Anno 3
Numero 2
Maggio 2010
Guest Editor
Giovanni Di Minno
Editorial Board
Vincenzo Speciale
Elena Santagostino
Antonio Coppola
Silvia Riva
FOCUS:
Immunotolleranza
e inibitori
Anno 3 - 2/10
FOCUS:
Immunotolleranza
e inibitori
Guest Editor
Giovanni Di Minno
Editorial Board
Vincenzo Speciale
Elena Santagostino
Antonio Coppola
Silvia Riva
INDICE
FOCUS:
Immunotolleranza
e inibitori
Introduzione
5
Giovanni Di Minno
Ruolo del VWF nell’ITI
7
Vincenzo Speciale
Profilassi come fattore protettivo nei confronti dello sviluppo di inibitori
14
Elena Santagostino
L’induzione di immunotolleranza nel paziente emofilico A con inibitore:
il contributo italiano dello studio profit
18
Antonio Coppola Lo studio RES.I.ST:
caratteristiche, modalità e aggiornamenti
26
Silvia Riva e Alessandro Gringeri
Focus Review
29
Heimburgher Award 2011
30
Focus Emostasi Anno 3 - N. 2 - Maggio 2010
Direttore responsabile Emilio Polverino
Registrazione al Tribunale di Milano al n. 129 del 26/02/2008
Periodico quadrimestrale edito da Alter M&P S.r.l.
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09AP1512 - 05/2010
Stampa Momento Medico S.r.l. - Via Terre Risaie, 13 - 84131 Salerno
Introduzione
La formazione di inibitori rappresenta, allo stato, la più rilevante problematica clinica nella
gestione di pazienti emofilici. I dati a nostra disposizione indicano che, dopo un numero
talora anche minimo di esposizioni, circa il 30% di pazienti emofilici svilupperanno inibitori
ad alto o a basso titolo. Il problema generato dalla presenza di inibitori a basso titolo viene
superato aumentando la quantità di fattore VIII da somministrare al paziente. Viceversa, la
presenza di inibitori ad alto titolo implica la necessità di mettere a punto una terapia con
farmaci by-passanti o una immunotolleranza (ITI). Quale delle due procedure scegliere
costituisce, allo stato, oggetto di dibattito, all’interno del quale le considerazioni di ordine
farmaco-economico rivestono un ruolo fondamentale.
Molto lavoro, negli ultimi anni, è stato dedicato alla individuazione delle condizioni che
predispongono allo sviluppo di inibitori. In altre parole, si è cercato di capire, con buona
approssimazione, come identificare i soggetti a rischio di sviluppare tali inibitori. Condizioni
genetiche o acquisite (ad esempio infezioni intercorrenti), sono state associate ad un più
facile sviluppo di inibitori. Ovviamente, però, la massima attenzione è stata prestata alla
domanda se, e in che misura, l’utilizzo di prodotti plasma - derivati si associ ad un maggiore/minore rischio di formazione di inibitori rispetto alla somministrazione di prodotti
ricombinanti. Esistono dati che suggeriscono un ruolo importante nel fattore di von Willebrand nel condizionare la risposta a questa domanda: quantità anche non particolarmente
alte di fattore di von Willebrand, simili a quelle presenti nei concentrati plasma-derivati,
sembrano svolgere funzione di prevenzione/contrasto della formazione di inibitori contro
il fattore VIII. In linea con questi studi, una recente metanalisi, basata su dati clinici ricavati
dai Centri italiani per lo studio dell’emofilia, suggerisce che l’uso di prodotti plasma - derivati si associa ad una miniore formazione di inibitori. Una ovvia implicazione di questi dati
è che la politica corrente di preferire l’utilizzo di prodotti ricombinanti in emofilici, mai in
precedenza venuti a contatto con il fattore VIII, va riconsiderata con attenzione.
L’ITI è attualmente la strategia raccomandata nell’eradicazione dell’inibitore. Per quanto
apparentemente più costosa della terapia by-passante, di fatto l’ITI viene praticata solo per
tempi limitati e conduce, in circa i 2/3 dei pazienti, alla eradicazione dell’inibitore. Ciò consente un ritorno a strategie terapeutiche tradizionali e, quindi, ad un risparmio economico.
A proposito di questa utilissima strategia, però, vi sono alcune importanti domande che
ancora attendono risposta. Non è noto ad esempio:
• se è possibile identificare i pazienti che non trarranno vantaggio dalla ITI
• se è possibile stabilire strategie di immunotolleranza particolarmente efficaci (tipi di
concentrato, presenza o no del fattore di von Willebrand nel concentrato; modalità di
inizio della ITI, ecc.)
5
Alcuni degli studi in corso daranno risposta a questi quesiti e consentiranno di disegnare
la migliore modalità di immunotolleranza nei nostri pazienti.
Se dagli studi in corso ci si attende importanti risposte su come trattare adeguatamente i
pazienti con inibitore, la domanda di base però riguarda che cosa fare per prevenire la formazione di questo anticorpo. Esistono importanti lavori che documentano che esporre il
sistema immunitario del piccolo emofilico, già nei primi mesi di vita, al fattore VIII è importante per prevenire la formazione di inibitori. Questa riflessione deriva da studi di profilassi,
iniziati già nei primissimi mesi di vita, che dimostrano vantaggi nella formazione di inibitori,
rispetto ad altre strategie di trattamento. Questi studi, però, necessitano di conferme su
numeri alti di individui, utilizzando modalità di valutazione di tipo prospettico.
Gli argomenti che vengono trattati nei contributi che seguono riprendono ed esaminano in
dettaglio molti dei punti qui citati. Silvia Riva ed Alessandro Gringeri presentano lo studio
RES.I.ST, uno studio il cui obiettivo generale è l’induzione di ITI in emofilici A con concentrati di fattore VIII contenenti fattore di von Willebrand. Lo studio, come viene descritto in
dettaglio, presenta due bracci sperimentali: l’uno in soggetti con emofilia A grave e con
inibitore mai sottoposti a ITI, l’altro con fallimento della precedente ITI. Vincenzo Speciale
esamina in dettaglio il ruolo del VWF nell’ITI ponendo particolare attenzione alle spiegazioni fisio - patologiche di tale dato. Antonio Coppola descrive il registro italiano dell’immunotolleranza e mostra, nella nostra esperienza, quali sono i fattori associati ad una
più favorevole risposta alla ITI. Elena Santagostino affronta i problemi generali della ITI e
introduce suggestive idee sul come e sul perché la profilassi, a partire dai primi mesi di vita,
sia rilevante e opportuna in pazienti emofilici. Il documento che ne deriva, fornisce un’aggiornata informazione su questo importante argomento della pratica clinica; dimostra l’alto
livello raggiunto dalla ricerca italiana nel settore, e fornisce le basi per la comprensione di
nuove importanti acquisizioni.
Oggi la terapia dell’emofilia può definirsi soddisfacente. I progressi nel settore dovranno
quindi mirare a prevenire l’artropatia e a consentire un normale sviluppo psico-fisico del
paziente. In altri termini, dovranno trasformare in realtà la speranza di tutti gli emofilici di
una qualità di vita ancora migliore.
Letture suggerite
Di Minno MND, Di Minno G, Di Capua M, Cerbone AM, Coppola A. Cost of care of haemophilia with inhibitors. Haemophilia. 2009 Oct 21. [Epub
ahead of print].
Reipert BM, van Helden PM, Schwarz HP, Hausl C. Mechanisms of action of immune tolerance induction against factor VIII in patients with congenital
haemophilia A and factor VIII inhibitors. Br J Haematol. 2007 Jan;136(1):12-25.
Kreuz W. The role of VWF for the success of immune tolerance induction. Thromb Res. 2008;122 Suppl 2:S7-S12. Review.
Gringeri A. VWF/FVIII concentrates in high-risk immunotolerance: the RESIST study. Haemophilia. 2007 Dec;13 Suppl 5:73-7.
Tellier Z, André MH, Polack B. Management of haemophilia A-inhibitor patients: clinical and regulatory perspectives. Clin Rev Allergy Immunol. 2009
Oct;37(2):125-34.
6
Giovanni Di Minno
Clinica Medica, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
e Centro di Coordinamento Regionale per le Emocoagulopatie, Napoli
Focusemostasi
Ruolo del VWF nell’ITI
Vincenzo Speciale
Servizio di Medicina Trasfusionale e Immunoematologia, P.O. “San Giacomo”, Monopoli, Bari
Introduzione
La comparsa di anticorpi con attività inibitoria nei confronti del fattore VIII (FVIII) e del fattore IX
(FIX) rappresenta la complicanza più rilevante nell’emofilia.
Nell’ambito dell’emofilia A i pazienti affetti da forma severa presentano una più alta incidenza di inibitori (21-52%) rispetto a quelli con emofilia A moderata (5,3-12,5%). L’età media di comparsa varia tra
i 10 mesi e i 3 anni e mezzo e nella maggior parte dei casi gli inibitori compaiono dopo pochi giorni di
esposizione al FVIII. Gli anticorpi inibitori del FVIII sono immunoglobuline, più frequentemente di classe G4 con catena leggera k, che neutralizzano l’attività procoagulante del FVIII. Questi anticorpi non
fissano il complemento e reagiscono quasi esclusivamente sulle regioni omologhe A2 e C2 e raramente sulla catena leggera all’esterno della regione C2. Gli anticorpi diretti contro la regione A2 inibiscono
la normale funzione del complesso di attivazione del fattore X (FX) della via intrinseca (complesso
Tenase), mentre quelli diretti contro la regione C2 prevengono il legame del FVIII ai fosfolipidi e al
VWF (1). Circa i due terzi dei pazienti presentano contemporaneamente due o tre diversi anticorpi
diretti contro queste regioni. Si possono definire “alloanticorpi” quelli sviluppati dai pazienti affetti da
emofilia in seguito a terapia sostitutiva e anticorpi “spontanei” o “autoanticorpi” quelli che insorgono
in soggetti non affetti da carenza congenita di FVIII.
Tuddenham nel 1994 ha dimostrato una chiara correlazione tra il tipo genetico di mutazione del gene
del FVIII e la prevalenza dell’inibitore (2). Due gruppi di mutazioni mostrano una bassa incidenza di
inibitore (missense e le piccole delezioni), mentre gli altri tipi (l’inversione dell’introne 22, le larghe
delezioni e le mutazioni nonsense) hanno un’incidenza più alta (Tabella 1). È possibile che pazienti
con mutazioni missense abbiano la proteina del FVIII non funzionante e questo può essere sufficiente
ad indurre immunotolleranza al FVIII del concentrato (pazienti CRM +ve; difetto molecolare di tipo
qualitativo tipo 2). Al contrario, nessun FVIII endogeno viene sintetizzato (CRM –ve; deficit di tipo 1
quantitativo), in pazienti con gravi difetti molecolari come l’inversione dell’introne 22, le larghe delezioni e le mutazioni nonsense. In questi pazienti, il FVIII del concentrato rappresenta una proteina
estranea, che induce una risposta immune con la produzione di anticorpi anti-FVIII.
Il concentrato può acquisire capacità immunogenica (3) a causa delle diverse procedure di preparazione, purificazione, inattivazione virale o per la presenza di fattori contaminanti (4).
L’immunogenicità del FVIII, inoltre, potrebbe dipendere anche dall’interazione del FVIII con i suoi
“partners” fisiologici.
Tabella 1. Difetto genico e percentuale di comparsa di inibitore
Difetto genico
Mutazioni puntiformi
% di pazienti che sviluppano l’inibitore
nonsense
missense
Inversioni
Delezioni
59%
14%
40%
large
small
27%
9%
7
Complesso fattore viii/fattore vwf
e concentrati plasmaderivati
Il FVIII e il VWF sono due glicoproteine distinte e correlate che circolano nel plasma strettamente
complessate. Il loro deficit quantitativo o qualitativo è responsabile dei più comuni disordini emorragici
congeniti, più precisamente l’emofilia A e la malattia di von Willebrand.
Il FVIII. Il gene del FVIII è localizzato all’estremità del braccio lungo del cromosoma X, è lungo
186.000 basi con 26 esoni. Numerosi sono gli studi finalizzati alla ricerca del sito cellulare responsabile della biosintesi del FVIII. L’mRNA del FVIII è stato riscontrato in epatociti umani isolati, milza,
linfonodi e reni. Strutturalmente il FVIII contiene 3 domini distinti: A, B e C, disposti nell’ordine in A1,
A2, B, A3, C1, C2. I domini A sono omologhi ad alcune regioni del Fattore V e della ceruloplasmina,
una proteina plasmatica legante il rame, indicando che queste proteine derivano da un precursore
comune. I domini C sono capaci di legare i fosfolipidi a carica negativa. Il dominio B non ha un ruolo
significativo nell’ attività procoagulante e nel legame al VWF. Il FVIII contiene 2 regioni acidiche, la prima localizzata tra il dominio A1 e A2 importante per l’attività procoagulante, la seconda localizzata tra
i domini B e A3 coinvolta nell’assemblaggio del FVIII con il VWF. Il FVIII si lega ai fosfolipidi attraverso
la sua catena leggera e più specificatamente nel dominio C2 (5-6) (Figura 1).
Fattore VIII. Siti di legame funzionali che rappresEntano
i “target” degli anticorpi inibitori del FVIII
Catena pesante
IIa, Xa
A1
AR1
FX
Catena leggera
IIa, Xa
A2
FIXa
AR2
IIa, Xa
B
AR3
VWF
A3
FIXa
C1
C2
VWF
PL
VWF VWF
PL
Adattata parzialmente da: Saenko et al. Haemophilia 2002
Figura 1. Epitopi del fattore VIII.
Il VWF. Il gene che codifica il VWF presenta una lunghezza di 178.000 basi, localizzato sul cromosoma 12, ed è diviso in 52 esoni. Il VWF viene sintetizzato nelle cellule endoteliali e contenuto in
organuli intracellulari conosciuti come corpi di Weibel-Palade e secreto in maniera costante. Il VWF è
anche sintetizzato nei megacariociti e contenuto negli a-granuli. Viene rilasciato dalle cellule endoteliali come multimeri di grosse dimensioni che circolano nel plasma come multimeri ad alto peso molecolare (da 500 a 20.000 Kda). Il VWF agisce come una glicoproteina adesiva e media sia l’adesione
delle piastrine al sottoendotelio attraverso i siti di legame per il recettore piastrinico GpIb-a-IX ed il
collageno che l’interazione delle piastrine attraverso il sito di legame per la glicoproteina piastrinica
GpIIb/IIIa. Siti di legame aggiuntivi sono quelli per il FVIII. Grazie all’interazione non covalente tra le
due proteine il FVIII viene protetto dal legame alle membrane cellulari e dalla degradazione proteolitica da parte di diverse serin-proteasi, inclusa la proteina C attivata (Figura 2).
8
Focusemostasi
Epitopi del VWf
D1
D2
1 23
D3
D
A1
A2
D4
A3
B1
B
C2
C1
2813
Dimero
S-S
Multimero
S-S
163
A1
D3
D
FVIII
A2
A3
D4
B
B1
C1
GPIb
Collagene
(Collagene)
Botrocetina
Eparina
Sulfatide
C2
RGD
aIIb b3
Figura 2. Epitopi del fattore von Willebrand.
Interazione FVIII/VWF. Dopo molti anni di studi i meccanismi molecolari del FVIII/VWF sono
ora conosciuti. Sul VWF un principale sito di legame con il FVIII risiede nella parte amino-terminale dal residuo 1 a 272. Sul FVIII un principale sito di legame per il Willebrand è localizzato sul residuo amino-terminale della catena leggera corrispondente ai domini A3, C1, C2. Diversi studi con anticorpi monoclonali che inibiscono il legame hanno ulteriormente localizzato questi domini nei residui
1670-1689. Recentemente, dati sull’inibizione anticorpale hanno evidenziato che gli epitopi inclusi
all’interno degli aminoacidi 2248-2312, nell’ambito del dominio C2 all’estremità carbossi-terminale della
catena leggera, giocano un ruolo nell’interazione con il VWF: un anticorpo monoclonale anti-FVIII diretto contro gli epitopi 2248-2312 del dominio C2 inibiva, infatti, il legame del FVIII sia al VWF che alla
fosfatidil-serina (Figura 3).
372
A2
740
C1
A1
C2
A3
2248-2312
B
N
VWF
1670-1689
N
S
A1
A2
S
Figura 3. Interazione fattore VIII/fattore von Willebrand.
A3
D4
C
B
C1
C2
S
C
VWF
S
In condizioni fisiologiche e alle concentrazioni di FVIII e VWF che circolano nel sangue (1 e 50 nM,
rispettivamente), circa il 94% delle molecole di FVIII sono legate al VWF, mentre solo il rimanente 6%
circola in forma libera.
Focusemostasi
9
Il ruolo del VWF nei confronti dei livelli plasmatici e dell’attività del FVIII. Alcuni studi
biochimici hanno dimostrato che il VWF rappresenta un partner chiave per il FVIII (6-7): infatti il
VWF gioca un ruolo importante nella funzione, produzione e stabilizzazione del FVIII, nella sua conformazione ed immunogenicità. Il VWF può proteggere il FVIII dalla degradazione, mantenendolo
pienamente attivo attraverso vari meccanismi: a) aumentando la suscettibilità del FVIII al clivaggio
da parte della trombina, b) aumentando la resistenza del FVIII all’inattivazione dalla parte della
proteina C attivata e del Fattore Xa, c) impedendo il legame ai fosfolipidi.
D’altra parte, il VWF non è importante solo per la produzione del FVIII, come dimostrato dai dati
in vitro sulla biosintesi del FVIII, ma anche per la sua stabilità nel plasma. Il VWF può anche inibire
la clearance del FVIII per competizione con i recettori correlati alle lipoproteine. Vi sono diverse dimostrazioni cliniche che confermano il ruolo del VWF nella stabilità del FVIII nel plasma. La Malattia
di von Willebrand (VWD) tipo 3, con VWF assente nel circolo, è associata a livelli plasmatici di FVIII
marcatamente ridotti (1-10%).
Dopo infusione di concentrati di FVIII in pazienti con questa condizione, l’emivita del FVIII è dipendente dalla presenza del VWF nel concentrato, ed i concentrati di FVIII monoclonali o ricombinanti,
che non contengono VWF o ne contengono in minime quantità, non sono efficaci nei pazienti con
severa malattia di VWF tipo III. Nella VWD tipo 2N (Normandy), che presenta un difetto nel sito di
legame del VWF al FVIII, i livelli plasmatici del FVIII sono sempre più bassi di quelli del VWF.
Inoltre, è stato dimostrato che l’emivita del FVIII nei pazienti affetti da emofilia A trattati con concentrati di FVIII, è correlata ai livelli pre-infusionali del loro VWF, più precisamente livelli più elevati
di VWF sono associati ad emivita più lunga.
Dal momento che il VWF è più basso nei pazienti con gruppo 0, alcuni autori hanno dimostrato che
l’emivita del FVIII infuso è più breve nei pazienti emofilici A gruppo 0 nei confronti di quelli gruppo A. Aumentando i livelli pre-infusionali di VWF mediante desmopressina intranasale, altri autori
hanno osservato il prolungamento dell’emivita del FVIII in pazienti con emofilia A trattati con FVIII
ricombinante.
Peraltro, il VWF può modificare la conformazione del FVIII, alterandone la struttura tridimensionale.
Alcuni anticorpi riconoscono il FVIII, interferendo con epitopi delle cellule B e cellule T: infatti, gli
anticorpi competono con il VWF per il legame ai domini A3 e C2 del FVIII (epitopi delle cellule B)
ed un epitopo principale delle cellule T è localizzato all’interno dei domini C1/ C2 del FVIII. Diverse
comunicazioni hanno dimostrato che anticorpi umani diretti verso i domini C1 e C2 del FVIII sono
meno inibitori verso il FVIII complessato con il VWF.
I plasmaderivati contenenti VIII/VWF (pdVIII/VWF). I concentrati dei fattori della coagulazione possono essere distinti in base al grado di purificazione (concentrati ad intermedia purezza
e concentrati ad elevata purezza), al rapporto VWF/FVIII ed al sistema di inattivazione/riduzione
virale. In quest’ultimo ambito l’introduzione di metodiche devolute all’eliminazione di agenti virali
durante o alla fine dei processi di produzione ha nettamente migliorato la sicurezza dei concentrati.
Tali metodiche virucidiche comprendono: il riscaldamento terminale a secco dei concentrati liofilizzati ad alta temperatura (>80 °C) o pasteurizzazione (60 °C per 10 ore in soluzione acquosa),
l’esposizione a vapore caldo sotto pressione; l’aggiunta di una miscela di un solvente organico e di
un detergente (Tabella 2). Una volta ottenuti, tutti i concentrati purificati di FVIII/VWF dovrebbero
essere validati mediante studi di farmacocinetica che valutano le attività del FVIII/VWF in pazienti
che presentano deficit di tali proteine.
I pdFVIII/VWF nell’Emofilia A grave con inibitore anti-FVIII. Le linee guida del management dell’emofilia raccomandano che tutti i pazienti, non trattati precedentemente e con recente
diagnosi di emofilia A, dovrebbero effettuare terapia con prodotti ricombinanti anche se i concentrati plasmaderivati sono tuttora ampiamente utilizzati nel trattamento dell’emofilia A.
Recentemente l’uso dei pdFVIII/VWF è stato proposto nel trattamento dei pazienti affetti da emofilia A grave con inibitore anti-FVIII diretti contro l’epitopo del dominio C2 (8). Molti autori hanno
suggerito di testare i pazienti con inibitore verso un pannello di concentrati in caso di trattamento,
10
Focusemostasi
Tabella 2. Concentrati plasmaderivati e complesso FattoreVIII/Fattore von Willebrand
(U/mg prot.)
VWF:
Rco/Ag
(Ratio)
VWF:
Rco/FVIII
(Ratio)
Altre
proteine
Solv./Det.+ 30 min.
a 100°C
≥80
0.61
1.16
Albumina -
Cromatografia
affinità eparina
Solv./Det.+ 72 ore
a 80°C
>100
0.83
1.48
Albumina +
Precipitazione
multipla
Pasteurizzazione 10 ore
a 60 °
40±6
0.96
2.54
Albumina +
Cromatografia a
scambio ionico
Det. + Vapore 10 ore
a 60°, 1 ora a 80°
100±50
0.47
1.10
Albumina +
Prodotto
(Distributore)
Purificazione
Inattivazione virale
Emoclot D.I.
(Kedrion)
Cromatografia a
scambio ionico
Fandhi
(Grifols)
Haemate P
(CSL Behring)
Immunate
(Baxter)
Attività specifica
in quanto hanno dimostrato che i concentrati che manifestano un basso livello di reattività con
l’inibitore hanno un migliore effetto emostatico in vivo (9).
Gensana et al. (10) hanno dimostrato che la presenza del VWF potrebbe favorire una prolungata
presentazione dell’antigene al sistema immune e quindi avere un impatto positivo sull’esito dell’ITI. In
particolare il VWF complessato al FVIII nei concentrati plasmaderivati può mascherare il dominio C
verso il quale l’anticorpo anti-catena leggera è diretto. Quindi la degradazione del FVIII viene temporaneamente inibita e l’antigene (FVIII) può rimanere esposto più a lungo nel sistema immunitario
contribuendo al buon esito dell’immunotolleranza.
Sono stati pubblicati diversi reports sull’epidemiologia dell’inibitore in pazienti trattati con concentrati
di FVIII plasmaderivati e diversi autori hanno riportato incidenza zero di inibitori in pazienti affetti da
emofilia A precedentemente trattati, dopo esposizione a singoli concentrati di FVIII plasmaderivati ad
intermedia ed elevata purezza, contenenti VWF. Kreuz riportò l’esperienza clinica effettuata nel Centro
per l’emofilia di Francoforte su 21 pazienti in età pediatrica affetti da emofilia A grave con inibitore-anti
FVIII e trattati con un pdFVIII/VWF (Haemate P®, CSL Behring, Germany) in regime di induzione di
immunotolleranza (ITI). In particolare 16 pazienti (high-responders) furono trattati inizialmente con
dosaggi di 50-300 U/Kg/die in 2 infusioni giornaliere, 11 su 16 effettuarono in concomitanza terapia
con APCC (Feiba, Immuno), 5 pazienti (low-responders) furono trattati con pdFVIII/VWF al dosaggio
di 20-100 U/Kg ogni 2-3 giorni. Durante il periodo di osservazione di 14 anni (1979-1993) tali regimi
terapeutici hanno portato alla scomparsa completa di inibitore in 19 su 21 pazienti (Tabella 3).
2
Tabella 3. Tassi di successo per l’induzione dell’immunotolleranza al Centro per l’Emofilia di Francoforte (1979-2000)
Tipo di
concentrato
ITI completa (n/n)
Tasso di successo (%)
1979-93
pdFVIII-VWF
19/21
90
A partire dal 1993
pdFVIII-VWF
2/2
100
hpFVIII
4/14
29
Variazione a pdFVIII-VWF
8/10
80
14/16
88
Totale
FVIII, fattore VIII; hp, alta purezza; ITI, induzione dell’immunotolleranza; pd, plasmaderivati; VWF, fattore di von Willebrand. Da Kreuz W, Escuriola
Ettingshausen C, Auerswald G, Heidemann P, Kemkes-Matthes B, Schneppenheim R, et al. Immune tolerance induction (ITI)
in haemophilia A - patients with inihibitors - the choice of concentrate affecting success. Haematologica 2001; 86(Suppl 4):16-22.
Per gentile concessione di: Haematologica/the Haematology Journal, website http://www.haematologica. org
Focusemostasi
11
Tabella 4. Tassi di successo della terapia di induzione dell’immunotolleranza nei Centri per l’emofilia di Bonn e Brema
<1990 n=51
Tasso di successo
Tasso di successo (alti responders >5 BU)
Tasso di successo (bassi responders >0,6-5 BU)
>1990-7/2001 n=42
pdFVIII
rFVIII (n=14)
pdFVIII (n=28)
87%
86%
93%
54%
43%
72%
82%
78%
91%
BU, unità Bethesda; pdFVIII, fattore VIII plasma derivato; rFVIII, fattore ricombinante VIII. Da Auerswald G, Spranger T, Brackmann HH.
The role of plasma-derived factor VIII/von Willebrand factor concentrates in the treatment of haemophilia A patients. Haematologica
2003;88(Suppl 9):21-25. Per gentile concessione di: Haematologica/the Haematology Journal, website http://www.haematologica. org
Auserwald ha riportato l’esperienza di 2 Centri Emofilia in Gemania in 25 anni di uso di pdFVIII/
WF in regime di ITI. Circa l’80% dei protocolli di ITI utilizzati mostravano completo successo. Molti
pazienti avevano iniziato i protocolli d’ITI con Fattore VIII ricombinante (rFVIII) e successivamente
in mancanza di risposta avevano intrapreso trattamento con pdFVIII/VWF (11) (Tabella 4, Figura 4).
FVIII
APCC
(IU/Kg bw/d) (IU/Kg bw/d)
Inibitore del fattore VIII
(BU)
Emorragia muscolare
100
Linea centrale
80
Modificazione del concentrato
60
Emivita normale
del FVIII
40
20
0
300
200
100
0
300
200
100
0
rFVIII
0
30
Haemate® P
60
90
120
150
180
210
240
Periodo di osservazione (giorni)
Figura 4. Successione di protocolli di immunotolleranza adottati e concentrati di FVIII utilizzati.
P.W. Collins aveva dimostrato che i concentrati contenente VWF possono inibire l’espressione di
diversi recettori per citochine sulle cellule B indispensabili per una efficace produzione di anticorpi
(11). Inoltre, è stato dimostrato che le citochine delle cellule T (IL2, IL4, IL5, TNF α) e dei monociti
(TNF, IL-1α, IL-1β, IL-6) sono inibite in presenza di questi concentrati ma non in presenza di rFVIII.
Recentemente è stato dimostrato in vitro che il VWF protegge il FVIII dal processo di endocitosi da
parte delle cellule dendritiche per essere successivamente presentato ai linfociti T CD4 specifici, prevenendo in tal modo, la produzione di anticorpi da parte di linfociti B (14). Tale effetto sembra essere
in relazione alla dose impiegata, dimostrando che l’inibizione dell’endocitosi da parte delle cellule
dendritiche, che rappresenta il primo fenomeno che si verifica nei pazienti mai trattati con terapia
sostitutiva (PUPs) possa più facilmente determinarsi con la somministrazione di concentrati di FVIII
contenente VWF.
12
Focusemostasi
BIBLIOGRAFIA
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Focusemostasi
13
Profilassi come fattore protettivo
nei confronti dello sviluppo
di inibitori
Elena Santagostino
Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
Introduzione
La terapia dell’emofilia si fonda sul controllo e la prevenzione degli episodi emorragici e delle relative
complicanze allo scopo di mantenere la funzione articolare e di consentire una piena integrazione
sociale dei soggetti con emofilia. Sin dalle prime emorragie articolari, che nell’emofilia grave usualmente insorgono nei primi anni di vita, il ferro derivante dalla lisi dei globuli rossi si deposita nelle
cavità articolari producendo danno cellulare ossidativo, apoptosi dei condrociti e proliferazione delle
membrane sinoviali (1). La formazione di tessuto sinoviale ipertrofico e molto vascolarizzato facilita a
sua volta il ripetersi degli emartri innescando un circolo vizioso che conduce progressivamente allo
stabilirsi dell’artropatia cronica tipica dell’emofilia.
I regimi di trattamento profilattico, garantendo la persistenza di livelli circolanti di fattore carente, consentono di ridurre il numero di emorragie spontanee nell’emofilia grave e, se intrapresi nei primi anni
di vita, di prevenire l’insorgenza del danno articolare (2,3).
Lo sviluppo di inibitori, rendendo inefficace la terapia sostitutiva, impedisce sia il controllo ottimale
delle emorragie che l’attuazione della profilassi e rappresenta pertanto oggi la più seria complicanza
del trattamento dell’emofilia. Tale complicanza si manifesta in circa il 30% dei pazienti con emofilia A
grave, tipicamente in età pediatrica in quanto gli inibitori compaiono in genere dopo i primi 10-15
giorni di esposizione (4). L’eziopatogenesi dello sviluppo degli inibitori è su base multifattoriale coinvolgendo sia fattori di rischio genetico che ambientali.
Tra i primi, le mutazioni nel gene del fattore VIII (FVIII) che impediscono completamente la sintesi
della proteina (mutazioni null) si associano ad un rischio elevato (5) e, più recentemente, è stata
anche segnalata in emofilici di razza nera un’associazione tra l’aumentato rischio di inibitore ed alcuni
specifici polimorfismi del gene del FVIII (6). Inoltre, è stato riportato che alcuni polimorfismi dei geni
immunomodulatori (geni codificanti per interleuchina-10, fattore di necrosi tumorale alfa e proteina
4 associata ai linfociti T citotossici) possano significativamente influenzare il rischio di sviluppo di
inibitore (7-9). D’altra parte, il ruolo dei fattori non genetici è provato dall’esistenza di gemelli emofilici
monozigoti discordanti per inibitore (10).
In particolare, il trattamento precoce ed intensivo (in termini di dosi di FVIII somministrate e di durata
della terapia stessa) è stato riconosciuto essere un fattore di rischio (11), mentre l’età al primo trattamento non risulta essere un fattore di rischio indipendente (11-12).
Profilassi precoce e sviluppo di inibitori
Il possibile impatto della profilassi sullo sviluppo di inibitore fu suggerito dalla bassa incidenza di inibitori riportata in Svezia (13), dove la profilassi è stata largamente introdotta nei primi anni ’70, e da
due piccoli studi retrospettivi condotti in Spagna e Regno Unito (14-15). In particolare, nella coorte
retrospettiva spagnola, costituita da 50 bambini seguiti in un singolo centro, l’inibitore comparve in
14
15/19 (78%) pazienti trattati a domanda mentre nessuno dei 31 pazienti in profilassi sviluppò tale
complicanza (14); tali risultati furono inoltre confermati anche nel sottogruppo di 20 bambini con
mutazioni null del gene del FVIII e pertanto ad alto rischio (inibitore in 11/12 dei casi trattati a
domanda, 92%).
Questo studio (14), tuttavia, non consentiva di trarre conclusioni solide date le piccole dimensioni
della casistica, il disegno retrospettivo e la mancanza di informazioni sul genotipo del FVIII in quasi
metà dei casi.
Lo studio caso-controllo condotto in Italia (12) per la prima volta dimostrò un ruolo protettivo della
profilassi sullo sviluppo di inibitore (Odds ratio aggiustato: 0.2, 95% intervallo di confidenza: 0.06-0.9)
includendo questa variabile in un’analisi multivariata assieme agli altri fattori di rischio già noti, quali
il tipo di mutazione nel gene del FVIII e la storia familiare di inibitore.
Un’ulteriore analisi fu condotta nel sottogruppo di pazienti che iniziarono la profilassi entro 3 anni
d’età confermando una riduzione del 70% del rischio di sviluppo di inibitore (12). Questi risultati
furono considerati più convincenti dato il disegno dello studio, la numerosità della casistica e le
caratteristiche più uniformi dei pazienti inclusi (etnicità, età, utilizzo esclusivo di FVIII ricombinante,
monitoraggio frequente e sistematico dell’inibitore).
L’effetto protettivo della profilassi fu poi confermato nell’ambito dello studio CANAL (11), un ampio
studio multicentrico di coorte mirato a valutare la relazione tra fattori di rischio correlati al trattamento e sviluppo di inibitore in pazienti precedentemente non trattati con emofilia A grave. Questo
studio incluse 366 pazienti non selezionati seguiti presso 14 Centri Emofilia in Europa e Canada.
Ottantasette pazienti (24%) svilupparono inibitori definiti come clinicamente rilevanti (confermati
in due test consecutivi ed associati ad anormalità del recupero in vivo o dell’emivita del FVIII) e 69
di questi (79%) erano inibitori ad alta risposta anamnestica (titolo storico >5 BU/ml). L’incidenza
di inibitore risultò significativamente associata con un trattamento intensivo con FVIII in occasione
delle prime esposizioni mentre i bambini in profilassi mostrarono una riduzione del 60% del rischio
di inibitore in confronto ai pazienti trattati a domanda (Figura 1) (11).
Incidenza cumulativa di sviluppo di inibitori
30
20
10
Terapia a domanda
Profilassi
0
0
10
20
30
40
Numero cumulativo di giorni di esposizione
50
Figura 1. Incidenze cumulative di sviluppo di inibitore in pazienti precedentemente non trattati con emofilia A nello studio di
coorte CANAL: profilassi versus terapia a domanda (11).
Focusemostasi
15
Complessivamente, i risultati di questi studi suggeriscono che l’esposizione al FVIII di per sé non è
sufficiente a scatenare la risposta immunitaria e che le modalità di trattamento possono giocare un
ruolo rilevante. A questo riguardo, il “danger model” (16) prevede che l’esposizione all’antigene in
presenza di segnali di danno tissutale (ad esempio durante emorragie estese e/o di grave entità o
chirurgia maggiore) possa attivare le cellule presentanti l’antigene potenziando segnali stimolanti i
linfociti T e conseguentemente stimolando la produzione anticorpale da parte dei linfociti B, mentre l’esposizione all’antigene in assenza di tali segnali “pericolosi”, come durante la profilassi, possa
condurre alla regolazione della risposta immunitaria attraverso i meccanismi di anergia periferica dei
linfociti T specifici per il FVIII (16).
Le crescenti evidenze a sostegno del ruolo protettivo della profilassi nell’ambito di strategie terapeutiche che possano limitare l’esposizione intensiva al FVIII ha già influenzato la pratica clinica oltre a
spingere la raccolta di dati prospettici, dato che ovvie motivazioni etiche impediscono l’esecuzione di
studi randomizzati.
Una interessante esperienza pilota (17) è stata condotta in due Centri Emofilia tedeschi, a Brema
e a Monaco, in 26 bambini con emofilia A grave non precedentemente trattati adottando nei primi
50 giorni esposizione a un regime di profilassi specificamente disegnato per minimizzare il rischio di
sviluppo di inibitore evitando di evocare segnali immunologici “pericolosi”. Tale regime prevedeva la
somministrazione di 25 IU/Kg di FVIII in singola dose settimanale da intraprendersi alla comparsa dei
primi sintomi emorragici anche se di entità molto lieve.
Nei casi in cui si osservava insorgenza di emorragie articolari, il regime di profilassi prevedeva 2 somministrazioni settimanali di 25 IU/Kg e, nei casi con emorragie articolari più gravi o ripetute o gravi
emorragie in altre sedi, la profilassi veniva effettuata con 25-50 IU/Kg per 3 volte a settimana (17,
Figura 2).
Nell’ambito di questa strategia terapeutica si cercava inoltre di evitare la somministrazione della prima
infusione di FVIII in coincidenza con una grave emorragia o in corso di un’infezione, di non somministrare vaccinazioni nella stesso giorno in cui veniva infuso il FVIII, di somministrare tutte le vaccinazioni
per via sottocutanea piuttosto che intramuscolare e di dilazionare eventuali interventi di chirurgia
elettiva.
Nel caso di insorgenza di emorragie si tentava di limitare l’impiego di FVIII a dosi molto elevate o per
periodi molto prolungati. Queste modalità di trattamento hanno inoltre consentito di evitare di posizionare cateteri venosi centrali e sono state ben accettate dai pazienti e dai loro familiari.
Età (mesi)
10
20
Emorragia
Prima emorragia a carico
dei tessuti molli
Prima emorragia
articolare
Regime di profilassi
1 x settimana
25 IU/Kg
Giorni di esposizione al FVIII
20
Quando la tendenza
emorragica lo richiedeva:
2 x 25 IU/sett  3 x 25 IU/sett
50
Evitare i segnali “pericolosi” associati all’esposizione al FVIII
Fase di induzione della tolleranza
al FVIII 1-50 ED
Fase di prevenzione
dell’artropatia 51-.... ED
Figura 2. Schema di trattamento in pazienti precedentemente non trattati con emofilia A inclusi nel gruppo ricevente il nuovo
regime di profilassi (17).
16
Focusemostasi
Incidenza cumulativa di sviluppo di inibitori
50
40
30
Gruppo di controllo
Gruppo in studio
20
10
0
0
25
50
75
100
Numero cumulativo di ED
125
150
175
Figura 3. Incidenze cumulative di sviluppo di inibitore in pazienti precedentemente non trattati con emofilia A nello studio
tedesco: nuovo regime di profilassi versus profilassi standard nel gruppo di controllo (17).
Nello studio (17) è stato individuato un gruppo di controllo storico costituito da 30 bambini con
caratteristiche del tutto sovrapponibili al gruppo precedentemente descritto, ma trattati secondo un
regime di profilassi con 40-50 IU/Kg per 3 volte a settimana intrapreso in occasione o dopo il primo
emartro o altra emorragia grave non articolare. L’incidenza di inibitore riportata nel gruppo di controllo
è risultata pari al 47% (14/30, di cui 8 inibitori ad alta risposta anamnestica) mentre quella riscontrata
nel gruppo di bambini trattati secondo il nuovo regime di profilassi è stata del 3,8% (1/26, essendo
l’unico inibitore a bassa risposta anamnestica) (17, Figura 3).
Questa esperienza clinica preliminare genera ipotesi di grande interesse riguardo alla possibilità di
sviluppo e di ottimizzazione di regimi di trattamento che mirino, oltre alla prevenzione dell’artropatia,
anche a minimizzare il rischio di insorgenza di inibitore. Indubbiamente ampi studi prospettici sono
ancora necessari per confermare queste osservazioni e supportare l’impiego di nuove strategie terapeutiche nei bambini con emofilia A grave.
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Focusemostasi
17
L’induzione di immunotolleranza
nel paziente emofilico a con
inibitore: il contributo italiano
dello studio profit
Antonio Coppola
Centro di Riferimento Regionale per le Emocoagulopatie, Dipartimento Assistenziale di Clinica Medica,
Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, Napoli
L’inibitore: la sfida del terzo millennio
della terapia dell’emofilia A
Oggi, almeno nei Paesi economicamente sviluppati, in cui vi è ampia disponibilità di concentrati di
fattore VIII (FVIII) ricombinanti e plasmaderivati sempre più sicuri e la profilassi primaria ha garantito
una qualità di vita pressoché normale alle nuove generazioni di pazienti, la comparsa di anticorpi
anti-FVIII (inibitori) rappresenta la complicanza più grave della terapia sostitutiva dell’emofilia A (1).
L’impatto non è trascurabile, poiché fino al 25-30% dei pazienti con emofilia grave (FVIII <1%) può
sviluppare questi allo-anticorpi, in genere nei primi 20-50 giorni di esposizione al FVIII esogeno (2).
La presenza di inibitore ostacola la terapia standard con concentrato di FVIII, potendo renderla del
tutto inefficace e, pertanto, non consente di implementare o proseguire la profilassi nel bambino
emofilico, essenziale per preservare le sue articolazioni dall’artropatia e consentire un normale sviluppo psico-fisico. Nonostante la continua evoluzione degli approcci terapeutici nel paziente con
inibitore, sia per quanto riguarda il trattamento on-demand delle emorragie (3), sia soprattutto per
le esperienze di profilassi con gli agenti by-passanti in corso di valutazione (4), gli studi degli ultimi
anni evidenziano chiaramente come questi pazienti presentino una maggiore morbidità per emorragia e per le complicanze correlate (5) ed una qualità di vita nettamente più compromessa a causa
dell’artropatia emofilica (6-8) rispetto ai pazienti che non hanno sviluppato inibitore. Le ripercussioni
in termini economici per la gestione della terapia e dei problemi clinici correlati, inoltre, rendono l’inibitore nell’emofilia la complicanza con il più alto impatto nell’ambito delle malattie croniche (8). Per tutti
questi motivi, eradicare l’inibitore e ripristinare la terapia standard efficace e sicura con i concentrati
di FVIII, in particolare la profilassi nel bambino, rappresenta un obiettivo fondamentale da perseguire
nel paziente con inibitore.
Eradicare l’inibitore: l’induzione di immunotolleranza
L’induzione di immunotolleranza (ITI) al FVIII esogeno, mediante la sua somministrazione regolare e
protratta nel tempo, rappresenta attualmente l’unico approccio efficace per eliminare o ridurre l’attività inibitoria e consentire il ripristino del trattamento sostitutivo con FVIII.
Elevate percentuali di successo (60-100%), seppure in tempi piuttosto variabili, sono riportate in
letteratura utilizzando protocolli terapeutici molto eterogenei (9) in termini di dose di FVIII utilizzata,
intervalli di somministrazione e associazione con agenti immunosoppressivi. Le prime esperienze di
ITI in Germania hanno portato a definire il protocollo ad alte dosi di Bonn (200-300 UI/Kg), nella cui
18
versione originaria veniva utilizzato in associazione concentrato di complesso protrombinico (10). Il
protocollo di Malmö, anch’esso ad alta dose e con somministrazione di immunoglobuline e ciclofosfamide, fu sviluppato per ottenere rapide risposte, in particolare nei pazienti con alto titolo di inibitore,
per cui era preliminarmente effettuato immunoadsorbimento extracorporeo su colonna di proteina
A se l’inibitore superava le 10 UB/ml all’inizio dell’ITI (11). Gli alti costi del protocollo di Bonn e la
complessità di quello di Malmö, iniseme alle perplessità sull’utilizzo della ciclofosfamide nei bambini,
portarono a sperimentare protocolli a più basse dosi di FVIII, come quello olandese della van Creveld
Klinik, che prevedeva un regime iniziale con una dose neutralizzante per alcune settimane, seguito da
infusioni di 25 UI/Kg 2-3 volte a settimana (12), e una serie di altri protocolli con dosi di FVIII inferiori
o pari a 100 UI/Kg/die (13-16), talora in associazione ad agenti immunomodulanti (17-18).
Nonostante oltre 30 anni di esperienza clinica, il regime di trattamento ottimale per l’ITI è ancora
discusso, e molti sono i problemi irrisolti, a partire dalla selezione dei candidati e del momento di
inizio ottimali, fino alle definizioni della risposta e all’individuazione dei fattori prognostici. Chiarire
questi aspetti è di grande importanza, poiché l’ITI è un trattamento estremamente impegnativo per il
paziente (nella maggioranza dei casi un bambino, con gli inevitabili problemi dell’accesso venoso) e la
sua famiglia, i medici dei Centri Specialistici e, non da ultimo, per i Sistemi Sanitari, a causa dei costi
elevati, sostanzialmente dovuti al consumo di concentrato di FVIII per un periodo prolungato.
ITI: alla ricerca dei fattori prognostici di successo
I dati disponibili in letteratura sull’ITI derivano fondamentalmente da studi retrospettivi non controllati,
spesso con casistica molto limitata, e dai tre registri, anch’essi retrospettivi, condotti negli anni ’90:
il Registro Internazionale (IITR, 19), il Registro Nordamericano (NAITR, 20) ed il Registro Tedesco
(GITR, 21). È stato successivamente pubblicato anche un Registro condotto in Spagna (22). Fatta eccezione per il GITR, che ha raccolto pazienti trattati in maniera più omogenea con regimi ad alta dose
e prodotti plasmaderivati ad intermedia o elevata purezza, gli altri Registri risultano molto eterogenei
per quanto concerne dosi e tipo di concentrato di FVIII utilizzati (Tabella 1).
L’analisi dei dati disponibili evidenzia che, seppure i regimi ad alte dosi consentano di ottenere il successo in tempi significativamente più brevi rispetto ai regimi a dosi più basse, non vi sono sostanziali
differenze in termini di possibilità di successo. Ciò vale soprattutto per i pazienti cosiddetti “a buona
prognosi”, cioè coloro che iniziano l’ITI con titolo di inibitore <10 UB/ml e con picco storico <200
UB/ml. Come dimostrato dalla metanalisi dell’IITR e del NAITR, invece, solo con regimi ad alte dosi si
ottengono percentuali di successo rilevanti nei pazienti con titolo pre-ITI >20 UB/ml e picco storico
>200 UB/ml (23). Più controverso è il ruolo di altri fattori, quali l’età all’inizio dell’ITI, l’intervallo tra
la diagnosi di inibitore e l’inizio dell’ITI o un picco elevato di inibitore in corso di ITI, identificati quali
fattori prognostici solo in alcuni Registri (Tabella 1). Nel profilo del paziente a buona prognosi viene
comunque considerato l’inizio dell’ITI ad un’età inferiore ad 8 anni ed entro due anni dalla diagnosi di
inibitore (24).
Solo di recente e con molte difficoltà è stato possibile condurre uno studio prospettico randomizzato
che ha confrontato nei pazienti a buona prognosi regimi posologici ad alta e bassa dose (200 UI/
Kg/die vs. 50 UI/Kg x3/settimana), l’International-ITI (I-ITI) Study (25). Lo studio, iniziato nel 2002, è
stato interrotto nel novembre 2009 per l’evidenza nei pazienti randomizzati al regime a bassa dose di
un numero significativamente più elevato di emorragie, sia durante l’ITI che nella profilassi post-ITI, ma
in particolare nella fase precedente la negativizzazione dell’inibitore (26). Dai dati sinora comunicati,
non si rilevano differenze significative nei due bracci in termini di successo, che però viene raggiunto
dai pazienti del braccio ad alta dose in circa la metà del tempo necessario a quelli con regime a bassa
dose (26).
Non esistono sinora evidenze solide a dimostrazione della superiorità di un tipo di concentrato di
FVIII rispetto ad altri nell’ITI. Tuttavia, l’esperienza clinica tedesca (27-28) suggerisce una maggiore
efficacia dei concentrati plasmaderivati contenenti il complesso FVIII/fattore di von Willebrand (VWF).
Focusemostasi
19
Tabella 1. Dati principali dei Registri ITI pubblicati e fattori prognostici di successo identificati
Tempo per
successo,
mesi
Fattori
prognostici di
successo (p)^
51
10.5
(mediana)
Plasmaderivati
IP o HP 25%;
monoclonali o
ricombinanti
75%
63
16.3
(media)
Plasmaderivati
IP o HP
Plasmaderivati
IP o HP 88%;
ricombinanti
12%
76
7.6-15.5
(media)$
9.85
(mediana)
Età a inizio ITI
(0.008); titolo
inibitore pre-ITI
(0.04); picco
storico di inibitore
(0.04); dose FVIII
(alta, 0.03)°
Titolo inibitore preITI (0.005); picco
storico di inibitore
(0.04); picco di
inibitore durante ITI
(0.0001); dose FVIII
(bassa, 0.01)#
Picco storico di
inibitore (0.0012)**
Titolo inibitore
pre-ITI (0.03); picco
storico di inibitore
(0.02); dose FVIII
(bassa, 0.01)**
Titolo inibitore preITI (<0.001); picco
di inibitore durante
ITI (<0.001);
mutazione F8
(non-null, 0.04) ##
Regimi di dose
FVIII
(UI Kg-1 d-1)
Tipo di
prodotto FVIII
Successo,
%*
94
32% ≥200; 20%
100-199; 23%
50-100; 25% <50;
steroidi 7%
Plasmaderivati
IP o HP 88%;
ricombinanti
12%
164
(150)
78
14% ≥200; 33%
100-199; 28%
50-100; 25%
<50; agenti
immunomodulanti
40%
Tedesco, GITR
(Lenk, 2000)
Registro
Spagnolo
(Haya et al, 2001)
126
(109)
37
(35)
83
Studio PROFIT
(Coppola et al,
2009)
103
(87)
Nella maggioranza
200-300
42% ≥200; 24%
100; 29% <100;
5% altri; agenti
immunomodulanti
37%
Mediana 100
(range: 21-220)
Registro
(referenza)
Pazienti
(gravi)
HR
(%)
Internazionale,
IITR
(Mariani & Kroner,
2001)
314
(263)
Nordamericano,
NAITR (DiMichele
& Kroner, 2002)
100
96
Plasmaderivati
IP o HP 24%;
monoclonali 2%;
ricombinanti
74%
63
53
8
(mediana)
*Nei pazienti HR, eccetto per l’IITR. Il successo è stato definito come inibitore negativo e normale farmacocinetica del FVIII (in vivo recovery ed
emivita) in tutti i Registri, ma nel NAITR sono state accettate anche altre definizioni. ^All’analisi multivariata. °Picco di inibitore durante ITI non
valutato. #Dosi più alte di FVIII sono risultate correlate a tempi per ottenere successo significativamente più brevi. $Tempi medi per ottenere
successo nei pazienti trattati con 200 e 300 UI Kg-1d-1, rispettivamente. **L’analisi comprendeva anche età ad inizio ITI e intervallo tra diagnosi
di inibitore e inizio ITI. ##L’analisi comprendeva anche età ad inizio ITI, intervallo tra diagnosi di inibitore e inizio ITI, picco storico di inibitore,
dose e tipo di prodotto di FVIII. IP: intermedia purezza; HP: alta purezza.
È stato proposto che il legame del VWF al dominio C2 del FVIII, che contiene epitopi contro i quali
sono frequentemente diretti gli inibitori, possa favorire l’instaurarsi dell’ITI mascherando tali epitopi e
determinando, così, una riduzione della reattività dell’inibitore ed un prolungamento della presentazione antigenica del FVIII, protetto dalla degradazione proteolitica (29-30). Va però considerato che
gli inibitori nella maggioranza dei casi riconoscono più di un epitopo in domini diversi. Anche il grado
di purezza dei concentrati di FVIII impiegati nell’ITI potrebbe influenzare l’esito del trattamento, per la
presenza nei concentrati a minore purezza di sostanze ad azione immuno-modulante, come il TGF-b
o anticorpi anti-idiotipo (29,31). Uno studio internazionale randomizzato, il RESIST (Rescue Immunetolerance Study), è stato avviato recentemente per valutare il ruolo del tipo di concentrato (plasmaderivato contenente VWF vs. ricombinante), nei pazienti a prognosi non favorevole (non arruolabili
nell’I-ITI Study) o in pazienti che abbiano già fallito una prima ITI con prodotto ricombinante (32).
Lo studio PROFIT:
un altro registro nell’era dei trial randomizzati?
Negli ultimi due decenni anche in Italia si è acquisita una significativa esperienza di conduzione
dell’ITI, solo in parte pubblicata (16, 33-34). Molti dati risultano frammentati nel tempo e nelle piccole casistiche dei singoli Centri dell’Associazione Italiana Centri Emofilia (AICE), mentre altri casi,
trattati più recentemente, rischiavano di andare dispersi per le difficoltà di arruolamento negli studi
internazionali. Da queste considerazioni, e con l’obiettivo di valutare la pratica dell’ITI in Italia, è nato
20
Focusemostasi
Tabella 2. Trattamenti ITI e pazienti registrati nello Studio PROFIT (aggiornamento settembre 2009)
Trattamenti ITI totali
Prospettici
Retrospettivi
Primi trattamenti ITI
Trattamenti dopo primo fallimento
Pazienti
112
43
69
103
9
103
Gravità Emofilia A
Grave (FVIII:C <1%)
Moderata/lieve
100
2/1
Risposta anamnestica
Inibitore High-Responding (HR)
Inibitore Low responding (LR)
Genotipo F8 non disponibile o in corso
99
4
7
cinque anni fa lo studio PROFIT (PROgnostic Factors in Immune Tolerance), condotto nell’ambito di
un Programma di Ricerca approvato dal Ministero della Salute con il cofinanziamento di CSL Behring,
e coordinato per la parte clinica dai Centri del Policlinico di Napoli e di Milano e per la parte genetica
dall’Università di Foggia e dall’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo. Lo
studio è stato disegnato come registro osservazionale retrospettivo-prospettico ed ha coinvolto 24
Centri AICE, permettendo così di recuperare i dati dei pazienti sottoposti a ITI, già disponibili, e di
avviare una fase di raccolta prospettica delle ITI in corso o intraprese successivamente all’inizio dello
studio. Con una attiva cooperazione tra i Centri partecipanti ed i Centri coordinatori, è stata effettuata
una revisione centralizzata della valutazione della risposta all’ITI, secondo gli attuali criteri internazionalmente riconosciuti (24), e accanto ai dati clinici, sono stati ottenuti i dati relativi alle mutazioni del
gene del FVIII (F8) dei pazienti arruolati.
Dopo numerose presentazioni delle analisi preliminari a Convegni Nazionali (SISET, Triennale dell’Emofilia) ed Internazionali (ISTH, WFH), nel novembre scorso sono stati pubblicati i dati relativi ad 87 pazienti emofilici gravi non correlati con inibitore high-responding, sottoposti a primo trattamento ITI tra
il 1998 ed il 2008, dei quali si disponeva dei dati completi clinici e genetici (35). Lo studio PROFIT,
infatti, è stato il primo Registro ITI che ha ricercato le possibili correlazioni tra risposta all’ITI e genotipo F8. Come si riporta nella tabella 2, il Registro ha sinora raccolto oltre un terzo di dati prospettici
e molti più dati di quelli gia pubblicati, comprendendo anche alcuni pazienti con emofilia moderata o
lieve, con inibitore low-responding, altri pazienti appartenenti alla stessa famiglia o per i quali non si
disponeva della genetica, e alcuni pazienti sottoposti ad un secondo tentativo di ITI dopo fallimento
del primo trattamento. Per alcuni pazienti, inoltre, il follow-up non è ancora concluso o la raccolta dei
dati è in via di completamento.
I risultati dello studio
Nella tabella 3 sono riassunti i dati clinici dei pazienti arruolati nello studio e le caratteristiche del
trattamento ITI praticato. Se i valori mediani evidenziano come la pratica ITI in Italia si allinei con le
raccomandazioni internazionali volte ad ottimizzare la prognosi, vale a dire trattare i bambini appena
possibile dopo la diagnosi di inibitore e con titolo di inibitore basso (<10 UB/ml), l’analisi dei dati individuali fa rilevare come circa il 70% dei pazienti mostri uno o più fattori prognostici ritenuti sfavorevoli
per il successo dell’ITI (età al trattamento >8 anni, intervallo dalla diagnosi di inibitore >24 mesi, picco
storico di inibitore >200 UB/ml, titolo inibitore all’inizio dell’ITI >10 UB/ml). In particolare, è degno di
nota che il 30% dei trattamenti registrati è stato condotto in pazienti adolescenti o adulti, dunque con
inibitore di non recente insorgenza.
Questo profilo prognostico può probabilmente spiegare la percentuale di successi dell’ITI registrata
(53%) più bassa di quella riportata in altri studi, ma sostanzialmente in linea con quella dei Registri. Va
tenuto conto che in questa analisi sono stati considerati solo pazienti high-responding e che la revisioFocusemostasi
21
Tabella 3. Risultati dello studio PROFIT: caratteristiche dei pazienti, regimi di trattamento e risposta all’ITI°
Caratteristiche cliniche
Storia familiare di emofilia, n (%)
36 (42%)
Storia familiare di inibitore, n (%)
15/36 (42%)
Età alla diagnosi di inibitore, anni*
2.8 (0.1-56.9)
Gironi di esposizione a FVIII, n*
16 (3 ->500)
Età ad inizio ITI, anni*
5.6 (0.3-58.5)
Intervallo diagnosi inibitore-ITI, mesi*
21 (<1-332)
Titolo inibitore pre-ITI, UB/ml*
4.0 (0-200)
Picco storico di inibitore, UB/ml*
64 (7-900)
Trattamento ITI
Dose giornaliera FVIII, UI/Kg*
100 (21-220)
Tipo di concentrato di FVIII
ricombinante, n (%)
64 (74%)
plasmaderivato monoclonale, n (%)
2 ( 2%)
plasmaderivato IP o HP, n (%)
21 (24%)
Picco di inibitore durante ITI, UB/ml*
50 (5-16384)
Risposta all’ITI
Successo, n (%)
46 (53%)
Risposta parziale, n (%)
12 (14%)
Fallimento, n (%)
29 (34%)
Tempo per inibitore negativo, mesi*
5 (0.5-35)
Tempo per successo, mesi*
8 (1.5-40)
Recidive, n*
2 (4%)^
°Dati di 87 pazienti con emofilia A ed inibitore HR sottoposti a primo trattamento ITI; *mediana (range); ^follow-up mediano 52 mesi (range 15-151).
ne centralizzata delle risposte all’ITI ha portato a ridefinire, alla luce degli attuali criteri farmacocinetici,
alcuni casi, inizialmente riportati come successi, come risposte parziali. Nel complesso, considerando
anche i pazienti con risposta parziale, si conferma che 2/3 dei pazienti sottoposti ad ITI riesce ad
eradicare o ridurre l’interferenza inibitoria, repristinando così il trattamento con FVIII.
Per quanto riguarda i regimi ITI, si tendono ad utilizzare regimi di trattamento a dosi intermedie ed
elevate: in circa 2/3 delle ITI la dose giornaliera è di almeno 100 UI/Kg e in circa 1/3 dei casi sono
state utilizzate 200 UI/Kg. Prevale, come intuibile considerata l’età molto giovane della maggioranza
dei pazienti, l’uso dei prodotti ricombinanti (74% delle ITI), per lo più dello stesso prodotto correlato
allo sviluppo dell’inibitore (in circa 2/3 dei pazienti).
L’analisi multivariata dei possibili fattori prognostici di successo sottolinea, in particolare, il ruolo del
titolo di inibitore all’inizio dell’ITI (<10 UB/ml e ancor più <5 UB/ml, p<0.001) e del picco di inibitore
in corso di ITI (100 UB/ml, p<0.001). Questi dati confermano ed ampliano precedenti osservazioni
sull’importanza di iniziare e condurre l’ITI in una condizione di scarsa attivazione immunologica, in
maniera da ottenere più elevate probabilità di successo.
Nella tabella 4 sono riportati i dati che rappresentano la novità più significativa del Registro PROFIT,
vale a dire la distribuzione delle mutazioni F8 dei pazienti arruolati e la correlazione con la risposta all’ITI.
Tabella 4. Genotipo F8 e risposta all’ITI
Genotipo F8
Mutazioni di
Mutazioni
Mutazioni
Ampie
Inversioni*
Piccole
Piccole
delezioni
splicing
(n=50)
nonsense
delezioni
inserzioni
missense
(n=6)
(n=3)
(n=11)
(n=7)
(n=8)
(n=1)
Successo
1
1
24
7
5
7
1
Risposta parziale
1
1
8
1
Fallimento
4
1
18
3
2
1
Successo, %
17
33
48
64
71
87
100
Mutazioni “alto rischio”: 33/70 (47%)°
Mutazioni “basso rischio”: 13/16 (81%)°
*49 pazienti con inversione dell’introne 22 ed 1 paziente con inversione dell’introne 1 (quest’ultimo ha ottenuto successo all’ITI).
°p=0.01, mutazioni ad “alto rischio” vs. “basso rischio”, RR (95% CI) 1.7 (1.1-2.1); all’analisi multivariata OR (95% CI), 6.2 (1.1-36.0).
Risposta ITI
22
Focusemostasi
100
Mutazioni a “basso rischio”
Mutazioni ad “alto rischio”
Successo ITI (%)
80
60
40
20
0
0
5
10
15
20
Tempo (mesi)
25
30
35
40
Figura 1. Correlazione tra tempo per il successo dell’ITI e genotipo F8. I pazienti portatori di mutazioni “a basso rischio”, oltre
ad ottenere più elevata percentuale di successo, conseguono la risposta in tempi significativamente più brevi.
Come atteso, vi è una netta prevalenza delle inversioni dell’introne 22 (57%) e delle cosiddette mutazioni
“ad alto rischio” (in riferimento allo sviluppo di inibitore), che complessivamente si riscontrano nell’81%
dei pazienti (inversioni + ampie delezioni + mutazioni nonsense e di splicing). Valutando la risposta all’ITI,
si è riscontrata una probabilità di successo significativamente più alta (circa 6 volte) nei pazienti portatori di mutazioni “a basso rischio” (piccole inserzioni o delezioni, mutazioni missense) rispetto a quelli
con mutazioni ad alto rischio (p=0.01). Questa correlazione si conferma anche all’analisi multivariata,
comprendendo cioè gli altri fattori prognostici di successo. Anche il tempo per ottenere il successo
è significativamente inferiore nei pazienti con mutazioni a basso rischio (Figura 1). Esiste dunque una
correlazione tra risposta all’ITI e genotipo F8 simile a quella che si rileva per lo sviluppo di inibitore.
Conclusioni
In attesa dei dati più rigorosi degli studi internazionali randomizzati, i Registri della pratica ITI si rivelano
in grado di fornire ancora interessanti informazioni per arricchire il profilo dei fattori prognostici dell’ITI
ed aiutare i clinici nella selezione dei candidati al trattamento e delle modalità ottimali per condurlo. In
questo senso, i dati dello studio PROFIT sottolineano il ruolo del genotipo F8 e dello stato di attivazione
immunologica del paziente all’inizio e durante il trattamento, espresso dal titolo di inibitore pre-ITI e dal
picco durante l’ITI. Di qui l’importanza di procrastinare l’inizio dell’ITI fino ad ottenere un titolo di inibitore
molto basso (anche <5 UB/ml) ed evitare, per quanto possibile, condizioni in grado di stimolare il sistema immunitario (accesso venoso stabile, infezioni dell’accesso venoso o in altre sedi, eventuale profilassi
per i pazienti con tendenza emorragica più importante), in particolare per i pazienti con genotipo “sfavorevole”. È quindi possibile intervenire, almeno in parte, su alcuni dei fattori prognostici, vale a dire quelli
che possono essere modificati in relazione alle scelte cliniche (Figura 2).
Accanto ai dati raccolti, lo studio PROFIT ha ottenuto una serie di risultati indiretti non meno rilevanti: in questi anni è stata promossa un’interazione molto stimolante tra i Centri AICE sui temi dell’ITI, che ha consentito
di condividere le esperienze grandi e piccole disponibili, e di sottolineare alcuni dei problemi più dibattuti
anche nella letteratura internazionale, come l’accurata definizione della risposta e i regimi di trattamento
(dose, tipo di concentrato). Ancora, il patrimonio dei dati raccolti, ed in continuo accrescimento, rappresenta
un vero e proprio laboratorio per approfondire e valutare nel tempo i tanti aspetti ancora poco definiti dell’ITI.
Focusemostasi
23
Fattori prognostici
Non
modificabili
Riconosciuti
Da approfondire
Picco storico
inibitore
Genotipo F8
Picco inibitore
durante ITI
Potenzialmente
modificabili
Stimoli
immunologici
durante ITI
Titolo
pre-ITI
Dose FVIII
Tipo FVIII
Figura 2. I fattori prognostici di successo dell’ITI attualmente riconosciuti o in corso di ulteriore valutazione. Alcuni di questi
fattori sono potenzialmente modificabili in relazione alle scelte cliniche. Altre variabili dipendono in parte da fattori genetici
ed in parte dalle condizioni ambientali.
Ringraziamenti
Questo articolo offre l’occasione per ringraziare ancora una volta tutti i Colleghi dei Centri Emofilia
che hanno contribuito allo studio, ed il Ministero della Salute e CSL Behring per il finanziamento che
lo ha reso possibile.
The PROFIT AICE Study Group: Bari: Francesco Antonio Scaraggi; Cagliari: Roberto Targhetta;
Castelfranco Veneto: Giuseppe Tagariello, Roberto Sartori; Catania: Roberto Musso, Margaret Musso;
Catanzaro: Gaetano Muleo, Rita Santoro, Piergiorgio Iannaccaro; Cesena: Chiara Biasoli; Cosenza:
Filomena Daniele; Firenze: Massimo Morfini; Foggia - S. Giovanni Rotondo: Maurizio Margaglione,
Elvira Grandone, Rosa Santacroce, Michela Sarno; Milano: Elena Santagostino, Maria Elisa Mancuso,
Pier Mannuccio Mannucci; Modena: Paola Pedrazzi; Napoli, Federico II: Antonio Coppola, Mirko
Di Capua, Matteo Nicola Dario Di Minno, Anna Maria Cerbone, Giovanni Di Minno; Napoli, Pausilipon: Michele Schiavulli; Napoli, S. Giovanni Bosco: Angiola Rocino; Padova: Ezio Zanon; Palermo:
Giacomo Mancuso, Francesca Mansueto; Parma: Annarita Tagliaferri, Gianna Franca Rivolta, Caterina
Di Perna; Perugia: Alfonso Iorio, Francesca Ferrante; Reggio Calabria: Caterina Latella; Torino, Regina
Margherita: Maria Messina; Torino, Università: Piercarla Schinco, Federica Valeri; Vallo della Lucania:
Giulio Feola; Verona: Giorgio Gandini, Annachiara Giuffrida; Vicenza: Giancarlo Castaman.
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Focusemostasi
25
Lo studio RES.I.ST: caratteristiche,
modalità e aggiornamenti
Silvia Riva e Alessandro Gringeri
Fondazione IRCCS Ca’ Granda - Ospedale Maggiore Policlinico,
Centro Emofilia e Trombosi “Angelo Bianchi Bonomi”, Milano
Introduzione
Lo studio RES.I.ST nasce per affrontare uno dei problemi più rilevanti nel panorama attuale dell’Emofilia, ossia quello costituito dallo sviluppo di inibitori dei fattori della coagulazione (1) che rappresentano un evento correlato alla introduzione in circolo di fattore VIII (FVIII) umano a seguito di terapia
sostitutiva in soggetti con difetto di sintesi e/o di funzione del fattore VIII endogeno (2). Attualmente,
sebbene la strategia terapeutica per l’eradicazione dell’inibitore con la maggiore evidenza clinica sia
quella di ottenere immunotolleranza (ITI) attraverso la regolare somministrazione di elevate quantità di
fattore VIII (3), diverse questioni centrali rimangono aperte: i regimi terapeutici standard di induzione
della ITI non sono ancora chiariti così come quali tipi di concentrato utilizzare e il ruolo del fattore von
Willebrand (VWF) (3,4). Con questo studio internazionale nasce il tentativo di validare alcune delle
principali ipotesi addotte nel panorama scientifico corrente sulla cura dell’emofilia con inibitore attraverso il confronto controllato di trattamenti di ITI.
Obiettivo
Obiettivo generale dello studio RES.I.ST è l’induzione di ITI con concentrati complessi di fattore
von Willebrand/fattore VIII (FVIII/VWF) in soggetti con emofilia A grave e con inibitore mai sottoposti
a ITI per anamnesi sfavorevole (RES.I.ST. Naïve) o con precedente fallimento di ITI con concentrati del
solo fattore VIII (RES.I.ST. Experienced). La figura 1 schematizza le due braccia sperimentali dello studio.
Paziente con inibitori
“High Responder”
ITI primaria
(Naïve)
Prognosi
sfavorevole
RES.I.ST. Naïve
ITI di salvataggio
(Experienced)
Prognosi
sfavorevole
RES.I.ST. Experienced
Figura 1. Tipologia di pazienti nelle due braccia sperimentali dello studio RES.I.ST.
26
Nello studio RES.I.ST Experienced, prospettico, in aperto, i pazienti riceveranno concentrati di fattore VIII contenente fattore von Willebrand (FVIII/VWF). Nello studio RES.I.ST Naïve, i pazienti
saranno randomizzati a una delle due braccia di trattamento attraverso un sistema informatizzato e
potranno ricevere concentrati FVIII/VWF o concentrati FVIII privi di fattore von Willebrand.
Popolazione
Soggetti affetti da emofilia A grave. La tabella 1 riassume i principali criteri di inclusione.
Tabella 1. I principali criteri di inclusione nelle due braccia dello studio RES.I.ST
RES.I.ST. Experienced
RES.I.ST Naïve
I.
II.
III.
IV.
I.
II.
III.
IV.
Pazienti affetti da emofilia A grave (FVIII<1%) con inibitori
Qualsiasi età
“High Responders”*
Sottoposti senza successo a precedente ITI con concentrati di
fattore VIII privi di VWF o recidivanti dopo questo trattamento
Pazienti affetti da emofilia A grave (FVIII <1%) con inibitori
“High Responders”*
Mai sottoposti in precedenza ad ITI
In presenza di almeno uno dei seguenti fattori di rischio:
• titolo storico dell’inibitore >200 BU
• titolo all’inizio dell’ITI >10 BU
• età >7 anni
• tempo tra la comparsa dell’inibitore e l’ITI >2 anni
*(picco storico >5 BU).
Metodo
Entrambe le braccia sperimentali saranno sottoposte al medesimo schema di trattamento, ovvero
200 UI/Kg di concentrato in una o due infusioni giornaliere. Il presente studio osserverà l’esistenza
di una differenza nella capacità di induzione della tolleranza immunologica nei pazienti tra le due
classi di concentrati di fattore VIII somministrati a dose elevata. All’interno di ciascun gruppo di
trattamento, verranno somministrate diverse specialità commerciali di concentrati di fattore VIII che
verranno scelte liberamente dal medico referente. La durata del trattamento varierà da un minimo
di 9 a un massimo di 33 mesi. La tabella 2 riassume i parametri di successo parziale e totale dei due
trattamenti di immunotolleranza.
Tabella 2. Criteri di successo parziale e totale della tolleranza immunitaria per lo studio RES.I.ST
Titolo di inibitore*
Recupero in vivo FVIII
Emivita FVIII
Successo parziale
<5 UB
<66% dell’attesa
<6 ore
Successo completo
<0.6 UB
> 66% dell’attesa
<6 ore
*In due determinazioni consecutive nell’arco di 30 giorni.
Conclusioni
L’avvio dello studio è stato positivo e ha coinvolto numerosi Centri europei ed extra-europei. Attualmente, 6 Centri internazionali hanno avviato lo studio con un arruolamento totale di 8 pazienti;
2 nello studio RES.I.ST Naïve e 6 nel RES.I.ST Experienced, e il numero è destinato ad aumentare
rapidamente. La tabella 3 fornisce una panoramica degli arruolamenti correnti.
L’originalità dello studio RES.I.ST consiste in diversi fattori; in primis, nel tentativo di comparare
scientificamente l’ITI con due classi di concentrati attraverso il controllo randomizzato dei soggetti
e di analizzare più scientificamente il ruolo del fattore di von Willebrand, finora individuato solo in
studi ex vivo (5) e retrospettivi (6,7). In secondo luogo, nella collaborazione internazionale multicentrica, nella cooperazione con Centri universitari esteri per le analisi genetiche e la gestione
Focusemostasi
27
Tabella 3. I Centri e gli sperimentatori principali che hanno arruolato pazienti in uno delle due braccia dello studio RES.I.ST
RES.I.ST Naïve
ITALIA
-Centro Emofilia
“A.B. Bonomi”,
Policlinico Milano
A. Gringeri:
1 paziente
USA
-Centro di Clinica
Pediatrica “Nemours”,
Jacksonville (FL),
C.A.Gauger:
1 paziente
RESIST Experienced
CANADA
-Centro Emofilia
“Hospital for Sick
Children”,Toronto,
M.Carcao: 1 paziente
-Ospedale Pediatrico East Ontario- Ottawa,
R.Klassen: 1 paziente
USA
-Centro Emofilia,
Ospedale “City of
Hope”, Duarte (CA),
N. Ewing:
2 pazienti
SPAGNA
-Ospedale “N.S. de la
Candelaria”, Tenerife,
G.Talavera Casañas:
1 paziente
-Complejo Hospitalario
Torrecàcardenas,
Almeria, N. Perez
Gonzales:1 paziente
ITALIA
-Centro Emofilia
“A.B. Bonomi”,
Policlinico Milano,
A. Gringeri:
1 paziente
dei dati clinici computerizzata, nell’analisi della Qualità della Vita e, infine, nella natura dello studio
RES.I.ST che si propone come studio indipendente, non diretto ad alcuna registrazione di farmaci
ma finalizzato esclusivamente allo sviluppo scientifico e che, come tale, necessita dell’apporto e
della collaborazione di tutti per crescere.
Bibliografia
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the RESIST study, 2007;13 (5):73–77.
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4) Santagostino E. Linee guida per la terapia sostitutiva dell’emofilia e
dei difetti ereditari della Coagulazione, Associazione Italiana dei Centri Emofilia, Milano, 2003.
28
Focusemostasi
5) Gilles JG, Saint-Remy JMR. Recombinant and plasma-derived factor
VIII are immunologically distinct in in vitro assays, Thromb Haemost
1995; 73:1213.
6) Guerois C, Laurian Y, Rothschild C, Parquet-Gernez A, Duclos AM,
Negrier C. Incidence of factor VIII inhibitor development in severe
hemophilia A patients treated with one brand of highly purified
plasma-derived concentrate, Thromb Haemost 1995; 73:215.
7) Yee TT, Williams MD, Hill FGH, Lee CA, Pasi KJ. Absence of inhibitors in previously untreated patients with severe haemophilia A after
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P M. Severe hemophilia with mild bleeding phenotype: molecular characterization and global
coagulation profile. Journal of Thrombosis and Haemostasis, 8:737-743.
29
Heimburgher Award 2011
The “CSL Behring - Prof. Heimburger Award” to support scientific research in the field of coagulation will be awarded again in 2011. The
global grant is sponsored by CSL Behring.
CSL Behring - Prof. Heimburger
Award 2011
The global grant is named in honour of Prof. Norbert Heimburger, a pioneer of
modern coagulation. One of his major contributions in this area was the development of virus-inactivated products based on pasteurisation. Due to his research
efforts, CSL Behring launched the first effectively virus-inactivated FVIII concentrate
in 1981.
Eligibility:
CSL Behring will set up 5 start-up grants for the cycle 2011. The grants are targeted at young investigators, who hold an MD degree. Applicants with less than
5 years faculty experience in haemostaseology will be preferred. The grants will
be available for pre-clinical and/or clinical research in the area of coagulation.
Grant: € 20,000
11
20
le in
c
y
c
ming
ow!
Upco – apply n
Application forms are available from the following address:
CSL Behring GmbH
Att. Dieter Pluennecke
Commercial Development Coagulation
Emil-von-Behring-Strasse 76
35041 Marburg
GERMANY
T: +49 6421 394191
E-mail: [email protected]
In addition to the application forms, the applicant’s current CV and research proposal (one-pager)
should be attached. Please submit application to the address above.
Closing date for applications: 8 th of October 2010
30
Haemate®P - Riassunto delle caratteristiche del prodotto
1. DENOMINAZIONE DELLA SPECIALITÀ MEDICINALE
Haemate P 500 UI/10 mL. Polvere e solvente per soluzione per infusione. Haemate P 1000 UI/15 mL. Polvere e solvente per soluzione per infusione.
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Haemate P si presenta come polvere e solvente per soluzione per infusione. HAEMATE P 500 Un flacone di polvere contiene: Fattore VIII della coagulazione da plasma umano: 500 U.I. (FVIII:C, con attività nominale). Fattore von Willebrand: 1200 U.I. (attività nominale, come Cofattore della ristocetina) (VWF:RCo). Dopo ricostituzione con 10 mL di acqua per preparazioni iniettabili, Haemate P 500 contiene approssimativamente 50 U.I./mL (pari a 500 U.I./10
mL) di Fattore VIII della coagulazione da plasma umano e circa 120 U.I./mL (pari a 1200 U.I./10 mL) di Fattore von Willebrand
(VWF) da plasma umano. HAEMATE P 1000 Un flacone di polvere contiene: Fattore VIII della coagulazione da plasma umano:
1000 U.I. (FVIII:C, con attività nominale). Fattore von Willebrand: 2400 U.I. (attività nominale, come Cofattore della ristocetina)
(VWF:RCo). Dopo ricostituzione con 15 mL di acqua per preparazioni iniettabili Haemate P 1000 contiene approssimativamente
66,6 U.I./mL (pari a 1000 U.I./15 mL) di Fattore VIII della coagulazione da plasma umano e circa 160 U.I./mL (pari a 2400 U.I./15
mL) di VWF da plasma umano. L’attività (U.I.) del Fattore VIII è determinata utilizzando il test cromogenico secondo Farmacopea
Europea. L’attività specifica di Haemate P è di circa 2-6 U.I. di FVIII/mg di proteina. L’attività specifica di Haemate P come fattore von
Willebrand è approssimativamente pari a 3-17 U.I. di VWF:RCo/mg di proteina. Per l’elenco degli eccipienti, vedere sezione 6.1.
3. FORMA FARMACEUTICA. Polvere e solvente per soluzione per infusione.
4. INFORMAZIONI CLINICHE
4.1. Indicazioni terapeutiche. Trattamento e profilassi di emorragie in caso di: - emofilia A (carenza congenita di fattore VIII)
- carenza acquisita di fattore VIII. Trattamento di pazienti con anticorpi anti-fattore VIII (inibitori) (vedere anche 4.2.1). Profilassi
e trattamento delle emorragie nella malattia di von Willebrand (VWD).
4.2. Posologia e metodo di somministrazione. Il trattamento dell’emofilia A e della malattia di VWD deve essere
effettuato sotto la supervisione di un medico esperto nel trattamento dei disordini dell’emostasi. Non sono disponibili dati clinici
sufficienti per l’impiego di Haemate P nei bambini.
4.2.1. Posologia. Emofilia A. La posologia e la durata della terapia sostitutiva dipendono dalla gravità della carenza di Fattore VIII,
dalla localizzazione e dall’entità dell’emorragia nonché dalle condizioni cliniche del paziente. Il numero delle unità di Fattore VIII da
somministrare è espresso in Unità Internazionali (U.I.), con riferimento allo standard attualmente vigente dell’OMS (WHO) per prodotti di Fattore VIII. L’attività di Fattore VIII nel plasma è espressa in percentuale (relativa al plasma umano normale) oppure in U.I. (in
conformità allo Standard Internazionale per il Fattore VIII nel plasma). Una unità internazionale di attività di Fattore VIII è equivalente
alla quantità di Fattore VIII in un mL di plasma umano normale. Il calcolo della dose necessaria di Fattore VIII è basato sul reperto empirico che 1 U.I. di Fattore VIII per kg di peso corporeo aumenta l’attività di Fattore VIII nel plasma di circa il 2% dell’attività normale
(2 U.I./dL). La dose necessaria viene determinata usando la seguente formula: Unità richieste = peso corporeo [kg] x aumento
desiderato di Fattore VIII [% o U.I./dL] x 0.5. La frequenza della somministrazione dovrebbe sempre essere basata sull’efficacia clinica ottenuta nei singoli casi. Nel corso del trattamento, è consigliabile eseguire un’appropriata determinazione dei livelli di Fattore
VIII per stabilire la dose da somministrare e la frequenza di ripetizione delle infusioni. In particolare, in caso di interventi di chirurgia
maggiore, è indispensabile eseguire un attento monitoraggio della terapia sostitutiva per mezzo della determinazione dell’attività
plasmatica del Fattore VIII. Singoli pazienti possono presentare variabilità nella propria risposta al Fattore VIII, raggiungendo livelli
differenti di recupero in vivo e differente emivita. Per la profilassi a lungo termine di emorragie in pazienti affetti da emofilia A
grave, le dosi usuali sono da 20 a 40 U.I. di Fattore VIII per kg di peso corporeo ad intervalli di 2-3 giorni. In alcuni casi, soprattutto
nei pazienti più giovani, possono rendersi necessari intervalli più brevi o dosi più elevate. I pazienti devono essere monitorati per lo
sviluppo di inibitori del Fattore VIII. Se non si raggiungono i livelli plasmatici attesi di attività di Fattore VIII o se l’emorragia non è
controllata con una dose adeguata, i pazienti devono essere monitorati per verificare l’eventuale comparsa di inibitore del Fattore
VIII. Nei pazienti con elevati livelli di inibitore, la terapia con Fattore VIII può rivelarsi non efficace per cui devono essere prese in
considerazione altre misure terapeutiche. In questi casi, inoltre, il trattamento deve essere effettuato sotto la responsabilità di
medici esperti nel trattamento dell’emofilia. Si veda anche sezione 4.4. Nel caso dei seguenti episodi emorragici, l’attività del
Fattore VIII non deve scendere al di sotto del livello di attività plasmatica indicato (in % o in U.I./dL) rispetto al livello normale. La
tabella seguente può essere impiegata come riferimento per il dosaggio nel caso di eventi emorragici o di interventi chirurgici:
Gravità dell’emorragia/
Tipo di intervento chirurgico
Livello richiesto di
Fattore VIII (% o U.I./dL)
Frequenza delle dosi (ore)/
Durata della terapia (giorni)
Emartro in fase iniziale, emorragie
intramuscolari o della cavità orale
20 - 40
Ripetere l’infusione ogni 12-24 ore per almeno 1 giorno fino a che,
a cessazione del dolore, l’episodio emorragico sia risolto o si sia
giunti a guarigione.
Emartri più estesi, emorragie
intramuscolari o ematomi
30 - 60
Ripetere l’infusione ogni 12-24 ore per 3-4 giorni o più fino
alla risoluzione del dolore e dell’invalidità acuta.
Emorragie a rischio per la vita
60 - 100
Ripetere l’infusione ogni 8-24 ore, fino alla risoluzione dell’evento.
Emorragia
Gravità dell’emorragia/
Tipo di intervento chirurgico
Livello richiesto di
Fattore VIII (% o U.I./dL)
Frequenza delle dosi (ore)/
Durata della terapia (giorni)
Chirurgia minore,
estrazioni dentarie incluse
30 - 60
Ogni 24 ore, per almeno 1 giorno, fino al raggiungimento
della guarigione.
Chirurgia maggiore
80 - 100
(pre- e post-operatorio)
Ripetere l’infusione ogni 8-24 ore fino al raggiungimento di
un’adeguata cicatrizzazione; successivamente continuare la terapia
per almeno 7 giorni per mantenere una attività di Fattore VIII
compreso tra il 30-60% (U.I./dL).
Chirurgia
Malattia di von Willebrand La somministrazione di 1 U.I./kg di VWF:RCo determina, in genere, un aumento del titolo di
VWF:RCo in circolo pari a 0,02 U.I./mL (2 %). Devono essere conseguiti livelli di VWF:RCo > 0,6 U.I./mL (60%) e di FVIII:C > 0,4
U.I./mL (40%). Di norma, per il conseguimento dell’emostasi si raccomanda la somministrazione di 40-80 U.I./kg di VWF:RCo e
di 20-40 U.I. di FVIII:C/kg di peso corporeo. La somministrazione di una dose iniziale di 80 U.I./kg di Fattore di von Willebrand
può risultare necessaria soprattutto per pazienti con malattia di von Willebrand del Tipo 3: in questo caso, infatti, il mantenimento di titoli adeguati può richiedere il ricorso a dosi più elevate rispetto agli altri tipi della malattia di von Willebrand. Prevenzione dell’evento emorragico in caso di intervento chirurgico o di grave episodio traumatico: per prevenire un eccessivo sanguinamento durante o dopo un intervento chirurgico la somministrazione dovrebbe avvenire 1-2 ore prima dell’intervento stesso.
Dosi adeguate dovrebbero poi essere successivamente somministrate ogni 12-24 ore. La dose da somministrare e la durata del
trattamento dipendono dalla situazione clinica individuale, dal tipo e dalla gravità dell’emorragia e dai livelli di VWF:RCo e di
FVIII:C. Quando si usano preparati di Fattore VIII contenenti Fattore von Willebrand, il medico deve tener presente che un trattamento protratto può determinare un aumento eccessivo del titolo di FVIII:C. Per evitare un aumento incontrollato di FVIII:C,
dopo 24- 48 ore di trattamento sarebbe opportuno ridurre la dose e/o aumentare l’intervallo di tempo fra le somministrazioni.
Metodo di somministrazione. Il prodotto deve essere ricostituito come descritto al paragrafo 6.6. Prima della somministrazione la preparazione ricostituita deve essere portata a temperatura ambiente o corporea. Iniettare lentamente per via endovenosa, ad una velocità confortevole per il paziente. Nel caso in cui sia necessaria la somministrazione di dosi più elevate di
Fattore VIII, si può procedere mediante infusione, trasferendo il prodotto ricostituito in un sistema per infusione appropriato.
La velocità di iniezione o di infusione non deve eccedere i 4 mL/minuto. Tenere sotto osservazione il paziente per la comparsa
di qualsiasi reazione immediata. Nel caso abbia luogo una qualsiasi reazione correlabile con la somministrazione di Haemate
P, ridurre la velocità di infusione o interrompere la somministrazione a seconda delle condizioni cliniche del paziente (vedere
anche sezione 4.4).
4.3. Controindicazioni. Ipersensibilità nota ad uno qualsiasi dei componenti del prodotto.
4.4. Avvertenze particolari e speciali precauzioni per l’uso. Come per qualsiasi altro prodotto di origine plasmatica somministrato per via endovenosa, sono possibili reazioni di ipersensibilità di tipo allergico. I pazienti devono essere informati circa
le reazioni di ipersensibilità di tipo immediato, compresi: orticaria, orticaria generalizzata, senso di costrizione toracica, dispnea,
ipotensione ed anafilassi. I pazienti devono essere informati che, in caso di comparsa di questi sintomi, devono interrompere
immediatamente l’utilizzo del prodotto e rivolgersi al proprio medico. In caso di shock devono essere osservate le procedure
mediche standard per il trattamento dello shock. Haemate P contiene fino a 140 mg di sodio per 1000 U.I. Ciò deve essere
tenuto in debita considerazione dai pazienti che seguono una dieta controllata per il sodio. Le misure standard per prevenire
infezioni conseguenti all’uso di prodotti medicinali derivati da sangue o plasma umano comprendono la selezione dei donatori,
il controllo delle donazioni individuali e dei pool di plasma per specifici marcatori di infezione (HbsAg, ed anticorpi HIV e HCV) e
l’adozione di procedure di produzione efficaci per l’inattivazione / rimozione di virus. Ciò nonostante, quando si somministrano
prodotti derivati da sangue o plasma umano, non può essere totalmente esclusa la possibilità di trasmissione di agenti infettivi.
Tale concetto si applica anche a virus sconosciuti o emergenti e ad altri patogeni. Le misure adottate sono considerate efficaci
per i virus capsulati quali HIV, HBV, HCV e per il virus non-capsulato HAV. Le misure adottate possono essere di limitato valore
verso virus non-capsulati quali il parvovirus B19. Le infezioni da parvovirus B19 possono essere gravi per le donne in gravidanza (infezione fetale) e per gli individui con immunodeficienza o aumentata eritropoiesi (per esempio anemia emolitica). Per i
pazienti che ricevono regolarmente / ripetutamente prodotti derivati da plasma umano, deve essere presa in considerazione
l’opportunità di procedere ad un’appropriata vaccinazione (epatite A ed epatite B). Si raccomanda vivamente che ogni volta che
Haemate P è somministrato a un paziente sia registrato il nome e il numero di lotto del prodotto allo scopo di mantenere una
correlazione tra il paziente ed il lotto del prodotto somministrato.
Emofilia A. La formazione di anticorpi neutralizzanti (inibitori) il Fattore VIII è una complicanza nota nel trattamento di soggetti
affetti da emofilia A. Questi inibitori sono generalmente immunoglobuline IgG dirette contro l’attività procoagulante del Fattore
VIII e sono misurati in unità Bethesda (BU) per mL di plasma, utilizzando il test modificato. Il rischio di sviluppare inibitori è correlato all’esposizione al Fattore VIII antiemofilico ed è più elevato entro i primi 20 giorni di esposizione. Raramente gli inibitori
possono svilupparsi dopo i primi 100 giorni di esposizione. I pazienti trattati con Fattore VIII plasmatico umano devono essere
monitorati attentamente per accertare lo sviluppo di inibitori, mediante adeguate valutazioni cliniche e test di laboratorio. Nei
pazienti con un alto titolo di inibitori, la terapia può rivelarsi inefficace e sarà opportuno prendere in considerazione altre opzioni terapeutiche. Vedere anche la sezione 4.8 Effetti indesiderati.
Malattia di von Willebrand. Esiste il rischio che si verifichino episodi trombotici, in particolare in quei pazienti in cui sono
noti fattori di rischio clinico o laboratoristico. Pertanto, i pazienti a rischio devono essere monitorati per accertare l’insorgenza
dei primi segni di trombosi. Se è il caso, deve essere instaurato un regime di profilassi contro il tromboembolismo venoso, in
conformità alle vigenti raccomandazioni. In caso di impiego di prodotti contenenti VWF, il medico curante deve tener presente
che un trattamento protratto può determinare un aumento eccessivo del livello di FVIII:C. I pazienti che ricevono prodotti di
FVIII:C contenenti VWF, dovrebbero essere attentamente monitorati per evitare un eccessivo aumento dei livelli plasmatici di
FVIII:C, con conseguente aumento del rischio di eventi trombotici. Se richiesto, deve essere considerata l’opportunità di attuare
provvedimenti antitrombotici. I pazienti con malattia di von Willebrand, specialmente di Tipo 3, possono sviluppare anticorpi
neutralizzanti il VWF (inibitori). Se non vengono raggiunti i livelli attesi di attività di VWF:RCo nel plasma o se la dose necessaria
somministrata non è in grado di controllare efficacemente l’emorragia, sarà opportuno effettuare un test appropriato in modo
da accertare l’eventuale presenza di inibitori del VWF. Nei pazienti con un alto titolo di inibitori, la terapia può rivelarsi inefficace
e sarà opportuno prendere in considerazione altre opzioni terapeutiche.
4.5. Interazioni con altri medicinali e a altre forme di interazione. Non sono note interazioni di Haemate P con altri farmaci.
4.6. Gravidanza ed allattamento. Non sono stati condotti studi sulla riproduzione animale con Haemate P. In considerazione
della rarità dell’occorrenza dell’emofilia A nella donna, non sono disponibili esperienze riguardanti l’impiego di Fattore VIII in
gravidanza e nell’allattamento. La situazione è differente per la malattia di von Willebrand, stante la sua ereditarietà autosomica. Le donne ne sono maggiormente affette degli uomini per la presenza di rischi emorragici specifici, come mestruazioni,
gravidanze, travaglio, parto e complicanze ginecologiche in genere. In base alle esperienze acquisite successivamente alla
commercializzazione del prodotto, risulta che può essere raccomandata la sostituzione di VWF nel trattamento e nella prevenzione di eventi emorragici acuti. Non sono invece disponibili studi clinici concernenti la terapia sostitutiva con VWF durante la
gravidanza o l’allattamento. Pertanto FVIII e VWF dovrebbero essere impiegati durante la gravidanza e l’allattamento soltanto
se specificatamente indicati.
4.7. Effetti sulla capacità di guidare e sull’uso di macchine. Non sono stati osservati effetti sulla capacità di guidare e
sull’uso di macchinari.
4.8. Effetti indesiderati. Gli effetti indesiderati qui riportati si basano sulle esperienze acquisite dalle sperimentazioni cliniche
e dall’esperienza postmarketing. Per registrare la frequenza della comparsa di tali effetti indesiderati sono state adottate le seguenti regole standard: Molto frequente >1/10; Frequente >1/100 e < 1/10; Non frequente >1/1.000 e <1/100; Raro >1/10.000
e <1/1.000; Rarissimo <1/10.000.
• Disturbi a carico del sistema immunitario. In rarissimi casi sono state osservate reazioni da ipersensibilità o di tipo allergico
(che possono comprendere: angioedema, sensazione di bruciore e di puntura nel sito dell’iniezione, brividi, flush, orticaria generalizzata, cefalea, orticaria, ipotensione, letargia, nausea, sensazione di stanchezza, tachicardia, senso di costrizione toracica,
formicolio, vomito, dispnea). In taluni casi è stato osservato un progressivo peggioramento fino ad anafilassi grave (incluso lo
shock). Per la sicurezza nei confronti di patogeni trasmissibili, vedere sezione 4.4.
• Disturbi di carattere generale. In rare occasioni è stato osservato un rialzo della temperatura corporea.
• Disturbi a carico del sistema sanguigno e del sistema linfatico. In caso siano necessarie somministrazioni di dosi molto
elevate o frequentemente ripetute, quando sono presenti degli inibitori o se si attuano provvedimenti pre- e post-chirurgici, è
opportuno tenere sotto attento monitoraggio tutti i pazienti, allo scopo di osservare l’insorgenza dei primi segni di ipervolemia.
Inoltre, i pazienti con gruppi sanguigni A, B e AB devono essere monitorati per accertare la presenza di eventuali segni di emolisi
intravascolare e/o di riduzione del valore dell’ematocrito.
Emofilia A
• Disturbi a carico del sistema immunitario. Pazienti con emofilia A possono sviluppare anticorpi (inibitori) neutralizzanti il
Fattore VIII. La loro presenza sarà resa direttamente manifesta dall’inadeguatezza della risposta clinica al trattamento effettuato.
In tal caso si raccomanda di contattare un centro specializzato nel trattamento dell’emofilia. L’esperienza acquisita dagli studi
clinici con Haemate P in pazienti precedentemente non trattati (PUPs) è molto limitata. Pertanto, non possono essere forniti dati
validati sull’incidenza di specifici inibitori clinicamente rilevanti.
Malattia di von Willebrand
• Disturbi a carico del sistema immunitario. In rarissimi casi pazienti con VWD, specialmente di Tipo 3, possono sviluppare
anticorpi neutralizzanti il VWF (inibitori). La loro presenza sarà resa direttamente manifesta dall’inadeguatezza della risposta clinica al trattamento effettuato. Tali anticorpi precipitanti possono presentarsi in concomitanza a reazioni anafilattiche. Pertanto,
i pazienti che hanno avuto esperienze di reazioni anafilattiche devono essere valutati per la presenza di inibitori. In tutti questi
casi si raccomanda di contattare un centro specializzato nel trattamento dell’emofilia.
• Disturbi a carico del sistema vascolare. Sussiste il rischio di eventi trombotici, particolarmente in quei pazienti in cui è nota
la presenza di fattori di rischio clinico o laboratoristico. Nei pazienti sotto trattamento con prodotti contenenti VWF, la presenza
di elevati livelli plasmatici di FVIII:C può aumentare il rischio di eventi trombotici (vedere anche sezione 4.4).
4.9. Sovradosaggio. Finora non sono stati segnalati effetti da sovradosaggio di Haemate P.
5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE
5.1. Proprietà farmacodinamiche. Gruppo farmaco-terapeutico: Emostatici/antiemorragici Codice ATC: B02BD02 Il complesso fattore VIII/fattore von Willebrand è formato da due molecole (FVIII e VWF) con diverse funzioni fisiologiche. Il fattore VIII è
determinante per la funzione coagulatoria. Come cofattore con il fattore IX esso accelera la conversione del fattore X a fattore
X attivato (Xa). Il fattore Xa converte la protrombina in trombina; la trombina a sua volta converte il fibrinogeno in fibrina inducendo la formazione del coagulo. Poiché l’attività del fattore VIII è notevolmente ridotta nei pazienti affetti da emofilia A, la
terapia di sostituzione risulta necessaria. Il fattore von Willebrand è il mediatore dell’adesione piastrinica all’endotelio vascolare
ed è un determinante dell’aggregazione piastrinica: è pertanto indispensabile nella terapia sostitutiva nei pazienti affetti da sindrome di von Willebrand. L’attività del VWF è misurata come von Willebrand factor: co-fattore ristocetinico (VWF:RCo). In gravi
casi di sindrome di von Willebrand l’attività del fattore VIII è considerevolmente ridotta. Uno specifico passaggio produttivo di
purificazione assicura il più alto grado di rimozione del fibrinogeno (determinato secondo il metodo di Clauss).
5.2. Proprietà farmacocinetiche. Dopo iniezione del prodotto, da 2/3 a 3/4 circa del fattore VIII restano in circolo. L’obiettivo
terapeutico è il mantenimento di un’attività plasmatica del Fattore VIII compresa tra l’80 ed il 120%. Il decadimento dell’attività
del Fattore VIII nel plasma segue una cinetica esponenziale a due fasi. Nella fase iniziale la distribuzione tra spazio intravascolare
ed altri compartimenti liquidi ha un’emivita di eliminazione di 3-6 ore. Nella successiva fase più lenta (che probabilmente riflette
il consumo di Fattore VIII), l’emivita varia tra 8-20 ore, con una media di 12 ore, che sembra corrispondere all’effettiva emivita
biologica. In uno studio clinico in pazienti affetti da emofilia A il recupero in vivo di F VIII è stato del 101,5%. Con riferimento
alla somministrazione di 1 U.I. di Fattore VIII:C/kg di peso corporeo l’aumento medio di F VIII è del 2,3% della norma. L’emivita
biologica è di 15,3±5,5 ore. In singoli casi l’emivita biologica può variare. In uno studio clinico in pazienti con sindrome di von
Willebrand il recupero medio in vivo di VWF:RCo è stato del 63% nei pazienti di tipo 1, del 87% nei pazienti di tipo 2 e del 72%
nei pazienti di tipo 3. Con somministrazione di 1 U.I./kg di peso corporeo l’aumento medio di VWF:RCo è stato del 1,5±0,3%
della norma. L’emivita biologica media è risultata compresa in un intervallo tra 7 ore (pazienti di tipo 3) e 13,8±2,1 ore (pazienti
di tipo 1). A seguito della terapia sostitutiva con Haemate P si è riscontrata nel plasma dei pazienti una struttura multimerica
quasi normale per un periodo di parecchie ore.
5.3. Dati preclinici di sicurezza. Haemate P contiene il Fattore VIII e il Fattore di von Willebrand come principi attivi derivati
dal plasma umano e la cui azione è analoga a quella dei costituenti plasmatici endogeni. La somministrazione di dosi singole
di Haemate P a diverse specie di animali non ha evidenziato l’insorgenza di effetti tossici. A seguito dello sviluppo di anticorpi
conseguenti all’applicazione di proteine umane eterologhe, non è logicamente possibile - nei tradizionali modelli animali l’effettuazione di studi preclinici (tossicità cronica, cancerogenicità e mutagenicità), basati sulla somministrazione ripetuta del
prodotto.
6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE
6.1. Elenco degli eccipienti. Albumina umana, acido aminoacetico, sodio cloruro, sodio citrato, sodio idrossido o acido cloridrico (in piccole quantità per la correzione del pH). Solvente: acqua per preparazioni iniettabili, 10/15 mL.
6.2. Incompatibilità. Questo prodotto medicinale non deve essere miscelato con altri farmaci, solventi e diluenti, ad eccezione
di quelli forniti con la confezione.
6.3. Validità. Haemate P ha una validità di 3 anni, se conservato tra +2 e +8°C. Dopo ricostituzione, il prodotto ha dimostrato
stabilità chimicofisica per 48 ore a temperatura ambiente (max. +25 °C). Dal momento che Haemate P non contiene conservanti, dal punto di vista microbiologico il prodotto ricostituito va utilizzato immediatamente. Se non utilizzato immediatamente, il
tempo e le condizioni di conservazione in uso prima del successivo utilizzo sono responsabilità dell’utilizzatore. Non si dovranno
comunque superare le 8 ore di conservazione a temperatura ambiente (25°C), a meno che la ricostituzione del prodotto sia
avvenuta in condizioni asettiche, convalidate e controllate. Una volta ricostituito, il prodotto non deve essere congelato.
6.4. Speciali precauzioni per la conservazione. Haemate P deve essere conservato a temperatura tra +2° e +8°C. Non congelare. Conservare il contenuto nella confezione.
6.5. Natura e contenuto del contenitore. Flaconi di polvere 500 U.I. e 1.000 U.I.: Flaconi di vetro di tipo II (Farm. Eur.), sigillati con tappo per infusione in gomma bromobutilica, disco in plastica e cappuccio in alluminio. Flaconcini per solvente (acqua
per preparazioni iniettabili): Flaconcini di vetro di tipo I (Farm. Eur.), incolore, sigillati con tappo per infusione in gomma (senza
lattice), disco in plastica e cappuccio in alluminio.
Confezioni
• Haemate P 500. 1 flacone di polvere, 1 flacone con 10 mL di acqua per preparazioni iniettabili, 1 sistema di travaso con filtro
20/20 - Mix2Vial, 1 siringa monouso da 10 mL senza ago, 1 set per infusione, 2 tamponi imbevuti di alcool, 1 cerotto.
• Haemate P 1000. 1 flacone di polvere, 1 flacone con 15 mL di acqua per preparazioni iniettabili, 1 sistema di travaso con
filtro 20/20 - Mix2Vial, 1 siringa monouso da 20 mL senza ago, 1 set per infusione, 2 tamponi imbevuti di alcool, 1 cerotto.
6.6. Istruzioni per l’uso/per l’impiego.
Istruzioni generali: - Non usare dopo la data di scadenza indicata sulla confezione. - Non usare soluzioni torbide o contenenti
residui (depositi/particelle). - Ricostituzione e prelievo devono essere effettuati in condizioni asettiche. - Dopo somministrazione,
la soluzione non utilizzata e i dispositivi per la somministrazione vanno eliminati in modo appropriato.
Ricostituzione. Portare il solvente a temperatura ambiente. Accertarsi di aver tolto i cappucci flip-off dei flaconi, contenenti
rispettivamente il prodotto e il solvente. Disinfettarne i tappi con una soluzione antisettica e aspettare che questa si sia asciugata
prima di aprire la confezione di Mix2Vial.
1. Aprire la confezione di Mix2Vial,
staccandone la copertura.
2. Posizionare il flacone del diluente su una
superficie piana e pulita, tenendo il flacone
ben fermo. Prendere il Mix2Vial insieme
con tutta la confezione e fissare la parte
blu terminale sul tappo del solvente.
3. Togliere con prudenza la confezione dal set
Mix2Vial. Assicurarsi di tirare verso l’alto
soltanto la confezione esterna e non il set
Mix2Vial.
4. Posizionato in modo sicuro il flacone
della polvere su un piano d’appoggio,
capovolgere il flacone del solvente
connesso con il set e inserire l’adattatore
trasparente sul tappo del flacone
contenente la polvere. Automaticamente
il solvente sarà trasferito nel flacone che
contiene la polvere.
6. Impugnando con una mano la parte del
set Mix2Vial con la soluzione ottenuta e
con l’altra mano la parte del set Mix2Vial
con il flacone (ora vuoto) del solvente,
separare in 2 parti il set svitandolo.
Prelievo e somministrazione
7. Prendere la siringa vuota sterile fornita
con il set e aspirare aria. Con il flacone
della soluzione ricostituita in posizione
verticale, inserire la siringa nel set
Mix2Vial e iniettare l’aria nel flacone
contenente la soluzione. Mantenendo
premuto lo stantuffo della siringa
capovolgere il sistema e aspirare la
soluzione nella siringa tirando indietro lo
stantuffo lentamente.
8. Dopo che tutta la soluzione è stata
trasferita nella siringa, afferrare in modo
fermo il cilindro della siringa (tenendo
lo stantuffo della siringa rivolto verso il
basso) ed estrarre il set Mix2Vial dalla
siringa.
5. Tenendo il flacone del solvente e quello
della polvere stabilmente connessi l’uno
all’altro ruotare lentamente il flacone della
polvere in modo da ottenere la completa
solubilizzazione del suo contenuto. Non
agitare il flacone.
Somministrare lentamente la soluzione per via endovenosa
(vedere: 4.2 “Modo di somministrazione”)
7. TITOLARE DELLA AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. CSL Behring GmbH Emil-von-BehringStr. 76, D-35041 Marburg, Germania. Rappresentante per l‘Italia: CSL Behring S.p.A. P.le Stefano Türr, 5 - 20149 Milano.
8. NUMERO DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. Haemate P 500: A.I.C. 026600080;
Haemate P 1000: A.I.C. 026600078.
9. REGIME DI DISPENSAZIONE AL PUBBLICO. Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica.
10. DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE. Giugno 2005.
11. DATA DI (PARZIALE)/REVISIONE DEL TESTO. Settembre 2007.
Bibliografia
1. Budde at al. - Comparative analysis and classification of von Willebrand factor/factor VIII concentrates: impact on treatment of patients with von Willebrand
disease - Seminars in thrombosis and haemostasis (2006), Vol. 33 (4), 626-635.
2. Dobrkovska A. et al. Pharmacokinetics, efficacy and safety of Haemate® P in von Willebrand disease. Haemophilia (1998), 4 (Suppl. 3), 33-39.
3. S. Lethagen et al. A comparative in vitro evaluation of six von Willebrand factor concentrates. Haemophilia (2004), 10, 243-249.
4. Metzner H.J. et al. Characterization of factor VIII/von Willebrand factor concentrates using a modified method of VWF multimer analysis. Haemophilia (1998),
4 (Suppl. 3), 25-32.
A6124
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