3. SPOT, I-POD & CORPI: È IL BIOCAPITALISMO di Rossana Sisti (“Avvenire”, 27 settembre 2008) L’invito era chiaro: «Decidi tu». Coca Cola lo ha definito primo esempio di coinvolgimento attivo dei consumatori su scelte di marketing. Al momento di lanciare in Italia una nuova bibita al gusto di limone la multinazionale ha chiesto al pubblico di scegliere il più piacevole tra due diversi spot da mandare in tv. E così è stato. Ma ormai il mondo delle imprese a delegare ci ha preso gusto. Non sono una novità i siti internet che danno la possibilità a chiunque di o analizzare campagne pubblicitarie da girare alle aziende, magari con materiali predisposti dalle stesse singole imprese. La pubblicità ufficiale dell' iPod è stata ideata da un giovanissimo fan e la Apple l'ha resa ufficiale dopo averla vista su Youtube. Gli esempi si sprecherebbero e non per spot e marketing. Il mondo industriale cerca idee ovunque dentro e fuori le aziende, appellandosi a quella creatività diffusa e sommersa che se non richiesta andrebbe sprecata. Ormai lo fanno in tanti: abitualmente e da tempo alla Lego, alla Mattel o alla Bmw, alla Nokia e alla Philips. Per la creazione della nuova Cinquecento anche la Fiat ha chiesto un contributo creativo ai consumatori. Sono stati subissati di proposte. Nonostante i suoi settemila ricercatori la Procter & Gamble attinge a siti Internet professionali nei quali scienziati e studiosi si incontrano per risolvere i problemi più disparati. «Del resto in tempi di delocalizzazione e di concorrenze agguerrite, di prodotti sostanzialmente tutti simili, il bisogno di innovazione dei mercati è altissimo. Per le aziende è giocoforza far produrre dove costa meno e concentrarsi sull'ideazione, la comunicazione, il marketing. Allora le idee, il sapere, la creatività dei dipendenti ma anche quelle dei consumatori diventano fondamentali nel processo produttivo. E così si attinge a quel cervello collettivo, a quella collaborazione di massa che la Rete produce e mette a disposizione». Benvenuti all'ultimo stadio evolutivo di un modello economico che non vuole perdersi neppure un picosecondo della vita degli esseri umani: il biocapitalismo. Cosa sia lo racconta entrandone nelle pieghe più sottili Vanni Codeluppi, sociologo, docente all'università di Modena e Reggio Emilia. «Un sistema che - spiega - non si accontenta più delle prestazioni funzionali dei corpi dei lavoratori ma esige pure il loro tempo libero, le loro idee geniali, la loro creatività, il loro cervello, quello che non deve mai smettere di pensare anche oltre l'orario di lavoro. Le imprese cercano di coinvolgere il consumatore oltre che negli acquisti, nella creazione e nel miglioramento dei prodotti, nelle attività utili al sistema. Tutto in gran parte a scapito del suo tempo libero». E’ la filosofia Ikea, il modello self-service, esteso grazie alle tecnologie in mille direzioni. Che soddisfazione comprarsi un biglietto aereo, farsi un bonifico, stamparsi le foto, investire in borsa da sé, misurarsi la glicemia, impacchettare e pesare la frutta al supermercato e magari fare anche la parte del cassiere. «Si è convinti di risparmiare, certo continua Codeluppi - ma quanto ha risparmiato in tempo, cioè denaro, l'azienda? Il consumatore invece si è accollato un terzo lavoro, gravoso e gratuito, che si affianca a quello retribuito e a quello privato, familiare e domestico. E così scopriamo che la maggior parte delle persone soffre della mancanza di tempo libero sufficiente per fare ciò che vorrebbe. E che la rinuncia è frustrante e fonte di stress e di malessere». Le tecnologie, internet e tutto il sistema mediatico è il volano del sistema ma anche il rifugio, il canale di comunicazione dentro cui soprattutto le giovani generazioni che vivono perennemente connesse non esitano a esporsi anima e corpo. Disperdendo la propria privacy e offrendosi allo sfruttamento di chi in Rete raccoglie dati e informazioni e li usa per vendere utenti alle aziende che in Rete fanno pubblicità». Del resto proprio i dati, da quelli che indicano i gusti a quelli che svelano il patrimonio genetico, sono materia interessante nel biocapitalismo contemporaneo, perché aprono possibilità di controllo e mercificazione del corpo umano a tutti i livelli, di sfruttamento senza limiti. Ecco perché la privatizzazione delle risorse genetiche del pianeta, la biomedicina e l'industria delle sperimentazioni impongono riflessioni e barriere etiche ragionate non' più rinviabili. Eppure il richiamo del biocapitalismo è seducente: invade la sfera delle emozioni e degli affetti verso il potere delle marche «Che - ribadisce Vanni Codeluppi - ci vengono proposte non semplicemente come un logo o un' entità astratta ma come fossero persone amiche, con una loro identità e personalità, capaci di intrecciare relazioni affettive, emotive e sensoriali con gli individui. A cui delineano mondi culturali attraenti e tranquillizzanti dentro cui ricollocare le identità fragili e sgretolate». Peccato che lo scenario di questa occupazione della cultura sociale sia drammatico: si espone a una grave crisi una società in cui gli ideali comuni e i progetti politici diventano riempitivi di significati che ruotano attorno ai nomi delle marche. Ormai non si tratta più di semplici sponsorizzazioni sul mondo della cultura ma di autonome forme di cultura in cui l'opinione pubblica, motore di democrazia, è scomparsa. Vanni Codeluppi IL BIOCAPITALISMO Bollati Boringhieri, Pagine 116, Euro 11,50