Multimetri numerici

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I MULTIMETRI DIGITALI
INTRODUZIONE
I multimetri digitali (Digital MultiMeter DMM) sono strumenti numerici che permettono di
misurare sia tensioni e correnti continue e alternate, sia resistenze. Di base lo strumento è un
voltmetro digitale (Digital VoltMeter DVM); le diverse grandezze vengono cioè dapprima
trasdotte in una tensione continua, la quale viene a sua volta convertita in forma numerica
mediante un convertitore analogico-digitale (ADC). Poiché generalmente viene richiesta una
accuratezza elevata e una velocità di conversione relativamente ridotta, vengono spesso
utilizzati ADC a integrazione di tipo multirampa.
Le caratteristiche di accuratezza e di robustezza dei DMM, oltre alla possibilità di
interazione con i calcolatori elettronici, hanno consentito una rapida diffusione di tali
strumenti nei laboratori e negli ambienti industriali, dove sono spesso inseriti in sistemi
automatici di misurazione e controllo.
RISOLUZIONE E CAMPO DI MISURA DI UNO STRUMENTO NUMERICO
Prima di analizzare l’architettura di un classico DMM è utile soffermarsi sulle modalità
con cui viene espressa la risoluzione di uno strumento numerico. La risoluzione assoluta ∆Q è
definita come la minima variazione del valore del misurando in grado di modificare il risultato
fornito dallo strumento; ∆Q rappresenta quindi il peso della cifra meno significativa del
risultato(1).
Di solito il campo di misura di uno strumento numerico è suddiviso in più sottocampi
parzialmente sovrapposti, come illustrato in fig.1 nel caso di un DVM; l’estremo inferiore,
detto valore di inizio scala (down range), di un sottocampo è cioè minore dell’estremo
superiore, detto valore di fondo scala (up range), del sottocampo precedente; questa
particolare organizzazione permette di evitare continue variazioni di scala nel caso in cui lo
strumento misura una grandezza rumorosa prossima a uno dei fondi scala. Si noti inoltre che
ciascun sottocampo è individuato da un valore numerico semplice, denominato portata
(range), che risulta di solito molto prossimo al fondo scala del sottocampo a cui si riferisce.
inizio scala (downrange)
portata
(range)
mV
100.000
V
1.000000
V
10.00000
V 100
V 10
V
1
mV 100
0.00000
mV
120.000
mV
1.200000
V
12.00000
V
fondo scala (uprange)
Fig.1. Suddivisione del campo di misura in un DVM.
1
La risoluzione assoluta ha quindi le stesse dimensioni fisiche del misurando.
-1-
100.0000
V
Esempio.
In un DVM avente i seguenti valori di fondo scala: 1.99999 V, 2.99999 V, 3.03099 V, la risoluzione assoluta
∆Q è sempre 10 µV, ossia al peso assunto dalla cifra meno significativa.
Si noti che, in generale, la risoluzione assoluta ∆Q dipende, oltre che dal numero di bit
utilizzato dall’ADC dello strumento, anche dal fondo scala scelto. La risoluzione assoluta non
permette quindi di caratterizzare in modo univoco le prestazioni di uno strumento numerico; a
tale scopo è pertanto necessario specificare il numero massimo di cifre NMAX con cui il
risultato può essere rappresentato, oltre naturalmente alla base numerica BV usata per la
visualizzazione, di solito pari a 10. Viene quindi definita risoluzione (relativa) dello
strumento la quantità:
ΓQ = log BV N MAX
Poiché generalmente la base numerica usata internamente da uno strumento numerico non
coincide con quella con cui il risultato viene espresso sul display, il valore di ΓQ è espresso
mediante un numero reale. Per semplicità di rappresentazione, di norma il valore della
risoluzione viene approssimato alla mezza unità o, talvolta, al quarto di unità; in tal caso si
intende solamente che la cifra più significativa del risultato fornito non può assumere tutti i
valori che le competerebbero nella base numerica BV usata per la visualizzazione.
Esempio.
Se un DMM fornisce il risultato con 6 cifre decimali (BV = 10), di cui la più significativa non completa, si
pone convenzionalmente ΓQ = 5+1/2 cifre o, talvolta, ΓQ = 5+1/4 cifre. Questa convenzione indica solamente che
non sono rappresentabili tutti i valori compresi tra 0 e 999999, senza tuttavia specificare quale sia il massimo
valore rappresentabile.
In pratica si presentano inoltre situazioni in cui, a causa delle modalità con cui è stata
realizzata la struttura interna dello strumento numerico, anche alcune tra le cifre meno
significative non possono assumere tutti i valori possibili.
Esempio.
In fig.1 è illustrata la suddivisione del campo di misura di un DVM avente risoluzione ΓQ = 5+1/2 cifre e
valore massimo del conteggio NMAX = 303099. Predisponendo lo strumento con portata P = 3V, il massimo
valore misurabile è FS = 3.03099 V.
MODALITÀ DI MISURAZIONE IN UN DMM
In fig.2 è riportato lo schema a blocchi semplificato di un DMM che permette di misurare
tensioni e correnti, sia continue, sia alternate, e resistenze utilizzando 2 o 4 conduttori di
collegamento. In totale sono disponibili cinque morsetti di ingresso. Per quanto riguarda il
segno dei valori visualizzati sul display, lo strumento assume come riferimento per le tensioni
il morsetto contraddistinto con il simbolo L (low); lo stesso morsetto è considerato di uscita
per la corrente.
Una adeguata rete di interruttori permette di realizzare i collegamenti tra morsetti esterni e
blocchi interni usati dal DMM per eseguire la misurazione per cui è stato predisposto. Per le
misurazioni di tensione vengono utilizzati i morsetti H (high) ed L; per quelle di corrente i
morsetti I ed L; le misurazioni di resistenza a 2 fili sono ottenute utilizzando i morsetti H ed
L, mentre per ottenere quelle a 4 fili devono essere utilizzati anche i morsetti H ed L “Ω
sense”.
Un successivo blocco di normalizzazione provvede ad attenuare o amplificare il segnale di
ingresso in modo che il suo livello sia tale da ottimizzare il funzionamento dei blocchi
successivi, e in particolare dell’ADC, allo scopo di effettuare la misurazione nelle migliori
-2-
condizioni possibili. Gli attenuatori e gli amplificatori sono di norma regolabili manualmente
dall’operatore o automaticamente dallo strumento; in quest’ultimo caso la velocità di
misurazione risulta però ridotta in quanto lo strumento deve eseguire delle operazioni
ausiliarie per determinare la configurazione ottimale dei circuiti di normalizzazione.
Il blocco di normalizzazione provvede inoltre a minimizzare l’effetto di carico provocato
dallo strumento sul circuito misurato.
generat.
corrente
H
H
Ω sense input
L
attenuaz.
amplific.
riferim.
tensione
AC/DC
L
ADC
elaboraz.
display
host-computer
RC
I
Fig.2. Schema a blocchi semplificato di un DMM.
Misurazione di Tensioni Continue e Alternate
Se si desidera utilizzare lo strumento come voltmetro, la tensione incognita deve essere
applicata fra i morsetti H e L di fig.2; il riferimento dei potenziali coincide con il morsetto L.
Il campo di tensioni continue misurabili si estende, di norma, da diverse centinaia di volt
ad alcuni millivolt o addirittura microvolt.
Per tensioni di ingresso alternate, il DMM fornisce di norma il valore efficace (rms value)
oppure, nel caso di strumenti più pregiati, il vero valore efficace (true rms value) (2). Tali
parametri vengono di solito determinati mediante elaborazione analogica; recentemente,
grazie alle attuali prestazioni degli ADC, è stato proposto anche l’impiego della elaborazione
numerica.
L’approccio analogico impiega circuiti integrati basati su amplificatori operazionali
(blocco AC/DC di fig.1) che forniscono in uscita una tensione continua proporzionale al
valore medio, o al valore di picco, oppure al vero valore efficace della tensione periodica
presente al loro ingresso. La tensione continua così ottenuta viene quindi convertita in forma
numerica dall’ADC dello strumento.
Nell’approccio numerico, invece, il valore efficace viene valutato convertendo dapprima il
segnale periodico di ingresso vX(⋅) in una sequenza di campioni vX[⋅], ed elaborando poi tale
sequenza mediante circuiti digitali.
Tipicamente il campionamento è sincrono con il segnale di ingresso ed è organizzato in
modo da acquisire esattamente N campioni in un intervallo di tempo di durata coincidente con
2
Gli strumenti a “valore efficace” convertono il segnale di ingresso in una tensione continua proporzionale al
valore medio del segnale raddrizzato, oppure al suo valore di picco; il valore efficace è quindi determinato a
partire dalla tensione ottenuta ipotizzando un segnale di ingresso sinusoidale. Quando il segnale di ingresso non è
sinusoidale, questi strumenti forniscono quindi una indicazione errata.
Gli strumenti a “vero valore efficace” convertono invece il segnale di ingresso direttamente in una tensione
continua proporzionale al valore efficace del segnale stesso; forniscono quindi indicazioni corrette anche quando
il segnale di ingresso è non sinusoidale.
-3-
un multiplo intero del periodo del segnale stesso. In queste ipotesi, il valore efficace della
componente alternata del segnale può essere ottenuto mediante la relazione:
V X RMS =
1
N
N −1
∑ (v
n=0
X
[n ] − v X
)
2
dove
vX =
1
N
N
∑v
X
[n]
n =1
Si noti che in generale il campionamento può essere realizzato sia in tempo reale, sia in
tempo equivalente; sfruttando la periodicità del segnale, i diversi campioni utilizzati per la
stima del valore efficace possono cioè essere acquisiti anche in periodi diversi del segnale
stesso. Questo tipo di approccio permette di utilizzare una frequenza di campionamento anche
notevolmente inferiore a quella richiesta dal teorema di Shannon. Non si deve però
dimenticare che la massima frequenza ammissibile nel segnale di ingresso resta sempre
limitata dal tempo di acquisizione del campionatore e dalla banda passante dei blocchi di
ingresso dello strumento.
Talvolta viene impiegato anche un campionamento asincrono con il segnale di ingresso,
ossia gli N campioni usati per stimare il valore efficace sono acquisiti in un intervallo di
tempo la cui durata non coincide con un multiplo intero del periodo del segnale. Per evitare
che la stima del valore efficace sia affetta da deviazioni di tipo grossolano, in questo caso è
però necessario modificare l’elaborazione eseguita, in particolare pesando opportunamente gli
N campioni acquisiti, e garantire che lo spettro del segnale campionato soddisfi determinate
ipotesi.
Misurazione di Correnti Continue e Alternate
Per misurare correnti continue e alternate, lo strumento deve essere inserito nel ramo del
circuito in cui circola la corrente che si desidera misurare utilizzando i morsetti I ed L di fig.2;
il morsetto L viene considerato dallo strumento come morsetto di uscita per la corrente.
Agendo sul pannello frontale o mediante programmazione remota è inoltre necessario
predisporre lo strumento per una misurazione di corrente.
Come illustrato in fig.2, i blocchi interni del DMM eseguono solamente misurazioni di
tensione; lo strumento deve quindi convertire la corrente da misurare in una tensione. Di
solito la conversione è ottenuta facendo passare la corrente da misurare per una resistenza
campione RC, interna allo strumento, tipicamente dell’ordine di 100 mΩ (si veda la fig.2); la
misurazione della d.d.p. VX che si manifesta ai capi di tale resistenza permette infine di
determinare il valore della corrente incognita:
IX =
VX
RC
Se la corrente da misurare è alternata, la misura del valore efficace o del vero valore
efficace della d.d.p. ai capi della resistenza campione permette ovviamente di determinare il
valore efficace o il vero valore efficace della corrente.
Il campo di misura dello strumento varia normalmente dalle decine di nA a qualche A.
Misurazione di Resistenze a Due e a Quattro Fili
Per eseguire la misurazione a due fili di una resistenza, il resistore in esame deve essere
connesso tra i morsetti L e H di fig.2; agendo sui tasti posti sul pannello frontale o mediante
programmazione, il DMM deve inoltre essere predisposto per la misurazione a due fili di
resistenze.
-4-
In questa configurazione, lo strumento impone la circolazione di una certa corrente,
dell’ordine del mA, nella serie costituita dalla resistenza incognita RX e dalla resistenza nota
RC, connesse rispettivamente tra i morsetti H - L e L - I di fig.2. Vengono quindi misurate le
c.d.t. VX e VC che si manifestano nelle due resistenze e valutato infine il valore della resistenza
incognita:
V
R X = X RC
VC
L’influenza sul risultato della misurazione delle resistenze di contatto e dei conduttori di
collegamento fra il resistore in esame e lo strumento può essere ridotta utilizzando anche gli
altri due morsetti H ed L “Ω sense” e predisponendo lo strumento per misurazioni a quattro
fili. In questo caso i morsetti H ed L vengono utilizzati solamente per addurre la corrente al
resistore; la c.d.t. sulla resistenza incognita viene invece prelevata utilizzando i due morsetti H
ed L “Ω sense”, secondo lo schema illustrato in fig.3.
RI
Con questa organizzazione, le c.d.t.
sulle resistenze di contatto e di
collegamento, indicate genericamente con
Ω sense
RI in fig.3, non influenzano il valore della
H
H
RV
tensione VX misurata. Inoltre, poiché la
I
resistenza di ingresso vista dai due morsetti
VX V
“Ω sense” è molto elevata, le resistenze RX
parassite del circuito voltmetrico, indicate
con RV in fig.4, hanno un effetto
RV
L
L
trascurabile sul valore di VX misurato.
Di norma gli strumenti con capacità di
autorange eseguono una misurazione
preliminare
ausiliaria
per
valutare
RI
l’intensità di corrente da erogare per
Fig.3. Circuito utilizzato per la misurazione a
eseguire la misurazione di resistenza in
quattro fili di resistenze.
condizioni ottimali.
Il campo di misura dello strumento può estendersi da alcuni µΩ ad alcuni GΩ. La
misurazione di resistenze prossime ai valori estremi del campo di misura richiede però
particolari cautele. Le misurazioni di resistenze molto piccole o le misurazioni molto accurate
devono essere eseguite in due fasi successive: nella prima fase viene misurata la c.d.t. VXI
sulla resistenza incognita in presenza della corrente fornita dallo strumento; nella seconda fase
viene invece misurata la c.d.t. VXO che si manifesta in assenza di corrente a causa di f.e.m. di
rumore, come ad esempio quelle di origine termoelettrica. L’effetto di tali sorgenti di rumore
sulla tensione incognita può quindi essere compensato valutando la differenza VX = VXI - VXO.
Esempio.
Se si desidera misurare una resistenza dell’ordine di 10 Ω con una accuratezza di 5 cifre è necessario essere
in grado di misurare resistenze dell’ordine di 100 µΩ. Con una corrente di 10 mA, si deve quindi poter misurare
tensioni con un’accuratezza di 1 µV, ossia dello stesso ordine di grandezza delle tensioni causate da fenomeni di
tipo termoelettrico.
Le misurazioni di resistenze dell’ordine del GΩ vengono invece eseguite ponendo in
parallelo alla resistenza incognita RX una resistenza nota RC allo scopo di misurare c.d.t. non
troppo elevate anche utilizzando correnti non troppo piccole, e quindi misurabili con una
sufficiente accuratezza. Il valore misurato RXM viene poi corretto automaticamente dallo
strumento in base alla relazione:
-5-
RX =
RC R XM
RC − R XM
ELABORAZIONI DISPONIBILI IN UN DMM
La maggior parte degli attuali multimetri è in grado di eseguire alcune semplici
elaborazioni sulle misure ottenute che ne estende le potenzialità e i campi di applicazione. Ad
esempio, la capacità di eseguire una differenza è utile quando interessa misurare l’entità della
deviazione di una grandezza da un dato valore di riferimento.
Spesso è inoltre possibile eseguire la media di un numero prestabilito di misure; talvolta
può essere fornito anche lo scarto quadratico medio o altri parametri utili per descrivere
statisticamente i risultati ottenuti, come ad esempio il valore minimo e il valore massimo. In
presenza di misure affette da rilevanti deviazioni di tipo casuale, questo tipo di elaborazione
permette di migliorare in modo consistente l’accuratezza del risultato fornito.
È anche possibile richiedere allo strumento di inviare una opportuna segnalazione quando
la misura ottenuta esce da un prefissato intervallo di valori; questa funzione risulta molto utile
per la rivelazione automatica di guasti in sistemi complessi.
Spesso è inoltre possibile scegliere l’unità di misura del risultato fornito dallo strumento.
Ad esempio, è possibile impostare il DMM in modo da fornire il risultato in dB rispetto a un
valore di riferimento anziché in termini assoluti.
ACCURATEZZA DEL RISULTATO FORNITO DA UN DMM
Poiché non esiste una normativa che imponga di specificare l’accuratezza di un DMM con
modalità univocamente definite, non sempre il confronto tra le specifiche fornite dai diversi
costruttori risulta immediato. In questo paragrafo sarà comunque illustrata alcune tra le
modalità più diffuse per specificare l’accuratezza di un DMM.
Di solito il costruttore fornisce un limite superiore ∆XC per l’incertezza assoluta del DMM
quando è utilizzato in un determinato campo di impiego C per le grandezze di influenza,
mediante una relazione del tipo:
(
∆ X C = k1C X + k0 C ∆
)
dove k0C rappresenta la componente dell’incertezza che dipende dalla portata scelta, e può
essere riferita sia alla risoluzione, sia alla portata; k1C rappresenta invece la componente
dipendente dal valore X della particolare grandezza misurata (tensione continua o alternata,
corrente continua o alternata, resistenza) fornito dallo strumento.
I valori di k1C e di k0C sono riportati in apposite tabelle fornite dal costruttore, e dipendono
dal particolare campo di impiego C per le grandezze di influenza (g.d.i.) considerato: Tipiche
g.d.i. sono il tempo trascorso dalla taratura e la differenza tra la temperatura dell’ambiente in
cui avviene la misurazione e la temperatura dell’ambiente in cui il DMM è stato tarato. Le
prestazioni dello strumento degradano infatti nel tempo; il DMM deve pertanto essere
sottoposto a periodiche verifiche di taratura, secondo una procedura dettagliatamente
specificata dal costruttore; tali verifiche devono inoltre essere eseguite in un prefissato campo
di valori della temperatura ambiente.
Non si deve inoltre dimenticare che per fornire risultati attendibili lo strumento deve essere
in equilibrio termico; dopo la sua accensione possono quindi essere eseguite misurazioni
accurate solo dopo che è trascorso il necessario tempo di riscaldamento (warm-up) specificato
-6-
dal costruttore. Si noti che per raggiungere l’equilibrio termico lo strumento può richiedere
parecchie ore o addirittura, come avviene negli strumenti più accurati, alcuni giorni.
Esempio.
Si supponga di aver scelto la seguente configurazione dello strumento: tensione DC con portata 30 V,
risoluzione ΓQ = 5+1/2 cifre. La massima tensione misurabile dal DMM è allora 30.3099 V, e la risoluzione
assoluta risulta ∆Q = 100 µV. Dalle tabelle fornite dal costruttore si deduce che, se è trascorso meno di anno dalla
taratura e se la differenza tra la temperatura dell’ambiente in cui è stata eseguita la taratura e quella in cui è
eseguita la misurazione è minore di 5°C, si ha k1C = 0.005% e k0C = 4, da cui ∆VC = 5⋅10-5 ⋅VX + 4⋅10-4 V.
Dalla precedente relazione si deduce il seguente limite superiore per l’incertezza relativa:
ΓXC =
∆ XC
X
= k1C + k 0C
∆
X
Come si può notare, tale limite è costituito dalla somma di un termine costante e di un
termine che può diventare prevalente quando il valore misurato X è piccolo rispetto al fondo
scala utilizzato; di norma è quindi preferibile eseguire misurazioni in prossimità del fondo
scala. Un uso corretto dello strumento prevede pertanto l’impiego della minima portata che
risulta superiore al valore assoluto del misurando. Si ricorda in particolare che nei DMM
dotati di capacità di autorange, la selezione della portata più conveniente viene eseguita
automaticamente dallo strumento.
Contributi aggiuntivi all’incertezza di un DMM
Spesso il costruttore permette di utilizzare lo strumento anche con modalità e in campi di
impiego meno restrittivi di quelli tipici.
Ad esempio, per ridurre la durata della misurazione, è possibile impostare il DMM in
modo da ottenere un numero di cifre minore di quelle che sarebbe in grado di fornire. In
questo caso, il coefficiente k1C rimane di solito inalterato, mentre la componente
dell’incertezza ∆X che dipende dal fondo scala utilizzato può aumentare anche di molto a
causa della minore risoluzione della misura.
Se, come spesso succede, lo strumento utilizza un convertitore A/D a integrazione, la
durata della misurazione determina il valore del rapporto di reiezione del rumore di modo
normale (Normal Mode Rejection Ratio NMRR) dello strumento stesso; di solito tale tempo
varia quindi in funzione della frequenza della tensione di alimentazione.
Esempio.
Con riferimento allo strumento del precedente esempio, scegliendo di eseguire misure di tensione DC con
portata 30 V e risoluzione di ΓQ = 5+1/2 cifre si ha ∆Q = 100 µV. Con risoluzioni di 4+1/2 cifre e 3+1/2 cifre si
ha invece ∆Q = 1 mV e ∆Q = 10 mV rispettivamente.
Conseguentemente, se la frequenza della tensione di alimentazione è di 50 Hz, il tempo richiesto per eseguire
la misurazione varia da 2, a 20, a 200 ms a seconda che la risoluzione sia 3+1/2, 4+1/2, 5+1/2 cifre.
Se la temperatura dell’ambiente in cui avviene la misurazione non rientra nel campo di
impiego tipico C previsto, il costruttore fornisce spesso le informazioni necessarie per
valutare il relativo aumento per ∆X.
Esempio.
Se la differenza tra la temperatura T dell’ambiente in cui viene eseguita la misurazione e quella TTAR
dell’ambiente in cui lo strumento è stato tarato è maggiore della massima differenza ∆TMAX ammessa dalle
specifiche, il conseguente aumento dell’incertezza tipica dello strumento può, ad esempio, essere specificato
mediante la seguente relazione:
(
∆ X T = k1T X + k 0T ∆
)
-7-
T − TTAR − ∆Tmax
nella quale i coefficienti k1T e k0T sono riportati nelle specifiche. Si ha cioè:
∆ X = ∆ XC + ∆ XT
Altre g.d.i. tipiche di misurazioni AC sono inoltre la frequenza (o la banda) del segnale di
ingresso, la suo sinusoidalità e il suo fattore di cresta. In tale tipo di misurazioni, di norma il
blocco di ingresso dello strumento prevede un collegamento AC, presenta cioè uno zero
nell’origine. Tale filtraggio passa alto, essenziale per eseguire misure della sola componente
alternata del segnale di ingresso, comporta però una riduzione della velocità di risposta dello
strumento in quanto, per eseguire correttamente la misurazione è necessario attendere che
siano terminati tutti i transitori; per segnali a bassa frequenza può inoltre insorgere una
distorsione che contribuisce all’aumento dell’incertezza strumentale.
Esempio.
Se lo strumento dei precedenti esempi viene utilizzato come voltmetro AC con portata 30 V, si ha k1C =
0.20%, k0C = 70 quando la frequenza del segnale di ingresso è compresa nell’intervallo (100, 20 k) Hz. Se tale
frequenza è compresa nell’intervallo (20, 50) kHz si ha invece k1C = 0.26%, k0C = 140. Tali coefficienti devono
essere ulteriormente aumentati se il fattore di cresta della tensione di ingresso supera un dato valore massimo.
Si ricorda inoltre che, in misurazioni DC, inevitabili tensioni di offset che si manifestano
nel blocco di ingresso possono alterare in modo notevole il valore fornito dallo strumento, con
un consistente aumento della componente dell’incertezza ∆X dipendente dal fondo scala
scelto. L’effetto delle tensioni di offset sul valore fornito può però essere stimato, e
successivamente corretto, eseguendo una misurazione ausiliaria con ingresso nullo. A causa
della conseguente riduzione della velocità di risposta dello strumento, è generalmente
possibile scegliere se eseguire o meno tale procedura, denominata autozero. Di norma il
valore del coefficiente k0C corrispondente all’opzione autozero ON risulta quindi
notevolmente inferiore a quello corrispondente all’opzione autozero OFF.
A causa delle tensioni di offset, il valore di k0C risulta inoltre maggiore alle portate più
basse.
Esempio.
Se lo strumento dei precedenti esempi viene utilizzato con portata 30 mV e risoluzione ΓQ = 5+1/2 cifre,
ossia con risoluzione assoluta ∆Q = 100 nV, con l’opzione autozero ON si ha k1C = 0.0275% e k0C = 40. Con
l’opzione autozero OFF si ha invece k0C = 150, che corrisponde a una incertezza assoluta di k0C∆Q = 150⋅100⋅109
= 15 µV; in questo caso le tensioni di offset del blocco di ingresso dello strumento rendono pertanto prive di
significato le ultime due cifre del risultato.
-8-
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