Modulo 2 Genetica e genomica: come migliorare il trattamento per l

Modulo 2 Genetica e genomica: come migliorare il
trattamento per l'infertilità
Autore: Dr. Alessio Paffoni, Specialista in Specialista in Genetica Medica, Ospedale Maggiore
Policlinico Mangiagalli e Regina Elena, U.O. Sterilità di Coppia, Milano
Sanitanova è accreditato dalla Commissione Nazionale ECM (accreditamento n. 12 del
10/06/2010) a fornire programmi di formazione continua per tutte le professioni.
Sanitanova si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di questa
attività ECM.
Data inizio evento: 01/07/2012; ID evento: 12-34485.
Obiettivi formativi
Al termine del modulo didattico, il discente dovrebbe essere in grado di:
 riconoscere le principali cause genetiche di infertilità maschile e femminile;
 apprendere i diversi metodi di indagine genetica rivolti alle coppie infertili;
 conoscere i rischi genetici riproduttivi;
 identificare le finalità ed i principali metodi dell’analisi genetica sui gameti e gli
embrioni.
Premessa
Negli ultimi decenni, il numero di coppie infertili è in costante aumento, non solo a causa del
posticipo dell’età materna che può comportare delle anomalie cromosomiche sporadiche negli
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ovociti1, ma anche della ridotta qualità dei gameti che risente di condizioni di vita e fattori
ambientali non favorevoli2.
Fattori maschili e femminili contribuiscono in percentuale analoga a determinare l’infertilità.
Nonostante l’elevata prevalenza, la ricerca si è focalizzata solo di recente sui fattori genetici
che possono causare infertilità maschile e femminile ed è ormai chiaro che alcune alterazioni
genetiche hanno un ruolo considerevole nell’eziologia dell’infertilità. Esempi ben conosciuti
sono alcune traslocazioni cromosomiche o anomalie legate ai cromosomi sessuali o le delezioni
del cromosoma Y3-6.
Tornando al tema dello screening genetico della coppia infertile, il Public and Professional
Policy Committee (PPPC) della Società Europea di Genetica Umana (European Society of Human
Genetics, ESHG),infatti, ritiene necessario creare linee guida professionali sull’uso delle
tecniche di PMA in modo ponderato e sicuro dal punto di vista genetico 7.
La generale mancanza di precise regole nazionali e internazionali per la diagnosi di difetti
genetici nella coppia infertile ha spinto i ricercatori e i clinici, che si occupano di medicina della
riproduzione, a mettere a punto alcune linee guida. In Italia, un gruppo di esperti reclutati nelle
diverse discipline coinvolte nella riproduzione umana, nel Febbraio 2002 ha emanato le linee
guida nazionali. Tali linee guida rappresentano quindi una “consensus” approvata dalla
comunità italiana degli addetti ai lavori in riproduzione umana e saranno analizzate in maggior
dettaglio nei capitoli successivi8. Più recentemente, un altro lavoro collaborativo è stato
compiuto a livello europeo sotto il patrocinio della ESHG e della Società Europea di
Riproduzione Umana ed Embriologia (European Society of Human Reproduction and
Embryology, ESHRE)7,8 nell’intento di approfondire la relazione tra la genetica e la medicina
della riproduzione in tutti i possibili settori in cui esse si interfacciano, dalla diagnosi e
trattamento delle cause di infertilità alla consulenza genetica, dalla diagnosi prenatale a quella
pre-impianto, dalla selezione dei donatori di gameti al delicato argomento della donazione di
embrioni.
La consulenza genetica
Requisiti essenziali per la consulenza genetica
Secondo la definizione del 1975 dell’ "Ad Hoc Commitee on Genetic Counselling" dell'ASHG, il
genetic counselling è un "processo di comunicazione che concerne i problemi umani legati
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all'occorrenza, o al rischio di ricorrenza, di una patologia genetica in una famiglia". Questo
processo comporta l'impegno di una o più figure professionali, che hanno effettuato un
training specifico, per aiutare un individuo o una famiglia a9,10:
1) comprendere le informazioni mediche, che includono la diagnosi, la prognosi e il
trattamento disponibile;
2) capire il modo in cui l'ereditarietà contribuisce alla malattia e il rischio di ricorrenza in
alcuni familiari;
3) essere informati circa tutte le alternative disponibili per affrontare il rischio di ricorrenza;
4) scegliere una serie di opzioni che appaiano appropriate in vista del rischio del consultando,
del piano familiare, delle convinzioni etiche e religiose e agire in conformità della decisione
presa;
5) realizzare il miglior adattamento possibile alla malattia del familiare affetto e/o al rischio di
ricorrenza della malattia stessa.
In maniera più sintetica, Genetest, il catalogo americano online dei laboratori che
effettuano test genetici, finanziato dall’American Library del National Institute of Health,
indica il genetic counselling come il processo mediante il quale agli individui e alle famiglie
vengono fornite informazioni sulla natura, sull'ereditarietà e sulle implicazioni di una malattia
genetica, per aiutarli a prendere decisioni informate riguardanti la sfera sanitaria e quella
personale. Queste definizioni, dunque, indicano il genetic counselling essenzialmente come un
processo comunicativo.
È utile sottolineare come nelle definizioni di genetic counselling sopra riportate non è fatto
cenno alla diagnosi e all'accertamento diagnostico. I maggiori esperti di genetic counselling e
alcuni ad hoc committee, tuttavia, sottolineano come l'accertamento della diagnosi rivesta un
ruolo centrale nel counselling e ne costituisca la parte fondamentale.
Principi guida da applicare alla consulenza genetica
Non direttività
Nelle moderne concezioni della consulenza genetica nulla viene indicato circa il raccomandare
al consultando una particolare linea di azione, il raccomandare alla coppia di non avere figli in
situazioni a elevato rischio o il consigliare a un soggetto con familiarità per una malattia a
esordio tardivo di fare o non fare il test predittivo. Questa posizione può apparire
sorprendente, dal momento che molti pazienti giungono al medico per avere una terapia e che
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molti medici ritengono che un ruolo centrale della loro prassi sia quello di dire al paziente cosa
fare o cosa non fare. Frasi del tipo "ci è stato detto di non avere più figli" o "il dottore mi ha
detto di interrompere la gravidanza" sono pronunciate ancora molto frequentemente in sede
di consulenza genetica, anche perché molto raramente questi consigli sono stati
accompagnati da una valutazione diretta del rischio di ricorrenza.
Parallelamente, alcune coppie in consulenza genetica spesso si rivolgono al consulente con
espressioni del tipo: "Lei che cosa farebbe se fosse al mio posto?". Alla base di queste
domande vi è da parte della coppia il desiderio di demandare al medico la responsabilità di
scelte impegnative, che potrebbero avere conseguenze a lungo termine. Sarebbe impossibile
pretendere che coloro che praticano la consulenza genetica siano assolutamente non direttivi.
La propria opinione verrà verosimilmente espressa dal modo in cui un consulente avvicina il
soggetto, dal modo in cui gli aspetti più lievi o più gravi di una malattia vengono presentati e
dal peso che viene dato alle possibilità di un eventuale trattamento futuro. Questo non esime il
consulente dal tentativo di mantenere la più assoluta neutralità nei confronti della gamma di
opzioni, una volta che siano state fornite al consultando le informazioni sulla patologia in
esame11,12.
II dovere di aggiornarsi
L’avanzamento rapido, continuo e articolato delle conoscenze riguardo la struttura del genoma
porta a un rapido evolversi delle capacità diagnostiche che consentono di definire sempre più
spesso con precisione condizioni di rischio che prima restavano non definite.
II dovere del centro di genetica di mantenere un registro attivo delle condizioni che possono
beneficiare dell'arrivo di nuovi test o di nuove acquisizioni cliniche è riconosciuto da tutti, ma
estremamente difficile da praticare. Un modo per aggirare parzialmente il problema consiste
nel raccomandare ai pazienti, che sono in attesa di potersi avvalere di test per la definizione
del loro stato di portatori oppure di una diagnosi prenatale, di contattare annualmente il
centro di genetica prima di programmare una eventuale gravidanza13.
Il counselling per la coppia infertile
Tra gli obiettivi di un corretto counselling c’è quello di informare la persona interessata per
metterla in condizione di prendere una decisione attraverso la valutazione accurata e
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l’accettazione delle diverse prospettive che le si offrono. La scelta finale deve essere presa
dopo che sono state rafforzate le convinzioni basate sui valori personali di chi riceve e non di
chi offre la consulenza. Un ambito particolare è rappresentato dalla consulenza che viene
svolta presso i Centri di Sterilità di Coppia e che definiamo empiricamente “consulenza
riproduttiva”. La consulenza riproduttiva è centrata sull’identificazione delle cause
dell’infertilità e sulle opportunità di trattamento sulla base dello specifico problema o rischio
riproduttivo e prende in esame vantaggi e svantaggi delle diverse opzioni, i rischi e gli eventuali
test genetici mirati a completare l’iter diagnostico-terapeutico dell’infertilità.
La consulenza per infertilità presenta alcune peculiarità rispetto alle consulenze relative alla
patologia in campo ostetrico e ginecologico:
1. La tensione della coppia nei confronti del desiderio di procreare può essere molto
profonda e catalizzare completamente le risorse psicologiche dei probandi.
2. I genitori prospettici, concentrandosi sulle proprie problematiche, potrebbero non
tener conto degli interessi del nascituro, eventualmente esposto a un rischio superiore
alla media.
3. Il trattamento dell’infertilità comporta l’utilizzo di tecniche e protocolli che possono
portare al successo ma che spesso sono gravate da percentuali di insuccesso. Questa
situazione è talvolta causa di stati emotivi di stress che possono addirittura sfociare nel
totale sconforto e nella disperazione.
4. Le procedure diagnostiche e i trattamenti medici per l’infertilità hanno un importante
impatto sulla vita intima di coppia; per questo motivo vanno tenuti in considerazione i
rapporti interpersonali, la sessualità e la capacità della coppia di far fronte agli effetti
psicologici che ne deriveranno.
Appare chiaro, quindi, che in questo contesto non è legittimo parlare di consulenza genetica
tradizionale, ma si tratta piuttosto di prospettare un’attività di consulenza con diverse valenze
che possono essere così schematizzate:
 consulenza mirata alla raccolta e analisi delle informazioni
e
 conduzione del processo decisionale con relative implicazioni.
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La raccolta dei dati anamnestici è in genere il primo passo da effettuare nella gestione di una
consulenza. Esiste la possibilità di seguire schemi standard che riguardano le condizioni
genetiche più comuni.
Spesso è compito di chi effettua la consulenza raccogliere e dare un senso a tutte le
informazioni ricevute per permettere di affrontare la decisione sulle possibilità offerte per
superare l’infertilità. Devono essere sottolineate le implicazioni che la scelta comporterà per i
pazienti, per le famiglie e per l’eventuale nascituro. È un tipo di consulenza che si focalizza sullo
specifico significato di ogni informazione fornita all’individuo e pone in risalto le conseguenze
del trattamento scelto, inclusa lo possibile sospensione dello stesso, per tutte le persone
coinvolte. La consulenza che si basa sull’informazione e sulle possibili implicazioni dovrebbe
essere separata, seppur collegata, dalla fase medico-legale di sottoscrizione del consenso
informato.
È inoltre comune che i servizi di sterilità di coppia offrano o indirizzino ad altri momenti di
incontro che hanno significato diverso:
 Consulenza di supporto: mira a fornire un supporto emotivo alle coppie che subiscono
lo stress del mancato raggiungimento dell’obiettivo di concepire, delle procedure che
stanno affrontando e delle pressioni sociali e familiari. Questo tipo di consulenza
dovrebbe aiutare il paziente a utilizzare le proprie risorse per fronteggiare le difficoltà e
le situazioni di sconforto.
 Consulenza terapeutica: è la naturale progressione della consulenza di supporto e mira
alla soluzione di problemi dell’individuo legati alla storia familiare; può avere come
obiettivo quello di portare il paziente ad accettare la propria condizione, ad affrontare
l’impatto dell’infertilità sulla vita quotidiana e a fornire misure di difesa dalle situazioni
negative che ne scaturiscono.
Lo screening genetico della coppia infertile
L’infertilità talvolta è associata a una componente genetica che nella maggioranza delle
situazioni viene indagata solo al manifestarsi delle difficoltà di concepimento. Nella pratica
clinica, non esistono metodi largamente condivisi per condurre questo tipo di indagini: diversi
centri indicano alle loro coppie differenti tipi di screening genetico anche a parità di indicazione
clinica.
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In generale, si può affermare che il momento dello screening genetico sia immediatamente
successivo a quello anamnestico. Dagli elementi emersi in occasione dell’anamnesi si
identificano coppie a rischio genetico aumentato, alle quali viene destinata una consulenza
genetica tradizionale condotta dal medico genetista, e coppie a rischio generico che vengono
indirizzate all’eventuale screening direttamente dai medici della riproduzione.
Un punto chiave di dibattito sull’utilizzo corretto dei test genetici è proprio il criterio di
inclusione dei soggetti in esame, per i quali non siano emersi particolari elementi di rischio.
Esistono sottogruppi di coppie in cui la causa genetica di infertilità è rappresentata con scarsa
probabilità, benché all’interno della coppia sia stata fornita una indicazione alla fecondazione
in vitro. Spesso questi sottogruppi non sono delineati in modo indiscutibile e si creano
numerose situazioni di confine in cui l’applicazione dei test genetici rimane a discrezione del
clinico che effettua la diagnosi.
Le procedure di screening genetico si fondano su alcuni principi fondamentali:
 volontarietà;
 da uno screening genetico non ci si deve aspettare di individuare tutti i soggetti
portatori o affetti di una data popolazione;
 la disponibilità tecnica di un test non giustifica, da sola, il suo utilizzo in un programma
di screening.
Questi principi si applicano quindi anche ai test genetici utilizzati nell’iter diagnostico della
coppia infertile. Per permettere un ragionato percorso decisionale, il probando deve essere
informato in modo esaustivo sul tipo di indagine da eseguire e questo implica l’integrazione tra
le conoscenze della genetica dell’infertilità e dei test genetici disponibili.
Qualora, in base ai dati clinici, si rilevasse un’elevata probabilità per un soggetto di essere
portatore di una certa condizione genetica, la decisione sull’opportunità di effettuare un test
dovrebbe essere sempre presa dalla persona interessata opportunamente informata; questa
considerazione è valida anche nel caso di rischio per il nascituro o se all’interno della coppia
esistono orientamenti differenti in merito alla situazione che si è creata. Se, attraverso
un’indagine genetica, viene riscontrata una anomalia, il soggetto dovrebbe avere la possibilità
di ricevere una consulenza appropriata. In quest’occasione dovrebbero essere fornite
spiegazioni circa la causa dell’anomalia genetica diagnosticata, le conseguenze per l’individuo,
la prole e i familiari per i quali devono essere eventualmente preventivate ulteriori consulenze
e indagini. Deve sempre essere chiaro a ogni soggetto interessato che un trattamento per
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l’infertilità non potrà essere negato su base genetica se esiste una specifica volontà di
proseguire l’iter terapeutico nonostante una diagnosi di patologia genetica o la determinazione
di un elevato rischio per la prole.
Le linee guida emanate in Italia da un gruppo multidisciplinare di esperti hanno cercato di
limitare il deficit di uniformità nei criteri di utilizzo dei test genetici nella coppia infertile8.
Questo comitato di professionisti di diverse discipline coinvolte nella fisiopatologia della
riproduzione è stato costituito da rappresentanti designati dalle maggiori Società Scientifiche
di settore, nazionali ed internazionali.
Le linee guida emanate rappresentato un “consensus” e non includono tutte le cause di
infertilità, ma solamente quelle clinicamente rilevanti, sia in termini di prevalenza
nell'infertilità maschile e femminile sia come rischio di trasmissione di patologia ai figli.
Qui di seguito sono riassunte le indicazioni fornite da queste linee guida.
Test genetici da eseguire per il Partner Maschile
 Analisi del cariotipo in caso di:

azoospermia

grave oligospermia (< 10 x 106spermatozoi/ml)

moderata oligospermia (10-20 x 106spermatozoi/ml) e normospermia solo dopo un anno di
rapporti mirati

esecuzione di procedure di riproduzione assistita
 Microdelezioni del cromosoma Y in caso di:

azoospermia

grave oligospermia
 Analisi gene della fibrosi cistica (CFTR) in caso di:

azoospermia associata ad agenesia bilaterale congenita dei deferenti

grave oligospermia associata ad agenesia monolaterale congenita dei deferenti
 Analisi gene anosmina (KAL1) in caso di:

Azoospermia associata ad ipogonadismo ipogonadotropo ed anosmia
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 Analisi gene recettore degli androgeni (AR) in caso di:

Azoospermia o oligospermia associate a basso indice di sensibilità agli androgeni
 Analisi gene 5α-reduttasi-2 (SRD5A2) suggerito in caso di:

Azoospermia o oligospermia in casi clinici selezionati (es. ipospadia, testicoli ritenuti, ecc.)
Test genetici da eseguire per la Partner Femminile
 Analisi del cariotipo in caso di:

Amenorrea primaria e secondaria

Menopausa precoce

Oligomenorrea con ipogonadismo ipergonadotropo

Aborti ricorrenti

Esecuzione di procedure di riproduzione assistita

In assenza delle suddette indicazioni, dopo un anno di rapporti mirati
 Analisi del gene FRAXA in caso di:

Amenorrea primaria e secondaria

POF

Oligomenorrea con ipogonadismo ipergonadotropo

Esecuzione di procedure di riproduzione assistita con le suddette condizioni o in caso di scarsa
risposta ovarica
 Analisi gene della fibrosi cistica (CFTR) in caso di:

Esecuzione di procedure di riproduzione assistita
 Analisi gene anosmina (KAL1) in caso di:

Ipogonadismo ipogonadotropo
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Come si evince da quanto sopra riportato, l’indagine citogenetica rappresenta il primo
approccio di diagnosi genetica per entrambi i componenti delle coppie che non abbiano
ottenuto una gravidanza dopo un anno di rapporti mirati (temporizzati sul ciclo ovulatorio) e
che quindi vengano indirizzate alle tecniche di PMA nonostante non sia evidente un motivo di
impedimento al concepimento (infertilità sine causa).
Le stesse linee guida pongono inoltre l’analisi del cariotipo come primo approccio nell’indagine
genetica di soggetti che presentino specifiche condizioni alla base dell’infertilità: queste
condizioni sono ben chiarite soprattutto per l’uomo8,14,15, ma anche per la donna sono emerse,
negli ultimi anni, alcune situazioni che suggeriscono un’indagine cromosomica: amenorrea
primaria, menopausa precoce e aborti ricorrenti sono le principali8,16.
La ricerca di mutazioni nel gene CFTR, responsabile della fibrosi cistica, viene richiesta ad
almeno un membro della coppia in occasione dell’indicazione alle metodiche di PMA: in
particolare, se esiste una alterata condizione seminale, l’indagine viene eseguita sul
componente maschile, diversamente viene eseguita sulla partner.
Le linee guida prevedono poi ulteriori indagini genetiche da richiedere in condizioni
patologiche ben definite e riscontrabili tra le coppie infertili con discreta frequenza, come
l’analisi delle microdelezioni del cromosoma Y per gli uomini gravemente oligospermici o
l’analisi del gene FRAXA per le donne con amenorrea o con un quadro definibile come “bad
responder” successivo a tecnica di PMA, con età < 35 anni, o successivo a un dato, sempre nelle
medesime condizioni di età, di severa riduzione della R.O. ( FSH> 20, AMH < 0,1), oppure
riscontrate più raramente, come l’analisi del gene KAL1 nei casi di ipogonadismo
ipogonadotropo associato ad anosmia o l’analisi del gene AR in caso di ridotta sensibilità
maschile agli androgeni.
La Legge 40/2004 e le relative linee guida prevedono tuttavia un iter diagnostico obbligatorio
meno ampio e meglio definito per il partner maschile:
 l’analisi del cariotipo prima dell’esecuzione delle tecniche di riproduzione assistita è
richiesto solo in caso di “deficit quantitativo grave” del liquido seminale o azoospermia;
 lo studio DNA per fibrosi cistica solo in caso di sospetta agenesia congenita mono o
bilaterale dei dotti deferenti;
 la ricerca di microdelezioni del cromosoma Y in caso di concentrazione degli
spermatozoi < 5 x 106/ ml.
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È opportuno ricordare, inoltre, le linee guida della Federazione dei Centri per la diagnosi della
trombosi e Sorveglianza delle terapie Antitrombotiche che suggeriscono di effettuare uno
screening per trombofilia in cui compare mutazione nel gene della protrombina (oltre a
antitrombina III – proteina C – proteina S – fattore V Leiden –– omocisteina – LLAC – Ac
anticardiolipina) solo quando si siano verificati pregressi episodi trombotici arteriosi o venosi
(superficiali o profondi) all’anamnesi personale o pregressi eventi ostetrici avversi (1 episodio
di morte endouterina > 20 settimane; 2 aborti spontanei non necessariamente consecutivi > 10
settimane; 3 aborti spontanei nel primo trimestre; preeclampsia precoce entro 32 settimane e
severa con gravidanza interrotta prima della 34a settimana; pregresso distacco intempestivo di
placenta; pregresso ritardo di crescita endouterina; anamnesi familiare di primo grado -ovvero
genitori e fratelli- positiva per episodi trombotici arteriosi o venosi in età inferiore a 60 anni).
Come noto, tutte le linee guida non sono direttive ma rappresentano una proposta, non
unanimemente condivisa, di condotta nell’esecuzione dei test genetici nell’iter diagnostico
dell’infertilità di coppia.
In ogni caso, l’esecuzione di una accurata anamnesi familiare appare opportuna integrazione
degli esami previsti per legge. Gli aspetti da indagare dovrebbero essere incentrati almeno su
consanguineità, ritardo mentale, sindrome di Down, spina bifida, fibrosi cistica, anemia
mediterranea, favismo, distrofia muscolare, menopausa precoce, malformazione, tumori
(ovaio, seno, colon-retto).
Sulla base dell’anamnesi e di quanto prevede la legge in vigore, la prescrizione di appropriati
test genetici prima e durante l’esecuzione di tecniche di procreazione medicalmente assistita è
parte integrante della buona pratica clinica perché permette di formulare una corretta diagnosi
e di fornire una adeguata consulenza alle coppie ed alle famiglie.
In generale, i risultati delle diagnosi genetiche, sui quali si basa la percezione dell’utilità dei programmi
di screening, possono essere distinti in merito alle informazioni che essi forniscono riguardo la diagnosi,
la prognosi e il rischio riproduttivo del probando. In particolare:
 dall’identificazione di una aberrazione cromosomica possono emergere informazioni circa:
o
Diagnosi: alcune anomalie cromosomiche sono con elevata probabilità la causa della ridotta
conta spermatica nei maschi infertili. Il valore diagnostico dell’analisi cromosomica nelle
partner femminili è meno chiaro, soprattutto perché tra le anomalie più frequentemente
riscontrate figurano i mosaicismi di numero dei cromosomi sessuali, la cui rilevanza clinica è
dibattuta15. Le traslocazioni possono essere riarrangiamenti de novo o ereditati, nel qual caso la
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loro diagnosi è rilevante anche per altri membri della famiglia del probando, in particolare
fratelli e sorelle.
o
Prognosi: poiché le anomalie del cariotipo spesso interferiscono con la corretta maturazione
dei gameti, è talvolta possibile, in relazione al quadro in esame, fornire al probando
informazioni riguardo l’assetto genetico dei gameti o la possibilità di concepimento. Come
esempio si può riportare la condizione di traslocazione reciproca in cui, in base ai cromosomi
coinvolti e al punto di rottura, è possibile ipotizzare con quale frequenza si formino gameti
cromosomicamente bilanciati o sbilanciati. In caso di traslocazione robertsoniana vengono
prodotti meno gameti sbilanciati rispetto ai casi di traslocazione reciproca. Ad esempio, il
riarrangiamento rob(13;14) viene ereditato con frequenza <1%17,18. In situazioni diverse, il
riscontro di un cariotipo associato a disgenesia gonadica può talvolta escludere la probabilità di
concepimento.
o
Rischio per la prole: le anomalie cromosomiche comportano talvolta un elevato rischio di
aborto precoce o di morte endouterina eventualmente associata a malformazioni fetali. Nel
caso di traslocazione in un membro della coppia esistono tre possibilità per il concepito: la
traslocazione non viene ereditata; viene ereditata in forma bilanciata (come nel genitore);
viene ereditata in forma sbilanciata. In quest’ultimo caso comporta frequentemente
malformazioni congenite e ritardo mentale nel concepito e un elevato rischio di aborto
spontaneo. La probabilità che la traslocazione sia ereditata in forma sbilanciata è mediamente
dello 0 – 20% e per alcuni tipi di riarrangiamento è molto bassa. La bassa frequenza di
trasmissione alla prole è tuttavia gravata dalla frequente generazione di zigoti sbilanciati,
inadatti a sostenere le prime divisioni embrionarie o soggetti a segregazione caotica dei
cromosomi.
La diagnosi genetica prenatale (o pre-impianto) nella maggior parte dei casi è in grado
di rilevare la presenza di traslocazioni o aneuploidie, quindi la loro identificazione nei
genitori riveste grande importanza. Quando una traslocazione è presente in uno dei
genitori, ad esempio, la diagnosi pre-impianto contribuisce ad aumentare le probabilità
di annidamento di embrioni cromosomicamente competenti, riducendo il tasso di
aborto spontaneo dal 95% al 13%19.
Anche dopo il riscontro di cariotipo normale in entrambi i membri della coppia, può sussistere
un aumentato rischio di riarrangiamento cromosomico nel concepito in seguito a PMA, in
particolar modo con l’utilizzo della metodica ICSI. Alcuni risultati ottenuti con analisi FISH
suggeriscono che alcuni maschi infertili, con cariotipo normale su sangue periferico, hanno una
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elevata frequenza di spermatociti cromosomicamente anomali20 e che le aneuploidie
spermatiche sono positivamente correlate a perdita precoce del feto21,22.
 dall’identificazione di una microdelezione del cromosoma Y possono emergere informazioni circa:
o
Diagnosi: la microdelezione del cromosoma Y è con elevata probabilità la spiegazione della
scarsa produzione di spermatozoi.
o
Prognosi: la condizione di oligospermia, che quasi sempre è associata alla microdelezione,
indirizza i soggetti interessati alle procedure di fecondazione assistita ICSI. Se l’unico fattore di
infertilità è rappresentato dalla ridotta conta spermatica, la tecnica offre buone probabilità di
concepimento.
o
Rischio per la prole: la delezione riscontrata tra le coppie infertili è quasi sempre il risultato di
un avvenimento de novo e non di trasmissione per via paterna. Tuttavia, con l’applicazione
della metodica ICSI, la delezione viene necessariamente ereditata da tutti i figli maschi di un
portatore e non dalle femmine. I figli maschi di portatori di microdelezioni saranno molto
probabilmente infertili da adulti a causa di un difetto spermatogenetico dovuto alla perdita di
importanti geni che mappano nella regione AZF. In queste condizioni l’infertilità si pone come
condizione genetica trasmissibile. Le microdelezioni Yq sembrano stabili quando ereditate, in
quanto la regione deleta non aumenta di dimensioni23. È stato ipotizzato che la presenza di
microdelezioni sul cromosoma Y possa predisporre ad aneuploidie a carico dei cromosomi
sessuali; sui nati da soggetti portatori tale ipotesi non è stata tuttavia verificata24.
Qualora i genitori non accettassero il rischio di trasmettere la microdelezione, potrebbero
intraprendere la via della donazione di liquido seminale da un soggetto esterno alla coppia o
utilizzare metodiche di selezione del sesso sull’embrione prima dell’impianto, dove concesso
(entrambe le opzioni non sono consentite in Italia).
Risultati di uno studio su popolazione infertile
Un’ampia casistica, che può offrire interessanti indicazioni sull’utilità dello screening genetico
nell’iter diagnostico delle coppie infertili, è stata riportata pochi anni fa25. Sono stati analizzati i
dati clinici di 3.472 coppie infertili che si sono rivolte al centro sterilità di coppia della
Fondazione Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano nel periodo compreso tra
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Gennaio 2002 e Dicembre 2004 per sottoporsi a trattamenti di PMA (sia di fecondazione in vivo
sia di fecondazione in vitro). Per tutte queste coppie è stata condotta l’anamnesi clinica e per
rischio genetico, dopo di che sono state prescritte indagini genetiche al momento della
indicazione alle tecniche di PMA. In particolare, seguendo alcune indicazioni delle linee guida
precedentemente descritte ed emanate dal gruppo di studio italiano 8, in assenza di condizioni
specifiche, alle coppie è stato richiesto:
-
cariotipo per entrambi i membri della coppia;
-
screening per le mutazioni CFTR alla partner femminile, o al partner maschile se con
indicazione di oligospermia severa; in caso di positività in un membro della coppia,
l’indagine è stata estesa anche all’altro partner;
-
studio delle microdelezioni del cromosoma Y in caso di oligospermia grave.
Delle 3.472 coppie a cui era stata prescritta l’indagine genetica, 2.710 (78,0%) sono ritornate
presso l’ambulatorio di sterilità di coppia con l’esito.
In totale sono stati effettuati 2.620 (96,7%) cariotipi su soggetti femminili e 2646 (97,6%)
cariotipi su soggetti maschili.
Sono state inoltre condotte 588 analisi di microdelezioni del cromosoma Y e 2.848 screening
per mutazioni del gene CFTR in 2.506 coppie (92,4%).
Anomalie cromosomiche
Su un totale di 5.266 analisi effettuate, sono stati riscontrati 74 cariotipi anomali (1,4%; 95% CI:
1,1%-1,7%). La frequenza rilevata per le femmine è stata pari a 1,3% (95% CI: 0,9%-1,7%)
mentre per i maschi è stata pari a 1.5% (95% CI: 1,0%-2,0%). In nessuna coppia è stata
riscontrata un’anomalia del cariotipo in entrambi i partner.
In particolare le alterazioni del cariotipo riscontrate, con i relativi tassi di incidenza, sono
riportate in Tabella 1.
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Tabella 1: Cariotipi anomali riscontrati nei soggetti appartenenti a coppie infertili
Femmine n= 2.620
Maschi n= 2.646
N (incidenza x 1000)
N (incidenza x 1000)
Cromosomi sessuali
47, XXY
7 (2,6)
Mosaicismi di numero
14 (5,3)*
3 (1,1) *
47, XYY
1 (0,4)
del(Y) (q12 qter)
1 (0,4)
Anomalie strutturali bilanciate
Traslocazioni robertsoniane
5 (1,9)
12 (4,5)
Traslocazioni reciproche
4 (1,5)
7 (2,6)
Inversioni
10 (3,8)
4 (1,5)
Totale anomalie strutturali
19 (7,2)
23 (8,6)
Anomalie strutturali sbilanciate
1 (0,4)
5 (1,9)
Totale anomalie cromosomiche
34 (12,9)
40 (15,1)
bilanciate
*= differenza significativa tra femmine e maschi (p=0,012, test di Fisher)
Per effettuare un confronto tra la popolazione infertile studiata e la popolazione generale,
sono state utilizzate casistiche presenti in letteratura.
Come popolazione di controllo per le anomalie cromosomiche di numero e le anomalie
strutturali sbilanciate, è stata selezionata una casistica di 56.952 neonati riportata da Hook and
Hamerton nel 1975 (vedi Tabella 2), come di seguito specificata (sono state considerate solo le
anomalie effettivamente riscontrate nella popolazione in studio):
Tabella 2 - Popolazione di controllo per le anomalie cromosomiche di numero e le anomalie
strutturali sbilanciate
Hook and Hamerton
Mosaicismi di
(1977)26 N=56952
numero
Frequenza (x1000)
0.36
Anomalie
47, XXY
47, XYY
Cromosoma Y
strutturali
sbilanciate
0.93
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0.93
0.18
0.61
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Per le anomalie strutturali, la casistica di controllo è stata ottenuta dai dati riportati da 6 lavori
su neonati non selezionati, come riassunto in Tabella 3.
Tabella 3 - Casistica di controllo per le anomalie strutturali
Autore
Numerosità
Traslocazioni
Traslocazioni
Inversioni
campione
robertsoniane
reciproche
autosomi
Numero (Frequenza x1000)
Jacobs et al.
(1974)27
Hamerton et al.
(1975)
28
7.849 maschi,
(1980)29
Hansteen et al.
(1982)30
Maeda et al.
10 (0,85)
2 (0,17)
13 (0,93)
11 (0,78)
3 (0,75)
5 (1,25)
4 (2,19)
5 (2,73)
11 (0,74)
11 (0,74)
2 (0,13)
43 (1,23)
49 (1,4)
12 (0,34)
84 (1,03)
91 (1,12)
18 (0,22)
3.881 femmine
13.939;
7.176 maschi,
31
3.993;
2.072 maschi,
0
2 (0,50)
1.921 femmine
1.830;
955 maschi, 875
0
femmine
14.835;
7.608 maschi,
7.227 femmine
Nielsen and
34.910;
Wohlert
17.860 maschi,
(1991)32
17.050 femmine
81.187;
Totale
10 (0,85)
6.763 femmine
Buckton et al.
(1991)
11.680;
43.520 maschi,
37.667 femmine
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Il confronto tra i soggetti infertili esaminati e la popolazione di controllo, definita come sopra, è
riassunto nella Tabella 4, in cui l’eventuale aumento di probabilità di essere portatore di
un’anomalia genetica è espressa in termini di Odds Ratio (O.R.).
Tabella 4 - Incidenza di cariotipi anomali: confronto tra soggetti infertili e popolazione generale
(controlli)
Infertili
Controlli
Incidenza /1000
Incidenza /1000
47, XXY
2,64
0,93
2,86 (1,16-6,73)
47, XYY
0,38
0,93
0,41 (0,02-2,76)*
Anomalie Cromosoma Y
0,38
0,18
2,04 (0,09-16,33)*
3,40
2,04
1,67 (0,78-3,45)*
3,23
0,36
8,77 (4,42-17,34)
Traslocazioni robertsoniane
3,23
1,03
3,13 (1,79-5,40)
Traslocazioni reciproche
2,09
1,12
1,87 (0,94-3,59)**
Inversioni
2,66
0,22
12,02 (5,66-25,36)
7,98
2,38
3,37 (2,38-4,77)
1,14
0,61
1,90 (0,60-5,81)*
O.R. (95% C.I.)
Cromosomi sessuali
Totale anomalie dei cromosomi
sessuali
Mosaicismi di numero
Anomalie strutturali bilanciate
Totale anomalie strutturali
bilanciate
Anomalie strutturali sbilanciate
* O.R. non significativo; ** O.R. ai limiti della significatività
Analizzando i dati complessivamente, si nota che le anomalie cromosomiche significativamente
aumentate nei soggetti appartenenti a coppie infertili sono, in ordine decrescente di
frequenza: le inversioni, i mosaicismi di numero dei cromosomi sessuali, le traslocazioni
robertsoniane e il cariotipo 47, XXY.
Per evidenziare possibili differenze tra soggetti con differente condizione di infertilità e quindi
diversa indicazione, la prevalenza di cariotipi anomali è stata analizzata separatamente nelle
tre sottopopolazioni ottenute in base alla diversa tecnica di PMA a cui la coppia è stata
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originariamente indirizzata. Questi gruppi sono: inseminazione intrauterina (IUI); fecondazione
in vitro (FIVET); fecondazione in vitro con microiniezione dello spermatozoo (ICSI).
Tra le coppie con iniziale indicazione alla IUI si sono riscontrate anomalie cromosomiche
nell’1,2% (95% CI: 0,6-2,5%) delle componenti femminili e nello 0,3% (95% CI: 0,1-1,1%) dei
partner maschili, consistenti in linee a mosaico per i cromosomi sessuali, traslocazioni
bilanciate ed inversioni ma nessuna anomalia strutturale sbilanciata.
Tra le coppie con indicazione alla fecondazione in vitro FIVET sono stati riscontrati mosaicismi
per i cromosomi sessuali nelle sole donne. Traslocazioni bilanciate e sbilanciate, inversioni,
oltre ad altre anomalie senza significato clinico, sono state diagnosticate nei componenti sia
maschili sia femminili delle coppie. Un totale dell’1,5% (95% CI: 0,8-2,8%) dei soggetti femmine
e dell’1,1% (95% CI: 0,5-2,2%) dei soggetti maschi ha mostrato un cariotipo anomalo.
Nelle coppie con iniziale indicazione alla ICSI (compresi i casi con recupero microchirurgico
dello spermatozoo), si sono riscontrate tutte le categorie di anomalie indagate, con una
incidenza globale dell’1,2% (95% CI: 0,7-1,8%) nelle femmine e del 2,2% (95% CI: 1,4-2,9%) dei
maschi.
L’incidenza delle anomalie del cariotipo, stratificata in base al gruppo definito dalla tecnica di
PMA a cui la coppia è stata indirizzata, e confrontata con quella della popolazione generale, è
schematizzata nella Figura 1.
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Figura 1: incidenza di anomalie cromosomiche tra le coppie infertili suddivise per
gruppo di trattamento rispetto alla popolazione generale (controlli)
**
10
9
Frequenza /1000
8
7
**
*
6
**
5
4
3
2
1
0
Aneuploidie
Mosaicismi dei
Anomalie
Anomalie
complete dei
cromosomi
strutturali
strutturali
cromosomi sessuali
sessuali
bilanciate
sbilanciate
controlli
coppie IUI
coppie FIVET
coppie ICSI
Le differenze significative sono indicate con * se p<0.01 e con ** se p<0.003
Nonostante la considerevole variabilità all’interno della popolazione infertile, l’incidenza delle
anomalie cromosomiche tra gruppi distinti per indicazione alle tecniche di PMA non è
significativamente differente, a eccezione dell’incidenza di anomalie complete dei cromosomi
sessuali che è maggiore nelle coppie con indicazione ICSI rispetto alle coppie con indicazione
IUI o FIVET. Questa differenza si fonda principalmente su un maggior numero di cariotipi
anomali (47, XXY) tra i componenti maschili delle coppie sottoposte ad ICSI. D’altra parte, il
confronto degli stessi gruppi con la popolazione generale evidenzia:
 per le coppie con indicazione IUI un aumento dell’incidenza di mosaicismi dei
cromosomi sessuali;
 per le coppie FIVET un aumento dei mosaicismi dei cromosomi sessuali e di anomalie
strutturali bilanciate;
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 per le coppie ICSI un aumento di aneuploidie complete e a mosaico dei cromosomi
sessuali oltre ad un aumento di anomalie strutturali bilanciate.
Gli stessi dati, relativi alla frequenza di anomalie cromosomiche distinte per indicazione e
sesso, è schematizzata nella Figura 2 in cui è riportata anche l’incidenza delle anomalie del
cariotipo nella popolazione generale.
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Figura 2: Incidenza di anomalie del cariotipo suddivise per gruppo di trattamento infertili,
rispetto alla popolazione generale (controlli).
Le differenze significative sono indicate con * se p<0.05 e con ** se p<0.002
frequenza/1000
femmine
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
**
*
**
controlli
IUI
IVF
ICSI
*
Mosaicismi dei
cromosomi sessuali
Anomalie strutturali
bilanciate
Anomalie strutturali
sbilanciate
maschi
**
frequenza/1000
12
10
**
controlli
8
*
6
IUI
IVF
4
ICSI
2
0
Aneuploidie
Mosaicismi
complete dei dei cromosomi
cromosomi
sessuali
sessuali
Anomalie
strutturali
bilanciate
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Anomalie
strutturali
sbilanciate
21
Microdelezioni del cromosoma Y
L’analisi delle microdelezioni del cromosoma Y è stata condotta su 588 pazienti con conta di
spermatozoi inferiore a 10 milioni/ml ed in 8 casi sono state riscontrate delezioni, pari ad una
incidenza di 1,4% (95% C.I.: 0,6-2,6%).
Le delezioni diagnosticate sono state:
 Delezione AZFc: 6 CASI, con criptozoospermia (<1x106spermatozoi/ml)
 Delezione AZFb: 1 CASO, con azoospermia
 Delezione AZF b, c: 1 CASO, con oligospermia grave (<5x10 6/ml)
Analizzando l’incidenza di tali delezioni per sottogruppi, si evidenzia un aumento al diminuire
della concentrazione spermatica: tra i pazienti con conta spermatica inferiore a 5x106/ml
l’incidenza di microdelezioni sale al 2,1%, mentre tra i pazienti con conta spermatica inferiore a
1x106/ml il tasso di delezione del cromosoma Y è pari al 2,8%. Questi valori sono tuttavia
inferiori a quelli attesi per una simile popolazione benché i dati in letteratura presentino
grande variabilità.
In tutti i soggetti in cui è stata riscontrata una microdelezione, il cariotipo si è rivelato normale,
associato nel solo paziente con delezione AZFb a fibrosi cistica per doppia mutazione
F508/2789+5GA (la coppia in questione ha rinunciato alla procedura di fecondazione assistita
in quanto la partner femminile è portatrice di mutazione per FC R117H).
La spermatogenesi è regolata da un numero ancora non ben definito di geni che mappano sul
cromosoma Y e sugli autosomi. Le delezioni del cromosoma Y sono state indicate con crescente
sicurezza negli ultimi anni come una causa di infertilità maschile non trascurabile.
È stato riportato che le microdelezioni Yq possono causare deregolazione dell’espressione
genica tramite un effetto posizione e interferire con le modificazioni post trascrizionali, ma
l’effetto sulla spermatogenesi potrebbe essere più direttamente correlato con la delezione di
geni importanti per il processo maturativo33.
Il cromosoma Y è soggetto al più elevato tasso di perdita spontanea di materiale genetico
all’interno del genoma umano. Questa instabilità dipende dalla presenza di numerose
sequenze ripetute e dalla limitata porzione di cromosoma soggetta a ricombinazione meiotica
(5%). La pressoché totale assenza di ricombinazione espone il cromosoma Y a un declino
monotòno della funzione genica e a un accumulo di mutazioni deleterie.
È stato riportato infatti che l’incidenza di tali mutazioni cresca al diminuire della conta
spermatica dei soggetti analizzati, portandosi a circa il 15% negli azoospermici e al 5-10% negli
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oligospermici. Tuttavia la presenza di tali delezioni non è prevedibile sulla base dei dati clinici o
dei parametri seminali dei pazienti infertili.
Se in passato una diagnosi molecolare di una causa genetica poteva rivestire un ruolo
marginale, oggi con l’avvento delle tecniche di fecondazione assistita e la maggiore conoscenza
della trasmissione iatrogena verticale delle anomalie genetiche, la ricerca delle microdelezioni
del cromosoma Y è diventata molto importante. Tale diagnosi, infatti, non solo aiuta a fornire
una prognosi più accurata per i pazienti, ma fornisce anche informazioni indispensabili al
corretto e approfondito svolgimento della consulenza genetica, con particolare riguardo alla
nascita di bambini maschi infertili che potrebbero avere la stessa delezione paterna o una
delezione maggiore con un fenotipo testicolare più accentuato.
Poiché è stato osservato che nei pazienti portatori di delezione del cromosoma Y il fenotipo
testicolare è soggetto a peggioramento nel corso del tempo, è opportuno consigliare il
deposito del liquido seminale presso una bio-banca, almeno nei soggetti più giovani.
In una completa review della letteratura sulle microdelezioni del cromosoma Y, Foresta e coll.
(2001)34riportano che la maggior parte degli studi è stata effettuata in soggetti con
concentrazione spermatica inferiore a 5 milioni/ml, riscontrando un tasso di microdelezioni del
10,5%, mentre in soggetti con concentrazioni superiori la prevalenza di delezioni è trascurabile.
È condivisa l’opinione che agli uomini a cui viene riscontrata azoospermia non ostruttiva,
dovrebbe essere richiesta la ricerca di microdelezioni del cromosoma Y oltre all’analisi del
cariotipo. Tuttavia, quando la situazione riscontrata è la oligospermia, è molto più difficile
stabilire i criteri per effettuare le indagini genetiche. Recenti raccomandazioni dell’ESHRE
prevedono l’analisi del cariotipo quando l’esame del liquido seminale mostra una densità
nemaspermica inferiore ai 5 milioni/ml, ma lo screening per le microdelezioni Yq è previsto
solo in caso di critpozoospermia (densità inferiore o uguale ad 1 milione/ml) 35.
Mutazioni del gene CFTR
Una mutazione o variante nel gene CFTR è stata riscontrata in 185 pazienti su 2.848 analizzati,
con una incidenza pari al 6,5% (95% C.I. 5,6-7,4%). Nel 6,3% (95% C.I. 5,4-7,3%) delle coppie è
stata riscontrata una alterazione genica in un solo partner mentre nello 0,6% delle coppie (95%
C.I. 0,3-0,9%) è stata riscontrata in entrambi i membri della coppia. La configurazione allelica
5T della regione IVS8-6T rappresenta il 41% delle alterazioni mentre la mutazione F508 il
26,5%. Il significato clinico della configurazione poli-5T è esclusivamente collegato al
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polimorfismo TG dello stesso locus con un numero di ripetizioni pari a 12 o superiore. Esclusa
la configurazione 5T, il tasso di incidenza di mutazioni nel gene CFTR risulta pari al 3,8% (95%
C.I. 3,1-4,5%) con lo 0,2% delle coppie in cui entrambi i partner sono portatori sani.
Analizzando i dati per gruppi di trattamento si osserva una frequenza di mutazione nei soggetti
con indicazione IUI pari all’1,8% (95% C.I. 0,7-2,9%); nel gruppo FIVET pari al 3,9% (95% C.I. 2,45,4%) e nel gruppo ICSI del 3,4% (95% C.I. 2,5-4,3%). Nel gruppo di 121 soggetti maschi
azoospermici sono stati riscontrati 16 casi di mutazione corrispondenti ad una incidenza di
mutazione nel gene CFTR del 13,2% (95% C.I. 7,2-19,2%), pari a circa 3 volte quella della
popolazione generale (4%). Solo questo sottogruppo di maschi azoospermici ha mostrato
quindi un aumentata incidenza di mutazioni.
I risultati dello screening del gene CFTR (compresi i polimorfismi della regione della regione
IVS8-6T) sono riassunti nella Tabella 5:
Tabella 5 - Risultati dello screening genetico del gene CFTR in coppie infertili.
Procedura
N° di coppie analizzate
Solo un partner
Entrambi i partner
eterozigote
eterozigoti
IUI
552
23 (4,2%)
1 (0,2%)
FIVET
604
36 (6,0%)
4 (0,7%)
1.350
98 (7,3%)*
9 (0,7%)
121
23 (19,0%)*,
2 (1,7%)
ICSI
Azoospermici
(sottogruppo ICSI)
 incidenza significativamente superiore a quella del gruppo IUI
 incidenza significativamente superiore a quella dei gruppi IUI, FIVET, ICSI
Come detto, in 14 coppie è stata riscontrata la mutazione (o la variante allelica 5T) in entrambi
i partner. Dopo appropriato counselling genetico, due di queste coppie hanno deciso di non
procedere con le tecniche di procreazione medicalmente assistita inizialmente prospettate:
una ha intrapreso la via dell’adozione, l’altra ha fatto ricorso alla diagnosi genetica preSanitanova Srl – Fertilità a 360° - Modulo 2 © 2012
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impianto all’estero. Le rimanenti 12 coppie hanno proseguito l’iter terapeutico convenzionale:
quattro di esse hanno ottenuto una gravidanza e in totale sono nati 6 bambini non affetti da
fibrosi cistica.
La prevalenza di cariotipi anomali nella popolazione studiata è risultata dell’1,3% tra le
femmine e dell’1,5% tra i maschi, mostrandosi superiore a quella della popolazione generale
(<1%,)32.
In caso di infertilità maschile, provata da grave oligospermia o azoospermia, è di indubbia
utilità l’analisi citogenetica che può fornire una diagnosi, una prognosi riproduttiva ed essere la
base per una appropriata consulenza.
L’importanza dello screening routinario del cariotipo per le donne che devono sottoporsi a
tecniche di PMA è meno condivisa tra i diversi Autori36-39. Nella casistica qui presentata si
riscontra comunque un significativo aumento di cariotipi anomali nelle donne appartenenti a
ciascuno dei gruppi di trattamento considerato, rappresentati soprattutto da mosaicismi a
carico dei cromosomi sessuali.
Il riscontro di cariotipi anomali con frequenza maggiore nella popolazione infertile rispetto alla
popolazione generale è da tempo confermato da più Autori 40-43. Il motivo che principalmente
sottolinea l’utilità di questo screening è la possibilità di informare i futuri genitori che possono
trovarsi in una categoria con aumentato rischio di trasmettere condizioni cromosomiche
patologiche ai propri figli e di poter pertanto prevedere un utilizzo ragionato delle metodiche
di diagnosi genetica prenatale.
Tra le alterazioni cromosomiche strutturali bilanciate, la più rappresentata tra i maschi infertili
è la traslocazione robertsoniana. Nella consulenza di questi soggetti deve essere prospettato
l’aumento di incidenza di disomia uniparentale fetale (UPD) nell’eventuale concepito. È
riportato che tra soggetti con UPD, circa il 20% è portatore di una traslocazione robertsoniana
tra cromosomi non omologhi44 ed è pertanto indicato verificare con indagini genetiche
prenatali se l’UPD si sia manifestata a seguito a una traslocazione robertsoniana. Questo tipo di
analisi riveste particolare importanza qualora la traslocazione parentale coinvolga cromosomi
con regioni soggette ad imprinting, come i cromosomi 14 e 15. L’effetto di UPD può
manifestarsi nel feto con malformazioni congenite, ritardo di crescita o morte endouterina.
Secondo dati pubblicati45 esiste un rischio di UPD dello 0,65%, stimato in una casistica di 315
diagnosi prenatali per indicazione di traslocazione robertsoniana.
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Nello studio qui riportato, lo screening per le mutazioni di CFTR non ha evidenziato un
aumento dell’incidenza di mutazioni classiche rispetto alla popolazione generale caucasica e ha
mostrato una proporzione di varianti alleliche corrispondente a quella attesa per la
popolazione non infertile, con il polimorfismo 5T in eterozigosi più rappresentato, seguito dalla
mutazione F50846. Sulla basi di questi ed altri dati47 si può concludere che l’infertilità
coniugale non rappresenti di per sé un fattore di rischio per un’aumentata incidenza di
mutazioni CFTR, se non si considerano particolari sottogruppi, come quello dei soggetti
azoospermici.
Oltre l’80% dei pazienti affetti da fibrosi cistica nasce in famiglie che non hanno una anamnesi
positiva per FC. Nel 1997 il National Insitute of Health 48 ha incluso tra i soggetti a cui effettuare
lo screening per mutazioni CFTR tutti i componenti delle coppie in epoca preconcezionale;
questo orientamento è stato successivamente ribadito dall’American College of Obstetricians
and Gynaecologists49. Diversi Paesi stanno valutando la possibilità di offrire protocolli di
screening dei portatori, avendo effettuato studi di costo/beneficio ed avendo ipotizzato
particolari target all’interno della popolazione.
Alla luce di quanto esposto fino a questo punto, emerge che l’utilità dello screening per le
mutazioni del gene CFTR risiede nella prevenzione del concepimento di figli affetti da fibrosi
cistica più che nell’approfondimento dell’iter diagnostico della coppia infertile.
La legge italiana e la diagnosi delle malattie genetiche
La legittimità della diagnosi genetica pre-impianto è dibattuta fin dall’entrata in vigore della
Legge n.40/2004 e ancora oggi è oggetto di interrogativi e risposte contraddittorie. Esistono
pronunce di alcuni tribunali che, con un’interpretazione conforme alla Costituzione, ne hanno
riconosciuto piena legittimità e, soprattutto, la Corte Costituzionale, che con le sentenze n. 151
del 2009 e n. 97 del 2010, ha avvallato in modo definitivo tale interpretazione. Rimangono
tuttavia alcuni spunti di incertezza dovuti anche alla difficile interpretazione degli avvenimenti
giuridici.
La Legge n. 40 del 2004
La Legge n. 40/2004 ha sancito il principio di tutela dell’embrione, mettendo in secondo piano
il diritto alla salute della donna e, in generale, le possibilità di procreazione della coppia. Tale
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situazione si concretizza in una serie di divieti e limitazioni alle tecniche di procreazione che si
estendono dalla clinica alla ricerca scientifica.
Nella Legge, quindi, non si dedica una norma specifica alla diagnosi genetica pre-impianto, ma
si fa riferimento a essa in due articoli, il 13, avente ad oggetto le limitazioni alla ricerca
scientifica, e il 14, avente ad oggetto le limitazioni alle tecniche sulla procreazione
medicalmente assistita.
È stabilito, infatti, che “la ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è
consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche
ad essa collegate volte alla tutela e allo sviluppo dell’embrione stesso (omissis)”, mentre al
comma 3, lett.b, “sono comunque vietati: ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli
embrioni e dei gameti (omissis) ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e
terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo”. In base a questa lettura, dunque, la
diagnosi genetica pre-impianto sembrerebbe ammessa solo nel caso in cui fosse volta alla
tutela o alla cura dell’embrione.
Nell’art. 14, tuttavia, viene sancito che i potenziali genitori “sono informati sul numero e, su
loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell’utero”. In questo
caso, dunque, sembrano trovare spazio dei metodi di indagine dell’embrione che non sono
necessariamente solo morfologici, ma anche genetici.
La decisione n. 151/2009: dichiarazione di implicita “legittimità” della
diagnosi genetica pre-impianto
La Corte costituzionale ha dichiarato, seppur implicitamente, che l'ammissibilità della diagnosi
pre-impianto sia indiscutibile. Si può quindi affermare che oggi è lecito ricorrere a tale tipo di
diagnosi quando ciò sia necessario per far conoscere ai genitori lo stato degli embrioni e, di
conseguenza, per tutelare la salute psico-fisica della donna.
La diagnosi genetica pre-impianto
La diagnosi genetica pre-impianto (Pre-Implantation Genetic Diagnosis PGD) è una procedura
complementare alle tecniche di diagnosi prenatale che permette di identificare la presenza di
malattie genetiche o di alterazioni cromosomiche in embrioni in fasi molto precoci di sviluppo,
generati in vitro da coppie a elevato rischio riproduttivo, prima del loro impianto in utero. La
PGD, quindi, permette di evitare il ricorso all’aborto terapeutico, spesso devastante dal punto
di vista morale e problematico dal punto di vista etico.
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La PGD combina l’utilizzo delle tecniche di IVF con le più innovative ricerche in campo genetico.
I pazienti che richiedono l’accesso alle tecniche di diagnosi pre-impianto inizieranno un
trattamento di procreazione medicalmente assistita (PMA) che permetterà il recupero degli
ovociti da fecondare con gli spermatozoi paterni. Una volta ottenuta la fecondazione, dagli
embrioni ai primi stadi di sviluppo (giorno 3-5), si preleverà una o più cellule (blastomeri) il cui
DNA sarà analizzato in maniera specifica, in relazione al tipo di malattia genetica da
diagnosticare. Gli embrioni che risulteranno non affetti dalla patologia genetica in esame,
verranno trasferiti in utero al fine di generare una gravidanza senza la specifica malattia. Gli
embrioni risultati affetti dovranno essere crioconservati.
Le prime applicazioni cliniche della PGD sono avvenute in Inghilterra, alla fine degli anni ’80, in
pazienti portatrici di malattie genetiche legate al cromosoma X. La determinazione del sesso
degli embrioni consentì il trasferimento selettivo di quelli femminili (sani o portatori sani) allo
scopo di evitare l’impianto di un embrione di sesso maschile, il cui rischio di malattia
corrispondeva al 50%. Da allora è aumentato, anno dopo anno, il numero di Centri in cui si
pratica la PGD, come pure il numero di questo tipo di diagnosi. Inoltre, si è registrata una
costante evoluzione delle tecniche diagnostiche che ha condotto, da un lato, a un maggiore
affinamento delle metodiche e, dall’altro, a un continuo aumento dell’affidabilità dei risultati
ottenuti.
La diagnosi genetica pre-concepimento o pre-fecondazione
La PGD comporta la manipolazione degli embrioni a fini diagnostici e la conservazione a tempo
indeterminato di embrioni che, pur risultati affetti dalla patologia in esame, non possono
essere eliminati. Per alcuni pazienti ciò può rappresentare un problema etico, tale da non far
considerare la PGD come opzione riproduttiva.
Recentemente, è stata introdotta in ambito clinico una nuova strategia diagnostica per le
coppie a rischio genetico, alternativa alla PGD: la cosiddetta Diagnosi Genetica PreConcepimento (Pre-Conception Genetic Diagnosis, PCGD).
La PCGD mira a selezionare gli ovociti in cui sia assente l’anomalia genetica di cui la partner
femminile è portatrice, in modo da produrre solo embrioni sani, cioè privi di mutazioni, o
eventualmente portatori della sola anomalia genetica del partner maschile. Ciò è realizzato
eseguendo l’analisi genetica dell’ovocita, mediante biopsia del Primo Globulo Polare (Polar
Body 1, PB1), prima della sua fecondazione in vitro eseguita mediante ICSI (Intra Citoplasmic
Sperm Injection).
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La diagnosi genetica viene in questo modo eseguita sull’ovocita e non sull’embrione. Ciò
consente di superare i problemi etici che taluni pazienti hanno nel ricorrere alla diagnosi preimpianto. Quest’ultima, infatti, comporta l’esclusione di quegli embrioni che all’analisi genetica
risultano affetti dalla specifica patologia genetica di cui la coppia è portatrice. Con la diagnosi
pre-concepimento, invece, si escludono dalla fecondazione quegli ovociti il cui DNA risulti
alterato alla diagnosi e quindi si evita a priori la possibilità di produrre embrioni affetti
dall’anomalia genetica in esame.
Il primo globulo polare (PB1) viene estruso dall’ovocita dopo 24 ore dal picco di LH (Ormone
Luteinizzante). Il fuso meiotico dell’ovocita non si trova in posizione equatoriale, ma
marcatamente periferico e per questo motivo i cromosomi omologhi si separano in masse
citoplasmatiche fortemente diverse. L’ovocita ha una massa citoplasmatica circa 100 volte
maggiore a quella del PB1.
Al momento della fecondazione, il corredo cromosomico del PB1 è composto da 23 cromosomi
bivalenti, in maniera analoga all’ovocita: i cromosomi presenti sono ancora duplicati. Con
l’entrata dello spermatozoo nel citoplasma, l’ovocita estruderà un set di cromosomi nel
secondo globulo polare (PB2) divenendo propriamente “aploide”, mentre il primo globulo
polare andrà incontro a degenerazione.
Il secondo globulo polare (PB2) non viene estruso fino al momento della fecondazione. A
differenza del PB1, contiene un tipico set aploide di 23 cromosomi singoli, i cui omologhi
rimasti nell’ovocita formano il corredo cromosomico aploide del gamete femminile fecondato.
Con beneficio di semplificazione, nella cellula ogni informazione genetica è portata dai
cromosomi omologhi in duplice copia. Benché si tratti degli stessi geni, le due copie
contengono varianti diverse dell’informazione: questo è fondamentale ai fini della variabilità
genetica, ma a volte una particolare variante può essere causa di malattia.
Durante la maturazione dell’ovocita le coppie di cromosomi omologhi, dopo la duplicazione del
DNA, si separano, e le due copie (duplicate) di tutte le informazioni genetiche vengono a
trovarsi nell’ovocita o nel primo globulo polare. Nella Figura 3, per un’ipotetica coppia di
cromosomi, sono rappresentati i cromosomi fratelli “bianchi” rimasti nell’ovocita e i
cromosomi fratelli “neri” estrusi nel primo globulo polare (PB1). È schematizzata una sola
coppia di cromosomi e non 23 come nel caso reale umano. Al momento della fecondazione,
cioè quando lo spermatozoo penetra nell’ovocita, viene estruso il secondo globulo polare
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(PB2), i cui cromosomi portano informazione uguale a quella dei cromosomi rimasti
nell’ovocita.
Supponiamo di esaminare l’informazione portata da un ovocita proveniente da una donna
portatrice di una mutazione in eterozigosi in un certo gene (responsabile di una malattia).
L’ovocita che inizia la sua maturazione avrà entrambe le copie del gene in questione, sia quella
“normale” sia quella “mutata”, presenti sui cromosomi omologhi. Ognuno dei cromosomi
omologhi presenta il proprio DNA duplicato, quindi sia l’informazione “normale” sia quella
“mutata” sono presenti all’interno dell’ovocita in duplice copia. Alla formazione del primo
globulo polare corrisponde l’estrusione di un set di cromosomi omologhi che possono portare
l’informazione “normale” o quella “mutata”.
In linea teorica, se il gene mutato viene estruso nel
PB1, l’informazione normale rimane nell’ovocita e
viceversa. Questa osservazione è uno dei principi della
diagnosi su PB1, poiché il riscontro di due copie del
gene mutato nel PB1 implica che l’ovocita porterà
sicuramente la variante normale del gene, e viceversa.
Un importante fenomeno limita però la semplicità di
questo schema: il crossing-over.
In caso di crossing-over, infatti, avviene uno scambio di
materiale genetico tra i cromosomi omologhi prima
della loro separazione e dell’estrusione del PB1. Per
questo motivo l’informazione genetica è “rimescolata”
tra il PB1 e l’ovocita quindi, riferendosi all’esempio,
una copia del gene mutato e una del gene normale si
trovano contemporaneamente nell’ovocita e nel
globulo polare. Il riscontro di due varianti genetiche nel
Figura 3: Schema della segregazione dei
cromosomi tra globuli polari in assenza
di crossing over.
PB1 indica che è avvenuto crossing-over e che quindi
non è possibile sapere quale delle due varianti
genetiche rimarrà in modo definitivo nell’ovocita: è necessario a questo scopo analizzare il
secondo globulo polare per dedurre quale sia la variante genica dell’ovocita tra le due possibili.
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Il crossing-over rende quindi più indaginosa la diagnosi genetica sui globuli polari, poiché rende
non informativi gli ovociti in cui sia avvenuto lo scambio di materiale genetico nella regione di
interesse (Figura 4).
Maggiore è la distanza del gene dal centromero, maggiore è la possibilità che sia interessato da
crossing over e che quindi il primo globulo polare non possa fornire indicazioni diagnostiche.
Per i geni di maggior interesse diagnostico per quanto riguarda il territorio nazionale, quali il
gene della fibrosi cistica e la beta-talassemia, si stima che il tasso di ricombinazione sia
superiore al 70%50.
MI
NO CROSSING OVER
CROSSING OVER
MII
OVOCITA OMOZIGOTE PER
OVOCITA OMOZIGOTE PER
OVOCITA ETEROZIGOTE
IL GENE WILD TYPE
IL GENE MUTATO
NON INFORMATIVO
Figura 4: Principi della diagnosi pre-concepimento di malattia monogenica attraverso l'analisi del primo
globulo polare. L'allele associato alla patologia è indicato dalla croce. Si nota come il globulo polare sia
diagnosticamente informativo solo qualora non avvenga crossing over nella regione di interesse.
Al fine di aumentare l’efficacia della procedura, limitando l’effetto del tasso di ricombinazione,
sarebbe auspicabile poter estendere l’analisi sia al primo che al secondo globulo polare.
Questo approccio permetterebbe anche di evitare la necessità di un’ampia coorte di ovociti per
paziente.
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Per i limiti intrinseci della diagnosi pre-fecondazione, non deve stupire che in molti Paesi è
frequentemente utilizzata la diagnosi pre-impianto propriamente detta, eseguita su cellule di
embrioni o blastocisti. Questa possibilità, seppur gravata da questioni etiche, offre certamente
maggiori probabilità di successo e minori costi di gestione.
Il prossimo futuro vedrà l’espansione non solo dei metodi diagnostici, ma anche delle tecniche
di screening genetico pre-fecondazione (sugli ovociti) o pre-impianto (sugli embrioni o
blastocisti) per aumentare i tassi di successo delle procedure. Si tratta di una serie di approcci,
rivolti a tutte le coppie infertili, che hanno come obiettivo quello di selezionare gameti o
embrioni privi di alterazioni cromosomiche che sono una causa molto frequente di fallimenti
nel processo dell’impianto in utero. In questo caso l’analisi ha come target l’intero assetto
cromosomico anziché particolari geni. Fin dagli anni Ottanta, nei programmi di screening preimpianto, si sono analizzati blastomeri provenienti da embrioni formati da circa 8 cellule (terza
giornata di sviluppo in vitro) senza però ottenere un miglioramento dei tassi di nati vivi rispetto
ai gruppi di controllo51. La spiegazione focale è che in molti casi il blastomero analizzato non è
rappresentativo di tutto l’embrione a causa di frequenti mosaicisti tra i blastomeri. Inoltre, è
stato indicato che la mancanza di esperienza in procedure tecniche possono aver influenzato
significativamente i risultati negli studi clinici52.
La società europea di embriologia (ESHRE) ha di recente costituito una task-force che, per
ovviare ai limiti dello screening dovuti al mosaicismo, si propone di validare lo screening del
cariotipo su blastocisti e su globuli polari53. I risultati preliminari pongono interessanti novità
sul fronte della integrazione tra tecniche di genetica molecolare e tecniche di riproduzione
medicalmente assistita. Per questo motivo è prevedibile che lo sviluppo delle conoscenze
possa nel futuro aumentarne l’efficienza e rendere le indagini genetiche, sia di screening sia
diagnostiche, una valida opzione per ottimizzare l’iter diagnostico e terapeutico delle coppie
infertili e per prevenire la nascita di bambini affetti da patologie in coppie ad elevato rischio
riproduttivo.
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Questionario ECM
1. La consulenza genetica:
a. serve a capire il modo in cui l'ereditarietà contribuisce alla malattia e il rischio di
ricorrenza in alcuni familiari
b. è un processo di comunicazione che concerne i problemi umani legati all'occorrenza, o
al rischio di ricorrenza, di una patologia genetica in una famiglia
c. serve a realizzare il miglior adattamento possibile alla malattia del familiare affetto
e/o al rischio di ricorrenza della malattia stessa
d. tutte le risposte indicate
2. La consulenza genetica pre-concezionale
a. non deve raccomandare al consultando una particolare linea di azione
b. deve raccomandare alla coppia di non avere figli in situazioni a elevato rischio
c. deve consigliare a un soggetto con familiarità per una malattia a esordio tardivo di fare
o non fare il test predittivo
d. nessuna delle risposte indicate
3. Nella gestione di una consulenza genetica pre-concezionale è bene iniziare con:
a. analisi del cariotipo
b. raccolta dei dati anamnestici
c. ricerca mutazioni per fibrosi cistica
d. valutazione del rischio per sindrome di Down
4.
I test di screening genetico:
a. sono obbligatori se tecnicamente possibili
b. servono ad effettuare una diagnosi genetica
c. sono su base volontaria
d. tutte le risposte indicate
5. Se, attraverso un’indagine genetica di screening, viene riscontrata una anomalia:
a.
il soggetto dovrebbe avere la possibilità di ricevere una consulenza appropriata
b. il soggetto interessato deve essere dissuaso dal volersi procreare
c. è sempre necessario estendere l’analisi al partner
d. talvolta è utile non comunicare il risultato al probando
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6. L’analisi delle mutazioni del gene CFTR è utile:
a. nell’uomo, in caso di azoospermia associata ad agenesia bilaterale congenita dei
deferenti
b. nell’uomo, in caso di grave oligospermia associata ad agenesia monolaterale congenita
dei deferenti
c. in caso di screening pre-concenzionale su almeno un partner
d. tutte le risposte indicate
7. L’analisi del cariotipo è consigliata:
a. in caso di grave oligospermia
b. in caso di malformazioni uterine
c. in caso di ricerca prole da oltre 12 mesi
d. nessuna delle risposte indicate
8. In caso di basso indice di sensibilità agli androgeni associata ad oligo/azoospermia è
consigliabile eseguire:
a. analisi del gene HBB
b. analisi delle triplette nel gene per l’anosmina
c. analisi del gene 5α-reduttasi-2
d. analisi del gene recettore degli androgeni
9. L’analisi del cariotipo nella partner femminile è consigliabile in caso di:
a. amenorrea primaria e secondaria
b. menopausa precoce
c. oligomenorrea con ipogonadismo ipergonadotropo
d. tutte le risposte indicate
10. In base alle linee guida della Legge 40/2044, l’analisi del cariotipo maschile va eseguita:
a. sempre prima di esecuzione tecniche di PMA
b. solo in caso di severa alterazione dei parametri seminali
c. solo in caso di atresia dei vasi deferenti
d. mai
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11. È consigliabile eseguire uno screening per la trombofilia qualora:
a. la paziente ne faccia richiesta
b. la paziente abbia origini mediterranee
c. si siano verificati eventi ostetrici avversi
d. vi sia familiarità per menopausa precoce
12. In caso di traslocazione cromosomica in uno dei genitori, quale possibilità si può verificare nel
nascituro:
a. l’anomalia non viene ereditata
b. la traslocazione viene ereditata in forma bilanciata
c. la traslocazione viene ereditata in forma sbilanciata
d. tutte le risposte indicate
13. In caso di microdelezione del cromosoma Y in un paziente oligospermico:
a. eventuali figli maschi erediteranno l’anomalia
b. non potranno nascere figli maschi
c. il soggetto è sterile
d. nessuna delle precedenti
14. L’incidenza di cariotipi anomali nella popolazione infertile è pari a circa
a. 1 per cento
b. 1 per mille
c. 0.1 per cento
d. 10 per cento
15. La disomia uniparentale fetale (UPD)
a. è associata alla microdelezione del cromosoma Y
b. spesso è dovuta a traslocazione robertsoniana
c. non ha significato clinico
d. è sempre di origine paterna
16. Il cromosoma Y accumula mutazioni deleterie e perde spontaneamente sequenze di DNA in
quanto:
a. è soggetto a frequente ricombinazione meiotica
b. è soggetto a scarsissima ricombinazione meiotica
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c. non presenta sequenza ripetute
d. presenta mirodelezioni
17. La diagnosi pre-concepimento
a. si esegue sul primo globulo polare
b. mostra numerosi limiti intrinseci
c. non può diagnosticare anomalie di origine paterna
d. tutte le risposte indicate
18. Il primo globulo polare:
a. presenta una quantità di DNA uguale all’ovocita in metafase II
b. presenta gli alleli mutati
c. presenta gli alleli sani
d. presenta un patrimonio dimezzato di DNA
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