Rivista Italiana di Genetica e Immunologia Pediatrica - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology Anno II numero 4 - ottobre 2010 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali Home page Norme editoriali | Stampa l'articolo Motore di ricerca 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Numeri precedenti pagina 1 Avanti ► Il bambino allergico per quadri clinici 1 2 3 4 4 Gian Luigi Marseglia , Mario la Rosa , Michele Miraglia Del Giudice , Giovanna Elisa Calabrò , Carmelo Salpietro 1 2 3 4 Clinica Pediatrica Università di Pavia, Dipartimento di Pediatria Università di Catania, Dipartimento di Pediatria II Università di Napoli, UOC di Genetica ed Immunologia Pediatrica Università di Messina Gli argomenti sono stati oggetto di un Corso Interattivo tenutosi a Milano (auditorium Mediolanum) il 15 e 16 Ottobre 2010 e che si ripeterà in diverse altre sedi italiane. Introduzione Le patologie allergiche rappresentano un rilevante problema di salute pubblica per l’aumento dei casi e per il conseguente aumento della spesa pubblica, non solo per la diagnosi e la terapia farmacologica, ma anche per la possibile inabilità temporanea o permanente al lavoro che può causare. I recenti studi epidemiologici evidenziano come le malattie allergiche interessino circa il 30% della popolazione occidentale con massimi valori d’incidenza nell'età pediatrica e giovanile. Solo in Italia il 19%, equivalente a circa 9 milioni di persone, soffre di patologie allergiche. Nel corso degli ultimi 20 anni, la prevalenza di tali patologie in età pediatrica è aumentata in maniera considerevole, infatti circa il 25-30% dei bambini soffre di una malattia allergica con la seguente percentuale: 35% asma, 15% rinite, 10% congiuntivite, 20% dermatite, 12% orticaria/angioedema, 8% allergia alimentare. I meccanismi patogenetici responsabili di tali patologie rimangono, ad oggi, sconosciuti data la complessità e l’eterogeneità dei fattori eziopatogenetici che ne sono alla base. Tra i fattori individuali, la predisposizione genetica (familiarità) e l’atopia risultano preminenti nel favorire le manifestazioni cliniche dei disturbi allergici; ma è l’esposizione ambientale che determina l’emergere di tali affezioni. I dati epidemiologici disponibili confermano che l’atopia è un importante fattore costituzionale, predisponente lo sviluppo delle allergie. E’ stato dimostrato che se entrambi i genitori soffrono di una malattia allergica, il rischio raggiunge il 60 - 80%, se uno dei genitori è allergico, il rischio sale al 30%, se nessuno dei genitori è allergico il rischio che un figlio sia allergico è pari al 10 - 15%. Diversi studi, inoltre, indicano che molti geni sembrano essere coinvolti nella patogenesi dell’asma e delle altre allergopatie (Fig.1). Mediante studi di linkage sono stati identificati i loci cromosomici maggiormente associati con lo sviluppo di atopia ed asma come la regione cromosomica 11q13 che contiene il gene per la catena del beta-recettore ad alta affinità per le IgE, quella su 5q31-q33 che contiene i geni che codificano per le citochine coinvolte nella risposta allergica (IL-3, IL-4, IL-5, IL-9, IL-12, IL-13), quella 12q15-q24 che contiene geni importanti per la suscettibilità all’asma, quella 6p21 che contiene i loci dell’HLA (sistema maggiore di istocompatibilità) coinvolto nella presentazione antigenica alle cellule CD4+ con funzione helper., e diversi altri. Tra i fattori ambientali particolare rilevanza sembrano avere, soprattutto nei primi anni di vita, quelli correlati con igiene ed infezioni. La predisposizione genetica e lo stile di vita "occidentale" sono ritenuti elementi causali importanti di questa epidemia: le più alte percentuali di frequenza vengono segnalate nelle nazioni più industrializzate, mentre nei paesi in via di sviluppo viene segnalata una bassa frequenza delle patologia allergiche. Questi dati sembrerebbero confermare l’ipotesi igienista dell’origine delle malattie allergiche secondo cui la diminuzione delle infezioni batteriche e virali, conseguenti agli elevati standard igienici, alle campagne di vaccinazione e all'uso e abuso di antibiotici che caratterizzano lo stile di vita occidentale, hanno favorito l’aumentata frequenza di queste patologie. Il termine Allergia deriva dal greco allos che significa diverso, ergon che significa effetto. Quando si parla di allergia si intende perciò la reattività spontanea ed esagerata dell’organismo del soggetto allergico a particolari sostanze, che risultano invece innocue nell’80% della popolazione, e chiamate allergeni. Il soggetto allergico, quando viene a contatto con queste sostanze, innocue per altri individui, sviluppa una risposta immunitaria abnorme. Le patologie atopiche condividono lo stesso meccanismo immunopatogenetico che si esprime fenotipicamente con aumento delle immunoglobuline sieriche di tipo E (IgE), eosinofilia periferica e tissutale, sbilanciamento della risposta immune in senso Th2, alterazione della funzione di barriera e sensibilizzazione per azione dei medesimi fattori scatenanti. Recenti studi hanno dimostrato un coinvolgimento, nella immunopatogenesi delle allergopatie, di una importante classe di recettori appartenenti all’immunità innata quali i Toll Like Receptors (TLR) (Fig.2). Sono stati, inoltre, identificati dei polimorfismi nei TLR2, TLR4, TLR6 e TLR10 associati alle patologie allergiche ed in particolare all’asma. Fig. 1 Atopia: loci di suscettibilità identificati Dunque, le patologie allergiche si possono presentare con uno spettro di manifestazioni cliniche assai variabili, che coinvolgono l’apparato respiratorio, l’apparato gastrointestinale, la cute. Generalmente la malattia allergica inizia nei primi mesi di vita come allergia alimentare e si esprime soprattutto con manifestazioni digestive ed eczema. Questo quadro clinico tende a migliorare fino quasi alla sua scomparsa nella maggior parte dei casi entro 3/6 anni di vita. Successivamente la malattia si può presentare con la comparsa di allergie respiratorie, oculo/riniti e/o asma, che possono persistere tutta la vita. Questo trasformismo clinico viene chiamato "marcia allergica". Fig. 2 Toll Like Receptors Il bambino con l’occhio rosso Gli occhi rossi sono quasi sempre sintomo di una qualche forma di congiuntivite. La congiuntivite non è altro che l’infiammazione della congiuntiva (Fig 11), quella membrana mucosa che riveste la superficie posteriore delle palpebre e la porzione anteriore del bulbo oculare (Fig. 12). Generalmente si manifesta con arrossamento della congiuntiva, gonfiore delle palpebre, sensazione di sabbia nell’occhio, prurito, lacrimazione intensa e intolleranza alla luce. Fig. 11 Infiammazione della congiuntiva o congiuntivite Fig. 12: Congiuntiva (in rosso) Nei bambini come negli adulti, l’infiammazione della congiuntiva può avere diverse origini (Fig 13). Fig. 13 L’occhio rosso (da Bielory 2000, mod.) Spesso tale processo infiammatorio ha origine infettiva, ed è, in questo caso, estremamente contagiosa: si trasmette attraverso goccioline o il contatto occhio-mano, specialmente per contatto diretto tra i familiari o in una comunità (scuola materna, nido), ma anche attraverso il contatto con biancheria infetta o con acqua contaminata (per esempio, in piscina o palestra). Per tale motivo deve essere diagnosticata e trattata tempestivamente. La congiuntivite infettiva, in età pediatrica può essere, nella maggior parte dei casi, batterica o virale. La congiuntivite batterica (Fig.14) è provocata generalmente da Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae o Haemophilus influenzae. Si riconosce per una secrezione abbondante, densa e giallastra, più evidente al risveglio ("palpebre appiccicose" al mattino), mentre prurito e lacrimazione sono meno frequenti. È altamente contagiosa. La congiuntivite virale riconosce come agente eziologico più frequente l'adenovirus ma anche Herpes Simplex e Zoster. Spesso nel bambino è presente un'infezione del tratto respiratorio superiore o un anamnesi positiva per contatto con persone già affette da congiuntivite. Si presenta inizialmente in un occhio e nel giro di pochi giorni coinvolge l'altro. La secrezione è di tipo siero acquoso, le palpebre sono iperemiche e tumefatte, sono presenti emorragie congiuntivali "a capocchia di spillo" (Fig. 15), quasi sempre si associa tumefazione dei linfonodi retro auricolari satelliti. La congiuntivite virale è estremamente contagiosa, e rimane tale per 10-20 giorni dal suo manifestarsi. Fig.14 Congiuntivite batterica Fig.15: Congiuntivite virale Negli ultimi anni notevole importanza ha assunto il riscontro dell'aumento della frequenza delle congiuntiviti allergiche in età pediatrica. I quadri clinici con cui si presentano sono peraltro ampiamente variabili. Possiamo distinguere 5 forme principali quali: la congiuntivite allergica stagionale (SAC), la congiuntivite allergica perenne (PAC), la cheratocongiuntivite Vernal (VKC), la cheratocongiuntivite atopica (AKC), la congiuntivite gigantopapillare (GPC). La congiuntivite allergica stagionale (SAC) è la forma più comune di congiuntivite allergica e rappresenta più del 50% delle congiuntiviti allergiche. È una congiuntivite stagionale ed i sintomi oculari, spesso associati a riniti allergiche, sono strettamente correlati con la presenza di allergeni quali pollini delle graminacee, parietaria e polline di piante arboree. La SAC è una classica reazione di ipersensibilità di tipo I (IgE mediata). Può interessare l’età pediatrica anche se il picco di incidenza si colloca negli ultimi anni della seconda decade. I sintomi più importanti sono prurito e sensazione di bruciore, lacrimazione, in casi più impegnativi si possono riscontrare sintomi corneali quali fotofobia e offuscamento; eccezionali sono comunque gli esiti permanenti. segni clinici, usualmente bilaterali, sono rappresentati da iperemia congiuntivale (Fig. 16), ipertrofia papillare a livello della congiuntiva tarsale ed infine produzione di essudato inizialmente chiaro/trasparente (fase acuta) e successivamente denso/fibroso (fase cronica). La congiuntivite allergica perenne (PAC) è considerata una variante della SAC che persiste per tutto l’anno ed è per lo più associata a rinite pluristagionale; circa il 79% dei pazienti presenta esacerbazioni stagionali. Acari della polvere, epiteli di animali, spore fungine presenti negli ambienti domestici o lavorativi sembrano essere gli allergeni più comuni. La prevalenza è più bassa della SAC. Nelle forme perenni la sintomatologia è meno pronunciata ma è comunque caratterizzata da prurito, lieve iperemia congiuntivale, bruciore, sensazione di corpo estraneo. Sia la SAC che la PAC hanno all’incirca lo stesso esordio e si associano entrambe a sintomi quali asma/eczema. Il sospetto diagnostico di SAC e PAC si basa sull’evidenza clinica (eritema, iperemia congiuntivale, ipertrofia papillare, edema palpebrale), sulla sintomatologia soggettiva (in particolare il prurito). La diagnosi sarà confermata con reperti di laboratorio (aumento eosinofi li e neutrofi li nel sangue, presenza elevata di IgE specifi che sieriche e cutanee (Skin prick Test). Tra i farmaci per uso topico nella SAC, gli antistaminici sono sensibilmente, ma non significativamente, superiori ai farmaci stabilizzatori mastocitari (sodio cromoglicato, nedocromile, lodoxamide) per il controllo della sintomatologia soggettiva. I farmaci vasocostrittori hanno una breve durata d’azione (< 2 ore), possono determinare una iperemia rebound, congiuntivite follicolare, occlusione lacrimale e, se pur raramente, ipertensione sistemica. Fig. 16 Iperemia congiuntivale Gli antistaminici topici, come azelastina ed emedastina sono farmaci di prima scelta, ma le molecole a doppia azione (DAA: inibizione del rilascio di mediatori mastocitari e inibizione competitiva per il recettore H1), come olopatadina e chetotifene, sono da preferire. In presenza di una sintomatologia prevalentemente oculare nell’ambito di una rinocongiuntivite, gli antistaminici (o DAA) si mostrano più effi caci per via oculare che per via sistemica, anche per la maggiore rapidità di azione. Una loro associazione può, comunque, potenziarne l’effetto. La cheratocongiuntivite Vernal (letteralmente ”primaverile”, VKC) è una affezione oculare ritenuta rara, classificata come allergica, seppure ad eziologia sconosciuta. Si tratta di una affezione cronica bilaterale, spesso severa, a rischio di esiti permanenti se non adeguatamente trattata. Il termine cheratocongiuntivite implica un possibile coinvolgimento della cornea (abrasioni, ulcere) con conseguente compromissione del visus; “vernal” significa letteralmente”primaverile, termine che indica il momento della riacutizzazione clinica e non il periodo esclusivo in cui si manifesta la sintomatologia. La VKC inizia a manifestarsi nella prima decade di vita, solitamente non prima dei 3 anni e tende a risolversi spontaneamente (anche se non sempre) dopo la pubertà, alla fine della seconda decade. Geograficamente è diffusa nelle aree a clima caldo e temperato come il bacino del Mediterraneo, il medio oriente, la penisola dell’Anatolia, la penisola arabica, l’India, il Pakistan, il Giappone. Il prurito è il sintomo costante con intensa fotofobia e arrossamento marcato con secrezione mucosa abbondante. Si distinguono tre forme cliniche: tarsale, limbare, mista. Nelle forme tarsali sono caratteristiche le papille giganti (Fig.17), di dimensioni variabili, ma superiori ad 1 mm localizzate alla palpebra superiore con aspetto di "acciottolato romano" su cui si deposita la secrezione mucosa. Nelle forme limbari (Fig.18) gli infiltrati, localizzati al limbus, sono multipli e di aspetto gelatinoso, accompagnati a concrezioni di aspetto calcareo puntiformi all'apice, denominati noduli di Trantas; si nota nelle forme più gravi neovascolarizzazione corneale periferica. Nelle forme miste si trovano associati i segni delle due forme. L'interessamento corneale è frequente sotto forma di cheratite punctata superficiale, ed a volte si possono riscontrare ulcere a scudo, di colorito lattescente presenti nelle forme tarsali che bisognerà detergere chirurgicamente. La morbilità di questa affezione dipende soprattutto dalla inefficacia dei farmaci tradizionali impiegati per il trattamento delle congiuntiviti allergiche (antistaminici, cromoni, NSAIDs) e dalla necessità di impiegare cortisonici, unici farmaci efficaci, per periodi prolungati, con i ben noti rischi di effetti secondari sull’occhio, come ipertensione oculare, glaucoma, cataratta. Negli ultimi anni, in diversi centri italiani, si utilizza la ciclosporina in soluzione oculare, e nei pazienti resistenti una preparazione di tacrolimus per via oculare. Fig. 17 Papille giganti tarsali nella VKC Fig.18 Papille limbari con noduli di Trantas La cheratocongiuntivite atopica (AKC) è un’infiammazione cronica che coinvolge la congiuntiva tarsale inferiore; se interessa la cornea può portare a cecità. È molto frequente storia familiare per atopia, in particolare eczema (95% pazienti) o asma (87%). L’esordio di questa patologia è tra i 16-19 anni e può persistere fino alla quarta-quinta decade di vita. Molto spesso è associata, nella fascia di età 30-50 anni a complicanze quali blefarocongiuntiviti, cataratta, disordini corneali ed herpes simplex. La sintomatologia è caratterizzata da prurito, bruciore, fotofobia e sensazione di corpo estraneo; tali sintomi sono più severi rispetto alla SAC e PAC e sono presenti per tutto l’anno. I segni oculari sono rappresentati da ipertrofia papillare tarsale (inizialmente inferiore), cheratite puntata, infiltrati limbari con noduli di Trantas; nei casi più gravi si può presentare congiuntivite cicatriziale con fibrosi subepiteliale e simblefaron. L’uso prolungato di corticosteroidi topici favorisce ovviamente l’insorgenza di questa complicanza. Distacco di retina e infezioni erpetiche oculari rappresentano altre possibili complicanze della AKC. La terapia si avvale dell’impiego di corticosteroidi topici e di ciclosporina per via oculare. In un recente studio l’impiego di tacrolimus unguento nella terapia dell’eczema palpebrale in questi pazienti ha prodotto un significativo miglioramento nel quadro oculare in pazienti con AKC. La congiuntivite gigantopapillare (GPC) (Fig.19) è una patologia caratterizzata da un’infiammazione della congiuntiva tarsale. È solitamente associata all’uso delle lenti ma si può presentare in altri pazienti con storia di corpi estranei, comprese suture corneali e/o congiuntivali, cheratoprotesi, protesi oculari, innesti corneo-sclerali ecc. Le cause e la patogenesi della GPC non sono ancora del tutto conosciute. L’evidenza clinica suggerisce che possa essere il risultato del trauma meccanico combinato con una reazione di ipersensibilità a proteine antigeniche trattenute sulla superficie della lente a contatto, della protesi o delle suture. La sintomatologia comprende prurito oculare, offuscamento del visus, intolleranza alle lenti, secchezza oculare; obiettivamente si possono rilevare papille tarsali superiori e sul bordo palpebrale, secrezione mucosa, cheratopatia puntata. La terapia si basa essenzialmente sulla rimozione delle lenti o dell’eventuale causa meccanica e dell’impiego di farmaci antinfiammatori locali; la prognosi è buona. Fig.19 Congiuntivite gigantopapillare da lenti a contatto Il notevole aumento della frequenza delle congiuntiviti allergiche in età pediatrica ci impone una conoscenza più approfondita dei diversi quadri clinici, al fine di effettuare una corretta diagnosi differenziale (Tab. 3), porre una tempestiva e corretta diagnosi definitiva finalizzata all’avvio di terapie specifiche e mirate ed alla prevenzione delle complicanze. Tab. 3 Diagnostica delle congiuntiviti allergiche Il bambino con il naso chiuso e/o che cola Il naso chiuso consiste nell’ostruzione delle cavità del naso che rende difficoltosa la respirazione. Le principali cause del naso chiuso sono: 1) Infezioni nasali e sinusali: virus e batteri possono essere frequentemente la causa dell’ostruzione del naso; 2) Malformazioni delle cavità nasali: sono malformazioni congenite del setto nasale. Tali deformazioni impediscono il normale fluire dell’aria; in questo caso il naso rimarrà otturato se non si interviene con un semplice intervento chirurgico che sposti il setto nella giusta posizione. Il setto nasale deviato è una malformazione presente circa nel 7% dei bambini, che molto spesso si manifesta con ipertrofia adenoidea (adenoidi); 3) Allergie: il contatto con gli allergeni può determinare l’ ostruzione delle mucose provocando una congestione; 4) Riniti non allergiche (riniti vasomotorie): sono quei tipi di rinite in cui il naso e le mucose nasali si occludono a causa di intolleranza ad agenti climatici (caldo o freddo), a umidità, a fumo o smog. Sicuramente le condizioni patologiche associate ad ostruzione nasale e rinorrea maggiormente frequenti in età pediatrica sono le rinosinusiti. E’ definita rinosinusite l’infiammazione, acuta o cronica, della mucosa della cavità nasale e dei seni paranasali (Fig. 20). E’ una patologia molto frequente dell’infanzia e dell’adolescenza, caratterizzata da una significativa morbilità acuta e cronica e che può andare incontro a gravi complicanze. Il bambino si ammala di rinosinusite per la presenza di coesistenti morbidità (allergia, patologie malformative, genetiche, deficit immunitari) o per l’incontro con un patogeno particolarmente aggressivo. La successiva chiusura degli osti, con relativo accumulo di muco produce i segni clinici caratterizzati da congestione nasale, secrezioni nasali purulente, febbre e tosse. Frequente è il senso di dolore e pressione al volto, localizzato generalmente nella zona del seno nasale coinvolto dal processo flogistico, specie nelle forme ad eziologia batterica, così come l’edema periorbitario. Meno comuni sono l’alitosi, la cefalea, il mal di denti. Le rinosinusiti secondarie a riniti allergiche sono in costante aumento. La prevalenza in età pediatrica varia dal 20 al 30%. L’elevata suscettibilità infiammatoria della mucosa nasale ostacola il ricircolo di muco dagli osti dei seni, causando una maggiore permanenza di patogeni all’interno delle cavità. E’ inoltre dimostrato che i soggetti affetti da rinite allergica sviluppano più frequentemente infezioni virali a carico della mucosa nasale. La sovrainfezione con i patogeni virali è frequentemente riscontrata con i Rhinovirus. Le infezioni batteriche, che spesso insorgono come complicanza di una patologia virale, sono costituite dallo Streptococcus Pneumonie, Haemophilus Influentiae, Moraxella Catarrhalis. Nelle forme di natura batterica il decorso è generalmente più grave, con sintomi più marcati e di durata maggiore. La rinosinusite può essere classificata in: subacuta, acuta e cronica (Fig. 21). La diagnosi di sinusite acuta si basa in modo preponderante sull’anamnesi: secrezioni nasali e tosse per più di 10 giorni senza miglioramento, temperatura corporea elevata, ad esempio, sono indici di sinusite batterica acuta insorta come complicanza. I bambini con sinusite cronica hanno invece sintomi respiratori persistenti, tra cui tosse, secrezioni o congestione nasale per più di 90 giorni. Non è ritenuta necessaria nel percorso diagnostico la Radiografia del cranio, mentre la TAC, che può mostrare ispessimento della mucosa o livelli idroaerei, dovrebbe essere riservata alle forme croniche che necessitano di intervento chirurgico. Le linee guida dell’American Academy of Pediatrics raccomandano il trattamento antibiotico nella sinusite batterica acuta, per promuovere la risoluzione dei sintomi e prevenire le complicanze suppurative. L’amoxicillina è l’antibiotico di prima scelta, utile in gran parte dei casi. Il dosaggio è di 40 mg/kg/die. Di seconda scelta sono le cefalosporine di terza generazione e i macrolidi, utili soprattutto nei pazienti allergici alle penicilline per tre settimane. La sola terapia antibiotica può non bastare: di fondamentale importanza è il controllo della normale respirazione ed il controllo della funzionalità degli osti mascellari. sociosanitario. L’asma è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree (Fig. 22) nella quale entrano in gioco molte cellule e mediatori. Fig. 20 Cavità nasale e seni paranasali Evidenze di classe IA consigliano l’impiego delle soluzioni saline, come decongestionanti della mucosa nasale. Nei soggetti allergici è indispensabile il controllo della rinite che da sola porta ostruzione del naso e degli osti. L’impiego della Cetirizina ha nel controllo della rinite allergica ampio riscontro sia negli studi clinici, che nella applicazione pratica. A seconda della frequenza e dell’entità degli episodi, è necessario l’impiego di diversi tipi di farmaci: antistaminici o decongestionanti nelle forme intermittenti, cortisonici topici e anticolinergici e antileucotrienici, nelle forme persistenti. Il trattamento chirurgico va infine riservato esclusivamente alle gravi forme croniche, che non hanno risposto al trattamento medico o secondarie a difetti dell’architettura dei seni o delle cavità nasali. Fig. 21 Rinosinusite, classificazione Un’appropriata terapia riduce notevolmente l’insorgenza delle complicanze. Esse sono quasi tutte localizzate nelle immediate vicinanze dei seni paranasali, soprattutto nelle cavità orbitarie e nell’endocranio. La cellulite periorbitaria e orbitaria è tra le più temibili complicanze. La prima è caratterizzata da eritema ed edema dei tessuti circostanti il bulbo oculare, mentre la seconda coinvolge le strutture intraorbitarie provocando proptosi, chemosi, diminuzione del visus e diplopia. Complicanze intracraniche sono gli ascessi epidurali, la meningite, la trombosi del seno cavernoso, l’empiema subdurale e l’ascesso cerebrale. Sebbene molto rare, sono un’emergenza medica: in presenza di alterazioni dello stato di coscienza, rigidità nucale o segni di ipertensione endocranica è richiesto un immediato esame TC dell’encefalo e un trattamento antibiotico per via endovenosa (cefalosporina associata a vancomicina), da iniziare immediatamente. Rarissime complicanze sono invece l’ostemiolite dell’osso frontale (tumore di Pott) e il mucocele. In definitiva la rinosinusite è una patologia pediatrica che non può più essere interpretata come semplice infiammazione di un distretto anatomico, ma come espressione di uno stato infiammatorio persistente, che è possibile prevenire solo inquadrandone le caratteristiche principali e agendo con la terapia più adatta. Il bambino che respira male Dispnea è il termine clinico con cui si definisce la mancanza di respiro, dal greco dys che significa difficoltoso e pnoea che significa respirazione. Forse nessuna altra sensazione può evocare tanta paura quanto l’incapacità di respirare. La dispnea si divede in acuta e cronica. Causa di dispnea cronica sono le valvulopatie, l’anemia, l’insufficienza renale e le disfunzioni neuromuscolari. Causa di dispnea acuta sono l’embolia polmonare, la polmonite, pneumotorace e le sindromi da ostruzione acuta vie aeree. Le ostruzioni acute delle vie aeree si dividono in ostruzione delle prime vie aeree e le ostruzione sottotracheali. Nelle ostruzione delle prime vie aeree la dispnea è inspiratoria; tipico esempio sono la laringotracheite, il laringospasmo, l’epiglottide da emofilo e la difterite. Nelle ostruzione sottotracheali la dispnea è espiratoria, tipico esempio sono la bronchiolite e l’asma. L’asma è la causa più frequente di dispnea espiratoria anche se nelle forme severe la dispnea è in/espiratoria. L’asma bronchiale è una malattia molto diffusa la cui prevalenza nei paesi occidentali è stimata intorno al 5% negli adulti e al 10% nei bambini. Per tale motivo, la “malattia asma” suscita, a livello mondiale, un notevole interesse non solo del settore medico-scientifico ma anche di quello Fig. 22 L’asma, malattia infiammatoria cronica delle vie aeree L’infiammazione cronica è associata ad iperreattività bronchiale che porta a ricorrenti episodi di respiro sibilante, dispnea, senso di costrizione toracica e tosse, specialmente di notte o di primo mattino. Questi episodi sono di solito associati con diffusa ma variabile ostruzione bronchiale solitamente reversibile spontaneamente o in seguito alla terapia. Clinicamente la malattia va definita in rapporto alla gravità degli episodi acuti (Tab.4), alla frequenza degli stessi nel tempo (Tab.5) e alla risposta alla terapia (Tab. 6). L’Asma acuto viene distinto in (Tab. 4): lieve, moderato, grave (Fig. 23) Fig. 23 Alterazioni dei bronchi nelle diverse forme di asma Nell’asma grave acuto si possono ulteriormente distinguere: - episodi a rapida insorgenza, in genere scatenati dall’esposizione ad allergeni nei soggetti sensibili episodi ad evoluzione lenta, in genere associati a terapia inadeguata, a scarsa compliance, ad inappropriato controllo medico e a fattori psicologici. L’asma acuto può essere ancora distinto in rapporto alla presenza/assenza di sintomi premonitori: nel 70% dei bambini gli episodi acuti sono preceduti da: rinorrea, tosse, irritabilità, apatia, ansia, disturbi del sonno, febbricola, perdita di appetito, prurito, che possono manifestarsi 6- 24 ore prima dell’accesso e che tendono ad essere sempre gli stessi prima di ogni crisi; il rimanente 30% dei bambini presenta una rapida evoluzione della sintomatologia. In ogni paziente con diagnosi di asma va stabilito il livello di gravità (Tab.5-6), poiché ad ogni livello corrisponde una raccomandazione terapeutica. Segno tipico dell’asma è il respiro sibilante con espirio prolungato, presente su tutto il torace, polifonico. Va sempre tenuto presente che il bambino asmatico si può presentare obiettivamente senza rumori secchi ma soltanto con ridotto ingresso aereo, mentre non tutto ciò che fischia è necessariamente asma, per cui è importante saper effettuare una corretta diagnosi differenziale (Tab.7). particolarmente efficace e sicuro in età pediatrica si è dimostrato budesonide. Anche i farmaci antileucotrieni sono indicati e possono essere utilizzati alternativamente o in associazione ai corticosteroidi inalatori. Gli antileucotrieni sono particolarmente indicati nel bambino con asma e rinite, in cui sono efficaci in entrambe le patologie e consentono anche un risparmio economico o nelle riacutizzazioni virali nelle quali si sono dimostrati particolarmente efficaci. In ogni caso la terapia dell’asma va sempre individualizzata con l’obiettivo di controllare la malattia con la dose minima di farmaci. Tab. 8 Livelli di controllo dell’asma (da GINA 2006) Il bambino che si gratta Il prurito è un sintomo soggettivo molto comune che può accompagnare malattie cutanee diverse. E’ una sensazione cutanea sgradevole, complessa, che evoca la risposta riflessa del grattamento o il desiderio di grattarsi più o meno irrefrenabile. È provocato da molteplici cause e può essere l’espressione di diverse patologie. Meccanismi di tipo centrale e periferico sono all'origine del prurito. Le ricerche neurofisiologiche hanno permesso d'identificare le vie nervose del prurito, che sono ben distinte da quelle del dolore e ci hanno consentito di distinguere un prurito periferico (pruritocettivo) e un prurito centrale (neurogenico o neuropatico). Il prurito periferico origina nella cute ed è dovuto all'infiammazione, alla secchezza o ad altri danni della pelle: esso è trasmesso dalle fibre nervose C. Esempi di questo prurito sono la scabbia, l'orticaria e le reazioni alla puntura di insetti. Il prurito neurogenico origina invece centralmente, senza segni evidenti di patologia, come il prurito della colestasi, dovuto all'azione dei neuropeptidi oppioidi sui recettori specifici. Il prurito neuropatico è causato da una malattia, localizzata in un qualsiasi punto delle vie nervose afferenti: la neuropatia post-zosteriana, la sclerosi multipla ed i tumori cerebrali, occasionalmente associati al prurito, rientrano in questa categoria. Esiste infine un quarto tipo di prurito, quello psicogeno, che insorge in maniera ossessiva in soggetti con parassitofobia. La sensazione del prurito viene trasmessa da fibre mieliniche del gruppo C della classificazione di Erlanger e Gasser, fibre distinte da quelle nocicettive, caratterizzate da una lenta velocità di conduzione e da estese terminazioni. I recettori dai quali origina questa particolare sensazione, non sono recettori morfologicamente distinti, bensì sfioccamenti delle fibre nervose amieliniche, detti cnesmocettori, localizzati nello strato papillare del derma. Le fibre C veicolano lo stimolo ai neuroni del midollo spinale, da dove prosegue, lungo i tratti spino-talamici antero-laterali, fino al talamo, terminando infine nell'area sensoriale del giro post-centrale della corteccia (Fig.3). Con il grattamento il paziente affetto da prurito provoca la stimolazione di fibre nervose centripete mieliniche, più grosse e quindi con velocità di conduzione maggiore, che, a livello dei neuroni del midollo spinale, down-regolano il traffico del prurito, con meccanismi pre-o post-sinaptici. Tab. 7 Diagnosi differenziale del respiro sibilante ricorrente L’obiettivo principale del trattamento è ottenere il “controllo” dell’asma (Tab. 8). Per ottenere il controllo le linee guida GINA prevedono 5 livelli di trattamento. I corticosteroidi inalatori sono i farmaci più efficaci nel controllo dell’asma. Tra questi Fig. 3 Neurofisiologia del prurito Nella cute la vicinanza delle mastcellule ai terminali dei neuroni C afferenti suggerisce una relazione funzionale fra questi due tipi di cellule. Le mastcellule cutanee esprimono due proteasi: la triptasi e la chinasi. Di recente è stato proposto un legame fra la triptasi delle mastcellule e l'eccitazione dei recettori nocicettivi della cute. L'attivazione delle mastcellule libera infatti la triptasi, che a sua volta attiva il recettore 2 della proteinasi attivata (PAR-2), localizzato sui terminali delle fibre nervose C (Fig. 4). Le fibre C attivate trasmettono questa informazione al sistema nervoso centrale, per cui si avverte la sensazione di prurito. Dal terminale nervoso si libera sostanza P (un neuropeptide) che induce un'aumentata produzione di tumor necrosis factor (TNF), che a sua volta sensibilizza i terminali nervosi nocicettivi e le mastcellule. Fig.4 Colloquio fra i terminali cutanei del neurone afferente C e le mast cellule del derma Possiamo distinguere il prurito in: Pruritus cum materia, secondario a malattie cutanee, Pruritus sine materia, secondario a malattie sistemiche, Pruritus Simplex, idiopatico. Dal punto di vista clinico possiamo distinguere il prurito in localizzato e diffuso (Tab. 1). Il prurito localizzato è di solito causato da dermatosi con caratteristiche cliniche ben definite, lesioni cutanee visibili, lineari di varie dimensioni con o senza croste squamose ematiche associate ad esiti cicatriziali a seconda della fase evolutiva. Il prurito diffuso può essere causato da malattie sistemiche, che hanno una scarsa obiettività cutanea, oppure da malattie cutanee primitive. Il prurito, dunque, può essere l’espressione di diverse patologie (Fig. 5), anche in età pediatrica. Tab.1 Patologie associate a Prurito Fig.5 Il bambino che si gratta e patologie correlate Sicuramente, però, la patologia associata al sintomo prurito, di gran lunga più frequente in età pediatrica, è la Dermatite Atopica (DA). La DA è una malattia infiammatoria cronica della cute, ad eziopatogenesi multifattoriale che riconosce una forte predisposizione genetica alla cui espressività fenotipica contribuiscono numerosi fattori ambientali, in accordo con quanto postulato per le altre malattie atopiche (Fig.6). La prevalenza della malattia in età pediatrica varia dal 5 al 20% nei paesi industrializzati. La DA si contraddistingue, sul piano clinico, per lesioni eczematose intensamente pruriginose ad evoluzione cronico-ricorrente, xerosi ed iperreattività cutanea (Fig.7-8-9). L’aspetto e le sedi dell’eruzione differiscono in rapporto all’età del soggetto, per cui se ne riconoscono 3 fasi evolutive (Tab. 2). Tab. 2 La Dermatite Atopica e gli stadi relativi all'età In ogni fase il sintomo principale della malattia è il prurito che, soprattutto nel bambino piccolo, si accompagna ad irrequietezza ed insonnia. In un’elevata percentuale di pazienti la DA si associa ad alti livelli sierici di IgE totali, ad IgE specifiche verso allergeni inalanti e/o alimentari ed a manifestazioni cliniche extracutanee di atopia, in particolare rinite allergica ed asma bronchiale. Fig. 6 Dermatite atopica: tra geni e ambiente La DA rappresenta, spesso, la prima spia della costituzione atopica del bambino essendo, frequentemente, la prima in assoluto fra le manifestazioni allergiche dell'età pediatrica. Sulla base delle caratteristiche cliniche ed allergo-immunologiche, oltre che prognostiche, si possono differenziare almeno due quadri clinici di DA. Il primo ad esordio molto precoce, entro i primi due anni di vita, con caratteristiche morfologiche prevalentemente essudanti, spesso in bambini con familiarità atopica positiva, di gravità variabile, frequentemente correlato all'allergia alimentare. Esso presenta una precoce positività dei marker atopici (Skin Prick Test e/o RAST per alimenti e/o inalanti) ed è il più frequente in età pediatrica. Fig. 7-8-9 Lesioni cutanee in bambini con DA Nelle forme di DA più gravi e più precoci (entro l'anno o i primi mesi di vita) un ruolo preminente è svolto dagli allergeni, particolarmente quelli alimentari (proteine del latte vaccino, uovo…). In questi bambini è spesso presente anche la familiarità per altre malattie allergiche, a conferma che la componente genetica in senso atopico è preponderante. Il secondo quadro clinico, a differenza delle forme più precoci, mostra un esordio tardivo della DA (al di sopra dei due anni di vita), presenta caratteristiche morfologiche diverse ossia una maggiore tendenza alla lichenificazione, ed è meno frequentemente legata all'allergia alimentare ma è caratterizzata da una maggiore persistenza nel tempo dei sintomi cutanei. La severità clinica della DA può essere valutata mediante lo Scoring Atopic Dermatitis (SCORAD) Index (Fig.10), utilizzato per classificare il grado di gravità della DA in lieve, moderato o grave. Esso è dato dalla somma di 3 subscores: A) prevede la valutazione di estensione delle lesioni che viene calcolata mediante la “regola del nove”; B) intensità dei segni clinici. L'intensità è data dalla somma dei punteggi ottenuti attraverso la valutazione di 6 parametri (eritema, edema e papule ovvero infiltrazione cutanea palpabile, essudazione/evoluzione crostosa, escoriazione, lichenificazione, ovvero espressione dell'ispessimento cutaneo nelle lesioni croniche, xerosi). Ogni parametro viene valutato secondo una scala a 4 punti a variabile da 0 a 3: la somma dei singoli punteggi consente di ottenere il punteggio totale relativo alla intensità (0- assente, 1- lieve, 2- moderata, 3- severa); C) sintomi soggettivi. prurito e perdita di sonno, vengono valutati attraverso una scala analogica da 0 a 10, dove 0 corrisponde alla minima percezione del sintomo e 10 al massimo. L'indice SCORAD si ottiene sommando i singoli punteggi calcolati per le tre aree di valutazione secondo l'equazione: SCORAD = A/5 + 7 (B/2) + C. Il punteggio varia tra 0 e 83 se non si considerano i parametri soggettivi oppure tra 0 e 103 se si considerano anche la perdita di sonno ed il prurito riferiti dal paziente. Il decorso della DA è caratterizzato da un andamento cronico recidivante che alterna fasi di miglioramento a fasi di peggioramento dei sintomi. Si stima che dal 60 al 90% delle DA vada incontro a variazioni annuali con un miglioramento, nella maggior parte dei casi, durante il periodo estivo e un peggioramento durante l'autunno e l’inverno. Nel corso degli anni la DA può andare incontro, nella maggior parte dei casi, ad una graduale remissione, residuando talora una xerosi cutanea che è più pronunciata nelle sedi preferenziali per quell’età (pieghe del gomito, cavi poplitei, regione del collo). In un’alta percentuale di casi, all'attenuarsi della dermatite si accompagna la comparsa di manifestazioni allergiche a carico di altri organi ed apparati. Ciò avviene soprattutto nei bambini con familiarità atopica, che hanno presentato una DA precoce, con andamento grave, e positività precoce dei markers cutanei e/o sierici per atopia (Skin Prick Test e/o IgE totali e RAST). Una gestione efficace della DA richiede un approccio multidisciplinare. L’idratazione cutanea e l’uso di emollienti per ripristinare le funzioni della barriera cutanea danneggiata è un punto chiave delle strategie terapeutiche. Sebbene le infezioni virali e fungine possano rappresentare un trigger per la DA, la colonizzazione o l’infezione da S. Aureus è comunemente responsabile dell’aumentata severità della DA. In tali pazienti un ciclo di terapia antibiotica associato a terapia antinfiammatoria, consente un miglior controllo della patologia cutanea. Il trattamento con corticosteroidi topici si è dimostrato efficace nel controllare l’infiammazione cutanea sia acuta che cronica.A causa degli effetti collaterali secondari all’uso prolungato dei corticosteroidi, non sono impiegati nella terapia di mantenimento, specie in assenza di lesioni cutanee. Un altro approccio terapeutico è rappresentato dagli inibitori della calcineurina ad uso topico. L’FK506 topico e il pimecrolimus sono stati recentemente approvati dalla FDA per il trattamento della DA. Trial a breve termine, multicentrici, studi in cieco e caso-controllo, sia negli adulti che nei bambini, hanno dimostrato l’efficacia sia del Tacrolimus che del pimecrolimus, ma non abbiamo dati clinici sui loro effetti a lungo termine nei bambini. Tali farmaci dovrebbero essere impiegati nel trattamento di pazienti poco responsivi agli steroidi topici. I corticosteroidi sistemici risultano efficaci e prontamente capaci di controllare dermatiti atopiche nell’adulto, ma il loro impiego dovrebbe essere a breve termine. Eruzioni cutanee rebound e diminuzione dell’efficacia ne limitano l’uso in maniera importante. Un’altra alternativa terapeutica è rappresentata dalla ciclosporina A che è un potente inibitore sistemico della calcineurina. Un numero di studi ha dimostrato l’efficacia sia sui bambini che sugli adulti con forme severe e refrattarie di DA, sebbene la tossicità, soprattutto renale, ne limiti l’impiego a lungo termine. Gli antimetaboliti come il micofenolato-mofetile, un inibitore della biosintesi delle purine, il methotrexate e l’azatioprina sono stati inoltre utilizzati nelle forme recidivanti di DA, sebbene il potenziale tossico sistemico di tali farmaci ne limita l’impiego richiedendo un attento monitoraggio. Un altro approccio terapeutico nel trattamento della DA, come proposto in passato nella letteratura, è rappresentato dal sodio-cromoglicato (DSCG). DSCG è un efficace inibitore delle reazioni di ipersensibilità IgE mediata ed è stato usato con successo nei pazienti con ipersensibilità respiratoria. Diversi studi sono stati condotti sul trattamento orale e topico con DSCG in pazienti con DA sebbene non vi siano ancora studi controllati che ne certifichino l’efficacia. Fig.10 Scoring Atopic Dermatitis (SCORAD) Index Bibliografia 1) National Institutes of Health: National Heart, Lung, and Blood Institute and National Asthma Education and Prevention Program. 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