1 Il Carsismo Carso deriva dal tedesco Karst, un termine che a sua volta trae origine dalla parola indoeuropea “Kar” che significa rupe, roccia. Con il termine di carsismo si indica l'attività chimica dell'acqua su rocce calcaree e gessose a opera di precipitazioni rese leggermente acide dall’anidride carbonica presente nell’atmosfera. La parola ha origine dal nome della regione dove inizialmente questo fenomeno è stato studiato, il Carso Triestino. Questa regione si estende grosso modo dal Golfo di Trieste verso nordest fino alla valle del fiume Vipacco (Vipavska dolina, Slovenia) e dal fiume Isonzo verso sudest fino o poco oltre la sorgente del torrente Rosandra. Ma i fenomeni carsici, o semplicemente “il carso” (con l’iniziale minuscola) certamente non si fermano qui. Con il progredire degli studi sul carsismo è diventato evidente che questo tipo di terreno è in effetti una delle tre maggiori formazioni topografiche del suolo terrestre, assieme a quella di origine vulcanica e quella di origine glaciale. Le varie espressioni del carso si distinguono principalmente per il sostrato sul quale avvengono. Da noi si conoscono principalmente le forme di carsismo su rocce calcaree e dolomitiche, ma altrove esso si manifesta nel sale, nel gesso, in vari tipi di anidride. C’è dell’attività carsica persino in alcune rocce vulcaniche. Il processo Il carso si sviluppa principalmente a seguito della corrosione e della disgregazione delle rocce. La corrosione avviene per opera delle acque di superficie (precipitazioni) che contengono quel poco di anidride carbonica che basta a intaccare la roccia. Con il passare del tempo la pioggia “buca” la roccia e si insinua sempre di più nelle spaccature e tra i massi, facendovi scivolare anche la poca terra disponibile. Con ciò altra e più copiosa anidride carbonica si aggiunge al flusso corrosivo dell’acqua che infine raggiunge il sottosuolo argilloso o comunque non permeabile dove crea varie forme di cavità. La disgregazione delle rocce che ne consegue crea il cosiddetto “flisch”, una specie di grossolano pietrisco gigante che tende a rotolare o scivolare verso il basso, riempiendo e livellando gli avvallamenti che trova nel suo passaggio. L’equilibrio tra questi due processi costituisce il terreno carsico. E’ importante, ovviamente, la costituzione primaria del terreno sul quale questi fenomeni si realizzano, in quanto il gesso, ad esempio, certamente è più malleabile della roccia calcarea, il che incide notevolmente sui tempi e sullo sviluppo del processo. Ma l’azione decisiva è sempre e soltanto quella dell’acqua. Ecco perché i terreni carsici si trovano prevalentemente nella fascia climatica temperata, dove le condizioni atmosferiche sono più favorevoli, sia per le temperature che per la quantità di precipitazioni. All’infuori di questa fascia il carso si trova solo sporadicamente. I fenomeni Dissolvendosi, le rocce calcaree danno luogo a fenomeni caratteristici sia nell'ambiente esterno sia nel sottosuolo. Il paesaggio carsico è privo di rete idrografica superficiale: presenta invece ovunque distese pietrose, solchi, doline, voragini, abissi e grotte. Dolina è una parola di origine slovena e significa semplicemente valle. Dato che l’interesse per i fenomeni carsici ed anzi per lo stesso carsismo si è sviluppato a partire dai territori sloveni, la terminologia internazionale ha fatto proprio questo termine per definire più precisamente una valle carsica, cioè tipica del terreno modellato da fenomeni di carsismo. I fiumi spesso scompaiono dalla superficie e sprofondano nel sottosuolo dove scorrono anche per parecchio tempo prima di tornare all’aperto in particolari risorgive carsiche. Oltre alle doline che sono particolari forme di avvallamenti, sono caratteristici i polje. Si tratta di grandi valli a fondo piatto con un corso d’acqua che, nella maggior parte dei casi, periodicamente si ingrossa fino ad allagare tutto il fondo, formando così veri e propri laghi che con il defluire delle acque nei caratteristici inghiottitoi, poi scompaiono. L'inghiottitoio è il punto su una superficie 2 carsica dove l’acqua penetra o sprofonda nel sottosuolo.Molto noto, ad esempio, il lago di Circonio (Cerkniško jezero in Slovenia) che da quasi due secoli viene studiato da scienziati provenienti da tutto il mondo. Nel sottosuolo le acque di penetrazione formano veri e propri fiumi sotteranei, i quali contribuiscono poi ad ampliare ed approfondire le grotte stesse. Il gocciolìo dell’acqua che penetra dalla superficie crea fantastiche strutture calcaree. Le forme più caratteristiche sono stalattiti, stalagmiti e cortine che ornano le grotte sotterranee. La stalattite è una formazione calcarea pendente dalla sommità delle grotte soggette a fenomeni di carsismo, prodotta da continui e prolungati depositi minerali. La stalagmite è una formazione calcarea colonnare che risale dal pavimento di una grotta soggette a fenomeni di carsismo, prodotta dal gocciolamento di acqua che deposita strati successivi di minerali. L’azione dell’acqua Le molteplici e tipiche forme con cui si presenta il Carso agli occhi del visitatore sono dovute fondamentalmente alla particolare roccia che lo costituisce: il calcare. Essa è formata sostanzialmente da carbonato di calcio (CaCO3) un composto pochissimo solubile in acqua ma che si trasforma facilmente in un composto molto solubile, la cui formula chimica è Ca(HCO3)2. La reazione che regola il processo carsico può essere quindi scritta nel modo seguente: CaCO3 + H2O + CO2 ' Ca(HCO3)2 Essa sta a significare che il carbonato di calcio in presenza di acqua e anidride carbonica si trasforma in bicarbonato di calcio. Ma la doppia freccia suggerisce anche che la reazione può avvenire in senso contrario e cioè che il bicarbonato si può trasformare in carbonato liberando anidride carbonica e acqua. Si tratta, in altri termini, di una reazione di “equilibrio mobile” cioè di una reazione che può svolgersi nelle due direzioni a seconda delle condizioni ambientali. L’anidride carbonica è presente nell’aria in quantità minima (rappresenta solo lo 0,03 per cento dei gas presenti), ma nell’acqua piovana i rapporti di concentrazione dei gas cambiano e l’anidride carbonica si trova in concentrazione maggiore soprattutto se l’acqua è fredda e se ristagna in particolari tipi di terreni. Vi sono infatti dei terreni che riescono ad immagazzinare aria in cui l’anidride carbonica si trova fino a cento volte più concentrata che nell’atmosfera, rendendo decisamente acide le acque che li pervadono. Anidride carbonica e acqua portano alla formazione di acido carbonico secondo la reazione seguente: CO2 + H2O H2CO3. La ricchezza di forme originali che il Carso presenta è dovuta all’azione di un insieme di fattori, fra cui il principale è l’acqua piovana, un ingrediente fondamentale per la sua azione chimica (corrosione) e meccanica (erosione) sulle rocce calcaree. L’insieme delle forme e dei fenomeni che le determinano prende il nome di “carsismo” che, come abbiamo già detto, rappresenta una disciplina autonoma in seno alla geologia. Il carsismo si instaura in zone temperate e relativamente molto piovose in cui l’acqua agisce sulla roccia con intensità diversa a seconda della particolare disposizione degli strati e della loro purezza. Se la roccia è compatta, l’acqua meteorica esplica la sua azione solo in superficie trasformando ed asportando il calcare fino a formare una serie di rivoli che si dipartono a raggiera dal punto più alto della struttura verso il basso. I calcari impuri sono invece poco solubili: il calcare è infatti tanto più “carsificabile” quanto più è puro. Di solito contengono quantità più o meno elevate di argilla formata soprattutto da ossidi di silicio, di ferro e di alluminio non soggetti ai processi di corrosione chimica e che quindi vengono abbandonati come residuo insolubile. A mano a mano che il carbonato si solubilizza, si accumula l’argilla residuale colorata di rosso mattone più o meno intenso per gli ossidi di ferro che contiene. Si forma così la cosiddetta terra rossa, che va a sedimentarsi nelle zone topograficamente depresse. La superficie carsica è caratterizzata quindi da zone in cui affiora la roccia pura e zone in cui questa è ricoperta da uno strato di terra rossa di cui tornano impolverati gli escursionisti e in cui si sviluppa una vegetazione scarsa, ma ricca di specie molto particolari ed esclusive. La terra rossa è molto fertile in quanto ricca di preziosi sali minerali e dell’acqua meteorica che riesce a trattenere in superficie consentendo così coltivazioni produttive, fra le 3 quali la vite, da cui si ricava il famoso terrano, un vino rosso molto adatto ad accompagnare i piatti di selvaggina. Il Carso è un ambiente naturale a due piani. C’è il Carso di superficie illuminato dal Sole e bagnato dalla pioggia con i suoi fenomeni detti di carsismo epigeo (dal greco epí = sopra e gē = terra) e c’è un Carso sotterraneo che le tenebre velano di mistero e dove l’acqua ha scolpito sulle pareti e sul fondo delle caverne le forme più strane e indeterminate che poi la fantasia dell’uomo interpreta come meglio crede; il tutto pervaso da un silenzio angosciante rotto soltanto dal picchiettare incessante delle gocce d’acqua che cadono dal soffitto. I fenomeni che avvengono in profondità sono detti di carsismo ipogeo (dal greco hypó = sotto e gē = terra). Grotte di Frasassi Possiamo affermare con certezza che una sistematica ricerca di speleologi e geologi nella zona di Frasassi ha avuto inizio nel 1948, grazie all'attività del Gruppo Speleologico marchigiano di Ancona. Si deve ricordare tuttavia che anche nel periodo tra le due guerre vi furono alcune esplorazioni e ricerche di studiosi di preistoria e di scienze naturali, ma furono episodi sporadici. Proprio nel 1948, e precisamente il 28 giugno, Mario Marchetti, Paolo Beer e Carlo Pegorari del suddetto Gruppo Speleologico scoprirono l'ingresso della Grotta del Fiume. Numerose altre esplorazioni e scoperte si avranno nella zona, grazie ai Gruppi Grotte del Club Alpino Italiano (C.A.I.) di Jesi e di Fabriano. Nel 1966 un componente del Gruppo Speleologico fabrianese, Maurizio Borioni, troverà all'interno della Grotta del Fiume un'ulteriore diramazione, della lunghezza di oltre un chilometro. Da questo momento le esplorazioni e le ricerche divennero più assidue ed entusiastiche. Cinque anni dopo, nel luglio 1971, una nuova scoperta. Stavolta sono alcuni giovani jesini a trovarsi di fronte ad una stretta apertura da cui fuoriesce una notevole corrente d'aria. Essi sono Armando Antonucci, Mauro Brecciaroli, Mauro Coltorti, Mario Cotichelli, Massimo Mancinelli, Giampiero Rocchetti e Roberto Toccaceli. Lavorano per circa un mese ad ampliare lo stretto passaggio, e il primo agosto successivo oltrepassarono quella che sarà definita la "Strettoria del tarlo". Si apriranno così alla meraviglia dei giovani circa cinque chilometri di nuove cavità, con un insieme di cunicoli, pozzi e imponenti gallerie, all'interno delle quali troveranno tracce animali conservate attraverso i millenni. Le scoperte di questo anno fortunato non finiscono quì. La prima traccia della scoperta più rilevante, quella della Grotta Grande del Vento, si avrà il 25 settembre dello stesso 1971, quando Rolando Silvestri del Gruppo Speleologico Marchigiano Club Alpino Italiano di Ancona, attraversando le pendici nord del monte Vallemontagnana, scoprì un piccolo imbocco. Con l'aiuto di alcuni amici riuscì ad aprire un varco in una piccola sala. Alla delusione per la piccola scoperta si accompagnò quasi subito la speranza che ci fosse in vista qualcosa di ben più grande. Nella piccola sala, infatti, vi erano numerose aperture da cui fuoriuscivano correnti d'aria. Dopo una faticosa opera di scavatura, che durerà alcuni giorni, s'inoltrarono in una strettoia e di qui scivolarono in direzione del ciglio di un vuoto. Gettarono un sasso nel vuoto e si resero conto dell'ampiezza e della profondità della grotta. Il loro calcolo, non lontano dal vero, fu di oltre cento metri. Una scoperta incredibile, che creò grande entusiasmo tra i membri del gruppo. La meravigliosa Grotta Grande del Vento fu consegnata così all'ammirazione dell'uomo. Il problema diventò a quel punto per loro cercare di penetrare nella cavità e raggiungere il fondo. In tempi rapidi si munirono della necessaria attrezzatura e, con una nuova spedizione, si calarono nell'enorme grotta sottostante cui sarà dato il nome di "Abisso Ancona". Le luci degli speleologi anconetani misero subito in evidenza lo splendore e la singolare bellezza di questo nuovo ambiente. La scoperta fu diffusa e fatta conoscere anche attraverso la stampa. Proseguirono poi e si intensificarono le attività del Gruppo Speleologico di Jesi e del Gruppo anconetano, il primo nella Grotta del Fiume e il secondo nella Grotta Grande del Vento. Loro obiettivo era quello di trovare la congiunzione, la via di comunicazione tra le due cavità che essi ritenevano dovesse necessariamente esserci. La loro convinzione e la loro faticosa ricerca sarà realizzata circa due mesi dopo, l'8 dicembre, ma saranno alcuni speleologi del C.A.I. di Fabriano a portarsi sulle tracce degli speleologi anconetani nella Grotta Grande del Vento. Essi 4 diedero anche un nome a quel passaggio: "Condotta dei fabrianesi". Le due enormi grotte diventarono così, d'ora in poi, un enorme labirinto di ambienti sotterranei che si susseguono incessantemente per oltre tredici chilometri. Soltanto gli speleologi, con attrezzature particolari e non senza talune difficoltà, sono in grado di esplorare nella sua interezza questo stupendo mondo sotterraneo; agli altri non restano che le foto, pur bellissime. Sul finire del 1972 venne costituito il "Consorzio Frasassi", con l'obiettivo di salvaguardare e valorizzare le grotte di Frasassi e il territorio comunale entro cui si trovano. Il Consorzio venne costituito tra il Comune di Genga e la Provincia di Ancona. Fu costruita una galleria artificiale di oltre 200 metri, che conduceva all'ingresso della Grotta Grande del Vento, e poi all'interno fu tracciato un comodo percorso di circa 600 metri. Si diede incarico a Cesarini di Senigallia di curare l'illuminazione ed egli lo fece magistralmente. Si erano così realizzate le condizioni minime per rendere accessibile ai turisti una delle parti più belle della Grotta Grande del Vento. L'apertura risale al 1° settembre 1974; da allora numerosi turisti continuano a visitare questi luoghi incantevoli in cui possono apprezzare la bellezza, lo splendore e la maestosità della natura. schema della circolazione dell'acqua nel fenomeno carsico evoluzione teorica di una cavità sviluppi orizzontali (piani) e verticali (pozzi) delle cavità e abbassamento del livello del T. Sentino 5 L' origine della "Gola di Frasassi" Dai rilievi geomorfologici risulta che la paleo-geografia dell'area era costituita da corsi d'acqua principali con direzione SW-NE che dalle pieghe appenniniche, con alvei rettilinei, si immettevano nel mare Adriatico. Contemporaneamente i loro affluenti, inseriti nelle sinclinali e lungo le linee di vecchie faglie, avevano un andamento idrografico perpendicolare ai primi. frattura della roccia evidenziata all'interno della Sala dei duecento per un'altezza di 50m La regressione della linea di costa e il perdurare delle spinte orogeniche, che sollevavano gli Appennini, incrementarono l'azione erosiva dei corsi d'acqua principali, i quali ampliarono il loro bacino imbrifero attraverso catture fluviali lasciando negli alvei abbandonati valli relitte parallele. L'attuale reticolo idrografico, che può sembrare complicato da un'apparente indipendenza dei corsi d'acqua, è invece riconducibile ad uno schema evolutivo caratterizzato da catture fluviali successive. E' in questo meccanismo particolare che possono rientrare l'origine e la formazione della Gola di Frasassi e della Gola della Rossa. Dunque l'apertura e l'evoluzione della Gola di Frasassi sono state realizzate dal taglio progressivo del rilievo calcareo spartiacque costituito da Monte Valmontagnana - Monte Frasassi, lungo i versanti del quale scorrevano corsi d'acqua diametralmente opposti che, integrati sia dalle fratture della roccia sia da un particolare e grandioso carsismo, hanno reso possibile la cattura delle acque del bacino imbrifero dell'entroterra appenninico, originando l'attuale assetto idrografico. Il torrente Sentino e le acque sulfuree Il complesso montuoso Monte Valmontagnana - Monte Frasassi è caratterizzato da un motivo geologico a pieghe, con un'ampia anticlinale calcarea corrispondente al rilievo orografico, e da strette sinclinali che corrispondono a valli e pianure (area di Pianello di Genga - area di S. Vittore Terme). Su queste strutture geologiche, dopo gli eventi orogenici e agevolata da faglie e diaclasi, si è inserita la circolazione idrica superficiale costituita dal torrente Sentino e dal ruscellamento e dilavamento ad esso collegato. fiume Sentino: particolare Questi corsi d'acqua, ostacolati dal complesso montuoso di Frasassi, hanno formato, all'inizio del Pleistocene, un grande lago all'altezza di Pianello di Genga e filtrando in profondità attraverso le fratture della roccia calcarea, hanno raggiunto i sottostanti depositi Evaporitici Riabliani costituiti da salgemma, gessi e livelli bituminosi (Agip pozzo Burano). Attraverso millenni le acque ristagnanti nell'area di Pianello - Genga, agendo in profondità e sottoposte a notevoli pressioni idrostatiche, hanno provocato la soluzione degli Evaporiti Riabliani, sciogliendo salgemma e gesso, scomponendo quest'ultimo in bicarbonato di calcio e acido solfidrico (acque sulfuree). Con questi meccanismi le acque, arricchitesi in profondità di sali minerali, sbarrate da terreni impermeabili, sono risalite lungo i piani di faglia, in obbligo alla 6 legge dei vasi comunicanti, manifestandosi con sorgenti e ruscellamenti, in località S. Vittore Terme, dove la superficie topografica è più bassa del bacino che le alimenta. Genesi delle Grotte di Frasassi fiume Sentino In questi piani di faglia e nelle disgiunzioni del Calcare massiccio ha avuto origine il complesso carsico Grotta grande del vento. Difficile è stabilire la data certa della sua formazione. Considerato, comunque, che l'elemento base è l'acqua sulfurea e che questa ha potuto risalire unicamente quando il Calcare massiccio è stato spezzato e tagliato dalle faglie, nella valutazione dell'età di questi eventi post-orogenici, avvenuti nel Pliocene Superiore, è possibile affermare che l'origine delle prime sale possa essere datata ad un milione quattrocentomila anni fa. In quel periodo il Sentino aveva il suo alveo molto più alto rispetto all'attuale posizione e tutta l'idrografia era più alta di due-trecento metri: è a questa quota che si incontravano, all'interno della montagna, lungo i piani di faglia, l'acqua artesiana mineralizzata e l'acqua più fredda del torrente Sentino: dal loro connubio avvenivano la dissoluzione del calcare ed il deposito del gesso. Possiamo osservare che quando il fiume Sentino era ad una quota di 250 metri più alta (testimoniata dall'incisione sulle pareti della Gola di Frasassi a varie quote) il suo regime era saltuario e, in periodi autunnali e primaverili, le piene avevano una notevole forza erosiva data l'elevata pendenza dell'alveo, così le acque incidevano rapidamente la roccia e il suo letto si abbassava molto velocemente; di conseguenza, abche l'idrografia sotterranea, che si raccordava con il Sentino, subiva un abbassamento altrettanto veloce originando, all'interno, un carsismo con condotte verticali e piccole sale, non riuscendo in questi casi a lasciare depositi di gesso per il breve stazionamento della zona di reazione. Tutto questo è stato riscontrato nella realtà, infatti le cavità carsiche a quota 250 metri sono di modeste dimensioni, isolate e poco appariscenti. Man mano che il torrente Sentino seguitava a scendere di quota per l'intensa erosione, l'acqua del fiume tendeva ad essere meno impetuosa e meno veloce: conseguentemente l'idrografia sotterranea si abbassava più lentamente rispecchiando esattamente la situazione d'equilibrio del fiume. La zona di reazione tra acqua sulfurea e le acque fredde del torrente stazionavano sempre più a lungo alla stessa quota permettendo la formazione di quel complesso di sale grandiose che oggi ritroviamo. Dove il livello di risalita dell'acqua sulfurea era superiore all'alveo del Sentino si formavano, convergenti verso il torrente, condotte sub-orizzontali di raccordo idrografico. La struttura base del complesso ipogeo di Frasassi è costituito da 6-8 livelli sovrapposti che rappresentano cicli erosivi del Sentino in lunghi periodi geologici. Morfologia della Grotta grande del vento Le paleosale, così chiamate perchè rappresentano una posizione statica delle Grotte di Frasassi attraverso il tempo, rappresentano la fase primordiale di reazione dell'acqua sulfurea sul Calcare massiccio. Nel punto di risalita, dove si incontravano l'acqua sulfurea e l'acqua fredda del fiume, avveniva la reazione per miscela di acque carbonatiche che provocava lo scioglimento delle pareti calcaree e il deposito di gesso per saturazione della soluzione. Queste paleosale hanno una sezione trasversale sempre a forma di campana, che dovrebbe corrispondere ad un ciclo intero di erosione del fiume Sentino e di tutta l'idrografia ad esso 7 collegata. Le paleosale, se non interessate da percolazioni idriche o stillicidi, si presentano spoglie da concrezioni calcaree ma ricche di depositi di gesso bainco (sala Manhattan). sala Manhattan: depositi di gesso bianco Le sale evolute o sprofondate, rappresentano, invece, una fase successiva alla formazione del complesso carsico. Dopo ripetuti cicli di erosione del fiume, riflessi all'interno della Grotta con formazione di vari piani rappresentati da paleosale, si è giunti ad un periodo di stasi della posizione dell'alveo del fiume Sentino. In tale circostanza la zona di reazione ha potuto agire sempre alla medesima quota allargando le paleosale nel senso orizzontale. Al proseguire del fenomeno, è venuto a mancare il sostegno alla volta calcarea che così è crollata. Questo crollo ha portato all'unione in un'unica grande sala di due o più piani sovrapposti. Condotte sub-verticali Il pavimento delle paleosale è interessato per il novanta per cento da condotte forzate verticali di forma e di dimensioni svariatissime (Sala "C" imponente pozzo con livello base). Questo fatto testimonia che l'acqua sulfurea risaliva dal profondo per mezzo di condotte forzate verticali e fratture che la immettevano nelle sale ove circolava sottoposta alla sola pressione atmosferica. sala "C": lago dell'Orsa Condotte di sfogo sub-orizzontali Hanno una pendenza media di tre gradi e presentano sui lati profonde incisioni che, oltre ad indicare la quantità di acqua che le attraversava, rivelano la capacità solvente dell'acqua sul Calcare massiccio. L'acqua sulfurea, risalendo dal profondo attraverso le fratture, penetrava nelle paleosale e, tramite le condotte sub-orizzontali, si raccordava e si immetteva nella idrografia esterna. Anche oggi accade il medesimo fenomeno in quanto l'acqua sulfurea, tracimando dai laghetti interni al complesso carsico, si immette nel fiume Sentino. E' sufficiente ricordare, a proposito, i casi della "Grotta sulfurea" e della "Grotta bella", dove l'acqua sulfurea si immette in condotte sub-orizzontali nel fiume Sentino. Queste condotte, oltre a presentare caratteri di originalità, sono importanti perchè permettono il ricambio dell'acqua sulfurea, permettendo una continua reazione senza possibilità di esaurimento. 8 sala "C": condotta sub-orizzontale fossile Originalità del carsismo nella Grotta grande del vento I sedimenti, i depositi e i minerali, scoperti nelle grotte e subito analizzati nei diversi istituti universitari di Geologia e Mineralogia, hanno messo in evidenza la particolarità del carsismo delle Grotte di Frasassi. Elemento fondamentale è la presenza di grandi ed imponenti depositi di gesso che riempono le cavità calcaree. Questo sedimento gessifero, depositatosi nelle sale per raffreddamento dell'acqua sulfurea da parte del torrente Sentino (minerali presenti nella soluzione NaCI, CaSO4), si presenta con struttura saccaroide a grana microcristallina di colore bianco e ricoperto, in superficie, da cristalli geminati microcristallini. I depositi di gesso sono presenti in quasi tutta la grotta e raggiungono la massima espressione in prossimità dell'"Abisso Ancona". Abisso Ancona: gesso ricoperto di massi franati Quì il gesso, dello spessore di dieci metri, presenta un passaggio netto da una struttura microcristallina saccaroide bianca a una struttura macrocristallina grigia. Questo fatto potrebbe essere spiegato con un allagamento successivo delle sale per il ritorno di acqua sulfurea che avrebbe provocato una ricristallizzazione del sedimento gessifero nella porzione sommersa. Altre particolarità dell'evoluzione della Grotta grande del vento sono la presenza di stalagmiti giganti e colonne parzialmente erose e bucherellate che presentano nei fori e nelle fessure intrusioni di gesso microcristallino bianco. Tra i minerali particolari riscontrati nella Grotta (sala "C") sono da citare i depositi e i noduli di solfato di bario (Barite BaSO4), dal caratteristico colore azzurro. sedimento gessifero 9 Le concrezioni Le stalattiti, le stalagmiti, le colate calcetiche ed i laghetti cristallizati, che rappresentano la componente più bella delle grotte, sono l'espressione finale del lungo lavoro svolto dall'acqua piovana sulla roccia. Infatti, se i calcari sono fessurati, l'acqua di precipitaizone meteorica che penetra attraverso la superficie del terreno circola all'interno delle rocce seguendone le fessure, poiché nell'acqua è sempre presente una certa quantità di CO2 il calcare viene parzialmente sciolto e le fessure vengono allargate là dove la circolazione dell'acqua è maggiore. Il Calcare massiccio, nella zona di Frasassi, è ampiamente ricoperto da terreni impermeabili e semipermeabili (Monte Valmontagnana); l'acqua piovana non si infiltra uniformemente nella zona ma lungo gli strati e lungo le fratture: qui trasforma il carbonato di calcio della roccia in bicarbonato di calcio, il quale è solubile. All'interno della grotta, il processo chimico tende ad invertirsi: il continuo stillicidio causa la cessione dell'anidride carbonica dall'acqua all'aria, il bicarbonato, ceduta la CO2, diviene insolubile e si deposita producendo splendide concrezioni; sulla volta delle sale si formano splendidi depositi calcitici chiamati "stalattiti", nate da un piccolo cilindro di calcite cavo all'interno del quale inizialmente, passava la goccia, poi sono cresciute enormemente con il dilavamento esterno. sala del Totem: stalgmiti e colonne erose, con gesso nelle fessure Le concrezioni alla base delle sale si chiamano "stalagmiti", che sono il risultato dell'impatto delle gocce sul terreno. Queste presentano varie forme non sempre compatte. Nella Grotta grande del vento, data la vastità degli ambienti, per il notevole percorso fatto dallo stillicidio che cade dalla volta, l'acqua diviene molto satura e oltre a depositare carbonato di calcio nel punto d'impatto, incrosta a raggera l'area circostante. Questo meccanismo ha permesso la formazione di stalagmiti giganti (il gruppo dei giganti, il castello, l'obelisco) che tendono a crescere e ad allargarsi a raggera perchè via via catturano lo stillicidio più esterno. Quando le concrezioni con il passare del tempo, si accrescono enormemente possono unirsi per formare colonne di forme e colore diversissimi. L'acqua può dilavare la roccia (allora si potranno formare colate calcitiche) o può ristagnare e formare laghetti che tendono a saturarsi e ricoprirsi don druse. Nella Grotta grande del vento estesi depositi di gesso vengono sciolti dal continuo stillicidio nei piani superiori. Di conseguenza, l'acqua di percolazione, persa la CO2 e carica di sale di carbonato di calcio, sciogliendo il gesso presente nelle sale superiori, si trova eccezionalmente soprasatura e cola cristallizzando con calcite purissima su laghetti quasi orizzontali. Questa particolarità si riscontra nelle concrezioni dei Giganti e nel laghetto cristallizzato (Abisso Ancona), nel Canyon e nella sala della Candeline. Infine, nella parte più remota del complesso carsico, le pareti sono ricoperte da una fitta rete di vermiculazioni argillose, denominate "pelli di leopardo" per la loro particolare morfologia. Grotta grande del vento: particolari