APPROFONDIMENTO Modulo 1 Le basi biologiche del comportamento 1 Introduzione: l’evoluzione e la genetica La psicologia, in quanto scienza, ha come oggetto il comportamento degli uomini, i loro processi mentali e la loro vita interiore. I comportamenti umani possono essere relativamente semplici, come quello del bambino che cerca di stare vicino alla madre; o molto complessi, come quelli con cui gli uomini regolano la propria vita sociale attraverso regole codificate quali le leggi. I comportamenti sono resi possibili da processi mentali, quali la percezione, la memoria o l’intelligenza e trovano la propria origine nella vita interiore delle persone, nelle loro emozioni e motivazioni. Un’indagine scientifica sul comportamento non può però prescindere dalla loro base biologica. Per questi motivi iniziamo questa unità didattica descrivendo i meccanismi dell’evoluzione e le principali scoperte della w genetica. L’evoluzione L’evoluzione è lo sviluppo progressivo di organismi complessi da organismi originari più semplici. Prima delle teorie evoluzioniste gli scienziati credevano che tutti gli organismi fossero stati creati così come apparivano ai loro occhi. Il naturalista svedese Carlo Linneo (1707-1778), verso la metà del XVIII secolo, elabora un metodo di classificazione degli esseri viventi in due regni, quello vegetale e quello animale (oggi se ne contano cinque), seguendo l’idea che le varie w specie, attraverso le generazioni, si conservino uguali a se stesse. © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 genetica scienza che studia i meccanismi dell’ereditarietà w specie popolazioni di individui simili in grado di accoppiarsi e dare origine a prole feconda w Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata 1 LE Gli scienziati ritengono che alcune specie, come i batteri, siano derivate dai procarioti, organismi dalle cellule primitive sprovviste di membrana; altri, come le piante e gli animali, dagli eucarioti, organismi dalle cellule più complesse, provviste di membrana. unicellulari composti di una sola cellula w arboricoli animali o vegetali che vivono negli alberi w BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO Alghe Batteri azzurre Funghi Alghe Piante L’idea di evoluzione casuperiori Protozoi Animali povolge completamente questa concezione: dai primi organismi w unicellulari si sono prodotti esseri viventi sempre più complessi fino alla specie umana. Tale sviluppo ha la forma di un albero genealogico in cui le varie famiglie dei viventi seguono percorsi evolutivi diversi e molte specie si Eucarioti sono via via estinte. Ciò che persiste è tuttavia l’origine comune delle varie Procarioti specie e l’unità della vita. Il classico dilemma se sia nato prima l’uovo o la gallina con il concetto di evoluzione trova una soluzione convincente. In una certa fase evolutiva un animale, di una specie simile all’attuale gallina, fa nascere un uovo da cui si sviluppa, per un errore genetico, un individuo con caratteristiche relativamente nuove. Gli errori genetici, in genere, danno luogo ad animali “difettosi” che non riescono a sopravvivere. In questo caso, però, l’“errore” si rivela utile perché le caratteristiche nuove, rispetto a quelle dei suoi simili, lo rendono più adatto all’ambiente, per cui riesce a riprodursi di più e a diffondere e affermare i suoi caratteri. Certo un solo evento del genere non dà origine a una nuova specie, ma un accumularsi di mutamenti di questo tipo può consolidarsi e dare origine a un nuovo essere vivente che si riproduce solamente con altri che presentano le sue stesse caratteristiche. Andando indietro nel tempo, per milioni di anni, si vedrebbe che gli antenati della gallina somigliano sempre meno a questo animale, fino a trovare un essere che non è più un uccello, bensì un rettile. Infatti è probabile che tutti gli uccelli, galline comprese, discendano da dinosauri w arboricoli di piccole dimensioni. Se potessimo proseguire in questo viaggio nel tempo, dai rettili si arriverebbe agli anfibi, poi ai pesci, sino a giungere alle prime cellule comparse nella terra oltre 3,5 miliardi di anni fa. I meccanismi dell’evoluzione Quali sono i meccanismi che regolano l’evoluzione? L’esempio relativo alla nascita dell’uovo e della gallina ci fornisce un’idea di tali meccanismi. Vediamoli ora in modo più dettagliato seguendone anche lo sviluppo storico. Un meccanismo fondamentale che regola l’evoluzione è l’adattamento. L’adattamento è l’acquisizione da parte di un organismo di caratteristiche tali da porlo in condizione di essere più idoneo a vivere e riprodursi nel suo ambiente. nicchia ecologica il posto occupato da un organismo biologico dato dalle sue relazioni con l’ambiente circostante w 2 Secondo il naturalista Jean Baptiste Lamarck (1744-1829) le specie animali non sono fisse, come riteneva Linneo, ma si trasformano continuamente per adattarsi al loro ambiente naturale. Lo studioso illustra queste sue idee con l’esempio delle trasformazioni adattative che hanno dato origine alle giraffe. Secondo lo studioso, gli antenati di questo animale avevano il collo corto, in quanto erano abituati a brucare l’erba. La w nicchia ecolo- Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 LE BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO gica dove vivevano tali antenati offriva però le foglie degli alberi, situate in alto, come cibo particolarmente appetibile. Alcuni di questi animali si sono sforzati di allungare il collo per raggiungerle e cibarsene. I piccoli allungamenti del collo, acquisiti dagli antenati della giraffa durante la loro vita, sono stati trasmessi ai discendenti. Va specificato che, secondo Lamarck, solo una parte dei discendenti acquisisce tali caratteri dando origine alle giraffe, la parte restante continua a brucare l’erba originando altre specie di erbivori. La teoria di Lamarck si basa sull’idea che i caratteri acquisiti da un animale durante la propria vita possano essere trasmessi ai figli di generazione in generazione. Le scoperte della genetica dimostrano però che tale concezione è errata. La selezione naturale Un notevole progresso nella spiegazione dei meccanismi evolutivi si deve a Charles Darwin (1809-1882) e all’idea di selezione naturale. La selezione naturale è l’insieme dei processi che, all’interno di una popolazione (animale o vegetale), fa sì che gli individui che possiedono le caratteristiche più idonee alla sopravvivenza abbiano più probabilità di riprodursi. Nella competizione che si compie in natura, per procurarsi le risorse necessarie alla sopravvivenza e per difendersi dagli attacchi degli altri esseri viventi, gli individui più favoriti hanno maggiori probabilità di tramandare i loro w caratteri ereditari alle generazioni successive. Il naturalista Charles Darwin nel 1831 si imbarca sul brigantino Beagle per un viaggio intorno al mondo che dura cinque anni. Nella pampa osserva i resti fossili di animali molto diversi da quelli viventi. Nelle isole dell’arcipelago delle Galápagos osserva, invece, le differenze fra le specie affini viventi. Da queste osservazioni nasce l’idea di una lenta modificazione delle varie specie. Lo scienziato, inoltre, è colpito dalle variazioni presenti negli animali e nelle piante selezionate dagli allevatori e dagli agricoltori e ha l’idea che un simile meccanismo di selezione possa agire anche in natura. Lo studioso allora ipotizza che tra gli individui di una popolazione animale di una certa specie ci sia una competizione per la sopravvivenza. In genere nascono più individui di quanti possono sopravvivere con le risorse limitate dell’ambiente. In tale competizione soltanto una parte degli individui sopravvive e questo spiega perché gli animali che vivono in un certo territorio mantengono un numero stabile, nonostante l’alto numero di nascite. mano caratteri ereditari insieme degli aspetti fisici e comportamentali trasmessi dai genitori ai figli w omero radio ulna Uomo Talpa Leone Uccello Gli arti dei vertebrati derivano dalla trasformazione dello stesso tipo di ossa e le ossa corrispondenti sono dette omologhe. © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata 3 LE paleontologi scienziati che studiano i resti organici fossili w anatomia comparata scienza che studia e raffronta la forma e la struttura degli organismi, sia animali che vegetali w embriologia scienza che studia lo sviluppo degli organismi viventi partendo dalla fecondazione della cellula uovo fino alla formazione dell’organismo complesso w BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO Tutti gli individui appartenenti a una data specie nascono con differenze o varietà al loro interno (per riprendere l’esempio degli antenati delle giraffe, alcuni nascono con un collo più lungo). La comparsa di una variazione oppure di un’altra è determinata dal caso, ma soltanto gli individui che hanno le variazioni più adatte rispetto alle risorse dell’ambiente dove vivono riescono a sopravvivere e a riprodursi: in ciò consiste appunto la selezione naturale. Non è il singolo individuo che dà origine a una nuova specie, tuttavia i singoli nel loro insieme costituiscono una popolazione e questa nel suo complesso può evolversi perché, attraverso gli incroci, le variazioni favorevoli si accumulano nelle generazioni successive. Ciò determina un graduale cambiamento della popolazione, che permette, nel tempo, il sorgere di una nuova specie. Darwin ritiene l’evoluzione un processo graduale che richiede tempi molto lunghi. I resti trovati dai w paleontologi non sempre però risultano probatori di tale gradualità dell’evoluzione. Infatti, spesso mancano le forme intermedie, i cosiddetti “anelli mancanti”, che testimoniano il passaggio da una specie a un’altra. Gli studiosi americani Stephen J. Gould (1941-2002) e Niles Eldredge (1943) ipotizzano che in molti casi tali anelli mancanti non siano mai esistiti in quanto il processo evolutivo è caratterizzato sia da periodi pressoché stabili, sia da improvvisi squilibri che hanno dato origine, in tempi relativamente brevi, a specie nuove. Dopo Darwin altri studiosi osservano resti fossili di organismi vissuti in epoche remote che confermano l’universalità di questo fenomeno. Altre prove derivano dall’w anatomia comparata e dall’w embriologia. Come è illustrato dalla finestra 1, Il metodo sperimentale, vi sono anche delle prove sperimentali, per cui oggi tale teoria è ritenuta quasi universalmente un dato di fatto dalla comunità scientifica. FINESTRA 1 IL METODO SPERIMENTALE Il metodo sperimentale consiste in un intervento dello scienziato che crea le condizioni opportune per verificare se un certo fenomeno (denominato variabile indipendente in quanto manipolata dallo sperimentatore) influisce su un altro (denominato variabile dipendente in quanto è conseguenza dell’azione svolta dalla variabile indipendente). Per realizzare un esperimento vengono scelti due gruppi con caratteristiche analoghe, il gruppo sperimentale e il gruppo di controllo. Nel gruppo sperimentale lo scienziato fa agire la variabile indipendente, in quello di controllo non la fa agire. L’ipotesi è verificata confrontando i diversi risultati ottenuti 4 dal gruppo sperimentale e dal gruppo di controllo. In questa finestra riportiamo, come esempio di tale metodo, un duplice esperimento condotto da Henry Bernard Davis Kettlewell (19071977), considerato dallo scienziato una prova dei meccanismi della selezione naturale. Oggetto della ricerca dello studioso è la geometra betularia, una farfalla notturna che ha l’abitudine di sostare sul tronco delle betulle, alberi che hanno una corteccia chiara con piccole chiazze scure. Di questi lepidotteri se ne conoscono due tipi: il primo con ali chiare punteggiate di piccoli disegni neri, il secondo, che è una variante del primo, presenta ali scure. Prima Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata della rivoluzione industriale le betularie con le ali scure erano rarissime; un secolo dopo la rivoluzione diventano invece nettamente prevalenti e sono chiamate carbonarie. Lo scienziato è convinto che ciò sia da mettere in relazione con l’inquinamento atmosferico provocato dalle industrie: la fuliggine che va a coprire le cortecce impedisce la formazione dei licheni e rende più scuri i tronchi dei boschi di betulle. Così le farfalle chiare diventano facili prede degli uccelli che se ne cibano, mentre, prima, erano le farfalle scure sui tronchi chiari dei boschi non inquinati a essere maggiormente in pericolo. Per provare questa ipotesi il naturalista realizza i seguenti esperimenti. © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 LE Sono allevate quantità enormi di farfalle di entrambe le forme. Quando le pupe sono pressoché pronte a dischiudersi, vengono suddivise in due gruppi di ugual numero, composti ciascuno metà di farfalle chiare e metà di farfalle scure. Nel primo esperimento uno dei gruppi è introdotto in un bosco delle Midlands, un bosco inquinato, con i tronchi scuri, dove quasi tutte le geometra betularia sono carbonaria. Nel secondo esperimento l’altro gruppo è introdotto in un bosco del Dorset, un bosco non inquinato, con tronchi chiari, dove la carbonaria è rara e la forma tipica è abbondante. Tutte le farfalle introdotte nei due boschi sono contrassegnate con una macchiolina colorata sulla faccia inferiore delle ali, per essere riconoscibili dalla popolazione selvatica locale di farfalle. I soggetti dei due esperimenti sono lasciati sugli alberi, non più di un individuo per albero, per un giorno intero. Il giorno successivo, utilizzando luci notturne, sono catturate le farfalle dei due gruppi utilizzati per l’esperimento, scampate ai predatori. Nel bosco inquinato le farfalle sopravvissute scure sono circa il doppio delle sopravvissute chiare. Nel bosco non inquinato le farfalle sopravvissute chiare sono circa il doppio delle sopravvissute scure. Esaminiamo questi esperimenti in base alle loro caratteristiche metodologiche. Nel primo esperimento il colore scuro della corteccia delle betulle del bosco inquinato costituisce la variabile indipendente. Nel secondo esperimento il colore chiaro della corteccia delle betulle del bosco non inquinato costituisce la variabile indipendente. © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO In entrambi gli esperimenti, il tasso di sopravvivenza delle farfalle ai predatori dell’habitat in cui sono introdotte costituisce la variabile dipendente. L’ipotesi dello sperimentatore è che le farfalle che riescono a mimetizzarsi sulla corteccia, grazie al colore delle loro ali, sopravvivono in maggior numero all’azione dei predatori. Per verificare tale ipotesi il ricercatore si è servito di due gruppi: il gruppo sperimentale e il gruppo di controllo. Il gruppo sperimentale nel primo esperimento è costituito dalle farfalle scure. Il gruppo di controllo nel primo esperimento è costituito dalle farfalle chiare. Il gruppo sperimentale nel secondo esperimento è costituito dalle farfalle chiare. Il gruppo di controllo nel secondo esperimento è costituito dalle farfalle scure. La verifica dell’ipotesi è fatta, in entrambi gli esperimenti, confrontando il tasso di sopravvivenza ai predatori delle farfalle nel gruppo sperimentale e nel gruppo di controllo. Tale confronto evidenzia che le capacità mimetiche delle farfalle influenzano in modo molto significativo il loro tasso di sopravvivenza nei rispettivi ambienti. Le farfalle che riescono a sopravvivere in maggior numero hanno una più alta probabilità di trasmettere i loro caratteri ereditari (capacità mimetiche): in tal modo abbiamo una conferma sperimentale dei meccanismi della selezione naturale. Concludiamo con una notazione positiva: la costante diminuzione dell’inquinamento nei boschi inglesi ha riportato le betularie con le ali bianche a prevalere su quelle con le ali nere. lepidotteri ordine di insetti con quattro ali e una proboscide per succhiare, tra cui si annoverano le farfalle w lichene vegetale formato dall’associazione di un’alga con un fungo w pupa forma di passaggio dalla condizione di larva a quella d’insetto compiuto w tasso rapporto, espresso in termini numerici, tra due fenomeni in una data unità di tempo w Le carbonarie non riescono a mimetizzarsi sulle cortecce chiare e le betularie chiare sulle cortecce scure. Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata 5 LE BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO Evoluzione e mutazioni genetiche Un punto debole della teoria darwiniana, come delle altre teorie dell’evoluzione, era l’assenza di dati scientifici che spiegassero la comparsa casuale dei nuovi caratteri (variazioni) che danno origine a nuove specie. Questi dati scientifici sono ora forniti dai progressi della genetica. I genetisti, come vedremo, hanno scoperto negli ultimi decenni i meccanismi biochimici che sono alla base della trasmissione dei caratteri ereditari. Studiando il modo in cui avviene tale trasmissione, gli scienziati si sono accorti che, sia pure in casi molto rari, si verificano delle mutazioni, degli “errori” di copia spontanei, che provocano delle alterazioni di parti più meno piccole del patrimonio genetico che sarà ereditato da un nuovo individuo. Questi perciò nascerà leggermente diverso dai soggetti tipici della sua specie. In molti casi, specialmente se le mutazioni sono prodotte da agenti esterni quali le radiazioni e i virus, tali cambiamenti sono nocivi per il soggetto, in altri casi invece ne facilitano l’adattamento all’ambiente. In tale situazione il meccanismo della selezione naturale favorisce la riproduzione di tali individui e, quindi, una maggiore diffusione di tali cambiamenti. Dall’accumulo di tali errori “vantaggiosi” si formano le nuove specie. Vediamo ora più da vicino le scoperte della genetica. Le leggi di Mendel L’abate e naturalista boemo Johan Gregor Mendel (1822-1884) compie degli studi pionieristici sui meccanismi dell’ereditarietà, incrociando migliaia di piante appartenenti a varie specie, utilizzando in particolare alcune varietà di piselli. Mendel e i suoi contemporanei non conoscono la struttura della cellula che racchiude in sé i segreti dell’ereditarietà. Per questi motivi le scoperte di Mendel non vengono comprese, nonostante la loro validità. In base ai risultati ottenuti con gli incroci e basandosi su un calcolo probabilistico, l’abate formula l’ipotesi che, nel trasmettere una data caratteristica, gli esemplari di una coppia di piante (l’ipotesi si dimostra poi valida anche per gli animali) che s’incrociano siano entrambi portatori di due tipi di caratteri (caratteri che saranno poi chiamati dai biologi geni ). Essi sono il carattere dominante e il carattere recessivo (oggi queste due forme alternative del gene sono denominati alleli ). Ogni esemplare della coppia che s’incrocia può perciò presentare: 1. due caratteri dominanti, 2. due caratteri recessivi, 3. un carattere dominante e uno recessivo. I caratteri dominanti e recessivi sono responsabili di un determinato aspetto, per esempio il colore degli occhi. Quando il dominante e il recessivo sono presenti insieme, prevale il dominante. Se, a titolo di esempio, denominiamo dominante N il carattere responsabile degli occhi scuri, e recessivo n il carattere responsabile degli occhi chiari, il carattere dominante N prevale sul carattere recessivo n e determina la presenza nel figlio di occhi scuri. Abbiamo perciò tre leggi che regolano la trasmissione ereditaria. La prima legge di Mendel è quella dell’uniformità degli ibridi: se uniamo due esemplari puri, il primo con occhi scuri e portatore di due caratteri dominanti NN e il secondo con occhi chiari e portatore di due caratteri recessivi nn, avremo quattro ibridi Nn Nn Nn Nn, tutti con occhi scuri, in quanto prevale il carattere dominante N. La seconda legge è quella della disgiunzione dei caratteri: se uniamo i figli ibridi, le probabilità sono 25% di figli puri NN con occhi scuri, 50% di figli ibridi Nn con occhi scuri e 25% di figli puri nn con occhi chiari. 6 Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 LE BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO Caratteri dominanti e recessivi Prima legge di Mendel Uniformità degli ibridi della prima generazione. Seconda legge di Mendel Disgiunzione dei caratteri alla seconda generazione. La terza legge è quella della indipendenza dei caratteri: se incrociamo individui che differiscono per due o più caratteri (colore degli occhi, dei capelli, della pelle, forma del naso ecc.), ognuno di essi si comporta in modo indipendente dagli altri e segue la prima o la seconda legge di Mendel. Va però considerato che vi sono casi in cui più caratteri si trasmettono in blocco come fossero un solo carattere. Il DNA e la trasmissione genetica I risultati ottenuti da Mendel pongono le basi della genetica. Il loro significato diviene però più chiaro quando il progresso tecnologico consente agli scienziati di osservare il nucleo della cellula. Tale nucleo contiene delle strutture denominate cromosomi che si presentano a coppie analoghe, il cui numero, forma e grandezza sono costanti per ogni specie. Nell’uomo tali coppie sono 23, in tutto 46 cromosomi. I cromosomi sono portatori dei geni che contengono le informazioni necessarie al funzionamento dell’intero organismo e alla sua riproduzione. I geni sono segmenti di una molecola straordinariamente lunga, l’acido deossiribonucleico, in sigla DNA, portatore dell’informazione genetica. La molecola del DNA si struttura in due filamenti omologhi, avvolti a spirale l’uno intorno all’altro. Questi, nella fase di duplicazione della cellula, si separano come avviene in una cerniera lampo e danno origine, con un processo denominato mitosi, a due cellule con 46 cromosomi identici a quelli della cellula genitrice. La struttura del DNA è stata scoperta dal fisico e biologo inglese F. Crick (1916-2004) e dal biochimico statunitense J. D. Watson (Chicago, 1928). Il DNA codifica l’informazione genetica mediante uno speciale alfabeto formato da quattro basi chimiche: l’adenina, la timina, la citosina e la guanina. © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata 7 LE proteina combinazione di amminoacidi presente negli organismi animali e vegetali per i quali è indispensabile w BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO Queste sostanze funzionano come “lettere” che si dispongono insieme a tre a tre. Le triplette, che si combinano in innumerevoli modi, forniscono le informazioni che sono alla base della vita. Ciò avviene in modo assai complesso grazie a un altro acido, denominato RNA (acido ribonucleico), che funge da messaggero tra DNA e i ribosomi, strutture della cellula che fabbricano le w proteine. L’organismo adulto non contiene solo le cellule somatiche, con cui si formano i tessuti e gli organi del corpo, ma anche le cellule germinali che, prima della maturità sessuale, si riproducono come le somatiche. Quando l’organismo maturo sessualmente produce gli spermatozoi nell’uomo e gli ovuli nella donna, lo schema si modifica. Con un processo complesso denominato meiosi, la cellula germinale si divide in due cellule speciali denominate gameti. Lo spermatozoo è il gamete maschile e l’ovulo il gamete femminile. Ognuno di essi contiene solo un elemento delle 23 coppie dei cromosomi presenti nella cellula madre, in tutto, perciò, 23 cromosomi ciascuno. Con la fecondazione, poi, i gameti maschili e femminili si combinano a caso. Lo zigote, ossia la cellula uovo fecondata da cui si origina il nuovo individuo, pur ereditando i caratteri dai genitori, presenta un corredo genetico unico di 46 cromosomi, 23 materni e 23 paterni. Tale unicità del nuovo individuo è rafforzata dal processo chiamato crossing-over che comporta un’ulteriore ricombinazione di materiale genetico. Fanno eccezione a queste regole i gemelli, che hanno origine da un unico zigote e che sono geneticamente identici. genoma corredo dei geni presenti in un organismo w Negli ultimi decenni la genetica ha fatto degli enormi progressi. Mediante computer molto potenti è stato decodificato interamente il w genoma di molti esseri viventi. Nel 2005 è stato decodificato interamente anche il genoma dell’uomo. Tutto ciò apre prospettive, un tempo impensabili, per la comprensione dei meccanismi che sono alla base della formazione della vita e fa sperare che presto saremo in grado di diagnosticare e di curare malattie su cui oggi è difficile intervenire (come per esempio il cancro o demenze come il morbo d’Alzheimer). Già oggi, tramite le tecniche dell’ingegneria genetica, vengono isolati singoli tratti del DNA cellulare. Essi sono poi introdotti, dopo averli eventualmente modificati, nel DNA di cellule ospiti. In questo modo, per esempio, è stata prodotta un’insulina sintetica per curare i diabetici. Dalla modificazione di microrganismi geneticamente modificati si ricava anche l’interferone che è usato per la cura di alcune forme di leucemia e di tumore. Tramite l’ingegneria genetica è possibile far secernere a mucche o pecore latte contenente particolari proteine da cui ricavare anticoagulanti del sangue. Con la manipolazione delle cellule sono poi prodotti speciali anticorpi utilizzati per riconoscere molte malattie, per test di gravidanza e per individuare i diversi tipi di sangue. La genetica del comportamento La genetica del comportamento studia i rapporti che esistono tra i geni e il comportamento, compreso quello patologico. Gli individui che appartengono a una stessa specie hanno molti tratti in comune, ma presentano anche una notevole variabilità di comportamenti che dipende dall’interazione tra i fattori genetici e quelli ambientali. Alla nascita, tutti i neonati sono dotati di alcuni riflessi che permettono loro di rispondere agli stimoli ambientali e imparano ad adattarsi all’ambiente di vita. Ciono- 8 Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 LE BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO nostante, sin dai primi giorni di vita, essi si differenziano per una serie di fattori fisici quali l’altezza, il peso, la muscolatura o il colore degli occhi e dei capelli. Altre differenze riguardano tratti comportamentali, come le fasi di riposo e di attività, la forza e il ritmo con cui succhiano, la maggiore o minore tendenza a piangere, il tipo e la frequenza di esplorazione visiva dell’ambiente o il tipo di risposta a situazioni spiacevoli o che generano ansia. Una volta divenuti adulti, tali individui presentano personalità differenti e infine alcuni di loro, in fase precoce o negli anni successivi, possono presentare dei caratteri patologici. Come avviene tutto questo? La genetica del comportamento cerca le prime risposte a questi interrogativi soprattutto osservando le differenze tra i gemelli monozigoti (identici) e bizigoti (non identici). schizofrenia grave disturbo psichico cartterizzato da un’alterazione profonda del rapporto con la realtà, con gravi disordini emotivi, cognitivi e motori w I dati ottenuti con questo metodo, anche se abbastanza controversi, hanno confermato l’influenza sia dei fattori ereditari sia dei fattori ambientali, in caratteristiche generali quali l’intelligenza, ma anche in malattie quali la w schizofrenia. William Quinn, biologo dell’Università di Princeton, negli USA, per individuare i processi biochimici di natura genetica che regolano l’apprendimento, ha realizzato un esperimento con i moscerini della frutta. Lo scienziato ha insegnato a questi insetti a riconoscere il diverso odore piacevole emanato da due tubi di vetro. Uno dei tubi è però rivestito di filamenti elettrici che producono una scossa. Ai moscerini che sono in grado di imparare a riconoscere dall’odore il tubo pericoloso viene somministrata una sostanza mutagena. I loro figli, per lo più, muoiono. I sopravvissuti vengono sottoposti alla prova di apprendimento fino a che si trova qualcuno che, pur reagendo alla scossa, non è in grado di associare a essa l’odore. Vengono poi confrontati i moscerini “stupidi” con i loro genitori. In tal modo gli scienziati hanno formato cinque razze di moscerini incapaci di apprendere e hanno individuato in tali specie mutanti delle alterazioni a livello della biochimica cerebrale. I progressi della genetica consentono oggi di decodificare le informazioni presenti nei geni e di stabilire correlazioni tra geni, eventi biochimici a livello dei neuroni e comportamenti diversi. Per esempio alcuni scienziati hanno di recente identificato un “marcatore”, ossia hanno descritto la sequenza di informazioni che, a livello di un frammento del DNA, è responsabile della codificazione del recettore della dopamina, un w neurotrasmettitore che agisce nelle zone del cervello che controllano le sensazioni di piacere (come quelle sessuali e quelle derivate dall’uso di sostanze stupefacenti). Negli individui dipendenti da alcol o eroina questi marcatori sono presenti in eccesso e hanno alcune particolarità anomale. Va specificato che i geni in sé agiscono sulla biochimica del cervello e non sui comportamenti, le emozioni e i pensieri. I fattori biochimici creano delle predisposizioni comportamentali su cui agiscono numerose influenze ambientali. Queste ultime, a loro volta, agendo sulle emozioni e i pensieri dell’individuo, necessariamente influenzano anche i processi biochimici del suo cervello. L’influenza dei geni e dell’ambiente è di natura molto complessa. Infatti è abbastanza raro che un determinato carattere dipenda dall’azione di un solo gene: questo avviene perlopiù per alcune caratteristiche fisiche (per esempio il colore degli occhi) e alcune patologie (come l’emofilia, grave malattia che impedisce la coagulazione del sangue). Nella maggior parte dei casi i caratteri ereditari dipendono dall’azione combinata di più geni. L’azione dell’ambiente deriva da fattori generali, determinabili attraverso la ricerca statistica, come l’istruzione media della famiglia del soggetto studiato, l’attività dei ge- © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 neurotrasmettitore sostanza chimica prodotta a livello delle terminazioni nervose w Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata 9 LE BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO nitori ecc. Oltre a tali fattori, si ha l’influenza, assai importante, delle relazioni che si intrecciano tra le varie persone. Così i gemelli monozigoti (con lo stesso patrimonio genetico), anche se condividono lo stesso ambiente familiare, vivono ognuno relazioni diverse con le varie persone della famiglia. Per i caratteri complessi (come l’intelligenza o altri fattori della personalità) non è possibile separare l’azione dell’ambiente da quella dei geni. I geni predispongono l’azione dell’ambiente e l’ambiente innesca, a sua volta, l’azione dei geni: abbiamo quindi un processo causale reciproco. 2 L’evoluzione e la struttura del cervello La struttura biologica che dirige la complessa “macchina” umana è il sistema nervoso centrale che si suddivide in midollo spinale ed encefalo. L’encefalo è, a sua volta, composto dal cervello e dal cervelletto. Il cervello è composto da varie parti, ognuna delle quali con delle funzioni particolari. Tali parti sono il risultato di una lenta evoluzione delle varie specie animali: da quelle dotate di un sistema nervoso relativamente semplice (per esempio i pesci) fino all’uomo. Il cervello dell’uomo, in un certo senso, comprende e racchiude in sé l’evoluzione del cervello delle altre specie. Alcune parti del cervello sono molto antiche e presiedono agli istinti primitivi di sopravvivenza (fame, sete, sonno, aggressività, riproduzione). Altre, sviluppatesi in tempi successivi, permettono la comparsa delle emozioni; la parte più recente è sede di apprendimenti complessi. In linea generale il volume del cervello varia con le dimensioni dell’animale, per esempio quello della balena è più voluminoso di quello umano e l’uomo ha un cervello più grande del gatto. Nelle diverse specie animali la complessità del cervello è individuabile dal rapporto esistente tra la parte più recente del cervello (corteccia cerebrale) e quella più antica (paleoencefalo). Nelle specie più evolute la parte più recente è maggiormente sviluppata e svolge un ruolo più importante rispetto a quelle meno evolute. Il cervello è composto da miliardi di cellule nervose che, attraverso complessi processi biochimici, stabiliscono tra loro una rete di comunicazione infinitamente grande. Analizziamo ora sinteticamente le varie funzioni del midollo spinale e dell’encefalo. Quest’ultimo si suddivide in midollo allungato, ponte, talamo, cervelletto, formazione reticolare, paleoencefalo e corteccia cerebrale. n Midollo spinale. È situato nella spina dorsale ed è composto da una serie di segmenti che trasmettono, tramite i nervi, gli impulsi nervosi ai muscoli che governano il movimento degli organi periferici, come le braccia e le gambe. Il midollo spinale, inoltre, riceve dalla pelle del corpo le sensazioni tattili e le sensazioni dolorose che, attraverso il midollo allungato e il talamo, sono trasmesse e smistate alla parte sinistra o destra del cervello. n Midollo allungato e ponte. Il midollo allungato è una continuazione del midollo spinale e, insieme al ponte, è il luogo dove le fibre che trasmettono gli impulsi motori e quelle che trasmettono le sensazioni si incontrano per essere inviate e smi10 Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 LE BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO IL SISTEMA NERVOSO CENTRALE Paleoencefalo n È la parte più antica del cervello. n Si è evoluto da strutture che ritroviamo oggi nel cervello dei rettili. n È situato sotto lo strato più interno del cervello. n È responsabile delle reazioni emotive. Corteccia cerebrale n È la parte più esterna e di più recente evoluzione del cervello. n La sua forma può essere paragonata al cappello di un fungo che copre le parti sottostanti. n È responsabile delle attività mentali più complesse (azioni volontarie, ricordi, risoluzione di problemi, decisioni). Talamo n È situato sotto la corteccia e a contatto con l’ipotalamo. n Costituisce una “stazione intermedia” di smistamento delle informazioni che arrivano e che provengono dalla corteccia cerebrale. Formazione reticolare n È situata nella parte profonda del tronco dell’encefalo. n È un potente centro che tiene vigile l’attenzione e regola il ritmo del sonno e della veglia. Midollo allungato e ponte n Il midollo allungato è una continuazione del midollo spinale. n Insieme al ponte, è il luogo dove le fibre che trasmettono gli impulsi motori e quelle che raccolgono i segnali dell’ambiente esterno si incontrano per essere inviate e smistate, attraverso il talamo, al cervello. n Queste aree esercitano anche un controllo sulla respirazione, sull’alimentazione (masticazione, deglutizione e salivazione), e sul funzionamento del cuore. © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 Cervelletto n È situato in prossimità della nuca. n È responsabile del tono muscolare, dell’equilibrio del corpo e della coordinazione dei movimenti volontari. Midollo spinale n È collocato all’interno della spina dorsale. n Costituisce la “via di conduzione” degli impulsi sensori e motori. n È composto da una serie di segmenti che trasmettono, tramite i nervi, gli impulsi nervosi ai muscoli che governano il movimento degli organi periferici, come le braccia e le gambe. n Inoltre, riceve dai recettori sensoriali sparsi nella pelle le sensazioni tattili e le sensazioni dolorose che, attraverso il midollo allungato e il talamo, vengono trasmesse e smistate alla parte sinistra o destra del cervello. Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata 11 LE n n n n BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO state, attraverso il talamo, al cervello. Queste aree esercitano anche un controllo sulla respirazione, sull’alimentazione (masticazione, deglutizione e salivazione) e sul funzionamento del cuore. Talamo. Il talamo, situato sotto la corteccia e a contatto con l’ipotalamo, è una stazione di smistamento delle informazioni che arrivano alla corteccia cerebrale e che provengono dalla corteccia cerebrale. Cervelletto. Situato in prossimità della nuca, è fondamentale per la coordinazione dei movimenti, per il controllo dei muscoli e per il mantenimento dell’equilibrio. Formazione reticolare. La formazione reticolare è situata nella parte profonda del tronco dell’encefalo. È un potente centro che tiene vigile l’attenzione e regola il ritmo del sonno e della veglia. Paleoencefalo. Detto anche”cervello antico”, deriva dal cervello dei rettili ed è situato sotto lo strato più interno del cervello, al di sotto della corteccia cerebrale. È costituito da un insieme di nuclei cerebrali profondi, che i biologi chiamano sistema limbico, e dall’ipotalamo. Il sistema limbico svolge un ruolo importante nelle emozioni, nelle pulsioni e nei comportamenti istintivi. È in tale sistema che hanno origine la paura, l’aggressività, l’euforia del benessere, IL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO Parasimpatico Iride, cuore, polmoni, stomaco e altri organi digestivi Porzione Porzione sacrale lombare Porzione toracica Simpatico Iride, cuore, polmoni, ghiandole salivari SIMPATICO PARASIMPATICO Il sistema nervoso autonomo è composto da due strutture nervose che fiancheggiano la colonna vertebrale: il sistema nervoso simpatico, che ha un’azione eccitante, e il sistema nervoso parasimpatico, che invece favorisce il recupero e opera in genere negli stati di quiete. Queste due strutture controllano il funzionamento di organi interni come il cuore, il fegato, lo stomaco, i reni e gli intestini. Sono poi responsabili delle manifestazioni fisiologiche (battito cardiaco accelerato, sudorazione, rossore ecc.) che accompagnano le emozioni. Gangli del simpatico 12 Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata Simpatico Fegato, stomaco, pancreas, intestini, surrenali, reni Simpatico Vescica, intestini, organi genitali Simpatico Vasi sanguigni, ghiandole sudoripare, follicoli piliferi Parasimpatico Vescica, colon, retto e organi genitali © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 LE BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO la tristezza e l’angoscia. Gli aspetti emotivi del comportamento sono poi mediati e controllati dalla corteccia cerebrale. Una famosa dimostrazione del ruolo di mediazione della corteccia è il caso di Phineas Gage, un artificiere che nel 1848, a causa di un incidente, subì una lesione nella corteccia frontale. Gage, che era conosciuto da tutti come un brav’uomo, dopo l’infortunio divenne una persona irresponsabile e aggressiva. Il sistema limbico svolge anche un ruolo nei processi relativi alla memoria. Una struttura di tale sistema, l’ippocampo, svolge un ruolo importante nell’organizzazione iniziale della memoria che si completa successivamente nelle aree associative del cervello. Il sistema limbico, inoltre, svolge un ruolo importante nel collegare le emozioni agli eventi che verranno poi fissati nella memoria. Anche l’olfatto e il gusto sono collegati alle aree cerebrali del sistema limbico e questo potrebbe spiegare l’effetto particolare che determinati odori e sapori hanno nel risvegliare i ricordi dell’infanzia. Fa parte del paleoncefalo anche l’ipotalamo che interviene nelle funzioni vitali del sonno e della veglia, regola la temperatura corporea, i meccanismi relativi alla fame e alla sete e agisce sul comportamento sessuale stimolando la ghiandola dell’ipofisi che, a sua volta, stimola le ghiandole sessuali (gonadi) a produrre ormoni. L’ipotalamo ha un ruolo nella percezione delle emozioni in quanto, in stretta connessione con il sistema limbico, agisce sul sistema nervoso autonomo. La soddisfazione dei bisogni (fame, sete, bisogni sessuali) provoca piacere e l’ipotalamo è collegato ai centri del piacere. n Corteccia cerebrale. È la parte più esterna del cervello. È responsabile delle attività mentali più complesse (vedi il paragrafo 4): registra le sensazioni, immagazzina i ricordi, è la parte coinvolta quando si prendono decisioni o si compiono azioni volontarie. 3 Cervello e comportamento La corteccia cerebrale e le sue funzioni Ognuno dei due La corteccia cerebrale è la parte più evoluta del cervello e, come abbiamo visto, svol- emisferi cerebrali è ge le funzioni più complesse del sistema nervoso. Essa presiede alla pianificazione del- suddiviso in quattro le azioni e alla risoluzione dei problemi. Inoltre è in grado di controllare e reprimere lobi: frontale, temporale, parietale gli schemi di comportamento del paleoencefalo (per esempio, quando si controllano e occipitale. reazioni violente provocate da uno stato di collera). La corteccia di entrambi gli emisferi cerebrali è divisa in quattro lobi che comprendono più aree con funzioni diverse: lobo frontale, lobo Lobo temporale, lobo parietale e lobo occipitale. Lobo temporale I mammiferi più evoluti, oltre alle aree sensitive e motrici (adibite frontale all’elaborazione delle informazioni relative alle sensazioni e ai moLobo vimenti), hanno ampie zone della corteccia, definite aree associatioccipitale Lobo ve, adibite a compiti complessi. Nell’uomo le aree associative occupaparietale no la maggior parte della corteccia cerebrale. Alla corteccia cerebrale giungono le informazioni visive, acustiche, olfattive, gustative, tattili e dolorose. Gran parte di tali informazioni è prima smistata dal © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata 13 LE Motoria Associativa Olfattiva Le aree della corteccia cerebrale. BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO talamo, una “stazione” situata sotto la corteccia e a contatto con l’ipotalamo. Associativa Nel cervello vi è una “rappresentazione” completa del nostro corpo, che permette di localizzare gli stimoli tatVisiva tili. Tali rappresentazioni si formano in aree corticali di varia grandezza. Nell’uomo sono particolarmente numerosi i neuroni (cellule nervose) che localizzano la testa e la mano. Se si costruisse una figura umana in proporzione alla superficie di queste aree si otterrebbe un’immagine del Uditiva tutto sproporzionata rispetto alla realtà (vedi la figura rappresentante l’omuncolo sensitivo). I muscoli, che permettono il movimento, sono pure controllati da aree motrici di varia grandezza, per cui un’analoga rappresentazione esiste anche per i movimenti del corpo e delle sue varie parti (vedi la figura rappresentante l’omuncolo motorio). Le due aree, sensitiva e motrice, sono tra loro associate attraverso specifici circuiti nervosi. Basandosi sul modello dell’omuncolo nel 1998 il neuroscienziato americano, di origine indiana, Vilaynaur S. Ramachandran (Tamil Nadu, India, 1951) e il filosofo americano William Hirstein sono riusciti a dare una spiegazione plausibile del cosiddetto fenomeno dell’arto fantasma. Dopo l’amputazione di un arto, i pazienti possono continuare a percepire come presente l’estremità che è stata amputata, sentirvi dolore e avvertire anche le relazioni spaziali che esso ha con le altre parti del corpo. Tale fenomeno, quasi sempre presente nei giorni immediatamente dopo l’asportazione, sparisce poi gradatamente, anche se si riscontrano casi in cui dura per anni. Il modello dell’omunculo, oltre all’estensione delle aree, rappresenta anche la loro disposizione. Le aree specifiche della mano e del volto sono tra loro molto vicine e Somatica L’omuncolo sensitivo. 14 Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata L’omuncolo motorio. © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 LE BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO così è per la loro rappresentazione (vedi le figure degli omuncoli). Può così verificarsi che l’area corticale, che prima dell’amputazione rispondeva alle sensazioni provenienti dalla mano, dopo l’intervento risponda a quelle provenienti dal volto. Infatti, se si mette un cubetto di ghiaccio sul volto di una persona a cui è stata amputata una mano, il contatto provoca in lei una sensazione di freddo nell’arto mancante. Cervello destro e cervello sinistro Come l’uomo ha due mani, due occhi, due orecchie o due reni, così ha anche due cervelli. Il cervello, infatti, è un organo doppio, formato da due emisferi di struttura analoga e tra loro connessi da un ampio fascio di fibre nervose, chiamato corpo calloso. L’emisfero sinistro controlla la parte destra del corpo e l’emisfero destro la parte sinistra del corpo. Le informazioni elaborate dai due emisferi non rimangono però separate in quanto esiste un sufficiente collegamento tra le due strutture attraverso le fibre del corpo calloso. In situazioni particolari gli scienziati hanno potuto studiare il funzionamento separato dei due emisferi cerebrali (vedi il paragrafo successivo, le neuroscienze). La simmetria dei due cervelli non è rigorosa: inizialmente esiste nel neonato una certa “plasticità” dei due emisferi e solo in seguito si specializzano nelle loro funzioni. Negli individui con la mano destra dominante, l’encefalo sinistro controlla la parte destra del corpo, mentre l’encefalo destro controlla la parte sinistra del corpo. L’inverso avviene per i mancini. Un disturbo molto studiato di recente, in relazione alla specializzazione dei due emisferi, è il fenomeno del neglect visuospaziale. Il neglect visuospaziale è dovuto a una lesione cerebrale, in genere nell’area parietale inferiore dell’emisfero destro, e consiste nell’inabilità, totale o parziale, a individuare gli stimoli provenienti dalla parte opposta alla sede della lesione. I pazienti affetti da neglect non percepiscono lo spazio sinistro, se la lesione è posta nell’emisfero destro. Non percepiscono quello destro se la lesione è posta nell’emisfero sinistro. Camminando urtano le pareti collocate dalla parte per loro invisibile. A tavola non mangiano la porzione di cibo che si trova su tale lato del piatto. Per i soggetti affetti da questa patologia è come se una parte del mondo non esistesse. Secondo il modello proposto dal neuropsicologo americano Kenneth M. Heilman (New York, 1938) la sindrome di neglect è dovuta alla diminuita attivazione dei processi relativi all’attenzione. La lesione cerebrale provocherebbe il danneggiamento del circuito di attivazione cortico-reticolare dell’emisfero leso. Se la lesione parietale si manifesta nell’encefalo destro, essa è maggiormente persistente nel tempo (fino al 50% dei casi a due mesi di distanza dal trauma, contro il 15% nel caso di lesione nell’encefalo sinistro). Tale fenomeno è spiegato dal neuropsicologo statunitense e dai suoi collaboratori in base all’ipotesi che, mentre l’emisfero sinistro controlla il solo spazio destro, l’emisfero destro controllerebbe, oltre allo spazio sinistro, in una certa misura anche lo spazio destro, riuscendo talora a compensare il deficit. In base ad altre ricerche, la sindrome di neglect, anche nei casi più gravi, non comporterebbe una completa mancanza di cognizioni dell’area spaziale interessata. Due neuropsicologi inglesi, John Marshall e Peter Halligan, nel 1988 hanno scoperto, mediante alcuni esperimenti ingegnosi, che i pazienti con neglect sono inconsapevoli di una © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata 15 LE BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO parte del mondo ma, in qualche modo, apprendono lo stesso qualcosa su di essa. In un esperimento i due studiosi mostrano a una loro paziente il disegno schematico di due case identiche: una delle due, però, presenta nella zona sinistra delle fiamme che escono da una finestra. Interrogata, la paziente le giudica identiche. Alla domanda in quale casa preferirebbe vivere, però, la paziente indica la casa dove non ci sono fiamme, nonostante non sappia spiegare il motivo della sua risposta. Questo esperimento fa ipotizzare l’esistenza in tali pazienti di un’elaborazione implicita delle informazioni presenti nello spazio “negletto”. Vediamo ora le funzioni specifiche dei due emisferi. Nell’esperimento di Marshall e Halligan, il paziente affetto da neglect indica di preferire di vivere nella casa senza fiamme, pur non riuscendo a spiegare perché. Nell’emisfero sinistro del soggetto non mancino vi sono due aree importanti che controllano il linguaggio verbale, nel soggetto mancino tali aree sono nell’emisfero destro. La prima di tali aree, scoperta dal chirurgo francese Paul Broca (18241880), denominata “area di Broca”, corrisponde alla parte inferiore del lobo frontale e consente di articolare il linguaggio. I soggetti che presentano delle lesioni nell’area di Broca, pur comprendendo il linguaggio e, nonostante che abbiano i muscoli della bocca, della lingua e della laringe intatti, non sanno trasformare le idee in parole. In loro manca la “memoria” dei movimenti necessari per articolare le parole. Tale disturbo è definito afasia motoria. Nelle scimmie esiste solo un’area arcaica, che non corrisponde a quella umana, che permette a tali animali di produrre delle vocalizzazioni istintive. Nell’uomo, invece, l’area di Broca consente di eseguire i movimenti necessari per articolare il linguaggio. La seconda area responsabile del linguaggio è localizzata dal neuropsichiatra tedesco Carl Wernicke (1848-1905) in una zona della corteccia temporale. Tale zona, denominata “area di Wernicke”, è fondamentale per l’ideazione delle parole e per la comprensione del loro significato. Una lesione nell’area di Wernicke crea un’afasia sensoriale: il soggetto non capisce il significato delle parole e, pur riuscendo ad articolare il linguaggio, parla in modo sconclusionato, con ripetizioni e senza riuscire a dare ordine alle parole stesse. Nell’emisfero destro la musica e i rumori sono analizzati meglio che nell’emisfero sinistro. Le informazioni visive sono analizzate sia nel lobo occipitale (il lobo corrispondente alla zona posteriore del cervello) sinistro, sia nel lobo occipitale destro, ma quello sinistro è specializzato nella scrittura, quello destro nel riconoscimento delle figure e delle forme. Emisfero sinistro Emisfero destro Il cervello è diviso in due emisferi, ognuno dei quali controlla la parte opposta del corpo. 16 Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata Area di Broca Area di Wernicke Le aree di Broca e di Wernicke. © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 LE BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO Gli impulsi in arrivo dalle varie aree specializzate in funzioni particolari sono ritrasmessi tramite le numerose connessioni in tutto il cervello dove sono poi immagazzinati. Il cervello è una struttura organizzata che funziona in modo unitario. Le neuroscienze Le neuroscienze sono un insieme di discipline che, in stretta connessione tra loro, studiano il cervello e il sistema nervoso degli organismi viventi a livello w molecolare, w biochimico e genetico. Lo scopo delle neuroscienze è scoprire la base biologica delle varie espressioni mentali e dei comportamenti negli animali e nell’uomo. Oggi è possibile, grazie al progresso scientifico e tecnologico, studiare le singole cellule nervose e i loro collegamenti a livello della struttura delle singole molecole. È possibile individuare così i processi biochimici che sono alla base di emozioni, pensieri e comportamenti. In particolare sono state scoperte le sostanze chimiche che consentono il passaggio dell’impulso nervoso da neurone a neurone: questi “messaggeri”, denominati neurotrasmettitori, inviano le informazioni che costituiscono la base biologica dei fenomeni mentali connessi ai comportamenti umani. I primi studi nel campo delle neuroscienze hanno riguardato le lesioni cerebrali e i loro effetti, gli interventi di neurochirurgia, la stimolazione elettrica dei neuroni. Un esempio di tale tipo di ricerche è il lavoro di Roger Wolcott Sperry (1913-1994), un neurofisiologo del Californian Institute of Technology. Lo scienziato ha avuto modo di studiare dei pazienti ai quali, a causa di gravi patologie cerebrali non curabili in altro modo, è stato tagliato, con un intervento chirurgico, il corpo calloso che tiene uniti i due emisferi cerebrali. In tal modo Sperry ha potuto indagare sulla diversa specializzazione dei due emisferi, che in tali pazienti funzionavano separatamente, in modo indipendente, come se avessero “due coscienze” anziché una. In tempi più recenti tecnologie sofisticate hanno permesso di osservare l’attività cerebrale in modo non invasivo, “fotografando” il cervello mentre pensa, prova emozioni, ricorda, compie operazioni aritmetiche, fa uso del linguaggio verbale. La più nota di tali tecniche è la tomografia a emissione di positroni (PET) che funziona più o meno in questo modo: gli scienziati utilizzano del glucosio (uno zucchero che serve da combustibile per le cellule), che viene “marcato” con radiazioni e iniettato nel sangue di volontari. Speciali sensori che circondano la testa del soggetto riescono a “vedere” nel suo cervello le attività delle cellule più impegnate, mentre parla, scrive e compie altre operazioni mentali. In tali aree, infatti, affluisce più sangue ed è bruciato più “combustibile”. Il computer “traduce” tutto questo in immagini colorate del cervello dove le zone più attive metabolicamente appaiono rosse e gialle. Un’altra tecnica è costituita dalla risonanza magnetica che agisce sugli atomi dell’idrogeno presente nell’acqua delle cellule nervose. Tali atomi assumono movimenti e posizioni diverse che, analizzate ed elaborate dal computer, sono trasformate in immagini da cui possono essere dedotte sia le attività sia le patologie cerebrali. Queste tecniche sono usate in medicina per indagare le alterazioni nella struttura e nel funzionamento del cervello. Gli scienziati le utilizzano anche per disegnare la “mappa” delle varie funzioni cerebrali così come si manifestano nel loro funzionamento normale. Nei prossimi moduli citeremo molti di tali lavori. © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 molecolare relativo alle molecole, le parti più piccole di un composto chimico w biochimico che riguarda i processi chimici che avvengono negli esseri viventi w Immagine PET del cervello. Luigi D’Isa, Franca Foschini - Corso di psicologia generale e applicata 17