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Sono trascorsi 40 anni
Sono trascorsi 40 anni da quando il mio predecessore Papa Paolo VI promulgò la Dichiarazione del
Concilio Vaticano II sulle relazioni della Chiesa con
le religioni non cristiane Nostra Aetate, che inaugurò una nuova era di rapporti con il popolo ebraico e
costituì la base per un sincero dialogo teologico.
Questo anniversario ci offre numerosi motivi per
esprimere gratitudine a Dio Onnipotente per la testimonianza di tutti coloro che, nonostante una storia
complessa e spesso dolorosa, e in particolare dopo la
tragica esperienza della Shoah, ispirata da una ideologia razzista neo-pagana, hanno operato coraggiosamente per promuovere la riconciliazione e una
migliore comprensione fra Cristiani ed Ebrei. Nel
gettare le fondamenta di un rapporto rinnovato fra il
Popolo ebraico e la Chiesa, la Nostra Aetate ha sottolineato la necessità di superare i pregiudizi, le
incomprensioni, l’indifferenza e il linguaggio ostile e
sprezzante del passato...
Dobbiamo rinnovare il nostro impegno per l’opera
che ancora resta da compiere.
Benedetto XVI
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PRESENTAZIONE
N
el terzo capitolo si presenta un’antologia
dei testi del Magistero circa i rapporti
della Chiesa Cattolica con l’Ebraismo da
una parte, e la trasmissione della fede ai figli dall’altra.
Questi temi corrispondono ai due punti focali di quest’opera, che rappresentano rispettivamente i suoi due
primi capitoli: l’importanza dell’approccio midrashico
alla Scrittura e quella degli ambienti vitali nei quali
tale approccio è nato, che sono soprattutto la famiglia
e la liturgia domestica, oltre che la liturgia sinagogale
e la scuola (denominata in ebraico, non a caso, bet
midrash, ovvero «casa del midrash»). Ciò che unisce
questi due punti è il ruolo essenziale della tradizione
orale, ovvero della trasmissione viva ed esistenziale
della Parola di Dio, frutto di un’esperienza personale
di fede. Abbiamo quantomai bisogno oggi nella Chiesa di rivalutare l’importanza di tale ruolo, affinché la
Scrittura non rimanga un «testo morto», da relegare
alle aule universitarie (con ciò non si vuole sminuire
il valore dell’esegesi scientifica nella Chiesa!).
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Il Midrash
Non si smetterà mai d’insistere che la Bibbia ereditata dal Nuovo Testamento era una Bibbia già
interpretata dalla tradizione orale e dalla liturgia
d’Israele, come ha affermato R. Le Déaut: «Il Nuovo
Testamento non segue direttamente la lettera del
testo sacro, ma dipende ogni volta dalla sua esegesi
tradizionale e si sviluppa nell’humus della tradizione
midrashica»1.
La coscienza degli Apostoli e degli autori del
Nuovo Testamento era permeata dalle Scritture, dalla
tradizione orale e midrashica, dalla liturgia ebraica, sia
a causa del loro essere ebrei, sia a causa della loro convinzione del compimento di quelle Scritture, tradizione, liturgia in Gesù di Nazareth. Questo fatto aiuta a
capire perché essi si riferiscano all’Antico Testamento
non mediante una rigorosa fedeltà al testo, ma volendo coglierne il suo senso pieno: a tal fine disponevano
di un’ampia tradizione testuale e di una ricca tradizione midrashica orale. Il midrash è, infatti, un procedimento molto antico: esso è testimoniato già nell’Antico
Testamento e, in particolare, nella versione greca della
Settanta, definita da S. Lieberman come «il più antico
dei nostri midrashim»2.
1
The Current State of Targumic Studies, BTB 4/1 (1974) 8, trad. nostra.
Hellenism in Jewish Palestine. Studies in the Literary Transmission, Beliefs and
Manners of Palestine in the I Century B.C.E. – IV Century C.E., New York 1950, 50.
2
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Presentazione
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Ora, se è vero che gli autori del Nuovo Testamento
non ereditarono un «testo morto», ma una Parola viva,
già interpretata e attualizzata attraverso il «prisma di
un’esegesi secolare» (per usare una felice espressione di
R. Le Déaut), appare di estrema importanza il ricorso
alla tradizione orale d’Israele, che mediò religiosamente e culturalmente la recezione del Primo Testamento,
nonché il suo compimento, costituito dall’evento-Cristo,
proclamato nel kerygma e celebrato nella liturgia. Il
Nuovo Testamento, pertanto, è un enigma per chi
misconosca l’Antico Testamento in quanto interpretato dalla tradizione orale d’Israele.
I primi discepoli di Gesù e gli agiografi del
Nuovo Testamento erano ebrei ed erano stati nutriti
dalla liturgia sinagogale e dal midrash familiare e
della scuola: la maggioranza di essi dimostrano grande familiarità con l’esegesi derashica alla base di tale
traduzione-interpretazione. Un esempio classico
basti per tutti. San Paolo afferma in 1Cor 10,4 che i
Padri d’Israele nel deserto «bevevano da una roccia
spirituale che li accompagnava e quella roccia era il
Cristo». Invano si cercherà nell’Antico Testamento la
presenza di una roccia che si spostava con il popolo:
si tratta evidentemente di un racconto midrashico,
che doveva avere molta presa sui bambini (e, chissà,
forse nel bambino ebreo Shaul...), e che san Paolo
interpreta mirabilmente in chiave cristologica.
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Il Midrash
Più in generale, come il Magistero della Chiesa
ha sottolineato, non va mai dimenticato che tutta la
Scrittura nasce dalla tradizione e senza tradizione
non c’è Scrittura. La trasmissione orale precede,
accompagna, segue la Scrittura. La tradizione orale
così dà vita alla Scrittura, senza che la seconda possa
esaurire tutta la ricchezza della prima3. La Scrittura,
lungi dal costituire un libro morto o una fredda stesura d’eventi e comandi divini, è una Parola perennemente viva, una costante interpretazione di quegli
eventi e comandi (da qui il doppio carattere del
midrash, aggadico e halachico), in forma di memoriale, per ogni generazione.
Com’è noto, già nella tradizione ebraica, non è
mai possibile separare Torah scritta e Torah orale,
entrambe oggetto della rivelazione di Dio al Sinai.
L’esegesi ebraica d’ogni tempo, pur venerando la letteralità del testo come un tesoro, distingue senza mai
separare Scrittura e sua interpretazione orale. Così,
nell’Ebraismo del primo secolo della nostra èra la
Scrittura non costituiva un testo «nudo», ma era già
rivestita di tutti gli ornamenti dell’interpretazione
della Tradizione orale. Ora, per l’esegesi ebraica inter-
3
Si veda, in proposito, il documento della Pontificia Commissione Biblica,
Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, Città del Vaticano
2001, 28-30.
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pretare la Scrittura significa anzitutto scrutarla, ovvero trarre fuori dal suo tesoro inesauribile tutte le virtualità di significato, per trovare in essa una parola
per l’oggi del lettore/uditore. Tale metodo di ricerca,
noto sotto il nome di derash, ha dato origine al midrash.
In esso il centro dell’investigazione è dentro la Scrittura, in ogni suo dettaglio, ed il soggetto è chiamato ad
entrare nel suo tesoro illimitato. Tale attività derashica è, per così dire, senza limite: nessuna interpretazione può esaurire la ricchezza della Scrittura, che
possiede «settanta volti», come si nota nel Midrash
Bemidbar Rabbah 13,15: «Come il vino ha settanta
gusti, così nella Torah vi sono settanta volti»4.
Così ha asserito R. Le Déaut: «Il Nuovo Testamento
ha ereditato una Bibbia interpretata, dove il midrash
ha giocato un grande ruolo»5. Il midrash, lungi dall’essere una ripetizione arida della Parola, è invece una
sua viva eco, che tende ad incarnarsi nell’uditorio. I
midrashim sono così frutto dell’approccio ebraico al
testo biblico, che si chiede: «Che significa ciò che è
scritto per noi, oggi, nella nostra situazione esistenziale?» o «Come si può trasmettere ai nostri figli?». Nella
Chiesa è urgente il recupero di queste due dimensioni
4
Sul tema della ricchezza inesauribile d’interpretazioni della Scrittura, si veda
anche M. KADUSHIN, The Rabbinic Mind, New York 1972, 71-74; A. DÍEZ MACHO,
«Deráš y exégesis del Nuevo Testamento», Sef 35 [1975] 38).
5
A propos d’une définition du midrash», Bib 50 [1969] 409.
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Il Midrash
essenziali della Parola: l’attualizzazione (il che significa
«incarnare» la Parola nell’assemblea) e la trasmissione
alle seguenti generazioni (ovvero «ri-raccontarla» ai
figli in tutta la sua ricchezza vitale).
Queste brevi considerazioni, che servono da introduzione ai testi del Magistero a seguire, intendono nel
contempo dare fondamento alla fatica dell’autrice
nelle precedenti pagine. Tale fatica costituisce un
passo in più nel cammino (ancora lungo!) verso il
«riconoscimento sempre più pieno», invocato prima
dal Concilio Vaticano II e poi dal Beato Giovanni
Paolo II, «di quel “vincolo” e di quel “comune patrimonio spirituale” che esistono tra Ebrei e Cristiani»6.
Francesco Giosuè Voltaggio
Dottore in Scienze Bibliche e Archeologia, SBF, Gerusalemme
Rettore del Seminario Redemptoris Mater della Galilea
6
Dal discorso di Giovanni Paolo II in occasione della visita alla Sinagoga di
Roma (13 Aprile 1986); cfr. Nostra Aetate 4; SEGRETARIATO PER L’UNIONE DEI
CRISTIANI, Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica. Sussidi per una corretta presentazione, 24 giugno 1985 (EnchVat 9/16151658), I.2; CCC 1096. Sin dai suoi primordi, il magistero di Benedetto XVI (omelia
d’inaugurazione del Pontificato, 24/04/2005) ha ribadito l’importanza di questo
«grande patrimonio spirituale comune, che affonda le sue radici nelle irrevocabili
promesse di Dio».
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PREFAZIONE
L
a prima e più importante “parola di vita”,
quella che noi chiamiamo “il primo comandamento”, è: «Tu amerai il Signore tuo Dio
con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze».
Questo comandamento è connesso con altre parole come una gamba è connessa ad un’altra nel camminare: «Ascolta, Israele... Questi precetti che oggi ti
do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne
parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando
camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti
alzerai...» e «Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: Che significano queste istruzioni, queste leggi e
queste norme che il Signore nostro Dio vi ha date? tu
risponderai a tuo figlio: Eravamo schiavi del faraone
in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con
mano potente...» (Dt 6,4ss).
Come si può adempiere questo comandamento?
Certamente con l’ascoltare. L’ascoltare presuppone
che qualcuno parli e domandi e che qualcuno risponda.