e della saggezza per render
l’Inghilterra un grande impero. L’originalità dell’analisi del pensiero di Bacon proposta da Martin sta nel mostrare lo strettissimo legame che intercorre tra l’impegno
politico del filosofo ed il corpus del suo
pensiero. Una tale interpretazione tuttavia
è sottoposta al rischio di considerare la
filosofia naturale di Bacone in relazione al
contesto politico, sottovalutando il puro e
semplice interesse di Bacon per la scienza
e la ricerca. La passione di Bacon per la
conoscenza va ben al di là dell’intento
politico di far progredire l’Inghilterra, come
invece sembra suggerire l’analisi di Martin. V.R.
L’estetica dell’esperienza
Raccolta di testi in parte inediti, e comunque per la prima volta tradotti in
italiano, il volume di Wilhelm Dilthey,
ESTETICA E POETICA. MATERIALI EDITI E INEDITI (traduzione a cura di Giovanni Matteucci, Franco Angeli, Milano 1992)
ricostruisce il percorso del filosofo tedesco nell’ambito del dominio estetico, inteso qui in un’accezione che ne
mette in evidenza il carattere esorbitante rispetto a quello dell’esperienza
artistica.
Come avverte Giovanni Matteucci all’inizio dell’utilissimo saggio introduttivo a questa raccolta, l’intento di una
ricostruzione sistematica del pensiero di
Wilhelm Dilthey, anche limitato all’ambito delle sue riflessioni in campo estetico, rischia di costituire un intralcio, se
assunto come un dato di fatto nello sviluppo oggettivo della riflessione diltheyana in campo estetico, ma può essere
fecondo, se utilizzato come ipotesi metodologica per l’individuazione, in essa,
di un filo conduttore. Una costante della
riflessione estetica diltheyana è la distinzione, cui Dilthey tiene fermo, tra
esperienza estetica e artistica. I due termini non sono coestensivi, in quanto la
seconda è un caso particolare della prima o, come sostiene Dilthey, una sua
“formalizzazione tipica”; qui il concetto
di “tipico” indica appunto il carattere di
irriducibile singolarità del momento individuale, nel quale si estrinsecano le
forze che “in generale” agiscono nel campo estetico. L’esperienza artistica è dunque un “caso particolare” di quella estetica; per comprendere appieno la prima
occorre ricondurla alla seconda, visto
che non solo i principi, ma la possibilità
stessa di un’esperienza artistica, così
come essa si manifesta tanto nel momento creativo, quanto in quello fruitivo,
riposano sull’esistenza di strutture universali, cioè comuni a tutti gli uomini in
quanto tali.
L’esperienza estetica si presenta ora
come modello su cui si struttura la comprensione conoscitiva dell’uomo, al cui
interno viene ricondotta l’esperienza artistica. L’eredità kantiana presente in
questa impostazione è evidente per almeno due aspetti. In primo luogo la nozione di “universalità” è inerente alle
strutture conoscitive, concepite come
“estetiche”, e determina scientificamente la ricerca delle strutture fondamentali
dell’esperienza; le scienze dello spirito
si qualificano come “scienze” in virtù
appunto dell’ “oggettività”, intesa, in
senso kantiano, come “universalità”,
delle strutture conoscitive individuate
attraverso l’analisi. In secondo luogo,
nel carattere preliminare di queste stesse
strutture, nella loro trascendentalità rispetto all’esperienza, è presente un indubbio momento di contiguità fra l’approccio kantiano e quello diltheyano. Da
ciò deriva anche il fenomenismo antipsicologistico che accomuna Dilthey a Kant,
in quanto nelle nozioni psicologiste viene ravvisata una carenza di radicalità
fondativa. Il distacco da Kant avviene in
rapporto al concetto centrale di esperienza, o meglio di “vissuto d’esperienza” (Erlebnis); il tentativo fondativo di
Dilthey si determina come antiformalistico, dove la cifra dell’esperienza estetica risiede nel coappartenersi di vissuto
(Erlebnis) e forma (Gestalt), nel tradursi
dell’uno nell’altra nella rappresentazione intuitiva della vita, ovvero nel carattere vitale che il sentimento conferisce
alla forma intuitiva.
La nozione di “vita” diventa dunque il
discrimine tra il formalismo criticista e
la “fondazione” diltheyana che vuole
por capo a una «conoscenza storica dell’umano», a partire dalla quale affermare l’intrascendibilità della vita stessa, il
suo non poter essere «lasciata dietro le
spalle». Ed è a partire dalla nozione di
Erlebnis, nel suo carattere ontologicofondativo, che può essere messa a fuoco
la critica di Dilthey alla metafisica, un
altro filo conduttore che percorre tutto
l’evolversi della riflessione diltheyana.
Alla metafisica Dilthey riconosce una
valenza positiva in rapporto al requisito
essenziale di scientificità, cioè di validità oggettiva, in quanto universale, implicita nel carattere sovrastorico delle verità metafisiche. D’altra parte, proprio
36
questa sovrastoricità riduce le categorie
della metafisica a strutture rigide e chiuse, a schemi che, sovrapposti all’esperienza estetica e a quella artistica, non
solo non sono in grado di darne conto,
ma anzi le annullano. F.C.
Le prefazioni di Nietzsche
L’edizione italiana di materiali appartenenti a periodi differenti della produzione di Friedrich Nietzsche, FRAMMENTI POSTUMI 1872-1874 (trad. it. di
Sossio Giametta, Adelphi, Milano
1992) e quella di cinque prefazioni,
presentate con il titolo di TENTATIVO DI
AUTOCRITICA (trad. it. e introd. a cura di
Marco Brusotti, Il Melangolo, Genova
1992) offrono l’occasione per riportare
il discorso sul pensatore tedesco e
sulla fortuna della sua opera. L’edizione critica di quest’ultima, come è noto,
ha avuto il curioso destino di essere
curata da due studiosi non tedeschi,
Giorgio Colli e Mazzino Montinari, che
peraltro differivano sensibilmente nel
loro personale approccio alla filosofia
e al pensiero nietzscheano. Di Montinari segnaliamo qui la recente pubblicazione di un breve studio interpretativo: L’ARTE DI LEGGERE NIETZSCHE (Ponte
alle Grazie, Firenze 1992).
I Frammenti postumi 1872-1874 appartengono al periodo che intercorre fra La nascita della tragedia e La filosofia nell’epoca
tragica dei Greci. E’ il periodo in cui l’attenzione di Friedrich Nietzsche si rivolge
al tentativo di definire il rapporto tra l’elemento apollineo e quello dionisiaco, trovando nell’arte il luogo del loro intrecciarsi. L’elemento dionisiaco che emerge dalla
tragedia appare come la verità sotterranea e
inquietante, l’elemento perturbante che
sconvolge la serenità dell’animo greco,
rappresentata dagli dei olimpici, dall’arte
statuaria e dall’architettura. Tale sconvolgimento non viene però all’animo greco
dall’esterno; quella serenità è anzi una
maschera funzionale al rapporto con l’elemento perturbante e nella continuità di
questa funzione di mascheramento, che è al
contempo mediazione, risiede la continuità
fra la religione dei Greci e la loro filosofia.
L’una e l’altra ricoprono il medesimo ruolo: permettere all’uomo greco di vivere
nella consapevolezza della verità della propria esistenza. Ma, in quest’opera di dissimulazione, la filosofia va troppo oltre; l’impianto che essa costruisce, la metafisica,
pone la questione del vero, pretende per sé
la verità e dunque richiede nei suoi stessi
confronti che s’intraprenda un’opera di
smascheramento e se ne scopra la genealogia, il luogo d’origine.
E’ precisamente questo luogo, il “da dove”
dell’ ”anelito alla bellezza”, e ancor più il
TESTATINA
“da dove” dell’ ”anelito al brutto”, ciò che
nel 1886, quattordici anni dopo la prima
edizione della Nascita della tragedia, in un
“tentativo di autocritica”, Nietzsche ritiene
di dover precisare con un’evidenza maggiore rispetto al proprio scritto giovanile.
Tentativo di autocritica è infatti il titolo del
volume che raccoglie cinque nuove prefazioni, composte da Nietzsche fra il 1886 e
il 1887, a cinque sue opere precedentemente pubblicate, tra cui La nascita della tragedia. Un’operazione teoretica e non “editoriale”, motivata da una ricollocazione delle
opere del periodo giovanile, quello della
scoperta del ruolo dell’elemento dionisiaco, e di quelle del periodo “illuminista”,
Umano, troppo umano, La Gaia Scienza,
Aurora, Sulla genealogia della morale.
Dopo lo Zarathustra Nietzsche sente infatti il bisogno di puntualizzare la propria
estraneità al proposito, perseguito negli
anni ai quali si riferiscono i Frammenti, di
«vedere la scienza sotto l’ottica dell’artista, l’arte sotto quella della vita». Il “sì alla
vita” zarathustriano ha da tempo preso le
distanze da qualsiasi ottimismo, oltre che
dal pessimismo “romantico”, quello dei
deboli, dei malriusciti, dei vinti.
Uno dei principali obiettivi polemici di
queste prefazioni è la morale stessa, che era
apparsa come fondamento della metafisica
e viene ora relegata non nel mondo delle
apparenze, «nel senso del terminus technicus», come dice Nietzsche, ma nel campo
delle vere e proprie illusioni. Gli scritti del
periodo dei Frammenti hanno la “colpa”,
per Nietzsche, di trattare con un intento “da
studioso”, e attraverso la mediazione di
Wagner e Schopenhauer, di questioni di
cui egli avrebbe potuto parlare per esperienza diretta. Come nota Marco Brusotti
nell’Introduzione, proprio la svolta verso il
ben noto e peculiare “autobiografismo”
nietzscheano è il filo che lega queste prefazioni e il tentativo teoretico che sottendono. Così la questione principe del periodo
illuminista, quella della genealogia della
morale, viene addirittura retrodatata da
Nietzsche a un’esperienza dell’epoca dei
suoi tredici anni, nel tentativo di fornire
una chiave di lettura univoca, a partire
dallo Zarathustra, della sua produzione
precedente.
Proprio intorno alla questione della “chiave” per accedere all’opera di Nietzsche si è
sviluppata la storia della travagliata ricezione di Nietzsche. In questa prospettiva
rientra anche il fatto che siano stati due
studiosi non tedeschi, Giorgio Colli e
Mazzino Montinari, a curare, a partire dal
1967, l’edizione critica dell’opera nietzscheana da punti di vista per certi aspetti
addirittura conflittuali. La dimensione oracolare della riflessione nietzscheana, e quindi il permanere e l’inverarsi dell’elemento
dionisiaco nel canto zarathustriano, erano
per Colli i caratteri essenziali del pensiero
di Nietzsche. Per quanto riguarda invece
Montinari, benché nell’edizione critica egli
abbia sempre interpretato il proprio ruolo
più nella prospettiva di un’esegesi storico-
NOTIZIARIO
Nel corso di una ricerca presso l’Archivio di Stato di Amburgo lo studioso Günther Baum ha scoperto una
lettera di KANT finora sconosciuta.
Nella lettera, indirizzata nell’ottobre
1794 al suo allievo Friedrich August
Nitsch, che teneva a Londra un corso
sulla filosofia del maestro, Kant delinea alcuni principi fondamentali del
suo pensiero, e dà a Nitsch alcuni
consigli di carattere didattico, da utilizzare nelle lezioni. A Baum si deve
anche la scoperta, nel 1986, dei primi
quattro manoscritti dello scritto di
Kant Sulla pace perpetua.
Gli esiti più significativi dell’attività
di studio e di ricerca che la Fondazione Collegio San Carlo svolge da oltre
vent’anni nell’ambito della filosofia,
delle scienze sociali e delle scienze
religiose, saranno raccolti nella collana PUNTI CRITICI. L’orizzonte
delle riflessioni è circoscritto da uno
sguardo filosofico e storico-antropologico sull’esperienza e sulle modalità in cui le forme dell’esperienza si
sono costituite nel tempo. Autori, temi
e questioni, che di volta in volta prendono risalto su questo sfondo (le istituzioni che organizzano il senso, gli
atteggiamenti verso il tempo e gli
oggetti, la tensione tra identità e differenza), danno luogo a campi di tensione che interpellano e connettono
trasversalmente le diverse scienze
dell’uomo. Sui singoli punti viene
così operata una pressione che, scomponendo quegli universi di sapere che
si pongono come autosufficienti, mira
a riattivare il pensiero critico e a riconsegnare alla ricerca il suo carattere problematico. Tra i titoli in programmazione: L’esperienza delle
cose; Esodo, paradigma dell’attesa.
Dal 1989, a cadenza annuale, è apparsa in Spagna la rivista di filosofia
DAIMON, a cura del Dipartimento di
Logica e Filosofia dell’Università di
Murcia. Lo scopo di questa rivista è
quella di aprire uno spazio alle ricerche in merito a qualsiasi campo delle
discipline di filosofia. Il titolo della
rivista indica l’idea di un progetto di
ricerca aperto, che rifiuta qualsiasi
impostazione dogmatica e che si pone
invece in una prospettiva pluralistica
di ricerca. Molteplici sono naturalmente le tematiche toccate nel corso
37
di questi quattro anni di vita, anche se
appare senz’altro privilegiata l’area
delle problematiche legate alla riflessione contemporanea; infatti al centro del primo numero della rivista
troviamo una serie di interventi dedicati a Habermas; il secondo numero
(1990) è dedicato a Wittgenstein; il
terzo (1991) alla teoria dell’azione.
Per il 1994, duecentesimo anniversario della comparsa dei Fondamenti
della dottrina della scienza, è prevista l’uscita di un numero monografico dedicato a Fichte. Lo scopo di
questa iniziativa è quello di focalizzare le tematiche di individualità e
comunità attraverso le figure più significative dell’idealismo tedesco in
campo morale, religioso, giuridico e
politico; verrà anche fornita l’occasione per fare il punto sul dibattito
internazionale della critica fichtiana.
Dalla collaborazione del Centro di
Studi Tomistici di Modena con l’Istituto di Studi Politici Economici Sociali di Bologna è nata la rivista CONTRATTO (Il polografico, Padova, due
numeri all’anno), il cui intento fondamentale è quello di aprire uno spazio
di confronto e di dibattito fra la tradizione metafisica tomista e alcuni percorsi del pensiero filosofico contemporaneo. Lo scopo è di allargare l’orizzonte della ricerca filosofica attraverso un serio confronto critico tra realtà
culturali diverse, al di là di una sterile
settorialità e della logica dominante
della specializzazione. La rivista si
struttura in due sezioni, una d’ispirazione tomista e l’altra tesa a far emergere tematiche ed autori legati più
direttamente alle tendenze dominanti
della riflessione contemporanea, con
particolare riguardo alle sollecitazioni provenienti dall’ermeneutica.
Nel numero 1 (novembre 1992) la
parte tomista è dedicata al tema: “Gnosi e nichilismo”, a cura di E. Corradi;
la questione fondamentale che qui
viene affrontata è quella dell’individuazione delle istanze teoretiche che
soggiacciono ad una soteriologia secolarizzata. Gran parte della cultura
contemporanea, priva ormai di un
reale riferimento al trascendente, sembra tradurre questa assenza in un’inesplicabile volontà di non-senso sulla
base del tacito presupposto di una
possibile autosalvazione.
La parte di filosofia contemporanea,
centrata sul tema: “Ermeneutiche leopardiane”, affronta il problema del
pensiero poetante in rapporto ai destini della filosofia occidentale. Attraverso interpretazioni forti del poeta di
Recanati si tenta di delineare un possibile cammino verso quella regione
dove poesia e filosofia sono chiamate
ad interrogarsi. Per il numero 2 (maggio 1993) è previsto come tema centrale “Heidegger e l’etica”.
CONVEGNI E SEMINARI
Edouard Bonè (in alto), Evandro Agazzi (a sinistra), Ilya Prigogine, Georges C. Anawati, Jean Louis
Leuba (in basso)
38
CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
L’immagine dell’uomo
All’Istituto Suor Orsola Benincasa di
Napoli il 4 e il 5 giugno Evandro Agazzi, Ilya Prigogine, Vittorio Mathieu,
Georges C. Anawati, Jean Louis Leuba e numerosi altri scienziati, antropologi, teologi, filosofi hanno discusso delle INTERPRETAZIONI ATTUALI DELL’UOMO FRA FILOSOFIA SCIENZA E RELIGIONE.
Nella relazione che ha introdotto i lavori,
Evandro Agazzi ha illustrato il programma del convegno il cui telos è stato quello
di incrociare e integrare le grandi aree
linguistiche e di ricerca che oggi cercano di
definire il modello dell’umano: dalla fisica,
la biologia, la genetica, l’informatica, alla
religione cristiana, islamica, buddhista, alla
psicologia, l’antropologia, la filosofia ermeneutica e la fenomenologia. La modellizzazione dell’umano procede infatti per
approcci globalizzanti e intuizionistici, da
un lato, e per approcci analitici e settoriali,
dall’altro, senza che si giunga ad una loro
integrazione significativa. La problematicità della nozione di umano è, secondo
Agazzi, espressione della mancanza di un
punto di convergenza e di focalizzazione
delle conoscenze in favore di una trasmigrazione accellerata di categorie e modelli
da un campo all’altro del sapere, con il
conseguente abbattimento delle frontiere
disciplinari, senza tuttavia giungere ad alcuna unificazione paradigmatica.
Jean Louis Leuba ha indagato lo spazio
inter-confessionale della religiosità come
ambito di un domandare esterno allo spazio
della Ragione, di una interrogazione continua oltre il limite del comprensibile e dello
spiegabile che apre allo spazio dell’Altro
Totale al fine di dischiudere un rapporto ad
esso che sia di rinascita e di abbandono. La
vera religione si distinguerà dalla falsa
religione proprio in base a questa spinta
liberatrice che emancipa l’umano da se
stesso.
Edouard Bonè, dell’Accademia Internazionale di Filosofia della Scienza, ha aperto la serie delle relazioni di argomento
scientifico prendendo in esame lo stato
attuale delle teorie evoluzionistiche, per
ciò che attiene alla specie umana. Il punto
di approdo delle teorie evoluzionistiche del
passato è la concezione della specie umana
come frutto di un evento irripetibile che ha
segnato la nascita di una specie unica,
quella umana appunto, dotata di caratteri
biologici (e culturali) straordinari: è l’ipotesi della coupure anthropologique. Questa teoria ha ricevuto recentemente una
nuova formulazione che individua l’origine della specie umana nella combinazione
di ben tre differenti specie pre-esistenti. La
specie umana sembra peraltro essere ad un
punto critico della sua evoluzione in quanto
è giunta a porsi il problema della padronanza delle proprie facoltà biotecnologiche: il
problema etico. Il Premio Nobel Ilya Prigogine ha invece affrontato l’ambito delle
scienze naturali del nostro tempo dal punto
di vista dello studio dei fenomeni naturali
sotto l’aspetto della variabilità piuttosto
che sotto l’aspetto, “classico”, dell’invarianza. La legge di natura oggi non indaga
più un tempo omogeneo, senza passato né
futuro, ma piuttosto un tempo eterogeneo e
irreversibile, direzionato verso mete che si
strutturano nel corso del processo stesso.
Ciò significa che la nascita della specie
umana in seno alla natura è solo uno degli
eventi della storia della natura e non certo
l’Evento unico e formidabile che giunge,
per caso o per necessità, a violare le leggi
dell’identità del sistema. I sistemi giungono a punti di disequilibrio, detti “punti di
biforcazione”, rispetto ai quali non può
attagliarsi alcuno schema perdittivo, ma
ciò non esclude che, al di là della biforcazione, si manifesti una nuova regolarità a
cui si possa applicare un modello deduttivo. La scienza della natura del XX secolo si
è incorporata, con il concetto di tempo
qualitativo, la nozione di irreversibilità e
quella di probabilità, dalle quali scaturisce
una immagine ottimistica dell’Universo e
del ruolo della specie umana in esso.
Giuseppe Del Re si è soffermato sulle
emergenze attuali di quei settori della bioscienza che sono volti allo studio e alla
manipolazione della materia vivente: genetica, ecologia, medicina. In tali settori gli
interrogativi etici si affiancano sempre più
spesso ai tradizionali problemi scientifici
tanto da far ritenere incompleta ogni forma
di descrizione meccanicistica del rapporto
fra la specie umana e il suo ambiente.
Gunther Rager, aprendo la sezione cogni39
tivistica del convegno, ha affrontato il tema
del rapporto fra linguaggio, mente e cervello dell’uomo, riproponendo la concezione
di Eccles Popper che distingue metodologicamente il campo degli eventi mentali
dal campo dei fatti neurali e identifica il
linguaggio con un’ampia parte dell’attività
della mente umana a cui si affiancano i
processi mentali non-verbali. Sul piano della
realtà risulta invece evidente che il cervello
è la pre-condizione dei processi mentali nel
loro complesso. Leon Cassiers ha integrato la rassegna di Rager con le problematiche della discussione francese sul rapporto
fa Conscio ed Inconscio per come è stato
formulato, a partire da Freud, dalla scuola
fenomenologica e dalla scuola strutturalista di Lacan. A sintetizzare questi due approcci è la concezione auto-poietica formulata da Morvin-Maturana-Valera-Pichot
secondo la quale le differenti istanze della
mente si strutturano reciprocamente sulla
base della pulsione psicobiologica verso
un superiore equilibrio, sintesi di inconscio
e mondo. Questo costituirebbe il principio
neghentropico tipico della specie umana in
seno alla natura vivente. Vittorio Mathieu
ha invece evidenziato come il vasto territorio delle discipline ermeneutiche sia diventato il luogo fondativo di tutte le correnti
della filosofia contemporanea. L’attuale
immagine dell’uomo restituitaci dalla filosofia è quella di un animal hermeneuticus
ed appartiene simultaneamente al mondo
della natura e della cultura, al mondo dell’azione e al mondo dei valori. Mariano
Artigas, infine, ha cercato di dimostrare
come l’approccio scientifico empirico alla
natura, tipico delle scienze contemporanee, comporti un presupposto gnoseologico di tipo realistico che non esclude una
integrazione di scienza e metafisica.
Riprendendo la questione cognitivista Jean
Pierre Desclés e Jean Ladriere hanno
affrontato il tema della specificità cognitiva dell’essere umano sotto l’aspetto della
cosiddetta “Intelligenza artificiale”. Una
delle implicazioni di questa branca dell’informatica è quella di rintracciare una corrispondenza fra le operazioni mentali ridotte
a procedure esatte ripetibili attraverso macchine, dette algoritmi, e il funzionamento
dei circuiti neurali del cervello umano, con
l’intento di realizzare una omologia fra
CONVEGNI E SEMINARI
sistemi artificiali e sistemi biologici.
Ladriere peraltro ha precisato che si può
sostenere con fondatezza che il cervello
umano attivi procedure algoritmiche, o
anche che sia solo parzialmente una macchina algoritmica. D’altra parte vi è una
pluralità di atti, sentimenti e volizioni che
non si lasciano facilmente unificare in procedure di tipo algoritmico. Lo scarto fra
coscienza, non oggettivabile, e riflessione,
oggettivante, rappresenta pur sempre un
momento di rottura fra l’ordine neurale
obbiettivo e l’ordine mentale subbiettivoobbiettivo.
La prospettiva antropologico-religiosa,
dapprima quella cristiano-occidentale, da
una parte, islamico-orientale, dall’altra, si
è aperta con la relazione di Jean Marie
Van Cangh: “L’homme dans la Bible” che
ha ricostruito i termini originari con i quali
è tematizzata la realtà dell’uomo nella Bibbia. In particolare Van Cangh si è soffermato sulla concezione pre-dualistica e preplatonica dell’uomo tipica del pensiero
ebraico, sulla concezione della “creazione
divina” come passaggio dal Caos al Cosmos, sul mito dell’albero della conoscenza. Claude Geffré si è invece impegnato in
riflessioni metodologiche in merito al concetto stesso di “antropologia cristiana”,
distinguendo fra una antropologia dogmatica, che intende dedurre dalla teologia e
dai Testi le categorie antropologiche (Rahner), e una antropologia cristiana critica
(Pannenberg), che mira ad una analisi dell’antropologia in base storica. Problematico nell’antropologia cristiana dogmatica,
sarebbe, per Geffré, l’umanismo, in un’epoca di crisi dell’ideologia del soggetto, il
rapporto fra il cristianesimo e le “altre
culture”, la visione maschilista della religione e della società. Geffré sembra invece
propendere per un cristianesimo come religione della liberazione.
Particolarmente interessante è stata la sezione del Convegno dedicata agli universi
religiosi non-occidentali. Georges C.
Anawati, dell’Università de Il Cairo, ha
trattato il tema dell’Homo Arabicus in terre
di deserto e dal contatto con un crogiuolo di
popoli (greci, indù, persiani, romani, cristiani) come antecedente storico e “materia” dell’uomo islamico, dell’uomo “sottomesso” interamente a Dio. Analizzando
estesamente la specificità della teologia e
della antropologia islamiche a partire dal
VII secolo, Anawati ha messo in luce i
contorni di una dottrina assai articolata per
quanto riguarda il rapporto anima-corpo, la
responsabilità individuale delle proprie
azioni, il diretto coinvolgimento dell’uomo nei confronti di Dio, la negazione del
“peccato originale”, giungendo alla conclusione che il mondo islamico è custode di
una tradizione etica e religiosa di grande
valore e dignità nel quadro d’assieme della
civiltà contemporanea. La tradizione buddhista è stata invece argomento dell’intervento di E. Cornelis. Nel pensiero buddhista in dissidio con la tradizione vedica, ogni
antropologia è vista necessariamente come
una ideologia, una concezione illusoria,
frutto dello stato di alienazione e di cecità
in cui si trova l’uomo, che, essendo una
costruzione della mente condizionata dal
samshara, è una immagine fallace, laddove non è dato, per gli illuminati, nulla che
possa dirsi la sostanza di un soggetto. L’esser uomo è per il buddhista uno stadio
provvisorio da cui può dipartirsi un cammino ascetico e non egocentrico indirizzato
verso la liberazione dallo stato del dolore e
dell’inganno.
Il Convegno si è concluso con l’intervento
di Jean Greisch che ha posto una sorta si
“sigillo” filosofico ai lavori. Greisch, esaminando le opere di autori quali Heidegger, Wittgenstein, Ricoeur, Strawson, Rorty, Parfit, Vattimo, ha proposto un tavolo
comune di lavoro fra la filosofia ermeneutica, punto di approdo della fenomenologia, e la filosofia analitica anglosassone.
Nell’opera di Ricoeur, Soi-meme comme
un autre, una importante riconsiderazione
ermeneutica delle categorie di soggetto,
persona, mondo, ecc., lo scenario nuovo
che consente un’ampia traducibilità fra
culture filosofiche sin qui poco comunicanti è la rivalutazione della “filosofia pratica” e dell’etica in quanto oggetti primari
del pensiero filosofico: la vita, la persona,
intese come fatticità, sauci, azione, sono
l’ambito concreto della prassi fìda cui scaturiscono tanto le conoscenze, quanto i
valori. Proprio la questione dei valori è
stata in definitiva il vero punto unificante
dei vari stili di linguaggio e di pensiero di
questo Convegno. G.de.M.
Conferenze di Chieti
Nell’ambito di una serie di seminari e
conferenze organizzati dai docenti
dell’Istituto di Filosofia dell’Università di Chieti, il 29 aprile 1992 Giorgio
Penzo ha tenuto una conferenza sul
tema: DOLORE E PENSIERO TRA METAFISICA
E NICHILISMO. Il 14 maggio 1992 è intervenuto Virgilio Melchiorre con una
puntuale relazione dal titolo: ANALOGIA
E METAFISICA IN KANT, prendendo spunto
dalle acquisizioni presenti nel suo ultimo libro: ANALOGIA E ANALISI TRASCENDENTALE - LINEE PER UNA NUOVA LETTURA DI
KANT (Mursia, Milano 1992). Sempre
all’Università di Chieti i Cattolici Popolari della facoltà di Lettere e Filosofia hanno organizzato il 1 giugno 1992
una conferenza su L’ATTUALITÀ DEL PENSIERO DI AUGUSTO DEL NOCE.
L’appassionata conferenza di Giorgio Penzo avrebbe potuto anche intitolarsi: “Potere - non potere”, in quanto l’esistenza,
luogo delle passioni e, quindi, anche della
sofferenza, coglie la debolezza dell’uomo,
mentre, d’altro canto, la fiducia nella cono40
scenza accentua il mito dell’onnipotenza
dell’uomo “liberato” dall’inquietudine e
dal dolore. La metafisica classica occidentale, ben rappresentata, per esempio, da S.
Tommaso, tenendo a un Dio buono, fonte
di sicurezza, non può ammettere Dio come
fonte di insicurezza, dubbio, sofferenza,
mentre la sofferenza ha un valore e un
senso soltanto nell’ambito del non-potere
dell’uomo autentico, che ammette i limiti e
si rifà a un Dio problematico. Solo in riferimento a un Dio senza volto, a un Dio
assente, ha fatto notare Penzo, posso sperimentare una fede a rischio, ma autentica,
che mi libera da una fede-superstizione,
falsa quanto la scienza quando diventa superstizione legata a una eccessiva fiducia
nell’oggetto.
Pochi rappresentanti della metafisica classica cristiana, come Meister Eckhart e S.
Giovanni della Croce, hanno insistito sulla
figura di Cristo crocefisso, mentre, in S.
Tommaso, Leibniz, Pascal, per esempio, il
male è incompatibile con l’essenza di Dio
infinitamente buono. Nietzsche ha contribuito a mettere in discussione la mentalità
metafisica razionalistica basata su un Dio
buono, saggio, onnipotente, evidenziando
l’oscurità delle risposte divine al grido di
colui che si chiede il perché della sofferenza. Opponendo il suo esistenzialismo dionisiaco all’aldilà del bene e del male, Nietzsche propone una trasfigurazione dell’esistenza in cui il dolore diventa l’ultima
ragione dell’esistenza umana, dando inizio
alla tematica della teologia della morte di
Dio, di un Dio che muore in Croce e che è
essere per la sofferenza contro l’arroganza
del teologo che ricorre sempre alle categorie intellettuali di causa-effetto.
La conferenza su Kant di Virgilio Melchiorre ha messo in luce come, ancora una
volta, il pensiero del filosofo di Königsberg continui a riservare nuove possibili
questioni, proprio quando appare conchiusa e/o ovvia la sua interpretazione più diffusa. Melchiorre, in particolare, si è soffermato sul concetto di analogia che, nell’analisi trascendentale kantiana, risulterebbe
da una parte (esplicitamente) identificabile
con l’analogia - debole - di “proporzionalità” ma, dall’altra (implicitamente) riconducibile anche nella direzione - forte - di
un’analogia di “attribuzione”. La regione
della produzione kantiana, in cui Melchiorre ha individuato tale duplicità, è quella in
cui Kant affronta il problema di Dio e/o
della sua dimostrabilità, sebbene abbia
messo in risalto tutte le implicanze metafisiche di una tale ermeneutica. Nella sua
interpretazione, Melchiorre ha voluto vedere in Kant la figura di un filosofo continuamente in lotta con se stesso: per questo,
nell’itinerario speculativo kantiano, il Kant
“detto” non è affatto più autorevole di
quello “non-detto”.
La conferenza dedicata ad Augusto Del
Noce è stata tenuta all’Università di Chieti
da Pierluigi Pollini, collaboratore della
cattedra di Filosofia della Politica presso la
CONVEGNI E SEMINARI
facoltà di Scienze Politiche di Teramo e
studioso del pensiero di Del Noce ormai da
dieci anni. Partendo da alcuni cenni biografici, Pierluigi Pollini ha esordito con un’interessante contestazione del titolo del dibattito: egli ha infatti dimostrato “l’inattualità” del pensiero di Del Noce alla luce del
principio, strettamente delnociano, secondo cui la verità non si esaurisce nella sua
attualità. La trattazione è proseguita secondo alcune precise tematiche: il problema
del rapporto di Del Noce con il marxismo e
con il fascismo, la questione dell’interpretazione transpolitica della società contemporanea, la crisi della modernità e la questione dell’irreligione occidentale. La conferenza si è poi conclusa con un vivace
dibattito che ha permesso al relatore di
approfondire alcuni temi, come la subordinazione dell’etica alla politica, la teoria
dell’eterogenesi dei fini e il rapporto tra
Del Noce e il mondo cattolico contemporaneo. C.C./G.F.
Arte e modernità
Con il titolo: LA FORMA DELL’ARTE E L’IDEA
DEL MODERNO si è tenuto a Napoli, pres-
so l’Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa” dal 11 maggio al 24
giugno 1992, un corso di aggiornamento e perfezionamento in Estetica
con la partecipazione di Aldo Trione,
Sergio Givone, Franco Fanizza, Grazia
Marchianò, Remo Guidieri, Michel Rey,
Rafael Argullol, Gianni Vattimo, José
Jimenez, Stefano Zecchi, Yves Hersant, Domenico Conci, Emilio Garroni,
studiosi impegnati nei vari ambiti della riflessione estetica contemporanea,
che hanno condiviso l’intento di individuare le categorie più rilevanti che
hanno segnato la storia dell’Estetica e
l’articolarsi delle varie poetiche in epoca moderna.
Il punto di partenza della riflessione di
Aldo Trione, ideatore e curatore del corso,
è una analisi costruttiva della specificità
dell’Estetica moderna e della trama fitta di
relazioni e rapporti che essa intrattiene con
altri contesti e saperi. Nella Monadologia
leibniziana la realtà è un organismo vivente
in cui le parti e il tutto sono correlati armonicamente. L’opera poetica, ha osservato
Trione, è un microcosmo speculare in cui la
rappresentazione arabescata e geroglifica
delle cose, preservata dal rischio metafisico, si configura come costruzione e divenire. I mondi possibili di Leibniz, esemplificati con finzioni letterarie ed artistiche,
sono mondi “finzionali”, alternativi ai
mondi reali. L’estetica diviene qui «strategia della poiesis» e l’universo della finzione oltrepassa il mondo reale. Un esempio
può essere la poesia Crise de vers di Mallarmé, che prelude ad una scrittura in cui
prende vita la possibilità di dissoluzione
del mondo e insieme la ricomposizione di
una nuova ontologia delle cose, attraverso
la cifrazione melodica della purezza. Poiein è qui gioco infinito, in cui la costruzione e la creazione della poiesis non hanno
bisogno della persistenza del mondo vero e
la purezza e la legittimità degli arabeschi
alludono all’infinita legge del “fare”.
Secondo Sergio Givone, dopo la critica
di Gadamer alla coscienza estetica moderna, l’arte prospetta una verità al di là
del principio di non contraddizione. L’infinità dell’interpretazione, ponendo la
verità come conflitto, ci introduce ad
una domanda più radicale, quella del
pensiero tragico, dove le prospettive,
pur legittimate, sono le une contro le
altre. Ma se l’esperienza estetica ci mostra che la contraddizione è l’esperienza
essenziale della verità, una terza via,
rispetto al prospettivismo e al pensiero
tragico, è rappresentata, per Givone, dall’ermeneutica di Pareyson, per la quale è
invece la verità, intesa come libertà, che
nell’interpretazione fa valere i propri
diritti.
Franco Fanizza ha invitato a cogliere la
modernità dell’Estetica al di là dei canoni
tradizionali dell’Estetica letteraria e filosofica di Croce che, sebbene abbia avuto il
merito indiscutibile di aver conferito a questa disciplina una specificità moderna, ha
nel contempo prestato scarsa attenzione
alla sfera dell’ “esteticità diffusa”, alla voce
infinita e molteplice della vita che canta
all’unisono con gli artisti. Percorrendo una
diversa strada, Fanizza intende disegnare
un nuovo orizzonte teorico, entro il quale
leggere un modo nuovo di sentire la modernità e di apprezzare il gioco continuo e lo
scambio ininterrotto tra estetico ed Estetica. In questo senso egli analizza il rapporto
tra Esteticità e modernità, mediato dalla
lettura di Roland Freart de Chambray, un
autore poco noto del ‘600, la cui opera,
L’idea della perfezione nell’arte, segna il
passaggio nella pittura da mestiere ad arte,
da “saper fare” a scienza.
L’intervento di Grazia Marchianò ha posto decisamente la tradizione estetica in
una prospettiva storica e teorica comparativa, che critica l’atteggiamento etnocentrico della cultura occidentale e propone un
confronto alla “pari” tra diverse tradizioni
filosofiche. Impostare una ricerca comparata nel campo dell’Estetica significa esplorare i concetti classici di tale disciplina,
così come sono “messi in uso” in tradizioni
differenti, per proiettarli in un tempo nuovo che non può prescindere da un confronto serrato con l’Oriente, alla luce in particolare delle ricerche di estetologi come il
giapponese Sasaki-Ken-Ichi e il cinese
Fei Ximpei.
Porre in evidenza la complementarietà e la
correlazione esistente nel rapporto tra arte
e politica nella modernità è il tema proposto da Remo Guidieri. Con sempre maggiore evidenza appare oggi come qualsiasi
41
oggetto, qualsiasi immagine, possono diventare arte a pieno titolo indipendentemente dalla qualità formale, dall’origine o
dal contesto di cui fanno parte. L’estetica
moderna rivela il carattere di artisticità
diffusa, di estetizzazione generalizzata, che
definisce la sfera dell’arte nella società
contemporanea. Lo spazio estetico assume
le dimensioni di una galassia caratterizzata
dal tentativo cronico di sfondamento del
limite tra ciò che è artistico e ciò che non lo
è. Parallelamente assistiamo nella politica
ad un analogo sfondamento dei limiti. La
prima frontiera che cade è quella tra autorità e potere, poiché lo spazio estetico viene
usato per mobilitare l’opinione pubblica e
rilegittimare l’esercizio di un potere ormai
esautorato. La seconda frontiera che viene
meno è quella tra utopia e futuro, poiché la
fine delle utopie fa sì che nella politica
permanga unicamente la categoria del futuro. La terza frontiera che viene abolita è
quella tra giustizia e territorio, con l’unificazione nel “villaggio globale” di tutte le
minoranze etniche. Infine la soppressione
della frontiera tra realtà e rappresentazione
che determina un nuovo disordine e giustifica l’immane responsabilità dell’estetico
nella modernità.
Michel Rey ha presentato alcuni motivi di
pensiero propri di Valéry, impegnato nel
pensare in maniera radicale la poesia e la
prospettiva estetica. Per Valéry, l’artista
libero è colui che conferisce ad “altri” il
Dono di ri-fare l’opera artistica. Paradigmatico è il caso di Baudelaire, che si impadronisce, in una sorta di plagio-innovatorio, del principio poetico di Poe. L’appropriazione non è possesso dell’oggetto, ma
ri-presa a fare, ri-messa in opera del testo di
un altro. Questo movimento tra il dare e il
ricevere porta l’Estetica ad incrociarsi con
l’etica, la vita dell’opera con la metafora
della rovina.
Rafael Argullol, filosofo spagnolo, ha letto lo Zibaldone in chiave teoretico-filosofica, interpretando Leopardi come “filosofo” che anticipa le tesi nietzscheane sullo
smascheramento della verità, criticando la
concezione metafisica sul fronte del razionalismo e dello spiritualismo moderno. La
poesia di Leopardi si rileva per tale motivo
topos dell’Estetica moderna, la forma più
elevata di illusione e al tempo stesso oblio
del nulla.
Per caratterizzare la modernità, José Jiménez ha proposto una concettualizzazione
del tempo che nell’epoca classica individua il destino dell’arte nel tentativo di
fermare il tempo per dar corpo all’istante
nella sua pienezza estatica ed estetica. Tale
prospettiva viene rovesciata dalle avanguardie storiche, in particolare con il Futurismo, che sostituisce alla volontà di fermare il tempo la necessità di cogliere nell’arte il dinamismo eterno dell’azione, la
velocità della vita, il movimento e la trasformazione tumultuosa della realtà. Nella
modernità l’espansione del predominio
della tecnica ha generato una nuova dimen-
CONVEGNI E SEMINARI
Andy Warhol, Campbell’s Soup Cans 200 (1962), particolare
42
CONVEGNI E SEMINARI
sione temporale, per cui, con l’avvento dei
mezzi di comunicazione di massa, il tempo
diviene “reversibile”: passato e futuro divengono parte di un processo circolare in
cui si consuma la rottura della mimesis e
della rappresentazione in senso classico. Si
tratta ora per l’arte di trovare uno spazio
suo proprio, una nuova moralità per sfuggire alla sua completa dissoluzione, per smascherare l’era dell’ “estetizzazione vuota”.
Per Stefano Zecchi, di fronte allo sperimentalismo e al nichilismo della cultura
contemporanea, che ha messo a “morte”
qualunque valore di verità della creatività,
e dove più nessuno è responsabile politicamente della Bellezza, è necessario difendere l’idea di un’ “estetica militante”. La
nostra cultura deve porsi alla ricerca della
Bellezza come idea ricostruttiva/propositiva. Il romanticismo ha difeso con passione
l’azione creativa dell’uomo e il suo rapporto con la potenza cosmica e sacra della vita.
La bellezza ritorna nel romanticismo con la
figura di Ermes, il dio della metamorfosi e
della simbolicità. Il mondo che si apre con
la crisi del romanticismo è quello della
decadenza che inaugura con Nietzsche l’impossibilità della rappresentazione della forma bella. A questa idea di decadenza Zecchi oppone la “ricerca di ciò che manca”, la
restaurazione della bellezza che impone
una ricostruzione simbolico-mitica della
stessa filosofia.
Yves Hersant ha posto al centro del suo
intervento la malinconia come categoria
costitutiva dell’uomo, in cui si raccoglie un
insieme di miti, sentimenti, umori che ruotano attorno al rapporto corpo-anima. La
malinconia nasce nella Grecia socratica,
nell’era dell’intellettualizzazione, quando
l’uomo scopre la sua natura doppia, ambigua e contraddittoria. Nella storia del pensiero antico, Ippocrate per primo la connette al sentimento di tristezza e paura, alla
smaniosa immobilità di chi soffre interiormente, mentre Aristotele rintraccia un legame tra genio e umore nero. Per lo Pseudo
Ippocrate, invece, vi è collegamento tra la
malinconia e la satira, il riso feroce. In
Baudelaire la malinconia, come carattere
della modernità, è pienezza del presente e
si oppone al moderno, come vivere attuale
nel presente. L’arte della modernità, legata
alla perdita del fondamento e delle certezze, alla lacerazione e scissione del soggetto, non è pensabile al di fuori della malinconia.
Attraverso la fenomenologia dell’arte etnologica, Conci ha mostrato la differenza e
al tempo stesso il rapporto tra “presenza” e
“fenomeno”. Nell’arte realistica delle culture primitive, il reale è così com’è e non
come appare, perché in questo tipo di culture vi è l’assenza del testimone, dello
spettatore. Il concetto di presenza legato
alla credenza del realismo segnico, richiama la valutazione attestativa del reale come
dominio ideologico della verità: la presenza è autodatità. Ma alla fine del 1100/900
a.c., quando la cultura magico-mitica dei
popoli primitivi viene smarrita, nell’area
del bacino mediterraneo avviene il “collasso” fra apparire ed essere, proprio del realismo segnico, ed emerge il concetto di
“fenomeno”. A questo smarrimento i Greci
rispondono con il Logos, con il quale si
cerca di ricucire il segno con l’ente. Nasce
così in Grecia l’osservatore e con lui il
fenomeno è consegnato alla sfera dell’individuale come presenza derealizzata e inadeguata, privata di segni. Nel corso del
tempo la metafisica ha tentato di colmare la
voragine tra il segno e l’ente; ma la scienza,
che avanza attraverso congetture e ipotesi
gli ha mostrato che ciò è impossibile, spazzando via l’evidenza, l’ultima grande categoria millenaria della presenza.
Per Emilio Garroni, l’estetica è filosofia
tout-court, strettamente pertinente alle problematiche epistemologiche. Nella Critica
del Giudizio il gusto, che nel pensiero filosofico tra il ‘600 ed il ‘700 veniva inteso
come proprio del regno della soggettività e
dell’arbitrio, diviene disposizione e proporzione delle facoltà conoscitive nell’accordare il particolare con l’intelletto, rendendo così possibile la conoscenza oggettiva. In Kant e, più in generale, nell’Estetica del XVIII secolo, l’Arte dona senso ad
un intreccio di somiglianze e differenze
non definibile, ma omogeneo, che, nel ‘700,
si raccoglie nella definizione di Belle Arti.
Nel nostro secolo, l’Arte che ha allargato
smisuratamente il suo ambito materiale e
messo in questione radicalmente la propria
esistenza nel tentativo di instaurare il senso, diviene all’opposto rivelatrice del non
senso. In conclusione, l’estetica per Garroni non sostituisce la metafisica, ma la comprende nella sua istanza di indeterminatezza. L.B./C.P.
L’attualità dell’Estetico
Si è svolto a Hannover dal 3 al 5 settembre un convegno sul tema: L’ATTUALITÀ DELL ’ESTETICO. In 43 interventi,
filosofi, sociologi, storici dell’arte,
scienziati, designers, studiosi delle
comunicazioni di massa si sono chiesti quale sia lo statuto dell’estetica e
quali siano i significati di ciò che è
estetico nella società attuale, nei suoi
stili di vita e modelli percettivi.
Il tema che ha fatto da filo conduttore dei
diversi interventi è stato quello dei confini
e dello statuto epistemologico dell’estetica: deve l’estetica limitarsi ad essere una
“filosofia dell’arte” o, riferendosi al significato originario del termine di teoria della
sensibilità, oltrepassare i limiti di uno studio del fatto artistico, per prendere parte al
fenomeno di “estetizzazione del mondo
della vita” tipico delle società occidentali e
“post-moderne”? Gli interventi di KarlHeinz Bohrer (Bielefeld) e di Wolfgang
43
Welsch (Bamberg) possono essere considerati come rappresentativi di questo contrasto tra un’estetica intesa come scienza
dell’arte e una filosofia che tenta di derivare la conoscenza stessa da principi di carattere estetico. Bohrer ha criticato l’ “ampliamento dei confini” (Entgrenzung) dell’ambito estetico, con il quale l’estetica rischierebbe di perdere il suo nucleo teoretico
sostanziale e la propria autonomia di scienza. Se a partire dall’idealismo l’autonomia
dell’estetica veniva minacciata dal discorso storico, il rischio sarebbe oggi di identificare l’ “estetico” con l’attuale mondo
edonistico della vita. All’estremo opposto
si è situato l’intervento di Welsch, che ha
sostenuto invece l’idea di una “estetizzazione epistemologica”, mettendo in evidenza, attraverso un’ampia panoramica
delle forme di estetizzazione nella società
contemporanea, l’importanza dell’estetica
per tutti gli ambiti della vita quotidiana.
Il panorama, proposto da Welsch (uno degli ideatori del Convegno), di un’estetizzazione della società contemporanea ha fornito il quadro strutturale di una della sezione del convegno dedicata appunto al tema:
“Estetizzazione nel mondo della vita”. Qui,
problemi tipici della società attuale come la
stilizzazione del sé, le strategie dell’abbellimento, design e pubblicità, il ruolo dei
nuovi media e delle nuove tecnologie, politica, scienza ed estetica femminile, si sono
affiancati a questioni più tradizionali, quali
l’esperienza della natura e l’esperienza artistica. La maggior parte degli interventi di
questa sezione ha presentato una descrizione dello stato attuale delle scienze e della
società considerate dal punto di vista dei
problemi estetici. Thomas Ziehe (Francoforte) ha descritto con ricchezza di dati
l’evoluzione nella società tedesca dal dopoguerra ad oggi come passaggio da uno
“standard di vita” a uno “stile di vita”; uno
sviluppo che, contrariamente al verdetto di
“raggrinzimento del presente”, pronunciato da Hermann Lübbe, permette possibilità di differenziazione e non conduce a una
mera estetizzazione della vita in quanto
opera d’arte. A favore di quest’ultima è
invece intervenuto Wilhelm Schmid (Berlino) che, riferendosi a Montaigne, ha inteso mostrare come possa oggi configurarsi
un’etica che metta la vita al primo posto,
facendo fronte alla crescente complessità e
alle contraddizioni del presente non attraverso una “grande saggezza” (Weisheit)
ma una “piccola intelligenza” (Klugheit).
Al design è stato dedicato l’intervento di
Francois Burkhardt, già direttore del
Centre Georges Pompidou di Parigi. Barometro della situazione della società moderna, il design esprimerebbe la tendenza dell’estetica moderna a diventare popolare,
reagendo così ai tentativi di disciplinare ed
universalizzare il gusto. Tra gli interventi
dedicati ai nuovi media e alle nuove tecnologie, quello di Derrick de Kerckhove
(Toronto) ha individuato una crescente accelerazione, moltiplicazione ed estensione
CONVEGNI E SEMINARI
del sé attraverso la tecnica, che condurrebbero ad una perdita del senso della corporeità. La tendenza, in tale contesto, a considerare adeguata alla società contemporanea solo un’arte ispirata alle nuove tecnologie è stata criticata da Wibke von Bonin
(Colonia), che ha presentato in un filmato
alcune modalità di applicazione di queste
tecnologie all’attività artistica. Pessimistica invece la visione di Neil Postman, secondo cui la società attuale è caratterizzata
da un eccesso di informazioni che vengono
accettate passivamente e non sono sostenute da un orizzonte di senso. Si tratterebbe
allora di sviluppare nuove “narrazioni” e di
trovare nuovi contesti che conferiscano
senso alle informazioni. Un’immagine e
una valutazione della società contemporanea e dei suoi problemi opposta rispetto a
quella di Postman, è stata presentata da
Richard Sennet (New York): non la ricerca di quadri antropologici stabili e purificatori rispetto alla complessità del reale è la
soluzione auspicabile, bensì lo spostamento (displacement) di ciò che si presenta
come fisso e stabile; a ciò può contribuire
proprio l’arte contemporanea.
Oltre a un gruppo di interventi di critici e
storici dell’arte come Jean-Cristophe
Ammann del Museo d’arte moderna di
Francoforte, Thierry de Duve (Parigi) e
Stephan Schmidt-Wullfen (Amburgo),
bisogna ricordare alcuni contributi che, con
riferimento a problemi di epistemologia e
delle scienze naturali, hanno tentato di conferire un significato obiettivo a uno dei
concetti-chiave della storia dell’estetica,
quello di bellezza. Bernd-Olaf Küppers
(Heidelberg) ha sottolineato che, se è vero
che le immagini della “ricerca sul caos”
possono essere definite “belle”, il concetto
di bellezza non può però essere ridotto a
ciò. Inscenando una sorta di dialogo tra La
Mettrie, Einstein e Picasso, Ernst Pöppel
(Monaco) ha proposto un concetto di bellezza di carattere sostanzialistico, che ha
suscitato perplessità e imbarazzo tra i filosofi presenti: descrivendo il funzionamento della percezione Pöppel ha parlato di
“finestre di presenza” (Gegenwartsfenster)
nel cervello umano, la cui durata (tre secondi) corrisponderebbe alla lunghezza di
molti versi poetici “belli”. Deludente è
sembrato anche l’intervento del biologo
cileno Humberto Maturana, che ha sostenuto l’esistenza di un rapporto di dipendenza tra cervello e ambiente, giungendo
ad affermare, su questa base, un ideale di
bellezza di carattere armonico. Al rapporto
tra scienza ed estetica è stato dedicato anche l’intervento di Paul Feyerabend: sulla
base di esempi relativi al modo di procedere dell’esperimento scientifico e al relativo
carattere “artificiale” dei loro risultati, Feyerabend ha presentato un concetto di “natura
come opera d’arte” - una tesi che sembra
però riguardare più gli aspetti creativi nell’attività scientifica, che non l’estetica in
senso stretto.
Martin Seel (Amburgo) ha infine distinto
nel proprio intervento tre diverse forme del
comportamento estetico, e ha ribadito la
distinzione tra un’estetica come scienza
dell’arte e come teoria generale della percezione. E’ a quest’ultimo aspetto dell’estetica, e alla necessità di discutere l’estetizzazione della società e della cultura contemporanea, che ha fatto riferimento la
maggioranza dei partecipanti al Convegno
di Hannover. M.M.
Razionalità e cultura
Alla Sala Incontri dell’ISU di Milano si
è svolta a giugno, introdotta da Aldo
Giulio Gargani, una conferenza di Richard Rorty, sul tema: UNA VISIONE PRAGMATISTA DELLA RAZIONALITÀ E DELLA DIFFERENZA CULTURALE. Attraverso un’analisi
del concetto di razionalità e di quello
di cultura, con particolare riferimento
all’impostazione deweyana, Rorty ha
indagato la possibilità di proporre teoricamente un agire “razionale”, in
quanto tollerante di modi d’agire diversi dal proprio.
Introducendo la conferenza, Aldo Giulio
Gargani ha rilevato come per il filosofo
statunitense il neopragmatismo funga da
premessa, affiancato però da altre correnti
filosofiche. La filosofia analitica in primo
luogo, di cui Rorty è critico ma anche
interlocutore, e la stessa continental philosophy, dalla quale egli prende in chiave
antimetafisica. L’obiettivo polemico è la
nozione dell’uomo come glassy essence,
propria della teoria gnoseologica del rispecchiamento, in base alla quale la conoscenza sarebbe adeguamento delle capacità del soggetto alla realtà esterna ad esso.
Rorty individua una scissione che, nel
momento “critico” della scoperta scientifica, diventa una frizione tra la prospettiva
della “scienza normale” e quella dell’ermeneutica. Da un punto di vista che non è
evidentemente solo gnoseologico, Rorty
contrappone i cosiddetti “uomini dell’obiettività”, che fanno riferimento a una verità
certa, astorica, agli “uomini della solidarietà”, per i quali la verità è fondata in quanto
condivisa. Quella di verità appare qui dunque una nozione contestualizzata, riconducibile a “pratiche linguistiche sociali”. Per
questa ragione Rorty non approda al relativismo, perché dare per scontato il coesistere di culture definite, in modo statico, come
differenti l’una dall’altra, presuppone la
reintroduzione di una nozione di ragione
(sia pur delineata al plurale) ancora metafisica, in quanto decontestualizzata dalla pratiche che, sole, la possono definire.
Proprio a una messa a fuoco della connessione fra il concetto di razionalità e quello
di cultura si è rivolta la conferenza di Richard Rorty a Milano, che ha esordito
distinguendo tre differenti accezioni del
44
termine “razionalità”. La prima, talvolta
definita come “ragione tecnica”, consiste
nell’abilità strumentale, che si riassume in
una capacità di sopravvivenza, cioè nella
capacità di adattamento all’ambiente nel
modo il più possibile proficuo per l’individuo; in questa accezione la razionalità è
dunque eticamente neutra, a differenza della
seconda accezione del termine che va al di
là della mera sopravvivenza e, implicando
una possibile gerarchia di opzioni, cioè di
valutazioni, è propria degli uomini. La terza accezione comprende infine la capacità,
da parte di individui o gruppi sociali, di
accogliere il “diverso da sé” con una perturbazione il meno rilevante possibile. Per
quanto i tre significati vengano spesso sovrapposti, Rorty ha ribadito la distinzione
indicando l’obiettivo della propria indagine nella determinazione del rapporto fra la
prima accezione del termine e la terza,
lasciando cadere la seconda. Analogamente, Rorty ha distinto tre diverse accezioni
di cultura: una sociologico-antropologica,
in quanto insieme storicamente determinato di usi e costumi; l’altra “qualitativostrumentale”, in quanto capacità di manipolare strumenti concettuali; la terza “qualitativo finale”, dove “cultura” è lo stadio
di realizzazione dell’ ”essenza universale”
dell’uomo.
Rifacendosi alla prospettiva di John
Dewey, Rorty ha notato come si possa
postulare un collegamento, seppur non
necessario, fra l’aumento della razionalità, intesa secondo la prima accezione,
l’efficienza tecnico-scientifica, e quello
della “razionalità” nella terza accezione,
cioè la tolleranza. A chi, come Ashis
Nandy, etichetta tale posizione come
“pragmatismo evoluzionista tecnocratico”, mirante, proprio in nome della bontà e tolleranza della propria particolare
cultura, a eliminare le altre, Rorty ribatte
che il contrasto fra Dewey e Nandy non
è di natura propriamente teorica, ma empirica, e verte sulla predizione di ciò che
può accadere se il “pragmatismo evoluzionista tecnocratico” si affermasse in
una comunità globale unificata politicamente. In effetti oltre alla seconda accezione del termine razionalità, Dewey,
seguito da Rorty, lascia cadere la terza
del termine “cultura”, escludendo così
che possa darsi la pretesa, da parte di una
qualsivoglia particolare cultura, di porsi, proprio in forza della propria tolleranza, come superiore alle altre e quindi
come momento risolutivo delle differenze culturali.
Nella convinzione, tutta deweyana, che
la teoria vada incoraggiata solo se può
giovare alla prassi, Rorty sostiene che il
compito del filosofo non è comporre
ampie sintesi (o ampie contrapposizioni) teoriche, ma «inasprire le questioni»
cioè radicalizzarle. L’obiettivo deve essere dunque quello di costruire un’utopia globale multiculturale, dove il confronto, spinto all’estremo, fra le “culture” (nella prima accezione del termine)
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ponga capo alla loro coesistenza in una
prospettiva, quella della tolleranza, quale si dà nella terza accezione di razionalità, quella più propriamente etica. F.C.
Razionalità dell’ermeneutica
A partire dalle tematiche che affiorano
dai saggi raccolti nell’annuario FILOSOFIA 91 (a cura di Gianni Vattimo, Laterza, Roma-Bari 1992) nel mese di giugno 1992 si è tenuto alla Sala Incontri
dell’ISU di Milano un dibattito su RAZIONALITÀ DELL’ERMENEUTICA, al quale hanno partecipato Maurizio Ferraris, Aldo
Giulio Gargani, Guido Morpurgo-Tagliabue, Pier Aldo Rovatti, Mario Ruggenini.
Con un’introduzione di carattere generale
al dibattito, Aldo Giulio Gargani ha rilevato come la questione relativa alla razionalità dell’ermeneutica risalga alla distinzione diltheyana fa scienze della natura e
scienze dello spirito. L’ermeneutica nasce
infatti come progressione filosofica di significato in significato, laddove il paradigma deduttivistico delle matematiche della
natura prevede il passaggio dalla premessa
alle conseguenze, o da ipotesi teorica a
verifica sperimentale. Nella prospettiva di
un “reticolo di significati” che definisce la
struttura euristica dell’ermeneutica, Gargani ha rilevato, riprendendo il saggio di
Ferraris, contenuto nella raccolta, come sia
possibile costruire, partendo da Husserl,
una nozione di soggettività che comprenda
in sé, fin dal momento del suo costituirsi,
l’alterità. Questo, contro la riduzione di
marca idealistica dell’alterità ad autoidentificazione, ma contro anche la teoria adeguativa della conoscenza. Da questo punto
di vista le preoccupazioni di Vattimo circa
il destino della nozione di verità dell’ermeneutica, messa “a rischio” dal carattere
narrativo di talune trattazioni di ambito
ermeneutico, toccano senz’altro, secondo
Gargani, un problema cruciale, ma lo pongono in termini impropri, quelli di un’alternativa tra filosofia e narrazione. Illuminanti a questo proposito sono, secondo Gargani, la posizione di Rorty, che rifiuta di
riconoscere nel linguaggio un veicolo di
chiarificazione totale, e quella di Rovatti,
che sostiene il costituirsi della soggettività
in un rapporto di consustanzialità con l’alterità, nella dimensione di un linguaggio
che non è più solo inferenziale, ma neppure
solo evocativo.
In rapporto a queste considerazioni, Maurizio Ferraris ha tuttavia ribadito che dal
punto di vista teoretico la contrapposizione
fra scienze della natura e scienze dello
spirito è “retorica”. Più che sul rapporto fra
identità e alterità, cioè fra impostazione
trascendentale e impostazione fenomenico-espressiva, la questione della razionalità dell’ermeneutica nasce storicamente in
Heidegger, laddove questi, come tematizza Jacques Derrida, afferma essere l’inter-
pretazione a fondare l’asserzione, e non
viceversa. E’ qui che vengono poste le basi
del primato della filosofia a partire dal
ruolo fondativo, nel costituirsi della soggettività, attribuito all’ascolto della “voce
dell’amico”. E’ in questo modo, secondo Ferraris, che Heidegger introduce e
fonda un’ ”esperienza dell’altro” autenticamente ermeneutica, in quanto non
sensistica, empatica, ma “razionale”. A
parere di Ferraris l’ermeneutica heideggeriana ha fatto passare in secondo piano proprio il fatto, ben presente invece a
Heidegger, che l’ ”altro” è “dentro al
sé”; affermazione che non paradossalmente avvicina Heidegger alla logica
della ricerca scientifica, dove l’ ”altro” è
l’elemento di “realtà” che dovrebbe “stare in fronte” alla teoria, per verificarla o
per falsificarla, ma si colloca in realtà
internamente alla teoria stessa.
Proprio quella dell’alterità e del suo supporto ontologico è, secondo Pier Aldo
Rovatti, la questione centrale in merito
al tema della razionalità dell’ermeneutica. Questione che si decide nell’ambito
del linguaggio, per cui l’indagine sulla
razionalità dell’ermeneutica si trasforma in quella sul linguaggio dell’ermeneutica. Su questo punto, osserva Rovatti, Vattimo rimprovera a Derrida un
mancato passaggio dal momento decostruttivo a quello ricostruttivo, proprio
per rispondere alla questione della razionalità dell’ermeneutica, che rischia
di perdersi nell’eccessiva “dispersività”
dell’operazione decostruttiva. In questo
modo, obietta Rovatti, si rischia però di
«gettare il bambino insieme all’acqua
sporca»: è fuori luogo richiedere al linguaggio dell’ermeneutica, per salvare la
sua valenza veritativa, un surplus di oggettività, avvicinando così quello dell’ermeneutica al linguaggio “normale”.
Obiettivo del linguaggio dell’ermeneutica è proprio quello di mettere in mora
la struttura obiettivante del linguaggio
ordinario. In questo senso, per quanto
sia certo legittimo cercare in Heidegger
elementi di provenienza husserliana,
considerando Heidegger “più avanti” di
Husserl sulla strada dell’ermeneutica,
pure è possibile, secondo Rovatti, operare in modo inverso e leggere “heideggerianamente”, cioè in senso ermeneutico, talune affermazioni husserliane, riconoscendo che le “cose stesse”, alle
quali occorre rivolgersi, non sono sic et
simpliciter (neppure da un punto di vista
fenomenologico) oggetti. Di fronte alla
constatazione husserliana secondo cui
“mancano i nomi”, il problema non sarà
trovare i nomi, ma un linguaggio non
oggettivante che sappia mettere - come
fa la metafora - in relazione la dimensione verbale con quella extraverbale.
Mario Ruggenini ha valutato come novità positiva il fatto che Vattimo si sia
posto il problema della razionalità, perché, a suo parere, il “pensiero debole”,
45
di cui Vattimo è stato uno dei rappresentanti, ha portato proprio a una liquidazione di questa problematica. E proprio
la questione del linguaggio è, secondo
Ruggenini, ciò che divide la razionalità
dell’ermeneutica da quella della metafisica. Quest’ultima chiede ragione di ciò
che si dice dell’essere, perché l’essere è
la ragione ultima delle cose; da questo
punto di vista, la questione del linguaggio è accessoria: la metafisica, l’ontologia, rappresentano la liquidazione del
linguaggio come problema. L’ermeneutica non può invece prescindere dal linguaggio; essa rifiuta infatti una trascendenza metalinguistica, coglibile intuitivamente. La posta in gioco è la pluralità
della verità, è la pluralità irriducibile
delle narrazioni, che nella loro comune
condizione di finitezza raccontano le singole aperture al mondo, le singole esperienze linguistiche del mondo. Proprio a
partire dall’esperienza della finitezza, fa
notare Ruggenini, avviene l’esperienza
dell’alterità. Da bandire è la husserliana
“percezione dell’altro”, riedizione di quel
criterio con il quale, da Cartesio in poi,
la metafisica ha espunto l’alterità. Occorre invece riscoprire la nozione di
“esperienza dell’altro”, nel parlare con
l’ ”altro”: è in questo modo che l’io
diventa “un secondo” rispetto all’altro;
si parla sempre a partire dall’altro. La
razionalità dell’ermeneutica consiste
dunque nello stare al gioco del discorso;
solo così si esorcizza la fin troppo frequente accusa di relativismo.
Un accenno merita l’intervento nel dibattito, a conclusione delle relazioni, di
Guido Morpurgo-Tagliabue, il quale
ha posto una domanda che nella sua
radicalità è quasi risuonata come provocatoria: «perché l’altro?». Il dialogo, ha
sostenuto Morpurgo-Tagliabue, non necessariamente ha luogo con un “altro da
sé”; il dialogare con sé stessi, la “voce
dell’amico” , possono ben essere espressioni della propria voce interiore. Ma il
“linguaggio” vale qui come “codice”,
non necessariamente verbale, ha obiettato Ferraris: il dialogo con se stessi è
dunque dialogo con un altro, con un’alterità. Anche nel dialogo con se stessi,
ha aggiunto Ruggenini, si è alle prese
con parole già date, quindi con un’alterità per cui il soggetto “è secondo”.
In realtà, ha proseguito Morpurgo-Tagliabue, contestando la dimensione “linguistica” in cui l’ermeneutica contemporanea ha collocato la questione ontologica, la domanda «perché l’altro» si
riformula anche in quella «perché il linguaggio?». Il termine “ermeneutica”, in
Aristotele, indica il linguaggio, ma anche, semplicemente, l’atto dell’interpretazione; e quest’ultima può avvenire sen-
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Botticelli, Sant’Agostino nello studio, particolare
za parole, senza dialogo, mettendo solo
in gioco significati. Questo è, d’altra
parte, ciò che accade con la “dialettica”,
dove il pensiero dialettico non mette in
gioco il linguaggio e, dunque neppure un
“altro da sé”, ma, appunto, solo significati. F.C.
Il problema della verità storica
Presso l’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici di Napoli, Paul Ricoeur ha
tenuto, dal 25 al 29 maggio, un seminario dal titolo: LE PROBLÊME DE LA VERITÉ
EN HISTOIRE (Il problema della verità
nella storia), che ha inteso innanzitutto sgomberare il campo dalle molteplici versioni “speculative” della filosofia della storia. Critico dunque, non
tanto in senso kantiano, quanto antispeculativo, è stato l’approccio di Ricoeur al problema della credibilità delle ricostruzioni storiche, nel tentativo
di aggiustare il tiro della riflessione
filosofica in tale ambito, mirando alle
dinamiche e alle difficoltà specifiche
dell’attività pratico-teorica dello storico di professione. Un ulteriore approfondimento di queste tematiche è stata la conferenza dal titolo: FRAGILITÀ E
RESPONSABILITÀ, tenuta da Ricoeur, in
occasione del suo soggiorno partenopeo, all’Università di Napoli.
Se il dibattito sulla nozione di verità storica
catalizza con accenti nuovi le preoccupazioni contemporanee d’interpreti diversi:
storici, filosofi, semiologi, nonché retori, è
perché una volta smantellate le pretese
universalistiche della storia filosofica, diviene centrale, ha affermato Paul Ricoeur,
l’esigenza di riflettere «sul mestiere stesso
dello storico, al fine di farne emergere gli
scopi e i mezzi, i vincoli e le ambizioni». In
tal senso, rispetto ai grandi scenari interpretativi della trilogia Tempo e racconto,
Ricoeur rilancia la riflessione ermeneutica
grazie a un’attenzione tutta particolare per
il piano concreto del lavoro dello storico,
alle prese con la «riconfigurazione plausibile e sensata delle vicende del passato».
Due sono i tratti salienti di questo approccio: da un lato, l’interesse rinnovato del
filosofo non solo per i testi interpretativi
del lavoro, già “interpretativo”, degli storici, ma anche per i lavori “primi” degli
storici, risultati concreti di una professione
d’intelligenza al contempo pratica e teorica; dall’altro, la continuità fra le ultime
opere ricoeuriane, in particolare Se stesso
come un altro, e l’interesse per il piano
pratico dell’azione, per la singolarità degli
eventi, per la storicità di uomini calati in
situazioni volta per volta uniche, contingenti, irripetibili, con cui lo storico si trova
a fare i conti. A domande quali: che cosa
considerare un documento, una fonte?
46
Come distinguere un fatto da un evento
storico? Come rendere credibile la ricostruzione di un tempo passato? si può rispondere solo attraverso una perspicua “alleanza” fra duttilità pratica, ponderatezza
filosofica, esercizio fenomenologico della
descrizione, riflessione teoretica. In tal senso, verità storica non significa tanto corrispondenza con una realtà trascorsa, ma pur
sempre rintracciabile nei resti del presente,
né rappresentazione pittorica di un’immagine lontana, consunta dalla memoria storica, bensì verosimiglianza e plausibilità di
un racconto storico. Il problema è la “realtà
del passato”, lo statuto ontologico del tempo trascorso in quanto “esser-stato-ciò-chenon-è-più”. Ciò che è stato diviene nel
lavoro dello storico il contenuto di un enunciato che mira a restituire un passato, che
non può che definirsi “grande assente”. La
scrittura storiografica, guidata da una o più
ipotesi interpretative, è destinata a presentare la totalità esplicativa solamente come
plausibile, credibile, attestabile.
In questa situazione «il filosofo - afferma
Ricoeur - non ha nulla da insegnare allo
storico, se non forse a riflettere sulla complessità e sulla ricchezza del termine ‘evento’». Nel quadro di una filosofia critica
della storia, a cui appartiene Ricoeur stesso, il filosofo invita a riflettere sull’impegno concreto dello storico, mettendo a fuoco tre piani di preoccupazioni al contempo
pratiche e teoriche: lo storico si trova alle
prese infatti con l’esigenza di attestare prove documentarie affidabili, con la pretesa
di ricostruire il passato in modo oggettivo
e scientifico attraverso l’esercizio letterario-retorico di comporre in scrittura le proprie argomentazioni. Ma come la spiegazione scientifica determina il ruolo e la
portata dei singoli documenti? E ancora,
come la forma letteraria, seducente e persuasiva, agisce sulle prove e sul giudizio?
Per quanto riguarda il problema delle fonti,
Ricoeur taglia alla radice un possibile malinteso: le tracce del passato non sono affatto dirette, non appartengono all’ordine del
visibile. Per Ricoeur, la non visibilità della
traccia e la discontinuità dell’evento singolo in un modello esplicativo indicano che
un elemento (un dettaglio, un semplice
dato) per divenire “documento”, atto all’intelligibilità di un momento storico, deve
sottoporsi a un’ipotesi esplicativa, a un’interrogazione preliminare. L’attività dello
storico nasce dall’ancestrale capacità, culturalmente educata, di porre domande orientate, di saper interrogare, ancor prima che
cercare. Ma allora, si potrebbe obiettare, se
tutto è potenzialmente traccia, ma non documento, sembrerebbe sufficiente un’ipotesi esplicativa per poter parlare anche di
storia degli astri, della terra, di qualsiasi
cosa, umana e non umana. A questo Ricoeur risponde, rivendicando il carattere specificatamente umano della storia, basato
sull’analogia e omologia fra «gli uomini
che hanno fatto la storia e gli storici che
rifanno la storia». Inoltre, la distanza tem-
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porale vieta ogni concezione ingenuamente rappresentativa: ogni fatto storico è principalmente il contenuto di un enunciato che
domanda un attestato di fiducia. In ogni
interpretazione, osserva Ricoeur, un dato
momento storico può essere rivalutato,
studiato sotto una particolare angolatura
rimettendone in discussione i tratti fondamentali.
Solo attraverso forme più sottili di “relazione referenziale”, la ricostruzione storica
elude il gioco retorico, l’abbellimento letterario, e un giudizio non certo, ma plausibile, può essere esercitato sulla coerenza e
affidabilità del lavoro interpretativo: “agenti
e soffrenti”: non si tratta di giustificare il
passato, sottolinea Ricoeur, né di verificarlo, bensì di sottoporre a contestazione, replica, revisione tutte le versioni “plausibili” di un dato processo storico. La “plausibilità” di una ricostruzione storica, la sua
specifica veracità, dipendono dalla garanzia che le singole prove apportano alle
diverse ipotesi esplicative: la storiografia
non è solo linguaggio, poiché la critica
documentaria, la selezione e la preliminare
indagine delle tracce, sono condizione di
autonomia per la spiegazione storica e al
contempo costituiscono il polo referenziale, per quanto indiretto, dello storico, che
passo per passo commisura, soppesa, controbilancia le ipotesi con i documenti. In
particolare, la scientificità della ricostruzione storica inerisce alla duttilità con cui
lo storico sa intrecciare comprensione e
spiegazione, con particolare riferimento alle
capacità “immaginativa” del medesimo.
L’utilizzo dell’argomento immaginario
serve a cogliere più da vicino la “singolarità unica” di un dato evento storico. A questo proposito, centrale è in Ricoeur l’idea
che i corsi e i decorsi storici siano principalmente svolgimenti di azioni e di passioni, i cui motivi e ritmi, per quanto complessi, non sono incomprensibili; tutt’altro, essi
sono costitutivamente analoghi alle azioni,
alle passioni, agli interventi con cui gli
uomini di oggi si misurano con le grandezze e le qualità della realtà sociale, politica
di ieri. Modelli culturali permettono oggi
di attraversare, senza abolirla, la distanza
paradossale tra un tempo che è stato una
volta, e che ora non è più.
La storia, sottolinea Ricoeur, è una disciplina “mista”, che coniuga senza confondere «la validità di un sapere e la verosimiglianza di un racconto», la tenacità di un
metodo scientifico e la coscienza della fragilità del suo oggetto. Questa “fragilità”,
connessa all’oggetto storico, è dovuta al
fatto che la storia, "fatta” o “raccontata”, è
principalmente storia di azioni e dell’azione detiene tutti i tratti: precarietà, ragionevolezza, non necessità. Per questo, fra le
risorse proprie del lavoro dello storico spicca l’elaborazione della nozione di “intervento” (Ricoeur si riferisce qui in particolare al lavoro di G. H. von Wright, Explanation and Understanding, del 1971; tr. it.
di G. di Bernardo, Spiegazione e compren-
sione, Bologna 1977). Nell’idea d’intervento Ricoeur individua l’espressione perspicua dell’ambiguità dell’evento storico:
ogni accaduto presuppone infatti che esso
sia stato compiuto da un agente e che d’altro canto s’inserisca nell’ordine (sociale,
politico, cosmologico anche) delle cose.
L’azione in quanto intervento e iniziativa si
offre allora alla comprensione dello storico
in grado di “cogliere” le motivazioni e le
intenzioni di un agente lontano, le cui “ragioni” sono antropologicamente condivisibili sulla base di una teoria dell’azione.
Inoltre, inserendosi nel corso delle cose,
l’evento è suscettibile di essere spiegato in
una connessione causale.
Questo articolarsi di segmenti nomologici
e di segmenti motivazionali sulla scala
dell’azione storica permette di cogliere con
più forza l’analogia fra gli uomini che
hanno fatto la storia e gli storici che la
rifanno: nel “fare la storia”, uomini storici
e storici degli uomini partecipano del medesimo statuto di “agenti e sofferenti”.
Questa analogia giustifica il “realismo critico” dello storico, la “fiducia-confidenza”
nell’impegno ricostruttivo del passato. Nel
fare la storia, né gli attori, né gli storici sono
“padroni” degli eventi: il passato inafferrabile non si fa rappresentare, bensì “sentire” nei suoi effetti, nelle sue conseguenze,
rendendo tutti quanti eredi a volte inconsapevoli, non sempre volenterosi di un “debito”.
Centrale, per Ricoeur, resta in tal senso
l’esigenza “etica” della ricostruzione del
passato. Definendo il passato come essendo-stato-non-più, il “debito” verso il passato implica l’obbligo di non dimenticare, di
«risarcire i nostri morti». Ricoeur propone
“tre modelli” teorico-pratici, capaci di guidare comportamenti responsabili nel difficile, spesso ingrato, compito di risarcire i
“debiti” del passato: vie possibili di un’integrazione “fragile” fra presente e passato,
identità e alterità, che la nuova situazione
europea e mondiale invita a considerare
seriamente.
Il primo modello è quello della “traduzione”, che non è una semplice transazione,
ma un’esigenza di diritto, poiché il linguaggio esiste solo mediante le lingue.
Tradurre è “un atto spirituale”, non meccanico, che implica un trasporsi nelle motivazioni spirituali dell’altro, non per impadronirsene, bensì per “abitare” presso l’altro,
«al fine - sottolinea Ricoeur - di ricondurlo
a casa propria a titolo di ospite invitato».
Questa nozione di “ospitalità linguistica” è
un primo modello, esportabile nella vita
pubblica, in grado d’indicare come attraversare le distanze fra noi e gli altri (per
lingua, sesso, temporalità). Il secondo modello è quello dello “scambio di memorie”:
bisogna spezzare la chiusura delle proprie
ragioni, uscire dai pregiudizi non per una
generica e melliflua “tolleranza”, ma per
uno scambio attivo e partecipe delle me-
Sébastien Stoskopf, La grande Vanité (1641), particolare
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CONVEGNI E SEMINARI
morie, delle storie fondatrici degli altri,
attraverso cui gli “altri” si raccontano e ci
raccontano. Quest’esigenza porta lo storico alla correzione delle memorie attraverso
la correzione dei racconti, al confronto dei
propri racconti con quelli degli uomini di
ieri, con i “contemporanei” di allora, per
dare accesso nella propria storia alla storia
degli altri. L’ultimo modello, il “perdono”,
porta nel cuore della fragilità delle azioni e
delle passioni umane. La storia è anche il
cumulo dei torti reciprocamente inflitti e
subiti: “gli agenti sono stati tutti, prima o
poi, dei sofferenti”. Bisogna partire allora
dalla sofferenza altrui, se si vuole “restituire” non solo i colpi ricevuti, ma anche i
debiti. Il perdono è in tal senso connesso
per Ricoeur a un’economia del dono e a una
perspicua idea di memoria, e come tale
assunto a categoria dell’interpretazione storica e dell’agire politico. Il perdono, secondo Ricoeur, si presenta come “terapeutica
della memoria”: non abolisce i torti, ma
insegna a gestire e a convivere con il male
inflitto e subito; opera nella logica del
“dono”, della sovrabbondanza, e come tale
coopera con la regola del riconoscimento
reciproco, del confronto con l’alterità.
Il perdono esige lunga pazienza”, ha concluso Ricoeur, sottolineando la tensione
costitutiva fra l’urgenza del risarcimento e
la temperanza catartica del perdono. Quest’attesa, certo, può significare l’auspicabile elaborazione luttuosa e mortifera della
vendetta, ma anche il rischio, sempre presente, di sottovalutare, se non di rinnegare,
le lotte e le speranze “contemporanee” degli uomini di ieri, di cui, perdonando, si
potrebbero cancellare non tanto le tracce di
un tempo “non più, pur essendo stato”,
quanto di un passato mai stato, perché
dimenticato una volta per tutte. F.M.Z.
Contemporaneità della filosofia
Si è inaugurato nel mese di ottobre
alla Casa della Cultura di Milano un
ciclo di conferenze dal titolo: LA FILOSOFIA CONTEMPORANEA . CIÒ CHE È VIVO , CIÒ
CHE È MORTO a cura di Fulvio Papi, che
con questa iniziativa ha inteso ribadire il carattere essenzialmente contemporaneo della filosofia, come identità
tra riflessione su se stessa e prassi
filosofica, il cui senso non può essere
scisso dal suo accadere. Queste le relazioni previste: “Attualità di Sartre”,
di Pierangelo Rovatti; “Giochi di verità: Foucault epistemologo e genealogista”, di Salvatore Natoli; “Wittgenstein: il linguaggio come forma”, di
Silvana Borutti; “Popper: scienza come
democrazia”, di Giulio Giorello; “Derrida e la filosofia”, di Maurizio Ferraris;
“Platone e noi”, di Mario Vegetti; “Bilancio su Heidegger”, di Carlo Sini.
Anche se oltrepassa un approccio meramente storiografico, la strutturazione di
questo ciclo di conferenze non esclude un
aspetto didattico, introduttivo o di aggiornamento rispetto ai contenuti proposti. Più
precisamente, ricorda Fulvio Papi, le lezioni sono state pensate attraverso un problema teorico: come è possibile oggi tentare di pensare? La domanda esclude che si
possa ritenere che la filosofia sia già accaduta, e quindi non resti che ricostruire
genealogie che ci dicano come è possibile
che si siano strutturate determinate forme
di pensiero. Così, questa serie di lezioni
intende definire l’orizzonte di un problema attraverso strade identificabili, che consistono senza dubbio in questioni e riflessioni teoriche, ma percepite attraverso la
necessaria mediazione degli autori o, perlomeno, delle prospettive da questi aperte.
Papi rifiuta di concepire la filosofia come
una sorta di ermeneutica “breve”, che consista in una specie di continua dialogicità
con i fatti del mondo. Se la pratica filosofica certo non deve esaurirsi nella storiografia filosofica, tantomeno può a suo parere ridursi a quell’atteggiamento un po’
naïf, “ingenuo”, che pretende d’incamminarsi senza fondamenti sulla strada della
scoperta della verità. In tal senso non è
possibile per Papi alcuna tabula rasa: il
processo euristico non «scopre la verità»,
ma procede piuttosto penetrando in forme
di pensiero che organizzano i loro propri
effetti di verità. Ciò accade perché le pratiche filosofiche provocano forme di sapere, e quindi di verità, alla stessa stregua di
quelle scientifiche, o di quelle artistiche.
Come ogni pratica, anche quella filosofica, per quanto “attuale” nel suo farsi, assume le forme vincolanti e vincolate di un
sapere.
Esiste dunque una precisa ragione di fondo della scelta, per il corso, di autori appartenenti alla filosofia istituzionalmente riconosciuta come contemporanea. Se per
“fare filosofia” occorre non dare per scontato che essa si esaurisca nelle due opzioni
sopra ricordate, quella dello storiografismo e quella della naïveté, questo presupposto non si realizza in una dichiarazione
di intenti, in un atto di volontà, ma nel
mettersi in condizione di affrontare la prova. Occorre cioè “stare in mezzo” alla
filosofia contemporanea, perché il senso
della filosofia medesima non può essere
scisso dalla contemporaneità del suo accadere, cioè del suo farsi: per Papi la filosofia
deve la propria giustificazione teorica alla
situazione filosofica in cui si colloca.
La determinazione temporale non è, evidentemente, solo cronologica; la nozione
di contemporaneità in filosofia, osserva
Papi, non può infatti significare in alcun
modo un’identità dello sviluppo cronologico, indipendentemente dalla storia reale
dei contenuti. La contemporaneità non è
un dato di fatto, ma consiste piuttosto in un
accadere temporale, che deriva dal mettersi in condizione di accadere come tentativo di pensiero delle filosofie contempora48
tifica con la filosofia, ovvero con la prassi
filosofica, il problema si pone allora nei
termini di come pensare, collocandosi all’interno di quest’ultima (che è dunque,
necessariamente, “contemporanea”), e subendone l’insieme degli effetti, che non
sono omogenei. In questo senso, proprio
per quello che può ancora dirci, proprio
per come può ancora condizionare il nostro fare filosofia, anche Platone è nostro
contemporaneo, fors’anche più di pensatori a lui posteriori. F.C.
Nodi della volontà
Provocati da eccesso d’impeto o da
abulia, i “nodi della volontà” sono da
sempre uno dei temi privilegiati della
riflessione morale. In un recente seminario di studi dedicato a questa tematica, tenutosi a Napoli presso l’Istituto
Italiano per gli Studi Filosofici dal 29
giugno al 3 luglio 1992, Remo Bodei ne
ha messo in rilievo la centralità in ogni
considerazione problematica del volere e la significatività imprescindibile
in rapporto alla domanda, che si ripropone oggi in senso forte, su che cosa
fare di fronte alla patologia del volere,
alla sua acrasia.
Intorno al problema della fedeltà della volontà a se stessa e quindi, originariamente,
al problema stesso del volere, si incontrano
e scontrano esigenze e prospettive diverse:
l’autonomia del volere e la sua normatività
o razionalità; l’efficacia selettiva dell’azione e le possibilità energetiche infinite di
passioni e desideri. Ripercorrendo in modo
discontinuo prospettive diverse e lontane
nel tempo, Remo Bodei ne fa emergere
però una chiara linea di continuità e su tale
base procede alla ricerca di una armonia
possibile, come concordia e coerenza dell’uomo con se stesso, che in parte è andata
perduta con la dissoluzione del modello
greco classico di un agire corrispondente
all’idea, e in parte è da ricreare, per superare la scissione agostiniana di voluntas e
noluntas e, insieme, riconoscere diritto di
cittadinanza a pulsioni e desideri che la
concezione platonica preclude alla persuasione e sottopone al controllo della forza.
Il nodo fondamentale da sciogliere si delinea allora nello spazio libero della decisione, quando, tra razionalità dei fini e loro
messa in pratica, la tradizione ebraico-cristiana insinua il dilemma della scelta accompagnata da senso di colpa, scoprendo
l’incapacità della volontà di comandare a
se stessa. In tal modo, il problema di decidere, ovvero di “re-cidere” il possibile,
trasformandolo in effettuale, non appare
più una operazione automatica, ma una
decisione di volere, quindi un decidere di
decidere. In questa sua assurdità di comandamento autocontraddittorio, e quindi inseguibile, il problema del decidere, dalla
CONVEGNI E SEMINARI
“scommessa” di Pascal alla volontà di credere di James, individua lo specifico del
carattere riflessivo del volere.
Da Agostino a Freud, da Simon a Elster a
Ricoeur i nodi della volontà vengono sciolti aggredendo la volontà alle spalle, con
strategie indirette che la vincolano al proposito iniziale o alla parola data e che,
senza obliare l’inevitabilità del conflitto,
mettono in movimento la riconciliazione
del sé come identità da acquisire e mantenere in gradi sempre più alti di ricomposizione. In particolare, nell’ “ipseità” di Ricoeur, come volontà che lega se stessa allo
schema della promessa, Bodei legge una
volontà di permanere coerenti a se stessi
che supplisce il carattere dell’integrità
morale classica, perché non presuppone
naturalisticamente, né ricompone per
grazia divina, quell’amicizia con se stessi
che si realizza solo nella fedeltà morale
rivolta al futuro. Altro merito significativo Bodei riconosce poi a Cartesio, che
capovolge la concezione classica del
troppo desiderare come peccato. La volontà, che per Cartesio è sempre capace,
se ben “addestrata”, di dirigere e orientare, si rafforza non mortificando le passioni e i desideri, ma mediante la loro
espansione. Anche in Kant, infine, i nodi
della volontà vengono sciolti strategicamente, in virtù della non obbedienza alla
propria singola volontà: è la razionalità,
come legge morale generale, che ha potere sul singolo, appunto perché non è il
singolo a decidere.
Un punto è tuttavia fermo, secondo Bodei, nelle posizioni considerate: il conflitto con la volontà o la legge è insolubile finché è diretto e immediato. Sciogliere i nodi della volontà è possibile o
attraverso il ricorso a vincoli e stratagemmi, o disponendo la propria volontà,
con i suoi vincoli, ad accogliere una
volontà divina o universale in cui annullarla e così sbloccarla. Pure accettando
quella linea di pensiero che da Spencer a
Binet giunge sino a Freud e Ribau nel
ribadire che la patologia della volontà è
la regressione, si deve convenire, osserva Bodei, che la volontà, più che rimandare ad altro, deve fare i conti con la
molteplicità di potenziali io centrifughi,
che sabotano l’io egemonico quando
conflitti non risolti, pur essendo rimossi
dalla coscienza, continuano a logorare la
volontà dal profondo. Abolire la rimozione di quelle esperienze non comprese
e di quei conflitti non risolti non basta
per Bodei, a sbloccare la volontà: resta il
senso di colpa.
Si tratta allora di creare nuove edizioni
dei vecchi conflitti, di portare ad un altro
livello la carica e la contro-carica, e così
allargare l’area di coscienza e rafforzare
l’io nella revisione di processi frettolosamente conclusi con la condanna di
certe pulsioni o idee. La libertà della
Sant’Agostino (in alto, dipinto del Botticelli) e Blaise Pascal
49
CONVEGNI E SEMINARI
decisione è in tal senso espansione della
conoscenza, decifrazione dei conflitti
che, nel portare alla luce della conoscenza la voce tirannica dell’autorità, le norme sociali interiorizzate, ricostruisce la
storia dei sensi di colpa e stabilisce con
chiarezza ciò che è da rifiutare o da
accettare. In conclusione, il conflitto si
risolve indirettamente spostando il livello dello scontro e, per Bodei, portando alla coscienza la voce del Super-io,
che in noi chiede obbedienza, sia pure
per venire a patti o scontrarsi con esso:
“peggio di tutto”, per sanare la volontà
divisa, è la non consapevolezza tanto del
conflitto quanto dei limiti. L.S.
Mito e polarità
Un nuovo intervento sulla polarità
“mythos-logos”, dal mondo antico alla
contemporaneità, ha avuto luogo all’Università di Chieti in tre Colloqui
distinti sul tema: MITO E POLARITÀ, organizzati rispettivamente nei giorni 20
febbraio, 1 aprile e 30 aprile 1992 dalla
cattedra di Filosofia Antica, con il patrocinio del Centro Servizi Culturali
della Regione Abruzzo.
Sotto il titolo: Mitologie comparate e
loro ermeneutiche, hanno avuto inizio i
lavori del primo Colloquio con interventi di taglio storico ed ermeneutico incentrati sul mondo antico e sulla prospettiva
che di esso ha la modernità. Gian Battista Vaccaro ha ricostruito la vicenda
filosofica del problema da Platone a
Nietzsche, cioè dall’inizio alla fine di un
pensiero che si caratterizza come “occidentale”, per mettere in evidenza la modernità dell’intrinseca caratterizzazione
polare del pensiero mitico nella vicenda
celtico-cristiana dell’opposta simbologia della spada e del calice. Pietro De
Vitiis ha esposto l’interpretazione del
mito nella filosofia ermeneutica fino a
Blumenberg, desumendo una originale
riconsiderazione della distinzione ottocentesca tra scienze della natura e scienze dello spirito. Gli ultimi due interventi
di questo primo Colloquio, di Maurizio
De Innocentis e Patrizia Deplano, erano tesi a ricercare luoghi di analisi della
polarità mitica al di fuori o al margine
della tradizione greca ed occidentale:
nella Bibbia ebraica e nella tarda tradizione giudaica. Nel primo caso è stata
messa in evidenza la particolare originalità del “discorso” biblico della creazione nella fondamentale ripresa “polemica” di toni ed elementi delle mitologie
mesopotamiche contemporanee; nel secondo caso, attraverso un lavoro comparativo sulle tradizioni esegetiche giudaiche, è stato sottolineato il senso destabilizzante del leggendario nei confronti
della misurata fissità del testo canonico.
Nel secondo Colloquio dal titolo: Mito
antico: contesto originario, sue utilizzazioni e sopravvivenza letteraria, sono
stati prevalenti gli interventi di filologia
e storia greca e romana. Lucio Bertelli
ha mostrato come continue versioni e
riappropriazioni del mito di Teseo abbiano potuto fungere in età classica da
sostegno ideologico di posizioni politiche di volta in volta diverse o addirittura
in conflitto fra loro. Riccardo Scarcia e
Maria Laetitia Coletti hanno ripercorso, il primo la vicenda letteraria del topos della solitudine e della melanconia
dell’intellettuale letterato, rintracciato
nel mito di Bellerofonte, riletto da Cicerone nelle Tuscolanae, la seconda, la
vicenda del motivo della passione filiale
e della donna malefica e mortale che in
ogni epoca si ripropone nei moduli tragici del mito di Fedra. Giovanni Giorgini,
rifacendosi ad una classificazione dei
caratteri femminili nella società inglese
dell’Ottocento, desunta da A. Mac Intyre, ne ha rintracciato le rappresentazioni nella relativa letteratura, e gli archetipi nella letteratura classica e indietro fino alla mitologia indeuropea. A
Francesco Iengo è toccato il compito di
trarre conclusioni teoriche sulla reale
persistenza culturale del mito greco nella nostra letteratura e sulla sua effettiva
funzione di elemento di riorganizzazione di contesti ideologici diversi.
Con il terzo Colloquio dal titolo: Mito,
epistemologia e forme della conoscenza, si è tornati alla considerazione teoretica e storico-scientifica del mito, dall’età pre-moderna all’età moderna e postmoderna. Ugo Baldini ha messo in evidenza come, fin dalla prospettiva positivistica di M. Müller, si sia tentata una
valutazione del mito in chiave scientifica e naturalistica, e come da De Santillana a Feyerabend ci sia stata ultimamente
una riconsiderazione positiva della conoscenza mitica da parte degli storici e
dei teorici della razionalità scientifica.
Cesare Preti, inserendosi nel contesto
aperto dalla prima relazione, ha dato un
esempio di come tra il ‘500 e il ‘600 il
mito biblico del Diluvio abbia costituito
un forte referente per i primi tentativi di
spiegazione scientifica della natura dei
fossili marini.
Di carattere diverso è stata la relazione
di Giuseppe Cognetti sulla ricerca di
una razionalità veritativa del mito in
Kurt Hübner, a metà strada tra strutturalismo ed ermeneutica e con accenni ai
cultori delle tradizioni esoteriche tra
Ottocento e Novecento. Francesco Paolo Ciglia ha affrontato, invece, il problema della localizzazione del mitico nel
complesso ed originale discorso filoso-
50
fico di Levinas, per il quale il mito, come
l’arte, è il controverso segnale del fondo
oscuro, “brulicante”, ma privo di senso,
che soggiace l’esistenza umana. Nell’ultimo intervento della serie, Pier Luigi
Santangelo ha rilevato in Wittgenstein
l’esistenza di una categoria di “miticità”
che gli consente una distinzione teorica
tra mitologia “incantatrice” e mitologia
“paradigmatica”, l’una riferibile ai complessi organizzati di “credenze” da cui si
coglie il mondo, l’altra agli oggetti di
questo stesso considerare; si comprende, così, come ogni tentativo di demitizzare le credenze mediante l’analisi dei
loro oggetti non possa portare ad altro,
per Wittgenstein, che alla manifestazione di una diversa “mitologia”. M.D.I.
Retorica della scienza
Organizzato dall’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici, si è svolto a Napoli,
dall' 8 al 13 giugno 1992, un seminario
dal titolo: DAL METODO DELLA SCIENZA
ALLA RETORICA DEGLI SCIENZIATI, condotto
da Marcello Pera sul ruolo fondamentale svolto dalla retorica e dalla dialettica nella formazione delle teorie scientifiche.
La cosiddetta “nuova filosofia della scienza” non sembra essersi ancora sufficientemente interrogata sul perché si sia passati,
in tempi relativamente brevi, da una concezione della ricerca scientifica come unica
forma di conoscenza razionale della realtà
alla riduzione della scienza al rango di una
forma razionale di cultura al pari di altre.
Per spiegare questa situazione, ha osservato Marcello Pera, occorre partire dall’analisi dello statuto epistemologico della cosiddetta “scienza classica”, cioè dalla
“scienza come dimostrazione”.
Facendo riferimento alle teorie dei più autorevoli rappresentanti del pensiero scientifico moderno (Bacone, Cartesio, Leibniz,
Newton), Pera ha rilevato le due componenti fondamentali della “scienza come
dimostrazione”: una componente epistemica, che presuppone che la scienza disponga di “dati certi”, siano essi di origine
empirica o razionale, in grado di consentire
un accesso diretto alla realtà; e una componente metodologica, secondo cui esiste una
procedura ben definita che, a partire dai
“dati certi”, garantisce la validità delle conclusioni. Un tale impianto subisce un primo scossone tra ‘800 e ‘900 con la messa in
questione della componente epistemica e
la conseguenza che a) quelle che erano
ritenute cartesianamente «idee chiare e distinte» (spazio, tempo, causa, numero, ecc.)
potevano essere oggetto di ridefinizioni
totali; che b) anche le percezioni apparentemente più “pure” erano, in realtà, «pregne di teoria» e indissolubilmente legate al
particolare punto di vista assunto dall’os-
CONVEGNI E SEMINARI
servatore.
Tuttavia, benché privato di un sostegno
fondamentale, l’edificio della “scienza
come dimostrazione” rimane ancora in equilibrio sul pilastro della componente metodologica. Non a caso anche quei filosofi
come Popper e Lakatos, che pure hanno
messo in evidenza l’indebolimento dello
scopo epistemico della scienza, continuano a riconoscersi in quello che Pera definisce “progetto cartesiano” e che può essere
schematicamente così riassunto: 1) esiste
un metodo universale che permette di distinguere la scienza da ogni altra forma di
cultura; 2) la corretta utilizzazione delle
norme metodologiche garantisce il raggiungimento dello scopo della scienza; 3)
se la scienza non avesse un metodo, non
potrebbe essere considerata un’attività conoscitiva razionale. Proprio questo “progetto cartesiano” è stato oggetto, negli ultimi anni, degli attacchi della “nuova filosofia della scienza”, che ha messo in evidenza come l’ipotesi di due principi metodologici immutabili e assolutamente vincolanti per l’indagine scientifica risulti decisamente smentita dal fatto che le più rilevanti acquisizioni della scienza sono nate
dalla violazione (più o meno consapevole)
da parte degli scienziati di determinate
norme metodologiche. La “nuova filosofia della scienza”, ha osservato Pera, ha
tentato poi di sostituire al “modello metodologico” di scienza di stampo cartesiano
“modelli contrometodologici” di almeno
tre tipi: a) di tipo “anarchico” (Feyerabend), secondo cui le pretese cognitive
della scienza e le valutazioni epistemiche
dipendono da “mezzi non argomentativi” o
“irrazionali”; b) di tipo “sociologico” (D.
Bloor, M. Hesse), secondo cui il succedersi
delle teorie va spiegato facendo riferimento
a fattori sociali, più che logici; c) di tipo
“post-filosofico” (Rorty), in cui l’idea di
metodo scientifico si dissolve nell’ottica di
un’ermeneutica onnicomprensiva.
Tuttavia, se i modelli contrometodologici
hanno colpito al cuore le prime due tesi del
“progetto cartesiano”, è anche vero che
essi hanno implicitamente alimentato l’opinione che l’unica alternativa al metodo sia
l’irrazionalità o, quanto meno, la riduzione della scienza a «normale conversazione
tra persone ben educate». Per cercare di
superare l’empasse epistemologica costituita dal riproporsi del “dilemma cartesiano” (o metodo, o irrazionalità), Pera ha
proposto l’adozione di un “modello retorico” di scienza che sia in grado di salvaguardare alcune proprietà tipiche della
scienza (oggettività, razionalità, progressività), senza per questo sacrificare le acquisizioni della critica più recente (storicità, incommensurabilità fra le teorie, varianza di significato ecc.).
Secondo Pera, il tradizionale modello metodologico concepisce la ricerca scientifica come una partita tra lo scienziato, che
pone le sue domande, e la natura, che
fornisce delle risposte (dati e risultati). La
partita ha poi fine quando lo scienziato, nel
rispetto delle regole dettate dal metodo
scientifico, è riuscito a porre le sue domande in modo tale da costringere la natura a
rivelargli i suoi segreti. Nei modelli di tipo
contrometodologico avviene invece che in
assenza di regole metodologiche, i “fattori
esterni” (psicologici, sociali, linguistici)
producono tanto “rumore” che gli scienziati non possono far altro che interpretare
i sempre più flebili suoni della natura secondo le proprie tendenze e gusti personali. Al contrario, ha osservato Pera, nel
“modello retorico” l’indagine scientifica
viene innovativamente concepita come una
partita a tre tra la natura, lo scienziato e la
comunità scientifica. Lo scienziato interroga la natura, la natura fornisce dati e
risultati sperimentali e la comunità scientifica discute sia la domanda, che la risposta, mediante il dibattito e la ripetizione
degli esperimenti. La partita ha poi fine nel
momento in cui i tre protagonisti si sono,
per così dire, messi d’accordo sulla risposta corretta al problema di partenza.
In questo caso, dal momento che la validità o meno di una teoria dipende esclusivamente dagli esiti del dibattito che si instaura tra la natura, lo scienziato e la comunità
scientifica, è chiaro che venga messa in
primo piano l’importanza delle tecniche di
persuasione e, quindi, della retorica. Ciò
non significa, ha sottolineato Pera, una
riduzione della scienza a “normale conversazione”, poiché la retorica cui si fa
riferimento è una retorica tipica della scienza, con norme e procedure ben definite,
«forme dell’argomentazione scientifica», che
a loro volta, rimandano al concetto di “dialettica scientifica”, intesa come logica di validazione di tali forme. A.N.
Filosofie della storia nel Settecento
Assumendo come punto di partenza
della propria ricostruzione storico-critica il presupposto che nel ‘700 “coesistano” teorie della storia fondate sul
concetto di Provvidenza e teorie fondate su quello alternativo di progresso, Pietro Rossi ha tenuto, dal 22 al 26
giugno, presso l’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici di Napoli, un seminario sul tema: TEORIE DEL PROGRESSO E
TEORIE DELLA PROVVIDENZA NELLE FILOSOFIE
DELLA STORIA DEL SETTECENTO .
Secondo Pietro Rossi l’origine comune
delle settecentesche teorie della storia deve
essere rintracciata nel complesso orizzonte culturale degli ultimi decenni del ‘600
che, se da un lato conosce una diffusa
rilettura e riproposizione del De civitate
Dei di Agostino, pure, dall’altro, raccoglie
l’eredità della cultura libertina, vede l’affermazione della critica biblica e la sem51
pre maggiore divulgazione di informazioni sui popoli del vicino ed estremo Oriente. Si deve, in primo luogo, al differente
modo di considerare il rapporto storia sacra-storia profana la distinzione in due
ambiti diversi della riflessione sulla storia
nel ‘700. Nel Discorso sulla storia universale (1681) la storia profana è per Bossuet
realizzazione di un disegno provvidenziale, in cui le “rivoluzioni” degli imperi
hanno senso solo in funzione della vicenda sacra del popolo ebreo. In Vico,
nella Scienza Nuova seconda (1730), il
corso e ricorso storico delle nazioni è
retto dalla Provvidenza divina, anche se
senza interventi diretti, miracolosi, ma
per reconditi disegni. Invece nel Saggio
sui costumi e lo spirito delle nazioni
(1756) di Voltaire, che pure si propone
come una continuazione dell’opera storica di Bossuet, la vicenda del popolo
ebreo diventa assolutamente marginale
ed è ben lungi dal costituire l’asse della
storia universale.
L’affermarsi della concezione della storia
come sviluppo verso la civiltà è legata
all’emergere delle idee di civiltà e di progresso. Subito dopo la metà del XVIII
secolo, il termine francese civilisation viene a designare il processo di civilizzazione
di un individuo o di un popolo e insieme lo
stato raggiunto da chi è passato attraverso
questo processo. La nozione di progresso
ha, invece, la sua genesi nella Querelle des
Anciens et des Modernes e si viene arricchendo nelle posteriori formulazioni di
Voltaire e Turgot: il primo afferma una
teoria del progresso in termini di sviluppo
scientifico e di perfezionamento dei costumi; il secondo stabilisce per la prima volta
il carattere di “infinità” del progresso, nascostamente presente anche nei periodi di
decadenza. Ma in entrambi è assente la
dimensione socio-politica del progresso,
recuperata invece da Montesquieu con la
nota antitesi ideologica tra Asia (continente dei dispotismi) e Europa (terra dei governi “moderati”) e, in termini più originalmente socio-economici, dallo storico e
sociologo scozzese Adam Ferguson, che
nel suo Saggio sulla storia della società
civile (1767) indica nell’istituzione della
proprietà e nella sua successiva codificazione giuridica il passaggio dallo stato
selvaggio alla barbarie e allo stato civile.
Solo nella cultura illuministica, osserva
Rossi, la riflessione sull’idea di progresso
tocca inevitabilmente il problema della
continuità o discontinuità del progresso
stesso, che finisce per essere concepito
come indefinito e illimitato nell’Abbozzo
di un quadro storico dei progressi della
natura umana (1793) di Condorcet. Qui lo
spettacolo di una rivoluzione riuscita (quella americana) consente non solo di descrivere il progresso storico, ma anche di prevedere quello futuro come eliminazione
della diseguaglianza e perfezionamento
della stessa natura umana.
Tutto questo non deve suscitare l’impres-
CONVEGNI E SEMINARI
Johann Gottfried Herder. Dipinto di Anton Graff
52
CONVEGNI E SEMINARI
sione, fa notare Rossi, che nel corso del
‘700 non ci sia spazio per le teorie provvidenzialistiche della storia. Nell’opuscolo
Ancora una filosofia della storia per l’educazione dell’umanità (1774) di Herder, la
successione delle epoche risponde ad un
piano provvidenziale, che però, a differenza di Bossuet, non presuppone la distinzione tra storia sacra e storia profana, ma
sancisce ben prima di Hegel, la prima
radicale sacralizzazione della storia: «La
storia - scrive Herder - è il cammino di Dio
attraverso le nazioni»; e ancora, «la storia
è l’epopea di Dio attraverso tutte le età,
tutti i continenti, tutti i popoli». E la storia
non è soltanto sacralizzata, ma divinizzata
nella grossa opera sistematica di Herder,
Idee per la filosofia della storia dell’umanità (1784-91), dove la lettura organica del
Deus sive natura spinoziano consentiva a
Herder di concepire la relazione naturastoria umana in termini già romantici di
una totalità vivente, che si articola in uno
sviluppo biologico finalizzato alla nascita
dell’uomo, anello di congiunzione tra mondo naturale e mondo storico.
Da ultimo Rossi ha considerato il particolare problema della presenza o meno delle
civiltà extraeuropee nei quadri storiografici del ‘700. Nella concezione provvidenzialistica della storia l’assunzione della
teoria monogenetica, ovvero della tesi dell’unica origine dell’umanità e il conseguente rifiuto del poligenismo, comporta
l’esclusione dei popoli extreuropei. Quanto poi alla concezione della storia come
progresso verso la civiltà, essa presuppone
lo schema evolutivo stato-selvaggio-barbarie-civiltà, che permette di collocare comodamente al primo o al secondo livello le
civiltà extraeuropee: così viene di fatto
risolto il “problema” dei selvaggi americani; mentre le culture azteche, maya, inca,
non sono considerate culture “civili” nell’orizzonte storico settecentesco. Non così
per la Cina, mitizzata da Voltaire come la
civiltà che ha dato vita alla religione più
priva di elementi mitologici, quella più
vicina alla religione naturale, ma anche,
secondo uno schema di derivazione montesqueiana, terra di tradizioni dispotiche e
pertanto non civile. Dunque, se le teorie
della storia come progresso verso la civiltà
consentono più e meglio di “avvicinarsi”
alle civiltà dei popoli extraeuropei, non si
può tuttavia affermare, osserva Rossi, che
con esse siamo di fronte al riconoscimento
di una pluralità di direzioni di sviluppo
verso la civiltà. A.I.
Percorsi della modernità
Secondo le significative e attualissime parole pronunciate da Fichte nel
1794 nell’opera omonima, la “missione del dotto” consiste nel «sorvegliare dall’alto il progresso effettivo del
genere umano e nel promuovere incessantemente tale progresso». Sulla
base di questo imperativo, Alberto
Tenenti, dell’Ecole des Hautes Etudes
en Sciences di Parigi, ha condotto il
seminario dal titolo: PERCORSI DELLA
MODERNITÀ, tenutosi dal 21 al 24 aprile
1992 all’Istituto Italiano di Studi Filosofici di Napoli.
Il richiamo ad un filosofo così distante nel
tempo per introdurre il ciclo di conferenze
di Alberto Tenenti non apparirà arbitrario se guardiamo al legame sotterraneo che
tiene unite, al di là dell’apparente disomogeneità dei contenuti proposti, la serie
delle relazioni: “Stato e ragion di Stato”;
“Le trasformazioni della città italiana”;
“Luci e ombre dell’utopia”; “Tolleranza
religiosa e libero pensiero”; e infine “La
visione dello spazio europeo”.
Nella conferenza di apertura Tenenti ha
illustrato, in riferimento allo scacchiere
europeo dei primi Stati nazionali, la concezione dello Stato sottesa alle politiche
delle diverse monarchie sorte nell’epoca
moderna e l’influenza della ragion di Stato
sulle decisioni effettive delle ologarchie,
mostrando «il ruolo delle dottrine politiche nel cambiamento delle istituzioni».
Anche in riferimento alle trasformazioni
della città italiana, prendendo spunto dalle
vicende specifiche di progressivo allontanamento dal volto originariamente comunale-medioevale di città campione come
Genova, Torino, Roma, Tenenti ha mostrato come le forze politico-economiche
abbiano addirittura finito col favorire nuove concezioni architettoniche, che avevano come scopo di rendere la città medioevale rappresentazione del potere politico
dominante. A partire dal ‘500, Genova
assiste a una spartizione ufficiale del potere politico tra i banchieri delle maggiori
casate nobiliari della città i quali, pur facendone una capitale monetaria, ne modificano però l’aspetto prevalentemente medioevale, appropriandosi di due quartieri
di proprietà comunale per trasformarli in
dimore private di prestigio. A Roma, invece, la notevole sensibilità urbanistica dei
Papi si espresse nel rifunzionalizzare l’edilizia pubblica preesistente per dare alla
città, accanto al ruolo di centro spirituale,
un’immagine che valorizzasse il suo maestoso passato di capitale imperiale e la
ponesse anche come polo di un potere
temporale. Soltanto la Torino sabauda,
tralasciando i preesistenti nuclei romanomedievali, utilizzerà a partire dal ‘500,
accanto ad altre trasformazioni essenziali
in campo economico e politico, un’urbanistica moderna e razionale a fini sociali e
collettivi, ponendosi già da allora come
modello urbanistico di capitale in uno stato moderno.
Con un excursus storico sul concetto di
utopia attraverso Platone, il Cristianesimo, Lutero, Moore, Bacone, Rousseau e
altri, Tenenti ha affrontato l’analisi del53
l’«influenza del livello ideologico sulla
realtà esistente» e quindi sulla formazione
della società moderna. Si tratta di considerare l’utopia come regno del possibile e
perciò forza spirituale di rinnovamento,
rintracciandola nella sua forzata attribuzione ad antichi predicatori o legislatori, o
nella necessaria rappresentazione di società paradigmatiche e perfette, e infine
nei suoi tentativi di realizzazione politicosociale a partire dal XVIII secolo, coinvolta nelle problematiche della distribuzione
del lavoro e della ricchezza, della scissione tra potere spirituale e temporale e della
felicità nella vita di fronte alla morte. Questo significa, per Tenenti, interpretare la
laicizzazione del regno ideale come progressivo allontanamento dall’oltremondano verso l’intramondano e dell’ideale verso il progettuale, mettendo in evidenza sia
il carattere critico-teorico dell’utopia nei
confronti dell’esistente, sia il carattere di
esercizio ideologico di gruppi o singoli
individui dottrinari e autoritari.
Tenenti ha poi affrontato la visione eticoculturale che l’Occidente ha di se stesso in
rapporto all’altro da sé, sia all’esterno che
all’interno dei confini geografici. Solo dopo
circa tre secoli di tentativi di assorbimento
o di annullamento del “diverso”, in campo
economico, politico, religioso, culturale,
si giunge a riempire di contenuto ideali
come la tolleranza religiosa e la libertà di
pensiero con uno «sguardo alla realtà dell’altro, che nella sua opposizione ha anch’essa contribuito a modificare la percezione di sé dell’Occidente». Questa visione che nel ‘500 l’Occidente ha di se stesso
e del diverso, e la sua lenta trasformazione,
sono leggibili per Tenenti anche nella rappresentazione dello spazio: in tutto il ‘500
il notevole scarto tra realtà geografica e
rappresentazione cartografica è dovuto al
fatto che si continuano a utilizzare come
base le indicazioni di Tolomeo sia per
l’Europa - la “Cristianità” - che per gli altri
mondi e che solo lentamente lo spazio
geografico conosciuto, suddiviso tra il
Baltico, il Mediterraneo e l’Egeo, viene
allargato a includere altre terre, con sempre maggiore consapevolezza che la conoscenza della realtà dell’altro significa conoscenza della realtà del sé in modo nuovo
e diverso.
In tale contesto di progressiva apertura e
cambiamenti, Tenenti ha messo in luce il
ruolo dell’intellettuale nella società, sviluppando in particolare la possibilità di
un’azione reale e perciò stesso etica dell’intellettuale nella storia, impegnato col
suo stesso lavoro a favorire lo sviluppo
pacifico e l’integrazione armonica di quei
semi già comunque presenti nella storia
che egli stesso vive. Solo in una tale prospettiva di realismo storico, sembra voler
concludere Tenenti, è possibile assolvere
fino in fondo alla missione fichtiana del
dotto. S.S.
CONVEGNI E SEMINARI
Primo piano:
lezioni italiane
Prendendo ispirazione dalla tradizione anglosassone delle ‘University Lectures’, la Fondazione Sigma-Tau, in
collaborazione con la casa editrice
Laterza, ha organizzato a cura di Pino
Donghi e Lorena Preta una serie di
conferenze, raccolte sotto il titolo di
Lezioni italiane, che hanno affrontato
temi di attualità scientifica e culturale.
Condotte nella forma di brevi corsi
universitari della durata di due o tre
giorni consecutivi, le conferenze avevano l’intento di proporre un laboratorio permanente di riflessione sulle
tendenze che i movimenti culturali e il
progresso delle scienze vanno delineando per i prossimi anni. Soprattutto
si è voluto tentare di gettare un ponte
che colmasse la separazione tra cultura scientifica e umanistica. E affinché
questo ponte fosse in seguito percorribile e ripercorribile più volte, i testi
delle varie conferenze sono stati raccolti, interamente o in parte, in una
serie di volumi dall’editore Laterza. Di
questa serie di conferenze vogliamo
qui segnalare quelle che più direttamente hanno investito il mondo della
filosofia. Ci riferiamo alle lezioni di
John David Barrow, PERCHÉ IL MONDO È
MATEMATICO? (11-13 dicembre 1991,
Università degli Studi di Milano), di
Francisco Varela, UN KNOW-HOW PER L’ETICA (16-18 dicembre 1991, Università
degli Studi di Bologna), di Ilya Prigogine, LE LEGGI DEL CAOS (febbraio 1992,
Università degli Studi di Milano), di
Hilary Putnam, IL PRAGMATISMO: UNA
QUESTIONE APERTA (24-26 aprile 1992,
Università degli Studi di Roma ‘La
Sapienza’), di Aldo Giorgio Gargani, IL
TESTO DEL TEMPO (7-9 aprile 1992, Università degli Studi di Milano ).
Presentato all’Università di Milano da Giulio Giorello, John David Barrow, docente
di astronomia all’Università del Sussex,
già noto al pubblico italiano con il volume:
Il mondo dentro il mondo (Adelphi, Milano 1991) ha indagato il problema dei fondamenti di validità della moderna impresa
scientifica, riprendendo motivi del suo ultimo libro, Theories of Everything. The
Quest for Ultimate Explanation (Teorie del
tutto. La ricerca di una spiegazione ultima,
Oxford UP, Oxford 1991), di prossima
traduzione preso la casa editrice Adelphi.
Perché i modelli offerti dalle teorie scientifiche si rivelano adatti al mondo nel quale
viviamo? Esiste una corrispondenza certa
tra mondo matematico e mondo fisico?
Questi i principali interrogativi a cui Barrow ha cercato di dare una risposta, affrontando innanzitutto dal punto di vista storico
il problema dei fondamenti della scienza
moderna. Dapprima è stata presa in esame
l’evoluzione di un primitivo metodo di
conta da strumento utile alla vita quotidiana e strettamente legato alle esigenze di
questa (controllo del numero di pecore in
un gregge, ecc.) a sistema di numerazione
autonomo, astratto e fecondo come quello
matematico odierno (parente di sistemi già
sofisticati come quello Maya o Babilonese); un’evoluzione resa possibile grazie
alla “scoperta” e all’introduzione di tre
fattori: la base di conta, il sistema posizionale e l’invenzione dello zero.
Sul problema della validità delle rappresentazioni matematiche si sono scontrati
pensatori appartenenti a differenti radici
culturali, dando vita a scuole di pensiero
che hanno contribuito ad analizzare in profondità il problema. E’ stato questo il secondo argomento affrontato da Barrow,
che ha esposto la posizione delle scuole di
pensiero nate a partire dalla seconda metà
del XIX sec.: formalismo, costruttivismo,
platonismo, empirismo. Da queste dispute
è scaturito un risultato fondamentale per la
comprensione delle capacità e della validità di un sistema matematico: il teorema di
incompletezza di Gödel (1930-31), secondo il quale non è possibile stabilire la verità
di qualsiasi proposizione appartenente ad
un sistema assiomatico consistente, abbastanza ampio da contenere anche l’aritmetica. In pratica: in un sistema di questo tipo
vi saranno sempre una o più proposizioni,
la cui verità sarà indecidibile, con la conseguente presa di coscienza dell’impossibilità di poter affrontare e risolvere tutti i
problemi insiti nel sistema.
Un risultato del genere sembrerebbe mettere a tacere ogni disputa sulla validità dell’uso della matematica nelle descrizioni
della realtà. Ma la fiducia riposta da Barrow nella validità del linguaggio matematico si basa sulla sua obiettività, comprovata dalla sua regolarità, dalla sua capacità
autoproduttiva, dal proliferare di molteplici scoperte; e si basa inoltre sulle relazioni
tra mondo matematico e mondo fisico, che
permangono feconde. Barrow ha mostrato
il rapporto simbiotico esistente tra le due
discipline: è il caso, ad esempio, di come la
teoria dei tensori e le geometrie non euclidee abbiano permesso la nascita della Relatività Generale; o di come, viceversa,
dagli studi sull’ottica siano nate le serie di
Fourier. Il ruolo rilevante della matematica
nel mondo scientifico è stato ulteriormente
messo in evidenza da Barrow in riferimen54
to alla situazione attuale della ricerca teorica in fisica, impegnata nella formulazione
della “teoria dell’uno”, la grande teoria
unificatrice, che al di là delle diverse separate correnti teoriche dovrebbe riunire in
un unico modello l’infinitamente grande e
l’infinitamente piccolo.
Di fatto il teorema di Godel impedisce ad
un sistema formale di dare prova della
propria verità, ma non di provare verità di
complessità inferiore a quella del sistema
stesso. La matematica è uno strumento del
nostro cervello, che a sua volta è il risultato
di un evoluzione durata milioni di anni: la
nostra capacità di operare semplificazioni
del mondo circostante è stata plasmata e
corretta dalla selezione naturale; la complessità del nostro cervello si è accresciuta
tanto da poter comprendere in maniera
soddisfacente la realtà e di poterla rappresentare esaurientemente tramite descrizioni matematiche. Se ciò non fosse vero,
avremmo solamente una serie di sequenze
casuali di dati. Al contrario, il mondo sembra algoritmicamente comprimibile e la
scienza esiste grazie a ciò. A questo proposito, fa notare Barrow, i risultati ottenuti
dalla scienza parlano chiaro: siamo arrivati
al punto in cui possiamo disporre di funzioni d’onda dell’intero universo; descriverne
lo stato in ogni direzione spazio-temporale; porre questioni di ordine teologico con
strumenti scientifici e indagare sulla prima
natura dell’universo. Tutto ciò conferma il
ruolo importantissimo della matematica e
soprattutto della sua figlia prediletta: l’elaborazione al calcolatore.
La natura è dunque per Barrow un grande
libro scritto in un linguaggio codificato, ma
accessibile ad un buon compressore algoritmico, un organo in grado di semplificare
senza perdita di informazione rilevante le
sequenze di codici naturali; questo compressore è il nostro cervello. Ciò giustifica
la nostra fiducia nelle teorie scientifiche,
rendendoci accessibile l’idea di un progressivo avvicinamento a una verità comprensibile. In tal senso è fondamentale per
Barrow la simulazione all’elaboratore elettronico: la produzione della realtà virtuale.
Alla base di questa fiducia nelle possibilità
della scienza vi è un principio esposto da
Barrow nel volume The anthropic Cosmological Principle (Il principio antropico
cosmologico, Oxford UP, Oxford 1986,
1988, 1989), scritto in collaborazione con
Franck J. Tipler, nel quale viene descritto
esplicitamente il “principio antropico” che
giustifica la presenza dell’uomo nell’universo come conseguenza necessaria di una
serie di variabili d’ingresso. L’organizzazione dell’universo e la vita come-noi-laconosciamo implicano la presenza di un’intelligenza cosciente e capace di comprendere tutto ciò che la circonda in maniera
soddisfacente: il creato necessita di un pubblico! La matematica è lo strumento adatto
per questa descrizione dell’universo, perché è il linguaggio in base al quale il nostro
cervello, a seguito di millenni di evoluzio-
CONVEGNI E SEMINARI
ne selettiva, codifica le esperienze fisiche.
Dare fiducia alle rappresentazioni matematiche significa dunque considerare una
possibile immagine computazionale dell’universo, come è rappresentato virtualmente: non più supremazia delle leggi simmetriche, né continuità di un substrato spazio-temporale, ma l’abbandono dell’illusoria concezione di universo simmetrico e
l’adozione di una base discreta: un universo discontinuo, afferrabile gradatamente
attraverso schematismi matematici che non
hanno comunque la presunzione di inglobare l’essenza della vita, ma solamente la
funzione di comprendere i problemi che di
volta in volta compaiono. M.P.
Nelle sue tre lezioni all’Università di Bologna, con la presentazione di Paolo Fabbri,
il biologo ed epistemologo cileno Francisco Varela ha sostanzialmente presentato
le posizioni di fondo a cui egli perviene,
insieme a Eleanor Rosch e Evan Thompson, nel suo ultimo libro, The embodied
mind (MIT Press, Londra 1991, in corso di
traduzione presso l’editore Feltrinelli di
Milano), aggiungendovi però alcune importanti estensioni.
È Ormai da oltre un quarantennio che si è
andata coagulando intorno al problema
dell’intelligenza artificiale quella disciplina nota ai più come scienza cognitiva. Il
problema di formulare un modello soddisfacente della mente umana e dei suoi meccanismi d’apprendimento è vecchio forse
quanto il pensiero stesso dell’uomo, ma le
esigenze sempre imperative e pressanti
dell’industria e della ricerca tecnologica
hanno sicuramente favorito un’impennata
negli sforzi dedicati a questo problema. Un
dibattito classico dell’area cognitivista è
quello sorto, più di dieci anni fa, fra il
filosofo americano John Searle e chi a lui si
contrapponeva con la cosiddetta ipotesi
forte dell’intelligenza artificiale, ovvero
che l’intelligenza fosse essenzialmente sistemica, in senso stretto, e algoritmica, e
dunque riproducibile in sistemi strutturalmente analoghi al cervello umano, ma
materialmente molto dissimili, quali sono
appunto i computer. Benché anche altri,
prima di lui, avessero sollevato il limite
dell’approccio computazionalista, Searle
fu il primo a farlo pubblicamente e da una
posizione di specialista della materia. I
suoi argomenti si basavano sulla necessità
di tener conto della struttura biologica del
cervello, degli scambi ormonali che si verificano nel corso del passaggio di informazione lungo il sistema nervoso: una considerazione dell’uomo, questa, come individuo fisiologicamente inscindibile nelle sue
parti. Inoltre Searle fu uno dei primi a far
intravedere la possibilità di recupero di
argomenti fenomenologici accanto alla
vecchia impostazione razionalistica, sottolineando l’importanza dell’atto cognitivo
come atto intenzionale.
All’interno di questa nuova corrente di
pensiero che anima il dibattito contemporaneo sia nella riflessione cognitivista, sia
nella ricerca tecnologica attiva in ambito di
intelligenza artificiale, Varela opera brillantemente da circa un ventennio. Biologo
di formazione, compie insieme a Humberto Maturana, i fondamentali studi sulla
visione nelle rane, da cui i due scienziati
trassero spunto per formulare quella che
molti hanno acclamato come la nuova cibernetica, ovvero la teoria dei sistemi autopoietici, o auto-organizzati. Questa nuova
metodologia concettuale ha infatti trovato
altrettanti sbocchi in altre discipline di quanti non ne ebbe la cibernetica wieneriana
negli anni cinquanta. Dalla biologia alla
sociologia delle organizzazioni, dall’economia alla filosofia della scienza in generale, il concetto di sistema autopoietico è
ormai strumento consueto. Ma l’applicazione più immediata fu, naturalmente, quella in ambito cognitivista; applicazione portata a compimento, tra gli altri, dallo stesso
Varela.
Come si può arguire dal titolo stesso delle
conferenze, Varela pone le basi del suo
discorso sull’etica nella distinzione tra i
due termini, know-how e know-what, che
starebbero poi ad indicare i due diversi
atteggiamenti di utilizzo delle nostre capacità e conoscenze. Per definire i due termini, è esplicito il riferimento di Varela al
dibattito cognitivista, di cui si diceva sopra,
che vede contrapposti da un lato coloro che
concepiscono l’agire umano come una interminabile sequenza di impostazione di
spazi problemici e di ricerca algoritmica
delle soluzioni, dall’altro coloro che non si
esimono dal far proprio il vocabolario husserliano, o addirittura heideggeriano, parlando di intenzionalità, di globalità dell’esperienza esistenziale, di gettatezza dell’esserci, di deiezione; il tutto pur sempre,
beninteso, in un’ottica implementativa di
realizzazione tecnologica.
Oltre alle due tradizioni occidentali kantiana e hegeliana, nel suo discorso sull’etica
Varela fa riferimento anche a tre delle più
importanti tradizioni di pensiero orientali:
Confucianesimo, Taoismo e Buddismo.
Particolari sono state alcune citazioni dal
Meng-tzu, il Libro di Mencio, uno dei primi
testi confuciani. Dunque quello che ci propone Varela è di recuperare la vecchia
figura del saggio, come colui il quale sa
essere buono, agisce secondo il proprio
know-how, in maniera immediata e spontanea, e non perché ha appreso, nel vivere in
società, alcune regole di comportamento.
In pratica tutti noi siamo degli ethical experts e non abbiamo bisogno di sottoporci ad
alcun tipo di training per imparare a comportarsi eticamente.
Il discorso di Varela rimane tuttavia condizionato da citazioni e categorizzazioni prese a prestito dal mondo della biologia,
dell’epistemologia, e lo sfondo teorico resta pur sempre quello di una particolare
“filosofia della mente”, che egli tenta di
estendere anche a campi non tecnicamente
55
attigui, come quello appunto dell’etica.
Un’operazione che gli riesce senz’altro e
che, anzi, gli permette di fare anche delle
previsioni sul futuro della scienza e della
filosofia: alcuni concetti, sorti o comunque
utilizzati in maniera nuova nell’enorme
area di ricerca dell’intelligenza artificiale,
sembrano destinati a entrare nel comune
vocabolario filosofico, suggerendo nuove
strutture concettuali per ogni disciplina che
si riveli abbastanza ricettiva. G.B.
La scissione ricorrente tra ricerca scientifica attiva e riflessione filosofica sembra
sfumare del tutto di fronte al lavoro di
scienziati come il chimico belga Ilya Prigogine, vincitore del premio “Nobel” per
la chimica nel 1977 e autore di studi importanti sui sistemi dissipativi, nonché di ricerche originali in campo biologico. Di
questi studi, i più importanti sono già noti
in Italia, come La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza (1981, in collaborazione con I. Stengers) e Le strutture dissipative (1982, in collaborazione con G. Nicolis); recentemente sono apparsi: La complessità. Esplorazioni nei nuovi campi della scienza (Einaudi, Torino 1991, in collaborazione con G. Nicolis) e La nascita del
tempo (Bompiani, Milano 1992).
Ilya Prigogine è stato ospite all’Università
di Milano, presentato da Giulio Giorello,
per una serie di lezioni in cui è stata affrontata la situazione odierna della scienza di
fronte a certi problemi che sembrano minacciarne la potenza esplicativa, come le
leggi del caos o l’origine dell’universo.
Prigogine ha difeso un concetto di scienza
come “scienza del divenire”, da contrapporre a una vetusta idea di ipotesi scientifica, non più in grado, ormai, di affrontare i
problemi che le nuove frontiere tecnologiche pongono necessariamente. Questa
“nuova” scienza «non è una nuova “visione
del mondo”, separata dalle sue radici, che si
imponga come una verità rivelata.» E’ piuttosto una lunga e complessa costruzione di
un linguaggio, di nuovi modi di pensare, è
«la costruzione di una coerenza tra la realtà
che viviamo e ciò che siamo in grado di
pensare...», da sostituire alle lenti cognitivistiche, divenute ormai obsolete, con cui
finora abbiamo guardato al realtà.
Ma quali sono gli aspetti della realtà che le
vecchie lenti distorgono o non ci mostrano
in modo adeguato? Per Prigogine è la realtà
stessa dell’universo, il suo aspetto sempre
evolutivo, il carattere costitutivo dei processi instabili di non-equilibrio, l’irreversibilità del tempo. Una solida base di studio
per la comprensione e la risoluzione di
questi problemi, ha osservato Prigogine, è
costituita dalla cosiddetta casual dynamics
(o subdynamics), che consiste nello studio
di quei fenomeni che pur svolgendosi lontani da una situazione di equilibrio conducono a stati di ordine tramite processi di
fluttuazione, strutture dissipative, solitamente non analizzate e invece «fonda-
CONVEGNI E SEMINARI
mentali per comprendere la coerenza e
l’organizzazione del mondo di non-equilibrio nel quale siamo inseriti.» Un esempio di questa capacità della materia di
organizzarsi in strutture nuove grazie
all’applicazione di forze in situazioni
caotiche sono i cosiddetti “vortici di
Bernard”, piccoli movimenti odinati delle molecole di un fluido, dovuti alla
variazione di temperatura a cui viene
sottoposto il liquido. Situazioni come
queste non sono affatto marginali, come
potrebbe sembrare, ma chiamano in causa un concetto di fluttuazione e di processo non-lineare.
Il modello astrofisico condiviso da Prigogine è quello proposto dal fisico E. Tyron
negli anni Settanta e conosciuto col nome
di “modello free lunch”, secondo cui la
nascita dell’universo presuppone il Nulla
all’origine e una “gratuita”, spontanea fluttuazione del vuoto come “movimento” iniziale: l’essere dal non-essere. L’idea può
essere ricondotta al modello dell’universo
di Minkowski e può essere resa visibilmente in riferimento al processo di cristallizzazione di un liquido sopraffuso.
Una tale interazione tra vuoto quantistico e
materia stravolge anche l’antica interpretazione di entropia. Non è più veritiero, infatti, associare a trasformazioni irreversibili
un valore crescente di entropia; sembra
invece che sia possibile parlare di un «nuovo principio di equivalenza tra materia ed
entropia.» L’aumento di entropia non simboleggerebbe più il costo che si deve pagare, in termini di energia, per avere un qualunque tipo di organizzazione all’interno di
un sistema; anzi, talvolta, l’aumento del
disordine delle componenti del sistema può
portare a nuove situazioni stabili. La scienza dovrebbe in tal senso essere consapevole del suo carattere primariamente probabilistico, non certo dovuto a questioni di
minore o maggiore conoscenza, né a una
qualsivoglia approssimazione. Il probabilismo, osserva Prigogine, è una qualità
necessaria della struttura dell’universo; è
strettamente legato al concetto di asimmetria temporale e al secondo principio della
termodinamica, il principio di “degradazione dell’energia”, a cui è connesso un
accrescimento di entropia, considerato
come “fatto fisico fondamentale”.
Lo spazio-tempo di einsteiniana memoria
era una costruzione simmetrica coniforme,
con un osservatore posto nel vertice: nel
presente. L’osservatore non era un elemento attivo nei coni di luce, non modificava la
visione del passato, né influenzava la struttura del futuro. Ebbene, la rottura della
simmetria temporale genera un osservatore per il quale il futuro non è più esattamente speculare al passato: da qui l’irreversibilità di ogni processo fisico e cognitivo,
garante dell’esistenza delle strutture dissipative e del loro funzionamento. La nuova
scienza non può più prevedere con esattezza l’evento, semplicemente perché una tale
previsione non è possibile.
John D. Barrow, Aldo Giorgio Gargani
Hylary Putnam
Ilya Prigogine, Francisco Varela
56
CONVEGNI E SEMINARI
La fisica sembra essersi resa conto di questa situazione in alcune sue creazioni più
recenti, come le leggi del caos. Alcuni dei
risultati di questo nuovo ramo della scienza, ha mostrato Prigogine, indicano come
sia naturale il formarsi di strutture ordinate,
perfettamente organizzate e dunque disentropiche, a partire, proprio, da situazioni
caotiche e disordinate. Questo, secondo
Prigogine, dovrebbe portare a una riconsiderazione della teoria scientifica, che dovrebbe rendere palese il fallimento delle
concezioni classiche della scienza di carattere deterministico, atemporale e che proprio per questo non colgono quello che
caratterizza l’evento fisico: la casualità e la
sua storia.
L’alternativa presa in esame da Prigogine è
quella delle scienze umane, molto più attente al singolo evento, molto più fedeli nel
descriverlo, appunto perché ne colgono le
mutazioni, l’evoluzione, attraverso schemi
che si adattano alla storia del problema e
non cercano, viceversa, di costringerlo all’interno di uno schema invariante. Il tempo è qui il concetto fondamentale; solamente considerando il percorso evolutivo
di un sistema, si potrà stabilire integralmente la sua conformazione presente, senza correre il rischio di avere a che fare con
una statica ed artefatta immagine di esso.
Sulla necessità della ricerca di una base
culturale comune alle scienze naturali e
umane, Prigogine si era già espresso in La
nuova alleanza: «Oggi la sfida alla scienza
è totale. E' per questo che ci sembra paradossale separare la scienza dalla società
[...] Dobbiamo cercare di rendere l’interfaccia tra scienza e società la più fluida
possibile [... attraverso] nuovi canali di
comunicazione.» Una visione dell’impresa scientifica, questa di Prigogine, che presuppone un’idea di scienza meno forte: la
natura stessa di scienza statistica ne definisce i limiti, ma, nello stesso tempo, ne
unifica gli ambiti particolari, permettendo
una diversa interpretazione dei principii. In
quest’ottica il grado d’ordine di un sistema,
o il degrado di energia, non è più strettamente legato al concetto di entropia; se in
termodinamica, fenomeni ordinati, creatisi
da situazioni caotiche, come i vortici di
Bernard, denunciano infatti una diminuzione di entropia nel sistema, il sistema
ordinato per eccellenza, il nostro universo,
sarà, dal punto di vista della “nuova scienza”, un sistema aperto a nuove ipotesi generazionali, come a nuove prospettive di
sviluppo futuro.
Per quanto riguarda il presente l’immagine
offerta da Prigogine sembra essere molto
suggestiva: il nostro universo è immerso in
un mare di antimateria che funge da serbatoio entropico e permette il crearsi di fenomeni ordinati di carattere disentropico. Il
lento morire dell’universo previsto dalla
cosmologia classica viene sostituito da una
visione nebulosa del futuro, più incerta
perché aperta a ogni cambiamento. M.P.
Il pragmatismo sembra essere la dottrina
più democratica all’interno del panorama
filosofico, e sicuramente la più efficace in
rapporto all’indagine scientifica; ma proprio per questo il pragmatismo è anche la
dottrina che ha più bisogno di referenti
esterni per non ricadere nella sua forma
anarchica: il relativismo. Da questo punto
di vista, sia il pragmatismo di Peirce, sia
quello di James non offrono criteri universalmente validi che permettano di scegliere
tra varie teorie per la soluzione di un problema; Peirce parla di scelta dipendente
dalle conseguenze pratiche ottenibili, quindi
quasi di una convalida dell’esperienza,
mentre James si affida a un salto di fede
kierkegaardiano. Fatto sta che la semplice
condizione di coerenza di una teoria non è
sufficiente ad assegnarle valore di verità,
né è in grado di selezionare la pluralità di
visioni e di soluzioni, ugualmente coerenti,
esistente per uno stesso problema.
Nelle sue lezioni all’Università di Roma
con la presentazione di Carlo Cellucci,
Emilio Garroni e Eugenio Lecaldano, Hilary Putnam, docente di Logica matematica ad Harvard, già collaboratore di Carnap e Reichembach, si è ricollegato espressamente a questa tradizione ottocentesca,
che ancora trova interpreti illustri come
Rorty, nel mondo accademico filosofico
anglosassone, ed è normalmente adottata
nel mondo scientifico. L’intento di Putnam
è di individuare quel criterio di scelta interno alla dottrina pragmatista che può conferire una veste filosofica completa al pragmatismo e nello stesso tempo una giustificazione filosofica accettabile al procedere
attraverso selezione di “paradigmi” proprio della comunità scientifica. Questa prospettiva di “realismo interno”, come viene
definita, è già stata anticipata da Putnam in
alcuni scritti, noti anche in Italia: Verità ed
etica (1982), Ragione, verità e storia (1985)
e il più recente La sfida del realismo (Garzanti, Milano 1991).
La posizione di Putnam si contrappone alle
dottrine oggettivistiche, denominate dallo
stesso Putnam “realismo metafisico”, come
quella corrente filosofica che unisce una
visione oggettiva, univoca della realtà alla
credenza nella possibilità, da parte dell’uomo, di cogliere il mondo in sé senza alcuna
interferenza teoretica nella percezione sensoriale. All’interno di questa ampia corrente di pensiero rientra anche, secondo Putnam, l’ambizioso programma dell’intelligenza artificiale di riproduzione algoritmica della capacità di conoscenza propriamente umana sulla base di un’inappropriata concezione di intenzionalità e sull’idea
che la nostra organizzazione funzionale
mentale sia in fondo riducibile al funzionamento di una macchina di Turing, sia, cioè,
riproducibile.
Ricollegandosi alle posizioni di James, di
Singer e proponendo una lettura pragmatista di Wittgenstein, a partire dalle Ricerche
filosofiche e dal trattato Sulla certezza,
Putnam dimostra come la posizione del
57
realismo metafisico sia insostenibile: la
nostra percezione non è mai immediata, ma
intrisa di teoria, di una visione del mondo
che si è formata man mano durante la
crescita e l’apprendimento, in modo personale perché dipendente dalla nostra esperienza di vita e dal nostro personalissimo
modo di “giocare” con lo strumento che ci
permette di conoscere: il linguaggio. Lo
schema, in parte ripreso da Singer, allievo
di James, con cui Putnam critica il realismo
metafisico comprende sei punti: 1) la conoscenza dei fatti presuppone la conoscenza
delle teorie; 2) la conoscenza delle teorie
presuppone la conoscenza dei fatti; 3) la
conoscenza dei fatti presuppone la conoscenza dei valori; 4) la conoscenza dei
valori presuppone la conoscenza dei fatti;
5) la conoscenza dei fatti presuppone la
conoscenza delle interpretazioni; 6) la conoscenza delle interpretazioni presuppone
la conoscenza dei fatti.
Questo schema è l’antitesi dei protocolli
neopositivistici; espone, cioè, l’inscindibile relazione tra ciò che è conoscenza soggettiva e ciò che invece è riconducibile a un
qualche grado di oggettività. Allo stesso
modo viene dimostrata l’impossibilità di
ridurre la nostra conoscenza a una equivalenza tra stati mentali e stati funzionali del
cervello, come invece si propone di fare
l’intelligenza artificiale, proprio per via
dello stretto legame che intercorre tra valutazioni etiche e cognitive. In questo la posizione di Putnam non sembra differire da
quella di Rorty, altra figura di spicco del
pragmatismo anglosassone, secondo il quale una qualunque produzione teorica è giustificabile per il fatto di essere stata concepita in relazione alle concezioni vigenti in
un determinato ambito culturale. In realtà
per Putnam, se non si può affermare che ci
sia un criterio di scelta universale, si può
comunque ammettere una direzione prioritaria nella quale vanno le scelte fondamentali dell’esistenza umana. In questo Putnam si richiama a Kant: l’idea che la natura
sia governata da leggi non è una convinzione propria della ragione teoretica, ma è
figlia della ragion pratica. La filosofia kantiana contempla l’esistenza di diverse e
interdipendenti visioni corrette del mondo,
guidate e selezionate nel loro evolversi
dall’azione della ragion pratica: quest’azione è ciò che determina la caratteristica
fondamentale del “realismo interno” di
Putnam.
Queste considerazioni si possono ricollegare allo schema esposto in precedenza. Le
interpretazioni, le teorie, i valori risultano
strettamente legate ai fatti; questo significa
sia che le nostre percezioni sono influenzate dal nostro background culturale ed esistenziale, sia anche che il mondo esterno in
sé contribuisce a fornire il materiale che
verrà poi analizzato e inglobato nella nostra personale ontologia, e che servirà a
determinarne la fisionomia. Non è che sia
escluso dalla nostra conoscenza un fattore
oggettivo; solo esso non è isolabile, non è
CONVEGNII E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
scindibile dal contesto personale nel quale
è sito, e ci consente di cogliere lo iato tra le
nostre congetture e la verità, ci permette di
sentire la nostra vicinanza alla realtà delle
cose; è un’intima consapevolezza, che non
solo è garante dell’esistenza di fatti indipendenti, ma giustifica un olismo intellettuale invidiabile, che permette una pluralità di descrizioni del mondo ugualmente
attendibili, rivalutando anche le forme di
conoscenza meno rigorose come l’arte.
Questa consapevolezza, nonostante sia
esplicitamente dichiarata universalmente
valida da Putnam, risulta essere un po’
troppo intima, personale per poter avere il
compito selettivo che gli viene attribuito,
tanto da non riuscire a spiegare come la
storia della conoscenza umana abbia le sue
dispute, i suoi errori, il suo progresso poco
lineare; rischiando di ricadere nel tanto
odiato relativismo. M.P.
I tre incontri con Aldo Giorgio Gargani,
svoltisi all’Università di Milano con la
presentazione di Carlo Sini, sono stati certamente fra i più particolari nell’ambito
delle “Lezioni italiane”. Nel suo intervento
Gargani ha voluto portare all’attenzione
del pubblico, già nella struttura delle sue
conferenze, il tema della crisi del filosofare, in una costellazione di citazioni e rimandi concernenti la tradizione analitica anglosassone, così come la cultura tedesca
del nostro secolo. Non sono mancate riprese dell’oramai nota critica alla concezione
corrispondendistica della verità di certa
filosofia anglosassone, proponendo una
definizione che intende sradicare la nozione di verità dall’interno delle teorie, rendendola appunto “extra-teorica” e assimilandola ad un atteggiamento nei confronti
di un interlocutore, all’interno di un contesto discorsivo. L’accento, così, si è spostato inevitabilmente sulla questione della
scrittura: nella scrittura l’argomentare filosofico si può liberare da obiezioni di carattere metafisico; ogni espressione deve articolarsi in rapporto all’intero testo; dall’isolamento dell’espressione non deriva alcuna comprensione; il linguaggio da transitivo, denotativo, diventa intransitivo, è responsabile di se stesso, esprime ciò che
esprime e lo fa di proprio pugno, evitando
così il tentativo di trovare condizioni di
possibilità che siano altro dal linguaggio
stesso.
Prendendo spunto dalla considerazione di
Wittgenstein della dimostrazione matematica non come un insieme di premesse che
“causano” le conclusioni, ma come modelli di pratica simbolica, come «una frase
musicale da cui usciamo convinti», Gargani ha rilevato come il linguaggio sia dominato da regole e criteri pratici, e non da
necessità causali. Si possono di fatto individuare due sfere di utilizzo del linguaggio
(e della scrittura in particolare): quella convenzionale, in cui può avere un senso “argomentare”, e quella in cui, invece, si ela-
borano nuovi linguaggi, nuove metafore,
non giustificabili in senso argomentativo.
E’ emerso così un primo abbozzo di risposta alla domanda che ha percorso l’intera
serie dei tre incontri: che cosa significhi
“fare” filosofia ai giorni nostri. E la risposta, inizialmente, Gargani la prende a prestito da Richard Rorty, esponente di rilievo
della corrente cosiddetta post-analitica: la
filosofia è una narrazione, un’attività concettuale vicina all’attività poetica, un lavoro di carattere “compositivo” sul linguaggio attraverso la scrittura. Ma bisogna evitare di cadere in teorizzazioni sulla scrittura: questa va avvicinata dal punto di vista
del suo evento, assumendola non in termini
illuministici, ma come evento imprevedibile portatore di verità, intesa non come
oggetto di argomentazione, ma come pratica. La scrittura filosofica è, dunque, narrazione, espressione del luogo dal quale si
parla; non più manualità, non più tecnica,
ma un atto di coraggio, di rinuncia al possesso, alla sicurezza: scrivere è come cercare, senza sapere cosa andiamo a cercare,
con il coraggio di scendere nella profondità
di se stessi. La scrittura diviene un teatro di
segni coesistenti, ed è questa coesistenza, e
non un qualsivoglia fattore causale, che le
dà la coerenza.
La struttura delle lezioni di Gargani non ha
mancato certo di rispecchiare queste premesse “teoriche”. Così, per buona parte di
ognuno dei tre incontri, si è trattato di un
progressivo avvicinamento alla scrittura
che lo stesso Gargani propone con il suo
“testo del tempo”. Ampi stralci di questo
testo sono stati letti dall’autore: l’impressione che ne è derivata è quella di una
filosofia che si protende in modo complesso e problematico verso la letteratura. La si
potrebbe forse definire una provocazione,
questa di Gargani, volta soprattutto alla
filosofia “normale”; ma anche, come qualcuno ha avuto modo di commentare, una
provocazione alla letteratura, al quadro di
desolante assenza di opere letterarie che
riescano a svincolarsi dalla tecnica di scrittura e narrino di “viaggi” nel profondo di
noi stessi, che si liberino da stili imposti e
logorati dalla tradizione.
Così Gargani ha raccontato sé stesso e ha
letto questa narrazione di fronte ad un pubblico sorpreso, inoltrandosi attraverso una
rivisitazione del suo passato, in cui vengono recuperati ricordi d’infanzia e in particolare la figura paterna, un pittore anarchico il quale, a suo tempo, decise di abbandonare strade già percorse prima ancora d’intraprenderle e dedicarsi infine alla pittura.
In questo l’esistenza è assimilata a un teatro, nel quale noi siamo veri e propri attori:
il problema è riuscire ad interpretare un
ruolo nella scena della verità. La narrazione diventa narrazione di ciò che non si è, di
ciò che non si è riusciti ad essere, ed è
proprio attraverso la scrittura che si può ora
nascere ad una nuova vita. Il testo di Gargani diviene con questo una ricerca di che
cosa sia la verità, in luogo di predicarla
senza conoscerla. G.B.
58
CALENDARIO
CALENDARIO
La Casa della Cultura di Milano, nell’ambito della serie d’incontri dedicati alla Filosofia Contemporanea, ha
organizzato per il 19 novembre la
conferenza di Maurizio Ferraris dal
titolo: Derrida e la filosofia; sempre
nell’ambito della medesima serie d’incontri, il 26 novembre Mario Vegetti
ha tenuto una conferenza sul tema:
Platone e noi.
In occasione della pubblicazione del
libro di Tomás Maldonado: Reale e
Virtuale, edito da Feltrinelli, si è svolto
il 24 novembre un dibattito sul tema:
Reale e virtuale. Rapporto tra
mondi reali, mondi virtuali e mondi possibili. Sono intervenuti: Gio-
vanni Anceschi, Omar Calabrese,
Gillo Dorfles, Corrado Mangione,
Ugo Volli. Presente l’autore.
● Informazioni: Casa della Cultura,
Via Borgogna 3, 20122 Milano, tel.
02/795567.
Organizzata dall’Istituto Ludovico
Geymonat per la Filosofia della scienza, la Logica e la Storia della scienza
e della tecnica in collaborazione con
l’Università degli Studi di Milano, il
30 novembre ha avuto luogo presso il
Teatro Franco Parenti una serata in
onore di Ludovico Geymonat, dal
titolo: Omaggio a Ludovico Geymonat: Scienza, filosofia e vita
civile. Sono intervenuti: Giulio Gio-
rello, Inge Feltrinelli, Mario Capanna, Francesco Barone, Norberto Bobbio, Felice Burdino, Giò Pomodoro e
Giovanna Cavazzoni. Nell’occasione è stato presentato il volume: Omaggio a Ludovico Geymonat, edito da
Franco Muzzio.
● Informazioni: Il Salone della Via
Pier Lombardo 14, 20135 Milano,
tel. 02/55184075.
Il 3 dicembre, nella “Sala Ripetta”
della residenza Ripetta (Via di Ripetta 231, Roma), la Fondazione Ugo
Spirito ha presentato il terzo volume
(1991) degli Annali della Fondazione Ugo Spirito. Sono intervenuti: Bruno Bottai, Gaetano Calabrò,
Renzo De Felice, Gaetano Rasi, Vincenzo Saba.
● Informazioni: Fondazione Ugo
Spirito, Via Genova 24, Roma, tel.
06/4743779.
59
CALENDARIO
Organizzato dalla Fondazione Rosselli, ha avuto luogo nei giorni 3-4-5
dicembre un Convegno Internazionale dal titolo: What is Left? Il futuro della sinistra democratica in
Europa . Gli interventi sono stati rag-
gruppati in ambiti tematici: “L’eredità e il futuro della sinistra europea”,
con interventi di J. Dunn, S. N. Eisenstadt, P. Flores d’Arcais, L. Pellicani,
U. Ranieri, G. E. Rusconi, M. L.
Salvadori; “I dilemmi della libertà e
della giustizia”, con interventi di M.
Walzer, T. Giddens, A. E. Galeotti,
B. K. Paz, N. Urbinati, S. Veca, S.
Zamagni; “I diritti politici e sociali
della cittadinanza in Europa”, con
interventi di P. Flora, G. Zincone, G.
Esping Andersen, M. Fedele, M. Ferrara, F. Forte, E. Granaglia; “La democrazia economica e le nuove relazioni industriali”, con interventi di G.
Giungi, A. Michnik, A. Accornero, F.
Cavazzuti, G. Gazzola, I. Cipolletta,
M. Regini, T. Treu, A. Martinelli. Ha
concluso il convegno una tavola rotonda sul tema: “Quale futuro per la
sinistra italiana?”, con interventi di S.
Vertone, A. Barbera, G. Bodrato, G.
Giugni, A. Manzella, M. Pannella
● Informazioni: Fondazione Rosselli, Torino, tel. 011/5622510.
La Casa del Popolo S.M.S. di Rifredi
ha organizzato un Convegno dal titolo: Individuo e Insurrezione, che si
è svolto dal 12 al 13 dicembre con
relazioni di Giorgio Penzo: “Max Stirner. La rivolta esistenziale”; Roberto
Escobar: “L’uomo in rivolta: da Stirner a Camus”; Ferruccio Andolfi:
“L’essenza umana: Stirner e i suoi
contemporanei”; Sandro Galli: “Ricomincio da uno”; Enrico Ferri: “Dimensioni della rivolta in Max Stirner”; Carmine Mangone: “L’individuo e il governo sociale della ‘mancanza’ “; Franco DiSabantonio: “Stirner e l’anarchismo”; Antimo Negri:
“Marx legge Stirner”; Alfredo Maria Bonanno: “Individualismo e comunismo. Una realtà e due falsi problemi”; Guido Durante: “La scuola
in fiamme: riflessioni su ‘il falso
principio della nostra educazione’”;
Fabio Bazzani: “Stirner come segno
della cesura nel paradigma della ragione moderna”; Massimo Passamani: “L’utilizzazione reciproca: relazionalità e rivolta in Max Stirner”;
Pier Leone Porcu: “Il naufragio dell’esistere”.
● Informazioni: Libera Associazione di Studi Anarchici, Via Mascarella
24/b, Bologna, tel. 051/266445.
Il 14 e 15 dicembre ha avuto luogo un
ciclo di lezioni su Brain and Cognitive Processes, organizzato dal Centro Internazionale di Studi Semiotici
e Cognitivi dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino.
Queste le relazioni: Jerry A. Fodor,
“Cognitive Science: Where are we,
haw did we get here, and what happens next?”; Gerald M. Edelman,
“Neural Darwinism: Population
Thinking and Psycological Theory”;
Tavola Rotonda con interventi di
Beatrice De Gelder, Riccardo Luccio, Luciano Mecacci, Jean Petitot,
Massimo Piattelli Palmarini e Zenon
Pylyshyn.
● Informazioni: Università di San
Marino - Contrada Omerelli 77, 47031
San Marino, tel. 0549/882516.
Organizzato dal Centro Culturale della Fondazione San Carlo di Modena
per il periodo novembre 1992-maggio 1993, il ciclo di lezioni: Questioni del tradurre: traducibilità e intraducibilità di linguaggi, culture
e forme di vita, prosegue secondo il
seguente calendario: 4 dicembre, Simona Argentini: “Gli scrittori in lingua non materna”; 22 gennaio, Diego
Marconi: “Problemi filosofici della
traduzione radicale”; 5 febbraio, Alessandro Pizzorno: “La spiegazione
sociale come traduzione”; 19 febbraio, Goffredo Bartocci: “L’inconscio
dell’altro”; 5 marzo, Alessandro Simonicca: “Forme di vita e culture”;
19 marzo, Steven Lukes: “Razionalità e relativismo”; 21 maggio, Clifford
Geertz: “Riflessioni sullo studio della cultura”.
Organizzato invece dal Centro Studi
Religiosi della Fondazione San Carlo, il ciclo di lezioni: I paesaggi del
sacro, ha il seguente svolgimento: 10
dicembre, Giuseppe Barbaglio: “La
desacralizzazione dello spazio nella
Bibbia”; 21 gennaio, Pierangelo Sequeri: “L’inferno e il paradiso”; 4
febbraio, Filippo Gentiloni: “L’Europa della ‘Nuova Evangelizzazione’”; 18 febbraio, Aldo Natale Terrini: “Tra vecchi e nuovi paradisi”; 25
febbraio, Franco La Cecla: “La sacralità del guard-rail”; 11 marzo, Paolo
Ricca: “Né sul Garizim né a Gerusalemme”.
Nell’ambito del seminario di studio
dal titolo: Emile Durkheim: Società, sacro, individuo, tenutosi da ottobre a dicembre con interventi di
Massimo Borlandi, Realino Marra,
Sandro Nannini e Francois Chazel, il
16 dicembre Francois Chazel, docente di Sociologia presso l’Università
Sorbona di Parigi, ha tenuto una lezione pubblica conclusiva sul tema:
23 marzo, “Eros trionfante e censurato. I ‘gioielli indiscreti’ e ‘La monaca’ di Diderot”; 30 marzo, “La morte
e la calma degli dei. ‘Il cimitero marino’ di Paul Valery”; 6 febbraio,
“Nella mia fine è il mio principio. ‘I
quattro quartetti’ di T. S. Eliot”.
● Informazioni: La ‘Casa Zoiosa’,
C.so di Porta Nuova 34, 20121 Milano, tel. 02/6551813.
W. Fesser, G. Tembrock, R. Riedl, D.
Ploog), “Comunicazione e individuo”
(fra gli altri, I. V. Eibl-Eibesfeldt),
“Uomo e natura nel processo comunicativo” (J. Götschel, E. Oeser).
● Informazioni: Frank Naumann,
Interdisziplinäres Institut für Wissenschaftsphilosophie und Humanontogenese, Humboldt-Universität, Am
Kupfergraben 5, D-O-1086 Berlin.
Il Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con il Goethe-Institut di
Milano, ha in programma un ciclo di
lezioni dal titolo: La Filosofia in
Germania Oggi. Questo il calendario delle conferenze: 17 febbraio,
Günther Patzig: “La filosofia analitica”; 23 marzo, Hans Michael Baumgartner: “La filosofia trascendentale”; 21 aprile, Odo Marquard: “Il
Postmoderno”.
● Informazioni: Goethe Institut, Via
S. Paolo 10, Milano, tel. 02/76005571;
Università degli Studi, Via Festa del
Perdono 7, Milano, tel. 02/809431.
Dal 3 al 5 marzo 1993 si terrà a Jena
il convegno annuale della Deutsche
Gesellschaft für Sprachwissenschaft
sul tema: Sprachvariation und
Sprachgeschichte.
● Informazioni: Rudolf Emons, Innstr. 40, D-8390 Passau.
Nell’ambito dei “Lunedì Letterari:
incontri alla scoperta del nuovo umanesimo”, organizzati dall’Associazione Culturale Italiana presso il Teatro
Franco Parenti di Milano, il 18 gennaio Remo Bodei presenta una relazione sul tema: La ragione delle
passioni; il 22 febbraio Vassilis Vassilikos terrà una conferenza dal titolo:
Il nostro avvenire: i presocratici; il
22 marzo, è in programma una conferenza di Dennis W. Sciama dal titolo:
L’origine dell’Universo.
● Informazioni: A.C.I., Via Po 39,
10124 Torino, tel. 011/831638.
Dal 17 al 19 marzo si terrà a Padova
un seminario internazionale su: Ontologia formale nell’analisi concettuale e nella rappresentazione
della conoscenza. Il seminario met-
terà a contatto filosofi che lavorano
nella tradizione di Brentano e Husserl
con quelli che si occupano di “knowledge representation” e “lexical semantics”. Sono stati invitati a parlare
N. Cocchiarella, T. Gruber, P. Hayes,
J. Hobbs, G. Link, J. Petitott, P. Simons, B. Smith e J. Sowa. Il numero
dei partecipanti è limitato a 45 persone. Gli interessati possono inviare un
prospetto del proprio intervento (massimo dieci cartelle A4).
● Informazioni: Nicola Guarino,
LADSEB-NR, Corso Stati Uniti 4, I35020, Padova.
Emile Durkheim: apparente inattualità e nuove letture.
● Informazioni: Collegio San Carlo,
Via San Carlo 5, Modena, tel. 059/
222315.
Nell’ambito delle attività culturali
della Centro Culturale “Casa Zoiosa”
di Milano, Giuseppe Rizzardi ha tenuto, a partire dal 2 dicembre, tre
incontri sul tema: L’io e la Trascendenza (spiritualità induista), l’io e
il Sé (spiritualità buddhista), l’io e
il Creatore (spiritualità islamica).
Dal 3 al 5 marzo avrà luogo la III
Conferenza Internazionale Berlinese
sul tema: Comunicazione e ontogenesi umana, organizzata dall’Interdisziplinäres Institut für Wissenschaftsphilosophie und Humangenetik della Humboldt-Universität di
Berlino e dal gruppo di ricerca “Biopsychosoziale Einheit Mensch” ad esso
collegato. Sono previste sezioni su:
“Presupposti della comunicazione
umana” (interventi fra gli altri di K.-
Il 17 dicembre, Emanuele Severino
ha tenuto una conferenza su: L’uomo
e la gioia . A partire dal 19 gennaio,
ogni martedì, avranno luogo quattro
incontri con Francesco Moiso su: La
filosofia della natura da Rousseau a Nietzsche. Dal 23 marzo, ogni
martedì, Elio Franzini terrà una serie
di tre incontri sul tema: Le parole e
l’arte; questi i titoli delle relazioni:
60
Dal 10 al 12 marzo 1993 la Hochschule für Philosophie di Monaco di
Baviera terrà un simposio sul tema:
L’uomo e il suo bisogno di assoluto, a cui parteciperanno anche filoso-
fi russi. Terranno relazioni, tra gli
altri: Haeffner (München), v. Kutschera (Augsburg), Ricken (München), Splett (Frankfurt), Wenzler
(Freiburg) e Gusejnow (Mosca), Michailow (Minsk), Motroschilowa
(Mosca).
● Informazioni: Hochschule für
Philosophie, Sekretariat, Kaulbachstr. 33, D-8000 München 22, tel. (089)
2386-2310.
L’Istituto di Filosofia e Storia della
Filosofia della Facoltà di Magistero
dell’Università degli Studi di Bari
organizza il giorno 19 gennaio, presso Palazzo Ateneo di Bari, una tavola
rotonda sul tema: La memoria e l’occidente, a cui partecipano Davide
Bigalli, Giorgio Cerboni Baiardi,
Enrico Rambaldi, Paolo Rossi, Fulvio Tessitore. Occasione di dibattito
è il recente volume di Paolo Rossi, Il
passato, la memoria, l’oblio (Il Mulino, Bologna 1991).
● Informazioni: Istituto di Filosofia
e Storia della Filosofia, Facoltà di
Magistero, Bari.
L’Università degli Studi di Milano,
in collaborazione con l’ISU di Milano, organizza presso la Sala Incontri
ISU, il giorno 20 gennaio 1993, in
occasione dell’edizione italiana del
volume di Nicholas Rescher, Il conflitto dei sistemi (Marietti Genova
1993) una tavola rotonda dal titolo:
L’interconnessione sistemica degli
argomenti filosodfici., a cui partecipano, oltre all’autore, Carlo Sini,
Carlo Penco, Michele Marsonet, Andrea Bottani.
● Informazioni: ISU, Istituto per il
Diritto allo Studio Universitario, C.so
di Porta Romana 19, Milano.
DIDATTICA
DIDATTICA
a cura di Riccardo Lazzari
Prospettive
di metodologia filosofica
In Francia, la riflessione sul metodo,
sulle tecniche di apprendimento e di
insegnamento, appartiene costitutivamente alla pratica della filosofia. Non
sorprende allora che due docenti di
filosofia presso le Università di Rennes I e di Bourgogne, Dominique Folscheid e Jean-Jacques Wunenburger,
abbiano dedicato uno specifico studio
alla metodologia filosofica, MÉTODOLOGIE PHILOSOPHIQUE (Metodologia filosofica, PUF, Paris 1992), affrontando in
modo sistematico i principali problemi di metodo relativi sia alla lettura e
interpretazione dei testi filosofici, sia
all’argomentazione scritta con cui solitamente si trova a confrontarsi lo
studente di filosofia.
Métodologie philosophique nasce dalla
collaborazione fra Dominique Folscheid
e Jean-Jacques Wunenburger, docenti
universitari di filosofia, e dal contributo di
Philippe Choulet, insegnante nelle classi
preparatorie alle grandes écoles. L’opera
vuole anzitutto essere una sistematizzazione delle tecniche intellettuali alle quali lo
studente è già stato abituato durante l’insegnamento della filosofia nelle scuole secondarie. Poiché tale insegnamento in Francia è relegato essenzialmente all’ultimo
anno, lo studente che ha sostenuto il “baccalaureato” (l’esame corrispondente alla
nostra “maturità”) è in possesso soltanto di
una sorta di iniziazione generale alla filosofia, che resta ben lontana dalle esigenze
di un approfondimento universitario di
questa disciplina. Métodologie philosophique si rivolge pertanto agli studenti che si
accingono ad intraprendere il ciclo universitario o a frequentare le classi preparatorie
che danno accesso alle grandes écoles. La
struttura del libro, che si articola attraverso
sezioni più propriamente teoriche e capitoli dedicati alle applicazioni e agli esercizi,
appare in larga parte finalizzata allo scopo
di aiutare lo studente ad affrontare le classiche prove d’esame e di concorso, costituite dalla dissertation scritta e dalla prova
specificamente orale.
Non si è trattato però, specificano gli auto-
ri, di fornire un insieme di tecniche generali dell’apprendimento, al solo scopo di
facilitare il lavoro dello studente e la sua
preparazione agli esami, poiché diversamente «in filosofia non si possono acquisire dei metodi di lavoro se non si comprende già che il metodo è inerente alla
filosofia stessa», sicché elaborare una
metodologia significa già fare filosofia ed
entrare nel merito delle esigenze speculative che contraddistinguono la filosofia.
Gli autori sottolineano inoltre che non
esiste un unico metodo, valido in tutti i casi
e per tutti gli usi, e che dunque non è
possibile approntare uno strumento didattico capace di prevedere tutte le difficoltà
che lo studente incontrerà nel suo studio
della disciplina. Anziché dispensare lo studente del primo ciclo universitario da ogni
sforzo d’invenzione e di adattamento, una
volta che questi si troverà da solo dinanzi
ad un esercizio filosofico, questo strumento per l’apprendimento della filosofia intende invece avviarlo a filosofare, vale a
dire non solo a porsi in rapporto con una o
più filosofie anteriori, ma anche ad esercitarsi a formulare e a risolvere problemi.
La prima parte dell’opera è dedicata al
testo filosofico ed affronta i problemi relativi alla lettura, alla spiegazione e al commento dei testi secondo un approccio di
analisi progressiva dei diversi livelli di
difficoltà. Per fare un esempio: il capitolo
sulla spiegazione del testo si articola a
partire da una chiarificazione di ciò che
non è una spiegazione, distinguendo quest’ultima dal commento, dalla parafrasi e
dalla disamina letterale e minuziosa del
testo, per poi passare ad una chiarificazione di ciò in cui essa positivamente consiste
e delle tecniche che consentono di attuarla.
Ma la sezione più ricca della prima parte è
dedicata alle esercitazioni, dove si esemplifica l’itinerario teorico attraverso applicazioni relative a testi di Cartesio, di Aristotele, di Platone, di Rousseau.
La seconda parte dell’opera è dedicata alla
dissertazione filosofica. Lungi dal costituire un esercizio scolastico di routine, la
dissertation diventa per gli autori l’occasione privilegiata per un pensiero in formazione di mettersi alla prova, di mettersi
in gioco assumendo dei rischi, operando
delle scelte e formulando delle conclusio61
ni, per quanto provvisorie ed ipotetiche.
Nel campo della filosofia essa non può
prescindere da una cultura propriamente
storica, intesa tuttavia non come un repertorio steoreotipato di soluzioni, ma come
«materia prima» per un pensiero vivente e
capace di confrontarsi con i diversi stili
dell’argomentazione filosofica. Anche qui,
un’ampia sezione è dedicata alle esemplificazioni relative alla produzione di testi
scritti. Seguono altre due parti relative alle
esercitazioni di tipo orale e agli strumenti
di lavoro.
Su “Le Monde de l’éducation” (n. 196,
sett. 1992) Frédérique Pascal, introducendo un dossier relativo alle prove di
filosofia per la sessione di giugno degli
esami di baccalaureato, affronta alcuni temi
più generali dai titoli: Commencer en philosophie (Cominciare in filosofia), Réussir l’écrit (riuscire nello scritto), L’oral
peut payer (L’orale può pagare). Nel primo di questi articoli l’autore, rinviando
anche alle prese di posizioni di insegnanti
di filosofia comparse sulla rivista “L’école des philosophes” (n. 1, giugno 1991,
CRDP de Lille), rileva come abitualmente
chi insegna filosofia presenti l’avviamento a questa disciplina come un atto di
rottura, destinato a sorprendere e a stupire
gli allievi per la radicalità delle sue domande. Più che per un gusto dell’originalità, questo atteggiamento sembra imposto
dalla natura stessa della disciplina: il suo
insegnamento infatti non può consistere in
una semplice trasmissione di contenuti del
sapere, ma solo nel fare direttamente filosofia con gli allievi. Secondo Charles
Coutel, professore all’IUFM di Lille, la
difficoltà nasce dal fatto che «la filosofia
non è elementarizzabile». C’è chi ritiene
indispensabile partire dall’esperienza diretta di vita e riferirsi ai punti di riferimento che sono famigliari allo studente, per
condurlo progressivamente ad acquisire
l’attitudine per il discorso filosofico. C’è
chi utilizza invece un questionario scritto
come primo avvio alle grandi questioni del
pensiero filosofico. Qualcun altro imposta
il problema di “cominciare in filosofia” in
diretto rapporto con la dissertation, con
l’argomentazione scritta intorno a un soggetto specifico. M. Rizk, per esempio,
ritiene che «l’esercizio della dissertazione
DIDATTICA
Dominique Folscheid e Jean-Jacques Wunenburger
obbedisce a delle regole, senza ridursi peraltro a semplice retorica, e che è così che
gli studenti, in un certo modo, faranno un
lavoro filosofico».
Una serie di altri articoli di Pascal, presente nel dossier, mette a fuoco i problemi
interni alla didattica “liceale” della filosofia in Francia, che in larga misura appare
condizionata dalla preminenza assegnata
alla dissertation scritta, passaggio necessario per ottenere il baccalauréat. Una particolare attenzione è dedicata dall’autore alle
modalità rigorose per impostare la prova
orale, in modo che essa sia sottratta ad ogni
rischio di nozionismo mnemonico.
Convegni
In collaborazione con l’IRRSAE Lombardia e la Società Filosofica Italiana,
l’Associazione “Politeia” ha organizzato a Milano, a partire dal dicembre
1992 fino al marzo 1993, la II edizione
del corso di aggiornamento dal titolo:
L’INSEGNAMENTO DELL’ETICA NELLA SCUOLA
MEDIA SUPERIORE.
Il corso ha lo scopo di dotare i docenti di
strumentazione analitica e di informazioni
per sviluppare nei giovani la consapevolezza del ruolo della valutazione morale nei
rapporti personali e sociali. L’idea di fondo
è che la cura del ragionamento morale
nell’educazione costituisca una solida garanzia che i futuri cittadini sappiano affrontare le questioni pratiche emergenti da società in rapido sviluppo attraverso un costruttivo spirito di ricerca e collaborazione.
Il corso, che si rivolge a insegnanti di
filosofia, lettere, scienze, diritto, economia
e religione, si articola: a) in un corso di
base, rivolto a chi si è iscritto per la prima
volta al corso; b) in un corso progredito,
rivolto a chi ha frequentato la precedente
edizione del corso. La partecipazione, previa iscrizione (possono partecipare solo 25
corsisti), è gratuita.
Questo il programma del corso di base:
giovedì 17 dicembre 1992, ore 15: Attilio
Agnoletto, Paolo Martelli, Luciana Vigone, “Apertura del corso”; Carlo Augusto Viano, “L’etica tra teoria e argomentazione”. Venerdì 15 gennaio 1993, ore 15:
Enrico Berti, “Perché e come insegnare
etica”. Venerdì 12 febbraio, ore 15: Paolo
Comanducci, “Cognitivismo e non-cognitivismo nel ragionamento pratico”. Venerdì 19 febbraio, ore 15: Maurizio Mori,
“Perché si può insegnare l’etica applicata”.
Venerdì 5 marzo, ore 15: Paolo Cattorini,
“L’insegnamento della bioetica”. Venerdì
19 marzo, ore 15: Sebastiano Maffettone,
“Teorie normative della politica: una introduzione”. Venerdì 19 marzo, ore 15: Lorenzo Sacconi, “Dilemmi della vita eco62
nomica e insegnamento dell’etica”. Venerdì 26 marzo, ore 15: Mario Jori, “Diritto o
giustizia?”. Giovedì 1 aprile, ore 15: Luciana Vigone, “Chiusura del corso”.
Il corso si tiene presso la sede milanese
dell’Associazione “Politeia”, via Cosimo
del Fante, 13. Per informazioni: tel. 02/
58.31.39.88.
La sezione novarese della Società Filosofica Italiana organizza presso l’Istituto Magistrale “Bellini” un corso di
studio e di aggiornamento sul tema :
LA FILOSOFIA POLITICA NEL NOVECENTO, aperto alla partecipazione gratuita di insegnanti, studenti o persone comunque
interessate.
Il corso, coordinato da Santo Arcoleo, si
articolerà in sette incontri: sei dedicati alla
trattazione da parte di un docente universitario di un argomento relativo al tema; il
settimo dedicato a un seminario volto a
verificare le modalità di traduzione didattica dei contenuti trattati.
Il programma del corso è il seguente: 12
gennaio, S. Natoli: “La filosofia politica
del ‘900. Temi e problemi”; 25 gennaio,
L. Boella: “H. Arendt: l’agire come presenza nel mondo”; 16 febbraio, G. Invitto:
“L’idea di rivoluzione in Simone Weil”; 9
marzo, A. Ferraro: “J. Habermas. Tra
Marx e la modernità: vitalità del pensiero
critico”; 6 aprile, A. E. Galeotti: “Il neocontrattualismo: nuove prospettive sulla
giustizia”. Il 20 aprile concluderà il corso
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
Vol. 90, maggio 1992
Institut Supérieur de Philosophie
Louvain La Neuve
stione, sembra approdare a un’idea trascendentale che lo pone in una posizione di
transizione tra la kantiana Dissertazione
del 1770 e la Critica della ragion pura.
L’unité de l’Etre parménidien, di H. Pasqua: secondo l’autore, la tesi fondamentale di Parmenide si giustifica solo se l’Essere si identifica con l’Uno. A partire da
questo presupposto si sviluppa un confronto con le più recenti interpretazioni di Parmenide.
Le trois images de l’absolu. Contribution a
l’étude de la dernière philosophie de Fichte, di M. Vetö: l’articolo analizza i concetti fondamentali della seconda versione
delle Tatsachen des Bewusstseins (18101814) di Fichte come chiave di lettura
dell’ultima fase del suo pensiero.
REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN
Le concept de vie dans la Grèce ancienne
et le serment d’Hippocrate di L. R. Angeletti: la sensibilità nei confronti della vita e
le prescrizioni contro l’aborto sembrano
indicare un concetto etico della vita in
un’epoca pre-cristiana.
Savoir et mort chez F. Rosenzweig, di E.
Robberechts: dietro il sapere e l’apparenza
di una ricerca di un’armonia logica globalizzante e senza fratture, tipica dell’Occidente, si celerebbe, secondo Rosenzweig,
un rifiuto di responsabilità, una fuga davanti alla vita e all’angoscia per la morte
che l’attraversa. Scienza e filosofia vorrebbero evitare il confronto con l’angoscia e la
morte alla luce di un accordo tra il pensiero
e un principio di ragione superiore. Quali
sono, allora, le prospettive per la modernità?
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER
n. 1, gennaio-marzo 1992
PUF, Paris
Tema della rivista: “Intorno a Kant”.
Tetens et la crise de la métaphysique allemande en 1775, di M. Puech: il breve
scritto Über die allgemeine speculativische Philosophie di Johann Nicolas Tetens
(1775) permette di descrivere la situazione
filosofica in Germania in uno dei momenti
più decisivi per la formazione del pensiero
kantiano. La “crisi metafisica” un concetto
chiave della filosofia tedesca di questo
periodo e Tetens, nell’affrontare la que-
La thèse peircienne de l’identité de la pensée et du signe, di P. Thibaud: la tesi di
Peirce dell’identità assoluta di segni e pensiero è al centro della stessa determinazione del senso della sua nozione di pragmatismo.
Réalisme et anti-réalisme en logique, di F.
Nef: analisi dell’opera di P. Engel: La norme du vrai. Philosophie de la Logique
(Paris, Gallimard, 1989)
Les figures de l’intersubjectivité . Etude
des Husserliana XIII, XIV, Xv zur Intersubjectivität, di N. Depraz.
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE
Vol. 55, luglio-settembre 1992
Beauchesne, Paris
Que reste-t-il de la fondation de la raison?,
di J. E. Joos: l’articolo mostra come il
concetto di dialettica negativa adorniano
sia in realtà un’elaborazione di un aspetto
della filosofia di Kant: i due filosofi condividono l’ipotesi della legittimazione razionale come processo infinito. E’ a partire da
questa stessa interpretazione che Lyotard
vede i rapporti tra la legislazione razionale
e la facoltà di giudicare in Kant.
L’entrelacs du temps, di F. Proust: l’elaborazione di una nuova nozione di storia e di
tempo in Benjamin.
Une philosophie de la grammaire d’après
Kant: la Sprachlehre d’A. F. Bernhardi, di
D. Thouard: uno degli aspetti significativi
della critica kantiana ai fondamenti ontologici dell’antica metafisica consiste nell’aver
messo in discussione le grammatiche generali del XVII e XVIII sec., che avevano la
pretesa di mostrare le leggi universali del
linguaggio, indipendentemente dalla diversità delle lingue. Di conseguenza una delle
possibili direzioni delle ricerche di grammatica non poteva che essere l’elaborazione, su fondamenti kantiani, di una reoria
universale del linguaggio in relazione ad
una grammatica trascendentale delle categorie. E’ questa appunto la direzione di
pensiero assunta dal grammatico e pedagogo A. F. Bernhardi (1769-1820)
63
REVUE INTERNATIONALE
DE PHILOSOPHIE
Vol. 46, n. 2/1992
Universa, Wetteren
Tema: “Montaigne filosofo”
Une critique du jugement, di E. Baillon: la
questione della formulazione dei giudizi di
valore è al centro dell’opera e della vita di
Montaigne.
Montaigne me manque, di M. Conche.
L’imagination philosophique de Montaigne, di J. P. Dumont: considerazioni sull’amore e sulla morte in Montaigne.
La déliason secrète, di J. M. Le Lannou:
una delle più importanti e radicali esperienze di Montaigne nei Saggi é quella dell’alterità come esperienza costitutiva dell’essere dell’uomo, che apre una nuova interpretazione dello statuto della negatività.
Entretien, di J. G. Poletti e C. Rosset:
colloquio a proposito di Entretien de Pascal avec M. de Sacy (1655), testo che
evidenzia lo stimolo costante che Montaigne esercitò su Pascal.
Montaigne cynique?, di A. Comte Sponville: valore e verità nei Saggi.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
DAIMON
n. 4, 1992
Compobell, Murcia
El Parménides de Platón: parricidio o suicidio?, di J. Lorite Mena: l’articolo analizza la struttura interna del Parmenide platonico alla luce di due elementi, il ripiegamento su se stesso del pensiero platonico
come totale autoreferenzialità e la prima
comparsa nel panorama della filosofia occidentale di una teoria che si costituisce
come sistema.
Sabiduría y enseñanza en la Carta VII de
Platón, di J. De Dios Bares: l’articolo analizza la settima lettera di Platone, concentrandosi, in particolare, sulla differenza tra
i contenuti orali e scritti della sua filosofia.
INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL
QUARTERLY
Vol. XXXII, n. 3, settembre 1992
Fordham University, New York
Some remarks on the object of physical
knowledge, di Y. R. Simon: attraverso tre
scritti, Introduction to metaphysics of knowledge (1934), Critique de la connaissance
morale (1934), Prévoir et savoir (1944),
che rappresentano, nel loro insieme, la base
della teoria della conoscenza di Yves R.
Simon, viene analizzato il problema dell’oggetto della conoscenza, che ad un primo livello di astrazione può essere definito, con una terminologia di tradizione tomista, ens mobile, ens sensibile, ens materiale.
Belleza y terror en Platón, di F. Duque.
Sobre el carácter jurídico de la razón critica: logros y perspectivas, di M. Hernandez Marcos: l’articolo intende rivolgersi ad
un aspetto spesso trascurato del criticismo
kantiano, la riflessione sulla filosofia del
diritto. Quest’analisi risulta supportata dalla ricerca in merito compiuta da F. Kaulbach
Schopenhauer y la primera edición de la
Crítica de la Razón Pura: los fundamentos
del nihilismo, di J. L. Villacañas: la relazione tra l’esegesi della Critica della Ragion
Pura compiuta da Schopenhauer e la tradizione precedente.
El ejercicio de la desilusión en la reflexión
crítica de Nietzsche, di R. Avila Crespo.
Carlo Michelstaedter y la experiencia del
sentido, di C. La Rocca: la finalità fondamentale della riflessione del filosofo triestino sarebbe la rivendicazione di una forma di comunicazione umana basata sulla
categoria della persuasione.
Dios como condición de la racionalidad
según E. Husserl, di A. Garcia Marques.
Metodología y experiencia hermenéutica,
di J. M. Martinez: il campo prioritario che
accomuna metodologia ed ermeneutica
sembra essere quello dell’attività prescientifica. L’ermeneutica, come riflessione filosofica, mostra i caratteri storici e linguistici che costituiscono i fondamenti della
comprensione. Più che un metodo essa
appare quindi come un processo che evidenzia i caratteri della phronesis.
Comprehending Anna Karenina: a test for
theories of happiness, di D. W. Hudson.
Wittgenstein on voluntary actions, di J. V.
Arregui: seguendo il pensiero di Wittgenstein l’articolo propone una critica al dualismo nell’uomo tra pensare e volere.
Aristotle’s argument from motion, di J. F.
Mc Niff: l’argomentazione aristotelica circa l’esistenza di Dio non può essere interpretata come un vero e proprio argomento
dell’esistenza di Dio o di un’altra entità,
quanto piuttosto come la dimostrazione
dell’esistenza di un qualcosa che governa
l’universo e che è assolutamente immobile.
“Inverse Correspondence” in the philosophy of Nishida: the emergence of the
notion, di M. Abe: l’articolo analizza il
concetto di gyakutaio (“inverse correspondance”) elaborato da Nishida, pensatore
giapponese (1870-1945), artefice di una
sintesi originale tra filosofia orientale e
occidentale.
Music of the spheres: kierkegaardian selves and transformations, di E. F. Mooney:
benché i modelli kierkegaardiani mutuati
dalla musica siano stati scarsamente presi
in considerazione dalla critica, l’articolo
vuole analizzare l’elaborazione del Sé e la
sua trasformazione che Kierkegaard propone in chiave musicale. La sua analisi del
Don Giovanni di Mozart è rilevante per la
comprensione della sfera estetica dell’esistenza umana.
Heidegger’s autobiographies, di J. Van
Buren: attraverso l’analisi di saggi e corsi
heideggeriani recentemente riscoperti, l’articolo vuole mettere in evidenza l’intima
relazione tra gli scritti del primo e dell’ultimo Heidegger.
Lask, Heidegger and the homelessness of
logic, di S. Galt Crowell: dalle prime pubblicazioni di Heidegger emerge che il cammino della questione dell’Essere passa attraverso una teoria della logica. Particolarmente importante in questa prospettiva è il
debito che Heidegger ha verso il filosofo
neokantiano Emil Lask (1875-1915), da
cui trae specifici motivi di ordine logico e
elementi di teoria del significato. Un’eco di
tale influenza è particolarmente evidente
nella Habilitationschrift heideggeriana.
Essential thinking: reflections on Heidegger’s Beiträge zur Philosophie, di A. Grieder.
Poetizing and thinking in Heidegger’s thought, di T. O’Connor: una riflessione sui
concetti heideggeriani di Essere, linguaggio, verità, da cui emerge l’importanza del
rapporto con la poesia.
Against aesthetics: Heidegger on art, di J.
Hodge: la riflessione estetica di Heidegger
in rapporto a Nietzsche e contesrtualmente
alla questione della relazione tra soggetto e
oggetto.
MAN AND WORLD
Vol. 25, n. 3-4. ottobre 1992
Kluwer Academic Publishers, Dordrecht
The hermeneutic dimension of social science and its normative foundation, di K. O.
Apel: la questione della dimensione ermeneutica delle scienze sociali e la sua funzione normativa è al centro non solo dell’odierno dibattito sulla filosofia delle scienze umane, ma anche della riflessione sui
rapporti tra scienze umane, epistemologia,
comunicazione intersoggettiva.
Heidegger im Gespräch mit Hegel: zur
negativität bei Hegel, di W. Biemel.
Forgetting remembered, di E. S. Casey:
alcune riflessioni sull’oblio, dalle considerazioni del Gorgia platonico alla speculazione del nostro secolo.
On confronting species-specific skepticism as we near the end of the twentieth
century, di J. M. Edie.
J. B. S. P.
Vol. 23, n. 3, ottobre 1992
University of Manchester, Manchester
Tema della rivista: “Il primo e l’ultimo
Heidegger”.
The primacy of the body, not the primacy of
perception, di E. T. Gendlin: l’articolo analizza in modo critico il legame instaurato da
Merleau-Ponty tra corpo e linguaggio.
Phenomenological interpretations with
64
RASSEGNA DELLE RIVISTE
respect to Aristotle: indication of the hermeneutical situation, di M. Heidegger (a
cura di M. Baur).
Gerold Prauss: die Welt und Wir, di B.
Sandkaulen: recensione dell’omonimo testo (J. B. Metzler, Stuttgart, 1990).
Habermas a Derrida e la funzione di apertura al mondo del linguaggio.
Genesis and modern theories of evolution,
di K. Hübner: prendendo le mosse dalla
constatazione che il desiderio di conoscenza della genesi e dell’evoluzione dell’universo sta alla base di ogni più remota forma
di espressione dell’uomo, l’articolo analizza più precisamente le teorie di Eigen e
Vollmert ed il complesso rapporto che intercorre tra teologia e scienza.
ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE
FORSCHUNG
FILOSOFIA
Time and space in technological society, di
S, Ijsseling.
Martin Heidegger und der Neukantianismus, di E. W. Orth.
Against the grain of modernity: the politics
of difference and the conservation of
“race”, di L. Outlaw: una riflessione sul
significato filosofico e pratico dei termini
razza e etnia.
Lavinas on technology and nature, di A.
Peperzak: la posizione di Levinas sulla
tecnologia, a partire da una rilettura della
riflessione antitecnologica di Heidegger.
Rorty and analytic heideggerian epistemology - and Heidegger, di R. C. Scharff.
Vol. 46, n. 1, gennaio-marzo 1992
Klostermann, Frankfurt a/M,
Georgi Schischkoff zum Gedenken (19121991), di G. Dontschev.
Freiheits “Dialektik” und immanente “Nicht-Freiheit”, di R. Kühn: l’articolo analizza il concetto di situazione nel pensiero
di Michel Henry, che con Levinas, Ricoeur
e Derrida rappresenta uno dei più autorevoli fenomenologi francesi.
Die Konstitution des Sozialen, di L. Ellrich: i motivi fenomenologici presenti nella
teoria del sistema di Luhmann.
Aufforderung zur nationalen Selstbestimmung, di P. L. Oesterreich: l’articolo esamina i Discorsi alla nazione tedesca di
Fichte, soffermandosi sulla curvatura politica della filosofia del linguaggio qui proposta.
Sokratisch-platonische Tradition im
“Expertensystem”, di E. Martens.
Vol. XLIII, n. 2, maggio-agosto 1992
Mursia, Milano
Manifesto di un movimento ermeneutico
universale, di V. Mathieu: partendo dalla
domanda su quale sia lo spazio della filosofia, l’articolo, attraverso una serie di
osservazioni sviluppate per punti, pone
l’ermeneutica come cuore di tutte le attività umane e di ogni possibile forma di filosofare infinito.
La conciliazione estetica e l’etica, di G.
Gallino: Schiller, l’unità dell’etico e dell’estetico e l’utopia dell’uomo totale.
Malinconia e nichilismo, di L. Bottani:
dalla “ferita mortale”, per cui sia nella
tradizione ebraica, che in quella biblica la
conoscenza rappresenterebbe per l’uomo
uno strumento di perdizione e di possibile
salvazione, emerge la piena consapevolezza della propria mortalità, attraverso la
quale la coscienza perviene con malinconia ad abbracciare il nulla come non-senso
ed insignificanza. Da questa coscienza del
nulla e della morte scaturiscono il pensiero
tragico, da un lato, e l’ironia, dall’altro.
On the limits of literalness, di Z. Radman.
The preconscious, the unconscious and the
subconscious: a phenomenological explication, di T. Seebohm: alcuni filosofi ritengono che la nozione di inconscio e subconscio non possa essere investigata attraverso
le tecniche della descrizione fenomenologica, mentre altri studiosi dell’ultimo Husserl non concordano con questa posizione.
L’articolo vuole analizzare questo prolema
proprio in rapporto a Husserl.
Neues über die Erkenntnistheorie Isaac
Newtons, di E. Dellian.
MESOTES
n. 1, 1992
Braumüller, Wien
Psychoanalyse und Deutscher Idealismus,
di S. Zizek.
PHILOSOPHISCHE RUNDSCHAU
Vol. 39, n. 3, 1992
J. C. B. Mohr, Tübingen
Mystik und Philosophie, di R. Margreiter:
l’articolo esamina una serie di testi pubblicati negli ultimi anni, relativi al tema della
mistica.
Zwischen Epistemologie und Ethik, di B.
Liebsch: il rapporto tra etica ed epistemologia in relazione al pensiero di Foucault,
filosofo a cui sono dedicati molti testi di
recente pubblicazione in Germania.
Vom Risiko der Positivität. Philosophieren
nach dem Tod der Subjects, di R. Konersmann: analisi dell’attuale discussione filosofica sulla soggettività.
Nota sul “pensiero tragico” di Sergio Givone, di F. Tomatis: due libri di Givone,
Disincanto del mondo e pensiero tragico
(1988) e La questione romantica (1992)
rappresentano un tentativo di interpretazione della realtà contemporanea alla luce
di questioni emergenti all’interno del pensiero romantico e tragico.
Il problema del fondamento e la filosofia
italiana del ‘900, un convegno a Subiaco,
di C. Gily Reda: l’omonimo convegno tenutosi a Subiaco il 28-30 ottobre 1991.
Fantasy and the theory of justice, di R.
Salecl: attraverso il sostegno delle teorie di
Lacan, l’articolo intende mostrare come
l’etica dell’utilitarismo si fondi su un’esclusione della fantasia e come, in relazione a
questa esclusione, l’etica liberale sia in
realtà non-liberale.
I poeti nel tempo della povertà, di A. Mazzarella: recensione dell’opera di A. Trione:
L’ostinata armonia. Filosofia ed estetica
tra ‘800 e ‘900 (Laterza, Bari, 1992).
Verkennen, Erkennen, di R. Pfaller: la psicanalisi come strumento di una teoria della
conoscenza in Bachelard ed Althusser.
RIVISTA INTERNAZIONALE
DI FILOSOFIA DEL DIRITTO
Zu einer pragmatischen Wahrheitstheorie,
di F. Tallar.
Philosophie zwischen Rhetorik und Sprachgrammatik, di B. Mikulic: la critica di
Vol. LXIX, n. 1, gennaio-marzo 1992
Giuffrè, Milano
L’universalità dei diritti dell’uomo, di M.
Kriele: le tematiche principali delle recenti
discussioni sull’universalità dei diritti dell’uomo: il relativismo regionale e storico,
la reazione utilitarista, lo Stato e la divisione dei poteri, l’universalità dello Stato.
Linguaggio giuridico e realtà sociale, di
M. La Torre: la critica realistica del concet-
65
RASSEGNA DELLE RIVISTE
to di diritto soggettivo: Duguit, Alf Ross,
Karl Olivecrona.
“Golah”. Il nomos della responsabilità, di
S. Tarter: giustizia e religione ebraica.
IL CANNOCCHIALE
n. 1, gennaio-aprile 1992,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli
La teoria vichiana del linguaggio, di A. M.
Jacobelli Isoldi: la riflessione vichiana sul
linguaggio rappresenta un elemento fondamentale della sua filosofia, fin dalle prime
produzioni; centrale è il concetto di vis
veri, cioé l’aspirazione della coscienza ad
attingere ad una verità assoluta che coincide con Dio e che si manifesta sotto forma di
facoltà poetica. Si delinea quindi una connessione tra lo sviluppo della vita civile e
quello del linguaggio, connessione che rappresenta uno degli sviluppi più originali del
pensiero vichiano.
El principio de perfeccion y la idea de
progreso moral en Leibniz, di C. R. Panadero.
Il concetto di Bildung nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel, di S. Dallavalle:
nonostante la centralità, nella produzione
hegeliana jenese, del concetto di Bildung,
la critica non sembra essersi sufficientemente soffermata sull’uso che di questo
termine fa Hegel in tre contesti semantici
diversi: in un primo senso Bildung significa «un processo di formazione della coscienza individuale, dalle forme di conoscenza più semplici ed immediate fino alla
scienza ed alla verità»; in un secondo senso
Bildung é il processo di formazione dell’intera umanità; in un terzo senso Bildung é
una categoria di una precisa figura della
Fenomenologia, appartenente allo “spirito
che si è reso estraneo a sé”. Se per quanto
riguarda le prime due accezioni i tratti in
comune sono piuttosto evidenti, più complessa risulta l’analisi della terza, dove il
concetto di Bildung appare, “negativamente”, suscettibile di un superamento dialettico. Ciò nonostante l’articolo conclude con
la non contraddittorietà degli usi hegeliani
del concetto di Bildung nell’opera jenese.
Carlo Michelstaedter e l’esperienza del
senso, di C. La Rocca: l’opera del filosofo
triestino, gli influssi e le influenze.
Teoresi del fondamento, di P. Miccoli: l’indagine sul problema filosofico del fondamento rappresenta una tappa ineludibile
dell’analisi dell’esperienza conoscitiva
umana ed investe, accanto al piano logicognoseologico, anche quello metafisico ed
etico.
La scuola di Tubinga-Milano per una nuova immagine di Platone, di M. Migliori:
l’articolo si propone di inquadrare, anche
da un punto di vista storico, l’interpretazione platonica fornita dalla scuola di Tubin-
ga- Milano nelle persone di Krämer, Gaiser, Reale, Szlezak. Ad esso segue un’appendice sulle principali opere afferenti a
questa nuova interpretazione.
Vico e lo spirito intersoggettivo, di G.
D’Acunto: l’articolo analizza l’introduzione all’edizione tedesca, per la prima volta
integrale, della Scienza nuova (Felix Meiner Verlag, Hamburg, 1990).
ITINERARI FILOSOFICI
Vol. II, n. 2, gennaio-aprile 1992
Società Italiana per la Ricerca Filosofica
Milano
La caduta della luna. L’esperienza della
distanza nel XXXVII Canto di Leopardi
“Odi Melisso...”, di A. Carrera: in questo
canto leopardiano l’autore ritrova un contenuto di pensiero che si riferisce al costituirsi del soggetto umano. Nella relazione segnica che lega l’uomo alla luna
ha luogo l’originaria esperienza della
distanza che definisce il costituirsi di
due enti in quanto tali.
Rythmòs e differenza ontologica. L’evento
ritmico da Platone a Derrida, di S. Pappalardo: ripercorrendo, attraverso un’indagine filologica, la nozione di ritmo dalla
cultura greca fino a Heidegger e Derrida,
l’articolo intende mostrare come l’ambizione di questo concetto sia accedere ad
uno sguardo “altro” dalla metafisica.
Tra linguistica ed ontologia. Tipi di semanticità emergenti dal lessico tomista, di
R. Diodato: vengono qui esposti i risultati
di una ricerca di classificazione, basata su
i diversi tipi di semanticità, di 20173 lemmi dell’Index thomosticus che riassumono
integralmente le 147088 forme reperite nell’opera di S. Tommaso ed altre opere medievali.
Inediti leibniziani sulle polemiche trinitarie, a cura di M. R. Antognazza: testi leibniziani relativi alla polemica scoppiata nel
XVII sec. in seguito alla diffusione dell’antitrinitarismo sociniano.
La filosofia come musica, di V. Mathieu:
filosofia, musica e i problema del “senso”.
Fondazione ed applicazione dei principi
etici. Aspetti del dibattito sulla bioetica, di
A. Pessina.
Un nuovo commentario filosofico al Parmenide di Platone, di R. Radice: recensione dell’opera di M. Migliori, Dialettica e
verità, commentario filosofico al Parmenide di Platone (Vita e Pensiero, Milano
1990).
Dire la differenza con la persona. A proposito della terza edizione di Essere e Parola
di Melchiorre, di U. Regina.
FENOMENOLOGIA E SOCIETA’
L’orizzonte filosofico della psicologia comprensiva di Karl Jaspers: Wilhelm Dilthey
e Georg Simmel, di F. Paracchini.
Filosofia e storia della filosofia in Mario
Dal Pra. Conversazione con Fulvio Papi, a
cura di F. Cassinari.
RIVISTA DI FILOSOFIA
NEOSCOLASTICA
Anno LXXXIII, n. 4, ottobre-dicembre
1991
Vita e Pensiero, Milano
Una nuova interpretazione delle opere perdute di Aristotele, di E. Peroli: un recente
testo di A. P. Bos, Teologia cosmica e
metacosmica: per una nuova interpretazione dei dialoghi perduti di Aristotele
(Milano 1991) ha definitivamente messo in
crisi la tradizionale interpretazione proposta fin dal 1923 dallo Jaeger circa lo sviluppo evolutivo della filosofia aristotelica.
Questo libro, invece, ricostruendo in maniera articolata il contenuto delle opere
perdute dello Stagirita, propone la tesi dell’originalità e dell’autonomia delle riflessioni filosofiche di Aristotele.
66
Anno XV, n. 1, 1992,
Piemme Edizioni, Milano
Le prime pagine della rivista sono dedicate
ad un ricordo di Emilio Agazzi a cura di E.
Mascitelli e N. Bobbio.
Oltre la religione e l’illuminismo, di C.
Larmore: l’articolo si incentra sulla tesi che
la secolarizzazione rappresenti una sorta di
logica interna del monoteismo giudaicocristiano.
La decisione di Ulisse. Scelte razionali e
scelte morali, di A. Villani: il riferimento al
mito omerico offre lo spunto per una riflessione sul rapporto tra moralità e razionalità
nelle scelte individuali e collettive.
Il problema dell’attualità della filosofia
pratica aristotelica, di F. Ingravalle: l’area
tedesca, nel dopoguerra, ha mostrato un
interesse crescente per la filosofia pratica
aristotelica, al fine di recuperare nuove
basi per una fondazione veritativa della
prassi. E’ in quest’ottica che si situa la
corrente “neoaristotelica” della filosofia
tedesca contemporanea che fa capo a Luhmann, Riedel, e Bien, il cui intento non è
soltanto quello di rivitalizzare la filosofia
pratica aristotelica, ma anche quello di interpretarla.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Pierre Bourdieu. Il punto di vista scolastico, a cura di A. Boschetti: il testo qui
riportato è la trascrizione di una conferenza
tenuta nel 1989 a Berlino da P. Bourdieu,
docente al Collège de France.
L’antropologia filosofica di Ludwig Binswanger, di G. Nardi.
Il gioco in Gadamer tra rischio e simmetria di G. Qualizza: se, come sottolinea
Habermas, l’opera di Gadamer rappresenta uno sforzo di ridurre la portata della
critica heideggeriana alla tradizione metafisica, la nozione di gioco svolge un ruolo
fondamentale nel delineare il nostro rapporto con l’opera d’arte, la tradizione, il
linguaggio e l’essere. Attenzione particolare viene dedicata al concetto gadameriano di “stare al gioco”.
Hans Blumenberg: per un’estetica del possibile, di L. A. Terzuolo.
Esperienza e metariflessione nel pensiero
di Giulio Preti, di M. Pavesi.
AUT AUT
n. 250, luglio-agosto 1992
La Nuova Italia, Firenze
L’Essere, un Mac Guffin. Come preservare
il desiderio di pensare, di H. Blumenberg:
come il Mac Guffin di cinematografica
memoria induce un accrescimento della
“suspense” dell’azione, così la leggendaria
seconda parte di Essere e Tempo rappresenta una sorta di Mac Guffin della filosofia, in quanto la comprensione dell’Essere
genererebbe solo noia, interrompendo il
cammino continuo della filosofia.
Comunità. Appunti sulla permanenza di un
mito, di A. Dal Lago: l’articolo si propone
come un esortazione ad una ricerca filosofica che si incentri non soltanto sulla delineazione di utopistiche società future o
immaginarie società originarie, ma anche
su un’analisi del mondo e della comunità
attuali.
di elaborata una teoria “speciale” dell’immaginazione che ne rivela gli aspetti attivi
e multilaterali, anche alla luce della riflessione posteriore.
Circostanze serresiane, di G. Polizzi; L’origine della geometria, di M. Serres; Chiarimenti. Un incontro con Michel Serres, a
cura di G. Polizzi e M. Porro: interpretazioni dell’opera di Michel Serres, in particolare di Eclaircissements. Cinq entretiens avec
Bruno Latour (Bourin, Paris, 1992).
IDEE
Vol. VII, n. 19, gennaio-aprile 1992
Milella, Lecce
Il sacro e il divino, di P. de Vitiis: l’articolo
cerca di individuare i presupposti storici
che condizionano il delinearsi del concetto
di “sacro” a partire da Schleiermacher che,
in contrasto con Kant, rivendicò per primo
l’autonomia della religione rispetto all’etica. Nel corso del tempo si è poi delineata
una posizione scissionista tra” sacro” e
“divino”, che rischia di svalutare tutto ciò
che non è riducibile ad una pura concettualità logica, come hanno messo in luce da
Scheler, Heidegger e Gehlen.
Religione e filosofia in Descartes e Malebranche, di N. Grimaldi: benchè il grande
merito di Cartesio sia stata la descrizione
della condizione metafisica dell’uomo, è
stato soprattutto Malebranche ad aver individuato nella religione la via che ha aperto
alla filosofia la capacità di comprendere il
senso della condizione umana.
La probatività delle cinque vie in S. Tommaso, di F. Fiorentino.
Il bisogno moderno dell’antico e l’incontro con la teologia greca, di D. Goldoni: un
cammino a ritroso dalle secche del nichilismo contemporaneo alla ricerca di una
“verità di vivere” che approda alla teologia
greca, secondo una chiave di lettura già
adombrata da Jaeger e Pannenberg.
Note sulla cristologia di Unamuno, di F.
Gorani.
Le ragioni della fede nell’ultimo Carlini, di
N. Pascolo.
STUDI KANTIANI
n. 5, 1992
Giardini Editori e Stampatori, Pisa
Sull’uso dei termini “genere” e “specie”
nella filosofia di Kant, di S. Marcucci:
prendendo spunto dal titolo dato da Kant
allo scritto del 1788 Circa l’uso dei principi teologici in filosofia, l’articolo analizza
i principi dell’omogeneità, della specificità
e della continuità delle forme in rapporto
alla riflessione kantiana intorno alla letteratura naturalistica del tempo.
“Apriori” e “trascendentale” nella prima
edizione di Kants Theorie der Erfahrung di
H. Cohen, di G. Gigliotti: quest’opera di
Cohen del 1871 affronta uno dei nodi centrali della filosofia kantiana, che, secondo
alcuni, è rimasto aperto: la connessione tra
natura delle forme a priori e modo della
loro conoscenza.
Teodicea autentica e teodicea storica. Kant
e Cohen, di A. Poma: l’occasione di questo
scritto è dato dal bicentenario del saggio di
I. Kant Sull’insuccesso di ogni saggio filosofico di teodicea (1791-1991).
Sulle relazioni tra bene, sommo bene e
necessità e tra contingenza e male nelle
Vorlesungen kantiane, di P. Colonnello.
La teoria kantiana delle leggi fisiche, di S.
Marcucci: recensione dell’opera di V. Mudroch: Kants Theorie der physikalischen
Gesetze (Walter de Gruyter, Berlin-New
York 1987).
IRIDE
n. 8, gennaio-aprile 1992
Ponte alle Grazie, Firenze
Ricordando Pareyson, di P. Birtolo.
La scrittura come esenzione. Montaigne e
La Boétie, di G. Gabetta: l’articolo esamina
l’ambivalenza interna della scrittura dei
Saggi di Montaigne: da un lato la malinconia per la prematura scomparsa dell’amico
Etienne de La Boétie, dall’altro la goia
dello scrivere.
Ermeneutica filosofica e pluralismo religioso, di C. Ciancio: l’ermeneutica come
possibile via di unificazione del particolare
e dell’universale è stata al centro del convegno: “Cristianesimo e religioni. Filosofia e teologia di fronte alla sfida del pluralismo” (Torino, 18-19 ottobre 1991).
Immaginazione e socialità. Saggio di materialismo antropologico, di U. Fadini e G.
Pascucci: il ruolo che l’immaginazione gioca all’interno dell’opera di Spinoza non è
soltanto di natura conoscitiva, ma anche di
carattere produttivo, in quanto l’immaginazione sembra aprire una dimensione “altra” rispetto a quella consueta. Viene quin-
Ermeneutica e verità, di F. Brezzi: recensione dell’opera di G. Mura: Ermeneutica
e verità (Città nuova, Roma 1990).
67
Il relativismo ontologico, di P. Feyerabend: l’articolo analizza il dibattito tra realismo e relativismo a partire dalle indicazioni di Parmenide ed Aristotele.
Il fanatico e l’arcangelo. Una critica della
meta-etica di R. M. Hare, di S. Nannini.
La svolta linguistica nell’ermeneutica tedesca contemporanea, di P. Tomasello:
benché tra tradizione filosofica continentale, legata alla fenomenologia ed all’ermeneutica, e tradizione analitica anglosassone si sia sempre instaurato un clima di
reciproca indifferenza, di recente, secondo
quanto osservato anche da R. Bubner, si è
RASSEGNA DELLE RIVISTE
andato affermando un rapporto di mutua
influenza dovuto e al successo all’estero,
prima che in madrepatria, di autori come
Frege e Wittgenstein, e alla ricettività mostrata dall’ermeneutica e dalla fenomenologia per le problematiche legate alla filosofia del linguaggio. In quest’ottica, rilevanti appaiono i contributi di autori come
Habermas, Apel e Tugendhat, legati alla
tradizione ermeneutica, ma attenti anche
all’influsso della filosofia analitica.
Isaiah Berlin tra la filosofia e la storia
delle idee, un’intervista autobiografica a
cura di S. Lukes.
Riflessioni su genere morale e potere: la
cura e il problema morale dell’alterità, di
J. C. Tronto; Moralità della cura, differenza sessuale e teoria femminista, di M.
Drakopoulou; I due percorsi dello sviluppo
morale: una svolta nel cammino del femminismo?, di P. A. Meyers: motivi del recente
dibattito sul rapporto tra donne e morale,
questione fondamentale della prospettiva
morale femminista.
Spirito e cultura. In margine ad un recente
libro di Maurizio Ferraris, di G. Carchia:
recensione dell’opera di M. Ferraris: La
filosofia e lo spirito vivente (Laterza, RomaBari 1991).
la realtà che nel trasformarla. Nel numero
successivo (aprile-giugno 1992) vengono
affrontate problematiche relative alla filosofia francese contemporanea, con particolare attenzione alle figure di Bergson, Merleau-Ponty, Sartre, Derrida, Lavelle, Fénelon, Lequier.
FILOSOFIA OGGI (Vol. XV, n. 58, aprile-
giugno 1992) presenta un interessante intervento di S. A. Salvaggio: De l’état de
nature à la société civile: “contrat special” et intellegibilité de la transition chez
Spinoza. Il numero successivo (Vol. XV, n.
59, luglio-settembre 1992) presenta un intervento di A. Deregibus, Pascal e Descartes, che propone un confronto tra i due
filosofi in merito alla questione morale. Un
simile confronto risulta particolarmente
significativo non soltanto alla luce di una
comune temperie storica e culturale, ma
anche perchè sull’importante concetto di
“cuore” pascaliano gioca un ruolo rilevante la componente volontaristica cartesiana.
Segnaliamo inltre l’intervento do P. P. Ottonello su Gentile: Gentile: la religione
come morale assoluta.
automi all’automazione”. L’occasione per
riflettere sul ruolo della tecnologia e dell’automazione è stata offerta dal convegno
organizzato dall’AIMMA (Associazione
Industriali Metallurgici, Meccanici ed affini) sul tema: “Dagli automati all’automazione. Un’aspirazione umana tra mito e
realtà” (Torino, 30 ottobre 1990). La rivista
pubblica gli interventi al convegno, che
spaziano dall’antichità al XVIII secolo,
fino alle considerazione sugli attuali robot.
INTERSEZIONI (Vol. XII, n. 3, dicembre
1992, Il Mulino, Bologna) presenta un articolo di S. Weber dal titolo Dopo la decostruzione, che affronta non tanto problematiche relative alla scomparsa della decostruzione, o alle sue conseguenze, quanto
tratti salienti e distintivi della decostruzione stessa, al fine di cogliere con più precisione la questione del suo influsso e della
“scia” che essa ha lasciato. Segnaliamo
inoltre un interessante intervento di N. Pollastri: La filosofia della natura é di nuovo
attuale?. Hegel, la scienza e l’epistemologia contemporanea, che offre una panoramica dei contributi storiografici alla comprensione del pensiero hegeliano.
NUOVA CIVILTA’ DELLE MACCHINE
(Vol. X, n. 2, 1992) propone il tema: “Dagli
Sulla storia e l’analisi della filosofia continentale, di K. Mulligan: l’articolo analizza brevemente le differenze più appariscenti tra filosofia analitica e filosofia continentale a partire dal metodo, dal ruolo
della storia, dall’influsso della filosofia tedesca.
Agostino, l’anima e la storia, di R. de
Monticelli: recensione dell’opera di R.
Bodei: Ordo amoris (Il Mulino, Bologna
1991).
Differenza e identità personale, di G. Mari:
la “questione del soggetto” nelle due tradizioni postmetafisiche, quella tragica e quella
postmoderna, tradizioni che hanno in comune l’idea di poter pensare le questioni
relative al soggetto indipendentemente dalle
considerazioni sul tempo. La nota intende
appunto integrare tali posizioni con osservazioni di carattere temporale.
LES ETUDES PHILOSOPHIQUES (gennaio-marzo 1992, PUF, Paris) affronta il tema
della crisi del marxismo. I recenti avvenimenti storici hanno messo in dicussione i
capisaldi del pensiero di Marx; anche se
oggi non è più possibile definire Marx
come il Copernico dell’economia politica,
secondo l’indicazione di Althusser, senza
dubbio egli fu un pensatore “assetato” di
giustizia, profondo fenomenologo e sagace
analista, più abile, forse, nell’interpretare
68
FILOSOFIA E TEOLOGIA (Vol. IV, n. 2,
NOVITA’ IN LIBRERIA
AA.VV
Arbeit und Humanitat. Wege
in eine humane Arbeitsgesellschaft
Schulz-Kirchner, luglio-agosto 1992
pp. 176, DM 28
AA.VV.
Transzendentalphilosophie
und Evolutionstheorie
Rodopi, settembre 1992
Dfl. 80
O.-D. Creutzfeld: Principi dell’organizzazione cerebrale come condizione della percezione, del pensiero e del
comportamento. G. Vollmer: E’ancora pensabile l’autorganizzazione
evolutiva nella vita e nella coscienza?
H. Girndt: Teoria dell’evoluzione e
pensiero trascendentale: compendio
di problemi scientifico-teoretici. W.
Lütterfelds: L’esperienza idealistica
ha una base naturalistica? La prima
filosofia trascendentale di Fichte.
AA.VV.
Aggiornamenti sull’idea di “caso”
Bollati Boringhieri, novembre 1992
pp.192, L. 20.000
Onnipresente e inafferrabile, il caso
sembra farsi beffe del mondo degli
uomini. E’ una realtà oggettiva oppure un effetto della nostra ignoranza?
Non potendo risolvere l’enigma, la
scienza tenta di addomesticare il caso.
In questa serie di quindici conversazioni sociologi, linguisti, matematici,
filologi, fisici e filosofi testimoniano
della ricchezza di questo concetto che
è al giorno d’oggi il cardine di un
nuovo rivoluzionario paradigma
scientifico.
Akerma, Karim
Der Gewinn des Symbolischen.
Zur Ableitung von Naturtheorie
aus dem gesellschaftlichen Sein
in der Tradition kritischerTheorie
seit Marx
Lit, luglio-agosto 1992
pp.380, DM 58
Alexander, Peter
Sensationalism and
scientific explanation
Thoemmes, novembre 1992
pp.158, £ 12,99
Alexander sostiene in modo convincente che il sensazionalismo, con la
sua enfasi sul ruolo puramente “descrittivo” della scienza, non rende
giustizia al suo ruolo esplicativo, altrettanto importante.
Allen, R.T.
The education of autonomous man.
Historical and critical studies
Avebury, settembre 1992
pp. 88, £ 30
Il presente studio del moderno pensiero educazionale mette in relazione
certi pensatori e teorie con il profondo cambiamento intervenuto nella
concezione che gli uomini hanno di
sé (come esseri autodeterminanti e
autolegiferanti) e del mondo. Fra i
filosofi di cui si tratta, Rousseau, Kant,
Hegel, Froebel, Marx e Nietzsche.
NOVITA’ IN LIBRERIA
“De generatione animalium” in cui
Aristotele porta a termine la propria
teoria riproduttiva. Le note spiegano
le affermazioni di Aristotele e discutono le sue idee su questioni importanti quale la teleologia naturale.
Bartuschat, Wolfgang
Spinozas Theorie des Menschen
Meiner, settembre 1992
pp.396, DM 128
Baule, Bernward
Kulturerkenntnis
und Kulturbewertung
bei Theodor Lessing
Lax, settembre 1992
pp.266, DM 44
Ammitzboll, Niels P.
Menschenbild
und Erziehungskonseption
bei William Godwin.
Zum sensualistischen
und utilitaristischen Charakter
seiner Pädagogik
G. Olms, luglio-agosto 1992
pp.250, DM 44,80
William Godwin (1756-1836), filosofo e autore di romanzi, biografie,
opere storiche, libri scolastici e per
bambini, pose l’informazione, l’educazione e l’istruzione al centro della
propria filosofia.
Arnauld, Antoine - Nicole, Pierre
Jourdain, Charles (a cura di)
La Logique ou l’arte de penser
Gallimard, ottobre 1992
pp.404, F 63
Pubblicato per la prima volta nel 1662,
La Logique de Port-Royal è al contempo una grammatica intellettuale e
un compendio dell’epistemologia del
classicismo cartesiano e pascaliano.
Questo modo di pensare è strutturato
secondo i quattro aspetti del pensiero
razionale: comprendere, giudicare,
dedurre e ordinare.
Augias, Jean-Marie
Michel Serres, philosophe occitan
Fédérop, ottobre 1992
pp.167, F 90
Michel Serres appartiene con tutto se
stesso al pensiero occitano. La terra,
i luoghi, i giochi, l’infanzia e l’autenticità, tutto vi riporta. Ma la cosa più
importante, secondo l’autore, è l’apporto di M. Serres alla cultura occitana.
Anders, Günther
Über philosophische Diktion
und das Problem
der Popularisierung
Wallstein, luglio-agosto 1992
pp.28, DM 15
Angiulli, Andrea
Gli hegeliani e i positivisti in Italia
a cura di A. Savorelli
Leo S. Olschki, novembre 1992
pp.314, L. 58.000
I testi inediti di uno dei protagonisti
della cultura filosofica italiana dopo
l’Unità: un originale percorso intellettuale che, dalla riflessione su temi
etico-politici, approda ad una revisione critica del positivismo evoluzionistico.
Bachelard, Gaston
L’Air et les songes: essai
sur l’imagination du mouvement
LGF, ottobre 1992
pp.350, F 46
Bachelard riunisce e interpreta gli
elementi che compongono quello che
si potrebbe chiamare lo “psichismo
aereo”, vale a dire tutto ciò che nello
spirito umano partecipa dei fantasmi
legati all’aria e soprattutto il fatto di
volare, oggetto di numerose credenze
e di innumerevoli elaborazioni poetiche.
Annas, Julia (a cura di)
Oxford studies in ancient philosophy:
Vol. X. 1992
Clarendon, dicembre 1992
pp.304, £ 35
Decima pubblicazione annuale (1992)
della serie su antichi saggi di filosofia, questo volume copre una vasta
gamma di argomenti della filosofia
antica e riesamina libri importanti.
Balke, F. - Méchoulan, E.
Wagner, B. (a cura di)
Zeit des Ereignisses Ende der Geschichte?
W. Fink, luglio-agosto 1992
pp.280, DM 68
Dove c’è una teoria sulla fine si inserisce il discorso sul fenomeno. Ciò
dimostra in modo impressionante l’attuale congiuntura del “fenomeno” in
filosofia, sociologia, storiografia e
“politica”.
Aristote
Ethique à Nicomaque
trad. dal greco di J. Defradas
intr. e comm. di R. Arnaldez
Presses-Pocket, luglio-agosto 1992
F 70
Armour, Leslie
Being and idea.
Developments of some themes
in Spinoza and Hegel
Olms, ottobre 1992
pp.185, DM 39,80
Balme, D. M. - Gothelf, Allan
(a cura di)
Aristotle: “De partibus animalium I”
and “De generatione animalium I”
Clarendon, novembre 1992
pp.192, £ 14
La traduzione comprende parte del
68
Baxter, Timothy M. S.
The Cratylus.
Plato’s critique of naming
Brill, ottobre 1992
pp.200, Dfl 130
Beare, John I.
Greek theories of elementary
cognition. From Alcmaeon to
Aristotle (1906)
Thoemmes Press, novembre 1992
pp.366, £ 42
Saggio sulle teorie greche della cognizione elementare, da Alcmane ad
Aristotele.
Bechtel. W.- Richardson, R. C.
Discovering complexity.
Decomposition and localization
as strategies in scientific research
Princeton UP, ottobre 1992
pp.328, $ 48
Il libro offre un resoconto della scoperta scientifica che cerca di essere
psicologicamente e storicamente realistico. Prendendo esempi tratti da
numerose scienze vitali questo saggio sulle dinemiche dell’elaborazione di teorie si focalizza su due euristiche psicologiche, la decomposizione
e la localizzazione.
Beckmann, Jan P.
Ockham-Bibliographie 1900
bis 1990
Meiner, settembre 1992
pp.167, DM 120
Il curatore ha ordinato alfabeticamente
per autori la bibliografia secondaria,
munendo questa edizione di quattro
indici (dei nomi, delle opere, sistematico e delle cose).
Bellebaum, A. (a cura di)
Glückforschung. Eine Symposium
Westdt. Verlag, settembre 1992
pp.200, DM 28
Le venerabili teorie filosofiche (morali) e teologiche della fortuna attualmente non vengono più sviluppate
con altrettanto vigore che in altri tempi. D’altronde, la ricerca sulla fortuna
e la soddisfazione nelle scienze sociali di orientamento empirico si
espande, mentre al contempo si parla
meno della fortuna come qualità di
vita eccetera. Qui si propone un ulteriore campo di ricerca sulla fortuna,
psicologico e sociopsicologico.
NOVITA’ IN LIBRERIA
Bellet, Maurice
Critique de la raison sourde
Desclée de B., luglio-agosto 1992
pp.207, F 98
Che cos’è la ragione sorda? Quella
che non sente, che si ripiega su se
stessa, chiusa sui suoi principi, ostile
a ciò che le è estraneo.
Benedikt, M. et al.
Verdrängter Humanismus verzögerte Aufklärung.
Österreische Philosophie zur Zeit
der Aufklärung und Revolution
Turia und Kant, luglio-agosto 1992
pp.960, DM 68
Benjamin, Andrew (a cura di)
Judging Lyotard
Routledge, settembre 1992
pp.224, £ 11
Raccolta di scritti dedicati all’opera
di Lyotard, che costituisce una valutazione e una critica della sua opera e
in particolare si sofferma sull’importanza per Lyotard della questione del
giudizio e delle sue idee su ciò in un
contesto kantiano.
Bergson, H.
Lettere a Xavier Léon e ad altri
a cura di Renzo Ragghianti
Bibliopolis, novembre 1992
pp. 188, L. 50.000
Le lettere di Bergson a Xavier Léon,
rintracciate presso la biblioteca Victor
Cousin in Sorbona, registrano un intenso scambio ideale protrattosi per
oltre un quarantennio. L’epistolario
indugia sulle circostanze che accompagnarono la fondazione e il successivo affermarsi della “Revue de
Métaphysique et de Morale” della
Societé Francaise de Philosophie, in
un serrato intreccio tra annotazioni di
cronaca e itinerari speculativi, aperto
ad una fitta rete di collaborazioni internazionali.
Bergson, Henri
Durée et simultanéité
PUF, luglio-agosto 1992
pp.232, F 58
Pubblicata nel 1922, quest’opera presenta una nuova prova della teoria di
Bergson della durata, una teoria fondamentale per la comprensione di tutto
il suo pensiero, visto che proprio a
partire da essa si è sviluppata la filosofia dell’intuizione.
Bianco, Franco - Sichirollo, Livio
(a cura di)
Logica e storia. Scritti in onore
di Leo Lugarini
Franco Angeli, ottobre 1992
pp.240, L. 35.000
Nel riunire gli scritti si studiosi italiani e stranieri sotto il titolo di Logica e
storia i curatori del volume hanno
ritenuto di poter indicare non solo
l’ambito dei problemi affrontati nei
singoli contributi, ma anche la cerchia tematica cui più intensamente si
è rivolta la riflessione di Lugarini.
Bianco, Franco (a cura di)
Heidegger in discussione
Franco Angeli, ottobre 1992
pp. 368, L. 50.000
Interrogarsi sulla eredità di Heideg-
ger significa cercare di tener conto
non solo delle luci ma anche delle
ombre che ne hanno accompagnato
l’opera e la vita. Accanto alla riflessione sulla prassi vengono indagati,
in questo volume, i problemi connessi con la comprensione del logos e
della soggettività, il rapporto decostruttivo-costruttivo instaurato da
Heidegger con la tradizione e l’orizzonte in senso lato “religioso” che ne
caratterizza l’intera evoluzione speculativa.
Brzoska, Andreas
Absolutes Sein. Parmenides’
Lehrgedicht und seine
Spiegelung im Sophistes
Lit Verlag, ottobre 1992
pp.184, DM 48,80
Buchdahl, Gerd
The dynamics of reason:
Essays on the structure of
Kant’s philosophy
Blackwell Publishing , ottobre 1992
pp.356, £ 45
Al centro di questo libro sull’interpretazione della filosofia trascendentale di Kant c’è l’assunto che la si
possa capire meglio dinamicamente.
Si fa uso del processo riduttivo-realizzativo come chiave di interpretazione delle sezioni più oscure dell’opera di Kant.
Bicchieri, Cristina
Dalla Chiara, Maria Luisa
Knowledge, belief
and strategic interaction
Cambridge UP, novembre 1992
pp.544, £ 40
Il libro offre un panorama dell’interazine fra teoria del gioco, logica ed
epistemologia nei modelli formali di
conoscenza, credenza, deliberazione
e apprendimento e nel rapporto fra la
teoria decisionale bayesiana e la teoria del gioco, nonché fra razionalità
vincolata e complessità computazionale.
Bucher, Zeno
Die Abstammung des Menschen
als naturphilosophisches Problem
A cura di G. Witzany
Königshausen , ottobre 1992
pp.136, DM 29,80
Zeno Bucher OSB (1907-1984) è stato professore a S.Anselmo, Roma, e
all’Istituto Filosofico della Facoltà di
Teologia di Salisburgo. Egli ha chiarito che i metodi delle scienze naturali non possono essere efficaci per
l’evoluzione dello spirito umano e
che non si può rinunciare a un lavoro
di filosofia naturale.
Binder, Fabian, Valent
International bibliography
of Austrian philosophy 1984-1985
Ed. Rodopi, luglio-agosto 1992
pp.300, Dfl 120
Böhme, Hartmut
Das andere der Vernunft.
Zur Entwicklung
von Rationalitätsstrukturen am
Beispiel Kants. 2. Auflage
Suhrkamp, luglio-agosto 1992
pp.516, DM 32
Burmester, Ute
Schlagworte der frühen
deutschen Aufklärung.
Exemplarische Textanalyse
zu Gottfried Wilhelm Leibniz
Lang, luglio-agosto 1992
pp.446
Brandt, Richard B.
Morality, utilitarianism and rights
Cambridge UP, ottobre 1992
pp.400, £ 14
Richard Brandt è uno dei più eminenti e influenti filosofi morali contemporanei. Il presente volume comprende molti classici brani della teoria
metaetica ed etica normativa.
Burton, Steven J. (a cura di)
Judging in good faith
Cambridge UP, novembre 1992
pp.272, £ 32,50
Interessato all’etica delle corti di giustizia, Burton analizza il terreno, il
contenuto e la forza del dovere legale
e morale di un giudice di sostenere la
legge, e difende due tesi principali:
prima, quella della “buona fede” laddove i giudici sono tenuti a sostenere
la legge, e seconda quella della discrezione ammissibile.
Braun, Eberhard
”Aufhebung der Philosophen”.
Marx und die folgen
J. B. Metzler, ottobre 1992
pp. 428, DM 68
Si è verificata una frattura rivoluzionaria con la tradizione filosofica. Vi
hanno partecipato importanti filosofi, tutti prima di Marx e Nietzsche.
Come va pensata questa rivoluzionaria frattura?
Burwick, Frederick et al.
(a cura di)
The crisis in modernism.
Bergson and the vitalist controversy
Cambridge UP, luglio-agosto 1992
pp.420, £ 50
Il movimento modernista è stato considerato la rappresentazione di un
punto critico nel pensiero occidentale. Il presente volume guarda a quella
crisi dal punto di vista della sua reinterpretazione delle idee sul vitalismo:
l’animazione (spirituale o basata su
energie fisiche) dell’universo.
Brendel, Elke
Die Wahrheit über den Lügner.
Eine philosophisch-logische Analyse
der Antinomie des Lügners
de Gruyter, ottobre 1992
pp.230, DM 108
Indagine storica e sistematica della
problematica della verità sull’esempio dei più noti paradossi della logica
filosofica. Monografia scientifica e
libro di testo per studenti di grado
avanzato.
Buttlar, Johannes v.
Gottes Würfel.
Schicksal oder Zufall
Herbig , luglio-agosto 1992
pp.272, DM 39,80
Critica spietata della teoria del caos,
69
della scienza naturale stabilita e della
fredda arringa. L’astrofisico Johannes v. Buttlar si applica al nuovo
pensiero intuitivo della fisica, per una
comprensione totalizzante dell’universo e della sua legalità, per una
strategia pianificata del cosmo.
Byrne, Peter
The philosophical
and theoogical foundations of ethics: An introduction to moral theory
and its relations to religious belief
Macmillan, ottobre 1992
pp.192, £ 40
Il presente saggio è un’introduzione
ai problemi della filosofia morale,
pensata in particolare per studenti di
teologia e di discipline religiose. Esso
offre un resoconto della natura e propone temi di discussione morale e dei
principali tipi di teoria morale della
filosofia morale contemporanea.
Campbell, Richard
Truth and historicity
Clarendon, ottobre 1992
pp.480, £ 48
Quest’opera chiarisce il concetto di
verità rintracciandone la storia dagli
antichi greci fino all’esistenzialismo,
al marxismo e alla moderna filosofia
analitica, esponendo le concezioni di
diversi pensatori e illustrando il loro
impegno nei problemi contemporanei.
Carr, Karen L.
The banalization of nihilism
Twentieth-century responses
to meaninglessness
State Univ. of New York Pr.
luglio-agosto 1992
pp.142, $ 13
Dopo una ricognizione storica e concettuale dei cambiamenti subiti dal
nichilismo nell’ultimo secolo, la Carr
esamina la diagnosi di Nietzsche del
nichilismo come grande crisi della
modernità. L’autrice poi mette a confronto le risposte al nichilismo dal
primo Karl Barth e da Richard Rorty.
Centre Culturel International
(a cura di)
Epistémologie et cognition
Mardaga, luglio-agosto 1992
F 219
Un testo fondamentale in un’indagine a metà strada fra la filosofia e la
cognizione. Le scienze cognitive sono
discipline che studiano le capacità di
formare, integrare o manipolare le
informazioni e le rappresentazioni
mentali. Esse aprono alla filosofia
nuove questioni.
Chevalier, Jacques
Histoire de la pensée
3: De Saint Augustin
à Saint Thomas
4: De Duns Scoto à Suarez
Ed. universitaires
luglio-agosto 1992
pp.306, F 198
Uno studio della filosofia dal IV al
XII secolo e l’evoluzione della filosofia dal Medio Evo ai giorni nostri.
NOVITA’ IN LIBRERIA
Chrétien, Jean-Louis
L’Appel et la réponse
Minuit, ottobre 1992
pp.160, F 129
Attraverso analisi che vanno da Aristotele alla fenomenologia contemporanea, ecco una riflessione sulla
bellezza come richiamo, una critica
del pensiero portata da una voce interiore, silenziosa e incorporea, come
la voce della coscienza, e una descrizione delle funzioni del toccare nel
nostro rapporto con il mondo.
Clark, Austen
Sensory qualities
Clarendon, novembre 1992
pp.224, £ 25
Molti filosofi dubitano che si possa
dare una spiegazione soddisfacente
delle qualità sensoriali, di come le
cose appaiono, sembrano o impressionano il soggetto che le percepisce.
Clark si rivolge a questi problemi
apparentemente intrattabili e suggerisce che in effetti è possibile una
soluzione.
Cleary, John J. (a cura di)
Proceedings
of the Boston area colloquium
in ancient philosophy: Vol. 7
UP of America, novembre 1992
pp.250, £ 17,50
Il volume contiene scritti e commenti
presentati nel 13º Congresso della
zona di Boston sulla Filosofia Antica
nell’anno accademico 1990-91.
Cobb-Stevens, Richard
Taminiaux, Jacques
Granel, Gérard et al.
La Phénoménologie aux confins
TER, luglio-agosto 1992
pp.113, F 69
Raccolta di quattro saggi che furono
quattro conferenze tenute al Collège
International de philosophie nel novembre 1991. Essi cercano di mostrare i limiti del concetto di fenomenologia attraverso il pensiero di Husserl,
Heidegger e Wittgenstein.
Cody, Michael W. J.
Richardson, R. Lynn
Honest government:
An ethics guide for public service
Praeger Publishers, novembre 1992
£ 12,85
Il testo è rivolto ha chi ha bisogno di
una vasta valutazione del comportamento etico dei pubblici funzionari e
degli impiegati di ogni livello nel
governo degli Stati Uniti, Gli autori
esaminano la questione di come gli
americani potrebbero misurare l’etica routinaria, quotidiana di uomini e
donne che prestano servizio pubblico.
Colby, Ann - Damon, William
Some do care: Contemporary lives
of moral commitment
Free, ottobre 1992
pp.325, £ 16,95
Il libro si propone di fornire un resoconto psicologico di 23 esemplari
morali contemporanei che hanno dato
una guida morale alle comunità per
tutti gli Stati Uniti. In genere queste
persone hanno lavorato per i poveri,
combattuto per i diritti civili dedicando le proprie vite al bene altrui.
de ogni questione di valore. Critchley
ritiene che la decostruzione di Derrida possa e in realtà debba essere letta
come una richiesta etica, ammesso
che quell’etica venga interpretata nel
senso che le è dato dall’opera di Levinas.
Collège International de
philosophie (Paris)
Politique et modernité
Osiris, luglio-agosto 1992
Dagognet, François
Le corps multiple et un.
Laboratoires Delagrange
luglio-agosto 1992
pp.215, F 84
Perché i filosofi si sono sempre interessati così poco al corpo, preferendogli la più nobile coscienza? L’autore riprende questa questione per mezzo di quattro grandi filosofi, da Platone a Bergson. Al programma degli
studenti al concorso delle scuole di
commercio.
Collingwood, R. G.
The new Leviathan: On man,
society, civilization and barbarism
A cura di David Boucher
Clarendon, novembre 1992
pp.576, £ 45
Edizione riveduta dell’ultima grande
opera del filosofo oxoniense R. G.
Collingwood. David Boucher vi ha
aggiunto pregevole materiale inedito
tratto dai manoscritti di Collingwood.
Copenhaver, Br. P. (a cura di)
Hermetica.
Cambridge UP, ottobre 1992
pp.380, £ 40
L’introduzione di Copenhaver e le
note forniscono un contesto interpretativo che tiene conto dei recenti progressi degli studiosi ermetici.
Dalfert, Ingolf U.
Gott. Philosophischtheologische Denkversuch
J. C. B. Mohr, ottobre 1992
pp.280, DM 59
In che senso si può dire che Dio
esiste? Può Dio agire? Se Dio è onnipotente, può anche peccare? In che
misura Dio è ovvio? Che cosa bisogna pensare se si vuole pensare Dio?
Copenhaver, Brian P.
A history of Western philosophy.
Vol.3: Renaissance philosophy
Oxford Univ., settembre 1992
pp.464, £ 10
Il Rinascimento è visto come un momento brillante nello sviluppo della
civiltà occidentale. Ai contributi della filosofia alla cultura rinascimentale tuttavia è stato dedicato relativamente poco spazio. Nel volume si
tratta di Marsilio Ficino, Justus Lipsius, Erasmo e Machiavelli.
Dancy, Jonathan et al.
A companion to epistemology
Blackwell Publ., settembre 1992
pp.352, £ 65
L’epistemologia, la teoria della conoscenza e la sua giustificazione, ha
sempre avuto un’importanza centrale
nella filosofia. Questa opera di consultazione del campo contiene oltre
250 articoli che vanno dalle discussioni sommarie a saggi su argomenti
attualmente oggetto di dibattito.
Cotten, Jean-Pierre
Autour de Victor Cousin:
une politique de la philosophie
Belles Lettres, luglio-agosto 1992
pp.237, F 220
Attraverso una serie di saggi, l’autore
cerca di dimostrare che una “politica
della filosofia” nel XIX secolo francese, non si confonde con una “filosofia politica”, né si può ridurre al
portare in luce interessi eminentemente pratici che si possono soddisfare sotto l’egida di un discorso filosofico.
Davis, Michael
Aristotle’s “Poetics”:
The poetry of philosophy
Rowman & Littlefield, ottobre 1992
pp.256, £ 15,95
Michael Davis qui sostiene in modo
convincente che oltre a insegnarci
qualcosa sulla poesia, la “Poetica”
contiene un’interpretazione della
struttura comune dell’azione umana
e del pensiero umano che la riporta ad
altri scritti di Aristotele di politica e
morale.
Cottingham, John (a cura di)
The Cambridge companion
to Descartes
Cambridge UP, novembre 1992
pp.464, £ 12,95
Questi scritti su Descartes riguardano
la vita, l’evoluzione del suo pensiero
e il retroterra intellettuale della sua
opera. C’è anche una sezione centrale
sulla sua metafisica, in cui si tratta fra
l’altro dell’argomentazione del “cogito”, delle prove dell’esistenza di
Dio, del circolo cartesiano e altro
ancora.
Davis, Michael
To make the punishment f
fit the crime: Essays
in the theory of criminal justice
Westview Press, novembre 1992
pp.260, £ 33,50
Analisi dei molti problemi pratici della
punizione, questo libro sarà utilissimo per filosofi, avvocati e criminologi. Fra le questioni discusse, lo stupro, le recidive, i tentativi falliti di
compiere crimini, la follia criminale
e i crimini di stretta responsabilità
Critchley, Simon
The ethics of deconstruction.
Derrida and Levinas
Blackwell , luglio-agosto 1992
pp.272, £ 14
L’autore attacca le polemiche secondo le quali l’opera di Derrida sospen-
Dawes Hicks, G.
Berkeley (1932)
Thoemmes, novembre 1992
pp.346, £ 16,99
Un saggio del dottor Dawes Hicks
che costituisce un esame critico degli
scritti di George Berkeley.
70
Delhomme, Jeanne
Exercise de la pensée
Deux-temps Tierce, ottobre 1992
pp.200, F 130
Una scelta di articoli per contribuire a
far conoscere il pensiero di J. Delhomme. Un pensiero insolito, esigente
che riconosce come unico compito
quello di ricordare che l’esercizio della
più estrema lucidità riflessiva costituisce il senso stesso dell’atto di filosofare.
Dell’Utri, Massimo
Le vie del realismo
Verità, linguaggio e conoscenza
in H. Putnam
Franco Angeli, ottobre 1992
pp.224, L. 32.000
L’opposizione di Hilary Putnam ad
ogni presunta guida assoluta e univoca della conoscenza razionale è radicata nella salda convinzione che quei
concetti abbiano un loro peculiare
contenuto, le cui possibili descrizioni
sono calate nella storia e intrise di
sensibilità, aspettative e valori profondamente umani. Tale convinzione
è frutto appunto di un graduale processo di maturazione che avviene sotto
il segno del realismo.
Demmerlich, Chr.
Kambartel, Fr. (a cura di)
Vernunftkritik nach Hegel.
Beiträge zu Ethik,
Gerechtigkeitstheorie
und Normenlogik
Böhlau, ottobre 1992
pp.520, DM 140
Dilman, Ilham
Existentialist critique
of Cartesianism
Macmillan, novembre 1992
pp.200, £ 35
Una discussione delle critiche esistenzialiste all’epistemologia cartesiana, lo scetticismo a cui essa porta,
la sua concezione oggettivista dell’io, il dualismo e il solipsismo cartesiano e la concezione deterministica
della vita umana. Dall’autore di “Morality and the Inner Life: A Study of
Plato’s Gorgias”.
Ditfurth, Hoimar von
Das Erbe des Neandertalers.
Weltbild zwischen Wissenschaft
und Glaube
Kiepenheur, luglio-agosto 1992
pp.400, DM 39,80
In questo saggio, finora inedito nei
suoi libri, su una moderna immagine
del mondo, il grande giornalista scientifico ammonisce i colleghi dal distacco dell’ignoranza antropocentrica di fronte alla creazione.
Domenach, Jean-Marie
Une morale sens moralisme
Flammarion, ottobre 1992
pp.260, F 120
Gli anni ’90 saranno gli anni della
morale? Secondo l’autore, la morale
non ha alcun senso se non confrontata
a situazioni concrete. Restaurare i
valori e celebrare le virtù non vuol
dire esattamente tornare al moralismo, che sia di destra o di sinistra?
NOVITA’ IN LIBRERIA
Douglas Geivett, R.
Sweetman, Brendan
Contemporary Perspectives
on religious epistemology
Oxford UP, novembre 1992
pp.384, £ 14,95
Questa antologia contiene 28 saggi
chiave che rappresentano le correnti
dominanti nell’epistemologia religiosa contemporanea. Fra gli approcci
discussi la teologia naturale, la fede
razionale basata sull’esperienza religiosa, la sfida ateistica, il fideismo
wittgensteiniano e l’epistemologia
riformata.
Drieschner, Michael
Carl Friedrich von Weizsäcker
zur Einführung
Junius, ottobre 1992
pp.150, DM 16,80
Drieschner mette in luce nella propria
introduzione l’unità dell’opera di
Weizsäcker e dimostra quali siano i
suoi contributi alla fisica, alla filosofia, alla politica e alla religione.
Echeverria, J. - Ibarra, A.
Mormann, Th. (a cura di)
The space of mathematics.
Philosophical, epistemological
and historical explorations
de Gruyter, settembre 1992
pp.422, DM 228
Scritti sulla “nuova” teoria della matematica. In particolare evidenza le
questioni concettuali e storiche che
pongono la conoscenza matematica
all’interno del contesto generale della conoscenza (scientifica).
Eidam, Heinz
Discrimen der Zeit.
Zur Historiographie der Moderne
bei W. Benjamin
Königshausen und Neumann
settembre 1992
pp.494, DM 98
Questa estesa e completa monografia
sulla prima e l’ultima opera di Walter
Benjamin costituisce al tempo stesso
un contributo al dibattito dei problemi filosofici del tempo e della storia.
Eisner, Gary
Nietzsche:
A philosophical biography
UP of America, ottobre 1992
pp.206, £ 19,95
Questo studio delle concezioni di
Nietzsche intreccia le azioni rilevanti
nella sua vita così da presentare una
biografia filosofica. La premessa principale dell’opera è che solo una simile presentazione storica possa dar luogo a una comprensione della persona
di Nietzsche, che fu un filosofo.
Erdmann, Johann Eduard
Grundriß der Geschichte
der Philosophie.
Bd. 1: Philosophie des Altertums
und des Mittelalters.
Bd. 2: Philosophie der Neuzeit
Klotz, settembre 1992
pp.1610, DM 400
Faye, Jean-Pierre (a cura di)
L’Europe une:
les philosophes et l’Europe
Gallimard, ottobre 1992
pp.290, F 75
J.-P. Faye si richiama ai testi dei grandi pensatori della storia per commentare il gioco filosofico degli avvenimenti politici contemporanei: Rousseau, Voltaire, Pasolini e soprattutto
Nietzsche, che scriveva: l’Europa viene a noi “lentamente e come esitando” ma “spinta da necessità”.
Heidegger zur Einführung
Junius, ottobre 1992
pp.200, DM 19,80
Nella sua introduzione Figal cerca di
rintracciare l’origine dei fondamenti
del pensiero di Heidegger e di evidenziarne la loro dipendenza reciproca. Solo in questa cornice sistematica
molte delle formulazioni di Heidegger perdono la loro enigmaticità.
Filodemo
Testimonianze su Socrate
trad. di E. A. Mendéz e A. Angeli
Bibliopolis, ottobre 1992
pp.408, L. 160.000
La critica epicurea a Socrate si inserisce nella tradizione ostile al filosofo
attestata in Aristofane e in altri poeti
comici, nella Accusa di Policrate e in
alcuni allievi di Aristotele. Da questi
emerge che l’antisocratismo epicureo, pur conservando durante l’intero
percorso storico della scuola il rifiuto
dei concetti socratici di “filosofia” e
di “sapere”, attraversò fasi diverse.
Ferry, Luc
Le nouvel ordre écologique:
l’arbre, l’animal et l’homme
Grasset, ottobre 1992
pp.275, F 115
Che cosa sappiamo del contesto intellettuale nel quale la Germania nazista
elaborò le prime grandi leggi sulla
protezione degli animali (1933) e della
natura (1935)? Quali sono oggi le
motivazioni filosofiche e politiche
delle correnti ecologiche fondamentaliste? L’autore auspica un’etica dell’ambiente alleata alla democrazia.
Fischer, Kuno
Descartes and his school (1887)
Thoemmes Press, novembre 1992
pp.610, £ 48
Un’opera sugli eroi della moderna
filosofia, compreso Descartes e i suoi
seguaci.
Feucht, Roland H.
Die Neoontologie Nicolai
Hartmanns im Licht der
evolutionären
Erkenntnistheorie
Roderer, ottobre 1992
pp.300, DM 52
Folina, Janet M.
Poincaré and the philosophy
of mathematics
Macmillan Academic
settembre 1992
pp.224, £ 40
Una ricostruzione della filosofia della matematica antirealista di Henri
Poicaré.
Feuerbach, Ludwig
L’essence du christianisme
A cura di J.-P. Osier
Gallimard, ottobre 1992
F 98
L’opera di Feuerbach è ancora oggi
oggetto di scandalo, poiché tratta di
religione e divide gli uomini. Essa
costringe a pronunciarsi su quella che
rimane indubbiamente una questione
cruciale: per una filosofia religiosa o
per una filosofia coscientemente e
rigorosamente antireligiosa.
Folscheid, Dominique Wunenburger, Jean-Jacques
Méthodologie philosophique
PUF, settembre 1992
pp. 384, F 118
L’apprendimento della filosofia non
può prescindere dalla lettura, dall’interpretazione di testi e dalla riflessione su questioni sempre vive. Per tutti
questi esercizi, qui si troveranno i
fondamenti teorici, i mezzi di applicazione seguiti da esempi nelle situazioni.
Feyerabend, Paul K.
Über die Erkenntnis.
Zwei Dialoge
Campus, ottobre 1992
pp.210, DM 28
I due dialoghi sono stati tradotti dall’inglese da Ilse Grimm, il saggio che
chiude il volume da Hans Günther
Holl.
Fotion, Nick - Elfstrom, Gerard
Toleration
Univ. of Alabama, novembre 1992
pp.200, £ 21,50
Il libro sostiene che la tolleranza offre
l’utile possibilità di rispondere a situazioni difficili con un grado di flessibilità che non è possibile con i concetti dicotomici di bene-male, giustosbagliato, etica-non etico, destra-sinistra.
Fietz, Rudolf
Medienphilosophie. Musik,
Sprache und Schrift
bei Friedrich Nietzsche
Königshausen und Neumann
settembre 1992
pp.440, DM 98
Per i propri testi, Nietzsche reclamava un altro modo di scrivere, più
musicale. In questo libro si dimostra
che cosa era secondo Nietzsche l’organizzazione dei segni e come dunque si possano leggere e comprendere i suoi scritti.
Foucault, Michel
Tecnologie del sé
Bollati Boringhieri, ottobre 1992
pp.168, L. 20.000
Verso la fine della sua vita, Foucault
si volse dallo studio delle tecniche del
potere e del dominio mediante le quali il “sé” era stato oggettivato, allo
studio di come un individuo interagisce con gli altri e agisce su se stesso.
Figal, Günter
71
Nel libro, che avrebbe dovuto nascere da un seminario tenuto nel 1982
negli Stati Uniti, Foucault si proponeva di ricostruire «una geneoalogia
di come il sé costituì se stesso in
soggetto». La morte gli impedì di
realizzare tale progetto, di cui restano
però i materiali poi scrupolosamente
editi da alcuni suoi discepoli.
Fraser, Nancy
Widerspenstige Praktiken.
Macht, Diskurs, Geschlecht.
Gender Studies
Suhrkamp, luglio-agosto 1992
pp.230, DM 16
La filosofa Nancy Fraser esplora una
linea di nuovi principi critici di teoria
della società in Francia, Germania e
America, con un occhio alla teoria e
alla prassi dei movimenti femminili.
Freudenthal, Gad (a cura di)
Studies on Gersonides: A
fourteenth-century jewish
philosopher-scientist
E. J. Brill, novembre 1992
pp.400, Dfl 150
Una rassegna completa e una valutazione dell’opera scientifica di Gersonide, una della più grandi figure del
pensiero ebreo medievale. Il volume
adotta un’ampia nozione di scienza
che comprende, oltre all’astronomia,
alla matematica e alla logica, anche la
fisica e la filosofia.
Friedman, Michael
Kant and the exact sciences
Harvard UP, luglio-agosto 1992
pp.368, $53
L’autore sostiene che gli sforzi di
Kant per arrivare a una metafisica che
fornisse i fondamenti scientifici sono
essenziali per comprendere lo sviluppo del suo pensiero dagli inizi nella
tesi del 1747 alla “Critica della ragion
pura” fino ai suoi ultimi scritti nell’”Opus postumum”.
Friedrichsdorf, Ulf
Einführung in die klassische
und intensionale Logik
Vieweg, settembre 1992
pp.360, DM 68
Il libro si propone di introdurre anche
il lettore con una scarsa formazione
matematica alla logica classica bivalente e ai suoi sviluppi intensionali
come la logica modale, la logica del
tempo e la logica dinamica.
Fromm, Erich
Humanismus als reale Utopie.
Der Glaube an den Menschen
Beltz Quadriga, luglio-agosto 1992
pp.200, DM 26
L’enorme ricchezza di pensiero di
questo testo finora inedito ci viene
proposta in un’edizione in otto volume e rappresenta un’indispensabile
integrazione delle opere complete.
Gabel. Gernot U.
Sartre. A comprehensive
bibliography of international
theses and dissertation 1950-1985
Ed. Gemini, luglio-agosto 1992
pp.70, DM 20
Gähde, U. - Schrader, W. H.
NOVITA’ IN LIBRERIA
(a cura di)
Der klassische Utilitarismus.
Einflüsse - Entwicklungen - Folgen
Akademie, ottobre 1992
pp.360, DM 78
Gandillac, Maurice de
Genèses de la modernité:
les douze siècles où se fit
notre Europe, de La Cité de Dieu
à La Nouvelle Atlantide
Cerf, ottobre 1992
pp.670, F 295
Le origini spirituali dell’Europa, dalla Città di Dio di Sant’Agostino alla
Nuova Atlantide di Bacone. La prima
parte si ferma all’inizio del XIV secolo con Lullo, araldo delle utopie del
Rinascimento; la seconda annuncia
lo sconvolgimento cosmologico che
avrebbe abolito tutti i limiti dell’estensione e del tempo.
Gans, Chaim
Philosophical anarchism
and political disobedience
Cambridge UP, luglio-agosto 1992
pp.180, £ 28
Ispirandosi all’esperienza israeliana
di disobbedienza civile motivata da
differenti visioni morali, l’autore
espone i principi che secondo lui dovrebbero guidare il nostro atteggiamento verso la legge e l’autorità politica anche fra ideologie contrastanti e
moralità inconciliabili.
Gauthier, David - Sugden, Robert
(a cura di)
Rationality, justice
and the social contract:
Themes from “Morals by agreement”
Harvester Wheatsheaf, ottobre 1992
pp.192, £ 35
Un gruppo di filosofi, economisti e
teorici politici discute l’opera di David Gauthier, il quale cerca di dimostrare che l’individuo razionale accetterebbe determinate costrizioni
morali sulle proprie scelte. Si analizzano possibilità e limiti di un approccio contrattuale alle questioni di giustizia.
Geach, Peter
Mental acts (1971)
Thoemmes Press, novembre 1992
pp.148, £ 10,99
Scritto in contrasto con il behaviourismo dominante in quel periodo, questo libro agile ma acuto sostiene la
realtà degli “atti mentali” quali gli atti
di giudizio. Geach prosegue screditando la teoria astrazionista del concetto di formazione e criticando la
teoria relazionale del giudizio di Russell.
Geliner, Ernest
Reason and rationalism
Blackwell, luglio-agosto 1992
pp.224, £ 10
Un esame della disparità fra la storia
dell’idea di razionalità e ciò che costituisce e ha costituito il comportamento “ragionevole”. L’autore confronta le idee delle società secolari
con quelle di società dichiaratamente teocratiche, fra cui quella musulmana.
Gerassi, John
Sartre.
Conscience haie de son siècle
Rocher, luglio-agosto 1992
pp.312, FF 150
L’autore si rifà a documenti inediti e
soprattutto su una decina di ore di
colloquio con Sartre e i suoi parenti.
Il testo esplora le questioni relative
alla natura della rappresentazione
nell’arte, chiedendosi per esempio
come facciamo a cogliere la somiglianza nelle caricature o nei ritratti.
Presenta poi le tesi e le opinioni contrastanti di uno storico dell’arte, uno
psicologo e un filosofo.
Gerhardt, Volker
Friedrich Nietzsche
C. H. Beck, ottobre 1992
pp.180, DM 22
Volker Gerhardt ci offre un’immagine completa della vita e delle opere di
Nietzsche, dedicandosi ai primi scritti con altrettanta cura che alle grandi
visioni delle ultime opere.
Goodman, L. E.
Avicenna
Routledge, ottobre 1992
pp.256, 12,99
Un ritratto filosofico di uno dei grandi metafisici della storia. Avicenna
viene inserito efficacemente nel contesto storico, ma al contempo si collegano le sue teorie a centrali questioni
filosofiche contemporanee.
Gerl, Hanna-B.
Nach dem Jahrhundert der
Wölfe. Werte im Aufbruch
Benziger, luglio-agosto 1992
pp.200, DM 29,80
A che cosa si può obbligare tutta
l’umanità? Quali valori rimangono
ancora intatti? Quali criteri sono importanti per una futura cultura della
vita? Hanna-B. Gerl risponde allo
spirito dei tempi moderno, indica la
strada nella giungla delle ideologie di
questo secolo e delinea le direttive di
una nuova cultura dell’uomo.
Gorby, Ivan
Pythagore
Ed. universitaire, ottobre 1992
pp.128, F 145
Una presentazione di colui che fu
considerato il padre della filosofia.
L’autore si sofferma soprattutto sull’influenza di Pitagora sui primi autori cristiani e in particolare sui Padri
della Chiesa.
Gosepath, Stefan
Aufgeklärtes Eigeninteresse.
Eine Theorie theoretischer
und praktischer Rationalität
Suhrkamp, ottobre 1992
pp.380, DM 48
Oggi giorno la razionalità e la ragione
appartengono non solo alla filosofia,
ma anche al dibattito pubblico sui
concetti affini. Sia nel linguaggio di
tutti i giorni che in filosofia però c’è
poca chiarezza su cosa significhino
questi concetti. Il presente volume si
occupa di chiarire il concetto di razionalità.
Gerlich, Siegfried
Sinn, Unsinn, Sein.
Philosophische Studien
über Psychoanalyse,
Dekonstruktion und Genealogie
Passagen-Vlg., ottobre 1992
pp.256, DM 55
Geyer, P. - Hagenbüche, R.
(a cura di)
Das Paradox: Signatur
der Krise. Eine Herausforderung
des abendländischen Denkens
Stauffenburg, luglio-agosto 1992
pp.671, DM 128
Graham, A. C.
Two chinese philosophers:
The metaphysics
of the brothers Ch’eng
Open Court Publ., ottobre 1992
pp.230, £ 14,95
I fratelli Ch’eng furono esponenti di
punta del revival neo-confuciano, che
divenne la dottrina ortodossa di stato,
usata quindi per educare e forgiare
ideologicamente la classe governante cinese. Questo libro analizza i fratelli Ch’eng e ne esamina la filosofia.
Gillett, Grant
Representation,
meaning and thought
Clarendon, ottobre 1992
pp.232, £ 25
Il libro esamina il rapporto fra pensiero e linguaggio prendendo in considerazione le idee di Kant e di Wittgenstein oltre a numerosi rami del
dibattito contemporaneo nell’area del
contenuto mentale.
Grimal, Pierre
Seneca
Garzanti, ottobre 1992
pp.352, L. 55.000
L’indagine di Grimal si è orientata
soprattutto verso il pensiero di Seneca, la sua adesione convinta e totale
alle dottrine stoiche, il suo impegno a
coglierne continuamente i risvolti
morali e pratici.
Goddard, Jean-Christophe
Le Corps
Vrin, luglio-agosto 1992
pp.320, F 144
Esposizione in quindici lezioni delle
tappe principali della storia del pensiero del corpo, nella filosofia della
conoscenza come in filosofia morale
e politica, estetica, psicoanalisi e fenomenologia. Destinato agli allievi
delle classi preparatorie delle scuole
di commercio.
Grossman, Reinhardt
The existence of the world.
An introduction to ontology
Routledge, luglio-agosto 1992
pp.152, £ 30
L’autore vede la storia della filosofia
occidentale come una grande battaglia fra naturalisti e ontologisti, ed
esamina i dibattiti che li separano.
Gombridge, E. H.
Hochberg, Julian
Black, Max (a cura di)
Art, perception and reality
The Johns Hopkins , novembre 1992
pp.146, £ 11,50
72
Grote, George
Plato, and the other companions
of Sokrates
Thoemmes Press, novembre 1992
pp.1888, £ 150
Uno studio in tre volumi dell’opera di
Platone, Socrate e la loro cerchia.
Günther, Horst
Montaigne. Ein Essay
Insel-Vlg., settembre 1992
pp.160, DM 10
Haardt, Alexander
Husserl in Rußland.
Phänomenologie der Sprache
und Kunst bei G. Spet
und A. Losev
W. Fink, settembre 1992
pp.280, DM 68
Ciò che nel pensiero di Husserl appare in dissolvenza, ciò che in lui rimane solo periferico, per i fenomenologi
russi si trova al centro della loro rilfessione.
Habermas, Jürgen
Faktizität und Geltung.
Beiträge zur Diskurstheorie
des Rechts und
des demokratischen Rechtsstaates
Suhrkamp, luglio-agosto 1992
pp.500, DM 48
L’approccio teoretico del discorso era
fino a questo momento impostato sulla
costruzione della volontà individuale
e trovava la sua dimostrazione negli
ambiti della filosofia morale ed etica.
Ma lo si può motivare già da un punto
di vista funzionale, perché la forma
post-tradizionale di una morale fondata sui principi è avviata al completamente attraverso il diritto positivo.
Hagestedt, Jens
Freud und Heidegger.
Zum Begriff der Geschichte
im Ausgang des
subjektzentrischen Denkens
W. Fink, ottobre 1992
pp.380, DM 88
Ciò che dopo Heidegger rende possibile l’approfondimento della storia
della metafisica in una cornice collettiva è quanto praticato dalla psicoanalisi in campo individuale: il superamento del problema attraverso l’annullamento dell’amnesia, il ricordo
di determinati avvenimenti, che a suo
tempo non hanno potuto essere esperiti adeguatamente.
Haksar, Vinit
Invisible selves and practical life
Edinburgh UP, novembre 1992
pp.240, £ 13,95
Il testo sostiene che i presupposti della nostra vita morale e pratica hanno
un’influenza su quanto crediamo delle persone e dell’identità personale.
L’autore difende la concezione dell’io indivisibile, servendosi di prove
empiriche, dalla schizofrenia a molti
casi di personalità multipla.
Hamlyn, D. W.
Being a philosopher.
The history of a practice
Routledge, settembre 1992
pp.224, £ 25
”Being a philosopher” esamina le ten-
NOVITA’ IN LIBRERIA
denze principali della pratica di considerare la filosofia come un’istituzione e osserva come i filosofi vengano visti in tempi diversi, dai greci al
medio evo fino ai giorni nostri, in cui
la filosofia è entrata a far parte dei
corsi di studio universitari.
Hansen, Chad
A Daoist theory of chinese
thought:
A philosophical interpretation
Oxford UP, ottobre 1992
pp.496, £ 50
In un tentativo di rimuovere le barriere fra filosofia cinese e mondiale, il
presente saggio cerca di presentare
una teoria unificata del pensiero cinese classico. L’autore usa il Taoismo,
invece del confucianesimo, come
principio unificante centrale.
Haren, Michael
Medieval thought:
The western intellectual tradition
from antiquity to the 13th century
Macmillan, novembre 1992
pp.276, £ 11,99
Questa seconda edizione comprende,
oltre alla revisione di particolari,
un’ulteriore bibliografia di scuole
primarie e secondarie recenti e un
nuovo capitolo conclusivo che tira le
somme criticamente e inserisce in un
contesto le implicazioni delle ultime
ricerche.
Harris, Errol E.
The foundations
of metaphysics in science
Humanitie, dicembre 1992
pp.528, £ 15,95
In questo testo, l’autore dimostra come
la scienza contemporanea impliche
una metafisica olistica. La sua posizione è sostenuta da tre importanti
concetti: l’unità del mondo fisico, la
totalità organica della biosfera e il
Principio Antropico.
Hartmann, Eduard von
Zur Geschichte und Begründung
des Pessimismus
Klotz, settembre 1992
pp.141, DM 49
Hauerwas, Stanley
Against the nations:
War and survival in a liberal society
Univ. of Notre Dame, ottobre 1992
pp.216, £ 10
In quanto tentativo dell’autore di elaborare un’etica tipicamente cristiana,
questo libro parte da temi generali
quali “Mantenere teologica l’etica
teologica” e “Mantenere teologica
l’etica immaginativa” per applicarli
ad argomenti diversi come l’Olocausto, Jonestown e la guerra nucleare.
Hauser, Margit
Gesellschaftsbild und Frauenrolle
in der Aufklärung.
Zur Herausbildung des egalitären
und komplementären
Geschlechtsrollenkonzeptes
bei Poullain de la Barre
und Rousseau
Passagen-Vlg., luglio-agosto 1992
pp.232, DM 46 - ÖS 320
Hayter, Thomas
Remarks on Mr. Hume’s
Dialogues concerning
natural religion (1780)
Thoemmes, novembre 1992
pp.80, £ 32
Analisi dell’opera del filosofo scozzese David Hume sulla religione naturale, a opera di Thomas Hayter.
Il poeta Hölderlin influenzò con la
propria opera filosofica la formazione della filosofia postkantiana in modo
rilevante. Questo libro mette in luce
le concezioni di Hölderlin e la sua
genesi.
Herrmann, Friedrich-W.v.
Augustinus und die
phänomenologische Frage
nach der Zeit
Klostermann, ottobre 1992
pp.160, DM 38
Hegel, G. W. F.
Vorlesungen. Band 11:
Vorlesungen über Logik
und Metaphysik
A cura di K. Gloy
Felix Meiner, ottobre 1992
pp.327, DM 218
Oltre al testo delle lezioni il testo
presenta una prefazione dettagliata,
un voluminoso commento storico sistematico ai passi e concetti più importanti e una bibliografia competa
per la prima parte dell’Enciclopedia.
Hobohm, Carsten
Naturethik - Analyse und Ausblick
Hochschul-Vlg, ottobre 1992
pp.148, DM 36,50
Höffe, O. et al. (a cura di)
Lexikon der Ethik
C. H. Beck, ottobre 1992
pp.300, DM 24
Completamento delle voci: Antropocentrico - Biocentrico, Discorso etico, Dilemmi morali e positivismo del
diritto. A parte ciò c’è una serie di
nuovi rimandi, fra cui Etica della ricerca, Dilemma della carcerazione,
Guerra giusta.
Hegel, G. W. Friedrich
L’Esprit du christianisme
Presses-Pocket, ottobre 1992
F 60
Attraverso lo studio del cristianesimo
e dell’ebraismoHegel pose i grandi
concetti della sua filosofia. Accompagnato da un’appendice di commenti.
Hoffman, Robert
A portion of reason
UP of America, novembre 1992
pp.394, £ 19,95
Una raccolta di saggi che esamina
diversi argomenti nei quali l’irragionevolezza o un basso livello di razionalità sostituisce gli slogan o il sentimentalismo per il pensiero sobrio e
quindi restringe l’azione. Il saggio
difende i valori interconnessi della
ragionevolezza e della libertà.
Heil, John
The nature of true minds
Cambridge UP, novembre 1992
pp.272, £ 12,95
Il volume vuole riconciliare le emergenti concezioni della mente con il
loro contenuto che, negli ultimi anni,
sembrava invece inconciliabile. Si
esplorano numerose tesi indicando
una strada per una sintesi naturalistica, che accordi al mentale un posto
nel mondo fisico insieme al non-mentale.
Honnefelder, L. (a cura di)
Sittliche Lebensform
und praktische Vernunft
Schöningh, luglio-agosto 1992
pp.223, DM 28
Heiland, Stefan
Naturverständnis. Dimensionen
des menschlichen Naturbezugs
Prefazione di G. Altner
Wissenschaftl. Buchges.
settembre 1992
pp.180, DM 24,80
Dalla ricerca alle risposte la storia
della filosofia e della scienza vengono considerate anche come forme storiche dei rapporti fra uomo e natura.
Honneth, Axel
Kampf um anerkennung.
Zur moralischen Grammatik
sozialer Konflikte
Suhrkamp, ottobre 1992
pp.280, DM 48
Lo scopo di questo libro è di elaborare i fondamenti di una sostanziosa
teoria normativa della società, partendo dal modello di pensiero hegeliano di una “lotta per il riconoscimento”, scopo che approda al risultato a cui ha portato la ricerca di Honneth sulla “critica del potere”.
Heitsch, Ernst
Wege zu Platon.
Beiträge zum Verständnis
seines Argumentierens
Vandenhoeck & Ruprecht
ottobre 1992
pp.160, DM 45
Chi viene a contatto con la sua argomentazione ancora oggi non ne ricava solo un piacere intellettuale, ma ne
guadagna anche in conoscenza proprio laddove non si ottiene un risultato chiaro o quello che si ottiene non ci
convince più.
Hopkins, James - Savile, Anthony
(a cura di)
Psychoanalysis, Mind
and art:Perspectives on
Richard Wollheim
Blackwell Publishing, ottobre 1992
pp.368, £ 40
Raccolta di saggi che discute, esamina e passa in rassegna i risultati raggiunti da Richard Wollheim nel campo della psicoanalisi, della mente e
delle emozioni, dell’arte, della politica e dei valori analizzando insieme
l’eterno problema di mente e arte.
Henrich, Dieter
Der Grund im Bewußtsein.
Untersuchungen
zu Hölderlins Denken
Klett-Cotta, luglio-agosto 1992
pp.750, DM 96
73
Hösle, Vittorio
Praktische Philosophie
in der modernen Welt
C. H. Beck, ottobre 1992
pp.200, DM 19,80
Nonostante tutte le difficoltà, la filosofia non può eludere le domande
etiche che assillano ogni uomo pensante di fronte alla crisi ecologica,
all’approfondimento del divario fra
primo e e terzo mondo al pericolo di
una guerra nucleare. I saggi qui raccolti sono un primo contributo alla
riflessione su queste difficoltà.
Huisman, Bruno
Ribes, François
Les philosophes et le corps
Dunod, ottobre 1992
pp.448, F 160
Rivolto agli studenti delle classi preparatorie HEC.
Hume, David
Essays on suicide
and the immortality of the soul
Thoemmes Press, novembre 1992
pp.132, £ 10,99
I “Saggi sul suicidio e sull’immortalità dell’anima” di David Hume vengono qui ripubblicati con una nuova
introduzione di John Valdimir Price.
Hüntelmann, Rafael
Bekennen.
Philosophische Meditationen
zu einem Grundphänomen
im Ausgang von
den Augustinischen ”Confessiones”
Centaurus-Vlgs., settembre 1992
pp.208, DM 38
Husak, Douglas N.
Drugs and rights
Cambridge UP, ottobre 1992
pp.352, £ 12,95
In questo testo, l’autore sostiene che
la “guerra alla droga” viola i diritti
morali degli adulti che vogliono far
uso di droghe per piacere, e che la
criminalizzazione contro tale uso sono
incompatibili con i diritti morali.
Husserl, Edmund
Gesammelte Schriften
A cura di E. Ströker
Felix Meiner, ottobre 1992
pp.3152, DM 238
I testi raccolti in questa edizione si
basano sull’edizione critica “Husserliana” e costituiscono un’edizione
definitiva e completa di tutte le opere
pubblicate da Husserl stesso, a eccezione di alcuni piccoli trattati e saggi.
Hütter, A. (a cura di)
Paradigmenvielfalt
und Wissensintegration.
Beiträge zur Postmoderne
im Umkreis
von Jean-François Lyotard
Passagen-Vlg, ottobre 1992
pp.240, DM 49,80
Iacono, Alfonso M.
Le Fétichisme:
histoire d’un concept
PUF, luglio-agosto 1992
pp.128, F 45
Il feticismo non indica un oggetto
positivo che può essere isolato una
NOVITA’ IN LIBRERIA
volta per tutte, ma un movimento di
pensiero (che appartiene ora alla teoria, ora alla pratica) del primitivo e
dell’evoluto, dove le procedure dell’identificazione sembrano confondersi con quelle dell’alienazione.
Imbach, R. (a cura di)
Thomas von Aqyuin:
Prologe zu den AristotelesKommentaren
Klostermann, ottobre 1992
pp.150, DM 24
Imhof, Arthur E.
Die Kunst des Sterbens als
Modell für ein besseres Leben
Picus-Vlg., settembre 1992
pp.80, DM 14,80
Institut für Sozialforschung
(a cura di)
Kritik und Utopie im Werk
von Herbert Marcuse
Suhrkamp, ottobre 1992
pp.408, DM 26
Isak, Rainer
Evolution ohne Ziel?
Ein interdisziplinärer
Forschungsbeitrag
Herder, settembre 1992
pp.464, DM 56
Ivànka von, Endre
Platonismo cristiano.
Recezione e trasformazione
del Platonismo nella Patristica
Vita e Pensiero, ottobre 1992
Il volume offre il quadro generale più
soddisfacente e nuovo che negli anni
passati sia stato presentato sull’argomento, e quindi si impone come un
punto di partenza essenziale e veramente irrinunciabile per chi si occupa
di tale tematica.
Ivekovic, Rada
Orients: critiques
de la raison postmoderne
N. Blandin, ottobre 1992
pp.192, F 120
Vari saggi sui dibattiti filosofici esagonali a proposito del meticciato,
dell’interculturale e del postmodernismo.
Jacob, Alexander
Henry More’s Refutation
of Spinoza
G. Olms, luglio-agosto 1992
pp.138, DM 58
Henry More (1614-1687), filosofo
neoplatonico di Cambridge, è stato
fra i primi a smascherare il fondamento materialistico del sistema filosofico del suo contemporaneo Baruch Spinoza (1632-1677).
Jacquette, Dale
Meinongian logic:
The semantics of existence
and nonexistence
Philosophia, novembre 1992
pp.322, £ 53
In risposta al bisogno avvertito da
molti di un riesame dei cardini fondamentali della filosofia di Meinong,
questo libro è uno sviluppo revisionista della logica e della semantica di
Meinong, basata su determinati prin-
cipi della teoria dell’oggetto maturo
di Meinong.
nel contesto fenomenologico, a partire dall’opera di Husserl, Scheler e
Ingarden.
Jaeschke, W. (a cura di)
Sinnlichkeit und Rationalität.
Der Umbruch
in der Philosophie des 19. Jhdts:
Ludwig Feuerbach
Akademie Verlag, ottobre 1992
pp.212, DM 124
Kant, Immanuel
Kant’s “Introduction
to logic” and “Essay
on the mistaken subtility
of the four figures” (1885)
Thoemmes, novembre 1992
pp.108, £ 10,99
La “Logica” di Kant (1800) è solo un
compendio della comune logica scolastica, chiaramente volta all’insegnamento e di scarsio interesse filosofico. La sua “Introduzione” invece ci
offre, in un linguaggio non tecnico, le
sue idee su diverse questioni epistemologiche.
Jaeschke, W. (a cura di)
Transzendentalphilosophie
und Spekulation. Quellen.
Der Streit um di Gestalt
einer Ersten Philosophie
(1799-1807)
Felix Meiner, ottobre 1992
pp.436, DM 136
Il volume si articola in quattro gruppi
tematici: Realismo contro idealismo
trascendentale, idealismo trascendentale contro idealismo trascendentale
e assoluto, realismo contro idealismo
trascendentale e assoluto, scetticismo
contro idealismo assoluto.
Kant, Immanuel
Kant on education
(Über Pädagogik) (1899)
Thoemmes, novembre 1992
pp.146, £ 10,99
Un libro che contiene le idee di Immanuel Kant sull’educazione.
Janacek, Karel
Indice delle vite dei Filosofi
di Diogene Laerzio
Leo S. Olschki, novembre 1992
pp. 374, L. 115.000
L’autore presenta il risultato di un’attività di studioso di filosofia antica
protrattasi per più di quarant’anni.
L’Indice costituisce uno strumento
essenziale nell’indagine filosofica
classica, di cui si avvertiva profondamente la mancanze.
Kaspar, Rudolf F.
Wittgensteins Ästhetik. Eine Studie
Europa-Vlg., ottobre 1992
pp.140, DM 26
Kenny, Anthony
Aristotle on the perfect life
Clarendon Press, luglio-agosto 1992
pp.184, £ 22,50
Studiando l’”Etica Nicomachea” e
l’”Etica Eudemia” di Aristotele, quest’opera combina la discussione scolastica dei testi greci con la riflessione sugli argomenti trattati da Aristotele, tenendo conto di come nel post
aristotelismo sono stati trattati argomenti come la vocazione morale o la
fortuna morale.
Jeffrey, Richard
Probability and the art of judgment
Cambridge UP, luglio-agosto 1992
pp.264, £ 11
Questa raccolta di saggi sulla teoria
della decisione e la teoria della conoscenza abbraccia un periodo di circa
trentacinque anni e include quelli che
ormai sono alcuni dei lavori classici
nel campo. C’è anche un brano completamente nuovo, mentre nella maggior parte dei casi aggiunge ai vecchi
saggi qualche nota.
Keown, Damien
The nature of Buddhist ethics
Macmillan Acad., settembre 1992
pp.240, £ 40
Il presente volume esamina i dati etici
di fonte antica e più recente nel tentativo di cogliere la natura teoretica
dell’etica buddista e di chiarirne il
ruolo. Il libro respinge l’idea che si
tratti di un’etica di valore limitato o
provvisionale.
Joas, Hans
Die Kreativität des Handelns
Suhrkamp, luglio-agosto 1992
pp.416, DM 56
Il pensiero centrale di questo libro sta
nell’affermazione che ai modelli dominanti dell’agire razionale e normativo se ne può aggiungere un terzo,
per il quale ci si affida al discorso sul
carattere creativo dell’agire umano.
Kettern, Bernd
Sozialethik und Gemeinwohl.
Die Begründung
einer realistischen Sozialethik
bei Arthur F. Utz
Duncker & Hum., settembre 1992
pp.194, DM 98
Jordan, William
Ancient Concepts of philosophy
Routledge, novembre 1992
pp.224, £ 10,99
In tutto il libro l’opera degli antichi
viene inserita nel contesto del pensiero più recente sulla natura e il valore
della filosofia. Si dimostra che c’è
molto da imparare dalle idee deglinantichi sulla vita di un filosofo.
Kalinovski, Georges
Expérience et phénoménologie
Ed. univers., luglio-agosto 1992
pp.110, F 140
Il concetto di esperienza analizzato
74
Tommaso d’Aquino, Thomas Hobbes, Rousseau, Hegel, Nietzsche,
Plessner, Jaspers, Arendt, Foucault e
altri. Prefazione di Panajotis Kondylis.
Korfmacher, Wolfgang
Ideen und Ideenerkenntnis
in der ästhetischen Theorie
Arthur Schopenhauers
Centaurus-Vlgsges, settembre 1992
pp.204, DM 58
Korte, Eduard
Kulturphilosophie
und Anthropologie
Kovac, ottobre 1992
pp.198, DM 79,80
Koslow, Arnold
A structuralist theory of logic
Cambridge UP, settembre 1992
pp.416, £ 45
Koslow propone una nuova esposizione dei concetti basilari della logica. Un punto centrale della teoria è
che essa non richiede che gli elementi
della logica siano basati su un linguaggio formalizzato, ma utilizza la
nozione generica di implicazione
come strumento per organizzare i risultati formali di vari sistemi logici in
modo semplice ma acuto.
Kreiner, Armin
Ende der Wahrheit? Zum
Wahrheitsverständnis in
Philosophie und Theologie
Herder, settembre 1992
pp.608, DM 68
Krusekamp, Harald
Archäologen der Moderne.
Zum Verhältnis von Mythos
und Rationalität
in der Kritischen Theorie
Westdt. Vlg., settembre 1992
pp.231, DM 42
Il saggio indaga sui rapporti fra mito
e razionalità nell’opera di Horkheimer, Adorno e Habermas. Si chiarisce così che l’attuale deprezzamento
delle forme di pensiero mitico nell’analisi sociale della teoria critica è
dovuto ai modelli di pensiero dell’illuminismo europeo.
Kuhn, Rolf
Leiblichkeit und Lebendigkeit
Michel Henrys
Lebensphänomenologie
absoluter Subjektivität
als Affektivität
Karl Alber, ottobre 1992
pp.640, DM 178
Kim, Yong I.
Existentielle Bewegung
und existentielles Verstehen
bei Sören Kierkegaard
Roderer, luglio-agosto 1992
pp.200, DM 48
Kulke, Chr. - Scheich, E.
(a cura di)
Zwielicht der Vernunft.
Die Dialektik der Aufklärung
aus der Sicht von Frauen
Centaurus-Vl, luglio-agosto 1992
pp.189, DM 38
Kondylis, Panajotis (a cura di)
Der Philosoph und die Macht.
Eine Anthologie
Junius Vlg., settembre 1992
pp.256, DM 34
Un intenso rapporto di tensioni, nelle
riflessioni di: Platone, Aristotele,
Kulp, Christopher B.
The end of epistemology:
Dewey and his current allies
on the spectator theory of knowledge
Greenwood Press, novembre 1992
£ 36,40
Il libro propone un esame degli in-
NOVITA’ IN LIBRERIA
fluenti argomenti di John Dewey contro le teorie tradizionali della conoscenza; in particolare contro la tradizionale teoria dello spettatore, la tesi
che conoscere sia un rapporto “contemplativo” fondamentalmente passivo fra il conoscente e l’oggetto conosciuto.
Lamarche-Vadel, Gaëtane
(a cura di)
L’humilité: la grandeur de l’intime
Autrement, ottobre 1992
pp.189, F 98
Agli antipodi del mondo occidentale
contemporaneo, l’umiltà elabora un
pensiero paradossale, propone un’altra scala di valori, un’altra misura
delle cose. Sul filo dei testi, il filosofo, il poeta, il caminatore e l’artista
tracciano la linea impercettibile dove
l’insignificante e l’essenziale si riuniscono e si allontanano.
Lance, Pierre
Au-delà de Nietzsche
L’Ere nouvelle, luglio-agosto 1992
pp.272, F 125.
Lanfranconi, Aldo
Krisis. Eine Lektüre der “Weltalter”.
Texte F. W. J. Schelling
Frommann, luglio-agosto 1992
pp.380, DM 152
Questo volume è stato presentato dalla Schelling-Kommission della Accademia bavarese delle scienze.
Laruelle, François
Théories des Identités
PUF, luglio-agosto 1992
pp.320, F 198
Le identità, nella scienza e fuori dalla
filosofia, vanno citate al plurale. Viventi, inalienabili, si perdono nel
mondo, la storia, il potere, il linguaggio.
Lasswitz, Kurd
Die Lehre Kants
von der Idealität des Raumes
und der Zeit
allgemeinverständlich dargestellt
Klotz, settembre 1992
pp.246, DM 70
Laursen, John Christian
The politics of skepticism
in the ancients, Montaigne,
Hume and Kant
Brill, ottobre 1992
pp.250, Dfl 100
Lavelle, Louis
De l’acte
Aubier, ottobre 1992
pp.576, F 195
Pubblicato nel 1937, questo libro vuole dimostrare che il pensiero deve
compiere l’esperienza di uscire dall’essere, esperienza alla quale partecipa la nostra coscienza.
Lee, Donald C.
Toward a sound world order.
A multidimensional, hierarchical
ethical theory
Greenwood Press, settembre 1992
£ 31,85
Con i filosofi e gli psicologi da Platone a Maslow, l’autore ritiene che gli
uomini progrediscano per mezzo di
stadi gerarchici di evoluzione morale
e biologica, e che l’obiettivo etica
dell’umanità sia di creare un ordine
mondiale che soddisfi a tutti i livelli i
bisogni umani e ambientali.
Lönheysen, Wolfgang von
Raffael unter den Philosophen.
Philosophen über Raffael.
Denkbild und Sprache
der Interpretation
Dunker & Humblot, luglio-agosto
1992
pp.415, DM 68
I quadri di questo artista possono servire a interpretare anche le immagini
mentali dei filosofi. Di fronte ai dipinti di un tempo lontano solo il pensiero può costruire un ponte attraverso il quale possiamo ancora comprenderli superando l’abisso temporale,
visto che la scienza a dispetto della
molteplicità della sua conoscenza
causale non riesce a fornire spiegazioni soddisfacenti.
Lerner, M.P.
Tre saggi sulla
cosmologia alla fine del Cinquecento
Bibliopolis, ottobre 1992
pp.104, L. 20.000
Questo volume raccoglie il testo riveduto e annotato di tre conferenze tenute a Firenze nel giugno 1991 sotto
gli auspici dell’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici insieme con l’Istituto sul Rinascimento e con l’Istituto
e Museo di Storia delle Scienze.
Levy, Charles S.
Social work ethics on the line
Haworth Press, dicembre 1992
pp.138, £ 8,95
Una guida che vuole essere di aiuto
agli operatori sociali nei dilemmi etici e assisterli nell’esercizio nella discrezione professionale senza dover
ricorrere esclusivamente ai codici di
etica professionale a cui essi sono
legati. Con 24 descrizioni che rappresentano situazioni che si incontrano
di frequente.
Lueken, Geert-Lueke
Inkommensurabilität als Problem
rationalen Argumentieren
Frommann-Holzboog, ottobre 1992
pp.410, DM 118
Malebranche, Nicolas de
Treatise on nature and grace
Clarendon, ottobre 1992
pp.256, £ 30
Traduzione di un’opera controversa e
influente di Nicolas Malebranche
(1638-1715), filosofo francese. Il
“Trattato” ebbe grande importanza
nei dibattiti del XVII secolo sulla
natura della grazia divina e della salvezza. La traduzione è accompagnata
da una sostanziosa ed erudita introduzione.
Lindberg, David C.
The beginnings of Western
science. The European
scientific tradition in philosophical,
religious and institutional context,
600 B.C. to A.D. 1450
Univ. of Chicago Pr., ottobre 1992
pp.424, $ 23
Ampia cronaca dell’evoluzione di
idee, pratiche e istituzioni scientifiche dai filosofi greci presocratici agli
scolasti del tardo medio evo.
Malebranche, Nicolas de
Oeuvres
A cura di G. Rodis-Lewis
Gallimard, ottobre 1992
F 460
L’apparizione del Trattato della natura e della grazia, nel 1680, fruttò al
suo autore gli attacchi violenti di Arnauld e soprattutto di Boussuet, che
denunciò quesl razionalismo in cui
Dio non era più “l’autore che di un
certo ordine generale mentre il resto
si sviluppa come può”.
Linke, Werner
Zum Wandel des Selbstbewußtseins.
Anthropologischen Betrachtungen
Schäuble, ottobre 1992
pp.120, DM 62
Litschev, A. - Kegler, D.
(a cura di)
Abschied vom Marxismus.
Sowjetische Philosophie
im Umbruch
Rowohlt, luglio- agosto 1992
DM 24,90
12 testi mostrano le dimensioni di
problemi che in un periodo di rivolgimenti appaiono con tutti i segnali di
una transizione: critica e superamentp dei sistemi totalitari. Indagine sui
nuovi orientamenti. Spaccatura del
pensiero e della coscienza storica.
Mali, Joseph
The rehabilitation of myth.
Vico’s “New Science”
Cambridge UP, ottobre 1992
pp.272, £ 35
Mali sostiene che la Nuova Scienza
di Vico va interpretata secondo le
chiavi e le regole di interpretazione
dello stesso Vico, soprattutto sulla
sua affermazione che la “chiave di
volta” di questa Nuova Scienza sia la
scoperta del mito.
Malpas, J. E.
Donald Davidson
and the mirror of meaning.
Holism, truth, interpretation
Cambridge UP, settembre 1992
pp.296, £ 35
L’autore ci offre un resoconto della
concezione olistica ed ermeneutica
dell’interpretazione linguistica di
Davidson e, più in generale, della
mente.
Locke, John
Lettres sur la tolérance
A cura di J.-F. Spitz
Flammarion, ottobre 1992
pp.288, F 38
La società poggia su un contratto e il
sovrano deve obbedire alle leggi; in
caso contrario l’insurrezione del popolo è legittima. Così dice John Locke in quest’opera apparsa nel 1689,
un anno prima del Saggio sull’intelletto umano.
75
Manz, Hans-G. v.
Fairneß und Vernunftrecht
Olms, ottobre 1992
pp.282, DM 49,80
Mariotte, Edme
Roberval, Gilles Personne de
Picolet, Guy (a cura di)
Essai de logique;
Les principes du devoir
et des connaissance humaines
Fayard, ottobre 1992
pp.206, F 195
Edme Mariotte (1620-1684), fisico
francese, è noto anche come filosofo.
Un testo di logica matematica fra i più
potenti di tutto il XVII secolo.
Mayer, Hans
Der Zeitgenosse Walter Benjamin
Jüdischer, luglio-agosto 1992
pp.96, DM 24
Un saggio presentato da Hans Mayer
il 15 luglio 1992 per il centesimo
anniversario della nascita di Walter
Benjamin.
McKirahan, Richard D.
Principles and proofs.
Aristotle’s theory
of demonstrative science
Princeton UP, settembre 1992
pp.356, $ 55
I “Secondi analitici” contengono la
prima trattazione estesa della natura e
della struttura della scienza nella storia della filosofia. McKirahan tenta
un’interpretazioe simpatetica, seguendo la guida del testo, piuttosto
che imponendovi una cornice contemporanea.
Mehring, Reinhard
Heideggers
Überlieferungsgeschick.
Eine dionysische Inszenierung
Königshausen und Neumann
ottobre 1992
pp.160, DM 34
L’abilità di Heidegger di curarsi della
propria tradizione viene raccomandata e correntemente discussa come
nuovo approccio all’interpretazione
complessiva degli enigmi del pensiero dell’essere, la saga dell’evento.
Miller, Richard W.
Moral differences. Truth,
justice and conscience
in a world of conflict
Princeton UP, luglio-agosto 1992
pp.416, $ 23
L’autore, attingendo a diversi campi
della filosofia e delle scienze sociali,
tra cui i suoi lavori precedenti di filosofia della scienza, propone un quadro del nostro accesso alla verità
morale e, all’interno di questa cornice, elabora una teoria della giustizia e
una valutazione del ruolo della moralità nella scelta razionale.
Misrahi, Robert
Le corps et l’esprit
dans la philosophie de Spinoza
Laborat. Delagrange, ottobre 1992
pp.139, F 74
Spinoza combatté instancabilmente
contro il dualismo. Dopo aver criticato il dualismo anima-corpo, combatté
quello interno all’anima: l’opposizio-
NOVITA’ IN LIBRERIA
ne tradizionale della volontà e dell’intelletto.
Mitterer, Joseph
Das Jenseits der Philosophie.
Wider das dualistische
Erkenntnisprinzip
Passagen-Vlg., ottobre 1992
pp.120, DM 26
Mohanty, Jitendra Nath
Reason and tradition
in indian thought:
An essay on the nature
of indian philosophical thinking
Clarendon, ottobre 1992
pp.320, £ 37,50
Il volume esplora il pensiero indiano
per mezzo dei concetti fondamentali
che lo ispirano. Fra quelli discussi
coscienza e soggettività, linguaggio e
significato, logica e verità. Per aiutare la comprensione, vengono applicate concezioni della moderna filosofia analitica e fenomenologica occidentale.
Montaigne, Michel de
Essais.
Diogenes, ottobre 1992
pp.2744, DM 248
Questa edizione riunisce tutti i saggi,
una biografia di Montaigne, le sue
lettere, “Von der freiwilligen Dienstbarkeit” di Etienne de la Boéties, le
critiche agli Essais e un dettagliato
indice analitico delle persone e delle
parole chiave.
Montmarquet, James A.
Epistemic virtue
and doxastic responsability
Rowman & Littlefield
novembre 1992
pp.188, £ 31,50
Difendendo un’originale idea sulla
nostra responsabilità per la convinzione e la relazione di tale responsabilità con la giustificazione morale
delle nostre azioni, Montmarquet presenta un dettagliato resoconto di alcuni tratti del carattere intellettuale
(le virtù epistemiche) e del loro rapporto con le credenze di ognuno.
Mooney, Michael
Vico e la tradizione
della retorica
Il Mulino, luglio 1992
pp. 362, L. 40.000
L’autore cerca di collocare la riflessione e l’opera di Giambattista Vico
all’interno di una tradizione retorica
che affonda le sue radici tanto nell’antichità quanto nella cultura umanistica (Aristotele, Cicerone, Quintiliano), secondo la quale la retorica
stessa è intesa non come dottrina linguistica accessoria ed esornativa, ma
come cultura attiva portatrice anche
di valori etici, sociali e civili.
Moravcsik, Julius
Plato and platonism: Plato’s
conception of appearance
and reality in ontology,
epistemology and ethics
and its modern echoes
Blackwell Publis., ottobre 1992
pp.352, £ 40
Il volume si apre con un dibattito
sulla concezione platonica di disciplina autenticamente razionale (“techne”). L’autore dimostra come la
teoria della reminiscenza, della Forma come fattore ultimo di spiegazione e dell’etica platonica dell’ideale
umano di bene emergano da condizioni essenziali delle “technai”.
conflitti della sua vita, un’ultima parola dalla sua posizione di filosofo,
psicologo e anti-Cristo.
Nietzsche, Friedrich Wilhelm
Maximes et pensées
A. Silvaire, ottobre 1992
F 39
Scelta di aforismi sferzanti scritti dall’autore della Gaia scienza.
Morgenstern, Martin
Nicolai Hartmann.
Grundlinien einer wissenschaftlich
orientierten Philosophie
Francke, ottobre 1992
pp.230, DM 58
Nietzsche, Friedrich Wilhelm
Ecce homo; Nietzsche
contre Wagner
A cura di E. Blondel
Flammarion, ottobre 1992
pp.320, F 42
Nel primo libro, testo autobiografico,
Nietzsche rivela la diversità della sua
personalità e l’origine della propria
saggezza. Nel secondo il filosofo intenta un processo postumo contro il
musicista, “colpevole” di aver disprezzato l’esistenza rifugiandosi nel
romanticismo e nella tragedia.
Morris, Michael
The good and the true
Clarendon, novembre 1992
pp.352, £ 37,50
Confrontando la concezione scientifica della natura della realtà, Michael
Morris suggerisce che per noi il concetto di possesso, fede e verità hanno
senso solo in un’ottica in cui i valori
in generale, e il bene morale in particolare, contino qualcosa come parte
del mondo.
Nolte, Ernst
Martin Heidegger.
Politik und Geschichte
im Leben und Denken
Propyläen, settembre 1992
pp.336, DM 39,80
Mugnai, Massimo
Leibniz’s theory of relations
Steiner, luglio-agosto 1992
pp.291, DM 96
Nussbaum, Martha - Sen,
Amartya (a cura di)
The quality of life
Clarendon, novembre 1992
pp.460, £ 50
Economisti e filosofi di punta compiono il tentativo di definire e misurare la qualità di vita. Vengono discussi
e connessi a questioni pratiche i recenti sviluppi delle definizioni filosofiche di benessere.
Müller, W. E.
Schulz, H. H. R. (a cura di)
Theologie und Aufklärung.
Festschrift für Gottfried
Hornig zum 65. Geburstag
Königshausen und Neumann
settembre 1992
pp.446, DM 138
A fronte del giudizio per lo più complessivamente negativo sull’illuminismo, che si rovescia nel suo contrario, i saggi di questo volume si adoperano per raggiungere una chiarificazione immanente dello stato di cose
dell’”Illuminismo” nelle differenti
forme illuministiche della filosofia,
della teologia e della poesia.
O’Brien, Denis
Theodicee plotinienne,
theodicee gnostique
E. J. Brill, novembre 1992
pp.128, Dfl 80
Analisi del “Contro gli gnostici” di
Plotino, quest’opera sostiene che nei
primi trattati delle “Enneadi” Plotino
propone una teoria della generazione
della materia dall’anima che poi dà
per scontata nei suoi attacchi agli
gnostici.
Müller, Wolfgang H.
Ethik als Wissenschaft
und Rechtsphilosophie
nach Immanuel Kant
Königshausen und Neumann
ottobre 1992
pp.118, DM 26
Nel presente saggio l’autore dimostra
come la morale, nonché il diritto privato, quello penale e quello pubblico
si possano formare da un punto di
vista scientifico.
Oelmüller, W. (a cura di)
Worüber man nicht schweigen
kann. Neue Diskussion
zur Theodizeefrage
W. Fink, settembre 1992
pp.317, DM 78
Che cosa possono dire filosofi e teologi senza minimizzare né rimuovere, senza autoinganno né “inganno
per Dio” (Giobbe) all’anonima, incolpevole e provocata dagli uomini
sofferenza nella natura, nella storia e
nella convivenza umana? L’introduzione al dibattito e il protocollo autorizzato di un congresso internazionale cercano le risposte a tali domande.
Neumann, Walter G.
Das Wesen von Geist und Natur.
Zur negativen Metaphysik
Haag & Herchen, settembre 1992
pp.256, DM 38
Nietzsche, Friedrich
Ecce homo: How one becomes
what one is
Penguin Books, novembre 1992
pp.144, £ 4,99
Un’autobiografia portata a termine
pochi giorni prima del collasso mentale di Nietzsche, e in ogni caso il suo
ultimo testamento. Si tratta di un sommario in cui si ritrovano l’opera e i
Olson, Alan M.
Hegel and the spirit.
Philosophy as pneumatology
Princeton UP, luglio-agosto 1992
pp.240, $ 30
Il testo indaga sul significato della
76
grande categoria filosofica hegeliana
di “Geist”, per mezzo di quella che
Olson definisce una tesi pneumatologica. Egli sostiene che l’elaborazione
di Hegel di una filosofia come pneumatologia deriva da una lettura dell’interpretazione dialettica luterana
dello spirito.
Otsuru, Tadashi
Gerechtigkeit und “dike”.
Der Denkweg als SelbstKritik in Heideggers
Nietzsche-Auslegung
Königshausen und Neumann
luglio-agosto 1992
pp.190, DM 44
Il libro è un tentativo di evidenziare la
svolta nel pensiero di Heidegger verso “Sein und Zeit” alla luce dei suoi
studi nietzscheani rispetto al tentativo sistematico di trovare un’impostazione per i quesiti sui rapporti fra
storia e libertà che non derivano più
dall’odierno concetto di autodeterminazione.
Otto, Stephan
Giambattista Vico.
Lineamenti della sua filosofia
Guida Editori, giugno 1992
pp.163
Qual’è il motivo per cui Vico fu scoperto solo nel XIX secolo e perché ci
fu bisogno di un altro secolo prima
che fosse definitivamente tratto fuori
dal “deserto” in cui visse durante il
suo tempo? Da queste domande muove il libro di Stephan Otto che costituisce la prima introduzione sistematica al pensiero vichiano apparsa in
Germania. Sostenuta da un esplicito
intento divulgativo, questa introduzione, che vuole contribuire a porre
fine alla «storia dell’oblio cui Vico in
Germania non è stato ancora sottratto», è tuttavia organizzata intorno a
una proposta interpretativa forte: una
lettura in chiave trascendentalista
della filosofia vichiana che unisce
originalità filosofica e ricostruzione
sistematica.
Owens, David
Causes and coincidences
Cambridge UP, settembre 1992
pp.200, £ 30
Owens mette in discussione le idee
associate a Hume, Davidson e Lewis
e costruisce una teoria che distingue
la necessità nomologica e la sufficienza dalle loro controparti logiche,
riuscendo a fornire una soluzione
nuova ai maggiori problemi della causalità.
Owens, Joseph
Cognition:
An epistemological inquiry
Univ. of Notre Dame, ottobre 1992
pp.384, £ 11,95
”Cognition” è un fondamentale testo
introduttivo per corsi universitari di
filosofia della conoscenza. Joseph
Owens qui amplia l’angusta trattazione della metafisica che aveva dato
nel suo libro precedente, “An Elementary Christian Metaphysics”, facendone un’epistemologia pienamente sviluppata.
NOVITA’ IN LIBRERIA
Padgett, Alan
God, eternity
and the nature of time
Macmillan Acad., settembre 1992
pp.208, £ 35
Analisi e discussione della natura del
tempo e dell’eternità, focalizzata sull’atemporalità di Dio. Dopo aver preso in esame due teorie del tempo alla
luce della scienza moderna, l’autore
sostiene un concetto “processo” del
tempo.
Panichas, George A.
The critic as conservator:
Essays in literature,
society and culture
Catholic University of America
dicembre 1992
pp.262, £ 39,95
Terzo libro di una trilogia. “The Reverent Discipline”, “The Courage of
Judgement” e quest’ultima raccolta
sono tutte critiche non solo della letteratura e della critica, ma anche della
cultura e della società, scritte dalla
tradizione di quella che Edmund Burke chiama “la dissidenza del dissenso”.
Patocka, Jan
Introduction
à la phénoménologie de Husserl
J. Millon, ottobre 1992
pp.240, F 120
Scritto nel 1965-66, il libro è una
messa a punto critica e una contestualizzazione storica dell’opera del fondatore della fenomenologia.
Paul, Dietmar O.
Menschliches
und Philosophisches oder Der
nächste Untergang der Welt
Universitas, settembre 1992
pp.210, DM 29,80
Anacronistica riflessione di un pensatore erudito e di un buon parlatore,
che osserva i nostri rapporti odierni e
le nostre teorie, i nostri modi e i nostri
capricci alla luce sorprendente della
filosofia e dell’estetica classica e classicista.
Peter, Niklaus
Im Shatten der Modernität.
Franz Overbecks Weg
zur ”Christlichkeit unserer
heutigen Theologie”
J. B. Metzler, ottobre 1992
pp.184, DM 48
Il teologo e critico della teologia Overbeck alla fine del XIX secolo si pone
in una cesura nella quale si incrociano importanti linee di un dibattito di
critica della civiltà. In tal modo egli
costituisce in tempi di rinnovato dibattito sul moderno una figura interessante sia da un punto di vista storico che sistematico.
Piaget, Jean
Sagesse et illusion de la philosophie
PUF, luglio-agosto 1992
pp.320, F 64
Lo sviluppo della psicologia scientifica e di altre scienze che toccano i
problemi dello spirito è secondo Piaget irreversibile, in quanto riposa sulla coscienza degli errori che non si
faranno più poiché nella scienza è
impossibile sbagliarsi due volte nello
stesso modo.
prefazione, “Poscript to Marxism”, e
un ulteriore saggio bibliografico.
Picht, Georg
Zukunft und Utopie.
Einleitung von Heinz Wismann
Klett-Cotta, luglio-agosto 1992
pp.420, DM 68
Finché vivono, gli uomini sono condannati al futuro. Allo stanco cinismo
e alla paura di una generazione, viene
qui contrapposto il progetto di una
filosofia illuminata che incoraggi
un’azione e un pensiero responsabili.
Price, John Valdimir
The ironic Hume (1965)
Thoemmes, novembre 1992
pp.208, £ 32
Uno studio dell’opera di David Hume,
il filosofo e storico scozzese, firmato
da John Valdimir Price, il quale conclude che il testo da solo non basta a
stabilire il significato di un autore.
Prigogine, Ilya
Stengers, Isabelle
Entre le temps et l’eternité
Flammarion, ottobre 1992
pp.222, F 46
La filosofia occidentale, da Kant a
Bergson, si fonda sulla scissione fra
un mondo esteriore autonomo e un
mondo interiore di libertà e di responsabilità. Oggi le immagini di questi
due mondi convergono, non sono più
separabili; la nostra percezione del
tempo scientifico ne è sconvolta.
Pieper, A. (a cura di)
Geschichte der neueren Ethik.
Bd. 1: Neuzeit. Bd. 2: Gegenwart
Francke, ottobre 1992
pp.32 , DM 32,80
Plato
The Republic
Everyman’s Libr., novembre 1992
pp.368, £ 8,99
L’opera di Platone descrive una società che ad alcuni sembra la comunità umana ideale, ad altri un incubo
totalitario, ma in ogni caso continua a
sollevare questioni politiche, artistiche, educative e in genere di condotta
di vita.
Prini, Pietro
Plotino e la fondazione
dell’umanesimo interiore
Vita e Pesiero, 1992
Ripensare Plotino vuol dire oggi ritrovare la dimensione, la consistenza
del proprio sé, lontano dalla “coscienza infelice” della separazione di sé da
sé nel generale appiattimento delle
tensioni spirituali del nostro tempo.
Platon
République
A cura di E. Chambry
Gallimard, ottobre 1992
F 90
Le questioni indiscrete e fastidiose
(che cos’è la virtù? il coraggio? la
pietà?) con le quali Socrate esasperava i suoi concittadini sono ancora più
attuali e più imbarazzanti che mai.
Puech, Bernard
Comprachicos
Corti, ottobre 1992
pp.217, F 100
Per l’autore di questa riflessione sulla
filosofia e il suo atto di nascita, ai
giorni nostri bisogna fare ben più che
leggere fra le righe di un testo di
Platone, ma leggere proprio quelle
righe che una certa lettura dimentica.
Platon
Apologie de Socrate;
Criton; Phédon
A cura di B. e R. Piettre
LGF, ottobre 1992
pp.382, F 31
L’Apologia di Socrate mette in scena
il famoso processo del grande filosofo. I tre testi formano un tutt’unico
che fa luce sulla personalità morale di
Socrate, rivelando tutti i temi della
sua dottrina: ideale di giustizia, distacco dalla vita e dai beni umani,
visione del bene supremo, serenità
dell’anima giusta.
Pugliese Carratelli, G.
Blasucci, L. - Sacarese, G.
Villani, P.
Incontro con Albino Pierro
Bibliopolis, novembre 1992
pp.61, L. 15.000
Albino Pierro dà testimonianza del
perenne vigore, in rinnovate forme,
dell’ispirazione poetica animatrice di
scrittori, artisti e pensatori della Magna Grecia. L’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici non poteva dimenticare un poeta classico del nostro tempo e intorno a lui si sono pertanto
riuniti il 12 gennaio 1991, nel Palazzo
Serra di Cassano, amici devoti per
esprimergli consenso e anmmirazione. Da qui lo spunto del libretto.
Pleines, Jürgen E.
Studien zur Ethik
Olms, ottobre 1992
pp.431, DM 68
Popper, Karl
Die offene Gesellschaft
und ihre Feinde.
Band I: Der Zauber Platons.
Band II: Falsche Propheten.
Hegel. Marx und die Folgen.
J.C.B. Mohr, luglio-agosto 1992
pp.500, DM 78
Rand, Benjamin Baldwin, James M. (a cura di)
Bibliography of philosophy,
psychology and cognate
subjects (1905):
Part I of volume III of dictionary
of philosophy and psychology
Thoemmes Press, novembre 1992
pp.570, £ 60
Bibliografia della storia della filosofia fino al 1900, il volume risulterà di
grande aiuto nella ricerca per gli studiosi.
Popper, Karl
Unended quest.
An intellectual biography
Routledge, settembre 1992
pp.288, £ 10
A questa edizione della sua autobiografia Karl Popper ha aggiunto una
77
Reeve, C. D. C.
Practices of reason.
Aristotle’s “Nicomachean Ethics”
Clarendon Press, settembre 1992
pp.240, £ 27,50
Un’esplorazione dei fondamenti epistemologici, metafisici e psicologici
dell’”Etica Nicomachea” di Aristotele. Fra gli argomenti trattati il ruolo
dell’”episteme” (la conoscenza scientifica), del “nous” (dialettica e interpretazione), della “phronesis” (la saggezza pratica) e dell’”eudaimonia”
(la felicità).
Regehly, Thomas
Hermeneutische Reflexionen
über den Gegenstand
des Verstehens
Olms, ottobre 1992
pp.300, DM 48
Reinecke, Volker
Kultur und Todesantinomie.
Die Geschichtsphilosophie
Franz Borkenaus
Passagen-Vlg., ottobre 1992
pp.240, DM 49,80
Renan, Ernst - Retat, Laudyce
(a cura di)
Dialogues philosophiques
Ed. du CNRS, ottobre 1992
F 135
Questi testi sono una testimonianza
fondamentale del trauma prodotto
dalla guerra del 1870 e quindi dalla
Comune su una certa mentalità intellettuale del tempo. Nel terzo dialogo
l’immaginazione dei sapienti arriva a
una visione allucinata della scienza,
creatrice dei miti e di quelle religioni
a cui sostiene di sostituirsi.
Resch, Robert P.
Althusser and the renewal
of Marxist social theory
Univ. of California, settembre 1992
pp.381, $ 48
Rasch ci offre un’introduzione vasta
e tematica all’opera di Althusser, Nicos Poulantzas, Pierre Macherey,
Etienne Balibar, Emmanuel Terray,
Terry Eagleton, Goran Therborn,
Renée Balibar, Perry Anderson, Pierre-Philippe Rey, Michel pèchaux, Guy
Bois e altri.
Robinson, Daniel N. (a cura di)
Social discourse
and moral judgement
Academic, novembre 1992
pp.266, £ 34
La presente raccolta di saggi (presentati a un simposio su costruttivismo
sociale e moralità) esplora lo sviluppo della moralità all’interno dell’individuo, la sua evoluzione all’interno
della società e il suo posto all’interno
della legge.
Röd, Wolfgang
Der Gott der reinen Vernunft.
Die Auseinandersetzung
um den ontologischen Gottesbeweis
vonn Anselm bis Hegel
Beck, München ottobre 1992
pp.240, DM 48
NOVITA’ IN LIBRERIA
Rodd, Rosemary
Biology, ethics and animals
Clarendon, ottobre 1992
pp.280, £ 10,95
Nel dibattito sui diritti animali, i biologi a volte si sentono minacciati dalle critiche all’uso che fanno degli
animali. Talvolta forse pensano anche che la discussione filosofica sugli
animali sia a tal punto astratta da
essere priva di senso. Il libro propone
una trattazione congiunta di biologia
e filosofia di questi atteggiamenti.
Roethke, Gisela
Zur symbolik in Hermann Brochs
Werken. Platons Höhlengleichnis
als Subtext
Francke, luglio-agosto 1992
pp.199, DM 48
Rorty, A. O. (a cura di)
Essays on Aristotle’s poetics
Princeton UP, settembre 1992
pp.480, $ 24
In questi ventun saggi, filosofi e classicisti esplorano il corpus dell’opera
di Aristotele cercando di collegare la
Poetica alle altre concezioni della
psicologia e della storia, etica e politica.
Rossetti, L. (a cura di)
Understanding the Phaedrus.
Proceedings of the II.
Symposium Platonicum
Akademia-Vlg., luglio-agosto 1992
pp.328, DM 98.
Rotschild, Kurt W.
Ethik und Wirtschaftstheorie
J.C.B. Mohr, settembre 1992
pp.120, DM 40
Spesso etica e scienza economica
vengono in conflitto. Rotschild ci
mostra quali elementi etici si celino
nella teoria economica e perché si
generino difficoltà e malintesi nel
dibattito etico-economico.
Rudolph, E. (a cura di)
Die Vernunft und ihr Gott.
Studien zum Streit zwischen
Religion und Aufklärung
Klett-Cotta, luglio-agosto 1992
pp.147, DM 48
Chi, nelle grandi contrapposizioni
ideologiche del XVIII secolo, ha riportato la vittoria? L’Illuminismo in
forma di prassi scientifica non soggiogata? O la religione, come necessario soddisfacimento dei bisogni, a
superare significativamente la finitezza dell’esserci?
Ruffing, Rainer
Agnes Heller.
Pluralität und Moral
Lescke & Budrich, settembre 1992
pp.172, DM 33
Una presentazione complessiva delle
opere filosofiche e di teoria politica
di Agnes Heller. L’autore mette a
confronto Agnes Heller con Jürgen
Habermas, Marianne Gronemeyer e
Jean Baudrillard ed espone la particolare proposta della Heller di una teoria del moderno.
Ruprecht, E. und A.
(a cura di)
Tod und Unsterblichkeit.
Texte aus Philosophie,
Theologie und Dichtung
vom Mittelalter bis zur Gegenwart.
Band 1: Von der Mystik
des Mittelalters bis zur Aufklärung
Urachhaus, settembre 1992
pp.600, DM 128
approda a una totalità confusa.
Schmitz, Heinz-G.
Die Glücklichen
und die Unglücklichen. Politische
Eudämonologie, ästhetischer
Staat und erhabene Kunst
im Werk Friedrich Schillers
Königshausen und Neumann
ottobre 1992
pp.128, DM 29,80
Salamun, K. (a cura di)
Ideologien und Ideologiekritik
Wissenschaftl. Buc., ottobre 1992
pp.216, DM 36
Si discute dei rapporti fra ideologia e
politica e della tesi della fine delle
ideologie, nonché di singoli fenomeni di ideologizzazione in etica, scienza e teologia.
Schmitz, Hermann
Die entfremdete Subjektivität.
Von Fichte zu Hegel
Bouvier, ottobre 1992
pp.320, DM 95
Schmitz-Moormann, K.
(a cura di)
Schöpfung und Evolution.
Neue Ansätze zum Dialog
zwischen Theologie
und Naturwissenschaft. Beiträge
zu dem Symposium aus Anlaß
der 300-Jahr-Feier
der Publikation
der Principia Mathematica Newtons
Patmos-Vlg.,ottobre 1992
pp.168, DM 32,80
Schelling, Friedrich W. J.
System
des transzendentalen Idealismus
Prefazione di W. Schulz
a cura di H. D. Brandt e P. Müller
Felix Meiner, ottobre 1992
pp.310, DM 36
Con il Sistema dell’idealismo trascendentale (1800) Schelling fondava il
programma della propria filosofia.
Nuova edizione sull’impronta della
prima.
Schneider, Fridhelm
Die Wahrnehmung
der Wirklichkeit.
Ein philosophischer Essay
Attempto-Vlg., ottobre 1992
pp.322, DM 39,80
Scherb, Martin
Künstliche und natürliche Sprache.
Bemerkungen zur Semantik
bei Tarski und Wittgenstein
Olms, ottobre 1992
pp.90, DM 25,80
Schneider, H. J.
Inhetveen, R. (a cura di)
Enteignen uns
die Wissenschaften?
Zum Verhältnis zwischen
Erfahrung und Empirismus
W. Fink, settembre 1992
pp.192, DM 48
Gli autori dimostrano come i metodi
oggettivanti portano a risultati insoddisfacenti degli “oggetti” (per esempio in sociologia e in filosofia della
politica) ed esplorano anche la specificità delle complesse forme di articolazione dell’esperienza (etica, estetica, psicoanalisi).
Scherer, Georg
Philosophie des Mittelalters
J. B. Metzler, ottobre 1992
pp.160, DM 22,80
Scherer, Klaus (a cura di)
Justice:
Interdisciplinary perspectives
Cambridge UP, ottobre 1992
pp.314, £ 40
Il volume mette assieme i principali
studiosi delle scienze sociali e discute
i recenti studi teoretici ed empirici
della giustizia, che esaminano la natura della giustizia nelle ottiche attuali filosofiche, economiche, legali,
sociologiche e psicologiche, esplorando possibili linee di convergenza.
Schnelzer, Thomas
Tod als lezte Entsheidung.
Plädoyer für die
Endentscheidungshypothese
des Ladislaus Boros
Roderer, luglio-agosto 1992
pp.140, DM 36
Schleiermacher, Friedrich
Schleiermacher’s introduction
to the Dialogues of Plato (1836)
Thoemmes Press, novembre 1992
pp.454, £ 48
Studio della filosofia antica, in particolare di Platone, a opera del filosofo
tedesco Friedrich Schleiermacher, che
analizza anche la composizione dei
“Dialoghi” platonici.
Schobingen, Jean-Pierre
Miszellen zu Nietzsche.
Versuche von operationalen
Auslegungen
Schwabe, ottobre 1992
pp.180, DM 43 - Sfr 36
Schoeman, David Ferdinand
Privacy and social freedom
Cambridge UP, ottobre 1992
pp.240, £ 30
Il libro attacca la premessa che si
ritrova in molta filosofia morale che
il controllo sociale in quanto tale sia
una forza intellettualmente e moralmente distruttiva. Questa concezione
viene sostituita con una visione sulla
natura del carattere sociale che mira a
Schmidt-Biggeman, Wilhelm
Sinn-Welten, Welten-Sinn.
Eine philosophische Topik
Suhrkamp, luglio-agosto 1992
pp.180, DM 32
Con questo libro Schmidt-Biggeman
ci offre un rendiconto filosofico. Il
risultato (come al solito, attraverso
l’esperienza, il viaggio): una topografia dei ricordi, che nel complesso
78
mostrare come la libertà sociale non
possa significare immunità dalle pressioni sociali.
Schopenhauer, Arthur
Eis éauton (A soi-même)
A cura di G. Fillion
Anabase, ottobre 1992
pp.55, F 65
In questi appunti intimi, tradotti per la
prima volta in francese, Schopenhauer
ha riunito per quasi trentacinque anni
osservazioni su se stesso, riflessioni
sull’esistenza e citazioni che corroborano la sua visione pessimista dell’umanità.
Schöttker, Detlev
Walter Benjamin
J.B. Metzler, luglio-agosto 1992
pp.160, DM 22,80
Schubert, Elke
Günther Anders
Rororo, settembre 1992
DM 10,90
La sua originale e conseguente opera
filosofica è a tutt’oggi pressoché inosservata. Decisiva da questo punto di
vista è la radicalità con cui Anders
mette in crisi la filosofia occidentale:
il “Signore della Creazione” non è
l’uomo, ma la tecnica, alla quale egli
si pone di fronte come essere manchevole e antiquato.
Schulthess, Peter
Sein, Signifikation und Erkenntnis
bei Wilhelm von Ockham
Akad.-Verlag, luglio-agosto 1992
pp.336, DM 74
Schüßler, Werner
Leibniz’ Auffassung
des menschlichen Verstandes
(intellectus). Eine Untersuchung
zum Standpunktwechsel
zwischen ”système commun”
und ”système nouveau”
und dem Versuch
ihrer Vermittlung
de Gruyter, ottobre 1992
pp.256, DM 138
Per la prima volta qui viene resa accessibile la difficilissima problematica della comprensione nel pensiero di
G. W. Leibniz, nell’ambito della sua
problematica del punto di vista. L’immagine consueta di Leibniz ne esce
non poco modificata.
Scott, William R.
Francis Hutcheson.
His life, teaching and position
in the history of philosophy (1900)
Thoemmes, novembre 1992
pp.318, £ 14,99
Uno studio su Francis Hutcheson dal
punto di vista della vita, dell’insegnamento e della sua posizione nella storia della filosofia. Scott era partito
con il modesto progetto di raccogliere materiale per un articolo sul periodo dublinese di Hutcheson, prima
della nomina alla cattedra di filosofia
morale a Glasgow.
Secret, François
Hermétisme et Kabbale
Bibliopolis,novembre 1992
pp.146, L. 22.000
NOVITA’ IN LIBRERIA
Il tema trattato dall’autore in questo
volume è il risultato di numerosi lavori, tra i quali anche quello del Prof.
Cesare Vasoli. Lo scopo è fornire dei
chiarimenti su una inchiesta iniziata
più di quarant’anni fa e che è stata
chiamata la “Cabala cristiana”.
Seidel Menchi, Silvana
Erasmus als Ketzer:
Reformation und Inquisition
im Italien des 16. Jahrhunderts
E. J. Brill, ottobre 1992
pp.604, Dfl 260
Basato principalmente sui verbali dei
processi dell’Inquisizione provenienti
da ogni parte della penisola, questo
saggio sulla Riforma e sull’Inquisizione mette in luce l’ampia diffusione delle idee di Erasmo in Italia. Uno
studio tanto sull’accoglienza di Erasmo quanto sulla dimensione sociale
della Riforma.
Seifen, Johannes
Der Zufall - Eine Chimäre?
Untersuchungen zum Zufallsbegriff
in der philosophische Tradition
und bei Gottfried Wilhelm Leibniz
Akademia-Vlg., ottobre 1992
pp.260, DM 48
Seifert, Helmut
Einführung
in die Hermeneutik.
Die Lehre von der Interpretation
in der Fachwissenschaften
Francke, settembre 1992
pp.240, DM 29,80
Severino, Emanuele
La bilancia.
Pensiero sul nostro tempo
Rizzoli, novembre 1992
pp.218, L. 29.000
Dagli anni Ottanta la Storia ha subito
una velocissima trasformazione; tutto è in crisi e la stessa filosofia - quasi
paralizzata dal crollo del suo ultimo
grande sistema - sembra impotente a
trasmetterci nuove ipotesi, a darci
risposte che sappiano accompagnarci
e aiutarci. In questo libro, Emanuele
Severino ci offre risposte che gettano
nuova luce su idee, fatti ed eventi che
sembrano sfuggire a una qualsiasi
logica, ci parla di come la storia stia
portandoci al di fuori del nostro passato - ad di fuori, cioè, della tradizione dell’Occidente.
Shea R., William
Interpreting the World
Science and Society
a cura di A. Spadafora
Science History UP, settembre 1992
pp.215
Shelton, George
Morality and sovereignty
in the philosophy of Hobbes
Macmillan, ottobre 1992
pp.336, £ 47,50
Studio di due punti controversi della
filosofia di Hobbes: la moralità e la
sovranità. Il saggio distingue fra le
due versioni di patto proposte da
Hobbes, una delle quali stabilisce un
vero sistema di moralità basato sulla
regole aurea e l’altro giustifica il potere assoluto del sovrano.
Sholem, Gershom
Fidelité et utopie
Press Pocket, luglio-agosto 1992
Sorensen, Roy A.
Thought experiments
Oxford UP, settembre 1992
pp.352, £ 40
L’autore presenta una teoria generale
degli esperimenti del pensiero filosofico, descrivendone pregi e difetti.
Egli sostiene che sia possibile comprendere questi esperimenti concentrandosi sulla loro somiglianza con
relativi scientifici.
Siep, Ludwig
Praktische Philosophie
im deutschen Idealismus
Suhrkamp, ottobre 1992
pp.360, DM 24
Simmons, A. John
The Lockean theory of rights
Princeton UP, luglio-agosto 1992
pp.384, $ 50
Uno studio vasto e sistematico della
teoria del diritto di Locke e delle sue
potenzialità come autentico contributo ai dibattiti contemporanei sui
diritti e sul loro posto nella filosofia
politica. Simmons fa ampio riferimento a opere pubblicate e non pubblicate di Locke.
Sowa, Hubert
Krisis der Poiesis. Schaffen
und Bewahren als doppelter
Grund im Denken
Martin Heideggers
Königshausen und Neumann
ottobre 1992
pp.400, DM 78
Sprockhoff, Harald von
Naturwissenschaft
und christlicher Glaube ein Widerspruch?
Fink, luglio-agosto 1992
pp.230, DM 26,80
Sull’esempio dell’evoluzione con la
sua fase cosmica, chimica e biologica
e del suo legame con quasi tutti i rami
della scienza naturale, l’autore vorrebbe dimostrare che è possibile un
incontro delle due discipline fino a
una reale intesa.
Slater, John G.
Frohmann, Bernd (a cura di)
Collected papers
of Bertrand Russell:
Logical and philosophical papers:
Vol. 6 1909-13
Routledge, ottobre 1992
pp.682, £ 95
Gli anni presi in esame da questo
volume della “Raccolta di scritti di
Bertrand Russell” furono fra i più
produttivi di tutta la carriera di Russell.
Stewart, Melville Y.
The greater good defence:
An essay on the rationality of faith
Macmillan, ottobre 1992
pp.256, £ 40
Il libro offre definizioni coerenti e
compatibili di onnipotenza, onniscienza e onnibenevolenza. Ledifese
del bene maggiore vengono esaminate, rintracciando le derivazioni di un
resoconto di base di tale difesa nei
principi teistici. Il volume dà poi un
resoconto delle origini del male.
Slote, Michael
From morality to virtue
Oxford UP, ottobre 1992
pp.320, £ 32,50
L’obiettivo principale di questo trattato è di sostenere che l’”etica della
virtù” dovrebbe essere considerata la
teoria fondante che può dare una spiegazione più soddisfacente di tutta una
serie di idee sul valore, la scelta, l’obbligo e l’azione razionale rispetto all’etica kantiana, a quella del buon
senso o all’utilitarismo.
Stoyan, H. (a cura di)
Erklärung im Gespräch - Erklärung
im Mensch-Maschine-Dialog.
Veröffentlichungen
eines Symposium
an der TH Darmstadt, Juli 1989
Springer, luglio-agosto 1992
pp.149, DM 50
Il volume documenta lo stadio della
ricerca nel campo della spiegazione e
dello scambio scientifico fra informatici e filosofi.
Smith, C. U. M.
Problem of mind: Evolution,
neuroscience, philosophy
The Athlone Press, novembre 1992
pp.320, £ 28
Il testo discute il posto della mente
nella natura e spiega l’esistenza della
soggettività in un mondo di cose. Fra
le altre pubblicazioni di Smith, “The
problem of life: An essay in the origins of biological thought” e “Elements of molecular neurobiology”.
Strawson, P. F.
Analysis and metaphysics.
An introduction to philosophy
Oxford UP, luglio-agosto 1992
pp.160, £ 8
Questo libro sostiene che le tre discipline tradizionalmente separate della
metafisica, dell’epistemologia e della logica sono altrettanti aspetti di una
sola ricerca.
Sommerville, Johann P.
Thomas Hobbes. Political
ideas in historical context
Macmillan Education, ottobre 1992
pp.256, £ 35
Attingendo a recenti studi e a quasi
sconosciute fonti del XVII secolo,
l’autore pone gli insegnamenti di
Hobbes sullo “stato di natura”, le
origini del governo, il potere dei governanti, la natura della famiglia e
altre questioni sullo sfondo del dibattito contemporaneo.
Tachibana, Shundo
The ethics of Buddhism
Curzion Press, ottobre 1992
pp.304, £ 10,99
Il libro vuole dimostrare che il Buddismo, alle sue origini, è una religione
di grande statura morale e che la
moralità propugnata dal Buddismo è
79
di tipo pratico. Il volume presenta
un’indagine delle virtù cardinali del
Buddismo, non limitandosi ad astrarne l’idea morale e a filosofeggiare su
di essa.
Tanner, John S.
Anxiety in Eden:
A Kierkegaardian reading
of “Paradise lost”
Oxford UP, ottobre 1992
pp.256. £ 27,50
L’autore si serve del pensiero di Kierkegaard, in particolare della sua teoria dell’ansia, per proporre una nuova
lettura del “Paradiso perduto”. Egli
sostiene che, per Milton e Kierkegaard, la via al peccato o alla salvezza
sta nell’ansia, che entrambi includono nel paradiso.
Tegtmeier, Erwin
Grundzüge einer kategorialen
Ontologie.
Dinge, Eigenschaften, Beziehungen,
Sachverhalte
Karl Alber, ottobre 1992
pp.222, DM 68
Tejera, V.
The city-state foundation
of western thought
UP of America, novembre 1992
pp.182, £ 14,95
Le due differenze principali fra la
presente edizione riveduta e la prima
sono l’aggiunta di una sezione dell’etica di Solone nel capitolo II, e
l’approccio più diretto al discorso del
visitatore di Elea nel “Politicus” di
Platone.
Thomas, Jean-François
Simone Weil et Edith Stein:
souffrance et malheur
Culture et vérité, ottobre 1992
Thompson, Paul B.
The ethics of trade and aid:
Us food policy, foreign competition
and the social contract
Cambridge UP, ottobre 1992
pp.272, £ 35
L’autore sostituisce al tradizionale
modello militare-territoriale dello stato nazionale il concetto di stato commerciale che vede il proprio ruolo in
termini di istituzioni internazionali
che stabilizzino e facilitino gli scambi culturali, intellettuali e commerciali fra le nazioni.
Titze, Hans
Das philosophische Gesamtwerk
Band 2: Kausalität in Physik
und Philosophie
Schäuble, settembre 1992
pp.240, DM 128
Todorov, Tzvetan
Nous et les autres:
la réflexion française
sur la diversité humaine
Seuil, ottobre 1992
pp.538, F 55
La relazione fra noi (il gruppo sociale
o culturale al quale apparteniamo) e
gli altri (quelli che non ne fanno parte) nei pensatori francesi: da Montesquieu a Segalen, da Montaigne a
Lévi-Strauss.
NOVITA’ IN LIBRERIA
Tozzi, Roberto
Ciò che è razionale è reale
e ciò che è reale è razionale
Mursia Ed., novembre 1992
pp.728, L. 65.000
Questo terzo volume dell’Antologia
dei grandi filosofi copre il periodo
che va dagli inizi dell’Ottocento al
1867, anno di pubblicazione del primo volume del Capitale di Karl Marx.
In questi pochi decenni compaiono
grandi figure di pensatori che influenzeranno profondamente la filosofia
successiva. Grande protagonista è la
filosofia di Hegel nel suo affermarsi
come pensiero egemone in Germania.
Traub, Hartmut
J.G. Fichtes Populärphilosophie.
Eine Untersuchung
der populärphilosophischen
Schriften
Frommann-Holz., settembre 1992
pp270, DM 84
Unger, Erich
Vom Expressionismus
zum Mythos des Hebräertums.
Schriften 1909 bis 1931
A cura di M. Voigts
Königshausen und Neumann
ottobre 1992
pp.149, DM 49,80
Il volume raccoglie saggi ancora parzialmente inediti di Erich Unger del
periodo fra il 1909 al 1931. Grazie a
questa edizione diviene evidente il
forte influsso di Unger su Walter
Benjamin e fa di questo testo un indispensabile strumento di ricerca per la
valutazione dello sviluppo del pensiero benjaminiano.
Valberg, J. J.
The puzzle of experience
Clarendon Press, novembre 1992
pp.240, £ 25
Il libro esplora il puzzle dell’esperienza percettuale. Riflettendo sulla
nostra esperienza possiamo “ragionare” su di essa, oppure “aprirci” a
essa. Tali riflessioni generano una
contraddizione sull’oggetto dell’esistenza. Il volume spiega come e perché sorge questa contraddizione e
prende in considerazione le soluzioni.
Valenti, Cesare
Dissuasione metafisica
Franco Angeli, ottobre 1992
pp. 320, L. 40.000
Si deve tornare a una ragione-verità
eticamente “unificata”, pre-moderna
e pre-weberiana? Da qui la “rottura”,
i due “regni” proposti dall’autore: da
un lato la verità metafisica, metafisicamente “dissuasa”, immediata materialità senza spessore e memoria,
dall’altra l’emozione come metafisiscamente nascente da una matrice
insersoggettivo-sociale e stante per
l’intero del mondo umanao, della vita,
della civiltà e cultura.
Verstraten, Philippe
La généalogie de la parole
Osiris, ottobre 1992
pp.118, F 80
Una riflessione genealogica che si
basa sull’analisi di due casi storici di
silenzio: Nietzsche e Hölderlin.
Watzlawick, Paul
Vom Unsinn des Sinns
oder vom Sinn des Unsinns
Picus Verlag, luglio-agosto 1992
pp.64, DM 14,80
Un saggio del brillante filosofo e psicoanalista Paul Watzlawick su una
questione centrale dell’esistenza umana: quella del senso e delle sue illusioni.
Vico, Giambattista
Autobiografia
Il Mulino, luglio 1992
Si tratta della ristampa anastatica della celebre Vita scritta da Vico in più
riprese a partire dal 1725, che senza
dubbio costituisce non solo un testo
fondamentale e privilegiato per la
comprensione del suo pensiero, ma
anche un notevole modello letterario
che lascerà una traccia indelebile nella storia moderna dell’autobiografia
intellettuale.
Weizsäcker, Carl Fr. von
Zeit und Wissen
C. Hanser, settembre 1992
pp.1104, DM 78
”Zeit und Wissen” è la summa della
vita di Carl Fr. von Weizsäcker e al
contempo il progetto di una filosofia
futura, una nuova, grande opera.
Volkmann-Schluck, Karl-Heinz
Die Philosophie der Vorsokratiker.
Der Anfang
der abendländischen Metaphysik
A cura di P. Kremer
Königshausen und Neumann,
settembre 1992
pp.157, DM 38
In questo volume Volkmann-Schluck
rivela il carattere “originario” del
pensiero presocratico. Contro le altre
interpretazioni che conducono a una
visione aristotelica dei presocratici,
Volkmann-Schluck dimostra che
l’”inizio” del pensiero presocratico è
più ricco di quanto è seguito.
Wettersten, John R.
The roots of critical rationalism
Edition Rodopi, luglio-agosto 1992
pp.250 Dfl 80
Il libro di Wettersten rintraccia le
radici storiche e intellettuali del razionalismo critico dai giorni del dibattito classico Whewell-Mill all’opera di Popper.
Wetzel, James
Augustine and the limits of virtue
Cambridge UP, luglio-agosto 1992
pp.280, £ 32,50
Il testo valuta lo sviluppo della psicologia morale di Agostino, dimostrando che la visione del libero arbitrio
offerta da Agostino non è stata apprezzata come doveva a causa di
un’anacronistica distinzione fra teologia e filosofia.
Walsh, W. H.
An introduction
to the philosophy of history (1961)
Thoemmes, novembre 1992
pp.176, £ 12,99
Un libro che tratta la logica del pensiero storico e costituisce anche una
discussione critica dei vari tentativi
di arrivare a una metafisica, o a una
interpretazione metafisica della storia.
Willaschek, Marcus
Praktische Vernunft.
Handlungstheorie
und Moralbegründung bei Kant
J. B. Metzler, ottobre 1992
pp.332, DM 68
La teoria del comportamento è una
disciplina filosofica relativamente
giovane. Per quanto sorprendente ciò
possa apparire, dietro la concezione
kantiana di una “ragione pura” si nasconde già in abbozzo, se non completamente sviluppata, una teoria del
comportamento umano.
Ward, Keith
Defending the soul
Oneworld Publ., ottobre 1992
pp.176, £ 6,95
L’autore sostiene che la negazione
dell’esistenza dell’anima umana ha
effetti devastanti sulla nostra valutazione degli esseri umani e dei loro
doveri. Riporta le attuali argomentazioni scientifiche all’essenzialità e
presenta un caso convincente che
contrasta tale negazione.
Williams, Robert
Recognition.
Fichte and Hegel on the other
State Univ. of New York Pr.
luglio-agosto 1992
pp.352, $ 20
L’aspetto più saliente di questo libro
è la trattazione estesa e dettagliata del
concetto idealista di intersoggettività, o riconoscimento, raramente studiato nei particolari, pressoché unica
nelle bibliografie inglesi contemporanee.
Warnke, Georgia
Justice and interpretation
Polity Press, settembre 1992
pp.220, £ 35
Un esame dei più importanti contributi alla filosofia politica contemporanea, comprendente l’opera di Rawls,
Walzer, Dworkin, Taylor, MacIntyre
e Habermas. Il testo dimostra che il
lavoro di questi autori ha assunto sempre più un carattere ermeneutico e
analizza le implicazioni di questa
evoluzione.
Wilmer, Heiner
Mystik zwischen Tun
und Denken. Ein neuer Zugang
zur Philosophie Maurice Blondels
Herder, settembre 1992
pp.277, DM 42
Washner, R. - von
Borzeszkowski, H.-H.
Die Wirklichkeit der Physik.
Studien zu Idealität und Realität
in einer messenden Wissenschaft
Lang, luglio-agosto 1992
pp.362
80
Wolbert, Werner
Vom Nutzen der Gerechtigkeit.
Zur Diskussion um Utilitarismus
und teleologische Theorie
Herder, settembre 1992
pp.240, DM 46
Wolf, A.
The oldest biography
of Spinoza (1927)
Thoemmes, novembre 1992
pp.208, £ 36
Prima edizione e traduzione inglese
dell’anonimo “La vie de feu de Monsieur de Spinoza”, che dovrebbe contribuire a colmare alcune lacune nella
letteratura spinoziana di questo paese.
Wolin, Richard
The terms of cultural criticism.
The Frankfurt School,
existentialism, poststructuralism
Columbia UP, settembre 1992
pp.300, $ 44
Le tre scuole si indirizzano tutte all’evidente collasso della tradizione
europea e tutte pongono una sfida
formidabile a eredità dell’Illuminismo quali il liberalismo politico, la
ragione strumentale e la soggettività
autopositiva.
Woods, Michael (a cura di)
Aristotle: Eudemian Ethics:
Books I, II and VIII
Clarendon Press, novembre 1992
pp.224, £ 13,95
Il volume comprende una traduzione
di tre degli otto libri dell’”Etica Eudemia”, insieme a un commento filosofico su di essi da un punto di vista
contemporaneo.
Wyss, Dieter
Die Philosophie des Chaos
oder das irrationale
Königshausen und Neumann
luglio-agosto 1992
pp. 200, DM 38
Un’introduzione comprensibile e di
facile lettura alla moderna ricerca sul
caos, così come viene affrontata nel
campo matematico e fisico, che presenta il rapporto di questa “teoria”
con la psicoterapia e la psicologia, ma
anche con la “filosofia dell’uomo”.
Zemach, Eddy M.
Types. Essays in metaphysics
E. J. Brill, ottobre 1992
pp.320, Dfl 160
Il volume comprende una serie di
applicazioni sull’ontologia, filosofia
della mente ed estetica, a due tesi
nominalistiche: che tutte le cose che
incontriamo siano tipi e che le cose
siano ontologicamente incomplete e
quindi possano essere identiche ad
altre cose più complete.
Ziegler, Walther U.
Anerkennung
und Nicht-Anerkennung.
Studien zur Struktur
zwischenmenschlicher.Beziehung
aus symbolischinteraktionistischer
existenz-philosophischer
und dialogischer Sicht
Bouvier, luglio-agosto 1992
pp.262, DM 58