Il Quarantotto 1. Cause di una rivoluzione Una crisi di tipo nuovo

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Il Quarantotto
1. Cause di una rivoluzione
Una crisi di tipo nuovo
Intorno alla metà del 1800 una serie di ondate rivoluzionarie in Europa fece crollare
l’ordine della Restaurazione. Occorre comprendere il legame tra situazione socio-economica e
vicende politiche.
a) una congiuntura negativa attraversò l’economia europea nel biennio 1846-47. Le cause
vanno rintracciate nello stato arretrato dell’agricoltura rispetto all’industria. Due cattivi
raccolti e una diffusa malattia della patata portarono a una scarsità di prodotti agricoli in
tutta Europa.
b) la crisi agricola determinò un impoverimento generalizzato dei ceti meno abbienti.
c) le industrie manifatturiere non riuscirono a vendere i loro prodotti, che rimasero nei
magazzini.
Si tratta di una crisi di tipo nuovo: crisi di sovrapproduzione, determinata dallo scarto tra le elevate
capacità produttive del sistema industriale e le scarse capacità di assorbimento del mercato.
Effetti: aumento della disoccupazione e ulteriore riduzione dei consumi.
Le contraddizioni dello sviluppo economico
La crisi fu aggravata dalla speculazione di coloro che, convinti di realizzare grandi profitti,
acquistarono prodotti agricoli all’estero per approfittare del rialzo dei prezzi europei. Tali prodotti
però rimasero invenduti e l’effetto fu una ulteriore perdita di capitali.
La crisi economica fu però soltanto la causa occasionale dei moti rivoluzionari. La ragione
profonda va individuata nei forti squilibri sociali derivanti dalle contraddizioni dello sviluppo
industriale:
si iniziò a produrre più di quanto si poteva consumare.
L’industria europea, infatti, si era sviluppata a spese di una massa di operai sottopagati e non
tutelati. Questi, pertanto, non potevano trasformarsi in una massa di consumatori. Pertanto, la
grande produzione industriale di massa non aveva un adeguato mercato di massa.
Vecchi e nuovi contrasti sociali
I nuovi contrasti sociali prodotti da questa situazione furono quelli incentrati sulla
“questione sociale”, ossia sulla progressiva consapevolezza di classe del ceto proletario. Alle
rivoluzioni del 1848 parteciparono, per la prima volta, larghe componenti operaie e popolari.
I vecchi contrasti sociali erano quelli tra borghesia e aristocrazia, che si erano
momentaneamente allentati con la Restaurazione. Già con i moti del 1820 e 1830, tuttavia, tali
conflitti erano riesplosi e, nel 1848, trovarono il loro culmine.
2. La rivoluzione parigina
La crisi della monarchia orleanista
Ricorda: Intorno al 1830, il re borbone Carlo X, clericale e reazionario, cercò di restaurare
un potere autoritario in Francia, abolendo le garanzie liberali previste dalla costituzione del
1814 (concessa da Luigi XVIII). Ma tale operazione risultava ormai anacronistica ed
estranea al nuovo clima politico ed economico. I gruppi borghesi e il proletariato parigino
insorsero e, combattendo fianco a fianco, riuscirono, nel luglio 1830, a destituire il re. I
borghesi, però, temendo una rivoluzione popolare, candidarono al trono Luigi Filippo
d’Orleans, esponente di un ramo collaterale dei borboni, il quale il 31 luglio venne
proclamato “re dei francesi”. Il nuovo re accettò la carta del 1814, ma vi apportò delle
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profonde modifiche che limitarono l’accesso della bassa borghesia alle istituzioni,
mantenendo un precario equilibrio tra vecchie classi aristocratiche e grandi magnati della
borghesia industriale e finanziaria.
Tra il 1845 e il 1847, due cattivi raccolti e una crisi generale dell’industria e del commercio
acutizzarono i contrasti tra borghesia e aristocrazia. L’equilibrio sul quale si era costituita la
monarchia orleanista e le classi borghesi cominciarono a rivendicare maggiori spazi politici. Alla
crisi interna si aggiunsero difficoltà in politica estera legate alle vicende dell’impero turco in Egitto,
che portarono la Francia sull’orlo di una guerra con l’Inghilterra. Il prestigio della monarchia ne
risentì negativamente.
La rivoluzione di febbraio: Parigi insorge
Il 23 febbraio 1848 una manifestazione fu repressa dall’esercito e ciò portò all’insurrezione
di Parigi. Il potere orleanista cadde quasi subito, confermando che ormai si trattava di un corpo
politico separato dalla nazione.
Il governo provvisorio, con forte componente socialista, proclamò la repubblica,
introducendo il suffragio universale maschile, l’abolizione della schiavitù nelle colonie, la giornata
lavorativa di dieci ore e la garanzia del diritto al lavoro. Furono istituiti gli opifici nazionali sul
modello propugnato da Blanc.
3. La rivoluzione europea
La propagazione dei moti nell’Impero austriaco e nella Confederazione germanica
I moti francesi si propagarono subito nell’Impero austriaco e nella Confederazione
germanica, dove incontrarono le rivendicazioni nazionaliste e indipendentistiche.
Il 13 marzo 1848 una rivolta a Vienna portò alla caduta di Metternich e l’imperatore
Ferdinando fu costretto a proclamare una costituzione.
Il 15 marzo insorsero Praga e Budapest; il 17 venne proclamata la repubblica veneta; il 18
marzo a Milano scoppiarono le “cinque giornate” insurrezionali.
Il 17 marzo insorse anche Berlino, dove il re di Prussia fu costretto a convocare
un’assemblea costituente.
Contrasti politici nell’Europa della rivoluzione
I nuovi organismi provvisori sorti in seguito alle rivoluzioni del 1848 erano tuttavia lacerati
da profonde divisioni interne. C’erano tendenze liberal-costituzionali, tendenze nazionalistiche e
correnti più radicalmente democratiche e socialiste. Fino a che punto la borghesia costituzionale
austriaca era disposta, ad esempio, ad accettare l’indipendenza delle regioni periferiche del regno?
E fino a che punto gli ideali liberali si conciliavano con le rivendicazioni delle classi proletarie?
4. Il Quarantotto in Italia
L’idea dell’unità nazionale
Il fallimento dei moti del 1821 e 1831 portò alla scomparsa della Carboneria e a un nuovo
tipo di organizzazione politica del movimento patriottico.
Tra i liberali cominciò a farsi strada l’idea di una unità nazionale, portata avanti dalle classi
medie borghesi, che si stavano rendendo conto della necessità di un mercato unico nazionale.
Tra gli intellettuali emerse la questione della realizzazione politica di tale unità.
Vincenzo Gioberti auspicava una confederazione di stati italiani sotto la guida del papa.
Cesare Balbo considerava l’indipendenza più importante dell’unità e, condividendo la
confederazione di Gioberti, proponeva però che alla guida di essa vi fossero i Savoia.
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Giuseppe Mazzini e la Giovine Italia
Accanto ai moderati Gioberti e Balbo vi erano intellettuali più radicali che intendevano il
“risorgimento” nazionale come azione di tutto il popolo.
Giuseppe Mazzini, dopo una lunga militanza carbonara, nel 1831 fondò la Giovine Italia,
dotata di un programma politico esplicito e pubblico (non segreto), basato sull’idea della libertà del
popolo.
Il fallimento dei moti insurrezionali
La Giovine Italia si fece promotrice di un’intensa attività insurrezionale, in Piemonte e
Liguria, che si concluse però con una serie di arresti e con l’esilio di Mazzini a Londra. Sulla scia
delle idee di Mazzini, i fratelli Bandiera nel 1844 tentarono di far insorgere i contadini calabresi,
ma morirono fucilati.
Agli inizi degli anni quaranta, perciò, si erano delineate due correnti ben distinte del
movimento patriottico italiano: quella radicale (democratica) mazziniana e quella moderata
(liberale) che mirava alla monarchia costituzionale.
L’apertura di Pio IX e il riformismo liberale
L’elezione di Pio IX portò a una serie di riforme di ispirazione liberale nello Stato
Pontificio. Lo stesso accadde in Piemonte e Toscana.
Nel Regno delle Due Sicilie, a Palermo, un mese prima della rivolta di Parigi, il popolo
insorse e il sovrano concesse la costituzione. L’eco di tali eventi arrivò a Torino, dove Carlo
Alberto (divenuto re nel 1831, alla morte di Carlo Felice) concesse lo Statuto (4 marzo 1848) 
Statuto Albertino.
Appena a Venezia si diffuse la notizia dell’insurrezione viennese del 13 marzo, Daniele
Manin e Niccolò Tommaseo si misero a capo di un’insurrezione popolare e proclamarono la
repubblica.
Le “Cinque giornate” di Milano
La notizia della repubblica veneta giunse a Milano, dove il 18 marzo la popolazione diede
vita a violente manifestazioni antiaustriache. In cinque giorni le truppe imperiali comandate dal
generale Radetzky furono costrette a ritirarsi, mentre a Milano si formava un governo provvisorio.
Gruppi influenti dell’aristocrazia e della borghesia cittadina, temendo una deriva
democratica, chiesero l’intervento di Carlo Alberto.
La guerra austro-piemontese
Carlo Alberto dichiarò guerra all’Austria il 23 marzo 1848. La Toscana, Napoli e il papa
inviarono truppe a sostegno dell’esercito sabaudo.
Ben presto, però, fu chiaro che Carlo Alberto mirava all’annessione della Lombardia al
suo regno e ciò portò al ritiro del papa e degli altri sovrani dall’alleanza.
Il 25 luglio l’esercito piemontese fu sconfitto dagli austriaci a Custoza e Carlo Alberto fu
costretto a ritirarsi lasciando la Lombardia agli Austriaci (armistizio di Vigevano, 9 agosto 1848).
La disfatta provocò una crisi nel movimento liberale, aggravata anche dal fallimento dei
moti insurrezionali nel Regno delle Due Sicilie, in cui Ferdinando Ii di Borbone, con un colpo di
stato, abolì ogni forma di garanzia liberale.
La riscossa democratica: la Repubblica romana
La crisi dei liberali fu l’occasione per una ripresa dei moti democratici. Le insurrezioni
costrinsero Leopoldo II di Toscana alla fuga, instaurando un governo democratico provvisorio.
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Nello Stato pontificio, Pio IX chiamò al governo il riformista Pellegrino Rossi, il quale però
trovò l’opposizione degli ambienti clericali più conservatori. La situazione precipitò quando Rossi
fu ucciso dai reazionari, portando alla sollevazione del popolo. Il papa fu costretto a trovare rifugio
a Gaeta. A Roma fu proclamata un’Assemblea costituente che, il 9 febbraio 1849, diede vita alla
Repubblica romana, con a capo un triumvirato composto da Mazzini, Armellini e Saffi.
5. La crisi della rivoluzione in Europa
La rivoluzione di giugno in Francia
In Francia il governo provvisorio si reggeva su un fragile equilibrio tra moderati e
socialisti. Nelle elezioni dell’aprile del 1848, la componente moderata prevalse sulle altre. Socialisti
e radicali puntarono allora su nuovi moti insurrezionali, ma la rivolta del 23 giugno a Parigi fu
sedata nel sangue dall’esercito.
Una nuova costituzione conservò il suffragio universale, ma attribuì il potere a un presidente
della repubblica eletto direttamente dal voto popolare. Dalle elezioni uscì vincitore il candidato
della destra conservatrice, Luigi Bonaparte, un nipote di Napoleone. Egli impresse alla Seconda
repubblica un indirizzo autoritario e poliziesco, che portò allo scioglimento delle camere
(dicembre 1851), alla trasformazione del suo mandato in una vera e propria dittatura e, infine, alla
restaurazione dell’impero (avrebbe assunto il titolo di Napoleone III).
L’esito della rivoluzione in Germania e nell’Impero asburgico
Anche in questi paesi le insurrezioni furono progressivamente represse dall’esercito
imperiale.
Il riflusso del movimento rivoluzionario in Italia
Sotto la pressione dei democratici riprese il conflitto austro-piemontese, che però si risolse
quasi subito con una schiacciante sconfitta dell’esercito di Carlo Alberto. Quest’ultimo fu
costretto a dimettersi a favore del figlio Vittorio Emanuele II.
Forti di questi eventi, i conservatori italiani poterono riprendere il controllo in Toscana
(dove fu restaurato il potere del granduca Leopoldo II), a Roma (dove fu abolita la Repubblica il 3
luglio 1849) e a Venezia.
6. Verso l’Europa degli stati-nazione
Un nuovo ordine internazionale
L’equilibrio del Congresso di Vienna era basato sull’egemonia politica dell’Austria. I
moti del 1848, però, avevano ormai minato tale supremazia e la conseguenza fu un lungo periodo di
instabilità nelle relazioni internazionali. La potenza austriaca ne uscì progressivamente
ridimensionata, mentre emersero nuove entità nazionali, come Germania e Italia, e fu
consolidata la posizione dell’Inghilterra.
Nei singoli stati, inoltre, i moti avevano determinato un mutamento nella composizione
delle classi dirigenti. La spinta rivoluzionaria della borghesia nei confronti della Restaurazione si
era ormai esaurita dopo il 1848, quando questa classe sociale preferì staccarsi dai moti
insurrezionali e orientarsi verso il mantenimento della stabilità e dell’ordine. L’irrompere sulla
scena politica del proletariato di fabbrica, infatti, aveva spaventate la borghesia accentuandone le
spinte moderate. E ciò portò, alla fine del 1800, a nuovi contrasti politici incentrati sulla necessità
delle organizzazioni dei lavoratori di trovare maggiori spazi politici e istituzionali.
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