I MULTIMETRI DIGITALI INTRODUZIONE I multimetri digitali (Digital MultiMeter DMM) sono strumenti numerici che permettono di misurare sia tensioni e correnti continue e alternate, sia resistenze. Di base lo strumento è un voltmetro digitale (Digital VoltMeter DVM); le diverse grandezze vengono cioè dapprima trasdotte in una tensione continua, la quale viene a sua volta convertita in forma numerica mediante un convertitore analogico-digitale (ADC). Poiché generalmente viene richiesta una accuratezza elevata e una velocità di conversione relativamente ridotta, vengono spesso utilizzati ADC a integrazione di tipo multirampa. Le caratteristiche di accuratezza e di robustezza dei DMM, oltre alla possibilità di interazione con i calcolatori elettronici, hanno consentito una rapida diffusione di tali strumenti nei laboratori e negli ambienti industriali, dove sono spesso inseriti in sistemi automatici di misurazione e controllo. RISOLUZIONE E CAMPO DI MISURA DI UNO STRUMENTO NUMERICO Prima di analizzare l’architettura di un classico DMM è utile soffermarsi sulle modalità con cui viene espressa la risoluzione di uno strumento numerico. La risoluzione assoluta ∆Q è definita come la minima variazione del valore del misurando in grado di modificare il risultato fornito dallo strumento; ∆Q rappresenta quindi il peso della cifra meno significativa del risultato(1). Di solito il campo di misura di uno strumento numerico è suddiviso in più sottocampi parzialmente sovrapposti, come illustrato in fig.1 nel caso di un DVM; l’estremo inferiore, detto valore di inizio scala (down range), di un sottocampo è cioè minore dell’estremo superiore, detto valore di fondo scala (up range), del sottocampo precedente; questa particolare organizzazione permette di evitare continue variazioni di scala nel caso in cui lo strumento misura una grandezza rumorosa prossima a uno dei fondi scala. Si noti inoltre che ciascun sottocampo è individuato da un valore numerico semplice, denominato portata (range), che risulta di solito molto prossimo al fondo scala del sottocampo a cui si riferisce. inizio scala (downrange) portata (range) mV 100.000 V 1.000000 V 10.00000 V 100 V 10 V 1 mV 100 0.00000 mV 120.000 mV 1.200000 V 12.00000 V fondo scala (uprange) Fig.1. Suddivisione del campo di misura in un DVM. 1 La risoluzione assoluta ha quindi le stesse dimensioni fisiche del misurando. -1- 100.0000 V Esempio. In un DVM avente i seguenti valori di fondo scala: 1.99999 V, 2.99999 V, 3.03099 V, la risoluzione assoluta ∆Q è sempre 10 µV, ossia al peso assunto dalla cifra meno significativa. Si noti che, in generale, la risoluzione assoluta ∆Q dipende, oltre che dal numero di bit utilizzato dall’ADC dello strumento, anche dal fondo scala scelto. La risoluzione assoluta non permette quindi di caratterizzare in modo univoco le prestazioni di uno strumento numerico; a tale scopo è pertanto necessario specificare il numero massimo di cifre NMAX con cui il risultato può essere rappresentato, oltre naturalmente alla base numerica BV usata per la visualizzazione, di solito pari a 10. Viene quindi definita risoluzione (relativa) dello strumento la quantità: ΓQ = log BV N MAX Poiché generalmente la base numerica usata internamente da uno strumento numerico non coincide con quella con cui il risultato viene espresso sul display, il valore di ΓQ è espresso mediante un numero reale. Per semplicità di rappresentazione, di norma il valore della risoluzione viene approssimato alla mezza unità o, talvolta, al quarto di unità; in tal caso si intende solamente che la cifra più significativa del risultato fornito non può assumere tutti i valori che le competerebbero nella base numerica BV usata per la visualizzazione. Esempio. Se un DMM fornisce il risultato con 6 cifre decimali (BV = 10), di cui la più significativa non completa, si pone convenzionalmente ΓQ = 5+1/2 cifre o, talvolta, ΓQ = 5+1/4 cifre. Questa convenzione indica solamente che non sono rappresentabili tutti i valori compresi tra 0 e 999999, senza tuttavia specificare quale sia il massimo valore rappresentabile. In pratica si presentano inoltre situazioni in cui, a causa delle modalità con cui è stata realizzata la struttura interna dello strumento numerico, anche alcune tra le cifre meno significative non possono assumere tutti i valori possibili. Esempio. In fig.1 è illustrata la suddivisione del campo di misura di un DVM avente risoluzione ΓQ = 5+1/2 cifre e valore massimo del conteggio NMAX = 303099. Predisponendo lo strumento con portata P = 3V, il massimo valore misurabile è FS = 3.03099 V. MODALITÀ DI MISURAZIONE IN UN DMM In fig.2 è riportato lo schema a blocchi semplificato di un DMM che permette di misurare tensioni e correnti, sia continue, sia alternate, e resistenze utilizzando 2 o 4 conduttori di collegamento. In totale sono disponibili cinque morsetti di ingresso. Per quanto riguarda il segno dei valori visualizzati sul display, lo strumento assume come riferimento per le tensioni il morsetto contraddistinto con il simbolo L (low); lo stesso morsetto è considerato di uscita per la corrente. Una adeguata rete di interruttori permette di realizzare i collegamenti tra morsetti esterni e blocchi interni usati dal DMM per eseguire la misurazione per cui è stato predisposto. Per le misurazioni di tensione vengono utilizzati i morsetti H (high) ed L; per quelle di corrente i morsetti I ed L; le misurazioni di resistenza a 2 fili sono ottenute utilizzando i morsetti H ed L, mentre per ottenere quelle a 4 fili devono essere utilizzati anche i morsetti H ed L “Ω sense”. Un successivo blocco di normalizzazione provvede ad attenuare o amplificare il segnale di ingresso in modo che il suo livello sia tale da ottimizzare il funzionamento dei blocchi successivi, e in particolare dell’ADC, allo scopo di effettuare la misurazione nelle migliori -2- condizioni possibili. Gli attenuatori e gli amplificatori sono di norma regolabili manualmente dall’operatore o automaticamente dallo strumento; in quest’ultimo caso la velocità di misurazione risulta però ridotta in quanto lo strumento deve eseguire delle operazioni ausiliarie per determinare la configurazione ottimale dei circuiti di normalizzazione. Il blocco di normalizzazione provvede inoltre a minimizzare l’effetto di carico provocato dallo strumento sul circuito misurato. generat. corrente H H Ω sense input L attenuaz. amplific. riferim. tensione AC/DC L ADC elaboraz. display host-computer RC I Fig.2. Schema a blocchi semplificato di un DMM. Misurazione di Tensioni Continue e Alternate Se si desidera utilizzare lo strumento come voltmetro, la tensione incognita deve essere applicata fra i morsetti H e L di fig.2; il riferimento dei potenziali coincide con il morsetto L. Il campo di tensioni continue misurabili si estende, di norma, da diverse centinaia di volt ad alcuni millivolt o addirittura microvolt. Per tensioni di ingresso alternate, il DMM fornisce di norma il valore efficace (rms value) oppure, nel caso di strumenti più pregiati, il vero valore efficace (true rms value) (2). Tali parametri vengono di solito determinati mediante elaborazione analogica; recentemente, grazie alle attuali prestazioni degli ADC, è stato proposto anche l’impiego della elaborazione numerica. L’approccio analogico impiega circuiti integrati basati su amplificatori operazionali (blocco AC/DC di fig.1) che forniscono in uscita una tensione continua proporzionale al valore medio, o al valore di picco, oppure al vero valore efficace della tensione periodica presente al loro ingresso. La tensione continua così ottenuta viene quindi convertita in forma numerica dall’ADC dello strumento. Nell’approccio numerico, invece, il valore efficace viene valutato convertendo dapprima il segnale periodico di ingresso vX(⋅) in una sequenza di campioni vX[⋅], ed elaborando poi tale sequenza mediante circuiti digitali. Tipicamente il campionamento è sincrono con il segnale di ingresso ed è organizzato in modo da acquisire esattamente N campioni in un intervallo di tempo di durata coincidente con 2 Gli strumenti a “valore efficace” convertono il segnale di ingresso in una tensione continua proporzionale al valore medio del segnale raddrizzato, oppure al suo valore di picco; il valore efficace è quindi determinato a partire dalla tensione ottenuta ipotizzando un segnale di ingresso sinusoidale. Quando il segnale di ingresso non è sinusoidale, questi strumenti forniscono quindi una indicazione errata. Gli strumenti a “vero valore efficace” convertono invece il segnale di ingresso direttamente in una tensione continua proporzionale al valore efficace del segnale stesso; forniscono quindi indicazioni corrette anche quando il segnale di ingresso è non sinusoidale. -3- un multiplo intero del periodo del segnale stesso. In queste ipotesi, il valore efficace della componente alternata del segnale può essere ottenuto mediante la relazione: V X RMS = 1 N N −1 ∑ (v n=0 X [n ] − v X ) 2 dove vX = 1 N N ∑v X [n] n =1 Si noti che in generale il campionamento può essere realizzato sia in tempo reale, sia in tempo equivalente; sfruttando la periodicità del segnale, i diversi campioni utilizzati per la stima del valore efficace possono cioè essere acquisiti anche in periodi diversi del segnale stesso. Questo tipo di approccio permette di utilizzare una frequenza di campionamento anche notevolmente inferiore a quella richiesta dal teorema di Shannon. Non si deve però dimenticare che la massima frequenza ammissibile nel segnale di ingresso resta sempre limitata dal tempo di acquisizione del campionatore e dalla banda passante dei blocchi di ingresso dello strumento. Talvolta viene impiegato anche un campionamento asincrono con il segnale di ingresso, ossia gli N campioni usati per stimare il valore efficace sono acquisiti in un intervallo di tempo la cui durata non coincide con un multiplo intero del periodo del segnale. Per evitare che la stima del valore efficace sia affetta da deviazioni di tipo grossolano, in questo caso è però necessario modificare l’elaborazione eseguita, in particolare pesando opportunamente gli N campioni acquisiti, e garantire che lo spettro del segnale campionato soddisfi determinate ipotesi. Misurazione di Correnti Continue e Alternate Per misurare correnti continue e alternate, lo strumento deve essere inserito nel ramo del circuito in cui circola la corrente che si desidera misurare utilizzando i morsetti I ed L di fig.2; il morsetto L viene considerato dallo strumento come morsetto di uscita per la corrente. Agendo sul pannello frontale o mediante programmazione remota è inoltre necessario predisporre lo strumento per una misurazione di corrente. Come illustrato in fig.2, i blocchi interni del DMM eseguono solamente misurazioni di tensione; lo strumento deve quindi convertire la corrente da misurare in una tensione. Di solito la conversione è ottenuta facendo passare la corrente da misurare per una resistenza campione RC, interna allo strumento, tipicamente dell’ordine di 100 mΩ (si veda la fig.2); la misurazione della d.d.p. VX che si manifesta ai capi di tale resistenza permette infine di determinare il valore della corrente incognita: IX = VX RC Se la corrente da misurare è alternata, la misura del valore efficace o del vero valore efficace della d.d.p. ai capi della resistenza campione permette ovviamente di determinare il valore efficace o il vero valore efficace della corrente. Il campo di misura dello strumento varia normalmente dalle decine di nA a qualche A. Misurazione di Resistenze a Due e a Quattro Fili Per eseguire la misurazione a due fili di una resistenza, il resistore in esame deve essere connesso tra i morsetti L e H di fig.2; agendo sui tasti posti sul pannello frontale o mediante programmazione, il DMM deve inoltre essere predisposto per la misurazione a due fili di resistenze. -4- In questa configurazione, lo strumento impone la circolazione di una certa corrente, dell’ordine del mA, nella serie costituita dalla resistenza incognita RX e dalla resistenza nota RC, connesse rispettivamente tra i morsetti H - L e L - I di fig.2. Vengono quindi misurate le c.d.t. VX e VC che si manifestano nelle due resistenze e valutato infine il valore della resistenza incognita: V R X = X RC VC L’influenza sul risultato della misurazione delle resistenze di contatto e dei conduttori di collegamento fra il resistore in esame e lo strumento può essere ridotta utilizzando anche gli altri due morsetti H ed L “Ω sense” e predisponendo lo strumento per misurazioni a quattro fili. In questo caso i morsetti H ed L vengono utilizzati solamente per addurre la corrente al resistore; la c.d.t. sulla resistenza incognita viene invece prelevata utilizzando i due morsetti H ed L “Ω sense”, secondo lo schema illustrato in fig.3. RI Con questa organizzazione, le c.d.t. sulle resistenze di contatto e di collegamento, indicate genericamente con Ω sense RI in fig.3, non influenzano il valore della H H RV tensione VX misurata. Inoltre, poiché la I resistenza di ingresso vista dai due morsetti VX V “Ω sense” è molto elevata, le resistenze RX parassite del circuito voltmetrico, indicate con RV in fig.4, hanno un effetto RV L L trascurabile sul valore di VX misurato. Di norma gli strumenti con capacità di autorange eseguono una misurazione preliminare ausiliaria per valutare RI l’intensità di corrente da erogare per Fig.3. Circuito utilizzato per la misurazione a eseguire la misurazione di resistenza in quattro fili di resistenze. condizioni ottimali. Il campo di misura dello strumento può estendersi da alcuni µΩ ad alcuni GΩ. La misurazione di resistenze prossime ai valori estremi del campo di misura richiede però particolari cautele. Le misurazioni di resistenze molto piccole o le misurazioni molto accurate devono essere eseguite in due fasi successive: nella prima fase viene misurata la c.d.t. VXI sulla resistenza incognita in presenza della corrente fornita dallo strumento; nella seconda fase viene invece misurata la c.d.t. VXO che si manifesta in assenza di corrente a causa di f.e.m. di rumore, come ad esempio quelle di origine termoelettrica. L’effetto di tali sorgenti di rumore sulla tensione incognita può quindi essere compensato valutando la differenza VX = VXI - VXO. Esempio. Se si desidera misurare una resistenza dell’ordine di 10 Ω con una accuratezza di 5 cifre è necessario essere in grado di misurare resistenze dell’ordine di 100 µΩ. Con una corrente di 10 mA, si deve quindi poter misurare tensioni con un’accuratezza di 1 µV, ossia dello stesso ordine di grandezza delle tensioni causate da fenomeni di tipo termoelettrico. Le misurazioni di resistenze dell’ordine del GΩ vengono invece eseguite ponendo in parallelo alla resistenza incognita RX una resistenza nota RC allo scopo di misurare c.d.t. non troppo elevate anche utilizzando correnti non troppo piccole, e quindi misurabili con una sufficiente accuratezza. Il valore misurato RXM viene poi corretto automaticamente dallo strumento in base alla relazione: -5- RX = RC R XM RC − R XM ELABORAZIONI DISPONIBILI IN UN DMM La maggior parte degli attuali multimetri è in grado di eseguire alcune semplici elaborazioni sulle misure ottenute che ne estende le potenzialità e i campi di applicazione. Ad esempio, la capacità di eseguire una differenza è utile quando interessa misurare l’entità della deviazione di una grandezza da un dato valore di riferimento. Spesso è inoltre possibile eseguire la media di un numero prestabilito di misure; talvolta può essere fornito anche lo scarto quadratico medio o altri parametri utili per descrivere statisticamente i risultati ottenuti, come ad esempio il valore minimo e il valore massimo. In presenza di misure affette da rilevanti deviazioni di tipo casuale, questo tipo di elaborazione permette di migliorare in modo consistente l’accuratezza del risultato fornito. È anche possibile richiedere allo strumento di inviare una opportuna segnalazione quando la misura ottenuta esce da un prefissato intervallo di valori; questa funzione risulta molto utile per la rivelazione automatica di guasti in sistemi complessi. Spesso è inoltre possibile scegliere l’unità di misura del risultato fornito dallo strumento. Ad esempio, è possibile impostare il DMM in modo da fornire il risultato in dB rispetto a un valore di riferimento anziché in termini assoluti. ACCURATEZZA DEL RISULTATO FORNITO DA UN DMM Poiché non esiste una normativa che imponga di specificare l’accuratezza di un DMM con modalità univocamente definite, non sempre il confronto tra le specifiche fornite dai diversi costruttori risulta immediato. In questo paragrafo sarà comunque illustrata alcune tra le modalità più diffuse per specificare l’accuratezza di un DMM. Di solito il costruttore fornisce un limite superiore ∆XC per l’incertezza assoluta del DMM quando è utilizzato in un determinato campo di impiego C per le grandezze di influenza, mediante una relazione del tipo: ( ∆ X C = k1C X + k0 C ∆ ) dove k0C rappresenta la componente dell’incertezza che dipende dalla portata scelta, e può essere riferita sia alla risoluzione, sia alla portata; k1C rappresenta invece la componente dipendente dal valore X della particolare grandezza misurata (tensione continua o alternata, corrente continua o alternata, resistenza) fornito dallo strumento. I valori di k1C e di k0C sono riportati in apposite tabelle fornite dal costruttore, e dipendono dal particolare campo di impiego C per le grandezze di influenza (g.d.i.) considerato: Tipiche g.d.i. sono il tempo trascorso dalla taratura e la differenza tra la temperatura dell’ambiente in cui avviene la misurazione e la temperatura dell’ambiente in cui il DMM è stato tarato. Le prestazioni dello strumento degradano infatti nel tempo; il DMM deve pertanto essere sottoposto a periodiche verifiche di taratura, secondo una procedura dettagliatamente specificata dal costruttore; tali verifiche devono inoltre essere eseguite in un prefissato campo di valori della temperatura ambiente. Non si deve inoltre dimenticare che per fornire risultati attendibili lo strumento deve essere in equilibrio termico; dopo la sua accensione possono quindi essere eseguite misurazioni accurate solo dopo che è trascorso il necessario tempo di riscaldamento (warm-up) specificato -6- dal costruttore. Si noti che per raggiungere l’equilibrio termico lo strumento può richiedere parecchie ore o addirittura, come avviene negli strumenti più accurati, alcuni giorni. Esempio. Si supponga di aver scelto la seguente configurazione dello strumento: tensione DC con portata 30 V, risoluzione ΓQ = 5+1/2 cifre. La massima tensione misurabile dal DMM è allora 30.3099 V, e la risoluzione assoluta risulta ∆Q = 100 µV. Dalle tabelle fornite dal costruttore si deduce che, se è trascorso meno di anno dalla taratura e se la differenza tra la temperatura dell’ambiente in cui è stata eseguita la taratura e quella in cui è eseguita la misurazione è minore di 5°C, si ha k1C = 0.005% e k0C = 4, da cui ∆VC = 5⋅10-5 ⋅VX + 4⋅10-4 V. Dalla precedente relazione si deduce il seguente limite superiore per l’incertezza relativa: ΓXC = ∆ XC X = k1C + k 0C ∆ X Come si può notare, tale limite è costituito dalla somma di un termine costante e di un termine che può diventare prevalente quando il valore misurato X è piccolo rispetto al fondo scala utilizzato; di norma è quindi preferibile eseguire misurazioni in prossimità del fondo scala. Un uso corretto dello strumento prevede pertanto l’impiego della minima portata che risulta superiore al valore assoluto del misurando. Si ricorda in particolare che nei DMM dotati di capacità di autorange, la selezione della portata più conveniente viene eseguita automaticamente dallo strumento. Contributi aggiuntivi all’incertezza di un DMM Spesso il costruttore permette di utilizzare lo strumento anche con modalità e in campi di impiego meno restrittivi di quelli tipici. Ad esempio, per ridurre la durata della misurazione, è possibile impostare il DMM in modo da ottenere un numero di cifre minore di quelle che sarebbe in grado di fornire. In questo caso, il coefficiente k1C rimane di solito inalterato, mentre la componente dell’incertezza ∆X che dipende dal fondo scala utilizzato può aumentare anche di molto a causa della minore risoluzione della misura. Se, come spesso succede, lo strumento utilizza un convertitore A/D a integrazione, la durata della misurazione determina il valore del rapporto di reiezione del rumore di modo normale (Normal Mode Rejection Ratio NMRR) dello strumento stesso; di solito tale tempo varia quindi in funzione della frequenza della tensione di alimentazione. Esempio. Con riferimento allo strumento del precedente esempio, scegliendo di eseguire misure di tensione DC con portata 30 V e risoluzione di ΓQ = 5+1/2 cifre si ha ∆Q = 100 µV. Con risoluzioni di 4+1/2 cifre e 3+1/2 cifre si ha invece ∆Q = 1 mV e ∆Q = 10 mV rispettivamente. Conseguentemente, se la frequenza della tensione di alimentazione è di 50 Hz, il tempo richiesto per eseguire la misurazione varia da 2, a 20, a 200 ms a seconda che la risoluzione sia 3+1/2, 4+1/2, 5+1/2 cifre. Se la temperatura dell’ambiente in cui avviene la misurazione non rientra nel campo di impiego tipico C previsto, il costruttore fornisce spesso le informazioni necessarie per valutare il relativo aumento per ∆X. Esempio. Se la differenza tra la temperatura T dell’ambiente in cui viene eseguita la misurazione e quella TTAR dell’ambiente in cui lo strumento è stato tarato è maggiore della massima differenza ∆TMAX ammessa dalle specifiche, il conseguente aumento dell’incertezza tipica dello strumento può, ad esempio, essere specificato mediante la seguente relazione: ( ∆ X T = k1T X + k 0T ∆ ) -7- T − TTAR − ∆Tmax nella quale i coefficienti k1T e k0T sono riportati nelle specifiche. Si ha cioè: ∆ X = ∆ XC + ∆ XT Altre g.d.i. tipiche di misurazioni AC sono inoltre la frequenza (o la banda) del segnale di ingresso, la suo sinusoidalità e il suo fattore di cresta. In tale tipo di misurazioni, di norma il blocco di ingresso dello strumento prevede un collegamento AC, presenta cioè uno zero nell’origine. Tale filtraggio passa alto, essenziale per eseguire misure della sola componente alternata del segnale di ingresso, comporta però una riduzione della velocità di risposta dello strumento in quanto, per eseguire correttamente la misurazione è necessario attendere che siano terminati tutti i transitori; per segnali a bassa frequenza può inoltre insorgere una distorsione che contribuisce all’aumento dell’incertezza strumentale. Esempio. Se lo strumento dei precedenti esempi viene utilizzato come voltmetro AC con portata 30 V, si ha k1C = 0.20%, k0C = 70 quando la frequenza del segnale di ingresso è compresa nell’intervallo (100, 20 k) Hz. Se tale frequenza è compresa nell’intervallo (20, 50) kHz si ha invece k1C = 0.26%, k0C = 140. Tali coefficienti devono essere ulteriormente aumentati se il fattore di cresta della tensione di ingresso supera un dato valore massimo. Si ricorda inoltre che, in misurazioni DC, inevitabili tensioni di offset che si manifestano nel blocco di ingresso possono alterare in modo notevole il valore fornito dallo strumento, con un consistente aumento della componente dell’incertezza ∆X dipendente dal fondo scala scelto. L’effetto delle tensioni di offset sul valore fornito può però essere stimato, e successivamente corretto, eseguendo una misurazione ausiliaria con ingresso nullo. A causa della conseguente riduzione della velocità di risposta dello strumento, è generalmente possibile scegliere se eseguire o meno tale procedura, denominata autozero. Di norma il valore del coefficiente k0C corrispondente all’opzione autozero ON risulta quindi notevolmente inferiore a quello corrispondente all’opzione autozero OFF. A causa delle tensioni di offset, il valore di k0C risulta inoltre maggiore alle portate più basse. Esempio. Se lo strumento dei precedenti esempi viene utilizzato con portata 30 mV e risoluzione ΓQ = 5+1/2 cifre, ossia con risoluzione assoluta ∆Q = 100 nV, con l’opzione autozero ON si ha k1C = 0.0275% e k0C = 40. Con l’opzione autozero OFF si ha invece k0C = 150, che corrisponde a una incertezza assoluta di k0C∆Q = 150⋅100⋅109 = 15 µV; in questo caso le tensioni di offset del blocco di ingresso dello strumento rendono pertanto prive di significato le ultime due cifre del risultato. -8-