Esaltazione della Santa Croce Antifona d`ingresso Di null`altro mai ci

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Esaltazione della Santa Croce
Antifona d'ingresso
Di null’altro mai ci glorieremo
se non della Croce di Gesù Cristo, nostro Signore:
egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione;
per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati. (cf. Gal 6,14)
Colletta
O Padre, che hai voluto salvare gli uomini
con la Croce del Cristo tuo Figlio,
concedi a noi che abbiamo conosciuto in terra
il suo mistero di amore,
di godere in cielo i frutti della sua redenzione.
PRIMA LETTURA (Nm 21,4b-9)
Chiunque sarà stato morso e guarderà il serpente, resterà in vita.
Dal libro dei Numeri
In quei giorni, il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: «Perché
ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né
acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero».
Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti brucianti i quali mordevano la gente, e un gran
numero d’Israeliti morì.
Il popolo venne da Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e
contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti». Mosè pregò per il popolo.
Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo
guarderà, resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un
serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.
SALMO RESPONSORIALE (Sal 77)
Rit: Non dimenticate le opere del Signore!
Ascolta, popolo mio, la mia legge,
porgi l’orecchio alle parole della mia bocca.
Aprirò la mia bocca con una parabola,
rievocherò gli enigmi dei tempi antichi. Rit:
Quando li uccideva, lo cercavano
e tornavano a rivolgersi a lui,
ricordavano che Dio è la loro roccia
e Dio, l’Altissimo, il loro redentore. Rit:
Lo lusingavano con la loro bocca,
ma gli mentivano con la lingua:
il loro cuore non era costante verso di lui
e non erano fedeli alla sua alleanza. Rit:
Ma lui, misericordioso, perdonava la colpa,
invece di distruggere.
1
Molte volte trattenne la sua ira
e non scatenò il suo furore. Rit:
SECONDA LETTURA (Fil 2,6-11)
Cristo umiliò se stesso, per questo Dio lo esaltò.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési
Cristo Gesù,
pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.
Canto al Vangelo
Alleluia, alleluia.
Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo,
perché con la tua croce hai redento il mondo.
Alleluia.
VANGELO (Gv 3,13-17)
Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come
Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché
chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non
vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia
salvato per mezzo di lui».
Preghiera sulle offerte
Ci purifichi, o Padre, da ogni colpa
il sacrificio del Cristo tuo Figlio,
2
che sull’altare della Croce espiò il peccato del mondo.
PREFAZIO
La croce albero della vita.
È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo,
Dio onnipotente ed eterno.
Nell’albero della Croce
tu hai stabilito la salvezza dell’uomo,
perché donde sorgeva la morte
di là risorgesse la vita, e chi dall’albero traeva vittoria,
dall’albero venisse sconfitto,
per Cristo nostro Signore.
Per mezzo di lui gli Angeli lodano la tua gloria,
le Dominazioni ti adorano,
le Potenze ti venerano con tremore.
A te inneggiano i Cieli, gli Spiriti celesti e i Serafini,
uniti in eterna esultanza.
Al loro canto concedi, o Signore,
che si uniscano le nostre umili voci
nell’inno di lode: Santo...
Oppure Prefazio della Passione del Signore I.
Antifona di comunione
“Quando sarò elevato da terra,
attirerò tutti a me”, dice il Signore. (Gv 12,32)
Oppure:
“Chi crede nel Figlio di Dio, non muore,
ma ha la vita eterna”, dice il Signore. (cf. Gv 3,16)
Preghiera dopo la comunione
Signore Gesù Cristo,
che ci hai nutriti alla mensa eucaristica,
fa’ che il tuo popolo,
redento e rinnovato dal sacrificio della Croce,
giunga alla gloria della risurrezione.
Lectio
Venite, fedeli, adoriamo il legno vivificante:
su di esso Cristo, Re della gloria,
stese le braccia e ci risollevò alla beatitudine iniziale di cui aveva spogliato il nemico.
Venite, fedeli, adoriamo il legno grazie al quale siamo giudicati degni
di schiacciare le teste dei nemici invisibili.
Venite, famiglie tutte delle genti, veneriamo con i nostri canti la Croce del Signore.
Adoriamo la tua Croce, Signore, e glorifichiamo la tua santa risurrezione.
(liturgia bizantina, Esaltazione della Santa Croce, vespri)
3
Il contesto
L’antichissimo inno liturgico di Fil 2,6-11 canta in sintesi l’intero itinerario percorso da
Gesù Cristo, da ciò che precede l’incarnazione a ciò che segue la morte e risurrezione. Paolo lo
assume nei suoi scritti (completandolo con due aggiunte: v. 8c, v. 11b) come fa con altre formule di
confessione di fede. Colloca l’inno al cuore della lettera ai Filippesi, nella sezione che riguarda i
compiti della comunità (1,27-2,18). Lo inserisce organicamente nel contesto con due richiami:
all’umiltà (v.8: umiliò se stesso - v.3 umiltà di sentimenti) e all’obbedienza (v.8 diventò obbediente
- v. 12: foste sempre obbedienti). Lo presenta come fondamento teologico alla sua esortazione alla
concordia e alla stima reciproca v(v. 1-4). Lo collega alla sua parenesi mostrandone il rapporto di
reciprocità in particolare con la parola fronèin (sentire-pensare). La comunità può avere un
medesimo fronèin (v.2) se ciascuno vive in Cristo: Sentite tra di voi ciò che bisogna sentire per il
fatto di essere in Cristo Gesù (v.5). Non si tratta infatti, di prendere ad esempio Cristo Gesù per
sentire in sé quello che ha sentito Cristo, è impossibile, come è impossibile imitare la sua umiltà. È
necessario piuttosto trovarsi, personalmente e comunitariamente, nella sfera d’influsso e di potenza
del Signore, di quella nuova potenza che attrae perché fluisce dell’Innalzato su una croce che ha
dimensioni cosmiche.
La struttura
Questa confessione di fede cantata, pur con vari rimandi ad altre professioni è unica nel suo
complesso così esteso ad armonico. La sua struttura è dettata dall’interesse di scolpire nella
memoria concettuale e visiva dei credenti-oranti, i fatti decisivi e caratteristici della vicenda di
Cristo. L’autore non si chiede chi è Cristo ma cosa ha fatto. Con poche parole, scelte con estrema
accuratezza, compone due strofe che disegnano due movimenti che potremmo chiamare
AMORE DISCENDENTE andare-trovarsi sempre più giù (vv. 6-8) soggetto dei verbi è Cristo
AMORE RISALENTE andare-trovarsi sempre più su (vv. 9-11) soggetto dei verbi è Dio
“Specchio della veemenza dell’amore di Dio per la creazione è la venuta di Cristo in favore del
mondo. Specchio, invece, dell’amore di quest’ultimo sono le sue varie umiliazioni” (Isacco di
Ninive)
Il contenuto
Il suo contenuto costituisce un primo sintetico trattato di cristologia (incarnazione, vita,
passione, morte risurrezione, ascensione, e, sottinteso, il dono dello Spirito che permette alle lingue
la proclamazione di Gesù Signore nell’attesa della parusia) ed apre spazi enormi alla lectio –
ruminatio - oratio fino alla contemplatio tipicamente cristiana del Crocifisso Risorto.
Il testo
I AMORE DISCENDENTE
6 Colui che esisteva di un’esistenza divina
non cercò avidamente di conservare questa uguaglianza con Dio
7a ma svuotò se stesso
b prendendo esistenza di schiavo
c divenne uguale agli uomini
d. e, ritrovato all’esterno come uomo
8a umiliò se stesso
b divenne obbediente fino alla morte
c anzi alla morte di croce.
II AMORE RISALENTE
9a Per questo Dio lo ha tanto innalzato
b e gli ha dato il nome che è sopra ogni nome
10a affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio
4
b
dei celesti e terreni e subterreni
ed ogni lingua confessi: Signore Gesù Cristo,:
b a gloria di Dio Padre.
11a
Alcuni spunti per la lectio
I AMORE DISCENDENTE
v. 6
Gli eventi cristologici hanno preso le mosse dall’essere di Cristo nel mondo di Dio quando
esisteva di un’esistenza (morphē) divina. La parola morphē (lontana dal significato originario di
“forma esterna di qualcosa”) indica lo status, la posizione, la condizione. L’esistenza di Cristo da
sempre era un’esistenza di relazione d’amore imperturbabile, che più tardi la Chiesa chiamerà
comunione trinitaria. “Questa uguaglianza di Cristo con Dio è per così dire lo sfondo immobile e
ultimo da cui il suo cammino inizia e a cui ritorna”(Karl Barth). Lui che esisteva di un’esistenzacondizione (morphē) divina cosa fece innanzitutto? non cercò avidamente di conservare questa
uguaglianza con Dio. Troviamo (solo qui nel NT), una parola di difficile interpretazione:
harpagmos (stringere, non mollare una preda). Il senso più probabile sarebbe questo: il Cristo
celeste non ritenne di dover considerare il suo essere uguale a Dio come una dignità da sfruttare per
sé, da tenere stretta, come una preda. Da qui parte il movimento di discesa nella realtà umana sino
al suo epilogo mortale nei vv. 7 e 8.
v. 7a
Incarnazione e morte vengono descritti entrambi con tre espressioni (v.7a, b, c. – 8a, b, c)
poi collegate (7d) per rendere evidenti i due verbi portanti della prima strofa dell’inno: kenōo
(svuotarsi v.7a) e tapeinoō (abbassarsi v.8b). L’autore continua il discorso iniziato come a dire: è
tanto vero che Cristo non si tenne stretto a quel modo di “vivere da Dio” che ne scaturirono altri
fatti: ma svuotò se stesso (ekenòsen, nel NT si trova ancora in 2Cor 8,9) non ha altre attestazioni in
greco, troviamo qualcosa di simile nella letteratura extrabiblica: “Poiché la sua bontà fece piccola la
sua grandezza egli divenne come io sono” (Odi di Salomone 7,3). Questo canto non ci rivela solo il
percorso dell’umanizzazione di Dio, ma anche lo stile di tale percorso. Kenosis è un termine
specificamente cristiano, come tale non dice solo una discesa ma un modo particolare in cui Dio è
sceso tra noi uomini e si è fatto uomo. Della divinità mai si era detto che si era svuotata, e mai più
lo si dirà. Ecco la caratteristica inaudita del cristianesimo: Dio non è potenza e gloria soltanto, ma
spoliazione, umiltà. Nel paganesimo greco e romano si narravano miti relativi all’incarnazione degli
dèi; anche il faraone in tutta la sua potenza era creduto figlio di Dio, incarnazione sulla terra del dio
Sole-Osiride. Ma nel cristianesimo c’è incarnazione solo nella spoliazione degli attributi divini e
nell’abbassamento: qui sta la follia di Dio agli occhi degli uomini. La Parola di Dio, il Figlio,
nell’incarnazione ha voluto svuotare se stesso, lasciare la sua gloria divina, metterla tra parentesi, da
parte (pur senza lasciare di essere Dio, come spiegheranno i Padri della Chiesa) per esistere tra di
noi, con noi, come noi. Dio è talmente libero da rinunciare, unicamente a causa dell’amore che lo
attira verso l’uomo e lo fa uscire da sé, alla sua trascendenza.
v. 7b
Svuotandosi si riempie dell’umano, così come lo trova, nei suoi aspetti positivi e negativi.
Cristo si fa uno con tutta bellezza e il ritmo del divenire che caratterizza l’uomo, come ce lo
mostrano i Vangeli. Ma Cristo assorbe in sé totalmente anche lo stato di vulnerabilità e di vacuità
che svuotano dell’umano. L’inno attira l’attenzione su questo quando dice che Cristo prese
esistenza (morphē) di schiavo, assunse ciò che è opposto al divino, non solo la forma dell’uomo ma
dell’uomo schiavo del male. Qui non si tratta del servo di Isaia (pais), del giusto dell’AT (che sarà
messo a fuoco da altri testi del NT), ma del dulos, non in senso sociologico (benché fu anche
5
questo), ma dell’uomo schiavo del male. Infatti nel NT di solito si interpreta la doulèia come la
schiavitù dell’umanità sotto le potenze di questo mondo (cfr. Gal 4,3-4; 8-9; Rm 6,17; 8,21; Col
2,20; Eb 2,15). Si è fatto uomo segnato dal peccato e fu trattato da peccato (2Cor 5,21). Non
commise peccato ma sentì su di sé quelle potenze di questo mondo capaci di trascinare lontano dal
bene, provò la tentazione dell’opposizione a Dio (Eb 4,15).
v. 7c
Il Preesistente divenne uomo storico e così si diede agli uomini. Divenne uguale agli
uomini, li raggiunse in quella precisa condizione. Divenne identificabile, lo si chiamava
precisamente figlio di Giuseppe (Lc 3,23), del falegname (Mt13,55), figlio di Maria (M6,3).
v. 7d
e, ritrovato all’esterno come uomo la congiunzione e: unisce due termini: svuotò se stesso
più umiliò se stesso. Prima di passare al v. 8 si insiste sulla concretezza di questo Dio che si
sottopone a concretezza, che si fa sperimentabile, palpabile, controllabile, dimostrabile. È
veramente uomo. L’intento forte dell’inno è di far percepire ai credenti-oranti che si può, si deve
pensare Dio diversamente da quanto ebrei e pagani hanno fatto sino a Cristo.
v. 8a
umiliò se stesso etapeionosen, è determinante per capire la via dell’uomo storico, della
bassezza di fronte a Dio, atteggiamento interiore che prepara ad accogliere Dio, come gridava Isaia
ogni monte sia abbassato (40,4). Dio si abbassa per dire che sono giunti gli ultimi tempi (cf. Mt
23,12; Lc 11,11). Come avevano intuito i profeti e i sapienti in Israele: Tutto cambierà: ciò che è
piccolo sarà elevato…(Ez 21,31); chi è umile di spirito troverà gloria (Pr 29,23). Il carattere
escatologico di queste parole riguardano il futuro rovesciamento di situazioni che si compirà al
momento del giudizio divino. Ed ora tutto ciò è iniziato con la vita, la morte ed esaltazione di Gesù.
La bassezza è la misura degli uomini del regno dei cieli inaugurata dal libero auto-abbassarsi di Dio
che si sottopone all’ordine del mondo, alle sue leggi. Il Cristo vuoto (senza la sua naturale pienezza
divina) e piccolo (senza la sua naturale grandezza divina) scese nel nulla dell’estrema separazione
da Dio.
v. 8b
divenne obbediente fino alla morte divenne ascoltante, sottomesso a Dio e agli uomini, in
tutte le scelte della sua vita d’amore e di giustizia, questa via lo porta alla morte. Quest’obbedienza
è amore per il Padre e unione con lui, è affidamento costante alla forza del Padre, nella vita, nella
morte ed anche dopo, quando il dialogo nella libertà divina dell’amore continuerà e il Padre gli
risponderà con la risurrezione. Ora, nella morte il Figlio lascia al Padre la libertà di “assentarsi” e il
Padre lascia al Figlio la libertà dell’obbedienza estrema (H. U. von Balthasar). Il testo continua con
un inciso che molto probabilmente fu introdotto da Paolo:
v. 8c
anzi, alla morte di croce. Con quest’aggiunta che, se da una parte rompe il ritmo della
composizione, dal punto di vista teologico lo completa,Paolo permette di precisare il punto più
basso della discesa. Cristo non solo morì, ma fu ucciso e attraverso un tipo di morte che lo presenta
come maledetto (Dt 21,23; Gal 3,13), rifiutato da Dio e dagli uomini, bestemmiatore per gli ebrei e
pericoloso per il bene pubblico dell’impero, scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani (1Cor
1,24).
II AMORE RISALENTE
Questa seconda parte dell’inno somiglia molto ad un rituale di intronizzazione di un sovrano con i
suoi tre atti, facilmente individuabili:
6
1. Innalzamento – presentazione (9a)
2. Attribuzione del nome – proclamazione (9b)
3. Omaggio a questa potenza – acclamazione di riconoscimento (10-11)
Innalzamento – presentazione
v. 9a.
Quando la discesa della via amante di Cristo giunge negli abissi della morte, fin negli inferi
del non-Dio, avviene la grande svolta: il Padre reagisce, agisce. Al sotto-abbassamento del Figlio
corrisponde il sovra-innalzamento da parte del Padre. Il nesso tra le due strofe è subito detto: Per
questo Dio lo ha tanto innalzato (sovra-innalzato). Il per questo è caratteristico dello schema
biblico dell’abbassamento/innalzamento (Is 53,12; Sap 4,14; Ez 21,31). La comunità cristiana
comprende che Cristo ha vissuto, e in maniera unica, quanto egli stesso annunciava: “chi si abbassa
sarà esaltato” (Lc 14,11; 18,14; Mt 23,12). Il verbo hyperypsoō, elevare al rango più alto, sovraesaltare si trova solo qui nel NT e nel Primo Testamento è un superlativo riservato solo a Dio (Sal
96,9; Dan 3,52-53). Il Padre rialza, risuscita dai morti il Cristo e lo innalza al punto più alto, alla
propria destra nei cieli (At 2,33; 5,31; Gv 3,14; 8,28; 12,32.34). “Prima di qualsiasi gloria è posta in
maniera definitiva e irrevocabile la croce giacché nessuno viene esaltato se prima non è stato
crocifisso. La gloria di Gesù è la gloria del crocifisso che si manifesta nella risurrezione “ (J.
Blank). La risurrezione e sovra-esaltazione di Cristo stanno a significare l’accettazione del
sacrificio da parte di Dio. La storia di Gesù Cristo continua per l’iniziativa del Padre che dona al
Figlio una posizione, uno status di sovranità che tutto sovrasta e raccoglie. Fin qui arriva
l’obbedienza del Figlio, fino a lasciarsi risuscitare dal Padre (questa la sottolineatura dell’inno, ma
non si deve dimenticare, mantenendo uno sguardo d’insieme dei testi del NT, che in ogni evento è
coinvolta tutta la Trinità) e a lasciarsi rivestire con tutte le insegne della sovranità propria di Dio, a
prescindere dal fatto che queste insegne gli appartengono già prima che il mondo fosse (Gv 17,5).
Attribuzione del nome
v. 9b
Si continua a descrivere il percorso di questo innalzamento con la seconda azione del Padre:
e gli ha dato il nome che è sopra ogni nome. È un nome unico, è il nome anch’esso soprelevato,
c’è ancora un hyper (sopra, più che, ancora di più). Questo nume sarà specificato tra poco, ma
occorre prima sapere che questo nome ha due caratteristiche: è ricevuto in forza di un atto di grazia
divina , il verbo dare, charizomai (stessa radice di grazia, gioia, ringraziamento) indica il
compiacimento del Padre dimostrato nei fatti; ed è unico, importantissimo, altissimo, poiché è in
esso che c’è salvezza (At 4,12). Due caratteristiche che vanno ad aggiungersi alle idee antichissime
circa il senso del nome vastamente attestato nella Bibbia. Il nome è qualcosa di reale, indica
l’essenza, la caratteristica della persona, il suo potere, la sua missione, il suo segreto. E questo per
gli antichi, valeva anche per gli dèi, conoscere il nome di qualcuno significava partecipare alle sue
energie e proprietà. Nel NT questa idea-esperienza del nome divino dispiegato in Gesù Cristo
acquista particolare importanza negli inni (Ef 1,20; Eb 1,4; Ap 15,4; At 2,21; 15,17; Rm 10,13;
1Cor 1,2; Gc 2,7), spesso si trova accanto a glorificare e invocare.
Omaggio – acclamazione
Il terzo momento dell’intronizzazione è accessibile per chi conosce, riconosce e accetta con
l’esultanza dell’amore la l’autorità del Cristo. È un momento di santa euforia, di sobria ebbrezza, di
estasi e di contemplazione pura che coinvolge l’universo e la totalità dell’uomo che cade in
ginocchio (adora, bacia con ardore le profondità della sapienza divina) e lascia danzare le sue labbra
nel canto poiché non può tacere. Silenzio e Proclamazione si compenetrano e si rincorrono.
v. 10
7
affinché nel nome di Gesù Ed ecco il nome annunciato: Gesù, il suo nome storico sottolinea
ancora reale umanità assunta dall’Eterno Dio. Nella sua completezza Cristo Gesù si trova ai vv. 5 e
11, ma qui, sembra di essere raggiunti dall’eco delle innumerevoli volte in cui questo nome è
ripetuto negli Atti poiché è il nome che sprigiona salvezza, guarigione e tutti i beni immaginabili e
inimmaginabili. È l’unico nome in cui c’è salvezza (At 2,21, 4,12) profetizzato da Is 45,23.
L’omaggio che si innalza verso Colui che è questo nome dà luogo a una grande liturgia di
adorazione cosmica: si pieghi ogni ginocchio dei celesti e terreni e sub terreni. L’immensa liturgia
celebra il Signore Gesù assunto nella gloria, l’Agnello immolato sin dalla fondazione del mondo
(Ap 13,8) e risorto. Il mondo è coinvolto nella sua totalità descritta nei suoi tre piani: i celesti (le
creature spirituali), i terreni (gli uomini) e i subterreni (i morti). Tutto adora, si piega, di fronte
all’Eletto, ancora più alto se ci si inginocchia (Ef 3,14; Rm 11,4; 14,11). Ora, dopo la sua discesa
fin negli inferi è conosciuto davvero da tutti. Il giudizio e la sovranità universale del re sono di una
grandezza inimmaginabile, oltrepassa la nostra piccola terra.
In questo terzo atto dell’intronizzazione, l’omaggio è qualificato come sottomissione ad un
nuovo inizio di sovranità inaugurata dal nuovo Signore, come cambio di dominio. Al posto delle
potenze che tengono schiavo il mondo, è subentrato il nuovo cosmocratore, il pantocrator. Colui che
ora sta alla destra del Padre è Colui che è da sempre nel seno del Padre (Gv 1,18). Ma da ora, Colui
che da sempre è con il Padre e con lo Spirito, regge e sorregge l’universo è il Verbo umanato (come
diranno i teologi occidentali medievali), il Mediatore tra Dio e egli uomini, vero Dio vero Uomo,
perciò giusto giudice e vero sovrano, l’Unico che capisce totalmente Dio e capisce totalmente gli
uomini. E quanti sono consapevoli di ciò non possono tacere. Al silenzio adorante della
prostrazione subentra il grido della proclamazione, della confessione. Infatti è questa la più sintetica
e antica professione di fede cristiana disseminata negli scritti del NT: Gèsù Cristo è il Signore
(Jhwh).
v. 11
ed ogni lingua confessi:Signore Gesù Cristo. E questo riconoscimento della signoria senza
limiti di Cristo accade adesso, in un adesso che dura da duemila anni, non è qualcosa di futuro
(come in 1Cor 15,24). La signoria attuale dell’Innalzato contiene qualcosa in più rispetto al
Preesistente. Ma un “più” che non si nota visibilmente e immediatamente perché la sua
manifestazione avviene nell’ambito delle potenze e non pubblicamente nel mondo. Questo
significato è colto dalla comunità credente che canta l’inno e sa per fede che il passaggio di queste
potenze sotto Cristo è già avvenuto ma attende che si manifesti al mondo. Le potenze formano lo
sfondo grandioso dell’acclamazione cosmica indivisibile dall’intronizzazione (J.Gnilka).
La dossologia finale a gloria di Dio Padre probabilmente fu aggiunta da Paolo per mettere al centro
l’agire di Dio (come in 1Cor 3,33; 11,3; Rm 15,7; 1Cor 15,24) e la signoria di Cristo in funzione
della gloria di Dio. Spiega così che l’avvenimento descritto nell’inno è un avvenimento di salvezza
nel quale è coinvolta la comunità, riallacciandosi al v. 5.
Appendice
Dai Discorsi di san Pier Damiani. Sermo XLVIII. PL 144, 766. 768-769. 775-776. 777.
Quando diciamo di adorare o venerare la croce, riconosciamo di dovere questo atto solo a
quella forma del corpo del Signore che si è composta sulla croce. In realtà, nel segno della vittoria
onoriamo il vincitore e adorando la croce adoriamo colui stesso che fu crocifisso.
Essa è la bilancia su cui fu pesato il prezzo del nostro riscatto, per cui siamo scampati dalla
schiavitù dell'Egitto e liberati dall'oppressione del crudele tiranno. La croce ha soddisfatto in pieno
il debito insolvibile pronunziato dalla sentenza della nostra condanna troppo gravosa per noi. Ecco
perché san Paolo scrive ai Colossesi: Con Cristo Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti per
i vostri peccati e per l'incirconcisione della vostra carne, perdonandoci tutti i peccati, annullando il
documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo
inchiodandolo alla croce (Col 2,13-14).
8
Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani (1 Cor
1,23). Ma perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio
è più forte degli uomini (1 Cor 1,25) il nostro Redentore, venuto non a portare pace, ma una spada
(Mt 10,34), si è rivestito dell'armatura della nostra umanità mortale; entrando nel campo di battaglia
di questo mondo ha soggiogato tutti i suoi avversari issando lo stendardo della croce.
Cristo, il Signore potente in battaglia, (Sal 23,8) talvolta assolda per il suo esercito anche
truppe nemiche; per annientare non solo la morte, ma il Principe della morte, egli non esita a
inseguirli fino agli inferi. Già Mosè aveva combattuto questa guerra, quando dette battaglia agli
Amaleciti. Allora egli non brandì né spada né frecce, ma tenne in mano la verga di Dio, figura
inequivocabile della croce del Signore.
Mosè poteva impugnare la verga di Dio quanto voleva e confidare nel suo misterioso
significato assai più che nella forza delle armi. Poteva credere senza la minima esitazione che il
legno di cui era armato avrebbe sbaragliato le linee nemiche; esso gli sarebbe servito ben poco per
conseguire la vittoria se non fosse stato il simbolo della Croce, trionfale vessillo innalzato verso i
cieli.
Ecco perché Mosè non si limitò a tenere in mano la verga di Dio, ma stese le braccia in
forma di croce e così riportò vittoria sulle schiere avversarie grazie a quel legno, a quel simbolo
gravido del mistero della Passione. Lo attesta la Scrittura: Quando Mosè alzava le mani, Israele era
il più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek (Es 17,11). Questo racconto,
fratelli, ci arreca la conoscenza spirituale di un mistero e al tempo stesso un esempio efficacissimo
di coraggio.
Quando noi portiamo la croce alla sequela di Cristo, elevando come Mosè le mani e il cuore
a Dio, le potenze delle tenebre, subito sgominate, precipitano al suolo prive di forza. Ma se le nostre
braccia si stancano e, dimentichi del cielo, bramiamo la terra, immediatamente la vittoria ci sfugge;
l'avversario prende il sopravvento, ci incalza e ci passa a fil di spada.
Nel combattimento spirituale, dobbiamo sempre portare davanti a noi il vessillo della croce;
eleviamolo coraggiosamente e la vittoria sarà sicura. Se invece lo abbassiamo vivendo da
neghittosi, al primo scontro del nemico cadremo disfatti. Tant'è che Paolo, insigne maestro del
combattimento spirituale, ci dice: Rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia infiacchite e
raddrizzate le vie storte per i vostri passi, perché il piede zoppicante non abbia a storpiarsi. (Eb
12,12-13)
Ci piace esclamare a lode della santa croce:
O croce santa, che hai avuto il merito
di tenere sospeso con un nuovo equilibrio
colui che il cielo e la terra
non sono in grado di tenere sospeso!
O croce, più pura del vetro,
più rifulgente dell'oro,
che sei stata ornata delle membra del Salvatore
come di germogli primaverili e di gemme!
O croce, più sfavillante della luce
più splendente del sole,
che superi per l'intensità della luce divina
il raggio delle stelle e tutti gli astri del cielo!
Tu sola fra tutti gli alberi della selva
sei stata scelta per compiere la redenzione dell'uomo.
Tu hai avuto il merito di sostenere quel peso
la cui forza fa girare il cielo,
tiene sospesa la terra, e
mantiene in equilibrio l'intera macchina del mondo,
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senza farla mai precipitare.
L'inferno ti teme, gli angeli ti venerano,
e ogni creatura ti guarda ammirata.
O albero veramente insigne,
che cresci nato da una zolla di terra,
ma allunghi i fertili rami fin oltre gli astri del cielo!
Un tempo il tuo frutto era soggetto all'inferno,
ora germogli i cedri per il paradiso,
e da te vengono le pietre vive
con cui sono costruiti
gli edifici della Gerusalemme celeste.
O croce santa,
che mentre il sole ritraeva i suoi raggi
per non vedere il sacrilegio,
mentre la terra tremava, (Cf Mt 27,51)
e gli elementi sconvolti per la paura barcollavano,
tu, sola compagna, hai meritato
di assistere il Signore mentre moriva,
di distendere le sue braccia offerte al sacrificio,
di tenerlo nel tuo dolce grembo!
O croce santa, che sei famosa
perché il Redentore del mondo
in te ha avuto la sua morte,
e sei tutta rossa del prezioso sangue
dell'agnello immacolato!
Tu sei la salvezza del mondo malvagio,
tu la luce nelle tenebre, (Gv 1,5)
tu la medicina per gli ammalati,
tu la forza per i santi,
tu il porto per i naufraghi,
tu la via a chi cerca
di sfuggire alle fauci della morte.
Per te chi è straniero
diventa uno della stessa famiglia,
e chi era prima un ospite
tu rendi concittadino degli apostoli.
In te la sanguinosa morte è uccisa
nel momento stesso in cui uccide,
anzi, nel momento in cui
l'autore stesso della morte è ucciso,
la vita tutta distrutta viene rinnovata.
O croce santa,
la fede dei patriarchi, i vaticini dei profeti,
il collegio giudicante degli apostoli,
l'esercito vittorioso dei martiri
e le schiere di tutti i santi,
ti venerano, ti predicano, ti onorano.
Il profumo della tua fragranza vince tutti gli aromi,
il tuo nettare supera ogni qualità
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di balsamo e di miele in tutto il mondo.
O croce santa, titolo di gloria,
segno di vittoria, insegna della redenzione eterna!
A te le cose della terra devono la vita,
quelle del cielo
il ritorno alla pienezza della loro integrità.
Attraverso di te l'uomo esule torna in patria,
e il numero degli angeli che un tempo fu diminuito
viene restaurato.
Tu fai che i servi dei demoni
diventino figli di Dio per adozione,
e coloro che un tempo veneravano gli idoli,
ora siano coeredi di Cristo (Rm 8,17).
O croce gloriosa, o croce meravigliosa,
davanti a cui i governi di tutta la terra si inchinano,
a cui tutti gli scettri del potere obbediscono,
e a cui le leggi di tutti i regni si sottomettono.
O croce amabile e amata,
straordinariamente soave e bella!
Ogni cuore puro arde sapientemente
della fiamma del tuo amore
e del fuoco della tua carità;
e dopo che l'anima fedele viene così accesa,
subito è infiammata in modo indicibile
dall'amore delle cose celesti.
Chi, o croce santa, potrà degnamente lodarti?
Tu, su cui l'autore della vita
morendo distrusse la morte,
e inghiottendo in sé la morte,
risvegliò noi che eravamo morti
alla gloria della sua immortalità.
Salva, te ne prego, o immagine benedetta,
benedici e proteggi il popolo che ti supplica,
che oggi esulta riunito nella tua lode.
Colui che ti volle
lo strumento della nostra redenzione,
si degni anche per tuo mezzo
di farci partecipi della sua gloria;
e coloro che per tuo mezzo ha strappato
dalla catena della schiavitù,
per tuo mezzo egli possa anche costituire
eredi del regno che ha promesso a chi lo ama. (Gc 2,5)
L’Icona
La Chiesa cattolica, molte Chiese protestanti (spesso quelle di matrice Anglicana), e la
Chiesa Ortodossa celebrano la festività liturgica dell'Esaltazione della Santa Croce, il 14 settembre,
anniversario del ritrovamento della Croce da parte di sant'Elena (320) della consacrazione della
Chiesa del Santo Sepolcro in Gerusalemme (335).
La festa del 14 di settembre porta come titolo nei libri liturgici di tradizione bizantina:
«Universale Esaltazione della Croce preziosa e vivificante». È una festa legata alla città di
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Gerusalemme e alla dedicazione della basilica della Risurrezione edificata sulla tomba del Signore
nel 335, ed è anche una festa che celebra il ritrovamento della reliquia della Croce da parte
dell’imperatrice Elena e del vescovo Macario.
La Croce ha un posto rilevante nella liturgia bizantina: tutti i mercoledì e venerdì dell’anno
viene commemorata col canto di un tropario; inoltre si commemora anche la terza domenica di
Quaresima e i giorni 7 maggio e 1 agosto. Nei testi liturgici bizantini la Croce viene sempre
presentata come luogo di vittoria: di vittoria di Cristo sulla morte, di vittoria della vita sulla morte,
luogo di sconfitta e morte della morte. La celebrazione liturgica del 14 settembre nella tradizione
bizantina è preceduta da un giorno di pre-festa il 13, in cui si celebra appunto la dedicazione della
basilica della Risurrezione, e si estende con un’ottava fino al giorno 21 dello stesso mese di
settembre.
L’icona della festa dell’esaltazione della Croce presenta la figura del vescovo Macario che
innalza la santa Croce, con dei diaconi attorno; alcune delle icone introducono anche l’imperatrice
Elena tra i personaggi. L’icona rappresenta proprio la celebrazione liturgica del giorno, con la
grande benedizione e venerazione della Croce preziosa e vivificante. L’icona quindi fa presente il
mistero che si celebra in questo giorno e la stessa liturgia della Chiesa che lo celebra. L’ostensione e
l’esaltazione della Croce porta in primo luogo tutta la creazione alla lode di Colui che in essa è
elevato e della sua vittoria sulla morte: «La Croce esaltata di Colui che in essa è stato elevato,
induce tutta la creazione a celebrare l’immacolata passione: poiché, ucciso con essa colui che ci
aveva uccisi, Egli ha ridato vita a noi che eravamo morti, ci ha dato bellezza e ci ha resi degni, nella
sua compassione, per sua somma bontà, di prendere cittadinanza nei cieli. (...) Croce
venerabilissima che le schiere angeliche circondano gioiose, oggi, nella tua esaltazione, per divino
volere risollevi tutti coloro che, per l’inganno di quel frutto, erano stati scacciati ed erano precipitati
nella morte (...) noi dunque acclamiamo: Esaltate Cristo, Dio più che buono, e prostratevi al suo
divino sgabello».
In uno dei lunghi tropari del vespro si passa quasi in rassegna tutta la teologia della Croce e
il modo in cui la stessa Chiesa la professa e la vive. Mettendo in parallelo l’albero del Paradiso e
l’albero della Croce, essa viene presentata e mostrata come luogo della salvezza e della vita;
l’inganno del primo albero diventa vita nel secondo: «Venite, genti tutte, adoriamo il legno
benedetto per il quale si è realizzata l’eterna giustizia: poiché colui che con l’albero ha ingannato il
progenitore Adamo, viene adescato dalla Croce, e cade travolto in una funesta caduta, lui che si era
tirannicamente impadronito di una creatura regale». Il veleno del serpente viene annullato dal
sangue vivificante di Cristo sulla Croce: «Col sangue di Dio viene lavato il veleno del serpente, ed è
annullata la maledizione della giusta condanna per l’ingiusta condanna inflitta al giusto: poiché con
un albero bisognava risanare l’albero, e con la passione dell’impassibile distruggere nell’albero le
passioni del condannato».
In questa festa la tradizione bizantina dà alla Croce di Cristo dei titoli che la collegano
direttamente, come fa la liturgia stessa anche con la Madre di Dio, con il mistero della salvezza
adoperato da Cristo stesso per mezzo della Croce. E in comune con le altre liturgie orientali, anche
la tradizione bizantina dà alla Croce come primo il titolo di porta o chiave che riapre il Paradiso:
«Gioisci, croce vivificante, porta del Paradiso, sostegno dei fedeli, muro fortificato della Chiesa: per
te è annientata la corruzione, distrutta e inghiottita la potenza della morte, e noi siamo stati innalzati
dalla terra al cielo. Arma invincibile, nemica dei demoni, gloria dei martiri, vero ornamento dei
santi, porto di salvezza, tu doni al mondo la grande misericordia».
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