Da larena.it dell’8 dicembre 2013 Quanto costa l'indipendenza? Prime bordate di guerra mediatica, in vista del referendum sull'indipendenza del settembre 2014, fra indipendentisti scozzesi e fautori del Regno Unito. Ad aprire le ostilità sono stati gli unionisti, sotto forma di un rapporto dell'Institute for Fiscal Studies (Ifs), un think tank formalmente autonomo, che ha analizzato entrate fiscali e spesa pubblica per i prossimi cinquant'anni in una ipotetica Scozia indipendente. Le conclusioni non sono piaciute allo Scottish National Party, attuale partito di governo della Scozia in regime di autonomia (devolution), che ha replicato con le proprie. L'Ifs ha studiato tre scenari, incluso quello più ottimistico: robusti introiti petroliferi per tutto il prossimo decennio, spartizione favorevole del debito pubblico britannico, e finanziamento di esso ai medesimi tassi del Regno Unito. Ulteriori ipotesi: produttività in crescita e immigrazione netta di 26.000 persone all'anno, per rimediare alla sfavorevole struttura per età della popolazione. Se si mantiene l'obiettivo di portare il debito pubblico a 40% del pil per il 2062-63, il divario fra entrate fiscali e uscite dovrebbe contrarsi dell'1,9% del reddito nazionale, ben di più dello 0,8% previsto per la Gran Bretagna. Edinburgo sarebbe costretta a tagliare la spesa, alzare di sei punti percentuali l'aliquota di base dell'imposta sul reddito, o portare l'Iva al 25%. Questo in aggiunta ai provvedimenti già decisi nel quadro del Regno Unito. Alistair Darling, leader della campagna «Better Together» contro l'indipendenza, ha subito commentato che la causa della secessione «ne esce a pezzi». Il governo di Edinburgo però non si è limitato a rispondere intonando O Fhluir na h-Albann, l'inno nazionale scozzese. Ha controargomentato. Il primo ministro Alex Salmond infatti ha detto che «riequilibrare l'economia, spingere la performance economica e affrontare le annose diseguaglianze della società creata da Westminster sono compiti che richiederanno del tempo, ma si possono realizzare solo con i poteri dati dall'indipendenza. Solo con l'indipendenza potremo massimizzare il nostro enorme potenziale e realizzare il tipo di economia e di società che riflette i valori del popolo scozzese». «La Scozia è un paese ricco», ha detto il segretario scozzese alle Finanze John Swinney: «In ciascuno degli scorsi trent'anni abbiamo pagato più tasse pro capite del resto del Regno Unito. Abbiamo industrie dinamiche in comparti come le scienze biologiche, l'energia rinnovabile, il turismo e i servizi finanziari, ma troppa della nostra gente non avverte pienamente i benefici di questa ricchezza». Se fra il 1997 e il 2007, anno di inizio della recessione, la Scozia fosse cresciuta al ritmo di altre piccole nazioni indipendenti, ha ricordato Swinney, il pil pro capite sarebbe oggi più alto del 3,8% novecento sterline in più. Ma sarebbe superiore di un 3% anche se fosse cresciuta solo come il resto del Regno Unito. Chi ha ragione? Ancora non si può dire, ma Salmond non sbaglia ad attirare l'attenzione sulla discontinuità creata dall'indipendenza. Questa discontinuità ha certo anche aspetti pericolosi, come l'impossibilità di rimanere nell'Ue alle stesse condizioni della Gran Bretagna, o di usare la sterlina anziché una moneta propria se non addirittura l'euro. Fra dieci mesi, comunque, sarà il referendum a tranciare il nodo gordiano. La domanda che sarà rivolta ai cittadini è semplicissima: «Should Scotland be an independent country?», cioè «La Scozia deve essere un Paese indipendente?»