UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA TESI DI LAUREA L’ITALIA E LA PRIMA GUERRA BALCANICA. DIPLOMAZIA E OPINIONE PUBBLICA Relatore: prof. Bruno Bongiovanni Candidato: Stefano Zanotto Anno Accademico 2001/2002 Introduzione Italia e Balcani dal congresso di Berlino alla vigilia della Prima guerra balcanica Portata a compimento l’unità del Paese con la presa di Roma, l’Italia si affaccia sul panorama internazionale con lo status di grande potenza e come tale viene accolta nel concerto europeo. In realtà la prosperità e la forza del Paese sono in tutti i campi a livelli ben lontani da quelli raggiunti da Austria, Inghilterra, Francia, Russia e Germania: l’Italia si presenta così come grande potenza di nome, ma difficilmente si può sostenere che lo sia anche di fatto. La prima grossa crisi internazionale che l’Italia unita si trova a dover fronteggiare ha come teatro la penisola balcanica, dal momento che le rivolte degli slavi cristiani della Bosnia e della Erzegovina a partire dal 1875 sono state seguite da insurrezioni in Bulgaria, dalla guerra dichiarata da Serbia e Montenegro contro la Turchia, e dall’intervento russo in soccorso dei due piccoli Stati slavi. La politica seguita dalla Destra nella prima fase delle insurrezioni è di basso profilo, ed è tesa al mantenimento della pace e del concerto europeo 1 , mentre l’opinione pubblica italiana simpatizza apertamente con gli insorti ed è in genere antiturca. La posizione dell’Italia non muta con l’avvento al potere della Sinistra, sebbene il principio di nazionalità sia patrimonio ideale di molti uomini ora al governo 2 . La possibilità di un ingrandimento dell’Austria-Ungheria nei Balcani crea ulteriore fermento nel Paese, 1 Cfr. F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari, Laterza, 1951; E. Decleva, L’Italia e la politica internazionale dal 1870 al 1914, Milano, Mursia, 1974. 2 Cfr. Chabod, Storia della politica op. cit.; Decleva, L’Italia e la politica op. cit. dove il ricordo delle lotte risorgimentali è ancora fresco; fra repubblicani, democratici e mazziniani vi è notevole delusione per il comportamento del governo, mentre secondo loro l’Italia dovrebbe essere naturale alleata e guida dei popoli soggetti a quegli anacronismi politici che sono, secondo l’insegnamento di Mazzini, gli imperi asburgico ed ottomano 3 . Marco Antonio Canini, ad esempio, fonda nel 1876 la Lega per la liberazione e l’affratellamento della penisola slavo-ellenica, che propugna la fine del dominio turco e la formazione di una confederazione dei popoli balcanici4 , e ne affida la presidenza onoraria a Garibaldi, il quale nel 1875 aveva scritto a uno dei capi della rivolta in Bosnia: «L’avvenire è vostro e il putridume della mezza luna marcia alla sua fine»5 . Molti sono i volont ari italiani che si uniscono agli insorti, mentre in Italia si susseguono le agitazioni irredentistiche, alimentate dalle mire austriache sulla Bosnia, che mettono in difficoltà il governo: per i partiti dell’estrema l’Italia deve battersi per l’applicazione di quel principio di nazionalità in base al quale essa stessa è sorta 6 , e affiancando i Paesi balcanici in lotta deve mirare al completamento delle frontiere nordorientali. Diversamente da questi propugnatori della distruzione dell’Impero asburgico, altri fra i moderati giudicano positivamente la presenza dell’Austria in oriente come utile barriera contro l’espansione russa, e sperano di ottenere le terre irredente in conseguenza del progressivo "inorientamento" austriaco, ritornando così alla vecchia tesi di Cesare Balbo 7 . Dinanzi agli sviluppi della situazione internazionale ed interna Crispi, presidente della Camera, viene inviato da Depretis, con l’assenso del 3 Cfr. Chabod, Storia della politica op. cit.; M. Pacor, Italia e Balcani dal Risorgimento alla Resistenza , Milano, Feltrinelli, 1968. 4 Cfr. F. Guida, L’Italia e il Risorgimento balcanico. Marco Antonio Canini, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1984. 5 Pacor, op. cit., pag. 19. 6 Cfr. Decleva, L’Italia e la politica op. cit.; E. Decleva, Destra e Sinistra di fronte alla crisi d’Oriente (1876-1878), in E. Decleva, L’incerto alleato. Ricerche sugli orientamenti internazionali dell’Italia unita, Milano, Angeli, 1987. 7 Cfr. Chabod, Storia della politica op. cit. re, in viaggio per le capitali europee con lo scopo, fra l’altro, di proporre a Berlino un’improbabile alleanza contro Francia ed Austria, subito rifiutata da Bismarck. In seguito poi all’osservazione di Crispi che l’Italia sarebbe danneggiata dall’ingrandimento austriaco, il cancelliere tedesco risponde con l’invito a prendersi l’Albania; analogo suggerimento viene dato dall’Inghilterra, mentre Andrassy si dimostra ancor più duro nei confronti dell’Italia e alquanto seccato per le agitazioni irredentistiche 8 . Simili offerte (fra cui Tunisi e Tripoli) vengono fatte all’Italia nei mesi precedenti il congresso di Berlino, ma sono sempre lasciate cadere, e al riguardo è molto severo il giudizio storico che dà Morandi sui responsabili della politica estera italiana, incapaci di una visione globale degli interessi del Paese e di guardare oltre le talvolta ingenue aspirazioni irredentistiche 9 . Certamente più positivo il giudizio di Chabod, e con lui di Decleva, che riconoscono nella politica cauta, se non passiva, seguita da Corti a Berlino, l’unica allora possibile per il giovane e debole regno italiano 10 . L’opinione pubblica vive i risultati del congresso di Berlino come uno smacco per il Paese e l’irredentismo riprende vigore, mentre il governo viene accusato da più parti per la sua condotta remissiva 11 : per la prima volta dal 1856 la diplomazia sabauda esce da una crisi internazionale senza alcun guadagno, proprio quando tutti gli altri sembrano aver ottenuto qualcosa. Ormai i criteri di potenza dominano anche i discorsi dell’opinione pubblica, a conferma della cesura che si opera in questi anni nel mondo delle relazioni internazionali, come insegna Chabod 12 , e dopo la sconfitta diplomatica del 1881 con il protettorato francese a Tunisi, l’Italia rompe l’isolamento in 8 Cfr. Decleva, L’Italia e la politica op. cit.; C. Morandi, La politica estera dell’Italia da Porta Pia all’età giolittiana, Firenze, Le Monnier, 1972 (1945). 9 Cfr. Morandi, op. cit., pp. 138-45. 10 Cfr. Chabod, Storia della politica op. cit.; Decleva, L’Italia e la politica op. cit. 11 Cfr. Decleva, L’Italia e la politica op. cit. 12 Cfr. Chabod, Storia della politica op. cit. cui ha finito per trovarsi stringendo nel 1882 un’alleanza di carattere difensivo con Germania ed Austria. La Triplice, oltre ad assicurare aiuto militare all’Italia in caso di aggressione francese, non porta altri vantaggi concreti per il Paese, i cui interessi mediterranei e balcanici non vengono garantiti dal testo del trattato. In quest’ultimo settore Austria e Russia si considerano le uniche potenze interessate e rinnovano nel 1884 il patto dei tre imperatori con la Germania, escludendo un’eventuale associazione ad esso dell’Italia, che volevano tenere estranea alla questione d’Oriente 13 . L’unione della Rumelia orientale alla Bulgaria nel 1885 e la conseguente guerra serbo-bulgara, conclusasi con la disfatta della Serbia, sono però causa di forti dissidi fra i due imperi e inaugurano un decennio di antagonismo fra di essi nelle faccende balcaniche. L’Italia durante questa crisi fa una politica più attiva del solito e avanza timidamente i suoi interessi nella regione, pur mirando sempre al mantenimento della pace e del concerto europeo; il ministro degli Esteri Robilant, in un discorso alla Camera nel gennaio 1886, afferma l’intenzione italiana di prendere parte all’azione europea nei Balcani e si dichiara contrario ad un’utopistica politica di sentimento diretta ad avvicinare a noi i giovani Stati balcanici14 . La mutata situazione internazionale, anche dal lato dei rapporti franco-tedeschi, ha aumentato il valore dell’alleanza italiana per gli imperi centrali, così che questi sono ora disposti ad accogliere sostanzialmente le richieste formulate nelle trattative per il rinnovo da Robilant, sul cui operato in queste circostanze la storiografia italiana dà unanimemente un giudizio positivo 15 . Al trattato originale della Triplice vengono aggiunti due trattati separati italo-austriaco ed italo-tedesco che verranno poi riuniti assieme nel testo principale nel successivo rinnovo del 1891. Italia ed Austria, in 13 Cfr. Morandi, op. cit. Cfr. L. Salvatorelli, La Triplice Alleanza. Storia diplomatica ( 1877-1912 ), Roma, Istituto per gli studi di politica internazionale, 1939, pp. 103-05. 15 Cfr. Decleva, L’Italia e la politica op. cit.; Morandi, op. cit.; G. Salvemini, La politica estera dell’Italia dal 1871 al1915, Firenze, Barbera, 1950. 14 quello che diventerà il famoso articolo VII dell’alleanza, si impegnano ad usare la loro influenza per impedire modificazioni territoriali nella regione balcanica che possano danneggiarle. Nel caso che lo status quo si rivelasse impossibile da mantenere e si rendesse necessaria un’occupazione permanente o temporanea, le due parti promettono, prima di agire, di accordarsi riguardo ai relativi compensi. Nel trattato italo-tedesco invece, oltre alle garanzie che l’Italia riceve per i territori nordafricani di suo interesse, i due contraenti si impegnano a prevenire mutamenti dello status quo nelle coste e nelle isole turche dell’Adriatico e dell’Egeo che possano essere dannosi per uno di loro 16 . L’Italia vede in questo modo riconosciuti i suoi interessi nei Balcani e nell’Adriatico e si assicura per eventuali future avanzate austriache nella regione, tenendo sempre presenti le questioni del Trentino e di Trieste che potrebbero rientrare nel gioco dei compensi. In realtà l’Austria non ammetterà mai discorsi su quest’ultimo punto nei decenni seguenti, e le speranze e le agitazioni che susciterà negli anni la vaga conoscenza dell’articolo VII da parte dell’opinione pubblica, sempre sensibile alle tematiche irredentiste, e non solo nelle sue componenti di estrema sinistra, saranno spesso fonte di imbarazzo per il governo nei suoi rapporti con l’alleato austriaco. Il decennio crispino vede il fallimento della politica espansionistica in Africa e del tentativo di fare della Triplice lo strumento di una politica attiva, e non più soltanto un mezzo di difesa e conservazione dell’equilibrio europeo 17 ; in questo periodo di stretta aderenza all’alleanza la regione balcanica ed adriatica è un teatro di importanza secondaria rispetto al Mediterraneo e all’Africa 18 . Caduto Crispi, la questione d’Oriente torna in primo piano con l’insurrezione cretese e la conseguente guerra greco-turca nel 16 Cfr. Decleva, L’Italia e la politica op. cit., pp. 82-83. Cfr. F. Chabod, Considerazioni sulla politica estera dell’Italia dal 1870 al 1915, in AA. VV., Orientamenti per la storia d’Italia nel Risorgimento, Bari, Amici della cultura, 1952, pp. 17-49. 18 Crispi, fra l’altro, aveva dichiarato nel 1887 all’ambasciatore austriaco che avrebbe inviato uomini in soccorso dell’Austria in caso di invasione russa in Bulgaria (cfr. Morandi, op. cit.). 17 1897. Come sempre l’opinione pubblica italiana, fedele alle tradizioni risorgimentali, parteggia per gli insorti e per la Grecia, mentre l’epopea garibaldina rivive con la numerosa partecipazione di volontari italiani alla guerra, guidati da Ricciotti Garibaldi19 . La politica italiana durante la crisi, diretta dall’esperto Visconti Venosta, tornato alla Consulta coi governi Di Rudinì, è più vicina a quella filoellenica di Francia e Inghilterra che alle posizioni di Austria, Germania e Russia, difensori dello status quo e dell’integrità dell’Impero ottomano. L’Italia ha una parte non secondaria sia nella missione delle potenze per il mantenimento dell’ordine che nella soluzione diplomatica della crisi, che vede riconosciuta l’autonomia cretese sotto la sovranità della Porta 20 . Mentre in questi anni migliorano i rapporti con la Francia dopo le tensioni del decennio crispino, è intanto intervenuto, proprio durante l’infiammarsi della questione cretese, un nuovo accordo austro-russo che fa parlare di ritorno della Lega dei tre imperatori. I due imperi hanno raggiunto nel 1897 un’intesa per cui si dic hiarano a favore dello status quo nei Balcani, e nel caso questo diventasse impossibile da mantenere rinunciano ad ogni acquisto territoriale nella regione, impegnandosi a far rispettare questo principio alle altre potenze 21 . L’Italia si vede così nuovamente esclusa da un ruolo di primo piano nella penisola, dove Russia ed Austria si considerano le potenze maggiormente interessate, e gli sforzi di Visconti Venosta tendono allora a salvaguardare gli interessi del Paese almeno in una regione da sempre ritenuta di interesse fondamentale per l’Italia: l’Albania. Gli strateghi militari sottolineano come la baia di Valona e lo stretto di Corfù siano di importanza decisiva per la sicurezza dell’Adriatico e raccomandano di evitare che cadano in mano di uno Stato nemico o di una grande potenza, che potrebbe 19 Cfr. Pacor, op. cit.; G. Salvemini, La politica estera italiana dal 1871 al 1915, a cura di A. Torre, Milano, Feltrinelli, 1970. 20 Cfr. Morandi, op. cit.; Salvatorelli, op. cit. 21 Cfr. A. Torre, La politica estera dell’Italia dal 1896 al1914, Bologna, Patron, 1960, pp. 160-62. da lì facilmente minacciare le coste italiane 22 ; bisogna insomma evitare una nuova Biserta, un’altra umiliazione per la nazione che potrebbe mettere in pericolo le stesse istituzioni, con il problema del distacco fra “Paese reale” e “Paese legale” più che mai attuale negli anni di fine secolo. Gli stessi motivi strategici, ai quali si aggiungono le possibilità di penetrazione commerciale nella penisola balcanica proprio attraverso la regione albanese e, soltanto per l’Austria, l’interesse a creare una barriera all’espansione slava, giustificano l’analoga importanza che l’Albania riveste per la duplice monarchia. Già nel 1877, quando l’Albania pareva essere per l’Italia un possibile compenso agli acquisti che le altre potenze si accingevano a compiere, l’ambasciatore austriaco a Roma dichiarava al ministro degli Esteri Melegari che il suo Paese non poteva permettere che l’Italia arrivasse a possedere i tre quarti delle coste bagnate dall’Adriatico, dominando in questo modo l’unico sbocco marittimo dell’Austria 23 . L’Albania è una regione dell’Impero ottomano fortemente arretrata, le cui popolazioni, in gran parte convertite all’Islam, sono sempre state un utile sostegno al potere della Porta, dalla quale in cambio hanno ricevuto una certa autonomia e l’esenzione da parecchi tributi, oltre alla possibilità per alcuni individui di religione islamica di far carriera nell’esercito e nella burocrazia, dove spesso hanno raggiunto cariche di alto prestigio 24 . I tentativi di riforme modernizzatrici saltuariamente succedutisi nell’arco del diciannovesimo secolo all’interno dell’Impero ottomano non hanno mai trovato il gradimento della popolazione albanese, organizzata secondo un ordinamento tribale e gelosa dei propri privilegi, mentre un movimento nazionale tarda a nascere fino al Congresso di Berlino, quando le mire espansionistiche dei vicini slavi e greci su territori 22 Cfr. R. J. B. Bosworth, La politica estera dell’Italia giolittiana, Roma, Editori Riuniti, 1985. Cfr. Torre, op. cit., pag. 159. 24 Cfr. S. Skendi, The Albanian national awakening (1878-1912), Princeton, Princeton University press, 1967. 23 abitati da schipetari si fanno palesi e destano allarme fra i capi albanesi25 . L’autonomia all’interno dell’impero e l’unità amministrativa del Paese, da ottenersi col riordinamento dei vilayet esistenti, sono, insieme al rispetto degli antichi privilegi, le richieste che più spesso i capi fanno al sultano durante le numerose rivolte negli anni seguenti, senza quasi mai considerare la possibilità dell’indipendenza dalla Porta, mentre le divisioni regionali e religiose e l’arretratezza del Paese continuano ad essere gli ostacoli maggiori per lo sviluppo di un autentico sentimento nazionale 26 . L’eventualità di una spartizione dell’Albania da parte degli Stati balcanici nel caso di crollo dell’Impero ottomano allarma anche Austria e Italia per i motivi esposti sopra, e le due potenze adriatiche intensificano i loro sforzi per lo sviluppo di una solida coscienza nazionale fra la popolazione locale e per la crescita della regione, in modo che un giorno possa formare uno Stato indipendente vitale e autonomo. Le due alleate perseguono questo scopo e nel frattempo cercano di aumentare la loro influenza nel Paese ricorrendo ad ogni mezzo utile per una penetrazione pacifica, come l’apertura di scuole, la costruzione di ospedali e di infrastrutture, la partecipazione ai servizi postali, l’incremento dei rapporti commerciali e il potenziamento delle linee di navigazione 27 . In questa sorta di gara per accaparrarsi la benevolenza della popolazione locale rivestono grande importanza i servizi consolari, centri di propaganda sempre pronti, nei dispacci alle rispettive capitali, a magnificare le iniziative dei rivali e a dipingere la situazione a tinte fosche, alimentando nei rispettivi ministeri degli Esteri sospetti e timori che portano a vedere intenzioni nascoste anche dove non ci sono, come accade durante le frequenti rivolte delle tribù per la salvaguardia dei propri privilegi, che si credono fomentate e sostenute 25 Cfr. Skendi, op. cit. Cfr. Skendi, op. cit. 27 Cfr. Skendi, op. cit. 26 dalla potenza rivale 28 . L’Austria può godere in questa “contesa” del vantaggio non trascurabile che le danno i diritti di protezione, che risalgono fino al 1616, sulla popolazione cattolica albanese, che vive quasi esclusivamente nel nord del Paese 29 . A Scutari esiste dal 1855 una scuola elementare di Francescani, mentre, vinte dall’intervento austriaco le resistenze turche, i Gesuiti hanno fondato nella stessa città un seminario nel 1860 e aperto un collegio nel 1877 30 , dove l’insegnamento viene impartito in italiano e in albanese (negli anni seguenti gli austriaci cercheranno di formare in Austria gli insegnanti per queste scuole confessionali) 31 . L’Italia invece può avvalersi nella sua penetrazione in Albania dell’intensa attività delle comunità italoalbanesi del Mezzogiorno a favore del movimento nazionale schipetaro; si tratta dei discendenti di esuli del tempo dell’invasione turca, che, sebbene ormai del tutto italianizzati, hanno mantenuto vivi i costumi e la lingua del Paese d’origine dei loro antenati, come testimoniano i nomi di alcune località della Sicilia e della Calabria, e inoltre hanno conservato il ricordo di gesta eroiche e disfatte memorabili nella lotta contro il turco, contribuendo in particolare alla diffusione del “culto” di Scanderbegh, destinato a diventare il maggiore eroe nazionale albanese 32 . Il loro contributo è importante soprattutto in campo linguistico e letterario e fra essi si trovano i maggiori poeti in lingua albanese del tempo, come Girolamo De Rada e Giuseppe Schirò 33 . Nel 1895 si tiene un congresso linguistico in Calabria e la presidenza onoraria di esso viene offerta al più famoso italiano di origini schipetare, Francesco Crispi, che nell’accettarla si definisce «albanese di sangue e di cuore»34 . Durante il congresso nasce la Società 28 Cfr. Skendi, op. cit., pag. 282. Cfr. Skendi, op. cit. 30 Cfr. Skendi, op. cit.; Sette mesi di terrore in Scutari, Padova, Prosperini, 1913. 31 Cfr. Skendi, op. cit. 32 Cfr. Skendi, op. cit. 33 Cfr. Skendi, op. cit. 34 Citato in Skendi, op. cit., pag. 216, e in A. Lorecchio, A proposito di una mancata spedizione di volontari italiani in Albania, in La Rivista dei Balcani, 30 luglio 1912, pag. 2. 29 nazionale albanese, che, a partire dal 1897, pubblica un periodico, La Nazione Albanese, diretto da Anselmo Lorecchio 35 . Il maggiore impegno politico che assumono negli anni gli italo-albanesi crea diffidenza fra i leaders al di là dell’Adriatico, che apprezzano i loro sforzi per la causa nazionale solo fino a che sono confinati sul piano culturale, mentre sono timorosi per le eventuali mire dell’Italia che possono nascondersi dietro una loro più intensa attività, dal momento che non va dimenticato che si tratta di cittadini italiani a tutti gli effetti. Così sembra pensarla anche l’Austria, dato che i consolati italiani in Albania diffondono gli scritti degli italo-albanesi, nei quali spesso sono presenti motivi antiaustriaci; in effetti i contatti di questi esponenti con il mondo politico “ufficiale” italiano sono abbastanza frequenti, pur assieme a diffidenze ed incomprensioni 36 . L’Austria, nel complesso, è forse più popolare dell’Italia fra la popolazione autoctona, o meglio fra i capi più influenti di essa, e gli sforzi per ottenere la benevolenza di questi ultimi (il mezzo più rapido ed efficace per riuscirci è l’elargizione di grosse somme di denaro) costituiscono una parte considerevole della “contesa” fra i due Paesi37 . In realtà le simpatie albanesi oscillano a seconda della regione considerata, della religione, e soprattutto della congiuntura politica internazionale (l’Austria, ad esempio, conosce un calo di popolarità al tempo delle riforme in Macedonia, che aiutano la causa slava), mentre i turchi, da parte loro, vedono di buon occhio la rivalità fra le due potenze adriatiche 38 . Ritornando alla situazione politica internazionale del 1897, l’Italia deve quindi constatare di non essere considerata dall’Austria, nonché dalla Russia, una potenza di primo piano nello scacchiere balcanico, a dispetto dell’articolo VII della Triplice, e 35 Cfr. Skendi, op. cit.; Lorecchio, art. cit. Cfr. Skendi, op. cit. 37 Cfr. Skendi, op. cit.; Bosworth, La politica estera op. cit. 38 Cfr. Skendi, op. cit., pag. 281. 36 rischia così di vedere la sua posizione tornare ad essere quella anteriore al rinnovo dell’alleanza del 1887 39 ; Visconti Venosta riesce però a far riconoscere dal suo collega austriaco Goluchowski, nei colloqui tenuti nel novembre dello stesso anno a Monza, l’interesse italiano nella regione albanese. L’accordo raggiunto, solamente verbale, diventa poi un impegno scritto con lo scambio di note fra i due Paesi tra il dicembre 1900 e il febbraio 1901, e si articola in tre punti: Austria e Italia si impegnano a mantenere lo status quo nella regione, e nel caso che le circostanze non permettano più la sua conservazione e si impongano dei cambiamenti, questi devono compiersi a favore dell’autonomia. Infine vi è una considerazione più generale per la collaborazione e la salvaguardia dei reciproci interessi40 . L’accordo raggiunto stabilisce quindi la nascita futura di uno Stato indipendente, nel giorno ritenuto inevitabile, ma che le due potenze si augurano il più lontano possibile nel tempo, del crollo dell’Impero ottomano in Europa, e in questo modo si mette un freno agli appetiti degli altri Stati balcanici e sembra escludersi soprattutto la possibilità di una spartizione della regione fra le stesse Italia e Austria. Con la svolta rappresentata dalla costituzione del governo Zanardelli si apre per il Paese un periodo nuovo, ma le novità nella conduzione della politica estera non sono certamente paragonabili a quelle intervenute negli affari interni, pur proseguendo in maniera anche più intensa il riavvicinamento alla Francia iniziato dopo Adua 41 . Il nuovo ministro Prinetti, avvicinandosi la scadenza della Triplice nel 1902, inserisce fra le richieste avanza te dall’Italia per il rinnovo, l’impegno da parte degli imperi centrali al mantenimento dello status quo nei Balcani contro eventuali tentativi intrapresi da una 39 Cfr. Salvemini, La politica estera dell’Italia op. cit., pag. 128. Cfr. Morandi, op. cit., pp. 283-84; Torre, op. cit., pag. 167. 41 Cfr. E. Decleva, Da Adua a Sarajevo. La politica estera italiana e la Francia. 1896-1914, Bari, Laterza, 1971; Decleva, L’Italia e la politica op. cit. 40 terza potenza, e quando ciò si rivelasse impossibile l’appoggio a favore delle autonomie. In altri termini l’Italia chiede l’estensione degli accordi albanesi stipulati da Visconti Venosta a tutta la penisola, andando però incontro al fermo rifiuto dei suoi alleati42 ; a questo punto l’ambizioso Prinetti pensa di cercare in altre direzioni le garanzie desiderate, sviluppando quella politica di equilibrio fra alleanze ed amicizie che contraddistingue le relazioni internazionali del Paese fino allo scoppio della Grande Guerra. I tentativi di intesa balcanica con la Russia non sono però coronati da successo come avviene per gli accordi mediterranei discussi con Francia ed Inghilterra, ed in più l’Italia deve subire lo smacco della mancata restituzione della visita fatta a San Pietroburgo allo zar da parte di Vittorio Emanuele III. Proprio in questi mesi Russia ed Austria si stanno accordando per intervenire con un piano di riforme da imporre alla Turchia per le popolazioni cristiane della regione più turbolenta dei Balcani, la Macedonia, e pertanto non hanno alcun interesse a vedere associata un’altra potenza nella loro azione nella penisola. Inoltre la Russia, impegnata a fondo in Estremo Oriente, non vuole far nulla che possa dispiacere all’Austria, con la quale in questo momento deve assolutamente mantenere rapporti cordiali 43 . La Macedonia è all’epoca la regione balcanica dove la questione etnica è più intricata, e dove sono rappresentate fra la popolazione quasi tutte le nazionalità presenti nella penisola, vale a dire turchi, albanesi, greci, ebrei, zingari, valacchi e slavi. Questi ultimi, una parte dei quali è convertita all’Islam, a seconda dei casi e della regione in cui vivono si definiscono, o più spesso vengono definiti, bulgari, serbi o macedoni44 . Con il 42 Cfr. Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit., pag. 171; Salvemini, La politica estera dell’Italia op. cit., pp. 129-30. 43 Cfr. Torre, op. cit.; Morandi, op. cit. 44 Cfr. C. e B. Jelavich, The establishment of the Balkan national states, 1804-1920, Londra-Seattle, University of Washington press, 1977, pp. 207-13; V. Aarbakke, Identità etnica e irredentismo in un contesto di mutamento politico e sociale. Il caso della Macedonia fra Otto e Novecento, in Quaderni storici, a. XXVIII, n° 3, dicembre 1993, pp. 719-44; H. G. Lunt, On Macedonian nationality, in Slavic Review, Winter 1986, pp. 729-34. trattato di Santo Stefano del 1878 la Macedonia era stata assegnata interamente al nuovo Stato bulgaro, che vive la riduzione di queste frontiere al congresso di Berlino come un’ingiustizia. Da quel giorno i confini di Santo Stefano sono visti come ideali ed entrano nell’immaginario collettivo della nazione, diventando un obiettivo imprescindibile della politica del Paese. Simili mire sulla regione hanno però anche greci e, a partire da un secondo momento, serbi45 . Adducendo motivazioni linguistiche, storiche o religiose a seconda dei casi, e mobilitando intellettuali e scienziati, i tre Stati balcanici affermano perentoriamente che gli abitanti della regione sono loro compatrioti e che questa costituisce una terra irredenta della nazione, mentre un sentimento nazionale autenticamente macedone fatica a svilupparsi46 . I mezzi di cui dispongono gli Stati balcanici per affermare la loro influenza fra la popolazione cristiana sono diversi, a partire dall’organizzazione delle chiese, dove la Bulgaria gode di un certo vantaggio grazie all’istituzione dell’esarcato fin dal 1870, osteggiata da sempre dal patriarcato greco di Costantinopoli. Altre iniziative spesso sostenute dall’esterno sono la creazione di scuole e di società nazionali, le quali pur occupandosi ufficialmente di attività culturali, si distinguono spesso in atti di violenza 47 ; in questa aspra contesa che guarda al giorno non lontano della caduta del potere ottomano in Europa, neanche le statistiche e i censimenti della popolazione riescono a fare molta chiarezza sulla situazione, poiché risultano parziali oppure perché danno risultati differenti a seconda dei criteri usati per la loro compilazione dalle parti interessate 48 . La rivalità fra le etnie cristiane, l’odio contro i turchi e le dure ritorsioni di questi ultimi, innescano una lunga serie di violenze, sopraffazioni e atti terroristici veri e propri, che rendono ingovernabile la regione. Il più 45 Cfr. Jelavich, op. cit.; Aarbakke, op. cit. Cfr. Lunt, op. cit. 47 Cfr. Jelavich, op. cit. 48 Cfr. Aarbakke, op. cit. 46 importante gruppo rivoluzionario è l’IMRO, Organizzazione per la rivoluzione della Macedonia interna, che lotta per l’autonomia della regione e si rivolge a tutti gli abitanti di essa indipendentemente dall’etnia, pur essendo in realtà un movimento filobulgaro, mentre l’Organizzazione esterna, con sede a Sofia, è un mero strumento della politica bulgara e si batte per l’annessione alla “madrepatria”49 . I greci e i serbi, e più tardi anche gli albanesi, incominciano anch’essi a formare delle bande che imperversano per il Paese, lottando spesso fra di loro, in quest’ultimo caso con compiacimento da parte dei turchi, che cercano non di rado deliberatamente di mettere gli uni contro gli altri, come si legge spesso nella pubblicistica dell’epoca che li considera maestri nell’applicazione del divide et impera 50 . L’eco della “barbarie” in cui si trova la Macedonia e le notizie delle stragi colpiscono l’opinione pubblica europea, che per tutto l’Ottocento è stata sempre interessata alla sorte dei cristiani balcanici soggetti al «giogo turco»51 , e Austria e Russia decidono così di fare qualcosa, più che altro per motivi di prestigio, anche se non va dimenticata l’importanza geopolitica della regione, situata al centro della penisola e via di transito più immediata verso l’Egeo (considerazioni ben presenti anche agli statisti greci, bulgari e serbi). Quando Prinetti viene a conoscenza della preparazione dei progetti di riforme austro-russi, protesta con Vienna poiché l’Italia dovrebbe essere fra le potenze “proponenti” e non tra quelle “accettanti”, ma ogni tentativo di inserirsi con un ruolo di primo piano fallisce, dato che anche le altre potenze accettano la posizione privilegiata 49 Cfr. Jelavich, op. cit.; Aarbakke, op. cit.; E. C. Helmreich, The diplomacy of the balkan wars 19121913, Cambridge, Harvard University press, 1938. 50 A titolo di esempio, cfr. V. Mantegazza, La guerra balcanica, Roma, Bontempelli e Invernizzi, 1912; Lelio, “La supposta alleanza degli stati balcanici e il pericolo di complicazioni in Oriente”, in La Rivista dei Balcani, 30 settembre 1912, pag. 5. 51 Marco Dogo ricorda come la fitta documentazione giornalistica sulle violenze turche sui cristiani nel corso di tutto il secolo XIX taccia invece sulle violenze inverse e concomitanti verso i musulmani all’epoca delle rivolte e delle rivoluzioni nazionali (cfr. M. Dogo, Gli stati-nazione balcanici e la questione dei musulmani, in M. Dogo, Storie balcaniche. Popoli e stati nella transizione alla modernità, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 1999, pp. 36-58). dei due imperi nella regione 52 . Reso noto ufficialmente il programma delle riforme, Morin, sostituto del dimissionario Prinetti, si rivolge all’Austria nell’aprile 1903 proponendo un progetto analogo per l’Albania, ma anche questa volta Goluchowski rifiuta 53 . Dopo i nuovi sanguinosi eventi dell’estate, Vienna e San Pietroburgo decidono di affrettare i tempi e sviluppano il loro programma nell’accordo di Murzsteg in ottobre, mentre proprio in questo mese si forma il governo Giolitti con Tittoni agli Esteri. L’Italia ha la parziale consolazione di vedere, grazie alla volontà del ministro austriaco che vuole così compiacere l’alleata insoddisfatta (in questi primissimi anni del secolo tra l’altro sono riprese le agitazioni irredentistiche all’interno del Paese), un suo generale a capo della gendarmeria in Macedonia 54 . Una nuova divergenza fra i due Paesi si ha poi però poco tempo dopo, quando per il riordino della gendarmeria l’Austria si oppone all’assegnazione all’Italia del distretto di Monastir, poiché confinante con l’Albania meridionale e comprendente al suo interno un gran numero di abitanti albanesi, temendo così che l’alleata possa aumentare la sua influenza nella regione e tramare contro di essa, ma in questo caso la duplice monarchia deve cedere vista anche la posizione delle altre potenze, ora direttamente coinvolte nella esecuzione delle riforme 55 . I rapporti fra i due Paesi sembrano più distesi dopo l’incontro fra Tittoni e Goluchowski ad Abbazia nell’aprile 1904, dove il ministro austriaco assicura che il suo Paese non ha intenzione di espandersi nei Balcani e si dichiara per il mantenimento dello status quo, mentre dal canto suo il rappresentante italiano promette leale fedeltà alla Triplice ed entrambi assicurano reciprocamente di non avere aspirazioni in Albania 56 . A questo proposito i due ministri, in un incontro a Venezia un anno più tardi, 52 Cfr. Torre, op. cit., pag. 207. Cfr. Morandi, op. cit., pag. 315; Skendi, op. cit. 54 Cfr. Torre, op. cit.; Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit. 55 Cfr. Torre, op. cit., pp. 221-22. 56 Cfr. Torre, op. cit., pag. 223; Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit. 53 si accordano per unire ai vilayet di Scutari e Janina quei distretti dei vilayet di Uskub e Monastir a preponderanza albanese, con l’intenzione di procedere a ciò solo quando saranno portate a compimento le riforme macedoni57 . Le assicurazioni ottenute sono sicuramente un successo per Tittoni, dato che sembra scongiurata un’avanzata austriaca nella penisola, con tutte le conseguenze che porterebbe all’interno del Paese se non fosse accompagnata da compensi adeguati, o ritenuti tali dall’opinione pubblica e dalla “piazza”. Fin da quando è diventato ministro Tittoni ha istruito il rappresentante italiano a Belgrado allo scopo di favorire un riavvicinamento fra gli Stati balcanici, che costituirebbero così una barriera all’espansione austriaca e contribuirebbero alla conservazione dello status quo58 . L’Italia vede quindi di buon occhio l’intesa fra Serbia e Bulgaria che, messe momentaneamente da parte le rivalità per la questione macedone, si realizza nel 1904, e che più tardi porta ad un’unione doganale fra i due Paesi, subito contrastata dall’Austria che non vuole permettere l’uscita del giovane regno serbo da quello stato di soggezione economica verso la duplice monarchia in cui si trova da anni 59 . L’Impero austroungarico teme infatti un eccessivo rafforzamento dello Stato serbo per l’attrazione che questo potrebbe esercitare sulle popolazioni slave che vivono al suo interno, e questi stessi motivi concorrono allo sviluppo in questi anni dei progetti ferroviari austriaci nella regione, che si scontrano ancora una volta con gli interessi italiani, vicini anche in questo caso a quelli serbi. L’Austria infatti propone il completamento attraverso il sangiaccato di Novi Bazar, che occupa fin dal 1878, del collegamento ferroviario fra Vienna e Salonicco, la cui realizzazione sancirebbe un vero 57 Cfr. Skendi, op. cit.; M. Dogo, Questione albanese e questione macedone nella politica estera italiana alla vigilia delle guerre balcaniche, in Dogo, Storie balcaniche op. cit. pp. 94-109. 58 Cfr. Salvatorelli, op. cit.; L. Albertini, Le origini della guerra del 1914, vol. I, Le relazioni europee dal Congresso di Berlino all’attentato di Sarajevo, Milano, Bocca, 1942. 59 Ai tempi della cosiddetta “guerra dei suini”, quando l’Austria, in seguito all’unione doganale serbobulgara, blocca le importazioni di bestiame dalla Serbia, Guiccioli, ministro d’Italia a Belgrado, scrive del suo difficile compito di conciliare la politica di amicizia e di aiuto allo sviluppo delle autonomie balcaniche con la fedeltà agli alleati austriaci (cfr. Albertini, Le origini della guerra op. cit.). e proprio dominio economico nella regione e prolungherebbe la sudditanza dell’economia serba verso l’impero. L’Italia invece appoggia insieme a Serbia, Russia e Francia il progetto di una ferrovia dal Danubio ad un porto adriatico sulle coste albanesi o montenegrine, e cerca anche di ritagliare un posto per l’industria nazionale nella futura realizzazione dell’opera60 . L’Italia ha conosciuto a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento un periodo di intenso sviluppo economico, solo parzialmente interrotto dalla crisi degli anni 1906 e 1907. In questi anni si realizza quello che viene comunemente definito il “decollo industriale”, in seguito al quale il Paese, pur essendo ben lontano dal recuperare il divario che lo separa dagli Stati europei più avanzati, vede la nascita e lo sviluppo nel nord-ovest di settori nuovi che forniscono l’Italia di una moderna base industriale. In questi anni di crescita ininterrotta del commercio estero del Paese aumentano anche i legami economici con l’area balcanica, nel quadro generale dell’espansione dell’industria nazionale e del crescente bisogno di nuovi sbocchi di mercato e di materie prime, di cui l’Italia è praticamente del tutto carente; crescono così le importazioni e le esportazioni con Serbia, Montenegro e con i territori turchi della penisola 61 , anche se l’importanza di questi legami non va sopravvalutata, dal momento che le esportazioni verso Serbia, Bulgaria e Romania costituiscono solo il 2% di quelle totali dell’Italia 62 , che vende in questi Paesi un po’ di tutto, come ad esempio prodotti dell’industria alimentare, prodotti agricoli veri e propri, e soprattutto manufatti tessili, a conferma della natura ancora arretrata del sistema produttivo italiano rispetto alle nazioni più sviluppate. Dall’altra sponda dell’Adriatico giungono invece legnami, carbone, pelli e altre materie prime da 60 Cfr. R. A. Webster, L’imperialismo industriale italiano 1908-1915, Torino, Einaudi, 1974. Cfr. E. Sori, La penetrazione economica italiana nei territori degli Slavi del Sud, in Storia contemporanea, 1981, n° 2, pp. 217-69. 62 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 229. 61 lavorare nelle cartiere e nei cementifici, oltre a bovini ed altri animali, e a prodotti agricoli 63 . Inoltre si segnala la presenza di parecchi italiani nella regione, variamente impegnati sia come manovali nella realizzazione di grandi opere pubbliche o di infrastrutture, sia come abili ed esperti tecnici e ingegneri nella progettazione delle stesse. Quest’ultimo è un caso abbastanza frequente, date le scarse possibilità di impiego all’interno della madrepatria per i numerosi tecnici di buon livello di cui è dotato il Paese 64 . L’Italia quindi non è ancora in grado di imporsi sul mercato in settori come quelli siderurgici, meccanici, chimici, dove la concorrenza delle nazioni più ricche è maggiore 65 , anche se vi sono importanti eccezioni a questo riguardo. In questi casi è viva l’attenzione del ministero degli Esteri italiano, che sa quanto siano importanti iniziative di questo genere per il prestigio della nazione, e così non mancano appelli e pressioni del governo sui principali istituti bancari affinché garantiscano, in nome dell’interesse nazionale, appoggio ed assistenza finanziaria alle imprese in questione, mentre a volte le richieste di protezione sono sollecitate in partenza da queste ultime 66 . Nel 1901, ad esempio, la Breda ha goduto di ampie aperture di credito da parte della Banca Commerciale per la produzione di alcune locomotive ordinate dal governo rumeno, mentre la stessa azienda ottiene una commessa dalla Bulgaria per la produzione di materiale ferroviario nel 1912 67 . Ma il più importante e serio tentativo di espansione all’estero del capitalismo italiano resta la partecipazione al progetto di ferrovia transbalcanica Danubio-Adriatico, e la penetrazione in Montenegro, ad essa legata, da parte di un gruppo di imprenditori veneziani capeggiati dall’intraprendente Giuseppe Volpi. Le prime attività di quest’ultimo e dei suoi amici nei Balcani hanno riguardato lo 63 Cfr. Sori, op. cit. Cfr. Sori, op. cit.; Webster, op. cit. 65 Cfr. Sori, op. cit. 66 Cfr. Webster, op. cit. 67 Cfr. Webster, op. cit., pp. 190-91, 257. 64 sfruttamento di alcune miniere di zinco e di zolfo al confine fra Turchia e Bulgaria (alcune imprese italiane sorgono in quest’epoca nella penisola balcanica nel settore estrattivo e minerario); in seguito, grazie alle conoscenze di cui gode all’interno del mondo politico e di corte di Serbia e Montenegro, l’imprenditore veneziano è riuscito ad ottenere il monopolio dei tabacchi del piccolo principato balcanico, costituendo nel 1903 la Regia cointeressata dei tabacchi del Montenegro, con la partecipazione della Banca Commerciale con cui Volpi è in ottimi rapporti68 . L’interesse del gruppo veneziano alla penetrazione economica nel Paese va però oltre questa impresa, ed è legato all’eventualità della costruzione della ferrovia transbalcanica, di cui si parla ormai da qualche anno, ed alle prospettive di guadagno e di investimento che questa avrebbe comportato 69 . A questo proposito nasce sul finire del 1905 la Compagnia di Antivari, che vede tra i finanziatori, oltre a Volpi e i suoi amici, «il gotha finanziario e tecnico dell’Italia d’allora»70 , data la presenza della Commerciale, di rappresentanti dell’industria pesante come Orlando, Odero, Breda, di imprenditori e banchieri come Piaggio, Vonwiller, De Angeli, e di una schiera di altre note figure come Guglielmo Marconi, il giornalista e pubblicista Vico Mantegazza, ritenuto un esperto di questioni balcaniche, e alcuni deputati71 . Il rango dei partecipanti a questa impresa è indice delle reali possibilità di sviluppo che comporterebbe la costruzione della ferrovia, e il progetto della compagnia consiste nella costruzione di una serie di infrastrutture ad Antivari (l’odierna Bar), che la renderebbero poi appetibile come capolinea adriatico del futuro tronco ferroviario. Nel 1909 vengono così inaugurate dapprima una ferrovia dalla 68 Cfr. Webster, op. cit.; S. Romano, Giuseppe Volpi. Industria e finanza fra Giolitti e Mussolini, Milano, Bompiani, 1979; A. Tamborra, The rise of italian industry and the Balkans (1900-1914), in The journal of european economic history, 1974, pp. 87-120. 69 Cfr. Webster, op. cit.; Romano, op. cit.; Tamborra, The rise of italian op. cit. 70 Romano, op. cit., pag. 23. 71 Cfr. Tamborra, The rise of italian op. cit., pp. 103-04. città fino a Vir Bazar sul lago di Scutari (presso il quale viene poi istituito un servizio di traghetti), e in seguito il porto di Antivari, mentre lo stesso centro urbano viene ammodernato 72 . In quest’epoca la costruzione di ferrovie o di altre infrastrutture in Paesi ancora sforniti di esse costituisce uno dei mezzi più redditizi ed efficaci di espansione imperialista all’estero, dal momento che queste imprese, per la loro imponenza, implicano una lunga serie di possibilità di lavoro e spesso sono accompagnate dalla concessione di diritti di sfruttamento minerario o agricolo nelle zone che attraversano 73 . È quindi normale che le diplomazie europee si interessino direttamente a queste realizzazioni, ed è comprensibile il fermento che provoca ne l gennaio 1908 l’annuncio di Aehrenthal, ministro degli Esteri austroungarico, che il suo Paese ha chiesto ufficialmente alla Porta di poter iniziare gli studi per la costruzione del tratto ferroviario fra Uvac e Mitrovica, che completerebbe il collegamento fra Vienna e Salonicco 74 , all’interno di quel disegno espansivo delle potenze centrali, il cosiddetto Drang nach osten, di cui si parla spesso in questi anni (la Germania infatti è contemporaneamente impegnata, con un certo successo, nell’espansione all’interno delle provincie asiatiche dell’Impero ottomano) 75 . La Serbia reagisce poco tempo dopo con un’analoga richiesta alla Turchia, appoggiata da Francia, Russia e Italia, riguardo alla ferrovia Danubio-Adriatico, che le permetterebbe, una volta realizzata, di commerciare i suoi prodotti più liberamente, senza dover necessariamente passare attraverso i territori austriaci ed i porti di Trieste e Fiume. La linea ferroviaria dovrebbe trovare uno sbocco costiero nel nord dell’Albania, dove i serbi tra l’altro coltivano mire 72 Cfr. Webster, op. cit.; Romano, op. cit. Cfr. Webster, op. cit. 74 Cfr. Torre, op. cit.; A. De Bosdari, Delle guerre balcaniche della Grande Guerra e di alcuni fatti precedenti ad esse, Milano, Mondadori, 1927, pp. 11-15; Albertini, Le origini della guerra op. cit., pag. 206, che ipotizza che l’improvviso annuncio riguardante la ferrovia possa essere una mossa di Aehrenthal per dare poi maggior valore al futuro ritiro dal sangiaccato, quando l’Austria procederà qualche mese più tardi all’annessione della Bosnia. 75 Cfr. Webster, op. cit. 73 di annessione, ma ciò non interferisce con le speranze di Volpi, dal momento che parte del traffico potrebbe essere incanalato da Scutari, presso cui passerebbe la ferrovia, verso Antivari, grazie al servizio di navigazione sul lago e alla linea di Vir Bazar 76 . Il governo italiano è ovviamente interessato alle sorti della compagnia (Giolitti tra l’altro è in stretti rapporti con la Commerciale, di cui Volpi diventerà una delle figure più importanti), dal momento che la sua penetrazione nel principato se da un lato crea malumore tra l’orgogliosa e patriottica popolazione montenegrina 77 , dall’altro non è certo gradita all’Austria, che in seguito al trattato di Berlino gode di influenza e privilegi in Montenegro, contrastati soltanto dai sentimenti filorussi degli abitanti. Tittoni promette quindi appoggi e sovvenzioni statali alla compagnia, che per il momento non ha dato ancora alcun profitto e versa in difficoltà finanziarie, in cambio dell’assicurazione che la società resterà in ogni eventualità in mani italiane e non sarà ceduta in nessun caso ad investitori stranieri78 . Intanto il governo appoggia diplomaticamente le iniziative serbe per la ferrovia transbalcanica, che una volta realizzata aumenterebbe notevolmente, a scapito dell’Austria, il valore dell’Italia come partner commerciale di Serbia e Romania, e determinerebbe lo sviluppo dei porti adriatici di Ancona, Bari, Brindisi, la rinascita dell’amata Venezia di Volpi e la crescita delle linee di navigazione italiane nell’Adriatico, dove ora spadroneggiano le compagnie austriache mentre l’italiana Puglia è in perenne difficoltà, nonostante i sussidi statali che riceve 79 . Durante i negoziati che si svolgono a Parigi con esponenti francesi, russi e serbi riguardo al progetto ferroviario, l’Italia è rappresentata da Bonaldo Stringher, direttore generale della Banca d’Italia, che viene anche incaricato da 76 Cfr. Webster, op. cit. Cfr. Webster, op. cit. 78 Cfr. Webster, op. cit., pag. 392. 79 Cfr. Webster, op. cit. 77 Tittoni di trovare i finanziatori italiani per la società che, secondo gli accordi raggiunti a Parigi, nascerà con la partecipazione di capitale italiano. In realtà il risultato dei negoziati vede i francesi ritagliarsi un ruolo preponderante nell’impresa, in virtù della loro grande potenza finanziaria e della posizione consolidata che hanno da tempo raggiunto a Costantinopoli 80 . Nei mesi seguenti si definisce la partecipazione al gruppo italiano che entrerà nella società, con ripetuti ma inutili tentativi di Volpi presso Stringher per assicurare una posizione di forza alle sue società italo- montenegrine, e ancora una volta sono presenti nell’impresa le forze migliori del capitalismo nazionale, a partire dalle quattro maggiori banche d’investimento del Paese81 . Il progetto internazionale per la linea Danubio-Adriatico conosce però una battuta d’arresto con la rivoluzione dei giovani turchi, che sembrano intenzionati a porre molte più resistenze alla penetrazione imperialista europea nell’Impero ottomano; il disegno ferroviario appoggiato dall’Italia languisce negli anni seguenti, durante i quali emergono inoltre nuove difficoltà, e così si ritornerà a parlare di ferrovie transbalcaniche solo nel 1913, nei negoziati di Parigi che si svolgono per regolare le questioni finanziarie sollevate dalle guerre balcaniche 82 . Questo episodio fornisce insieme ad altri la prova, secondo Webster, della spinta imperialistica dell’industria italiana, cresciuta in maniera squilibrata e bisognosa, dopo la crisi di sovrapproduzione degli anni 1906-7, di reperire nuovi mercati e nuove possibilità di crescita. Questi interessi porterebbero ad una viva rivalità con gli imperi centrali, mentre si accorderebbero meglio con quelli di Francia ed Inghilterra, ed in questo senso influiscono sulla politica estera italiana coll’inevitabile risultato del cambio di alleanze che si avrà poi durante la guerra mondiale; se tutte queste iniziative espansionistiche dell’industria italiana falliscono, le cause, secondo 80 Cfr. Webster, op. cit. Cfr. Webster, op. cit.; Tamborra, The rise of italian op. cit. 82 Cfr. Webster, op. cit. 81 Webster, vanno individuate nella inadeguatezza delle risorse finanziarie della penisola e nella debolezza diplomatica del Paese 83 . Questa tesi non è condivisa da Vigezzi, che conclude che nella rivalità fra Italia ed Austria negli anni antecedenti la guerra i contrasti economici hanno un peso minore rispetto ad altre questioni84 , e da Bosworth, che ritiene che l’attiva politica estera italiana negli stessi anni scaturisca non da spinte economiche, bensì dall’esigenza per la nazione di comportarsi da grande potenza quale ritiene di essere, e di inserirsi così nelle iniziative espansionistiche di quegli Stati che sono grandi potenze anche sul piano economico 85 . Lo storico australiano porta a sostegno della sua tesi l’esempio di un’iniziativa in Albania, condotta da un certo Vismara, che, come tante altre, si rivelerà un caso di speculazione e non porterà ad alcun risultato concreto 86 . Questo ingegnere bolognese, dopo il 1908, entra in contatto e riesce a stringere buone relazioni personali con un’importante famiglia di notabili albanesi di Valona, per cercare di ottenere una concessione per lo sfruttamento delle foreste del Paese, coltivando ambiziosi piani di costruzioni ferroviarie e bonifiche nei territori interessati87 . In seguito Vismara sposta le sue attenzioni su alcune foreste del nord dell’Albania, nella regione dei mirditi, dove l’influenza austriaca è considerevole, mentre intanto il ministero degli Esteri italiano, viste le possibilità che aprirebbe l’eventuale concessione forestale in un Paese così importante per la politica estera italiana, ha incominciato ad interessarsi alla faccenda. Con la nomina di Antonino Di San Giuliano alla Consulta nel 1910, gli appoggi e i fondi statali no n mancano a Vismara, impegnato nel frattempo nelle trattative con il capo dei mirditi Prenk Bib 83 Cfr. Webster, op. cit. Cfr. B. Vigezzi, La politica estera italiana e il problema dell’Austria-Ungheria (1912-1914), in B. Vigezzi, Da Giolitti a Salandra, Firenze, Vallecchi, 1969, pp. 3-52. 85 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit.; R. J. B. Bosworth, The albanian forest of signor Giacomo Vismara: a case study of italian economic imperialism during the foreign ministry of Antonino Di San Giuliano, in The Historical Journal, XVIII, 3 (1975), pp. 571-86. 86 Cfr. Bosworth, The albanian forest op. cit. 87 Cfr. Webster, op. cit., pp. 554-57. 84 Doda. Quest’ultimo aumenta continuamente le sue richieste, affermando di ricevere simili offerte da Francia ed Austria, mentre la Turchia pone anch’essa varie difficoltà 88 ; San Giuliano così nei mesi seguenti si trova spesso a dover chiedere nuovi stanziamenti di denaro per favorire il successo dell’impresa di Vismara, dietro il quale ci sono ora investitori di tutto rispetto, e spesso si deve scontrare con le rimostranze del ministro del Tesoro Tedesco o coi rifiuti dello stesso Giolitti, tornato al governo nel 1911, e a poco valgono le osservazioni sul valore nazionale degli interessi rappresentati da Vismara 89 . La vicenda si trascina per mesi, e nonostante l’appoggio del governo non porterà a nulla di concreto fino allo scoppio della Grande Guerra. Si deduce quindi dall’esito quasi sempre fallimentare di iniziative come queste quanto siano velleitarie le aspirazioni delle classi dirigenti dell’epoca, e come manchino le basi industriali e finanziarie, nonostante gli indubbi e notevoli progressi compiuti in questi anni dal Paese, per una politica di espansione imperialistica da grande potenza 90 . La maggioranza dell’opinione pubblica di allora non condivide però questa idea, e sulla spinta della continua crescita economica e civile avutasi dopo la crisi di fine secolo sono ora in molti a pensare che l’Italia non sia abbastanza considerata dalle altre nazioni, e che il Paese debba conquistarsi sulla scena internazionale un ruolo adeguato, visto lo sviluppo e la relativa prosperità interna raggiunti in questi anni 91 . La questione delle ferrovie balcaniche si aggiunge dunque in quest’epoca ai già numerosi elementi di rivalità fra Italia ed Austria; in realtà si tratta di un episodio che si inserisce all’interno del loro antagonismo nei Balcani e che dimostra una volta ancora la divergenza e l’inconciliabilità dei loro interessi nella regione. Da un lato l’Austria mira 88 Cfr. Bosworth, The albanian forest op. cit.; Webster, op. cit. Cfr. Bosworth, The albanian forest op.cit. 90 Cfr. Bosworth, The albanian forest op. cit.; Bosworth, La politica estera op. cit. 91 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit.; Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit. 89 all’egemonia nella penisola e non è disposta a tollerare un eccessivo rafforzamento degli Stati slavi indipendenti, che potrebbero, una volta cresciuti, attentare all’integrità territoriale dell’impero, all’interno del quale vivono sloveni, croati, e numerosi serbi; l’Italia invece vede di buon occhio lo sviluppo di queste nazioni, che può aprire interessanti prospettive economiche attraverso l’Adriatico, e che soprattutto costituisce un fattore di stabilizzazione e di equilibrio nella regione in quanto si oppone all’espansione austriaca verso l’Egeo, eventualità che l’Italia potrebbe accettare solo in cambio della cessione dei territori italiani della duplice monarchia, anche se nel Paese incomincia ad esserci chi non si accontenterebbe neanche di questo compenso, ritenendolo insufficiente. Nel luglio 1908 trionfa la rivoluzione dei giovani turchi nell’Impero ottomano ed il sultano è costretto a concedere la costituzione; si tratta dell’ennesimo tentativo di modernizzazione per salvaguardare l’esistenza dell’impero, e come tale viene favorevolmente accolto dall’opinione pubblica europea, che vede generalmente in esso un movimento di ispirazione liberale. Le parole d’ordine dei giovani turchi, che promettono uguaglianza per tutte le etnie dell’impero in nome della comune cittadinanza ottomana, e rappresentanza in parlamento per ognuna di esse, sono inizialmente bene accolte dai cristiani e dalla maggioranza degli albanesi92 , mentre la volontà dei nuovi governanti di difendere l’integrità dello Stato dalle ingerenze straniere conduce alla fine delle riforme macedoni ed al rallentamento dei progetti ferroviari nella penisola balcanica 93 . L’ascesa al potere del comitato Unione e Progresso ha un peso non irrilevante nell’affrettare la decisione austriaca di annettersi la Bosnia-Erzegovina, provincia che la duplice monarchia amministra dal 1878 ma che formalmente è ancora sotto la sovranità della Porta; infatti l’intenzione dei giovani turchi di difendere più 92 93 Cfr. Skendi, op. cit. Cfr. Torre, op. cit. vigorosamente i diritti dell’impero dinanzi alle potenze europee, insieme all’entusiasmo dei musulmani bosniaci, potrebbero in futuro creare problemi nella regione, e inoltre il naturale stato di confusione ed incertezza in cui si trova la Turchia dopo un cambiamento di tale portata suggerisce che il momento può essere opportuno per risolvere la questione 94 . In realtà il motivo principale che consiglia da tempo l’annessione della regione è il problema sud-slavo all’interno dell’Austria. Infatti la Bosnia, abitata da serbi, croati e slavi musulmani, è da sempre considerata da Belgrado una terra irredenta, e fra l’altro da qui provengono importanti figure del risorgimento nazionale 95 . Fino a che la provincia rimanesse soltanto amministrata dall’Austria, ma sotto la sovranità, seppur meramente formale, del sultano, la Serbia continuerebbe a tenere gli occhi ben fissi sulla regione e a coltivare speranze di ingrandimento territoriale a nord 96 , ancor più da quando la sanguinosa rivoluzione del 1903, che ha inorridito l’Europa 97 , ha riportato sul trono la dinastia dei Karadjordjevic e ha inaugurato una serie di governi capeggiati dai radicali, aprendo la via ad una politica d’ispirazione liberale, russofila ed antiaustriaca, come hanno già dimostrato le questioni delle ferrovie e dell’unione doganale con la Bulgaria 98 . Il progetto di Aehrenthal consiste quindi nel consolidare i confini meridionali dell’impero e nel renderli più sicuri, annettendosi la Bosnia e spezzando così i sogni irredentistici dei serbi, e nel contempo abbandonando il sangiaccato di Novi Bazar, nel quale, in seguito al trattato di Berlino, l’Austria-Ungheria ha diritto a mantenere guarnigioni militari, circostanza questa che secondo Aehrenthal comporta più oneri che vantaggi 99 . L’annessione è 94 Cfr. Torre, op. cit., pp. 278-79. Cfr. Jelavich, op. cit.; Albertini, Le origini della guerra op. cit. 96 Cfr. Torre, op. cit. 97 L’orrore dell’Europa è stato causato dall’uccisione all’interno del palazzo reale del re, della regina, del capo del governo e di alcuni cortigiani. La Gran Bretagna, ad esempio, non ha riconosciuto la nuova dinastia fino al 1906 (cfr. Jelavich, op. cit., pag. 191). 98 Cfr. Jelavich, op. cit. 99 Cfr. Torre, op. cit.; Albertini, Le origini della guerra op. cit. 95 annunciata ai primi di ottobre, contemporaneamente alla proclamazione di piena indipendenza della Bulgaria, che fino ad ora è rimasta anch’essa sotto la sovranità formale del sultano, e subito provoca grande fermento nelle cancellerie europee, soprattutto in Russia e in Italia, che sono state informate nelle settimane precedenti dell’intenzione austriaca, ma in modo tale da ritenere che l’annessione non fosse imminente 100 . Inizia così una grossa crisi europea, con la Serbia che reclama compensi ed esprime sentimenti bellicosi, con la Russia che vede danneggiato il suo prestigio e che è spinta dall’influenza dei panslavisti ad appoggiare le rimostranze serbe, mentre anche in Italia l’opinione pubblica è in subbuglio e ad aggravare la situazione contribuisce l’ingenuo ed avventato discorso tenuto da Tittoni il giorno stesso dell’annessione, nel quale il ministro tranquillizza il Paese affermando che l’Italia non si farà cogliere impreparata dagli eventi, poiché si è già premunita affinché l’equilibrio nella regione non sia mutato a suo svantaggio e non siano danneggiati i suoi interessi101 . Con queste dichiarazioni Tittoni fa credere involo ntariamente all’opinione pubblica che esiste la possibilità di compensi territoriali, e quando in Italia si tocca questo argomento si finisce sempre per pensare a Trento e Trieste. È facile prevedere la delusione del Paese quando si viene a sapere che i tanto desiderati compensi consistono solamente nel ritiro austriaco dal sangiaccato e nell’abolizione di un altro articolo del trattato di Berlino, che assegna all’Austria l’esercizio delle operazioni di polizia marittima sulle coste montenegrine, circostanza questa che inficia la piena indipendenza del piccolo principato 102 . La situazione in Italia si infiamma così ulteriormente e la posizione di Tittoni si fa difficile, mentre riprende vigore l’irredentismo e viene messa in dubbio da più parti l’utilità della permanenza nella Triplice, e non solo da quelle forze politiche 100 Cfr. Torre, op. cit. Cfr. Torre, op. cit., pp. 311-12. 102 Cfr. Torre, op. cit. 101 tradizionalmente ostili ad essa 103 . L’Italia si sente ferita nell’orgoglio, non considerata adeguatamente dalle altre potenze, mentre per l’inettitudine dei governanti non le viene riconosciuto un ruolo consono al suo rango. Queste sono le convinzioni più diffuse tra l’opinione pubblica liberale e conservatrice, che trova un capro espiatorio in Tittoni, attaccato da più parti, e non risparmia accuse allo stesso Giolitti e alla sua politica, tutta tesa allo sviluppo interno del Paese fino al punto di trascurare la posizione all’estero della nazione, con un esempio di ciò nell’opposizione del governo all’aumento delle spese militari, che toglierebbe risorse per le riforme interne e porterebbe allo scontro politico coi socialisti104 . Quest’ultimo provvedimento diventerà poi realtà nel giugno 1909, a crisi ormai sciolta, appoggiato per la prima volta anche dai radicali 105 , e salutato dai suoi sostenitori come l’unico mezzo che, migliorando la situazione militare del Paese, lo potrà finalmente rendere abbastanza forte da far sentire le sue ragioni nell’agone internazionale. Nell’insieme delle voci che si levano quasi compatte nei giorni seguenti l’annessione lamentando il danno per il prestigio italiano, un’importante eccezione, che per altro è tale solo in parte, è quella del Corriere della sera e del suo direttore, Luigi Albertini, che non si associano alla campagna d’opinione antiaustriaca, ma ritengono che l’Austria con questa mossa stia rinunciando a più ambiziosi disegni d’espansione 106 . Non diverso sarà il giudizio dell’Albertini storico, che scriverà in maniera negativa dell’operato di Aehrenthal, il quale ritirandosi dal sangiaccato interrompe la marcia verso Salonicco, mentre annettendosi la Bosnia spezza definitivamente l’intesa con la Russia e riaccende l’odio dei serbi verso l’impero107 . 103 Cfr. Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit. Cfr. Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit. 105 Cfr. E. Decleva, I partiti popolari e la Triplice Alleanza: tra vecchie polemiche e nuove impostazioni (1900-1908), in Decleva, L’incerto alleato op. cit., pp. 145-70. 106 Cfr. L. Albertini, Epistolario. 1911-1926, a cura di O. Bariè, Vol. I, Milano, Mondadori, 1968, pag. XXII. 107 Cfr. Albertini, le origini della guerra op. cit., pag. 375. 104 Intanto Tittoni, caduta l’ipotesi di una conferenza internazionale per discutere le modificazioni al trattato di Berlino, sta cercando in ogni modo di ottenere qualcosa dall’Austria per salvare la sua difficile posizione, ma sia le pressioni per l’istituzione di un’università italiana a Trieste o Trento, sia la richiesta di una piccola rettifica di confine per la cessione all’Italia delle rovine di Aquileia, non conducono a nulla di concreto, e a niente servono le ingenue “minacce” di Tittoni riguardo all’eventualità di un cambio radicale di indirizzo di politica estera in caso di suo allontanamento dalla Consulta 108 . Risolta la crisi nei primi mesi dell’anno seguente, grazie al pieno appoggio della Germania alla sua alleata ed alla conseguente rinuncia russa e serba ad ulteriori rimostranze, in definitiva la questione dell’annessione ha peggiorato i rapporti dell’Italia con l’Austria e ha rafforzato la posizione di chi pensa che il Paese non sia abbastanza considerato all’estero per la sua debolezza militare, e per l’incapacità di politici e diplomatici di difenderne e promuoverne adeguatamente gli interessi. A livello internazionale, invece, l’intesa austro-russa, già minata del resto dalla questione ferroviaria di qualche mese prima, esce irrimediabilmente compromessa, e difficilmente si potrà in futuro assistere ad una nuova Murzsteg, tale è stato il contraccolpo per il prestigio russo, mentre il problema dei rapporti tra Austria e Serbia è solamente rinviato 109 . È abbastanza comprensibile che le due potenze più danneggiate dall’annessione, vale a dire Russia e Italia, cerchino nei mesi seguenti un riavvicinamento, anche se Tittoni cerca nello stesso tempo un’intesa con l’Austria che lo salvaguardi da nuove sorprese, in particolare da un accordo austro-russo che escluda l’Italia e da una nuova espansione austriaca verso l’Egeo 110 . La prima operazione ad andare in porto è quella con la Russia, 108 Cfr. Torre, op. cit., pp. 314-34. Cfr. Albertini, Le origini della guerra op. cit. 110 Cfr. Torre, op. cit.; Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit. 109 in occasione della visita dello zar ai sovrani italiani nell’ottobre 1909, con uno scambio di lettere tra Tittoni ed Iswolski che sancisce l’impegno per la conservazione dello status quo nei Balcani, una politica in favore del principio di nazionalità nel caso che alcune modifiche diventino necessarie, e l’obbligo a non concludere intese separate per l’Oriente europeo con una terza potenza senza la partecipazione di entrambe. Inoltre Russia e Italia si impegnano a considerare benevolmente i rispettivi interessi nella questione degli stretti e nella regione nordafricana 111 . Poco dopo giungono a conclusione anche le trattative con l’Austria, dopo che Tittoni ha assicurato Aehrenthal che non esistono accordi scritti con la Russia, e con uno scambio di note nel mese di dicembre, quando nel frattempo alla Consulta si trova Guicciardini, l’Austria riconosce che in caso di ripensamento e di nuova occupazione del sangiaccato si sarebbe applicato l’articolo VII della Triplice Alleanza; inoltre le due potenze si impegnano a non sottoscrivere accordi balcanici con una terza potenza senza la partecipazione dell’altra 112 . I due accordi, i quali sono stati conclusi col pieno appoggio del re e di Giolitti, e le cui trattative si sono svolte praticamente in contemporanea, sono chiaramente in contraddizione l’uno con l’altro, anche se va detto che Tittoni inizialmente pensa, forse, ad un accordo a tre fra le potenze maggiormente interessate nei Balcani, e quando questo si rivela impossibile ripiega sulle intese separate113 . D’altronde questi artifici diplomatici sono un mezzo di cui l’ultima delle grandi potenze, per dirla con Bosworth, non può fare a meno, se vuole sedere alla pari con le altre nazioni nel concerto europeo a dispetto del gap che la separa ancora da queste. Simili episodi, quando vengono scoperti, conducono alle solite accuse di machiavellismo, quasi che questo faccia parte del codice genetico italico, ispirano nel 111 Cfr. Torre, op. cit., pp. 347-48. Cfr. Torre, op. cit., pp. 348-49. 113 Cfr. Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit. 112 mondo diplomatico facili battute sugli italiani, e in generale diminuiscono la fiducia degli altri Stati nell’Italia, ma resta il fatto che i diplomatici della penisola sono quasi costretti a comportarsi in questo modo, per “ritagliare” al proprio Paese possibilità che altrimenti non avrebbe dinanzi alla concorrenza di ben più forti rivali 114 . Intanto la politica seguita dai giovani turchi produce importanti conseguenze nella regione balcanica di maggior interesse per l’Italia, l’Albania, i cui notabili più influenti, ma non tutti, hanno appoggiato il colpo di stato del comitato Unione e Progresso, il cui programma di garanzie costituzionali e rappresentanza in parlamento per tutte le etnie dell’impero non poteva non incontrare il favore dei nazionalisti albanesi115 . Le speranze di questi sono però presto deluse dall’atteggiamento del governo, che nei mesi seguenti, dopo che le elezioni, viziate da numerose irregolarità, hanno visto la vittoria della corrente più nazionalista dei giovani turchi, segue una politica centralista che lascia poco spazio alle manifestazioni di esistenza di un’autonoma cultura albanese e che, soprattutto, cerca di smantellare l’insieme di privilegi secolari di cui hanno sempre goduto le popolazioni di queste regioni 116 . A partire dal 1909 si susseguono rivolte e insurrezioni nei confronti del potere centrale, che fanno in questi anni dell’Albania una fonte perenne di complicazioni per la Porta e destano ovviamente l’attenzione di Italia ed Austria, sempre timorose che dietro questi episodi vi sia la mano della rivale. 117 Le rivolte nascono in regioni diverse ed anche quando si diffondono in tutto il Paese vi è scarso collegamento fra i centri insurrezionali, nonostante l’impegno dei capi più illuminati; si assiste spesso a voltafaccia e cambi di sponda, e le richieste degli insorti variano da luogo a luogo, anche se fra esse si ritrovano diversi punti in comune 118 . 114 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. Cfr. Skendi, op. cit. 116 Cfr. Skendi, op. cit. 117 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. 118 Cfr. Skendi, op. cit. 115 Quasi sempre, tranne qualche eccezione fra le tribù cattoliche del nord, gli albanesi non lottano per l’indipendenza dalla Porta, essendo forse consci della loro immaturità ed incapacità a governarsi, ma si battono per il riconoscimento dei loro diritti e per l’autonomia all’interno dell’impero, del quale, dopo la lezione ricevuta al congresso di Berlino, temono l’eventuale crollo. Oltre all’opposizione a tasse eccessivamente gravose, e a rivendicazioni come quelle di essere autorizzati a tenere armi e di non dover prestare servizio militare al di fuori dell’Albania, che rappresentano l’attaccamento alle vantaggiose condizioni di cui hanno da sempre goduto gli albanesi in cambio della loro preziosa fedeltà alla Porta, fra le richieste più frequenti dei rivoltosi ve ne sono alcune che sono sintomo di un primo sviluppo di sentimento nazionale, come la libertà nella scelta dell’alfabeto, l’uso della lingua albanese nelle scuole governative, la nomina di funzionari locali esclusivamente albanesi, e infine, più importante di tutte, il riordino amministrativo della regione con l’unione dei vilayet di Scutari, Janina, Kosovo e Monastir (questi ultimi due abitati solo in parte da albanesi), che dovrà essere seguita dalla concessione dell’autonomia all’intera regione 119 . Questa politica viene perseguita dai capi più lungimiranti, a partire dal più noto di essi, Ismail Kemal, e sorge dalla consapevolezza che l’avvenire del Paese è meglio garantito sotto la sovranità del sultano, ma che questa potrebbe durare non per molto nelle provincie europee dell’impero, mentre intanto l’autonomia rappresenta il riconoscimento dell’esistenza della nazione albanese, esistenza che slavi ed elleni, le cui mire su queste regioni sono ben note, difficilmente sarebbero disposti a riconoscere in caso di crollo della Turchia 120 . Tuttavia le differenze locali, oltre a quelle di carattere religioso, che i turchi tendono ad approfondire e su cui cercano di far leva a proprio vantaggio, restano 119 120 Cfr. Skendi, op. cit. Cfr. Skendi, op. cit. ostacoli insormontabili, insieme alla profonda arretratezza del Paese, per lo sviluppo di un’autentica coscienza nazionale, che permetta, il giorno ritenuto non lontano della fine dell’impero ottomano, l’esistenza dell’Albania come Stato indipendente in grado di reggersi con le proprie forze 121 . Nel 1909 si ribellano gli albanesi di Kosovo, musulmani tradizionalmente tra i fedelissimi del sultano (si sono infatti opposti ai giovani turchi fin dal loro colpo di stato), e che sono guidati dall’autorevole Isa Boletinac 122 . L’anno seguente la lotta contro il potere centrale è localizzata nel nord del Paese, e dopo la dura repressione turca si assiste allo sconfinamento di profughi e ribelli in Montenegro, con re Nicola che, offrendo il proprio aiuto agli insorti, si propone come mediatore, aspirando probabilmente a una rettifica di confine, se non a diventare sovrano di un futuro principato albanese indipendente; nel 1911 i fatti si ripetono seguendo lo stesso schema, anche se ora la rivolta raggiunge dimensioni maggiori ed episodi di guerriglia si registrano anche nel sud del Paese 123 . Re Nicola continua ad aspirare ad un ruolo di primo piano nella questione albanese e, appoggiato dalla Russia, che vede probabilmente di buon occhio una politica di amicizia fra slavi e schipetari, continua ad accogliere i capi ribelli rifornendoli, con un gravoso sforzo per le finanze del piccolo regno, di armi e denaro, salvo poi fare appello alle grandi potenze, dopo essersi dichiarato neutrale, affinché intervengano presso la Porta 124 . L’insurrezione del 1911 termina anche grazie alle pressioni dell’Austria sulla Turchia, che accoglie la maggior parte delle richieste albanesi; l’intervento austriaco è motivato dalla durezza della repressione turca sui ribelli cattolici, su cui l’Austria vanta diritti di protezione 125 . 121 Cfr. Skendi, op. cit. Cfr. Skendi, op. cit.; A. Biagini, Storia dell’Albania dalle origini ai giorni nostri, Milano, Bompiani, 1998. 123 Cfr. Skendi, op. cit.; Biagini, Storia dell’Albania op. cit. 124 Cfr. Skendi, op. cit.; Biagini, Storia dell’Albania op. cit.; Biagini, Momenti di storia balcanica (18781914). Aspetti militari, Roma, Ufficio storico S.M.E., 1981. 125 Cfr. Skendi, op. cit.; Biagini, Storia dell’Albania op. cit. 122 Anche l’Italia, ovviamente, segue da vicino gli avvenimenti d’oltre Adriatico: l’opinione pubblica guarda con simpatia le rivolte degli albanesi, soprattutto negli ambienti repubblicani ed irredentisti, che vedono in esse la lotta di un popolo per l’indipendenza nazionale 126 , e naturalmente anche gli albanofoni italiani sono schierati idealmente con la popolazione della loro antica patria. Già alcuni anni prima, nel 1903, era maturata fra alcuni di essi l’idea di una spedizione in Albania di volontari, ed erano stati allacciati contatti con circoli irredentisti, repubblicani e mazziniani, e con il generale Ricciotti Garibaldi, distintosi nella guerra greco-turca del 1897 a capo delle camicie rosse. Allora non se ne fece niente, ma Garibaldi fondò l’anno seguente il Consiglio albanese d’Italia, continuando a seguire attentamente lo sviluppo della situazione in Albania 127 . Ora sembra giunto il momento propizio per una spedizione e i preparativi giungono a buon punto, con migliaia di volontari pronti ad imbarcarsi, mentre alcuni italo-albanesi giungono già sui luoghi della rivolta. Fra essi si distingue Terenzio Tocci (Terenc Toci), un avvocato che ritroviamo nel 1912 come fondatore e direttore del periodico La rivista dei Balcani, che difenderà la causa albanese all’interno di un progetto di confederazione balcanica; Tocci riesce a mettersi a capo dell’insurrezione di alcune tribù del nord, fra i montanari della Mirdizia, e qui proclama in aprile l’indipendenza dell’Albania, ponendosi alla guida di un governo provvisorio e confidando nell’arrivo di Ricciotti Garibaldi e dei suoi volontari128 . Intanto però, mentre in Italia sorgono numerosi comitati pro Albania, soprattutto ad opera dei mazziniani, e si forma anche, per iniziativa di alcuni deputati di diversa appartenenza politica, un 126 Cfr. Biagini, Storia dell’Albania op. cit.; E. Lodolini, Mediterraneo, Adriatico, intervento, nella politica del Partito Mazziniano Italiano (1900-1918), in Rassegna storica del Risorgimento, 1951, pp. 473-86. 127 Cfr. Skendi, op. cit. 128 Cfr. Skendi. op. cit.; A. Tamborra, Michail A. Osorgin: un “testimone della storia” da Roma ai Balcani ai primi del Novecento, in Rassegna storica del Risorgimento, ottobre-dicembre 1991, pp. 46166; F. Guida, Ricciotti Garibaldi e il movimento nazionale albanese, in Archivio storico italiano, 1981, pp. 126-38. comitato parlamentare, la voce dell’iniziativa garibaldina si è sparsa ed è giunta anche all’estero, provocando subito l’irritazione e le proteste dell’Austria. Tutto ciò fa temere complicazioni al governo italiano e al ministro degli Esteri Antonino di San Giuliano, insediatosi alla Consulta con Luzzatti e confermato da Giolitti nel marzo 1911, il quale fa dichiarare ufficialmente, tramite l’agenzia Stefani, che il governo italiano impedirà la partenza dei volontari, e istruzioni in questo senso vengono date a tutti i prefetti129 . La progettata spedizione così si arena, e il velleitario tentativo di Tocci ha breve durata. Nei mesi seguenti si assisterà poi ad uno scambio di accuse incrociato fra le diverse componenti della mancata impresa riguardo alle responsabilità del fallimento: Ricciotti Garibaldi e Felice Albani, segretario del Partito Mazziniano Italiano, daranno vita ad una polemica che avrà anche strascichi giudiziari130 , mentre Anselmo Lorecchio, uno dei più autorevoli esponenti del movimento culturale e politico degli albanofoni, se la prenderà con l’eccessivo rumore che ha accompagnato la preparazione della spedizione, in particolare dopo l’iniziativa di alcuni politici e parlamentari che hanno costituito un comitato, rumore che ha costretto il governo a prendere scontati provvedimenti restrittivi per evitare complicazioni internazionali (la posizione di Lorecchio è quindi conciliante verso il governo) 131 . Come dimostra questo episodio la Consulta è allarmata dalle turbolenze albanesi, e teme, come sempre, che l’Austria ne possa approfittare per estendere la sua influenza sulle coste adriatiche, se non per intervenire direttamente; quest’ultima eventualità, se fosse accompagnata da acquisti territoriali da parte della duplice monarchia, potrebbe avere conseguenze incalcolabili per la stabilità del Paese, poiché sarebbe impossibile in tal caso controllare l’opinione pubblica, già 129 Cfr. Biagini, Momenti di storia op. cit.; Guida, Ricciotti Garibaldi op. cit.; Bosworth, La politica estera op. cit. pag. 244. 130 Cfr. Guida, Ricciotti Garibaldi op. cit. 131 Cfr. Lorecchio, art. cit. profondamente ferita nell’orgoglio dall’annessione della Bosnia qualche anno prima132 . Proprio per non compromettere le relazioni con l’Austria, con la quale del resto ha preso precisi impegni all’interno della Triplice e negli accordi per l’Albania a cavallo del secolo per il mantenimento dello status quo fino a che sarebbe stato possibile, l’Italia è costretta ad impedire la spedizione garibaldina e a farsi paladina dell’integrità dell’Impero ottomano. Nel giugno 1911, tuttavia, si corre il rischio di un grosso incidente diplomatico, quando San Giuliano, valutando erroneamente un rapporto da Durazzo eccessivamente allarmistico, decide di inviare una nave da guerra in quel porto, ma per sua fortuna Aehrenthal si dimostra conciliante nel riconoscere l’errore italiano 133 . San Giuliano, del resto, si è interessato all’Albania già negli anni passati, ancor prima di entrare nel corpo diplomatico, ed all’inizio del secolo sono state pubblicate sul Giornale d’Italia, quotidiano molto vicino a Sonnino, le sue Lettere sull’Albania, raccolte in un libro nel 1903, resoconto del suo viaggio al di là dell’Adriatico 134 . In quegli anni San Giuliano era un convinto espansionista, e sebbene abbia ammorbidito le sue posizioni una volta giunto alla Consulta, non parrebbe strano che tocchi proprio a lui, da ministro, intraprendere la guerra libica. In realtà a questo passo si giunge con molta cautela e, perlomeno da parte di Giolitti, senza eccessivo entusiasmo, nonostante l’eccitazione dell’opinione pubblica; l’elemento forse decisivo nell’affrettare una soluzione riguardo a questi territori, da tempo nell’orbita degli interessi e delle aspirazioni italiane, è lo stabilirsi del protettorato francese sul Marocco. L’Italia, in quanto grande potenza, non può, secondo i canoni dell’epoca, assistere inerte ad un cambiamento d’equilibrio nel Mediterraneo, ma soprattutto, visti gli accordi che ha 132 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. pag. 245. 134 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pp. 98-99. 133 stipulato con la Francia nel 1902, ritiene che sia giunto il momento di farli fruttare135 . L’impresa libica ha grosse conseguenze sul piano interno e contribuisce a minare la stabilità del sistema giolittiano: nel Paese pochi si oppongono alla guerra, mentre da più parti piovono critiche sul governo per la remissività e la debolezza con cui si conducono le operazioni, sia sotto l’aspetto militare che sotto quello diplomatico 136 . Nei primi giorni di guerra la flotta italiana si scontra con alcune unità turche al largo di Prevesa, nel mar Ionio; questa operazione provoca un’energica protesta dell’Austria, allarmata per le conseguenze che potrebbero esserci per la stabilità dei Balcani, e l’Italia si vede così costretta a garantire la neutralizzazione dell’Adriatico e dello Ionio 137 . In realtà l’interesse dell’Italia al mantenimento dello status quo balcanico è, in queste circostanze, non minore di quello austriaco; infatti il crollo dell’Impero ottomano sarebbe una grave responsabilità che cadrebbe sul Paese che per primo ha attentato all’integrità territoriale di esso, e inoltre, in tal caso, l’Italia si troverebbe con le mani legate dal suo impegno in nord Africa, mentre le altre potenze si potrebbero spartire i resti della Turchia senza che l’Italia possa ottenere qualcosa, visto che avrebbe potuto essere facilmente “zittita” con l’argomentazione che già le spettano Tripolitania e Cirenaica 138 . La caduta dell’Impero turco è ritenuta in questi anni prima o poi inevitabile, ma San Giuliano si augura che avvenga il più tardi possibile, quando l’Italia sarà più forte e preparata per far sentire la sua voce al momento della spartizione, che sicuramente non sarà una questione facile da risolvere, visti gli enormi interessi in gioco, e potrebbe anche causare una grande conflagrazione generale, quel confronto risolutivo nella gara delle nazioni di cui spesso si parla in questi anni. La preparazione a 135 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit.; Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit. Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit.; Decleva, Da Adua a Sarajevo op cit. 137 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pp. 194-95. 138 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. 136 questa eventualità, ossia il crollo dell’Impero ottomano, sarà uno dei punti fermi della politica estera di San Giuliano negli anni seguenti, mentre per ora ci si augura di porre termine il più presto possibile alla guerra con la Turchia, per non trovarsi appunto spiazzati di fronte ad eventuali sviluppi della situazione internazionale 139 . In particolare poi, l’Italia non ha alcun interesse a sommovimenti in una zona così importante per lei quale è la penisola balcanica: la preoccupazione maggiore è che, in tal caso, l’Austria possa avvantaggiarsi, magari annettendosi qualche territorio che le faciliti la marcia verso Salonicco, senza che l’Italia, impegnata in nord Africa, possa difendere adeguatamente i suoi interessi. Vi è il timore che in una situazione del genere la duplice monarchia possa interpretare in maniera restrittiva l’articolo VII della Triplice, quello relativo ai Balcani, e considerare la sua alleata già adeguatamente compensata dalla annessione della Libia 140 . Ciò sarebbe deleterio per il prestigio della nazione e segnerebbe la fine di un’alleanza già poco popolare nel Paese, con conseguenze molto gravi, se è vera la formula «o nemici o alleati» 141 con cui Bosworth si riferisce ai rapporti italo-austriaci; le implicazioni di ciò sono ben note anche alla Consulta, dove si è consci dei numerosi interessi divergenti fra i due Stati e della scarsa popolarità dell’alleanza nei rispettivi Paesi142 . La riapertura della questione d’Oriente potrebbe anche portare alla convocazione di una conferenza europea, dove magari verrebbe discussa e sottoposta all’approvazione delle altre potenze, con tutti i rischi conseguenti, l’annessione della Libia, se l’Italia non avrà allora già concluso positivamente il conflitto con la Sublime Porta. Il governo italiano, quindi, durante i mesi di guerra, non presta ascolto alle avances che gli giungono dagli Stati balcanici, in particolare e con 139 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. 141 Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 254. 142 Cfr. Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit. 140 maggiore insistenza dal Montenegro, eccitati dal fatto che una grande potenza sia in guerra col loro nemico di sempre, la Turchia, a dispetto dell’impegno a favore dell’integrità dell’Impero ottomano che il concerto europeo sostiene da anni. L’Italia predica loro, per mezzo dei suoi diplomatici, moderazione e prudenza, consigliandoli di astenersi da azioni provocatorie verso i turchi143 . D’altra parte, proprio in questo periodo, gli Stati balcanici portano avanti e concludono le trattative per quell’insieme di alleanze che condurrà poi alla Prima Guerra Balcanica. Mentre anche in Macedonia sono subentrati fra le popolazioni cristiane, dopo le iniziali speranze, delusione e malcontento per la politica centralizzatrice e repressiva dei giovani turchi e per la mancata attuazione delle promesse da essi fatte, ed è pertanto ripresa l’attività terroristica144 , la regione più turbolenta dei Balcani, nel 1912, continua ad essere l’Albania. Puntualmente con l’arrivo della primavera, come succede ormai da qualche anno, riprende la lotta per l’autonomia, che parte ancora una volta dal Kosovo e vede uniti contro la politica panturca del governo musulmani e cristiani, anche se i progressi fatti nel tentativo di dare unità e coordinazione al movimento nazionale non sono ancora sufficienti per poter considerare soddisfacente da questo punto di vista la situazione generale 145 . La rivolta si espande rapidamente in tutto il Paese, con i leaders dei diversi centri insurrezionali che formulano richieste che equivalgono in pratica alla concessione dell’autonomia a tutta l’Albania 146 . Ancora una volta viene inviato l’esercito per sopprimere l’insurrezione, però questa volta ufficiali e soldati, e non solo quelli di etnia albanese, disertano in massa e solidarizzano con gli insorti, augurandosi la caduta del governo, lo scioglimento del parlamento attuale, e riforme 143 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pp. 209, 245, 387; Helmreich, op. cit., pp. 84-85; Dogo, Questione albanese op. cit., pp. 101-102; De Bosdari, op. cit., pp. 64-65. 144 Cfr. Helmreich, op. cit. 145 Cfr. Skendi, op. cit. 146 Cfr. Skendi, op. cit. nell’amministrazione, ma senza arrivare a condividere le richieste di autonomia degli schipetari147 ; e proprio i fatti d’Albania sono, insieme al cattivo andamento della guerra con l’Italia, fra le cause del cambio di governo ad Istanbul, dove il 23 luglio si insedia un nuovo gabinetto che ha in programma il raggiungimento della pace con gli albanesi, un passo divenuto necessario per la salvezza dell’impero, già indebolito dal conflitto con l’Italia, mentre le voci della stipulazione di un’alleanza balcanica per la conquista della Turchia europea diventano ogni giorno più insistenti. Gli albanesi, intanto, continuano la loro lotta, anche se alcuni capi sembrano accontentarsi della caduta dei giovani turchi, e controllano ormai diverse zone del Paese, arrivando infine ad occupare Uskub il 12 agosto. La Porta sembra ora intenzionata ad accettare la maggior parte delle richieste, anche se le trattative proseguono e l’accettazione definitiva arriva solo il 4 settembre 148 . Gli Stati balcanici, che stanno preparando la guerra, seguono ovviamente gli eventi con vivo interesse: il Montenegro prosegue nella sua tradizionale politica di sostegno ai malissori, giustificandosi davanti alle potenze con l’argomentazione che gli scontri con la Turchia sono dovuti all’irregolare delimitazione della frontiera, che necessiterebbe di alcune rettifiche 149 ; la Serbia, se da un lato sembra guardare benevolmente le rivolte albanesi, avendo tutto l’interesse alla persistenza di una situazione di disordine politico, anche per saggiare la reazione delle grandi potenze 150 , d’altra parte sarebbe danneggiata, e lo stesso discorso vale per la Bulgaria, dalla conclusione della pace fra il governo turco e gli albanesi, soprattutto se questa porterà con sé, finalmente, la costituzione di un’Albania autonoma comprendente anche i vilayet di Uskub e Monastir, etnicamente misti e popolati da numerosi slavi151 . Pertanto 147 Cfr. Skendi, op. cit., pag. 430. Cfr. Skendi, op. cit. 149 Cfr. Biagini, Storia dell’Albania op. cit. 150 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 44-45. 151 Cfr. Skendi, op. cit.; Biagini, Storia dell’Albania op. cit. 148 i serbi guardano anche con preoccupazione all’ingresso dei ribelli in Uskub, città importante nell’immaginario collettivo della nazione in quanto capitale del grande regno serbo medievale, e odierno capoluogo del vilayet di Kosovo, corrispondente all’incirca a quella regione comunemente detta Vecchia Serbia che rientrerebbe fra i primi obiettivi territoriali in caso di guerra. L’Italia, sempre impegnata in Libia, continua a seguire gli eventi con apprensione, quest’ultima motivata dal ruolo che l’Austria potrebbe avere negli eventi; a questo proposito sono interessanti le considerazioni svolte dall’addetto militare italiano a Sofia, tenente colonnello Merrone, che giudica i recenti sviluppi estremamente favorevoli per l’Austria, dal momento che l’eventuale istituzione di una Grande Albania autonoma, che si estendesse fino alle rive del Vardar, e comprendente territori abitati soltanto da minoranze, seppur ampie, di albanesi, costituirebbe un ostacolo alle aspirazioni di serbi e bulgari, mal viste, soprattutto le prime, dagli austriaci. Inoltre, sia un’Albania autonoma sotto la sovranità ottomana, sia una Grande Albania completamente indipendente, sarebbero un’agevole via di penetrazione verso Salonicco e resterebbero facilmente aperte all’influenza della duplice monarchia, mentre tutto ciò sarebbe più complicato una volta che questi territori fossero spartiti fra gli Stati balcanici152 . Proprio durante la fase più acuta della rivolta, mentre i ribelli stanno entrando in Uskub, Berchtold, ministro degli Esteri austroungarico, invia il 13 agosto una nota alle potenze proponendo un passo collettivo a Costantinopoli per appoggiare la politica di decentramento, che la Turchia sta per adottare in risposta alle richieste degli albanesi, e per estenderla all’intera Macedonia. Contemporaneamente le potenze avrebbero dovuto compiere dei passi collettivi presso gli Stati balcanici, consigliandoli di dar tempo alla Porta, nell’interesse dei loro 152 Cfr. Biagini, Storia dell’Albania op. cit., pag. 77; Biagini, Momenti di storia op. cit.; anche presso il governo serbo si fanno riflessioni di questo tipo e non si nasconde una certa preoccupazione (cfr. Dogo, Questione albanese op. cit., pag. 103). connazionali oltre frontiera, di attuare con calma le riforme amministrative 153 . La mossa austriaca, oltre ad essere dettata da motivi di prestigio, per ribadire il ruolo di primo piano della monarchia nei Balcani, si propone chiaramente di salvare lo status quo e di stemperare i propositi bellicosi degli Stati balcanici154 , e desta la preoccupazione dell’Italia, che, ancora in stato di guerra con la Turchia, rischia di essere esclusa da eventuali importanti decisioni riguardo l’assetto della penisola balcanica. San Giuliano e Giolitti dichiarano senza entusiasmo che l’Italia è pronta ad associarsi al passo austriaco 155 , ma la proposta di Berchtold, recepita freddamente anche dalle altre potenze, non ha seguito, vista la sua vaghezza nonché l’improbabilità che venga accettata dalla Porta. Durante il 1912 giungono a conclusione, separatamente e in tempi diversi, le trattative per le varie alleanze fra gli Stati balcanici, basate su accordi scritti o soltanto orali, che vedono la Bulgaria in un ruolo di primo piano. Dopo la crisi per l’annessione della Bosnia, che ha visto Serbia e Bulgaria schierate su posizioni opposte (il principe Ferdinando ha proclamato in quell’occasione la piena indipendenza del suo Paese, assumendo il titolo di zar), la Russia ha cercato di incoraggiare, soprattutto tramite i suoi rappresentanti a Sofia e Belgrado, un riavvicinamento fra i due Stati 156 , il cui principale oggetto di rivalità è da sempre la Macedonia, dove la lotta fra bande cristiane non è meno cruenta di quella contro i musulmani. Ora però, in seguito alla dura repressione dei giovani turchi, che si sono proposti di porre fine allo stato di anarchia di questa regione, le popolazioni serbe, bulgare, greche e cutsovalacche danno vita ad una tregua fra di loro 157 . Facilitate anche da questa circostanza, le trattative fra Serbia e 153 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 107-08. Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 116-18. 155 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 210. 156 Cfr. Helmreich, op. cit. 157 Cfr. Helmreich, op. cit. 154 Bulgaria, iniziate nel 1911, ancor prima dello scoppio della guerra italo-turca, giungono a termine nel marzo dell’anno seguente, sotto il patrocinio della Russia che le ha seguite e incoraggiate fin dal loro inizio. Il trattato di alleanza prevede il casus foederis quando uno dei due contraenti fosse attaccato dall’Austria o dalla Romania o dalla Turchia, e quando un terzo Stato fosse penetrato nei territori europei dell’Impero ottomano. Le clausole più importanti sono però contenute nell’annesso segreto, dove si stabiliscono i piani per un’azione offensiva contro la Turchia, da intraprendere però solo dopo aver ricevuto il benestare russo. Viene anche concordata la spartizione della Macedonia, divisa in tre parti, di cui una dovrà andare alla Serbia, una alla Bulgaria, mentre per quanto riguarda la terza, nel cuore della regione, ci si affiderà per l’assegnazione, al momento opportuno, all’arbitrato dello zar158 . Sazonov, ministro degli Esteri russo, è convinto di aver creato un’alleanza difensiva che avrebbe bloccato un’eventuale nuova espansione austroungarica nella regione, mentre pensa di poter difendere lo status quo avvalendosi del diritto di veto conferitogli dal trattato. La Russia resta per il momento sostenitrice dell’integrità della Turchia, non essendo ancora abbastanza forte da affrontare una grave crisi internazionale, che potrebbe nascere da mutamenti territoriali nei Balcani, senza conseguenze negative per il suo prestigio di protettrice dei popoli slavi ed ortodossi, già scosso in occasione dell’annessione della Bosnia 159 . Ovviamente non sono dello stesso parere gli Stati balcanici, che ritengono maturi i tempi per un’azione di forza, mentre la guerra italo-turca, oltre ad indebolire la Porta, dimostra 158 Cfr. Helmreich, op. cit. Cfr. Helmreich, op. cit.; A. J. P. Taylor, L’Europa delle grandi potenze, Bari, Laterza, 1961; P. Renouvin, Storia della politica mondiale, vol. VI, Il secolo XIX 1871-1914, Firenze, Vallecchi, 1961, che rispetto a Taylor enfatizza maggiormente il ruolo avuto nella formazione dell’alleanza dalla Russia, e ritiene che questa sia ben conscia delle possibili complicazioni internazionali che potrebbero aversi in caso di guerra contro la Turchia, ma pensa di poter affrontare questi rischi, essendo migliorata la sua situazione generale rispetto al 1909; E. C. Thaden, Russia and the balkan alliance of 1912, University Park, The Pennsylvania state University press, 1965, che invece ritiene gli stati balcanici i principali artefici dell’alleanza, poiché la Russia nel 1912 non si augura affatto la dissoluzione della Turchia. 159 come l’integrità dell’Impero ottomano, professata per anni dal concerto europeo, non sia un dogma inconfutabile, e così, quando diventeranno palesi le loro intenzioni bellicose, la Russia non sarà più in grado di frenarli. In maggio viene conclusa l’alleanza, formulata in termini più generici e senza accordi territoriali, fra Bulgaria e Grecia, e in estate quest’ultima raggiunge intese orali con Serbia e Montenegro. Gli accordi montenegrini con Bulgaria e Serbia completano il quadro della situazione 160 . La questione della conoscenza che hanno le grandi potenze dell’esistenza dell’alleanza balcanica nei mesi precedenti lo scoppio della guerra, è stata a lungo dibattuta ma non completamente risolta dalla storiografia 161 ; Francia e Inghilterra sono informate quasi subito dalla Russia, e poco tempo dopo ne vengono a conoscenza probabilmente anche Germania ed Austria, anche se il fatto che non sembrino per niente allarmate da ciò fa ritenere che non sappiano nulla riguardo l’annesso segreto, che contiene quelle clausole che caratterizzano l’alleanza in senso offensivo. Si ritiene generalmente che l’Italia conosca le intenzioni di questi Stati assai prima delle sue alleate, per il fatto che durante il suo impegno bellico riceve da essi continue offerte di aiuto contro la Turchia, del resto sempre rifiutate, anche se è difficile dire se sappia pure dell’esistenza dell’annesso 162 , e va comunque detto che ad esempio il rappresentante italiano a Sofia non sa nulla dell’alleanza e si dimostra scettico fino all’ultimo 163 , ed anche quello di Belgrado pare esserne all’oscuro 164 . In realtà i governi ed i sovrani dei Paesi di quella che sarà poi chiamata la Quadruplice balcanica sono molto abili nel mantenere la massima riservatezza fino all’ultimo momento, nonostante già nell’estate compaiano sui giornali europei notizie su ipotetiche alleanze, e riescono a far credere di avere 160 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 35-89. Cfr. Dogo, Questione albanese op. cit., pag. 101. 162 Cfr. Helmreich, op. cit.; Dogo, Questione albanese op. cit. 163 Cfr. De Bosdari, op. cit., pp. 51-53. 164 Cfr. Dogo, Questione albanese op. cit., pp. 103-04. 161 intenzioni pacifiche ma di essere incalzati da un’opinione pubblica sovraeccitata e dal pericolo di azioni da parte delle organizzazioni irredentiste, mentre viene segretamente favorita la ripresa di attentati terroristici in Macedonia 165 . L’Italia che si appresta a concludere la guerra con la Turchia, proprio quando il conflitto nei Balcani sembra ormai inevitabile, è un Paese dove l’orgoglio nazionale è rinfrancato e rinvigorito in misura notevole, la stampa è eccitata come non mai, e il mondo politico e la società sembrano, in apparenza, in gran parte compatti e uniti nel nome della patria. In realtà, sebbene una ferma opposizione alla guerra sia venuta soltanto dai socialisti (che fra l’altro nel congresso del 1912 vedono l’espulsione dal partito dell’ala revisionista, proprio per il suo atteggiamento ritenuto non sufficientemente deciso nell’opposizione all’impresa libica) e da alcune frange dell’estrema, oltre che da singole individualità, come ad esempio Salvemini e Prezzolini, le critiche al governo per la presunta remissività e debolezza con cui si conduce la guerra sono numerose, e non provengono soltanto, come è facile aspettarsi, dalle fila dei nazionalisti, che intanto nel 1910 hanno dato vita ad un nuovo movimento politico, ma si levano da più settori dello stesso schieramento liberale 166 . La convinzione più diffusa è che l’Italia, per l’incapacità e per l’ignavia dei suoi politici, e di colui che ha dominato la scena parlamentare in questi anni, vale a dire Giolitti, abbia trascurato per troppo tempo, tutta concentrata sulle riforme interne, la politica estera e la preparazione dell’esercito e della marina, mentre le altre potenze si armavano. La conseguenza è che ora l’Italia non è considerata e rispettata adeguatamente nel consesso internazionale, nonostante gli enormi progressi fatti in cinquant’anni di unità nazionale, 165 Cfr. Helmreich, op. cit. Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit.; non manca chi, ad esempio fra i mazziniani, vorrebbe l’estensione della guerra alla penisola balcanica e la conseguente alleanza con i popoli soggetti al dominio turco, azione questa che darebbe un senso e una nobile giustificazione al conflitto italo-turco (cfr. Lodolini, op. cit., pp. 476-78). 166 e i toni molto moderati e per nulla enfatici, usati da Giolitti quando parla in pubblico della guerra, sembrano confermare che le sue maggiori preoccupazioni sono quelle di non rovinare i rapporti con i socialisti e di salvaguardare così gli equilibri parlamentari, preoccupazioni grette e meschine se paragonate alla grandezza dell’impresa in cui l’Italia è impegnata 167 . In realtà Giolitti, da sempre sostenitore della Triplice in quanto strumento di pace e di equilibrio europeo, che permette quindi di impiegare le risorse e gli sforzi del Paese per lo sviluppo interno, ha una concezione della politica estera di tipo tradizionale: mentre negli affari interni è auspicabile, entro certi limiti, la partecipazione delle masse alla vita politica, le questioni internazionali, invece, devono restare argomento di discussione da parte di pochi specialisti competenti, vale a dire diplomatici, ministri e sovrani. L’intromissione dell’opinione pubblica in questo campo è foriera di pericoli e danni per il Paese, soprattutto quando non si ha una conoscenza completa di fatti e circostanze 168 . Dello stesso parere sembra essere San Giuliano, anche se questi è conscio dell’utilità che può talvolta avere, ad esempio quando ci si può appellare ad essa per motivare azioni o passi diplomatici, o per giustificarsi di fronte alle altre potenze 169 . San Giuliano ha fama di convinto triplicista, e tale giudizio verrà confermato in sede storiografica da Albertini 170 e soprattutto da Salvemini 171 , che gli rimprovera di aver interrotto la politica di equilibrio fra alleanze ed amicizie, o come viene più sprezzantemente chiamata all’estero “politica dei giri di valzer”, come l’ha definita alcuni anni addietro il cancelliere tedesco Bulow, per aderire in maniera esclusiva al blocco degli imperi centrali. Questo giudizio, corroborato dall’impressione suscitata dal rinnovamento dell’alleanza nel dicembre 1912, in pieno conflitto 167 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. Cfr. Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit.; Decleva, L’Italia e la politica op. cit. 169 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. 170 Cfr. Albertini, Le origini della guerra op. cit. 171 Cfr. Salvemini, La politica estera dell’Italia op. cit. 168 balcanico, e per questo ritenuto, allora, intempestivo e prematuro, è attenuato da diversi altri storici, che pur riconoscendo che per San Giuliano la Triplice debba essere il cardine della politica estera italiana, mettono in luce come la sua adesione ad essa non sia totale in ogni circostanza, e come la posizione di equilibrio fra i due blocchi non sia del tutto abbandonata 172 . In verità la politica italiana, a partire dalla guerra libica, è più aderente alla Triplice, e ciò è probabilmente dovuto più che altro al peggioramento dei rapporti con la Francia 173 . L’impresa tripolina ha spostato l’attenzione sul Mediterraneo, e qui la sorella latina è ritenuta la principale rivale dell’Italia, mentre in questi mesi, di conseguenza, passa in secondo piano lo scacchiere adriatico e balcanico ed hanno minor risalto i diversi motivi di contrasto con l’Austria. L’episodio che rischia di far precipitare i rapporti italo- francesi è l’incidente diplomatico causato dal sequestro, da parte italiana, di due imbarcazioni francesi nel Mediterraneo, sospettate di contrabbando di guerra a favore dei turchi. Ha inizio così in entrambi i Paesi una campagna di stampa dai toni molto accesi, mentre si pensa che Parigi non voglia riconoscere i legittimi diritti italiani nel Mediterraneo, che oltralpe si vorrebbe trasformare in un “lago francese”; inoltre la Francia sarà l’ultima potenza, in ordine di tempo, a riconoscere la sovranità italiana sulla Libia 174 . Indipendentemente dalle conseguenze di questi episodi, a cui va aggiunta la preoccupazione anglo- francese per la temporanea, almeno sulla carta, occupazione italiana del Dodecaneso 175 , San Giuliano, che del resto non ha mai amato la Francia, pensa che, dopo Agadir e la risoluzione della questione tripolina, l’Italia, raggiunto l’equilibrio desiderato nel Mediterraneo occidentale, possa in futuro seguire 172 Questa è l’opinione di Bosworth e di Torre, che riporta anche i giudizi in questo senso di Volpe e Maturi (cfr. Bosworth, La politica estera op. cit.; Torre, op. cit., pp. 405-08). 173 Cfr. Chabod, Considerazioni sulla politica op. cit.; Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit. 174 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit.; Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit.; Decleva, L’Italia e la politica op. cit. 175 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. una politica più fedele verso la Triplice e ridurre i numeri di equilibrismo diplomatico effettuati in passato, quando gli interessi nordafricani l’hanno quasi costretta a cercare delle intese con Inghilterra e Francia, anche se è sintomatico che gli accordi PrinettiBarrere del 1902 continuino a essere considerati validi da entrambi i contraenti nei mesi seguenti176 . In particolare San Giuliano pensa che la Triplice possa garantire al Paese il supporto per una politica espansiva che possa portare possibilità di accrescimento anche per l’industria nazionale, sviluppatasi con un buon ritmo nell’ultimo decennio. Egli è convinto, come molti suoi contemporanei, che l’Impero ottomano stia per crollare, e ritiene un dovere imprescindibile dell’Italia prepararsi per l’eventualità di una spartizione, dove non sarà possibile, visto lo status di grande potenza, restare a mani vuote ad assistere agli acquisti altrui. In questi anni gli Stati europei si stanno già ritagliando, forti soprattutto della loro potenza economica, zone di influenza nelle provincie asiatiche dell’impero e dell’Anatolia stessa, e compito dell’ Italia è inserirsi in questa contesa: a questo proposito dovrebbe avvalersi dei suoi legami con gli alleati, cercando un’intesa con Germania ed Austria, accordo quest’ultimo che darebbe nuova linfa all’alleanza, distogliendo l’attenzione dall’Adriatico e dai Balcani, anche se San Giuliano non è certo così ingenuo da dimenticare i numerosi punti di contrasto con il vicino orientale, e non è disposto a sacrificare alcun interesse italiano per giungere ad un’amicizia finalmente solida e leale con l’Austria 177 . 176 177 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. Capitolo primo La Prima Guerra Balcanica dallo scoppio del conflitto all’armistizio di dicembre Falliti i deboli tentativi delle grandi potenze di evitare lo scoppio della guerra, i quattro alleati annunciano l’inizio della mobilitazione il 30 settembre, dopo che qualche giorno prima la Porta ha proclamato l’estensione alla Macedonia delle concessioni da poco garantite agli albanesi, ma nello stesso tempo ha dato inizio a manovre militari in Tracia. Il primo ad aprire le ostilità, secondo il piano stabilito nell’accordo con la Bulgaria178, è il Montenegro l’8 ottobre, proprio il giorno in cui il concerto europeo fa sentire la sua voce per mezzo della Russia e dell’AustriaUngheria. I rappresentanti di questi due Stati presso le potenze balcaniche, infatti, presentano a nome dell’Europa una nota in cui deplorano l’eventuale scoppio di un conflitto, assicurano che le grandi potenze prenderanno in mano l’esecuzione delle riforme nella Turchia europea, 178 Cfr. Helmreich, op. cit. come previsto dal trattato di Berlino, e soprattutto affermano che se una guerra dovesse nonostante ciò avere luogo, alla fine di essa non saranno in ogni caso tollerati cambiamenti territoriali. Due giorni più tardi gli ambasciatori delle grandi potenze a Costantinopoli, con l’eccezione dell’Italia che è ancora in stato di guerra con la Porta, presentano una nota al governo turco nella quale lo informano della loro intenzione di partecipare allo studio e alla applicazione delle riforme nella parte europea dell’impero179. Entrambe queste note ricevono nei giorni seguenti risposte dai toni garbati ma fermamente contrarie all’intervento delle potenze, come del resto queste ultime si aspettavano. Infatti quando viene trovato l’accordo su questi passi, la situazione è giunta ad un punto tale che nessuno crede ormai che la guerra possa essere evitata, mentre la formula per il mantenimento dello status quo pare a tutti un mezzo efficace per localizzare l’imminente conflitto, e per evitare quindi l’intervento di qualche grande potenza e il sorgere di ulteriori 179 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 130-31. complicazioni180. Le maggiori preoccupazioni riguardano il contegno dell’Austria in caso di vittoria degli Stati slavi e la sua reazione all’eventuale ingresso di truppe serbe o montenegrine nel sangiaccato, che, occupato fino al 1908 dalle truppe asburgiche, forma un cuneo che impedisce la continuità territoriale fra Serbia e Montenegro e tiene aperta la via in direzione di Salonicco. Ora sono in molti a pensare che l’Austria coglierà l’occasione per tornare sui suoi passi, impedendo la formazione di un forte Stato slavo ai suoi confini meridionali, per le conseguenze che ciò potrebbe avere per la sua stabilità interna, e riaprendosi la strada che porta all’Egeo181. Pertanto la Russia, come tutte le altre potenze, vede nella formula relativa allo status quo uno strumento per frenare l’Austria, almeno per il momento, mentre in caso di vittoria turca, cosa ritenuta per niente improbabile in Europa, essa sarebbe una garanzia in favore degli Stati balcanici; se questi d’altro canto vincessero, sarebbe scontata la validità «of the unwritten principle that Christian land once freed from 180 181 Cfr. Helmreich, op. cit. Cfr. Albertini, Le origini della guerra op. cit.; Helmreich, op. cit. Turkey should not be returned to Ottoman domination»182. Berchtold, il ministro degli Esteri austroungarico, accetta invece questa deliberazione delle potenze perché vincola per il futuro anche la Russia, e se alcuni cambiamenti non potranno essere evitati, l’Austria potrà appellarsi ad essa per far valere le sue ragioni o per ottenere dei compensi183. Intanto il 13 ottobre Serbia, Bulgaria e Grecia presentano un ultimatum alla Turchia, dove richiedono l’autonomia per la Macedonia. La Porta risponde richiamando i suoi ambasciatori il 15, mentre due giorni dopo restituisce i passaporti ai ministri serbo e bulgaro a Costantinopoli; così il 18 ottobre, giorno previsto dagli alleati per la dichiarazione di guerra , solo il rappresentante greco è in grado di presentarla184. Ha così inizio la Prima Guerra Balcanica, nonostante l’iniziale scetticismo dell’Europa185 e i tardivi sforzi delle grandi potenze, una volta resesi conto della gravità della situazione, per frenare gli alleati con i tradizionali interventi in favore delle riforme e 182 Helmreich, op. cit., pag. 131. Cfr. Helmreich, op. cit. 184 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 135-38. 185 Cfr. A. Biagini, L’Italia e le guerre balcaniche, Roma, Ufficio storico S.M.E., 1990. 183 del mantenimento dello status quo, con le solite formule note a tutta Europa dai tempi del congresso di Berlino, ma ormai logore e svuotate di significato. Questa sequenza di eventi si svolge mentre l’Italia è impegnata nella conclusione delle trattative di pace con la Turchia a Ouchy, e desta la preoccupazione della Consulta. San Giuliano, in particolare, nei giorni della mobilitazione alleata, è decisamente allarmato per le possibili mosse dell’Austria e per l’eventualità che ciò conduca ad una guerra generale: il parere del ministro, pertanto, è che si debba piuttosto giungere ad un compromesso con la Turchia, compiendo «qualche sacrificio[…]che non intacchi il principio intangibile della nostra piena ed intera sovranità su tutta la Libia»186, in modo che l’Italia possa affrontare senza impedimenti la crisi che si prospetta all’orizzonte. Giolitti, invece, non è dello stesso parere e impone una posizione di estrema fermezza nei negoziati, pensando che la Porta, incalzata dalle minacce balcaniche, sarà costretta a cedere. Pertanto, se è vero, come afferma nelle sue memorie il ministro 186 Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 211. italiano a Sofia De Bosdari, che in questi giorni i rappresentanti presso gli alleati balcanici ricevono dalla Consulta istruzione di moderare il loro linguaggio in favore della pace187, questa decisione sembra essere ispirata da Giolitti, dal momento che San Giuliano, in privato, continua a ritenere che sarebbe meglio scendere a compromessi con la Turchia188. Per quanto riguarda le misure che il concerto europeo si appresta a prendere per localizzare il conflitto, l’Italia, tutta concentrata sulla soluzione delle trattative di pace, è intenzionata ad appoggiare qualunque passo venga proposto dall’accordo fra le grandi potenze, anche se la nota austro-russa dell’8 ottobre viene mal accolta dall’opinione pubblica come un ritorno agli anni di Murzsteg189, quando Austria e Russia si ritenevano, ed erano riconosciute dal concerto europeo, le potenze maggiormente interessate nei Balcani, ma ora la diplomazia italiana, con i negoziati di Ouchy giunti forse alla fase decisiva, non può certo permettersi di avanzare rimostranze. Nei giorni successivi all’inizio delle 187 Cfr. De Bosdari, op. cit., pag. 68. Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 211. 189 Cfr. Salvatorelli, op. cit.; Helmreich, op. cit., pag. 129. 188 ostilità da parte del Montenegro, compaiono su alcuni giornali francesi, ed in particolare sul Temps, e vengono riprese anche in altri Paesi, insinuazioni sulla parte che l’Italia avrebbe avuto nello spingere re Nicola, suocero di Vittorio Emanuele III, a dichiarare la guerra, in modo che la Turchia fosse più arrendevole nelle trattative di pace per la Libia. San Giuliano reagisce a questa accusa, che definisce «calunniosa», invitando i rappresentanti italiani negli Stati balcanici e gli ambasciatori presso le grandi potenze a difendere il buon nome del Paese, e a prendere provvedimenti affinché queste voci non vengano credute. Fa inoltre notare che l’Italia ha continuato a seguire in questi mesi una politica finalizzata al mantenimento dello status quo nella penisola, ed ha evitato operazioni belliche che avrebbero potuto agevolarla militarmente proprio per il timore di complicazioni balcaniche, dal momento che era suo stesso interesse che la questione d’Oriente non si riaprisse mentre perdurava l’impegno libico190. Nei giorni seguenti 190 Cfr. Archivio storico-diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, serie P. politica (1891-1916), busta 736, telegramma 3958, 10 ottobre 1912, San Giuliano agli ambasciatori presso le grandi potenze; tel. 3959, 10 ottobre 1912, San Giuliano a Squitti, De Bosdari, Carlotti e Rinella; archivio di gabinetto (19081914), b. 61, rapporto 259, 19 maggio 1913, Labia a San Giuliano. dalle capitali della Quadruplice giungono telegrammi dei rappresentanti italiani che affermano di aver compiuto passi ufficiali di smentita o di aver preso comunque provvedimenti, sottolineando di aver sempre predicato a quei governi moderazione e prudenza191. Intanto le grandi potenze, allarmate dalla piega presa dalla situazione nei Balcani, fanno pressioni sulla Turchia affinché si decida, nel suo stesso interesse, a firmare la pace con l’Italia, ed il loro intervento è forse decisivo nel rompere gli ultimi indugi del governo ottomano192. Il 15 ottobre vengono firmati così i preliminari di pace a Ouchy e tre giorni più tardi viene siglato formalmente il trattato di Losanna. La notizia è accolta in Italia con entusiasmo, anche se non mancano le solite critiche ai metodi giolittiani, ma nel complesso la maggior parte del Paese festeggia l’espansione dell’impero coloniale, primo passo dell’ascesa della nazione verso l’alto posto che le spetta nel consesso internazionale, dove ora tutti dovranno trattare l’Italia, grande potenza mediterranea, col rispetto 191 A titolo di esempio, cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 6380, 16 ottobre 1912, Squitti a San Giuliano; tel. 6315, 14 ottobre 1912, Carlotti a San Giuliano. 192 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pp. 211-12. e con la considerazione che merita, dopo la prova di valore data in nord Africa. Un’altra lezione che si ricava da questa esperienza, secondo l’opinione pubblica liberale e nazionalista, è che uno Stato è ascoltato dagli altri solo quando può disporre all’occorrenza di un esercito e di una marina forti ed efficienti, come è il caso dell’Italia ora che lo ha dimostrato al mondo intero, e pertanto in futuro non potranno più esserci argomentazioni di sorta contro l’aumento delle spese militari, necessarie per mantenere lo status di grande potenza 193. La notizia della pace italoturca provoca ovviamente una certa delusione nell’opinione pubblica degli Stati balcanici, che avrebbero tutto l’interesse a veder la Turchia impegnata su più fronti. In Bulgaria, dove durante i mesi di guerra il sentimento verso l’Italia ha oscillato, a seconda dei momenti, fra l’entusiasmo più acceso e la disillusione per come veniva condotta la guerra, nella prima metà di ottobre l’Italia è considerata quasi un’alleata, ed è fatta segno di attestati di stima e simpatia, che cessano con la firma del trattato di Losanna. Il governo però dichiara di non essere sorpreso per 193 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit.; Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit. la stipulazione della pace e di non aver motivo di lamentarsi del contegno italiano, corretto fino all’ultimo194, sebbene nelle sfere militari si sia auspicato, nei giorni precedenti, un ritardo di qualche settimana nella fine del conflitto libico, per gli innegabili vantaggi che ciò avrebbe recato alle imminenti operazioni belliche degli alleati195. In Serbia la notizia della pace italo-turca desta a caldo maggiore impressione ed è male accolta dal Paese, anche se Pasic, il capo del governo, si affretta a dire al ministro italiano a Belgrado, Rinella, di non dare troppa importanza alle dichiarazioni decisamente ostili della stampa di opposizione, e si augura un atteggiamento amichevole da parte di Roma verso gli alleati balcanici196. La reazione più sfavorevole nei riguardi dell’Italia si ha però in Grecia, dove il malumore per la fine della guerra tripolina si accompagna alla delusione e all’inquietudine per la duratura occupazione dell’arcipelago del Dodecaneso197. Queste isole, facenti parte dell’Impero ottomano e situate in prossimità 194 Cfr. De Bosdari, op. cit., pp. 65-68; Biagini, Momenti di storia op. cit. Cfr. Biagini, L’Italia e le guerre op. cit., pp. 71-72. 196 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 6417, 18 ottobre 1912, Rinella a San Giuliano. 197 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 737, rap. 2430/1242, 6 novembre 1912, Carlotti a San Giuliano. 195 della costa anatolica, ma abitate da popolazioni elleniche, sono state occupate dagli italiani durante il conflitto; il trattato di Losanna prevede ora la restituzione delle isole alla Turchia solo quando questa avrà del tutto ritirato le sue truppe dalla Libia. I greci, che in un primo momento hanno salutato favorevolmente l’occupazione italiana, confidando che le isole sarebbero state in breve rese loro198, sono ovviamente delusi, e la loro irritazione crescerà nei mesi seguenti quando l’Italia continuerà a prolungare la sua permanenza nell’Egeo, e questa questione contribuirà al notevole peggioramento dei rapporti fra i due Paesi. Decisamente meno sfavorevole nei riguardi italiani è la ricezione della pace con la Turchia in Montenegro: qui questa soluzione era prevista e non dà luogo a commenti spiacevoli, anzi si pensa che l’Italia possa ora, senza più impedimenti di sorta, difendere meglio gli interessi dei popoli balcanici199. Intanto all’interno del concerto europeo i timori maggiori sono legati al contegno che terrà l’Austria se gli Stati balcanici saranno vittoriosi e se, in tal caso, reclameranno 198 Cfr. A. Giannini, I rapporti italo-ellenici (1860-1955), in Rivista di studi politici internazionali, 1957, n° 3, pp. 389-445. 199 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 6431, 18 ottobre 1912, Squitti a San Giuliano. ingrandimenti territoriali a dispetto dell’ammonimento delle grandi potenze e delle loro stesse dichiarazioni fatte al principio del conflitto. Se questi Stati, ed in particolare la Serbia, dovessero assumere un atteggiamento intransigente su questioni che toccano da vicino gli interessi della duplice monarchia, e se quest’ultima decidesse di rispondere ad essi con la forza, il rischio di conflagrazione generale sarebbe grande, dato che la Russia difficilmente potrebbe restare a guardare in una simile circostanza. Lo scoppio di un conflitto austro-russo sarebbe poi molto probabilmente seguito dall’intervento di Germania e Francia a fianco delle rispettive alleate. Berlino è infatti convinta di dover difendere lo status di grande potenza dell’Aus tria, l’unica sua sicura alleata, dal momento che dell’Italia non ci si fida troppo, e vuole evitare che la duplice monarchia venga indebolita, e così, anche se il governo ed il kaiser non si augurano una guerra europea, Kiderlen, segretario di Stato tedesco, dichiara nei primi giorni di ottobre all’ambasciatore austriaco a Berlino, che «l’Austria-Ungheria, come si era già provato al tempo dell’annessione, poteva contare incondizionatamente sull’appoggio della Germania»200 . La Francia, similmente, non è intenzionata ad indebolire i suoi rapporti con l’alleata, soprattutto da quando è giunto al governo Poincaré, fautore di una politica estera più ferma e vigorosa. A Parigi si vuole difendere il prestigio dell’Intesa e possibilmente assicurarle un successo diplomatico, ma soprattutto evitare il ripetersi della situazione creatasi ai tempi dell’annessione della Bosnia, quando la Russia aveva accusato velatamente la Francia di non averla supportata con la necessaria energia, costringendola così a cedere di fronte agli imperi centrali compatti. Già in agosto, durante la sua visita a San Pietroburgo dove Sazonov gli ha fatto conoscere il contenuto dell’annesso segreto del trattato serbo-bulgaro, Poincaré, pur non nascondendo una certa preoccupazione, ha detto che la Francia riconoscerebbe il casus foederis se con lo 200 Albertini, Le origini della guerra op. cit., pag. 408; cfr. Helmreich, op. cit. scoppio di un conflitto austro-russo la Germania scendesse in campo contro la Russia. Si tratta quindi, da parte dei francesi, di un’interpretazione dell’alleanza più estensiva di quanto è sempre avvenuto finora, a cominciare dalla crisi dell’annessione della Bosnia 201 . L’Inghilterra, invece, mantiene una posizione più riservata e si augura, come tutti, che non si arrivi ad una guerra generale, ma nel caso che ciò avvenga la sua partecipazione ad essa dipenderebbe dalle circostanze in cui fosse sorta e dalla reazione del parlamento e dell’opinione pubblica, come risponderà evasivamente Grey, ministro degli Esteri inglese, alle precise domande che Russia e Francia gli rivolgeranno nelle settimane seguenti, a conflitto balcanico già iniziato 202 . La situazione quindi non appare rosea e tutti gli occhi sono puntati sull’Austria, dalla cui attitudine dipende probabilmente la pace fra le grandi potenze. Se la Russia è storicamente alleata, per affinità religiose e culturali, delle popolazioni cristiane della penisola, ed è stata da due secoli a questa parte la principale responsabile dell’arretramento dell’Impero ottomano, perseguendo l’obiettivo di uno sbocco costiero su un mare caldo, con la questione degli stretti in primo piano nella considerazione di tutti gli statisti russi, l’Austria-Ungheria, a partire dagli anni settanta dell’ottocento, mentre le altre potenze incominciavano la corsa alle colonie d’oltremare, ha rivolto il suo sguardo sulla penisola balcanica, elaborando progetti espansivi in direzione di uno sbocco sull’Egeo a Salonicco, il più importante porto macedone. Le linee principali di questo disegno, che, considerando anche la crescente penetrazione della Germania nella parte asiatica dell’Impero ottomano, viene solitamente definito come drang nach osten teutonico, sono state poste da Andrassy al congresso di Berlino, con l’amministrazione della Bosnia-Erzegovina e con il diritto a mantenere guarnigioni militari nel sangiaccato di Novi Bazar. La 201 202 Cfr. Albertini, Le origini della guerra op. cit.; Helmreich, op. cit.; Taylor, op. cit.; Renouvin, op. cit. Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 233-35. situazione dell’Austria è del resto complicata dalla questione dei numerosi abitanti slavi dell’impero, che sono esclusi dalla partecipazione al potere riservata a tedeschi e ungheresi; il piccolo regno di Serbia non fa mistero, soprattutto dopo il ritorno sul trono della dinastia dei Karadjordjevic, di mirare ad ingrandimenti territoriali a sud come a nord, in Bosnia, considerata la culla del risorgimento serbo 203 . La formazione di uno Stato serbo forte e vitale ai suoi confini meridionali è quindi avversata dai vertici della monarchia per l’attrazione che potrebbe esercitare non solo sulla minoranza serba all’interno dell’impero, vera e propria popolazione irredenta, secondo Belgrado, ma anche sui croati, che d’altronde parlano la stessa lingua dei serbi ed hanno con essi parecchie affinità culturali 204 . L’Austria è riuscita a mantenere una posizione molto influente in Serbia, soprattutto dal punto di vista economico, fino a che quest’ultima è rimasta sotto la dinastia degli Obrenovic 205 , e lo stesso ha fatto col Montenegro, dove re Nicola si atteggia anch’egli a campione della razza serba. Pertanto la duplice monarchia non vede di buon occhio i tentativi di Belgrado di sfuggire alla stretta economica cui è sottoposta dal potente vicino, e non sembra disposta, inoltre, a permettere l’unificazione dei due Stati serbi, divisi territorialmente proprio dal sangiaccato. Una possibile soluzione del problema slavo all’interno dell’impero, che vede fra i suoi sostenitori più autorevoli l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono, è quella della ristrutturazione trialistica del sistema di potere, con una compagine slava che si aggiungerebbe a quelle tedesca e ungherese. Se si giungesse a questa svolta, fra l’altro decisamente avversata dai magiari, gelosi dei propri privilegi, si ribalterebbe la situazione ai confini meridionali dell’Austria, e sarebbe ora la Serbia a dover temere di 203 Cfr. Jelavich, op. cit. Cfr. Albertini, Le origini della guerra op. cit. 205 Cfr. Jelavich, op. cit.; AA. VV., Storia della Jugoslavia. Gli slavi del sud dalle origini a oggi, Torino, Einaudi, 1969. 204 essere inglobata nell’Impero asburgico 206 . In seguito Aehrenthal ha preso la decisione, carica di conseguenze, dell’annessione della Bosnia e dell’abbandono del sangiaccato, con lo scopo principale di rendere più sicuri i confini meridionali e di spezzare i sogni irredentisti dei serbi. Questa mossa ha però segnato un’inversione di tendenza rispetto alla politica seguita negli ultimi trent’anni dall’Austria, mirante ad una penetrazione sempre più profonda nei Balcani: probabilmente si è giunti alla conclusione che l’acquisizione di nuovi sudditi slavi porterebbe più problemi che benefici, restando immutata l’organizzazione politica dello Stato, e per il futuro ci si accontenta di una espansione indiretta nella penisola, da ottenersi prevalentemente con strumenti economici207 . Berchtold si ritrova così nel ’12 ad ereditare questa politica, riassumibile con la rinuncia a nuovi acquisti territoriali e con la persistente volontà di ostacolare lo sviluppo di un forte Stato serbo. Secondo Helmreich, Berchtold eredita da Aehrenthal, e mantiene, un altro importante principio nella conduzione della politica balcanica dell’Impero austroungarico, vale a dire la mancanza di chiarezza, in pubblico, sulle reali intenzioni della duplice monarchia: infatti la possibilità di un’avanzata austriaca nella regione, essendo temuta dagli Stati balcanici, dalla Russia e anche dall’Italia, contribuisce a frenare i disegni di questi Paesi, che sono quindi portati a pensarci bene prima di infrangere lo status quo (ma questa volta così non è stato) o di intervenire apertamente. Per questo motivo dunque all’Austria conviene che permanga l’incertezza attorno ai suoi veri obbiettivi, e che non venga svelata la sua rinuncia a conquiste territoriali, dato che il timore di un suo intervento, almeno così si crede, contribuisce indirettamente al mantenimento dello status quo o perlomeno ad impedire cambiamenti troppo radicali 208 . In sede storiografica però, questo atteggiamento è generalmente 206 Cfr. Albertini, Le origini della guerra op. cit. Cfr. Helmreich, op. cit.; Albertini, Le origini della guerra op. cit. 208 Cfr. Helmreich, pp. 176-79. 207 considerato come dovuto alla mancanza di idee chiare sul da farsi da parte della Ballhausplatz, oppure è imputato alla debolezza ed alla incapacità di Berchtold, ed è quindi giudicato negativamente 209 . Una simile percezione della politica austroungarica è frequente fra gli stessi diplomatici dell’epoca, e non mancano, fra i documenti disponibili, accenni e lamentele, soprattutto da parte dell’alleato tedesco, a proposito della nebulosità delle intenzioni austriache 210 . Pertanto questa atmosfera di incertezza sulla posizione della duplice monarchia riguardo a possibili mutamenti politici nella penisola, determina i timori russi e i tardivi tentativi di Sazonov di frenare gli alleati, facilita l’accordo delle potenze sulla nota collettiva dell’8 ottobre, e contribuisce a mantenere l’Europa col fiato sospeso, mentre sia Austria che Russia intraprendono misure militari che, pur essendo ben lontane dal costituire una vera e propria mobilitazione, denotano il nervosismo che regna in questi due Paesi, soprattutto nei rispettivi vertici militari211 . Tutti pensano che nel caso che truppe serbe o montenegrine entrino nel sangiaccato, l’Austria troverà un pretesto per intervenire e, magari, per riappropriarsi di questo piccolo territorio di grandissima importanza dal punto di vista geopolitico. In realtà, in più di una conferenza di alti funzionari del ministero degli Esteri austroungarico, tenutesi nel mese di ottobre, viene esaminata la situazione e si raggiunge la decisione di non intervenire direttamente e di evitare una guerra. Il solo principio su cui non si può transigere è quello di impedire lo stabilirsi di una grande potenza sulle rive dell’Adriatico, il che implica la creazione, in caso di crollo della Turchia, di un’Albania indipendente destinata a bloccare le aspirazioni adriatiche dei serbi. Solamente questo punto potrebbe portare ad un mutamento dell’attitudine, 209 Cfr. Albertini, Le origini della guerra op. cit.; Taylor, op. cit. Helmreich, op. cit., pag. 205, che riporta un appunto personale di Kiderlen: «Berchtold[…]absolutely does not know what he really wants». 211 Cfr. Helmreich, op. cit. 210 sostanzialmente pacifica, della monarchia. Per quanto riguarda gli altri interessi dell’impero si giunge alla conclusione che bisogna aspettare la fine della guerra per stabilire con precisione quali essi siano, e in che misura vengano toccati dagli eventi, e a quest’ultima considerazione Berchtold continuerà ad attenersi nelle settimane seguenti, anche nelle discussioni con le altre potenze. Come si vede la questione del sangiaccato non viene ritenuta di importanza capitale, e si decide, a dispetto del parere del capo di stato maggiore, Schemua, che non vale la pena di intervenire per impedire l’unione fra Serbia e Montenegro, che del resto potrebbe ugualmente avvenire più a sud, rischiando così la guerra con la Russia nonché gravi complicazioni nei rapporti con l’Italia212 . Infatti è in vigore con questo Paese un accordo, raggiunto sul finire del 1909 213 , che dichiara esplicitamente che se l’Austria tornasse ad occupare il sangiaccato avrebbe piena validità l’articolo VII della Triplice, che prevede un’intesa preventiva sui compensi in caso di espansione di uno dei due Stati nei Balcani. Ora questa eventualità preoccupa ovviamente la Consulta214 , soprattutto fino a che non è intervenuta la pace con la Turchia, dal momento che l’Austria avrebbe potuto pur sempre ritenere l’Italia compensata dalla conquista di Tripolitania e Cirenaica, mentre, come già ha dimostrato l’annessione del 1908, nuovi acquisti territoriali da parte del vicino austriaco, oltre a far aumentare enormemente i rischi di una guerra europea, riaccenderebbero nel Paese l’agitazione irredentista e la rivendicazione di Trento e Trieste come compensi. L’Italia pertanto si affretta a consigliare a serbi e montenegrini, come del resto sta facendo la Russia, di non entrare nel sangiaccato di Novi Bazar durante le operazioni belliche, paventando loro, se ciò avvenisse, il pressoché certo intervento austriaco 215 . Anche per 212 Cfr. Helmreich, op. cit.; Albertini, Le origini della guerra op. cit. Vedi pp. 29-30. 214 A titolo di esempio, ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 6206, 10 ottobre 1912, Avarna a San Giuliano. 215 Cfr. Helmreich, op. cit., pag. 195; ASMAE, serie politica, b. 199, tel. 6105, 7 ottobre 1912, Avarna a San Giuliano; b. 736, tel. 6621, 25 ottobre 1912, Squitti a San Giuliano. 213 quanto riguarda la regione balcanica di suo massimo interesse, vale a dire l’Albania, l’Italia ha precisi accordi con l’Austria, stipulati quando alla Consulta sedeva Visconti Venosta 216 . Questi prevedono la formazione di uno Stato albanese indipendente in caso di fine del dominio ottomano, ed escludono così una spartizione del Paese sia da parte dei suoi vicini, che da parte delle stesse Italia ed Austria. Ora che con la guerra gli Stati balcanici non fanno mistero di mirare ai territori in questione, le due potenze adriatiche seguono gli sviluppi in questa regione con la massima attenzione, oltre che, come al solito, con reciproco sospetto nei confronti dell’altra. L’Austria, come abbiamo visto, fa della questione albanese il punto principale della sua politica nella presente crisi balcanica, mentre l’Italia è intenzionata a proseguire l’opera di tallonamento nei confronti dell’alleata nella penetrazione in Albania, come ha fatto con discreti risultati negli ultimi anni. Intanto giungono alla Consulta parecchi rapporti dei consoli sulla situazione nel Paese, che testimoniano come nell’imminenza del conflitto aumenti, soprattutto nelle zone etnicamente miste, il disordine e la violenza fra le opposte fazioni, che si vanno organizzando in bande paramilitari 217 . L’Italia, quindi, che come tutta Europa è stata sempre sostenitrice del mantenimento dello status quo per evitare, o perlomeno per ritardare, le ovvie complicazioni che sarebbero sorte col mutamento della carta politica della penisola, vede in realtà di buon occhio lo sviluppo e l’accrescimento degli Stati balcanici, a patto che ciò non comporti un’alterazione troppo pronunciata dell’equilibrio adriatico. Questi Paesi, una volta raggiunta una certa vitalità ed una effettiva autonomia, come del resto stanno ora dimostrando ignorando le intimazioni russe di non entrare in guerra, costituirebbero una barriera all’espansione 216 Vedi pp. 10-11. A titolo di esempio, cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, rap. 540/126, 15 ottobre 1912, il console di Corfù a San Giuliano, riguardo alla situazione in Epiro dove aumentano el violenze reciproche fra musulmani e cristiani, che si stanno organizzando in bande. 217 austriaca e, liberi da ogni sorta di vassallaggio economico verso alcuna grande potenza, garantirebbero un ampio mercato, destinato ad ampliarsi, dove anche il giovane capitalismo italiano troverebbe possibilità di espansione 218 . Inoltre questa politica, quando le mire della Quadruplice non diventassero eccessive, si concilia perfettamente con il principio di nazionalità, grazie al quale l’Italia è rinata come Stato indipendente e che conserva ancora, insieme alle altre tradizioni risorgimentali, una certa popolarità nel Paese, dove soltanto un anno prima è stato celebrato il cinquantenario dell’unità219 . D’altra parte, oltre alle già svolte considerazioni sulla necessità di evitare un ingrandimento unilaterale da parte austriaca e di impedire mutamenti nell’equilibrio strategico dell’Adriatico, esiste anche il timore, sia a livello di opinione pubblica, sia, in misura minore, nel mondo politico ufficiale, di un eccessivo rafforzamento del panslavismo, questa nuova forza mondiale, giovane e in piena crescita demografica, che proprio nella penisola balcanica sembra destinata ad avere lo scontro, forse decisivo, col germanesimo impegnato nella sua marcia verso l’oriente; da qui la preoccupazione che i piccoli Stati slavi della penisola non siano altro che satelliti della Russia, e che quindi una loro avanzata fino all’Adriatico e all’Egeo sia foriera di pericoli in quanto significherebbe un aumento della potenza russa, il coronamento della secolare aspirazione allo sbocco sui mari caldi da parte della politica zarista 220 (inoltre in questo periodo il tema del “pericolo slavo” è all’ordine del giorno per quanto riguarda la condizione delle popolazioni italiane di Venezia Giulia e Dalmazia) 221 . I rapporti italorussi, storicamente mai troppo intensi, sono tuttavia in questo periodo piuttosto buoni, dopo il comportamento decisamente amichevole nei riguardi italiani tenuto dalla Russia 218 Cfr. Vigezzi, op. cit., pp. 17-19; Webster, op. cit.; Sori, op. cit.; Bosworth, La politica estera op. cit. Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. 220 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. 221 Cfr. Vigezzi, op. cit. 219 durante la guerra libica, come quando ad esempio, a differenza di altre potenze, ha biasimato la Turchia, escludendo colpe da parte dell’Italia, per la chiusura degli stretti in seguito all’attacco della flotta italiana ai Dardanelli 222 . Del resto, proprio a proposito dei rispettivi interessi in Tripolitania e nella zona degli stretti, le due potenze sono legate dagli accordi di Racconigi del 1909 223 ad osservare un atteggiamento amichevole su queste questioni; ma soprattutto in quell’occasione si erano impegnate a favorire lo sviluppo delle autonomie balcaniche in caso di mutamento dello status quo. San Giuliano d’altra parte non ha molta fiducia nella effettiva forza della Russia, e pensa che non si sia ancora ripresa dalla sconfitta subita in estremo Oriente, tanto che in privato talvolta la chiama ironicamente la grande “impotenza”224 . Nei primi giorni di guerra, a conferma dei cordiali rapporti esistenti fra i due Paesi, e nel rispetto della clausola dell’intesa di Racconigi relativa agli interessi russi negli stretti, l’Italia aderisce alla richiesta di San Pietroburgo alle grandi potenze affinché consiglino Grecia e Turchia di non bloccare la navigazione attraverso i Dardanelli; non avendo ancora ristabilito normali relazioni diplomatiche con la Porta, la Consulta si limita ad effettuare il passo ad Atene, ricordando a questo governo l’esempio di moderazione dato dall’Italia durante il conflitto libico e sconsigliando un attacco agli stretti225 . Tuttavia non va data eccessiva importanza alla cordialità dei rapporti italo-russi in questo periodo, poiché San Giuliano, anche a dispetto dell’accordo del 1909, è fermamente intenzionato ad affrontare la crisi balcanica a fianco degli imperi centrali, coi quali, fra l’altro, portata a termine l’impresa libica, ricominciano le trattative per il rinnovo dell’alleanza. Queste decisioni non sono da attribuirsi al presunto triplicismo di San Giuliano, come pensa 222 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pp. 206-07. Vedi pp. 30-31. 224 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 286. 225 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 4093, 21 ottobre 1912, San Giuliano a Carlotti. 223 l’opinione pubblica dell’epoca nonché parte della storiografia 226 , ma nascono dalla convinzione che nella presente situazione internaziona le gli interessi del Paese siano meglio difendibili operando nei consueti schemi diplomatici; in altre parole si considera che le potenze dell’Intesa sarebbero disposte ad offrire ben poco all’Italia in cambio di una sua eventuale alleanza, e pertanto ci sarebbe ben poco da guadagnare da un cambio di schieramento 227 . Inoltre vi è la convinzione che i due punti forse più importanti della politica balcanica della Consulta, vale a dire l’obbligo di evitare un’espansione austriaca e la necessità di salvaguardare l’equilibrio strategico dell’Adriatico, siano meglio perseguibili operando in stretto contatto con l’Austria e potendo così anche controllare da vicino l’alleata 228 . Tale volontà da parte del ministro italiano è ben esemplificata dall’atteggiamento tenuto di fronte all’attivismo diplomatico francese nelle prime settimane di guerra. Poincaré, desideroso, oltre che di salvaguardare la pace europea, di incrementare il prestigio del suo Paese e dell’Intesa con un successo diplomatico, incomincia fin dal 10 ottobre, mentre ancora si attendono le risposte degli alleati e della Turchia ai passi delle grandi potenze, ad avanzare, dapprima a Inghilterra e Russia, subito dopo alla Triplice Alleanza, proposte miranti alla mediazione da parte del concerto europeo per porre termine al conflitto. Questi progetti francesi, che si susseguono in questi giorni con lievi modifiche, prevedono tutti la convocazione di una conferenza, e per questo motivo sono in genere recepiti ovunque senza entusiasmo e non conducono ad alcun risultato concreto, se si eccettua l’accordo raggiunto per intervenire con una mediazione «al momento opportuno», formula del resto piuttosto vaga ma che contribuisce pur sempre a mantenere i contatti fra le due triplici in una 226 Vedi pp. 47-48. Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit.; Torre, op. cit.; Salvatorelli, op. cit. 228 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit.; Torre, op. cit. 227 situazione così delicata 229 . Da Londra l’ambasciatore italiano riferisce il parere suo e dei suoi colleghi che tutte queste proposte di Poincaré siano «premature e per il momento prive di scopo pratico», e che lo stesso governo inglese vi aderisca solamente per spirito di cortesia nei confronti dell’alleato 230 . Quando si tratta di rispondere alla Francia San Giuliano lo fa in maniera pressoché identica all’Austria, affermando che l’idea della conferenza è per il momento prematura ma potrebbe comunque diventare valida in futuro, e qualche giorno dopo propone a Vienna e Berlino di concordare assieme in termini precisi la nuova risposta da dare, ritenendo opportuno che prima di questo accordo nessuno dei tre alleati si appresti a rispondere 231 . Le proposte francesi sono ampiamente discusse, sempre allo scopo di presentare la Triplice Alleanza come un fronte unico, senza divergenze al suo interno, anche negli incontri fra San Giuliano e Berchtold avvenuti a Pisa e Firenze il 22 ed il 23 ottobre, dove all’ospite straniero viene riservata quella che è definita la più calorosa accoglienza mai ricevuta da un ministro austriaco in Italia, a conferma del buono stato di salute dei rapporti fra i due alleati, come sottolinea lo stesso San Giuliano quando dice a Berchtold che l’alleanza non è mai stata così popolare come ora nel Paese 232 . In questa occasione vengono portate avanti le trattative per il rinnovo della Triplice, con il ministro austriaco che per ora si oppone alla richiesta italiana di annettere al trattato i due accordi sull’Albania e sul sangiaccato, mentre per quanto riguarda la questione balcanica Berchtold si dimostra ottimista, giudicando del tutto corretta l’attitudine del governo russo, tanto più da apprezzarsi vista la pressione dei panslavisti nell’opinione pubblica di quel Paese233 . 229 Cfr. Helmreich, op. cit. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 6444, 19 ottobre 1912, Imperiali a San Giuliano. 231 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 6343, 15 ottobre 1912, Avarna a San Giuliano; tel. 4042, 16 ottobre 1912, San Giuliano agli ambasciatori presso le grandi potenze; tel. 4053, 18 ottobre 1912, San Giuliano a Pansa e Avarna. 232 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 4115, 23 ottobre 1912, San Giuliano agli ambasciatori presso le grandi potenze; Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 238; Salvatorelli, op. cit., pag. 448. 233 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 4115 cit. 230 Quest’ultima circostanza contribuisce alla situazione di inquietudine e di incertezza riguardo il mantenimento della pace in Europa: negli ambienti diplomatici si è consci del pericolo che il governo di San Pietroburgo, schiacciato dall’influenza dei circoli panslavisti, che sobillano quella ristretta opinione pubblica cresciuta in Russia dopo la rivoluzione del 1905, si azzardi a passi avventati che provocherebbero un conflitto con l’Austria 234 . Il rappresentante italiano descrive spesso nei suoi rapporti la situazione nella capitale russa, dove fra l’altro anche i vertici militari auspicano una posizione intransigente a sostegno della Quadruplice, e parla della crescente influenza di esponenti panslavisti negli ambienti di corte e delle frequenti accuse a Sazonov di eccessiva remissività, accuse che compaiono sui giornali vicini ai circoli panslavisti, impegnati in una campagna d’opinione in favore dei popoli balcanici appoggiata anche dal clero ortodosso 235 . Tornando ai colloqui fra Berchtold e San Giuliano, il ministro austriaco si tiene volutamente vago sulle reali intenzioni della duplice monarchia a proposito del sangiaccato e dell’Albania, mentre su quest’ultima questione il suo interlocutore accenna all’immaturità politica degli albanesi e alla conseguente difficoltà di formare uno Stato civile. Ciò fa credere a Berchtold che l’Italia propenda per una spartizione del Paese fra le due potenze adriatiche, o per una divisione in sfere di influenza, soluzioni entrambe che non corrispondono ai desideri dell’Austria, e il ministro austroungarico lascia così cadere il discorso 236 . Berchtold continua a dimostrarsi ottimista anche sull’attitudine degli Stati balcanici, deducendo dal linguaggio moderato dei loro ministri che si accontenteranno infine di riforme guidate dal concerto europeo; e a questo proposito discute col ministro italiano sulle possibili modalità 234 di attuazione di questo intervento, formulando il concetto Cfr. Helmreich, op. cit. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 6606, 25 ottobre 1912, Torretta a San Giuliano. 236 Cfr. Salvatorelli, op. cit., pag. 448; Albertini, op. cit., pag. 439. 235 di “individualizzazione” dei territori balcanici, che meglio si adatta, rispetto a quello più consueto di decentramento, alla ingarbugliata situazione macedone, dove le etnie «sono talmente frammischiate, che lo stesso territorio è reclamato come proprio da diverse nazionalità»237 . In realtà l’andamento della guerra rende subito chiaro a tutti che lo status quo non può più essere mantenuto, e di questa necessità dovrà presto accorgersi anche l’Austria. La prima grande vittoria la colgono i bulgari a Kirk Kilisse il 23 ottobre; il giorno seguente i serbi vincono a Kumanovo, mentre i greci avanzano in Tessaglia ed Epiro. Solamente i montenegrini incontrano più difficoltà del previsto nei dintorni di Scutari, ma nel complesso la vittoria alleata è schiacciante e decisiva fin dai primi giorni con gran sorpresa di tutta l’Europa, che non si aspettava un simile andamento delle operazioni belliche, reputando l’esercito turco, organizzato secondo il modello tedesco, ben più forte di quanto in realtà dimostra poi di essere 238 . Il 28 ottobre i serbi entrano in Uskub, città di grandissima importanza nell’immaginario collettivo della nazione, accendendo l’entusiasmo e l’eccitazione del Paese; entro la fine di ottobre Serbia e Montenegro occupano interamente il sangiaccato di Novi Bazar, ciò che solo pochi giorni prima faceva temere una reazione austriaca, mentre i bulgari vincono un’altra decisiva battaglia in Tracia, a Lule Burgas, respingendo le truppe turche sulle linee di fortificazione di Chatalja, a estrema difesa della capitale. Le cause di queste straripanti vittorie della Quadruplice balcanica non vanno ascritte solamente al valore e alla preparazione dei soldati alleati, ma anche, e forse in gran parte, alle disastrose condizioni dell’esercito turco. Questo, già indebolito dalla guerra con l’Italia, subisce anche le ripercussioni dei mutamenti politici avvenuti nel luglio 1912, che hanno 237 238 ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 4115 cit. Cfr. Biagini, L’Italia e le guerre op. cit.; Helmreich, op. cit. portato cambiamenti ai suoi vertici, coi nuovi comandi che hanno deciso, poco saggiamente, di modificare tutti i piani esistenti in caso di guerra nei Balcani. A ciò si aggiungono la scarsa motivazione e la poca disciplina dei soldati, nonché i vari problemi derivanti dall’arretratezza generale dell’impero 239 . Gli Stati balcanici, in conseguenza di questi eventi, a loro favorevoli più di quanto si potesse ragionevolmente sperare, incominciano così a far capire che sarà difficile non tener conto delle loro vittorie quando si tratterà di dare un assetto finalmente stabile alla penisola. In questi termini, ad esempio, si esprime il rappresentante greco a Roma in un colloquio con San Giuliano, col ministro italiano che dice di augurarsi che la Quadruplice si atterrà al programma espresso all’inizio delle ostilità, che prevedeva unicamente riforme, e consiglia gli alleati di non arrischiarsi a chiedere troppo, compromettendo così il loro stesso avvenire 240 . Nei giorni seguenti una simile conversazione ha luogo fra San Giuliano ed il rappresentante bulgaro 241 , mentre da Belgrado giungono notizie sull’euforia nazionalista dell’opinione pubblica, con i giornali, compresi quelli ufficiosi, che affermano perentoriamente che visti gli enormi sacrifici sostenuti, gli Stati balcanici non rinunceranno ad acquisti territoriali e non indietreggeranno nemmeno di fronte alle grandi potenze. È inoltre interessante notare che in questo telegramma, del 31 ottobre, Rinella dice di aver saputo da fonte attendibile dell’esistenza di precisi accordi fra gli alleati per la spartizione del bottino, e simile comunicazione ha dato solo pochi giorni prima De Bosdari da Sofia, a conferma della vaga conoscenza che ancora si ha di tutte le implicazioni dei trattati d’alleanza esistenti 242 . Quando in realtà è ormai chiaro che gli 239 Cfr. Helmreich, op. cit.; Biagini, L’Italia e le guerre op. cit. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 4157, 25 ottobre 1912, San Giuliano agli ambasciatori presso le grandi potenze e ai rappresentanti presso gli alleati. 241 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 4218, 29 ottobre 1912, San Giuliano agli ambasciatori presso le grandi potenze, ai rappresentanti presso gli alleati e a Fasciotti. 242 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 6728, 31 ottobre 1912, Rinella a San Giuliano; tel. 6638, 27 ottobre 1912, De Bosdari a San Giuliano. 240 Stati balcanici non potranno essere cacciati da tutti i territori che stanno repentinamente occupando, Berchtold, parlando con Avarna, dice che il concerto europeo non ha modificato la sua posizione relativa allo status quo territoriale, e quindi gli alleati saranno costretti di conseguenza a sgomberare le zone da loro occupate, uniformandosi al volere delle grandi potenze, come del resto era già accaduto senza grossi problemi al termine della guerra russo-turca nel 1878. Poi però aggiunge, precisando all’ambasciatore italiano di parlare ora in via del tutto privata, che probabilmente alcune modifiche territoriali saranno inevitabili al termine della guerra 243 , ammettendo così ciò che tutta Europa dà ormai per scontato, vista anche la posizione dell’opinione pubblica quasi ovunque nettamente favorevole alla causa alleata 244 . Il giorno seguente il ministro austriaco appare ancora ottimista e dice ad Avarna di ritenere vicino il momento dell’intervento mediatore delle grandi potenze, come previsto dalla formula di Poincaré sottoscritta da tutti all’inizio della guerra; la Bulgaria, secondo il suo parere, accetterà la mediazione, soddisfatta delle vittorie ottenute 245 . L’ottimismo della Ballhausplatz non attenua però il sospetto dell’Italia nei confronti austriaci, ma anzi lo fa forse aumentare; il fatto che anche l’Austria, la nazione che più di tutte sarebbe danneggiata da un rafforzamento degli Stati balcanici, in particolar modo di quelli slavi, appaia disposta ad ammettere ingrandimenti territoriali per la Quadruplice, che è ormai da considerarsi vincitrice, fa infatti temere a Roma che Berchtold abbia intenzione di chiedere compensi di qualche tipo per il suo Paese. Il 31 ottobre pertanto, Avarna, in un colloquio col ministro austroungarico, chiede a questi se è vero, come scrivono i principali quotidiani viennesi, che l’Austria potrebbe acconsentire ad acquisti territoriali degli Stati balcanici, compresa la Serbia, a patto di ottenere garanzie per la piena espansione economica della 243 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 6689, 29 ottobre 1912, Avarna a San Giuliano. Cfr. Biagini, L’Italia e le guerre op. cit. 245 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 6685, 30 ottobre 1912, Avarna a San Giuliano. 244 duplice monarchia nella penisola. Berchtold, pur mantenendosi vago, non nega questa possibilità, che per l’Italia potrebbe essere deleteria se le concessioni richieste fossero eccessive, tali da rendere i Balcani un campo esclusivo d’azione per il capitalismo austriaco 246 . La Consulta prosegue quindi nel suo duplice atteggiamento nei riguardi dell’alleato: da un lato forma con esso un fronte politico compatto, come forse raramente è avvenuto nella storia della Triplice, come dimostrano ad esempio le istruzioni di San Giuliano ai consoli italiani nelle regioni di guerra di mantenersi sempre in stretto contatto coi rappresentanti austriaci247 ; dall’altro lato però, si continua a diffidare dell’Austria e a temere una sua reazione violenta o un’offensiva diplomatica per la realizzazione dei suoi più che trentennali disegni di espansione nella penisola, anche se per il momento le sue reali intenzioni restano vaghe e indeterminate e non vengono ancora rese note pubblicamente. Nel frattempo sono continuate le iniziative diplomatiche francesi, con Poincaré che insiste per la convocazione di una conferenza delle grandi potenze, ed arriva a chiedere all’Italia di convincere l’Austria a parteciparvi, temendo, con ragione, che quest’ultima sia contraria a questo progetto248 . Due giorni dopo la Francia avanza una nuova proposta chiedendo alla Triplice Alleanza di aderire ad una formula cui Inghilterra e Russia hanno già dato il loro assenso, e che consiste nella dichiarazione che le grandi potenze svolgeranno il loro compito di mediazione in uno spirito di assoluto disinteresse. In questi termini ovviamente l’Austria non può aderire, dal momento che ciò significherebbe negare i propri vitali interessi nella penisola, e così anche questa iniziativa di Poincaré sfuma senza aver portato a nulla di concreto, dopo che le potenze della Triplice Alleanza hanno dato 246 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 737, tel. 6759, 31 ottobre 1912, Avarna a San Giuliano. A titolo di esempio, cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 4213, 29 ottobre 1912, San Giuliano a De Bosdari. 248 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 6660, 28 ottobre 1912, Tittoni a San Giuliano. 247 un’unica risposta per mezzo del governo tedesco, dimostrando ancora una volta il pericoloso consolidarsi della divisione dell’Europa in due schieramenti sempre più compatti249 . Finalmente l’Austria decide di rendere noto il suo programma politico nella presente guerra, vale a dire quali cambiamenti è disposta a tollerare e quali eventuali compensi intende chiedere in cambio. Le intenzioni della duplice monarchia sono comunicate ufficialmente dapprima alla Germania il 30 ottobre, poi alle altre alleate Italia e Romania il 3 novembre, ed infine alle potenze dell’Intesa il giorno seguente, sempre sottolineando che si tratta di principi generali di condotta che solo il futuro svolgersi degli eventi potrà rendere più precisi e determinati250 . Nei principali punti di questo programma si afferma che un ingrandimento di Serbia e Montenegro è ammissibile a patto che questi due Stati dimostrino la loro volontà di amicizia nei confronti del vicino impero, accordandogli certi privilegi nei rapporti commerciali che garantiranno relazioni amichevoli fra i due Paesi per molto tempo. Non è tollerabile in nessun caso lo stabilirsi di una grande potenza sulle rive dell’Adriatico, dove dovrà sorgere un’Albania indipendente capace di vita autonoma, dall’estensione maggiore possibile. In conseguenza di questi due punti il desiderio serbo di ottenere uno sbocco adriatico non è ammissibile, nemmeno nella forma di un piccolo corridoio territoriale, in quanto significherebbe che la Serbia non vuole vivere in amicizia con l’Austria, rifiutando di utilizzare i porti dalmati, e poiché ciò andrebbe a detrimento dell’esistenza di uno Stato albanese vitale, oltre ad essere in contrasto con quel principio di nazionalità per il quale la Serbia stessa dichiara di combattere 251 . Quest’ultimo punto pare subito essere quello di più difficile soluzione, all’interno comunque di un programma 249 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 198-99. Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 206-08. 251 Cfr. Helmreich, op. cit. 250 relativamente moderato, almeno rispetto a quanto ci si aspettava in tutta Europa 252 . Le reali motivazioni dell’opposizione ad uno sbocco marittimo serbo attraverso il territorio albanese vanno cercate nella volontà austriaca di non veder mutare l’equilibrio strategico esistente nell’Adriatico, col timore che un eventuale porto serbo possa significare l’affacciarsi della Russia sull’unico mare che bagna le coste dell’impero. Non minore è il sospetto della Ballplatz nei confronti italiani, considerando che Serbia e Italia, se diventassero alleate e volessero seguire una politica ostile all’Austria, potrebbero così crearle grossi problemi. L’altra causa della presa di posizione austriaca ha a che fare coi problemi di ordine interno relativi alla questione degli slavi del sud: se le facili vittorie stanno aumentando notevolmente la forza e la fama della Serbia, il suo stabilirsi sulle rive adriatiche ne accrescerebbe ancor di più il prestigio, e inoltre spezzerebbe la “morsa” economica in cui la costringono la geografia e la volontà austriaca, aumentandone così l’indipendenza commerciale. Di conseguenza si rafforzerebbe anche la capacità di attrazione sulle popolazioni slave che vivono nei confini asburgici253 . Quando l’Italia viene informata di questo programma San Giuliano si trova in visita a Berlino e, parlando con l’ambasciatore austriaco di quella capitale, dice di trovare comprensibili le richieste della monarchia, anche riguardo all’opposizione allo sbocco serbo sull’Adriatico, suggerendo di compensare la Serbia con un porto sull’Egeo 254 . Qualche giorno dopo Avarna dà la risposta ufficiale ai postulati austriaci, dichiarando che l’Italia è in linea di massima d’accordo con l’alleata, anche se attende precisazioni sulle richieste di carattere economico, che si auspicano moderate255 . Se si eccettua questa riserva, tesa a salvaguardare gli interessi economici 252 Cfr. Helmreich, op. cit. Cfr. Helmreich, op. cit.; Albertini, Le origini della guerra op. cit. 254 Cfr. Albertini, Le origini della guerra op. cit., pp. 439-40. 255 Cfr. Salvatorelli, op. cit., pag. 451. 253 italiani nella regione, il cui sviluppo sarebbe ostacolato da una posizione privilegiata del capitalismo austroungarico, l’Italia appare sostanzialmente in accordo con l’Austria, da parte della quale, forse, si aspettava pretese ben maggiori. La Consulta non è un oppositrice irriducibile dello sbocco adriatico serbo, e forse avrebbe anche acconsentito alla concessione di un piccolo corridoio territoriale 256 , ma infine prevalgono, anche a discapito delle considerazioni di carattere commerciale, le ragioni che consigliano in tale questione di uniformarsi alla posizione austriaca. Innanzitutto San Giuliano, così come Giolitti, è guidato dalla volontà di evitare maggiori complicazioni internazionali e pensa che l’Austria, sicuramente danneggiata dalle vittorie della Quadruplice, debba pur essere soddisfatta su qualche punto, in modo che il suo prestigio sia almeno in apparenza preservato, ed in questo senso si esprime qualche giorno più tardi con l’ambasciatore russo, dicendo che non vale la pena far scoppiare una guerra per un porto serbo 257 . Fra l’altro l’Italia teme anch’essa che dietro la Serbia vi sia la Russia e che pertanto esista la possibilità di vedere in futuro la flotta russa nell’Adriatico, e non devono mancare considerazioni riguardanti l’integrità del futuro Stato albanese, che l’Italia vuole sinceramente in grado di reggersi da solo e cui pertanto devono essere assegnati confini adeguati. Inoltre, secondo l’opinione degli ambasciatori francese e inglese a Roma, preoccupa l’eventualità che l’Austria stessa si possa impadronire un giorno del litorale serbo, magari al termine di un conflitto fra i due Paesi, o che si possa avvantaggiare anche soltanto di uno stretto legame economico con questo Stato per aumentare la sua forza in questo mare 258 . Anche in questa circostanza, quindi, si vede come l’accordo politico esistente fra Austria ed Italia sia generato soprattutto dal reciproco sospetto e dall’intenzione di “legare le mani” della rivale, e proprio riguardo 256 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 211-12; Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 246. Cfr. Albertini, Le origini della guerra op. cit., pag. 440. 258 Cfr. Torre, op. cit., pag. 417. 257 alla questione albanese, a partire dagli accordi fra Goluchowski e Visconti Venosta, questo aspetto è determinante e sarà sempre presente fino allo scoppio della Grande Guerra. Per quanto riguarda le ripercussioni negative nei rapporti con la Serbia che questa decisione inevitabilmente comporterà, l’Italia tenterà di ovviare a ciò mantenendo sempre una posizione piuttosto defilata e di basso profilo sulla questione, cercando di fare in modo che l’Austria appaia, agli occhi degli slavi, come la responsabile principale di questa situazione 259 ; a proposito invece delle considerazioni di carattere economico, la Consulta pensa probabilmente che i commerci con i Paesi balcanici, compresa fra questi la Romania, non sarebbero eccessivamente danneggiati da un mancato sbocco serbo sull’Adriatico, a patto che venga costruito un porto libero in Albania posto a capo di quella ferrovia transbalcanica di cui si parla ormai da diversi anni, ma che ancora non è stata iniziata. Le due potenze adriatiche sono quindi intenzionate a porre in atto ciò che avevano concordato nei patti stipulati a cavallo del secolo, e a patrocinare quindi la formazione di uno Stato albanese neutrale all’interno del quale la rivale non deve assolutamente assicurarsi un’influenza preponderante. Da Roma si segue con molta attenzione la situazione in Albania fin dall’inizio del conflitto, e i diplomatici italiani telegrafano spesso informazioni sul contegno della popolazione, sulla posizione delle tribù più importanti rispetto ai belligeranti e sui movimenti dei capi più autorevoli, che si sospetta sempre possano essere “comprati” dall’Austria. Gli albanesi di religione musulmana combattono generalmente fra le fila turche, mentre i cattolici del nord, almeno inizialmente, favoriscono l’arrivo dei montenegrini, e si rompe così quell’unità fra le diverse fazioni schipetare, del resto raggiunta solo in parte, faticosamente ottenuta soltanto qualche mese prima, al tempo delle rivolte contro il governo dei giovani 259 Cfr. Helmreich, op. cit., pag. 212. turchi260 . Il console di Janina invia un rapporto verso la fine di ottobre dove illustra i differenti schieramenti degli albanesi nella guerra montenegrina nel nord del Paese, dove le truppe di re Nicola si stanno accingendo ad assediare Scutari. Mentre tutte le tribù musulmane della regione, eccetto una che è neutrale, si battono con tutte le loro forze insieme ai turchi, le tribù cattoliche, tranne quella di Clementi e quelle dei mirditi, ancora incerte sul da farsi, parteggiano per il Montenegro e partecipano in varia misura alla lotta contro la Porta. Ciò desta parecchi sospetti vista la tradizionale poca simpatia degli albanesi cattolici nei confronti degli slavi ortodossi, mentre per contro fra queste tribù è nota l’influenza austriaca, esercitata soprattutto tramite il protettorato religioso 261 ; quindi, secondo il console italiano, è difficile che l’elemento cattolico si sia mosso senza l’approvazione di Vienna, e non è pertanto da escludersi che la duplice monarchia stia seguendo un progetto ben preciso o addirittura che abbia raggiunto un formale accordo col Montenegro 262 . Qualche gio rno dopo però, appaiono notizie sui quotidiani italiani, che seguono anch’essi attentamente la questione albanese all’interno di una linea complessivamente favorevole alle aspirazioni della Quadruplice, che parlano del progressivo distacco delle tribù cattoliche dei malissori (termine che designa tutte le popolazioni montanare del nord del Paese) dalle fila montenegrine, dopo che hanno chiesto invano a re Nicola una futura autonomia in cambio della continuazione del loro appoggio in guerra; molti di essi adesso passano con i turchi, dove ritrovano quei loro connazionali (se è ammesso parlare di nazione riferendosi all’Albania in questo periodo), contro i quali hanno combattuto fino a pochi giorni prima, ma a fianco dei quali avevano in molti casi lottato al tempo delle insurrezioni contro il governo 260 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, 25 ottobre 1912, Labia a San Giuliano, dove viene riportato un telegramma ai malissori di Isa Boletinac, che chiede loro perché mai combattano contro il governo che ha da poco esaudito le richieste di tutti gli albanesi. 261 Vedi pp. 9-10. 262 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, rap. V.6, 25 ottobre 1912, Labia a San Giuliano. ottomano 263 . In questa caotica situazione, con gli alleati balcanici che non nascondono la loro intenzione di spartirsi l’Albania, e con gran parte dell’opinione pubblica europea che ritiene queste aspirazioni legittime, dal momento che la maggior parte degli schipetari è schierata dalla parte dei turchi, l’Italia è sempre attenta alle mosse austriache e alle diverse voci sul contegno dei capi albanesi che circolano negli ambienti diplomatici europei264 . Sicuramente devono allarmare parecchio la Consulta dispacci come quello inviato da Antivari il 7 novembre, col console italiano che riporta il contenuto di un colloquio avuto con un certo Ivanni bey, «noto agitatore albanese», il quale svela che presto si terrà una sorta di congresso nazionale dei notabili più influenti per stabilire il da farsi. La sua fazione sosterrà probabilmente la proclamazione della piena indipendenza, vista la situazione critica della Turchia su cui non si può fare più alcun affidamento; gli albanesi sono fermamente intenzionati ad impedire la spartizione del loro Paese, stanno superando le loro divisioni religiose, e sono disposti ad invocare l’aiuto dell’Austria, dal momento che l’Italia sta facendo così poco per la loro causa265 . È però probabile che un simile linguaggio sia adoperato appositamente per spronare l’Italia ad intervenire con più energia in difesa dell’Albania, e del resto gli albanesi si sono sempre dimostrati abili nel saper “giocare” sulla rivalità italo-austriaca a proprio vantaggio. Da parte italiana vi è poi del risentimento verso l’alleata per un episodio avvenuto nella prima metà di novembre, quando un piroscafo austriaco viene inviato al largo di Durazzo per far evacuare i sudditi austroungarici in caso di aggravarsi della 263 Cfr. I Malissori intimano a Re Nicola di garantire loro l’autonomia albanese, in La Stampa, 29 ottobre 1912, pag. 6; Le defezioni dei malissori, in La Stampa, 31 ottobre 1912, pag. 2; 264 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 737, tel. 6922, 9 novembre 1912, il console presso Budapest a San Giuliano, in cui si parla della presenza di importanti capi albanesi a Vienna; b. 676, rap. 3129/1359, 14 novembre 1912, Tittoni a San Giuliano, con l’ex ministro che dice di avere informazioni su Ismail Kemal, che starebbe preparando la proclamazione d’indipendenza con l’appoggio dell’Austria; b. 676, tel. 7224, 22 novembre 1912, Revel a San Giuliano, in cui si riportano voci secondo cui i malissori avrebbero fatto sapere a Berchtold che avrebbero ben accolto un’occupazione austriaca del loro Paese. 265 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 737, 7 novembre 1912, Mancinelli a San Giuliano. situazione. San Giuliano si affretta a far sapere a Vienna che l’Italia intende fare altrettanto, e non nasconde l’irritazione per non essere stato avvisato in anticipo da Berchtold, ricordando inoltre agli austriaci le loro proteste nel 1911, quando era accaduto un fatto analogo ma a parti invertite 266 . Un episodio come questo dimostra l’apprensione con cui la Consulta segue ogni mossa austriaca, nel timore che anche il più piccolo vantaggio acquisito in termini di influenza sulla regione possa poi rivelarsi decisivo nell’ottenere la supremazia nel futuro Stato che bisognerà creare. La politica italiana in Albania è ben illustrata da alcuni lunghi rapporti che giungono a San Giuliano nel mese di novembre: uno di questi lo invia il console di Valona, De Facendis, che conclude che, dovendosi evitare assolutamente un’occupazione austriaca nella regione, sarebbe preferibile un’Albania autonoma e vitale, anche in omaggio al principio di nazionalità, piuttosto che un Paese legato all’Italia politicamente, che «potrebbe essere un noioso tumore al nostro tallone»267 . Del resto l’Austria non acconsentirebbe mai a quest’ultima soluzione, e quando De Facendis scrive le due potenze adriatiche sono ormai d’accordo per la creazione di uno Stato indipendente. L’ambasciatore italiano a Vienna si sofferma invece sulla difficile situazione creata dall’avanzata delle truppe della Quadruplice, in particolare di quelle serbe e montenegrine, che hanno già occupato centri indubbiamente albanesi quali Ipek, Djakova, Prizren e Kalkandel, mentre Scutari sta per cadere, e lamenta il fatto che non si sia provveduto negli anni passati ad accordarsi preventivamente sulle frontiere dell’Albania. Passando poi alle proposte di Berchtold relative alla neutralizzazione ed al controllo internazionale del Paese, l’ambasciatore italiano esprime l’opinione che sul primo punto non ci dovrebbero essere problemi, essendo questa soluzione «conforme ai 266 Vedi pag. 37; cfr. ASMAE, serie politica, b. 737, tel. 4388, 13 novembre 1912, San Giuliano ad Avarna. 267 ASMAE, serie politica, b. 676, rap. 2/2, 18 novembre 1912, De Facendis a San Giuliano. nostri interessi»; per quanto riguarda invece il secondo punto egli pensa che l’intromissione negli affari interni albanesi delle altre potenze, che hanno interessi indubbiamente minori nella regione, sebbene possa essere utile per controllare meglio l’Austria ed impedirne più facilmente eccessive pretese, possa però anche creare problemi e complicazioni che ostacolerebbero le intenzioni delle due alleate, e che pertanto sia bene riflettere ancora prima di dare una risposta definitiva a Berchtold 268 . Subito dopo passa ad esaminare la spinosa questione della nomina del personale per l’amministrazione civile e per tutte le altre competenze del futuro Stato, compresa l’istituzione della gendarmeria. In queste scelte «si dovrà essere molto guardinghi per l’influenza che[…]potrebbe avere sulle popolazioni albanesi»269 , e l’unica soluzione possibile pare essere quella di mantenere un perfetto equilibrio fra Italia ed Austria, senza che nessuna delle due possa avvantaggiarsi sull’altra, mentre ovviamente lo stesso principio andrà applicato anche a proposito di ogni concessione economica o di altro tipo 270 . In questi termini si esprimerà qualche giorno dopo lo stesso Avarna con Berchtold 271 , e a questa “regola” le due patrone dell’Albania si atterranno realmente nei mesi a venire, quando cercheranno, a dire il vero con poco successo, di edificare uno Stato civile in grado di vivere autonomamente. Allo scoppio del conflitto mondiale, infatti, la maggior parte dei problemi saranno ancora irrisolti ed il Paese si troverà in piena anarchia politica. Un altro lungo memorandum sulla questione albanese lo invia il ministro ad Atene, che si sofferma soprattutto su questioni economiche. Dapprima Carlotti ammonisce sui pericoli che la rivalità in Albania comporta per le relazioni italoaustriache, a maggior ragione ora che i due Paesi si troveranno soli sul campo, sparito 268 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 61, tel. di gabinetto 2004, 16 novembre 1912, Avarna a San Giuliano. 269 ASMAE, archivio di gabinetto, b. 61, tel. di gabinetto 2004 cit. 270 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 61, tel. di gabinetto 2004 cit. 271 Cfr. Salvatorelli, op. cit., pp. 452-53. anche di diritto il potere ottomano che ha avuto il non piccolo merito di funzionare quasi da intermediario fra le due potenze adriatiche, da «sistema scaricatore di elettricità»272 . È auspicabile quindi che Italia ed Austria appianino fin da subito le possibili divergenze, cercando di stabilire un clima di reciproca fiducia che permetta una proficua collaborazione, cosa che nella realtà non accadrà mai (nell’agosto 1913 uno dei più importanti burocrati della Consulta, Primo Levi, sosterrà che l’Albania avrà lo stesso ruolo fra Italia ed Austria di quello avuto a suo tempo dai ducati dello Schleswig- Holstein fra Prussia ed Austria)273 . L’aspetto nel quale gli interessi delle due alleate paiono del tutto inconciliabili è, secondo Carlotti, quello relativo alla penetrazione commerciale all’interno dei Balcani, ed è esemplificato dalle opposte politiche ferroviarie seguite: mentre l’Austria propugna un sistema di comunicazioni orientato longitudinalmente, da nord a sud, l’Italia invece ha convenienza allo sviluppo di reti ferroviarie che partano dall’Adriatico e si allunghino verso est, all’interno della penisola. Quindi se l’interesse austriaco per l’Albania è quasi esclusivamente politico, quello italiano è anche di tipo economico e si riassume nella speranza di fare della regione una porta verso i Balcani, attraverso la quale possano stabilirsi proficue relazioni commerciali con quei Paesi giovani e ancora poco progrediti ma destinati a sicura crescita. A questo proposito sarà necessario procedere alla costruzione di tre tronchi ferroviari che partano dai porti di San Giovanni di Medua, Durazzo e Valona, e giungano in Serbia e Bulgaria, collegandosi al resto della rete balcanica e quindi anche ai porti sull’Egeo e sul mar Nero. Ciò non recherà danno alla fortuna di Antivari, altra testa di ponte italiana per la penetrazione nella penisola, dove molte iniziative sono già 272 ASMAE, serie politica, b. 676, rap. 2544/1293, 16 novembre 1912, Carlotti a San Giuliano. Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 264; Sonnino ha fatto ricorso al medesimo paragone storico durante un suo intervento alla Camera il 3 dicembre 1912 (cfr. La pace di Losanna e il riordinamento della Libia alla Camera, in Corriere della sera, 4 dicembre 1912, pp. 1-2). 273 state avviate, perché a quella città, secondo Carlotti, farà capo una diversa linea che si dirigerà verso nord-est 274 . In questo modo l’Albania, al cui interno del resto non mancano possibilità di sfruttamento economico, se si pensa ad esempio all’enorme patrimonio forestale del Paese, «in piccola scala starà all’Italia, come l’Ungheria all’Austria, ossia un ponte verso l’Oriente, dove poterci aprire la via in tutte le direzioni del retroterra balcanico»275 . Il diplomatico italiano conclude ricordando il dovere imprescindibile di evitare che l’Austria ottenga trattamenti privilegiati dal punto di vista economico da parte della Serbia o di altri Stati; in tal caso l’Italia dovrà chiedere parità di condizioni per non veder sfumare i suoi disegni di penetrazione commerciale nei Balcani 276 . Il 17 novembre Berchtold avanza all’Italia alcune proposte sull’Albania riguardanti i confini, che dovrebbero comprendere più distretti possibili fra quelli abitati prevalentemente da albanesi, anche se alcune eccezioni saranno necessarie dovendosi pure tener conto dei risultati della guerra. Pertanto le città di Djakova, Ipek e Prizren dovranno essere lasciate alla Serbia, mentre se Scutari cadrà potrà essere data al Montenegro, in cambio però di una rettifica di confine presso Cattaro. Nella risposta ufficiale di qualche giorno dopo San Giuliano si dichiara in linea di massima d’accordo, osservando che l’acquisizione di Scutari da parte di re Nicola porterebbe con sé anche quella del porto di San Giovanni di Medua, eventualità non gradita dalla Ballplatz, e su cui quindi il ministro italiano non tornerà più in futuro. Aggiunge poi che l’Italia non vede incompatibilità fra la neutralizzazione dell’Albania e una qualsiasi forma di controllo internazionale, e le considera anzi misure desiderabili. Circa il compenso da chiedere al Montenegro però, San Giuliano afferma che non ritiene il caso di 274 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, rap. 2544/1293 cit. ASMAE, serie politica, b. 676, rap. 2544/1293 cit. 276 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, rap. 2544/1293 cit. 275 domandarlo, perché altrimenti anche l’Italia ne avrebbe avuto diritto 277 . Il fatto è che la piccola rettifica di confine a cui pensa Berchtold si riferisce al Lovcen, una montagna in territorio montenegrino che domina la baia di Cattaro; se l’Austria si impossessasse di questi pochi chilometri quadrati, apparentemente di scarsa importanza, la zona costiera sottostante sarebbe perfettamente difendibile, e Cattaro, che con la sua baia si presta naturalmente a ciò, potrebbe essere trasformata in una temibile base navale militare a poche ore dalle coste italiane. Tutto questo comporterebbe un cambiamento nell’equilibrio strategico dell’Adriatico ed è pertanto avversato risolutamente, e non solo da ora, dall’Italia 278 . Intanto gli alleati balcanici continuano a registrare una vittoria dietro l’altra: l’8 novembre i greci entrano a Salonicco, precedendo di un sol giorno le truppe bulgare, con le quali divideranno l’occupazione della città non senza scaramucce e piccoli scontri fra i due eserciti (il trattato di alleanza fra Grecia e Bulgaria non contiene accordi per la spartizione dei territori conquistati). I serbi conquistano Monastir ed estendono la loro occupazione in Macedonia a zone destinate, secondo i patti, ai bulgari, e nel frattempo proseguono la marcia verso l’Adriatico nonostante il veto imposto dalla Triplice Alleanza. I serbi possono permettersi ciò perché i turchi hanno concentrato i loro sforzi difensivi in Tracia, dove l’esercito bulgaro sostiene così l’impegno maggiore fra gli alleati, mentre in Macedonia, Tessaglia, e in misura minore Albania, la resistenza ottomana è scarsa e le regioni in questione vengono prese senza eccessiva difficoltà. Va detto però che la Serbia, ad un certo punto, invia truppe sul fronte di Chatalja a sostegno della Bulgaria, che del resto per orgoglio accetta malvolentieri279 . L’avanzata degli 277 Cfr. Salvatorelli, op. cit., pag. 453; Albertini, Le origini della guerra op. cit., pp. 443-44; Torre, op. cit., pag. 418. 278 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 387; Albertini, Le origini della guerra op. cit., pag. 532. 279 Cfr. Helmreich, op. cit.; Biagini, L’Italia e le guerre op. cit. eserciti alleati è accompagnata da reciproche accuse di atrocità da parte dei belligeranti. Il console italiano a Uskub, indispettito tra l’altro dal comportamento delle autorità serbe nei confronti di tutto il corpo diplomatico della città, scrive che l’occupazione è mal vista poiché solo una minima parte della popolazione è serba. I musulmani, ed in particolare gli albanesi, sono perseguitati duramente dagli occupanti, con banditi serbi protetti dall’esercito che nottetempo ne trucidano a centinaia in diverse località della regione; «quanto più i serbi – prosegue Galanti – avanzano verso regioni sulle quali non possono vantare alcun diritto nazionale, la soppressione della popolazione diventa sistematica»280 . Invece sui giornali italiani, schierati complessivamente a favore degli Stati balcanici, non compaiono notizie di questo tenore, bensì si susseguono accuse di atrocità varie commesse dai turchi in ritirata o dalle popolazioni musulmane autoctone, come gli albanesi o i pomacchi, slavi abitanti in Bulgaria ma convertiti all’islamismo 281 . La Turchia, sconfitta su tutti i fronti, chiede fin dai primi di novembre l’intervento delle grandi potenze in favore di un armistizio, e in seguito alle tergiversazioni di queste ultime, che non vogliono venir meno alla proclamata neutralità, passa a trattare direttamente con la Bulgaria. Le trattative però non hanno esito positivo, e così accade anche per i tardivi tentativi del concerto europeo, ora decisosi ad intervenire. La guerra quindi continua, ma un nuovo massiccio attacco dei bulgari a Chatalja il 17 e il 18 novembre viene respinto e provoca molte perdite all’esercito di re Ferdinando, il quale deve rinunciare al sogno di raggiungere Costantinopoli e di dettare la pace sulle rive del Bosforo, sogno condiviso soprattutto dagli ufficiali bulgari282 . Prima di questa battuta 280 ASMAE, serie politica, b. 737, tel. 7102, 17 novembre 1912, Rinella a San Giuliano. A titolo di esempio, cfr. I turchi in fuga dall’Epiro massacrano, incendiano e saccheggiano, in La Stampa, 31 ottobre 1912, pag. 1; Villaggi e fattorie serbe assalite dai predoni albanesi, in La Stampa, 9 novembre 1912, pag. 1; Un altro spaventoso quadro delle atrocità turche, in Corriere della sera, 3 novembre 1912; L. Barzini, Sulla strada della guerra da Adrianopoli a Ciatalgia, in Corriere della sera, 26 novembre 1912, pag. 3. 282 Cfr. Helmreich, op. cit. 281 d’arresto non sembra affatto improbabile che la Bulgaria riesca in questa impresa, e ciò provoca allarme in tutta Europa e soprattutto in Russia, la potenza che più di tutte è interessata alla questione degli stretti. A San Pietroburgo non ci si aspettava evidentemente una vittoria così netta da parte della Quadruplice, tanto che Sazonov pensava che Adrianopoli, per la sua vicinanza agli stretti, sarebbe dovuta restare alla Turchia. Ora il ministro russo si convince che questa città può anche essere lasciata ai bulgari, che tra l’altro la stanno ancora assediando, ma per la Russia resta inammissibile che qualcuno che non sia lo zar prenda il posto del sultano a Costantinopoli, e per impedire ciò è pronta a schierare tutta la sua flotta del mar Nero davanti alla capitale ottomana 283 . Si ha così la paradossale situazione, come nota Taylor, che «i soli seri preparativi di guerra fatti dalla Russia nel 1912 sono contro uno Stato nazionale slavo»284 . L’eve ntualità della caduta di Costantinopoli preoccupa non poco anche le altre potenze, soprattutto per il timore del caos che si scatenerebbe nella città, con la diffusione di voci secondo cui in tal caso sarebbe molto probabile un massacro di cristiani da parte del popolo di fede musulmana o da parte delle truppe in ritirata. A questo proposito le grandi potenze, compresa l’Italia, inviano proprie navi nella zona degli stretti per evacuare, in caso di necessità, i rispettivi connazionali, mentre le ambasciate in città sono sorvegliate con più attenzione del solito 285 . Quando l’esercito bulgaro viene bloccato nella sua marcia verso il Bosforo è sicuramente il governo russo a tirare il maggior sospiro di sollievo: se la Russia avesse dovuto intervenire contro la Bulgaria tutta la sua politica balcanica avrebbe subito uno scacco. Infatti oltre a danneggiare irrimediabilmente la sua immagine di protettrice dello slavismo scendendo 283 Cfr. Helmreich, op. cit. Taylor, op. cit., pag. 710. 285 Cfr. Helmreich, op. cit.; Moltitudini armate tentano di marciare contro i quartieri europei di Costantinopoli, in La Stampa, 5 novembre 1912, pag. 6. 284 in campo proprio contro uno Stato slavo, la sua mossa avrebbe dato mano libera all’Austria, che molto probabilmente non si sarebbe più astenuta dall’intervenire a sua volta contro la Serbia. Quest’ultima infatti non sembra per nulla intimorita dalla volontà austriaca di negarle il porto adriatico e di difendere l’integrità albanese, ed è fermamente intenzionata ad ottenere un’autentica indipendenza economica al di fuori di qualunque legame privilegiato con l’Impero asburgico. Pochi giorni dopo che la Ballplatz ha reso nota la propria politica dinanzi al conflitto, che prevede l’intangibilità dell’Albania, i diplomatici serbi avanzano rumorosamente una serie di rimostranze in tutte le cancellerie d’Europa, con toni che talvolta irritano le grandi potenze. Essi affermano che il loro Paese è pronto a qualsiasi sacrificio per preservare un interesse ritenuto di vitale importanza per il suo sviluppo e per difendere i frutti delle vittorie della nazione 286 . Questi argomenti sono sostenuti anche dalla stampa ufficiosa di Belgrado, che inoltre parla dell’impossibilità dell’esistenza di uno Stato albanese, vista la natura selvaggia di quelle popolazioni287 . La Consulta, come si è detto, ha approvato la decisione austriaca di negare uno sbocco marittimo per la Serbia, anche se nella sua azione diplomatica in tale questione traspare una certa ambiguità. Il 16 novembre, infatti, scoppia un piccolo caso quando Belgrado smentisce che l’Italia abbia compiuto un passo ufficiale per appoggiare il veto austriaco; tale dichiarazione pare sia stata suggerita dal ministro italiano, Rinella, anche se questi afferma che sia avvenuta a sua insaputa. Berchtold, indispettito, pretende allora che il governo italiano confermi pubblicamente il suo passo contrario allo sbocco adriatico serbo, ma Giolitti e San Giuliano ritengono che, essendo tale passo già stato pubblicato in Italia, non sia 286 Cfr. Helmreich, pp. 212-13; ASMAE, serie politica, b. 737, tel. 7068, 15 novembre 1912, Carlotti a San Giuliano. 287 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 737, rap. 1291/236, 21 novembre 1912, Rinella a San Giuliano. necessario ripeterlo. Vienna a questo punto non insiste ulteriormente 288 , mentre sui giornali austriaci l’Italia è accusata di fare il doppio gioco e si insinua che Rinella, parlando in privato, sia molto conciliante col governo serbo e addirittura lo incoraggi289 . Tale comportamento da parte italiana è dettato forse dal timore di inimicarsi la Serbia, ciò che potrebbe danneggiare le future relazioni fra i due Paesi, che si sperano molto proficue soprattutto dal punto di vista economico. Quindi si cercherebbe di fare in modo che la responsabilità di questa decisione ricada, agli occhi degli Stati balcanici, sull’Austria-Ungheria, senza che l’immagine dell’Italia ne risenta eccessivamente. Va anche aggiunto che l’opinione pubblica italiana parteggia decisamente per la Quadruplice, e molti quotidiani fra i più autorevoli, come ad esempio il Corriere della sera, sono in favore della Serbia nella questione del porto adriatico 290 . Un altro tema su cui la stampa nazionale si schiera dalla parte del giovane Stato slavo, in questo caso più compatta e con enfasi ancora maggiore, è quello delle garanzie economiche richieste dall’Austria, che assolutamente non devono tradursi in un’unione doganale con la Serbia o in una posizione dominante della duplice monarchia ne l commercio balcanico 291 . In questo caso le suggestioni dell’opinione pubblica trovano riscontro nell’azione della Consulta, che opponendosi ad un’eccessiva invadenza economica austriaca nella regione risponde anche alle accuse di non avere una propria politica balcanica e di restare “a rimorchio” dell’Impero asburgico. In realtà già nella prima risposta alla notificazione dei postulati della politica della Ballplatz, San Giuliano ha fatto esprimere ad Avarna qualche riserva sulle richieste economiche, del resto non 288 Cfr. Salvatorelli, op. cit., pp. 451-52. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 737, tel. 7069, 16 novembre 1912, Avarna a San Giuliano. 290 A titolo di esempio, cfr. La questione albanese e la politica italiana, in Corriere della sera, 8 novembre 1912, pag. 2. 291 A titolo di esempio, cfr. C. (B. Cirmeni), Una più vasta e più chiara visione del problema albanese, in La Stampa, 18 novembre 1912, pp. 1-2; La questione balcanica e l’Italia, in Corriere della sera, 12 novembre 1912, pp. 1-2. 289 ancora esposte in termini precisi292 . Lo stesso ambasciatore italiano prospetta la necessità, il 16 novembre, di domandare a Berchtold di rendere note le garanzie che intende chiedere alla Serbia 293 , e tale occasione gli si presenta due giorni dopo; in questo colloquio Avarna parla delle preoccupazioni italiane che si voglia ridurre la Serbia ad uno stato di vassallaggio economico che condurrebbe inevitabilmente, prima o poi, ad una totale soggezione politica. Il ministro austriaco cerca di tranquillizzare il suo interlocutore negando che il suo Paese aspiri ad un’unione doganale, e affermando che si sarebbe accontentato del mantenimento della precedente posizione economica nei territori una volta ottomani; l’Austria, dunque, non pensa a nulla più che a dei semplici trattati di commercio. L’Italia ha comunque fatto in modo in questi giorni di rendere nota negli ambienti diplomatici europei, oltre che alla diretta interessata, la sua ferma posizione su questo punto: nessuna forma di monopolio nei rapporti commerciali con gli Stati vincitori è tollerabile, bensì dovrà essere garantita a tutti eguaglianza di trattamento 294 . Nel frattempo un nuovo incidente è intervenuto a peggiorare i già tesi rapporti fra Austria e Serbia, con quest’ultima che ha ufficialmente protestato per il comportamento del console asburgico a Prizren, Prochaska, ritenuto ostile nei confronti delle autorità occupanti. Avendo però queste ultime interrotto ogni mezzo di comunicazione fra i diplomatici del luogo e i rispettivi ministeri, Berchtold si vede obbligato a mandare un rappresentante austriaco in loco per verificare le accuse, che dichiara comunque di ritenere improbabili. Nel frattempo si diffondono voci sui maltrattamenti di ogni tipo, comprendenti addirittura la tortura, che avrebbe subito Prochaska da parte dei serbi. Tutto ciò contribuisce a surriscaldare l’atmosfera, nonostante queste ultime notizie 292 Vedi pp. 73-74. Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 61, tel. 2004 cit. 294 Cfr. Salvatorelli, op. cit., pp. 452-53; Torre, op. cit. 293 vengano smentite dal governo di Belgrado. Il 26 novembre finalmente il console austriaco di Uskub informa dell’arrivo in questa città di Prochaska sano e salvo, e il giorno seguente quest’ultimo invia un telegramma a Vienna. Le voci sui maltrattamenti inflittigli dai serbi continuano però a trovare spazio sui giornali austriaci, ma la Ballplatz, deliberatamente, evita di smentirle in attesa del ritorno dell’incaricato delle indagini in merito alle accuse mosse dal governo serbo, sebbene sia ormai certo che il console asburgico non ha subito nulla di ciò che si va dicendo 295 . Anche il rappresentante italiano ad Uskub, che si è già visto essere poco ben disposto verso i serbi296 , telegrafa a Roma il 26 novembre riferendo il colloquio da lui avuto con Prochaska, appena giunto lì da Prizren. Quest’ultimo, pur affermando di essere stato molestato in ogni modo, deve ammettere di non aver subito alcuna costrizione personale né violenze di sorta; nega di essersi comportato in maniera ostile verso le autorità occupanti e accusa i serbi di gravissimi eccessi ai danni delle popolazioni civili musulmane. L’arrivo delle truppe di re Pietro, a detta del console austriaco, è solitamente preceduto dall’azione di bande irregolari che saccheggiano i villaggi albanesi e ne massacrano gli abitanti, anche se questi in alcune zone si sono ora organizzati per opporre una viva resistenza 297 . Il dissidio austro-serbo per il porto adriatico, aggravato dalla questione consolare, mantiene incerta la situazione internazionale. Come al solito tutti guardano con trepidazione all’attitudine russa, domandandosi fino a che punto San Pietroburgo si spingerà nel prendere le parti dei suoi “fratelli slavi”, con il governo serbo che pare fermamente determinato a difendere i frutti delle sue vittorie, mentre l’Austria, dal canto suo, fa dell’esclusione della Serbia dalle coste adriatiche un punto capitale della sua politica nell’attua le conflitto. Neanche 295 Cfr. Helmreich, op. cit. Vedi pag. 83. 297 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 737, tel. 7306, 26 novembre 1912, Galanti a San Giuliano. 296 le assicurazioni di Sazonov che la Russia non intende approfittarne per usufruire di una base navale militare, che se queste fossero le sue intenzioni avrebbe già avuto la possibilità di farlo ad Antivari, servono a far cambiare idea a Berchtold 298 . Un’altra incognita è il comportamento degli altri Stati della Quadruplice balcanica in caso di conflitto austro-serbo: per adesso si limitano ad appoggiare diplomaticamente le richieste di Belgrado, ma non si sa quale sarebbe il loro contegno nel caso che la situazione precipitasse. Il ministro degli Esteri greco afferma perentoriamente il 10 novembre che gli alleati avrebbero sostenuto con tutte le loro forze il diritto serbo allo sbocco adriatico 299 . Per quanto riguarda invece la Bulgaria, che secondo i patti dovrebbe soccorrere la Serbia se questa venisse attaccata dall’Austria, Danev, presidente della Sobranje, la camera bulgara, durante il suo viaggio ufficiale a Vienna il 9 novembre supporta anch’egli le richieste serbe per il porto. Berchtold ne ricava però l’impressione che i bulgari appoggino la loro alleata senza molta convinzione e che se si giungesse ad una guerra si asterrebbero dal combattere. Dal canto suo Danev si convince invece che l’Austria non farà precipitare tale questione fino allo scoppio di un conflitto, e riferisce ciò a Belgrado 300 . Sicuramente la pace fra le grandi potenze dipende principalmente dalla posizione di San Pietroburgo, la quale è del resto parecchio oscillante, incerta, e passa da consigli di moderazione alla Serbia ad atteggiamenti più intransigenti. Tutto questo può essere dovuto a diverse cause: l’influenza dei militari sullo zar, il condizionamento che questi subisce da parte della sua corte, il comportamento dei diplomatici russi, non sempre fedeli esecutori delle direttive del proprio governo 301 . A questo proposito molte accuse vengono già allora rivolte al rappresentante russo in 298 Cfr. Helmreich, op. cit. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 737, tel. 6957, 10 novembre 1912, Carlotti a San Giuliano. 300 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 246-47. 301 Cfr. Helmreich, op. cit.; ASMAE, serie politica, b. 737, tel. 6980, 11 novembre 1912, Pansa a San Giuliano. 299 Serbia, Hartwig, che Albertini definisce un «panslavista facinoroso»302 . Questi è stato uno degli artefici principali dell’alleanza balcanica, e dal suo arrivo a Belgrado ha saputo guadagnarsi una posizione molto influente presso il governo serbo, al punto che, secondo alcuni suoi colleghi, nulla viene più deciso in materia di politica estera senza che prima lui sia stato consultato. Sempre secondo gli altri diplomatici stranieri di Belgrado, compreso quello italiano, Hartwig non si atterrebbe alle istruzioni che riceve da Sazonov, ma farebbe di tutto per incoraggiare la Serbia a non cedere sulla questione del porto adriatico, così come prima dello scoppio del conflitto non avrebbe fatto molto per impedirlo, a dispetto di quanto gli ordinava il suo governo 303 . Quest’ultimo comunque, nonostante una certa ambiguità nella sua condotta, difficilmente potrebbe acconsentire a far entrare il Paese in guerra per un porto adriatico e finalmente, prima della fine di novembre, dichiara alla Triplice Alleanza che avrebbe convinto la Serbia ad accontentarsi di uno sbocco commerciale. La posizione russa su questa questione non muterà più, sebbene negli stessi giorni i militari quasi convincano lo zar ad iniziare la mobilitazione, bloccata all’ultimo momento dal parere decisamente contrario del governo. Nonostante i consigli di cedere al volere austriaco ed italiano, che ora giungono da San Pietroburgo con chiarezza e senza tentennamenti, la Serbia continua ostinatamente a dichiarare che non può rinunciare ad un pur stretto corridoio che la metta in comunicazione col mare, e che per ottenere ciò è disposta ad ogni sacrificio, mentre intanto il 30 novembre il suo esercito arriva a Durazzo 304 . L’Austria, dal canto suo, si mantiene ferma e determinata a non permettere che alcun tratto di costa adriatica 302 Albertini, Le origini della guerra op. cit., pag. 385. Cfr. Helmreich, op. cit.; ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 6235, 11 ottobre 1912, Rinella a San Giuliano; ASMAE, serie politica, b. 677, rap. 328/82, 29 marzo 1913, Rinella a San Giuliano, con il rappresentante italiano che scrive: «di quali metodi si serva il signor Hartwig per dar sfogo agli esagerati sentimenti panslavistici da cui è animato». 304 Cfr. Helmreich, op. cit. 303 finisca definitivamente in mano serba, mentre l’incidente del console di Prizren contribuisce a mantenere alta la tensione tra i due Paesi. La duplice monarchia si sente forte dell’appoggio tedesco, confermatole in occasione del viaggio a Berlino dell’arciduca ereditario e del capo di stato maggiore dell’esercito, calorosamente ricevuti dal kaiser, dal governo e dai vertici militari del reich, che pur non incoraggiando un atteggiamento intransigente da parte dell’alleata, la rassicurano sulla loro fedeltà nel caso che la situazione precipiti. Molta impressione desta anche il discorso che il cancelliere tedesco, Bethmann Hollweg, tiene al Reichstag il 2 dicembre, quando dichiara che la Germania adempirà ai suoi doveri di alleata nel caso che l’Austria venisse attaccata 305 . L’Italia, da parte sua, si augura che Belgrado ceda e che pertanto Vienna non abbia il pretesto per intervenire in prima persona, e per annullare magari anche altri risultati della guerra balcanica, il cui andamento è stato finora complessivamente favorevole agli interessi italiani. Intanto Tittoni, ambasciatore italiano a Parigi, conversando con Poincaré il 20 novembre, afferma che gli accordi con l’Austria per l’Albania comportano per l’Italia il soccorso attivo a fianco dell’alleata, nel caso che questa scenda in guerra con la Russia per difendere l’integrità albanese dalle mire slave. In caso poi di intervento tedesco e francese a fianco dei rispettivi alleati, continua Tittoni incalzato da Poincaré, la Francia non deve sperare nella neutralità italiana secondo gli accordi Prinetti-Barrere del 1902306 , che sarebbero scavalcati in questo caso da quelli italo-austriaci per l’Albania. Poincaré, allarmato da queste dichiarazioni, dice a Barrere, ambasciatore francese a Roma, di chiedere spiegazioni al governo italiano nonché a Visconti Venosta, artefice dell’intesa con 305 Cfr. Helmreich, op. cit. Questa intesa, oltre a riconoscere i rispettivi interessi dei due Paesi in Marocco e Tripolitania, obbliga i contraenti alla neutralità nel caso che uno dei due sia aggredito da un altro Stato (cfr. Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit.). 306 l’Austria 307 . Giolitti risponde che Tittoni non era autorizzato a fare simili dichiarazioni, di cui non si capisce il senso, assicura che l’Italia rispetterà gli accordi con la Francia, e conclude che una guerra fra i due Paesi è per lui qualcosa di inconcepibile. San Giuliano tranquillizza Barrere affermando che l’intesa per l’Albania non contempla soluzioni militari, essendo un accordo di portata generale, e soprattutto non ha rapporti con quella fra Italia e Francia del 1902, con la quale non vi è alcuna contraddizione. Infine Visconti Venosta, firmatario del patto con l’Austria, conferma quanto hanno già dichiarato il presidente del consiglio ed il ministro degli Esteri, aggiungendo l’interessante osservazione che «il Paese non permetterebbe ad alcun governo di unirsi all’Austria in una guerra»308 . D’altro lato però, San Giuliano non intende effettuare alcuna smentita ufficiale, né pensa di comunicare alcunché a Tittoni. L’Italia dimostra quindi ancora una volta ambiguità e una certa insicurezza nella sua condotta, al punto che a Parigi, e non solo in questa capitale, si nutrono molti dubbi sulla sua affidabilità e lealtà. Iswolski, ambasciatore russo in Francia, scrive il 5 dicembre di aver ricavato dagli ultimi fatti l’impressione che nessuno si possa veramente fidare dell’Italia, e che essa farà di tutto per conservare la pace, mentre se si dovesse giungere ad una guerra generale cercherà in tutti i modi di restarne fuori, per aderire magari in seguito alla fazione che si dimostrerà più forte 309 . In tempo di pace, tuttavia, l’azione italiana è nel complesso abbastanza conforme a quella di Austria e Germania da far apparire la Triplice Alleanza un blocco compatto e unito, e ciò contribuisce indubbiamente alla conservazione dell’equilibrio europeo e quindi della pace. Le potenze dell’Intesa, infatti, sono restie a giungere ad una prova di forza non avendo almeno qualche buona 307 Cfr. Albertini, Le origini della guerra op. cit., pp. 441-43. Albertini, Le origini della guerra op. cit., pag. 442. 309 Cfr. Albertini, Le origini della guerra op. cit. 308 possibilità di dividere la Triplice Alleanza 310 . Intanto il concerto europeo, e questa è una buona notizia per il mantenimento della pace generale, ha raggiunto l’accordo per la convocazione di una conferenza a Londra, dove gli ambasciatori delle grandi potenze, stabiliti quali cambiamenti possono essere lasciati alle decisioni dei vincitori, discuteranno quei punti su cui intendono far sentire la loro voce. Questi ultimi vengono individuati principalmente nella delimitazione dell’Albania e nell’assegnazione delle isole egee. Il merito di questo risultato va attribuito principalmente a Grey, anche se fin dai primi di ottobre la Francia ha proposto ripetutamente e con una certa insistenza l’idea di una conferenza europea. Il progetto di Poincaré, però, prevedeva una grande riunione generale a cui avrebbero dovuto partecipare anche gli Stati balcanici interessati, mentre si deve a Grey la soluzione di delegare gli ambasciatori a rappresentare i propri governi. Il ministro inglese avrebbe voluto accontentare la Francia appoggiando Parigi come sede della conferenza, ma a ciò si oppongono risolutamente Austria e Germania, che temono gli intrighi di Iswolski, e così si decide infine per Londra. L’Austria, appoggiata in questo dalle sue alleate, pone un’altra condizione per partecipare, vale a dire che sia esclusa dalla conferenza qualsiasi discussione su un possibile sbocco adriatico per la Serbia; si dovranno piuttosto decidere le modalità per garantirle uno sbocco commerciale 311 . La Triplice Alleanza fa anche un debole tentativo per ottenere la partecipazione alla riunione degli ambasciatori della Romania, ma senza successo. Quest’ultima è fin dal 1883 legata da un trattato segreto di carattere difensivo con l’Austria e con la Germania, e a partire dal 1888 anche con l’Italia, ed è quindi in pratica un membro aggiunto della Triplice Alleanza 312 . In questi anni la Romania è in buoni rapporti con l’Italia, anche se 310 Cfr. Helmreich, op. cit. Cfr. Helmreich, op. cit. 312 Cfr. Jelavich, op. cit., pp. 180-82. 311 questi non sono molto frequenti ed intensi. Con essa vi sono pure molte analogie per quanto riguarda la politica verso l’Impero asburgico, nei cui confini entrambe hanno una popolazione irredenta, a cui soprattutto l’opinione pubblica guarda con grande passione; anche per la Romania, a proposito dei rapporti con l’Austria, vale quindi il detto “o nemici o alleati”, e qualche anno più avanti, con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, anch’essa scenderà infine in campo con l’Intesa a conflitto già iniziato313 . Allo scoppio della guerra balcanica, dopo aver rifiutato nei mesi precedenti offerte d’alleanza giunte sia dalla Turchia che dalla Bulgaria, la Romania, seguendo i consigli delle grandi potenze, si dichiara neutrale, ricordando però a Sofia che tale condizione è legata al mantenimento dello status quo, che d’altronde è stato proclamato dal concerto europeo 314 . Le nette vittorie della Quadruplice, e soprattutto quelle bulgare, colgono di sorpresa Bucarest, così come il resto d’Europa, e quando si comincia ad intuire che alcuni ingrandiment i territoriali non potranno essere evitati, destano non poca preoccupazione. La Romania, infatti, per motivi di prestigio e per considerazioni inerenti all’equilibrio della regione, non può assistere ad un ingrandimento degli Stati confinanti restando a ma ni vuote. Questo Paese costituisce «un’isola latina in mezzo ad un mare slavo»315 , ed è anche per arginare questo pericolo che Bucarest ha optato per stretti rapporti politici e militari con le potenze germaniche, dopo che la Russia aveva “ripagato” il suo determinante aiuto nella guerra con la Turchia del 1877 sottraendole la Bessarabia, altra terra irredenta sempre viva nell’immaginario collettivo della nazione. La Romania, pertanto, incomincia ad avanzare nelle cancellerie europee la sua aspirazione a certi compensi nel caso la Bulgaria dovesse ingrandirsi. L’obiettivo principale consiste nell’ottenere una rettificazione della frontiera con questo Paese nella 313 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. Cfr. Helmreich, op. cit. 315 Biagini, L’Italia e le guerre op. cit., pag. 132. 314 regione della Dobrugia, assegnatale al congresso di Berlino in cambio della cessione della Bessarabia, ma abitata da una consistente popolazione slava. Si teme che Sofia, rafforzata dalle vittorie che sta ottenendo, tenti prima o poi di impossessarsi di questi territori, peraltro difficilmente difendibili da parte rumena. Si chiede quindi che la Bulgaria, in cambio della neutralità di Bucarest che le ha permesso di indirizzare tutti i suoi sforzi contro la Turchia, smantelli le fortezze lungo il confine e acconsenta ora alla cessione della città di Silistria e di una striscia di territorio che renda più regolare e più sicura la frontiera tra i due Paesi, e che permetta la libera navigazione sul Danubio, principale arteria di comunicazione di questa regione. Il governo rumeno ricorda che si è astenuto dal mobilitare l’esercito al principio del conflitto perché, anche da parte degli stessi alleati balcanici, si erano escluse modificazioni dello status quo, ma per ora Sofia non sembra disposta a cedere più di qualche chilometro quadrato presso la frontiera, escludendo la città di Silistria, abitata del resto in gran maggioranza da bulgari316 . Un’altra questione che la Romania tiene sempre viva, in quanto costituisce una giustificazione per intervenire nelle decisioni sul destino di quelle regioni, è quella dei cutsovalacchi della Macedonia, le cui istituzioni scolastiche e religiose sono da tempo sovvenzionate dal governo rumeno 317 . Ora l’opinione pubblica del Paese è in fermento e critica l’attendismo della corona e dell’esecutivo, dividendosi fra chi vorrebbe entrare in guerra a fianco degli alleati e chi vorrebbe aggredire alle spalle la Bulgaria, soluzione quest’ultima che sarebbe però poco popolare fra i soldati rumeni, in gran parte contadini di fede ortodossa che ammirano le prove di valore che stanno dando i bulgari nella 316 Cfr. Helmreich, op. cit.; Biagini, L’Italia e le guerre op. cit.; ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 6655, 28 ottobre 1912, De Bosdari a San Giuliano; tel. 6677, 29 ottobre 1912, Fasciotti a San Giuliano; tel. 4218 cit. 317 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 7461, 3 dicembre 1912, Carlotti a San Giuliano, in cui si riferiscono le lamentele rumene col governo di Atene per le violenze greche sui cutsovalacchi. guerra contro il turco musulmano 318 . L’Italia ribadisce a Bucarest i consigli di moderazione, e la invita a mantenere l’attitudine pacifica fin qui osservata e ad attendere con fiducia lo svolgersi degli eventi, confidando nell’appoggio diplomatico delle proprie alleate 319 . Già il 29 ottobre la Romania chiede alle potenze della Triplice Alleanza di favorire la propria partecipazione ad un’eventuale conferenza europea sulla questione balcanica, incontrando una risposta favorevole che l’Italia comunica ufficialmente il 10 novembre 320 . È interessante notare che nelle discussioni a questo proposito fra la Consulta e la Ballplatz, San Giuliano osserva che se si ammette alla conferenza la Romania, punto su cui si è ormai d’accordo, diventa quasi inevitabile che vi prendano parte anche gli altri Stati balcanici, subordinando magari la loro presenza alla condizione che si mostrino moderati nelle loro pretese territoriali 321 . Ciò dimostra ancora una volta che l’Italia è nel complesso favorevole alle aspirazioni degli Stati balcanici, gli interessi dei quali si armonizzano, nella maggior parte dei casi, con quelli italiani, eccezion fatta per quel che riguarda lo scacchiere adriatico. Pertanto sono sicuramente eccessive le accuse da parte dell’opinione pubblica di appiattimento della politica italiana sulla posizione austriaca, dalla quale invece la separano non poche considerazioni di fondo, anche se poi spesso la prassi politica finisce per essere identica, in omaggio all’alleanza o per reciproco sospetto. In questo caso, ad esempio, l’osservazione del ministro italiano non può essere bene accolta da Berchtold, che liquida il discorso facendo presente che la questione è ancora prematura, dato che non è al momento prevista alcuna conferenza, ed in seguito San Giuliano non torna più 318 Cfr. Biagini, L’Italia e le guerre op. cit. pp. 105-06. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 6655 cit. 320 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 6675, 29 ottobre 1912, Fasciotti a San Giuliano; b. 737, tel. 4342, 10 novembre 1912, San Giuliano a Fasciotti. 321 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 737, tel. 4260, 1 novembre 1912, San Giuliano ad Avarna. 319 sull’argomento 322 . Infine, quando si giunge alla decisione di tenere una riunione degli ambasciatori a Londra, il tentativo della Triplice Alleanza di ammettere ad essa la Romania non trova il favore delle altre potenze, mentre nel mese di dicembre le alleate di Bucarest, Italia compresa, fanno più di un passo a Sofia per appoggiare le richieste rumene 323 . Il 28 novembre 1912 un’assemblea di ottantatré delegati giunti da ogni parte dell’Albania, nella quale sono rappresentate le tre diverse confessioni del Paese, si riunisce a Valona sotto la presidenza di Ismail Kemal, reduce da un viaggio a Vienna per ottenere l’appoggio austroungarico 324 , che proclama fin dal primo giorno la piena indipendenza dalla Sublime Porta, che a dire il vero non sembra molto contrariata da ciò e non ha intenzione di porre molti ostacoli 325 . Questo passo si è reso necessario ed improcrastinabile dal momento che l’avanzata vittoriosa della Quadruplice è ormai diretta anche verso il territorio albanese, con Serbia e Montenegro che aspirano ad annettersi il nord del Paese, la Grecia che espande fino a Valona ed oltre i confini dell’Epiro ellenico, mentre anche la Bulgaria mira ai territori orientali nella zona di Dibra, come lascerà intendere Danev durante la sua visita a Vienna pochi giorni dopo326 . I primi compiti dell’assemblea saranno, afferma Ismail Kemal, la formazione di un governo provvisorio, di un senato che controlli ed aiuti il governo stesso, e di una commissione che dovrà essere poi inviata in viaggio per le capitali europee col compito di difendere la causa albanese 327 . Italia ed Austria concordano di non rispondere ad Ismail Kemal circa il riconoscimento dello Stato albanese 328 , volendo probabilmente 322 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 737, tel. 6786, 2 novembre 1912, Avarna a San Giuliano. Cfr. De Bosdari, op. cit., pag. 63. 324 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, rap. 10393, 20 novembre 1912, Revel a San Giuliano. 325 Cfr. Skendi, op. cit.; ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 7467, 3 dicembre 1912, Garroni a San Giu liano; b. 738, tel. 7470, 3 dicembre 1912, De Facendis a San Giuliano. 326 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 7703, 14 dicembre 1912, Avarna a San Giuliano. 327 Cfr. Skendi, op. cit. 328 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 7454, 3 dicembre 1912, Avarna a San Giuliano. 323 significare con ciò che saranno loro, in rappresentanza del concerto europeo, a dire l’ultima parola sulla creazione dell’Albania, o temendo forse complicazioni con le altre potenze, anche se entrambe, di comune accordo, si adoperano poi nelle settimane seguenti per aiutare e sostenere il governo provvisorio. Le due potenze adriatiche intervengono ad esempio nella formazione dell’esecutivo, che Ismail Kemal, nominato presidente, avrebbe voluto comporre di sette musulmani e due soli cristiani; i consoli italiano ed austriaco di Valona gli fanno però presente che i loro governi avrebbero preferito una presenza maggiore di cattolici e ortodossi, con una rappresentanza più che proporzionale di questi rispetto alla popolazione del Paese. Ciò sarebbe stato utile soprattutto in termini di immagine verso l’opinione pubblica europea, per dimostrare l’assenza di fanatismo da parte musulmana e per testimoniare l’esistenza di un reale sentimento di unità nazionale. Ismail Kemal decide così di formare un governo con cinque musulmani, due cattolici e due ortodossi329 . Per quanto riguarda invece la commissione da inviare nelle capitali europee, Italia ed Austria promettono il loro appoggio per questa missione e consigliano vivamente Ismail Kemal di non prendervi parte, dato che la sua presenza a Valona come capo del governo è ritenuta fondamentale vista la caotica situazione in cui si trova il Paese. Inizialmente le due grandi potenze pensano di far accompagnare la commissione da due persone dei rispettivi corpi diplomatici, che potrebbero così controllarla e consigliarla pur figurando ufficialmente solo come segretari o interpreti330 . In seguito, su proposta di Berchtold, si decide invece di lasciare più discretamente questi compiti ai rispettivi ambasciatori delle capitali che saranno toccate dal viaggio, evitando così la presenza fissa di membri italiani e austriaci a fianco della commissione per il fatto che ciò avrebbe aumentato il sospetto ed il 329 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 7470, 3 dicembre 1912, De Facendis a San Giuliano; tel. 7484, 5 dicembre 1912, Avarna a San Giuliano. 330 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 7483, 5 dicembre 1912, Avarna a San Giuliano. malumore delle altre potenze, timorose che si giunga ad un vero e proprio protettorato austro- italiano sul Paese 331 . L’esistenza dell’Albania come Stato indipendente è vivamente caldeggiata anche dalla Romania, che si dichiara d’accordo su questo punto con le sue alleate Italia ed Austria. Bucarest adduce come motivazione il fatto che i cutsovalacchi, presenti soprattutto nella parte sudorientale del Paese, vanno pienamente d’accordo con gli albanesi, e nel nuovo Stato troveranno sicuramente miglior sorte che non sotto i turchi o sotto i vincitori della guerra 332 . In realtà è ovvio che il governo rumeno vede di buon occhio ogni soluzione che restringa gli acquisti territoriali della Quadruplice, e pertanto saluterebbe favorevolmente la creazione di una Grande Albania. Con la proclamazione d’indipendenza non sono però ovviamente spariti da un giorno all’altro i consueti problemi dell’Albania, così come permangono gli ostacoli allo sviluppo di un’effettiva coscienza nazionale, mentre le truppe alleate sono già giunte in molti centri prettamente albanesi. Ad esempio a Durazzo, da dove sono pur arrivati tre delegati all’assemblea di Valona, la situazione è piuttosto critica. La città è sottoposta all’occupazione serba, ma la minoranza ortodossa, sobillata dall’arcivescovo, «accanito propagandista dell’ellenismo», sembrerebbe coltivare aspirazioni panelleniche, mentre i notabili musulmani, noti per il loro fanatismo, non si fidano di Ismail Kemal, ritenuto un avventuriero, e dichiarano di voler rimanere fedeli a Costantinopoli 333 . Anche nel nord del Paese, abitato da molti cattolici, i capi più influenti continuano a tenere posizioni oscillanti e poco chiare, mentre il Montenegro continua l’assedio di Scutari. Proprio da re Nicola si reca Prenk Bib Doda, principe dei mirditi, già citato per il suo coinvolgimento nella cessione dei diritti di sfruttamento di alcune foreste ad un 331 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 7601, 10 dicembre 1912, Avarna a San Giuliano; tel. 4764, 10 dicembre 1912, San Giuliano ad Avarna. 332 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 7457, 3 dicembre 1912, Fasciotti a San Giuliano. 333 Cfr. ASMAE, serie polit ica, b. 676, tel. 7535, 6 dicembre 1912, De Facendis a San Giuliano. imprenditore italiano 334 . Scopo della sua visita a Cettigne è quello di ottenere armi, in cambio delle consuete promesse d’appoggio da parte delle tribù montanare; parlando invece col locale rappresentante francese, Bib Doda chiede l’intervento delle potenze cattoliche a protezione dei suoi correligionari, dicendosi convinto che sarà impossibile mettere d’accordo nel nuovo Stato gli appartenenti alle tre diverse religioni. L’impressione che però Bib Doda finisce per destare con questi suoi atteggiamenti, è quella di essere un avventuriero che cerca di trarre profitto personale dagli avvenimenti in corso 335 . Il console italiano di Valona, il 6 dicembre, sintetizza la situazione ricordando la miseria del Paese e le sue condizioni primitive, e la necessità che Austria ed Italia sorreggano l’Albania, se a questa si vuole dare un’esistenza propria. A proposito del problema religioso afferma: «è noto come il musulmano, nel suo fanatismo, anteponga l’idea religiosa anche a quella di patria e fra questi albanesi musulmani vi sono dei fanatici i quali non possono persuadersi che, dopo cinquecento anni di vita comune coi turchi e di devozione al Califfo di Costantinopoli, debbano eventualmente distaccarsene»336 . Continua poi riferendosi alle divisioni fra gli albanesi: «hanno creduto di capire che gli opposti interessi e i pretesi dissidi fra i due governi di Roma e Vienna, fossero sufficiente garanzia perché nessuno toccasse il loro Paese; cullandosi in questa convinzione, sono rimasti fino a ieri disuniti, gelosi, perfino nemici fra loro. All’apparire da un momento all’altro di nuovi inattesi nemici che avrebbero condannato per sempre l’esistenza di una nazione albanese, hanno fatto tacere le controversie ed eliminato le inimicizie; si sono aggruppati ad un uomo comunque superiore per intelligenza, esperienza e furberia, ed hanno cercato di salvarsi dichiarandosi indipendenti e rivolgendosi idealmente all’Italia e all’Austria, che sono 334 Vedi pp. 24-25. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 7775, 16 dicembre 1912, Squitti a San Giuliano. 336 ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 7535 cit. 335 per un armonico contrasto disposte a patrocinare la loro causa»337 . Infine De Facendis conclude questi suoi giudizi così pessimisti esprimendo la convinzione che gli stessi delegati riunitisi nell’assemblea di Valona, pur rappresentando l’elemento più evoluto ed illuminato del Paese, condividano fra loro gelosie ed invidie personali, timori di eventuali prevaricazioni e fanatismi di ogni tipo 338 . Italia ed Austria cercano comunque di consolidare il governo provvisorio, continuando ad adoperare la loro influenza per convincere i capi albanesi della necessità di un accordo fra di loro e dell’opportunità di mantenere uno spirito conciliativo, soprattutto in materia religiosa 339 . Intanto l’Austria muta opinione sul destino di Scutari, che inizialmente, quando si pensava che sarebbe stata presa in poco tempo, era disposta a lasciare al Montenegro 340 . Ora la Ballplatz sostiene che la città è fondamentale per l’esistenza dell’Albania autonoma, giudizio condiviso da San Giuliano che però vede molte difficoltà nel sostenere questa tesi contro quella russa, favorevole al Montenegro. La preoccupazione maggiore della Consulta è però che l’Austria possa cedere su questo punto in cambio dell’acquisto del Lovcen, e per evitare ciò l’Italia diventerà anch’essa nei mesi seguenti convinta sostenitrice dell’incorporazione di Scutari nei confini albanesi341 . Il 30 novembre il rappresentante austriaco a Cettigne fa sapere a re Nicola che la duplice monarchia non permetterà l’annessione di Scutari al Montenegro 342 , mentre San Giuliano, qualche giorno dopo, fa dare consigli di moderazione a questo Paese, col ministro italiano che cerca di convincere il governo montenegrino che un’Albania indipendente non è contro i suoi interessi, e che non gli conviene in tale questione associarsi strettamente alla 337 ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 7535 cit. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 7535 cit. 339 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 7599, 9 dicembre 1912, De Facendis a San Giuliano; tel. 7531, 7 dicembre 1912, Avarna a San Giuliano. 340 Vedi pp. 81-82. 341 Cfr. Salvatorelli, op. cit.; Torre, op. cit. 342 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 7409, 30 novembre 1912, Squitti a San Giuliano. 338 Serbia 343 . Un interessante esempio della ricerca dell’assoluta parità con l’Austria da parte della Consulta in tutto ciò che riguarda l’Albania, si ha in una lettera di San Giuliano a Giolitti e a Tedesco, ministro del Tesoro. Il ministro degli Esteri dice di aver ricevuto da Berchtold una proposta relativa alle frequenti richieste di denaro rivolte da Ismail Kemal a Italia ed Austria 344 ; le due potenze per sostenere questo prestito e quelli futuri potrebbero formare un consorzio bancario con il supporto e la partecipazione in misura paritaria di gruppi capitalistici di entrambi i Paesi. San Giuliano, nel richiamare l’attenzione dei suoi colleghi su questo progetto, si dichiara favorevole ad esso e giustifica il suo assenso con queste argomentazioni: «l’influenza preponderante che goderà nel futuro Stato albanese quel Paese che avrà cooperato alla sua costituzione, ci consiglia di concorrere con l’Austria in questa operazione; in secondo luogo la necessità imprescindibile per noi di mantenere l’assoluta parità coll’Austria in tutto quanto si riferisce alla costituzione ed alla organizzazione dello Stato albanese, ci consiglia pure di associarci ad essa nel fornire i mezzi necessari a porre in atto tale autonomia»345 . Intanto, dopo che i bulgari sono stati respinti a Chatalja, subendo grosse perdite, riprendono le trattative per l’armistizio, a cui infine si giunge il 3 dicembre. Questo prevede che il 13 dello stesso mese incomincino a Londra i negoziati di pace e stabilisce che nel frattempo le fortezze assediate, vale a dire Scutari, Janina e Adrianopoli, non possano essere rifornite, mentre i rispettivi eserciti dovranno mantenersi sulle posizioni 343 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 7460, 3 dicembre 1912, Squitti a San Giuliano. Ad esempio il 15 dicembre De Facendis telegrafa che Ismail Kemal ha chiesto un prestito di duecentomila franchi (cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 7752, 15 dicembre 1912, De Facendis a San Giuliano). 345 ASMAE, archivio di gabinetto, b. 61, 15 dicembre 1912, San Giuliano a Giolitti e a Tedesco. La futura banca d’Albania non sarà poi creata con l’esclusiva partecipazione italo-austriaca a causa del veto della Francia, che è la più grande potenza finanziaria di questi anni (cfr. Webster, op. cit., pp. 559-60; R. J. Crampton, The decline of the concert of Europe in the Balkans, 1913-1914, in The Slavonic and east european review, July 1974, pp. 393-419). Un altro esempio del timore italiano di venire superati dall’Austria in Albania si ha nella ferma protesta di San Giuliano per l’appoggio della Ballplatz alla nomina di un certo Ecrem bey, considerato austrofilo ed italofobo, ad una non precisata influente carica (cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, tel. 5038, 29 dicembre 1912, San Giuliano ad Avarna e a Pansa). 344 raggiunte alla data dell’armistizio. La Grecia si rifiuta però di aderire ad esso, per poter mantenere il blocco navale a danno della Turchia e per continuare l’assedio di Janina, ottenendo però di poter partecipare ugualmente alle trattative di pace a Londra. In meno di due mesi la guerra ha prodotto come risultato l’estromissione pressoché totale dell’Impero ottomano dall’Europa, se si escludono l’hinterland di Costantinopoli e le tre città assediate 346 . 346 Cfr. Helmreich, op. cit.; V. Mantegazza, Questioni di politica estera. Anno ottavo (1913). La guerra balcanica, Milano, Treves, 1914, pp. 93-97. Capitolo secondo Il fallimento delle trattative di pace e la ripresa delle ostilità La Grecia, come si è detto, non sottoscrive l’armistizio del 3 dicembre e continua le sue operazioni belliche contro la Turchia. Proprio le sue mosse nel sud dell’Albania, che i greci preferiscono chiamare Epiro settentrionale, preoccupano molto Italia ed Austria. La Consulta segue già da tempo con molta attenzione, come testimoniano i frequenti dispacci inviati dai diplomatici italiani, l’avanzata greca nelle regioni ioniche, dove Prevesa è stata occupata, e verso quei territori che si vorrebbe includere nel futuro Stato albanese. È ormai nota l’aspirazione greca ad impossessarsi di Valona, con voci di squadre di volontari pronte a marciare su quella città347 . È probabilmente corretto affermare che per l’Italia l’Albania meridionale ha la medesima importanza che la parte settentrionale del Paese ha per l’Austria, anche se quest’ultima si dimostrerà non meno intransigente della sua alleata quando nei mesi seguenti si tratterà di stabilire i confini con la Grecia, ed inoltre gli ammonimenti e le proteste nei confronti del governo ellenico nasceranno spesso su proposta di Vienna. L’interesse italiano è soprattutto di carattere strategico militare, e si incentra principalmente sulla baia di Valona, con l’isolotto di Saseno, e sullo stretto di Corfù. Quando anche a livello diplomatico Atene incomincia a chiarire le sue mire, San Giuliano dichiara di ritenere eccessive le pretese elleniche e cerca subito la solidarietà e l’appoggio di Austria e Germania, che 347 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 737, tel. 6910, 8 novembre 1912, Avarna a San Giuliano; tel. 7132, 18 novembre 1912, il console di Corfù a San Giuliano; tel. 7197, 20 novembre 1912, De Facendis a San Giuliano. puntualmente arrivano 348 . Proprio quando gli altri belligeranti hanno appena firmato l’armistizio due cannoniere greche bombardano Valona, mentre alcune truppe sbarcano a Saseno 349 . La risposta della Consulta non si fa attendere, e il 5 dicembre i rappresentanti italiano e austriaco ad Atene dichiarano a que l governo che i loro Paesi non permetteranno l’annessione della città e dell’isola 350 . In Italia l’impressione che reca questo fatto è molto forte, al punto che un politico influente come Salandra presenta un’interrogazione al riguardo in parlamento. San Giuliano risponde nei giorni seguenti rendendo noto il passo ufficiale compiuto da Italia ed Austria ad Atene, e il futuro presidente del consiglio si dichiara soddisfatto della risposta del ministro. Anche un altro deputato, l’ex crispino ora giolittiano Roberto Galli, non nuovo ad interventi sulla politica estera alla Camera 351 , ha presentato un’interrogazione parlamentare nelle stesse circostanze di Salandra. Egli sembra invece voler giustificare l’azione greca come un semplice atto di guerra, dicendosi convinto che Atene non aspiri all’Albania ma solo all’Epiro (affermazione che in realtà non risolve il problema, viste le diverse interpretazioni che si danno sui limiti dell’Epiro). Infine, augurandosi una politica da parte della Consulta che favorisca l’amicizia italo-ellenica, chiude il suo discorso, il quale testimonia la persistente simpatia verso gli Stati balcanici che è presente in diversi settori del Paese 352 . La Grecia non sembra però allarmata più di tanto dal passo di Roma e Vienna, e anche se non si ripetono vere e proprie azioni militari contro Valona e la sua baia, le truppe di Atene non abbandonano Saseno, mentre certi atteggiamenti 348 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 737, tel. 7308, 26 novembre 1912, Pansa a San Giuliano; tel. 7319, 26 novembre 1912, Avarna a San Giuliano. 349 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 7476, 4 dicembre 1912, De Facendis a San Giuliano; b. 738, tel. 7546, 7 dicembre 1912, De Facendis a San Giuliano. 350 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 2187, 4 dicembre 1912, San Giuliano a Carlotti; Salvatorelli, op cit. 351 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 150. 352 Cfr. L’esposizione finanziaria letta alla Camera dal ministro Tedesco, in Corriere della sera, 8 dicembre 1912, pag. 1. costringono più di una volta Italia ed Austria a ribadire in pieno accordo le loro intimazioni al governo ellenico. Pertanto nei giorni seguenti si ripetono passi ufficiali che dichiarano l’opposizione italo-austriaca alle pretese greche 353 , e ancora il 31 dicembre San Giuliano fa dire a Carlotti che le due potenze della Triplice Alleanza non consentiranno che la Grecia ent ri in possesso nemmeno della parte meridionale del golfo di Valona, ed in particolare del promontorio di Linguetta, che “chiude” la baia; si avvisa inoltre Atene che la delimitazione del costituendo Stato albanese è al momento «oggetto di amichevole scambio di idee fra Italia ed Austria-Ungheria»354 . La perentorietà di queste comunicazioni non deve stupire, dal momento che la divisione degli Stati europei in grandi e piccole potenze comporta l’esistenza di rapporti asimmetrici fra i due gruppi, con relazioni sbilanciate a favore, ovviamente, delle prime. Quando una di queste ha a che fare con una potenza di secondo livello, quale è la Grecia, non sono quindi più di tanto necessarie particolari cortesie diplomatiche o l’uso di un certo linguaggio. Invece quando una piccola potenza si rivolge ad un membro del concerto europeo con toni troppo accesi e poco concilianti, provoca come minimo l’irritazione di quest’ultimo, come è il caso della Serbia nelle sue rimostranze per il porto adriatico nelle cancellerie di me zza Europa. Sebbene Carlotti riferisca il 20 dicembre di aver saputo da un alto militare ellenico che un piano per lo sbarco a Valona era già pronto, ma tutto è stato bloccato all’ultimo momento da Venizelos, capo del governo di Atene, per non compromettere i rapporti con l’Italia 355 , la Grecia continua nelle sue azioni coercitive, che considera legittimi atti di guerra, contro la costa 353 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 4831, 14 dicembre 1912, San Giuliano a De Facendis; tel. 7756, 16 dicembre 1912, Avarna a San Giuliano; tel. 4876, 16 dicembre 1912, San Giuliano ad Avarna; tel. 7791, 17 dicembre 1912, De Facendis a San Giuliano; tel. 7949, 25 dicembre 1912, Carlotti a San Giuliano. 354 ASMAE, serie politica, b. 677, tel. 5069, 31 dicembre 1912, San Giuliano a Carlotti. 355 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, rap. 2924/1527, 20 dicembre 1912, Carlotti a San Giuliano. albanese, il cui blocco dura ormai dal 6 novembre. Inoltre il 4 gennaio i greci riescono, dopo ripetuti tentativi, a tagliare il cavo telegrafico sottomarino di Valona, isolando ulteriormente la città e la regione circostante 356 . Italia ed Austria non perdono d’occhio neanche la situazione nell’entroterra meridionale dell’Albania, dove l’esercito greco sta avanzando in territori etnicamente misti ma che si pretende facciano parte senza dubbio dell’Epiro ellenico 357 . La Consulta e la Ballhausplatz si sentono in dovere di difendere le sorti della popolazione albanese, e in particolar modo di quella di fede islamica, dagli eccessi dei greci nelle zone da questi occupate. Il 14 dicembre il rappresentante italiano ad Atene invita il governo di quel Paese a proteggere gli albanesi musulmani della Ciamuria, che peraltro hanno un’attitudine del tutto pacifica. Il ministro degli Esteri greco risponde che il suo governo non fa distinzioni religiose nella salvaguardia delle popolazioni dei territori occupati, aggiungendo che spesso è la presenza di famigerati banditi albanesi a mettere a repentaglio l’ordine pubblico 358 . Il giorno seguente lo stesso Carlotti invia a Roma un rapporto sull’Epiro, dove, secondo fonti greche, i musulmani si macchiano di varie atrocità. Alcune voci parlano però di violente rappresaglie da parte delle bande cretesi e la situazione «viene generalmente descritta come infernale»359 . Simili notizie di reciproche violenze non costituiscono certo una novità nel presente conflitto, e le accuse fra i belligeranti, disposti ovviamente ad ammettere solo gli eccessi del nemico, si ripeteranno frequenti nelle settimane e nei mesi segue nti, mentre l’opinione pubblica europea assume generalmente una posizione filocristiana, e sulla stampa appaiono soprattutto notizie di atrocità da parte musulmana. Il 4 gennaio la Consulta si appresta, accogliendo favorevolmente una proposta di Berchtold, a 356 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677. A titolo di esempio, cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, rap. 2793/1451, 7 dicembre 1912, Carlotti a San Giuliano. 358 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 7710, 14 dicembre 1912, Carlotti a San Giuliano. 359 ASMAE, serie politica, b. 738, rap. 2889/1508, 15 dicembre 1912, Carlotti a San Giuliano. 357 compiere un nuovo passo insieme all’Austria ad Atene, per protestare contro le crudeltà da parte dell’esercito greco ai danni della popolazione musulmana di Koritza e di altre località 360 . L’Epiro è anche il teatro dell’unica presenza di combattenti volo ntari italiani nella Prima Guerra Balcanica. Infatti, come già era accaduto nel 1897, le camicie rosse guidate da Ricciotti Garibaldi si schierano a fianco dell’esercito regolare greco impegnato nella lotta contro la Turchia, in un conflitto ritenuto giusto in quanto combattuto in nome del principio di nazionalità, sacro ideale dell’epopea garibaldina. Il 24 ottobre Carlotti informa San Giuliano di aver saputo in via confidenziale che il governo ellenico ha raggiunto l’accordo con Ricciotti Garibaldi per la partecipazione di duemila volontari da impiegare in Epiro. Due giorni dopo il ministro degli Esteri italiano scrive al ministero degli Interni affinché vengano presi provvedimenti per impedire la partenza dei volontari, giustificando questa misura coll’obbligo di rigorosa neutralità che l’Italia, come tutte le altre grandi potenze, si è impegnata ad osservare nel presente conflitto 361 . Il giorno seguente giunge la rassicurante risposta che le prefetture del regno fin dal 18 ottobre stanno vigilando attentamente per impedire l’arruolamento dei combattenti362 . Va detto che le varie questure seguono da vicino anche le diverse dimostrazioni pubbliche che si tengono in varie città d’Italia contro l’Austria e in favore dei popoli balcanici, organizzate soprattutto da circoli irredentisti o dai partiti repubblicano, radicale e socialista riformista, e tengono costantemente informata la Consulta sullo svolgimento di queste manifestazioni363 . Nonostante la sorveglianza di 360 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 739, tel. 92, 4 gennaio 1913, San Giuliano a Carlotti. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, tel. 2610, 26 ottobre 1912, San Giuliano al Ministero degli Interni, Direzione Generale della Pubblica Sicurezza. 362 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 736, 27 ottobre 1912, nota del Ministero degli Interni. 363 A titolo di esempio, cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, 25 novembre 1912, nota del Ministero degli Interni, in cui si riferisce di una manifestazione pro alleati e contro l’Austria, tenuta a Roma il 16 novembre e organizzata da radicali, repubblicani e socialisti riformisti; b. 737, 9 novembre 1912, nota 361 prefetti e questori, solo talvolta efficace, molti giovani italiani, affascinati dal mito della camicia rossa, riescono ad imbarcarsi per la Grecia, anche se va detto che nelle squadre garibaldine finiscono per essere una minoranza, essendo i componenti di questi corpi volontari in gran parte greci di Macedonia. Garibaldi giunge finalmente ad Atene il 4 novembre, festosamente accolto dalla popolazione locale, come informa il ministro italiano ad Atene, che ne seguirà d’ora in poi azioni e spostamenti con un attenzione più che giustificata, dal momento che l’appoggio delle camicie rosse alle operazioni greche avviene proprio in quell’Epiro dove le aspirazioni elleniche si estendono su territori etnicamente misti, e contrastano quindi con gli interessi della Consulta in Albania 364 . La spedizione garibaldina, se ottiene successi dal punto di vista militare, non ha però sicuramente un esito del tutto felice. Già sul finire di novembre compaiono sui giornali italiani notizie di stupri e saccheggi da parte di banditi greci arruolatisi nelle camicie rosse, che stanno disonorando col loro comportamento 365 . Si tratta probabilmente di elementi nazionalisti macedoni, con alle spalle quindi diversi anni di esperienza nella guerriglia che ha insanguinato quelle regioni e accresciuto l’odio reciproco fra le diverse etnie, e non solo fra cristiani e musulmani. Inoltre molti giovani idealisti italiani, sconcertati da queste azioni e dalle mire eccessive della Grecia, si rifiutano di combattere contro gli albanesi, come ordinato da Ricciotti, e preferiscono fare ritorno in Italia, disillusi e sdegnati per il comportamento del generale 366 . In conseguenza di questi fatti Garibaldi rompe definitivamente anche con gli ambienti legati alle colonie albanesi 29844 del Ministero degli Interni, che informa riguardo a una conferenza del repubblicano Arcangelo Ghisleri tenutasi a Forlì il 3 novembre. 364 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 737, tel. 6835, 5 novembre 1912, Carlotti a San Giuliano. 365 Cfr. Si è permesso di indossare la divisa garibaldina a dei banditi greci, in La Stampa, 28 novembre 1912, pag. 2. 366 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, 2 dicembre 1912, nota del Ministero degli Interni; 5 dicembre 1912, nota del sottoprefetto di Brindisi, che informa dell’arrivo di 24 volontari che hanno preferito abbandonare le camicie rosse; Contro l’Albania degli Albanesi non oggi, e mai, in La Rivista dei Balcani, 5 dicembre 1912, pp. 12-13. del Mezzogiorno d’Italia, con i quali soltanto un anno prima aveva progettato una spedizione in Albania, naufragata poi tra mille polemiche 367 . Il famoso generale non evita nemmeno i sarcastici commenti di Mussolini sulle colonne dell’Avanti!, dove la sua impresa viene definita donchisciottesca e viene sottolineata l’inadeguatezza di valori e strumenti di lotta ottocenteschi nel nuovo secolo 368 . L’iniziativa della camicia rossa non ha comunque lunga durata: il 24 dicembre Carlotti informa da Atene che la colonna garibaldina è da considerarsi sciolta, mentre due giorni dopo annuncia la partenza di Ricciotti Garibaldi alla volta di Brindisi369 . Il 17 dicembre si tiene a Londra la prima seduta della conferenza degli ambasciatori per discutere, sotto la presidenza di Grey, alcune questioni scaturite dall’andamento del conflitto balcanico. Queste si possono riassumere nella richiesta serba di sbocco sull’Adriatico, nella costituzione dell’Albania e nella destinazione delle isole dell’Egeo 370 . L’Italia si presenta a questa riunione dopo aver rafforzato i suoi legami con Austria e Germania, essendo stata rinnovata la Triplice Alleanza il 5 dicembre, con diversi mesi di anticipo sulla scadenza prevista. Al trattato sono stati infine aggiunti i protocolli degli accordi italo-austriaci sull’Albania e sul sangiaccato, risalenti rispettivamente al 1900-1901 e al 1909. Inizialmente Berchtold si è opposto a questa inclusione, ma la tensione dei rapporti con Serbia e Russia, nonché i suggerimenti germanici, lo convincono a prestare riguardo alle richieste dell’Italia, il cui appoggio nella presente situazione internazionale diventa non poco importante. La Ballplatz acconsente a ciò a patto che venga pubblicamente dichiarato che la rinnovazione è 367 Cfr. Contro l’Albania art. cit. Cfr. B. Mussolini, Opera omnia, a cura di E. e D. Susmel, vol. IV, Dal primo complotto contro Mussolini alla sua nomina a direttore dell’Avanti!, Firenze, La Fenice, 1952, pp. 229-31. L’articolo appare col titolo La fine di una tradizione nell’Avanti! del 16 novembre 1912. 369 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 7930, 24 dicembre 1912, Carlotti a San Giuliano; tel. 7967, 26 dicembre 1912, Carlotti a San Giuliano. 370 Cfr. Helmreich, op. cit. 368 avvenuta senza modificazioni, la qual cosa però crea malumore e malcontento nell’opinione pubblica italiana. In particolare ci si chiede come mai la firma è giunta con tanto anticipo e proprio in un momento così delicato, con la questione balcanica ancora aperta; si teme che l’Austria possa trascinare l’Italia in un conflitto generale per perseguire interessi che magari contrastano con quelli italiani, e a nulla servono le assicurazioni del governo che ribadiscono come la Triplice sia un’alleanza difensiva e quindi questo rischio non esista. Critiche e riserve non provengono solamente da ambienti tradizionalmente ostili al patto con gli imperi centrali o dagli incontentabili nazionalisti, ma anche da chi, come ad esempio il Corriere della sera, ha fama di convinto triplicista 371 . Il rinnovo anticipato del trattato testimonia così la buona salute dell’alleanza, e questo contribuisce indubbiamente al mantenimento dell’equilibrio europeo e alla conservazione della pace generale. A Londra la Triplice si presenta pertanto come un blocco compatto, con l’Italia che pare intenzionata a mantenersi vicina a Vienna e Berlino, anche se non mancherà qualche eccezione a questo atteggiamento. Ad esempio San Giuliano, nelle istruzioni generali che dà ad Imperiali, il rappresentante italiano, si raccomanda che questi si accordi sempre coi suoi colleghi tedesco ed austriaco prima di ogni seduta, e che in caso di divergenze fra di loro queste non siano rivelate pubblicamente al tavolo della conferenza, ma vengano comunicate ai rispettivi governi che penseranno a trovare un accordo 372 . Se Italia e Germania assecondano abbastanza fedelmente l’Austria, dal canto suo l’ambasciatore francese appoggia le posizioni di quello russo, mentre Grey, che presiede la riunione, si muove con una certa imparzialità, riconosciutagli anche dalla Triplice Alleanza, e che provoca 371 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit.; Torre, op. cit.; Albertini, Le origini della guerra op. cit.; Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit.; La rinnovazione della Triplice, in Corriere della sera, 10 dicembre 1912, pag. 1. 372 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 246. un po’ di delusione negli alleati dell’Inghilterra 373 . Durante la prima seduta si giunge in breve ad una decisione sulla questione del porto serbo sull’Adriatico, riguardo al quale la Ballplatz ha posto il veto come condizione per partecipare alla conferenza, e su cui ormai tutte le potenze, compresa al Russia, sono d’accordo. Nella dichiarazione che viene formulata al termine di questo incontro si afferma che la Serbia ha diritto ad uno sbocco commerciale in un porto albanese libero e neutrale, collegato ad una ferrovia internazionale sotto il controllo europeo. Viene anche stabilita fin da subito la creazione, sotto il controllo e la garanzia di tutte le grandi potenze, dell’Albania indipendente, che dovrà confinare a nord col Montenegro e a sud con la Grecia, mentre ad Italia ed Austria viene affidato il compito di studiare un progetto per l’organizzazione del futuro Stato 374 . Con tutto ciò si pone praticamente la parola fine alla questione dello sbocco marittimo serbo in territorio albanese, che per diverse settimane ha tenuto l’Europa col fiato sospeso facendo temere l’ampliamento del conflitto. Il governo di Belgrado, che poco alla volta ha ammorbidito la sua posizione 375 , dichiara ufficialmente il 20 dicembre di rimettersi completamente nelle mani delle grandi potenze per quanto riguarda le sue aspirazioni adriatiche 376 , sebbene nell’esercito, dove molti ufficiali fanno parte della società segreta nazionalista della Mano Nera, non tutti condividano questa presa di posizione, con le autorità d’occupazione di Durazzo che fanno dichiarazioni minacciose a questo proposito377 . 373 Cfr. Helmreich, op. cit.; Albertini, Le origini della guerra op. cit. Cfr. Helmreich, op. cit. 375 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 7474, 4 dicembre 1912, Rinella a San Giuliano. 376 Cfr. Albertini, Le origini della guerra op. cit., pag. 460; Helmreich, op. cit. 377 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, tel. 5053, 30 dicembre 1912, San Giuliano a Rinella, con l’istruzione di consigliare il governo serbo di far sì che il comando militare di Durazzo moderi il proprio linguaggio. Nel mese di dicembre vi sono parecchi contrasti fra Italia e Serbia a Durazzo: vi è un piccolo incidente diplomatico per l’atteggiamento ostile delle autorità serbe nei confronti del piroscafo italiano Caprera, che è stato inviato dopo che gli austriaci avevano fatto altrettanto (vedi pag. 77), e vi sono le lamentele di Belgrado per il comportamento anti-serbo del console italiano di quella città, che viene redarguito da San Giuliano (cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 4902, 18 dicembre 1912, San Giuliano a Dolfini). I rapporti con le autorità occupanti migliorano poi nelle settimane seguenti, quando 374 Negli stessi giorni si conclude un’altra spinosa questione, causa secondaria del dissidio austro-serbo, vale a dire l’affare consolare di Prizren. Il 13 dicembre fa infatti ritorno a Vienna il diplomatico austriaco incaricato di compiere le indagini sulle accuse serbe a Prochaska, e qualche giorno dopo la Ballplatz comunica ufficialmente che il console sta bene e non è stato maltrattato. D’altro lato però si sono rivelate senza fondamento anche le denuncie di Belgrado e pertanto, secondo la legge internazionale, se l’Austria richiederà delle scuse la Serbia sarà tenuta a darle. L’opinione pubblica europea è però molto critica per il ritardo con cui il comunicato ufficiale sulle condizioni di Prochaska è stato pubblicato, e ciò non senza ragione, visto che alla fine di novembre era finalmente giunto a Vienna un rapporto del console, e già allora si sarebbero potute smentire le voci di violenze ai suoi danni 378 . Ora però è la Ballplatz che è in diritto di avanzare diverse rimostranze al governo serbo, che si aggiungono a quelle per le accuse rivelatesi false a Prochaska. In particolare riguardano il comportamento comunque scortese nei confronti del console da parte delle autorità occupanti, la scoperta che la posta del consolato veniva intercettata, e i presunti maltrattamenti ai danni della minoranza cattolica, posta sotto il protettorato asburgico. Pasic, capo del governo di Belgrado, assume questa volta un atteggiamento conciliante e abbastanza remissivo, dichiarandosi disposto a rendere soddisfazione all’Austria e ad accogliere le sue richieste di scuse, e pertanto nelle settimane seguenti questo caso diplomatico terminerà senza ulteriori complicazioni379 . A questo risultato concorre anche l’intervento della diplomazia italiana, che consiglia moderazione ad entrambe le parti auspicando una soluzione amichevole che avrebbe preservato la pace generale, obiettivo principale della l’Italia, per motivi umanitari, permette l’utilizzo delle sue scuole per le cure ai feriti e ai malati (cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, tel. 494, 22 gennaio 1913, San Giuliano a Dolfini). 378 Vedi pp. 87-88. 379 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 228-30. Consulta fin dall’inizio della guerra. Avarna manifesta queste speranze a Berchtold, osservando che una volta risolto l’affare consolare il suo benefico effetto si sarebbe fatto sentire anche sulle altre questioni ancora pendenti380 . Nello stesso tempo San Giuliano fa dare consiglio al governo serbo di tenere un atteggiamento conciliante e di presentare scuse ufficiali ancor prima che siano richieste da Vienna. Due giorni dopo la Serbia chiede all’Italia di fare da mediatrice in tale questione e Roma acconsente di buon grado 381 . Fin dalla prima seduta della conferenza appare però un nuovo motivo di contesa, il quale nei mesi seguenti continuerà ad essere oggetto di discussioni diplomatiche e causa di timori per la pace europea. Si tratta della delimitazione dei confini del costituendo Stato albanese che l’Austria-Ungheria e, in parte, l’Italia, oltre ovviamente ai patrioti schipetari, vorrebbero esteso il più possibile, mentre gli alleati balcanici vorrebbero ridurre al minimo per aumentare i loro acquisti territoriali, appoggiati in ciò dalla Russia spalleggiata a sua volta dalla Francia 382 . La Ballplatz caldeggia la formazione di una Grande Albania perché indubbiamente, se questa fosse creata con confini ristretti da cui fossero esclusi alcuni importanti centri a cui aspira la Quadruplice, diminuirebbero le possibilità che il nuovo Stato sia in grado di reggersi da solo, vista l’arretratezza materiale e civile del Paese e della popolazione. Un’Albania vitale non può essere privata delle sue città più importanti, in primo luogo Scutari; Vienna e Roma vogliono che il futuro Stato neutralizzato sia capace di vita autonoma, senza che si debba ricorrere ad un intervento diretto delle due potenze e magari ad una spartizione del Paese, che con tutti i problemi e le nuove questioni che solleverebbe, rischierebbe 380 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 7799, 18 dicembre 1912, Avarna a San Giuliano. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 4903, 18 dicembre 1912, San Giuliano a Rinella; tel. 7864, 20 dicembre 1912, Rinella a San Giuliano; tel. 4948, 22 dicembre 1912, San Giuliano a Rinella. 382 Cfr. Helmreich, op. cit. 381 soltanto di complicare la situazione e di far precipitare i rapporti fra le due alleate. Ma l’Austria, a differenza dell’Italia, ha un’altra ragione, forse ancor più importante in relazione agli interessi asburgici, per desiderare una Grande Albania, vale a dire la necessità di limitare il più possibile gli ingrandimenti territoriali degli Stati balcanici, e soprattutto di Serbia e Montenegro, che escono comunque da questa guerra rafforzati sia in termini materiali che di prestigio 383 . Questi sono come al solito appoggiati diplomaticamente nelle loro pretese, quando queste non si fanno eccessive, dalla Russia, assecondata fedelmente, soprattutto quando si discuterà dei confini greco-albanesi, dalla Francia. La Gran Bretagna, come si è detto, conserva un atteggiamento più distaccato e, in qualità di Paese organizzatore della conferenza, abbastanza neutrale, mentre la Germania, dal canto suo, appoggia invece quasi sempre le sue alleate. Fin dal primo giorno Mensdorff, l’ambasciatore austriaco, sostiene che tutti i territori abitati da albanesi debbano essere inclusi nel nuovo Stato, compresi, pertanto, anche quelli dove la popolazione è etnicamente mista, come è il caso della Vecchia Serbia, fortemente rivendicata dal governo di Belgrado. Subito i rappresentanti russo e francese si dichiarano contrari, mentre quello tedesco appoggia debolmente la posizione austriaca. Imperiali non si pronuncia in merito, lamentando mancanza di precise istruzioni da parte di Roma 384 . Dopo che anche il giorno seguente le discussioni su questo argomento non producono risultati, nella terza seduta Mensdorff presenta una mappa con i confini proposti dalla Ballplatz. Berchtold ha deciso, in una riunione coi suoi collaboratori qualche giorno prima, che si potrebbero lasciare ai vincitori della guerra le città di Ipek e Prizren nella Vecchia Serbia e di Ochrida ad est, e in questa occasione è stata anche tracciata una cartina con le delimitazioni desiderate. In ogni caso avrebbero dovuto far 383 384 Cfr. Helmreich, op. cit.; Albertini, Le origini della guerra op. cit. Cfr. Helmreich, op. cit. parte del nuovo Stato Scutari, Djakova, che qualche settimana prima si pensava di concedere ai serbi385 , Dibra e Janina, tutti centri cui mirano gli alleati. Ovviamente però, la mappa dell’Albania che l’ambasciatore austriaco presenta a Londra prevede confini ben più ampi di questa, comprendenti anche le città di Ipek, Prizren e Ochrida, che avrebbero così potuto essere usate come oggetto di compenso in cambio di concessioni su altri punti contestati. I rappresentanti della Triplice Intesa, compreso Grey, si oppongono a questo progetto, considerato eccessivo, che porterebbe pressappoco alla creazione della Grande Albania. Anche Lichnowsky, ambasciatore tedesco, si dimostra esitante, ritenendo che su Scutari si debba darla vinta alla Russia, mentre Imperiali, riguardo a questa città, lamenta ancora una volta mancanza di istruzioni. Tutti si trovano d’accordo nel ritenere che non si possa fare esclusivamente affidamento a criteri etnografici386 . L’Italia conferma ancora una volta il suo atteggiamento un po’ ambiguo, dimostrandosi, a differenza dell’Austria, disposta ad alcune concessioni agli Stati balcanici, o perlomeno poco incline ad assumere atteggiamenti intransigenti verso di essi. Questo vale per i confini settentrionali ed orientali del Paese, fatta salva l’esigenza di assicurare una delimitazione che non infici le possibilità di esistenza autonoma del nuovo Stato, poiché gli interessi italiani nella regione sono legati soprattutto all’equilibrio adriatico, ed infatti quando si tratterà di stabilire i limiti meridionali dell’Albania, che tale equilibrio vanno a toccare, la posizione italiana di fronte alla Grecia sarà non meno ferma di quella austriaca nei confronti di Serbia e Montenegro. Appena Belgrado viene a conoscenza del progetto di Vienna sui confini albanesi, manifesta il suo disappunto, informando anche la Consulta della sua controproposta, tendente ovviamente a ridurre notevolmente l’estensione dell’Albania. Il governo serbo 385 386 Vedi pag. 81. Cfr. Helmreich, op. cit. fa notare i pericoli che si avrebbero con l’inclusione di genti slave nel futuro Stato, a tutto svantaggio della stabilità di quest’ultimo; esprime poi l’auspicio che si tenga conto della moderazione dimostrata nella questione del porto adriatico, e che pertanto non si voglia danneggiare ulteriormente la Serbia strappandole altri frutti delle sue vittorie, come le città di Ipek, Djakova e Prizren. Infine confida di contare a questo proposito nell’appoggio italiano, che aiuterebbe del resto l’instaurarsi di cordiali e proficue relazioni fra i due Paesi387 . L’Italia non intende però sbilanciarsi troppo, e si limita a consigliare ai serbi prudenza e moderazione per non suscitare reazioni che finirebbero per nuocere alla causa della Serbia stessa. Il ministro degli Esteri di questo Paese, parlando qualche giorno dopo col rappresentante italiano a Belgrado, continua ad avanzare le solite argomentazioni a favore dell’annessione di quei centri, aggiungendo anche Scutari che, una volta caduta, sarebbe dovuta andare al Montenegro. A suo dire i serbi sarebbero in maggioranza in tutte queste città, cosa in realtà tutta da dimostrare, che inoltre sono legate all’entroterra macedone assai più di quanto lo siano alla costa adriatica, e questa è invece un’affermazione più vicina al vero; se anche si ricorresse ad un plebiscito, che però viene per ora escluso, il risultato sarebbe sicuramente favorevole all’annessione alla Serbia, conclude il ministro 388 . Tutto ciò che riguarda l’Albania, comunque, resta soggetto alle decisioni del concerto europeo, e a nulla valgono le lamentele serbe, come del resto non hanno molte speranze i tentativi del governo provvisorio albanese di far sentire la propria voce. Italia e Austria continuano sicuramente ad appoggiarlo e non fanno mancare il proprio aiuto, anche se si oppongono alla volontà di Ismail Kemal di raggiungere Londra per difendere la causa schipetara. Vienna e Roma lo consigliano vivamente di non lasciare l’Albania, come già 387 388 cit. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 7984, 27 dicembre 1912, Rinella a San Giuliano. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, tel. 2, 31 dicembre 1912, Rinella a San Giuliano; Helmreich, op. hanno fatto quando si discuteva riguardo alla commissione da mandare in viaggio per le capitali europee, ritenendo la sua presenza a Valona fondamentale per il mantenimento di un minimo di ordine nel travagliato Paese e di una certa concordia fra i leaders. In questa circostanza, però, si aggiunge la considerazione che la sua presenza a Londra causerebbe forse più problemi che benefici, potendo dar luogo a complicazioni ed equivoci che finirebbero per nuocere alla causa albanese, oppure potrebbe creare ostacoli ai progetti ed alle intenzioni di Italia ed Austria, danneggiandone gli interessi nella regione 389 . A Londra ha intanto luogo negli stessi giorni la conferenza di pace dei Paesi belligeranti, alla quale partecipa anche la Grecia, sebbene Atene non abbia aderito all’armistizio. La prima seduta si tiene il 16 dicembre, e fin da subito i delegati turchi rivelano un’attitudine per niente conciliante, dimostrando di non avere alcuna fretta di accelerare i negoziati per giungere alla firma, come del resto hanno già fatto nelle trattative di pace con l’Italia qualche mese prima. L’atteggiamento del governo ottomano è anche legato alla situazione politica interna dell’impero, con i giovani turchi all’opposizione che potrebbero approfittare di ogni concessione fatta alla Quadruplice per cavalcare il malcontento della popolazione e cercare di riconquistare il potere 390 . Gli alleati pretendono categoricamente la cessione di tutte le isole egee, delle quali in realtà le grandi potenze si riservano di stabilire il destino, e soprattutto di Adrianopoli. Se riguardo al primo punto la Porta può opporre l’argomentazione dell’importanza strategica, per la loro vicinanza alla costa anatolica, delle isole, che in mano di altri Stati costituirebbero un pericolo per la sicurezza degli stretti e dei territori asiatici dell’impero, per quanto concerne Adrianopoli intervengono perlopiù motivazioni di 389 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 7806, 18 dicembre 1912, De Facendis a San Giuliano; tel. 5063, 30 dicembre 1912, San Giuliano a De Facendis. 390 Cfr. Helmreich, op. cit.; Biagini, L’Italia e le guerre op. cit.; Mantegazza, Questioni di politica op. cit. carattere morale e religioso. Questa città infatti, oltre a numerose ed importanti moschee, conserva alcune tombe dei sultani ed altri monumenti storici che testimoniano l’antica grandezza dell’Impero ottomano, e la sua cessione sarebbe pertanto vissuta come una gravissima perdita da tutta la popolazione turca. Da parte loro i bulgari, che nei giorni delle prime strabilianti vittorie hanno sognato di arrivare a Costantinopoli, sono non meno intransigenti nel pretenderla per sé. I negoziati pertanto, bloccati su queste due questioni, non segnalano grossi passi avanti, e il 6 gennaio vengono sospesi per volere degli alleati, che vorrebbero anche riprendere le ostilità ma sono frenati dal parere contrario delle grandi potenze, mentre i belligeranti si scambiano reciproche accuse di eccessi e atrocità varie 391 . I giornali turchi riportano notizie di violenze commesse dai cristiani a danno dei musulmani e accusano l’Europa di intervenire e di far sentire la propria voce solo quando giungono voci di carattere opposto 392 . Nei primi giorni di gennaio il governo turco, con il chiaro scopo di ritardare ulteriormente lo sviluppo dei negoziati di pace, chiede ufficialmente l’intervento delle potenze, che potrebbero indagare per mezzo dei propri consolati, per porre fine ai misfatti degli occupanti nei confronti dei musulmani nelle regioni conquistate 393 . Il concerto europeo vede però con preoccupazione il ritardo con cui procedono le trattative fra i belligeranti e teme una ripresa del conflitto, e pertanto non è disposto ad ascoltare le lamentele turche. Persino l’Austria, sui cui giornali continuano ad apparire notizie di atrocità serbe nei confronti degli albanesi, risponde che gli eccessi delle truppe d’occupazione in Macedonia risultano ormai molto rare, e che pertanto le rimostranze di Costantinopoli 391 Cfr. Helmreich, op. cit.; Biagini, L’Italia e le guerre op. cit.; Mantegazza, Questioni di politica op. cit. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 8022, 30 dicembre 1912, Garroni a San Giuliano. 393 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 739, tel. 108, 5 gennaio 1913, San Giuliano agli ambasciatori presso le grandi potenze. 392 non appaiono giustificate394 . Gli alleati, dal canto loro, ribadiscono le consuete accuse 395 , che in genere trovano conferma sulla stampa europea, più disposta ad accogliere questo genere di notizie piuttosto che quelle di segno opposto: ad esempio il rappresentante italiano a Sofia dice di aver saputo da Luigi Barzini, inviato del Corriere della sera sul fronte in Tracia, che i bulgari si sono macchiati di atti di crudeltà anche superiori a quelli turchi, ma nei suoi articoli troviamo poi soltanto resoconti di tenore inverso 396 . Nei mesi seguenti la situazione non cambierà e continueranno le reciproche accuse fra gli interessati e le contrastanti informazioni che mutano a seconda della fonte di provenienza, anche se va detto che, almeno per quanto risulta dai documenti diplomatici italiani, aumentano sempre più le segnalazioni di violenze e massacri da parte dei vincitori. Spesso sono i consoli dai luoghi della guerra a riportare queste voci: si è già visto come il console di Uskub abbia più volte denunciato l’azione di bande paramilitari serbe che precedono l’arrivo dell’esercito regolare, e che si dedicano nelle zone occupate a saccheggi e delitti nei villaggi albanesi, vendicando le angherie subite per anni da costoro, protetti dai privilegi di cui godevano sotto i turchi 397 ; numerosi sono anche, come si è detto, i dispacci sulla situazione in Epiro, dove di nuovo la popolazione albanese, sebbene in gran parte ellenizzata, si contrappone in questo caso ai greci. In febbraio un rapporto del console di Filippopoli, l’odierna Plovdiv, riferisce le voci di atrocità da parte dei bulgari in Macedonia, ed in particolare da parte dei cosiddetti comitagi, guerriglieri organizzati in bande che per anni hanno insanguinato il 394 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 739, rap. 33/16, 10 gennaio 1913, Avarna a San Giuliano; rap. 89/94, 18 gennaio 1913, Avarna a San Giuliano. 395 A titolo di esempio, cfr. ASMAE, serie politica, b. 739, rap. 92/35, 15 gennaio 1913, Carlotti a San Giuliano, dove si riferisce che i giornali greci continuano a parlare di atrocità albanesi in Epiro. 396 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 7726, 14 dicembre 1912, De Bosdari a San Giuliano; Barzini, art. cit. 397 Vedi pp. 83, 88. Paese con attentati contro i turchi, ma anche contro le altre nazionalità dell’intricato mosaico macedone 398 . Le grandi potenze non sono affatto soddisfatte dell’andamento dei negoziati di pace e tendono a biasimare la Turchia per le sue tergiversazioni e per il rifiuto di cedere su Adrianopoli e sulle isole. I pericoli che la ripresa delle ostilità comporterebbe sono molteplici: l’Impero ottomano potrebbe sgretolarsi completamente, anche nella sua parte asiatica, dal momento che sarebbe impensabile che l’esercito turco possa ora avere la meglio su quelli alleati; una nuova avanzata della Quadruplice potrebbe provocare il sempre temuto intervento austriaco oppure quello russo, ne l caso i bulgari arrivino a Costantinopoli. Insomma si ripresenterebbero quei problemi già affrontati all’inizio della guerra, quando l’obiettivo principale, falliti i tentativi di conservare la pace, era quello di localizzare il conflitto, mentre le durature misure di parziale mobilitazione da parte di Vienna e San Pietroburgo costituiscono un fattore di inquietudine per tutti399 . La Russia è la potenza più incline a ricorrere a maniere energiche per convincere la Turchia a cedere, assecondata dalla Francia, che arriva a proporre alla conferenza degli ambasciatori una dimostrazione navale davanti alle coste turche, ipotesi respinta dalla Triplice Alleanza, Italia compresa, soprattutto per volere della Germania. Le grandi potenze decidono allora di compiere un passo collettivo a Costantinopoli, ma la nota non viene presentata prima del 17 gennaio. In essa si ricorda al governo ottomano i rischi cui le provincie asiatiche e la stessa capitale andrebbero incontro se la guerra continuasse, e si promette l’aiuto dell’Europa per la ricostruzione e per il consolidamento dei restanti territori dell’impero, a patto che la Turchia ceda Adrianopoli e le isole per facilitare la firma della pace, con l’assicurazione che le grandi 398 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 739, rap. 15/104, 10 febbraio 1913, il console di Filippopoli a San Giuliano. 399 Cfr. Helmreich, op. cit. potenze faranno in modo che gli interessi religiosi relativi a quella città siano salvaguardati e che le isole siano neutralizzate, affinché non costituiscano un pericolo per le coste anatoliche. Ricevuta questa nota il governo turco si appresta ad una risposta, che, dopo ulteriori consultazioni coi vertici militari e con alcune autorità religiose, non può che essere positiva, come viene deciso infine il 22 gennaio 400 . Il giorno dopo però un colpo di Stato dei giovani turchi, guidato da Enver bey, porta ad un cambio di gabinetto a Costantinopoli, coi cospiranti che si presentano come salvatori della patria e dell’onore dell’esercito, quando in realtà i loro intenti bellicosi sono giudicati da molti osservatori una follia, viste le condizioni interne dell’impero 401 . La risposta turca alle potenze ritarda così fino al 30 gennaio: il nuovo governo si dichiara disposto a cedere quella parte di Adrianopoli situata sulla riva destra del fiume Marica, mentre il resto della città, dove si trovano le tombe dei sultani e le moschee, deve restare alla Turchia, così come le isole egee, che in mano di un altro Stato costituirebbero un pericolo per l’impero. Appena queste dichiarazioni sono rese note gli alleati balcanici denunciano l’armistizio e si preparano a riprendere la guerra 402 . Intanto alla conferenza degli ambasciatori sono riprese le discussioni sul confine albanese, incentrate ora prevalentemente sul destino di Scutari, con l’Italia che adesso appoggia risolutamente l’Austria dopo i tentennamenti iniziali. Gli ambasciatori italiano ed austriaco, a sostegno della propria tesi, affermano che la città, dal punto di vista etnico, è completamente albanese, nonché centro economico di riferimento delle tribù schipetare del nord del Paese. La motivazione principale di questa presa di posizione della Consulta va cercata però, più che in queste considerazioni pubblicamente svolte, nei soliti timori di richiesta di compensi presso Cattaro da parte della Ballplatz, in 400 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 260-62, 268; Mantegazza, Questioni di politica op. cit. Cfr. Biagini, L’Italia e le guerre op. cit.; Biagini, Momenti di storia op. cit. 402 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 268-69. 401 cambio dell’assenso all’annessione di Scutari al Montenegro. Il governo italiano è giunto alla conclusione che la maniera più efficace per scongiurare questo pericolo è sostenere fermamente la tesi dell’incorporazione della città nello Stato d’Albania, trovando magari il modo di compensare il piccolo Stato slavo con concessioni in altre zone o di altro tipo 403 per non compromettere troppo l’immagine italiana nel Paese, visti anche gli interessi di tipo economico nella zona di Antivari. Infatti già sul finire di dicembre il maggiore dell’esercito Montefinale, inviato in Montenegro per seguire le operazioni belliche, chiede di essere richiamato date le grosse difficoltà cui la sua missione è andata incontro. Queste sono dovute all’ostilità delle autorità montenegrine e all’atmosfera prevenuta rispetto all’Italia, che è ritenuta contraria all’azione contro Scutari ed è considerata, al pari dell’Austria, paladina dell’autonomia albanese 404 . La posizione russa si mantiene ferma nell’appoggio al Montenegro, anche dopo che la Ballplatz lascia intendere che in cambio di Scutari sarebbe disposta a cedere sull’assegnazione di Ipek, Prizren e Ochrida. Nella seduta del 25 gennaio l’ambasciatore russo sposta l’attenzione su altri punti della frontiera albanese, proponendo che Djakova sia assegnata ad uno dei due Stati slavi. La Russia ora cerca quindi di ottenere altre concessioni da Austria e Italia, che a dire il vero non sembra molto interessata ai confini nordorientali dell’Albania e sarebbe quindi disposta ad accogliere le richieste serbe. Vienna rifiuta invece categoricamente che Djakova, un villaggio di seimila abitanti, quasi tutti schipetari, venga esclusa dallo Stato albanese. Nessun passo avanti viene fatto nei giorni seguenti, nonostante i tentativi di mediazione del rappresentante tedesco e di Grey, che propone l’invio nei territori oggetto di contesa di una commissione internazionale che stabilisca la linea di frontiera sulla base di condizioni etniche e 403 404 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 265-67; Torre, op. cit., pag. 420. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 483, 22 dicembre 1912, nota del Ministero della Guerra. geografiche 405 . La Russia avanza ora la proposta che se Scutari dovesse andare all’Albania, i suoi dintorni, e fra questi le sponde del lago omonimo quasi nella loro interezza nonché il monte Tarabosh che domina la città, sarebbero in ogni caso da attribuire al Montenegro. Austria e Italia ovviamente si oppongono a questo progetto, che avrebbe comportato l’istituzione di confini irrazionali e poco sicuri. Il governo serbo, come già era accaduto nella questione del porto adriatico, assume un atteggiamento intransigente e poco rispettoso nei confronti delle grandi potenze, arrivando a minacciare di opporsi alle decisioni della conferenza di Londra se Djakova e Dibra dovessero finire all’Albania 406 . Rinella riporta in un suo dispaccio i commenti della stampa serba sul problema dei confini albanesi e sulla relativa posizione della Consulta, accusata per il suo appoggio alle tesi austriache. Il principale quotidiano serbo, molto vicino al governo radicale, ricorda che l’Italia durante la guerra di Libia dichiarò subito l’annessione, anche su territori che non aveva ancora occupato, e pertanto non può permettersi ora di predicare ai popoli balcanici che il vincitore non può estendere il proprio diritto su tutte le zone da lui occupate. Assieme ad articoli ancora più polemici di questo ne appaiono altri dal tono più conciliante, come quello di un ex- ministro dello stesso gabinetto radicale, che si augura che l’Italia segua una politica indipendente da quella austriaca in questioni secondarie dove non sono in ballo suoi interessi, come nel caso dell’assegnazione di Scutari, Dibra e Djakova. Invocando il ricordo delle lotte risorgimentali italiane, paragonabili agli attuali sforzi di affermazione della razza serba, l’articolo si chiude con l’auspicio che Roma si avveda che i suoi interessi commerciali in Serbia e Montenegro sono più importanti della fedeltà all’Austria in Albania, «pomo della discordia» fra i due Paesi che potrebbe 405 406 Cfr. Helmreich, op. cit. Cfr. Helmreich, op. cit. anche finire per costare cara all’Italia. Rinella chiude il suo rapporto riferendo la promessa fattagli dal governo serbo di cercare di impedire altri attacchi all’Italia da parte della stampa 407 . Intanto Sazonov, irritato dal comportamento del gabinetto di Belgrado, pur continuando ad appoggiare pubblicamente le richieste serbe, invita Pasic alla moderazione, ricordando che è già stato molto difficile ottenere Ipek e Prizren e che Dibra e Djakova sono in fondo città prettamente albanesi. Se nonostante tutto la Serbia vorrà opporsi alle decisioni del concerto europeo, si troverà molto probabilmente a dover fronteggiare da sola l’Austria in un conflitto. Simili consigli di prudenza giungono anche da Francia e Inghilterra, che hanno fra l’altro avvisato Sazonov di non volere la rottura della pace su questo punto. Pasic nel frattempo si rivolge anche all’Austria con un tono amichevole, dichiarando, come già aveva fatto cercando di ottenere lo sbocco adriatico, di essere disposto a sottoscrivere accordi economici con la duplice monarchia, a patto che questa permetta l’annessione dei villaggi contesi alla Serbia. Anche questa volta però Berchtold non si fa convincere dalle proposte serbe. Mentre anche il Montenegro persiste nel suo atteggiamento di sfida verso l’Austria, la Ballplatz, temendo che la caduta di Scutari, ritenuta ormai prossima, possa creare molte complicazioni se una decisione sulla città non sarà ancora stata presa, cerca pertanto di affrettare una conclusione delle trattative e decide di cedere riguardo a Dibra. Sazonov però, nonostante avesse in precedenza autorizzato Benckendorff, ambasciatore russo a Londra, ad acconsentire ad uno “scambio” Dibra-Djakova, intende ora provare ad insistere ulteriormente per quest’ultima località, e così la disputa sui confini albanesi non giunge ancora ad una conclusione 408 . 407 408 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 739, rap. 179/50, 15 febbraio 1913, Rinella a San Giuliano. Cfr. Helmreich, op. cit. Un altro argomento di discussione alla conferenza degli ambasciatori, che in queste settimane resta però in secondo piano rispetto alla delimitazione dell’Albania, è la destinazione delle isole dell’Egeo, abitate da popolazioni elleniche e reclamate dalla Grecia. La questione viene comunque toccata più di una volta a partire dalla seconda seduta, il 20 dicembre, quando viene unanimemente stabilito che tutte le isole sarebbero dovute essere neutralizzate 409 . Ben presto si profila una divergenza di vedute fra i due blocchi in cui è diviso il concerto europeo a proposito dell’assegnazione delle quattro isole vicine ai Dardanelli, che l’Intesa vorrebbe dare alla Grecia, in omaggio al principio di nazionalità, mentre Germania, Austria e soprattutto Italia, preferirebbero che restino alla Turchia, motivando questa scelta con considerazioni legate alla sicurezza degli stretti, che anche se le isole in questione fossero neutralizzate sarebbe in pericolo 410 . La Consulta assume una posizione così netta al riguardo perché in queste discussioni finisce per essere coinvolto anche l’arcipelago del Dodecaneso, che l’Italia in conseguenza della guerra libica sta temporaneamente occupando fino a quando, come prevede il trattato di Losanna, la Turchia non avrà ritirato del tutto le sue truppe da Tripolitania e Cirenaica, dove ora sono in realtà perlopiù popolazioni arabe autoctone a opporre resistenza. Imperiali, quando nei mesi seguenti si affronterà la questione del Dodecaneso, si opporrà alle pretese greche sull’arcipelago, giustificando la posizione del suo Paese con il rispetto delle clausole del trattato di pace con la Turchia. Se le isole venissero date alla Grecia, la Porta non avrebbe più motivo di restare fedele ai patti e continuerebbe a creare problemi alla sovranità italiana in Libia. L’Italia mira in realtà a prolungare più che può l’occupazione dell’arcipelago, sperando forse di ottenerne prima o poi, come spesso accade in queste situazioni, il possesso definitivo, a dispetto delle 409 410 Cfr. Helmreich, op. cit., pag. 255. Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 259, 279. assicurazioni in senso opposto che San Giuliano e Giolitti continueranno a dare in proposito a Inghilterra e Francia, sospettose, soprattutto quest’ultima, che la Triplice Alleanza possa procurarsi colà una base navale militare che sconvolgerebbe l’equilibrio strategico del Mediterraneo orientale 411 . Probabilmente l’Italia pensa ora che se tutte le altre isole egee vengono date alla Grecia sarà poi più difficile impedire che ad essa vada anche il Dodecaneso, e pertanto sostiene che le isole vicine agli stretti siano lasciate all’Impero ottomano. L’Italia cerca e trova su questo punto l’aiuto delle sue alleate, con San Giuliano che ribadisce ad Imperiali che «la Triplice Alleanza è la base fondamentale della nostra politica. Sull’intero problema delle isole occorre schierarsi decisamente contro la Triplice Intesa»412 . Il ministro italiano avanza poi più volte con Berlino e Vienna il timore che dietro l’espansione greca nell’Egeo vi siano Russia e Francia, oppure ricorda i pericoli per l’integrità della Turchia asiatica, per cui sarebbe meglio che le isole vicine ai Dardanelli o in prossimità delle coste anatoliche restino sotto la sovranità della Sublime Porta. La Triplice Intesa, sempre secondo San Giuliano, agisce dando già per scontato il crollo totale dell’Impero ottomano, e per questo vuole dare tutte le isole ai greci. In realtà è invece la Consulta che in questi mesi comincia a coltivare l’idea che il Dodecaneso possa diventare un pegno per ottenere in cambio qualche concessione di tipo economico in Anatolia, proprio in vista del crollo, ritenuto ormai prossimo, dell’Impero ottomano 413 . Sulla questione dell’Egeo la Triplice Alleanza dimostra così un’insolita compattezza, paragonabile soltanto a quella che contemporaneamente sta esibendo sul futuro di Scutari. La posizione italiana però nuoce ovviamente ai rapporti del Paese con la Grecia, già freddi per la clausola del trattato di Losanna relativa al Dodecaneso e per le ripercussioni delle azioni elleniche 411 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 344. 413 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. 412 nella baia di Valona. Nel mese di gennaio Carlo tti scrive a questo proposito delle voci, ispirate dai giornali francesi, che si diffondono ad Atene, secondo le quali sarebbe l’Italia l’unica seria oppositrice alle aspirazioni elleniche nell’Egeo, mentre Austria e Germania la appoggiano solo per dovere di alleanza. Infatti, secondo questa tesi, in una seduta in cui Imperiali ha avanzato la proposta che le isole vicine agli stretti e quelle prossime alla coste asiatiche restino alla Turchia per non metterne in pericolo l’integrità territoriale, Cambon, ambasciatore francese, ha risposto sostenendo vivacemente la tesi opposta in favore della Grecia, attivamente supportato da Grey e Benckendorff, mentre invece i rappresentanti tedesco e austriaco non hanno espresso alcuna opinione, limitandosi ad appoggiare in silenzio il loro collega italiano, a conferma del fatto che Vienna e Berlino su questo punto seguono Roma senza essere sinceramente contrarie alle aspirazioni elleniche 414 . Nei mesi seguenti le relazioni italo-greche peggioreranno ulteriormente quando verranno alla ribalta le discussioni sul confine meridionale albanese, con la Francia che prenderà nuovamente le parti della Grecia. Sempre a Londra si svolgono nel mese di gennaio, al di fuori sia della conferenza degli ambasciatori che di quella di pace fra i belligeranti, le trattative fra Bulgaria e Romania per le rettifiche di frontiera che quest’ultima richiede in cambio della sua neutralità e degli ingrandimenti, non previsti all’inizio del conflitto, degli altri Stati balcanici. Già in dicembre Danev è stato a Bucarest e ha promesso ampie concessioni alle popolazioni cutsovalacche di quella parte della Macedonia che sarà annessa alla Bulgaria, ma ha rifiutato ogni cessione territoriale, in particolare riguardo alla città di Silistria. Gli statisti rumeni hanno ricavato però l’impressione che la posizione bulgara non sia irremovibile e che quindi un accordo si potrebbe prima o poi trovare 415 . Ora è 414 415 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 739, rap. 58/21, 12 gennaio 1913, Carlotti a San Giuliano. Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 271-72. nuovamente Danev l’incaricato di Sofia in queste discussioni, ma le offerte da parte rumena di aiuto diplomatico nei negoziati con la Turchia sono considerate senza valore dalla Bulgaria, dal momento che già le grandi potenze appoggiano l’annessione di Adrianopoli allo Stato bulgaro. Sofia rimane quindi ferma nell’escludere Silistria dai possibili compensi, che non potranno andare oltre una lieve rettifica di frontiera in Dobrugia. Le trattative si interrompono e la situazione precipita, al punto che un’azione militare rumena appare ad un certo punto molto probabile, ma i consigli di moderazione della Triplice Alleanza, soprattutto dell’Austria, a Bucarest, evitano che si giunga a tanto, mentre la Bulgaria, da parte sua, cerca la mediazione della Russia. L’evento che porta qualche parziale cambiamento nel quadro complessivo della questione è il colpo di Stato a Costantinopoli, che fa presumere la continuazione del conflitto e che pertanto consiglia il governo rumeno di riassumere un atteggiamento di vigile attesa, mentre Sofia, in vista della ripresa della guerra, diventa improvvisamente più conciliante. Tutto quello che si ottiene però è solamente la firma, il 29 gennaio, di un protocollo in cui le due parti esprimono i rispettivi punti di vista, che serviranno come basi nelle successive discussioni al riguardo. In questo documento si legge che è garantito il diritto di Bucarest di continuare a finanziare scuole e chiese valacche in Macedonia; la Romania chiede inoltre lo spostamento del confine fra i due Paesi sulla linea Turtukaia-Balchik. La Bulgaria offre invece di smantellare le fortificazioni presso Silistria, mentre permette che la Romania ne possa erigere quante ne vuole, ed inoltre è disposta alla cessione di tre piccoli triangoli di territorio che avrebbero reso più regolare e sicura la frontiera tra i due Stati416 . Di fronte alle tergiversazioni turche e al rifiuto del nuovo gabinetto ottomano di cedere le isole e l’intera città di Adrianopoli, gli alleati decidono quindi di riprendere le 416 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 273-77. operazioni belliche. Nei governi e nei vertici militari di questi Stati prevale l’idea che la continuazione del conflitto sia la via più veloce e sicura per ottenere ciò che la Turchia non è intenzionata a dare. Questa convinzione si è fatta strada soprattutto fra i bulgari417 , che confermano così di essere ancora la “guida” della Quadruplice, nonostante il Paese sia stremato per gli sforzi affrontati e versi in una situazione complessivamente difficile, come rivela fin da dicembre il ministro italiano a Sofia, che parla di un esercito «sfinito e decimato» ed esprime l’impressione che la pace si imponga ormai alla Bulgaria 418 , che del resto, come si è detto, ha affrontato il peso maggiore della guerra, mentre i suoi alleati, se si eccettua il Montenegro impegnato in una strenua battaglia per la presa di Scutari, hanno conquistato facili e rapide vittorie in Macedonia, subendo poche perdite e occupando zone che Sofia ritiene le spettino. Tra l’altro il Paese deve sostenere un grosso sforzo economico e finanziario e, con la quasi totalità dei maschi adulti impegnati al fronte, corre anche il rischio di compromettere il raccolto dell’anno appena iniziato se i contadini non potranno tra breve tornare ai loro campi. Allo spettro della carestia si aggiunge inoltre il diffondersi di un’epidemia di colera fra l’esercito e la popolazione civile 419 . A dispetto di queste considerazioni la guerra ricomincia il 3 febbraio, con tutti gli sforzi della Bulgaria di nuovo rivolti all’assedio di Adrianopoli, così come la Grecia, che pur non avendo sottoscritto l’armistizio ha comunque diminuito l’intensità delle proprie operazioni, concentra le sue energie nel tentativo di prendere Janina. Il Montenegro, da parte sua, riprende l’assedio di Scutari, dove del resto non sono mancate in queste settimane reciproche schermaglie fra i belligeranti. La Serbia, esauriti i propri obiettivi bellici, decide di andare in soccorso dei montenegrini a Scutari e continua a fornire il proprio aiuto ai bulgari nei 417 Cfr. Biagini, L’Italia e le guerre op. cit.; Helmreich, op. cit. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 7726 cit. 419 Cfr. Biagini, L’Italia e le guerre op. cit. 418 pressi di Adrianopoli, facendo poi di ciò una delle motivazioni nella sua richiesta di una porzione maggiore di territorio macedone rispetto a quanto inizialmente previsto dal trattato d’alleanza con la Bulgaria 420 . Con il proseguimento della guerra si ripresentano, come si è detto, i medesimi problemi e le stesse preoccupazioni dell’ottobre precedente; di nuovo l’eventualità più temuta è l’intervento austriaco o russo nel conflitto, con il pericolo di conflagrazione generale nel caso che i due imperi si scontrino direttamente e le rispettive alleate li affianchino. L’Italia è sempre timorosa delle possibili mosse di Vienna, che potrebbe pur sempre trovare un motivo per intervenire direttamente e ribaltare il risultato della guerra, finora per lei svantaggioso. Infatti San Giuliano scrive il 14 febbraio che l’andamento del conflitto, con le vittorie degli Stati balcanici che bloccano l’eventuale espansione austriaca nella penisola, è stato finora estremamente favorevole per Italia e Russia 421 . Quest’ultima sembra ora la potenza più incline a premere sulla Turchia perché torni sui suoi passi e firmi la pace alle condizioni stabilite dalla Quadruplice balcanica, e si diffondono voci di preparativi militari al confine armeno in vista di una probabile azione dimostrativa. Sia Francia che Inghilterra però, scoraggiano San Pietroburgo dall’intraprendere un simile passo, mentre l’Italia teme che Sazonov voglia sollevare la questione degli stretti422 . Inoltre vi è il dissidio fra Sofia e Bucarest che contribuisce ad offuscare la situazione, ed esiste pertanto anche la possibilità che da un possibile conflitto bulgaro-rumeno si giunga ad una guerra generale. Infatti già il 29 gennaio Sazonov avvisa la Romania che in caso di attacco alle spalle alla Bulgaria la Russia le dichiarerà guerra, circostanza che, visti i patti in vigore fra Romania e Triplice Alleanza, potrebbe provocare l’intervento di Vienna e Berlino, che proprio in questi giorni stanno rinnovando il trattato che li lega a Bucarest. In realtà 420 Cfr. Helmreich, op. cit.; Biagini, L’Italia e le guerre op. cit.; Sette mesi di terrore op. cit. Cfr. Bosworth, op. cit., pag. 247. 422 Cfr. Helmreich, op. cit.; Biagini, L’Italia e le guerre op. cit. 421 Berchtold già nelle settimane precedenti ha risposto al governo rumeno, su precisa domanda di quest’ultimo, che l’Austria avrebbe rispettato i patti, ma che un’invasione della Bulgaria difficilmente sarebbe rientrata nei termini previsti dall’alleanza per un soccorso attivo, avendo il trattato carattere esclusivamente difensivo. Infine la Romania non dimostra alcuna intenzione di prendere parte al conflitto e, come ha già fatto in ottobre, giudica che sia meglio attendere lo svolgimento dei fatti seguendoli con molta attenzione, mentre consigli in questo senso le giungono sia dalla Triplice Alleanza che da Francia e Inghilterra, che però protestano vivacemente con Sazonov per il passo da questi compiuto a Bucarest senza che loro siano state consultate423 . La dimostrazione che i rapporti austro-russi continuano a rimanere tesi, mentre nelle discussioni sul confine albanese i due Paesi si trovano costantemente su posizioni opposte, si ha nel perdurare delle rispettive misure militari che aumentano notevolmente il numero degli effettivi sotto le armi, costituendo in pratica una piccola forma di mobilitazione. L’Austria ha già chiarito che non intende ridurre il numero delle sue truppe in Bosnia sino a che la Serbia non avrà sgombrato del tutto l’Albania, e perché altrimenti Belgrado aumenterebbe continuamente le sue pretese. Vienna intende quindi servirsi di questo mezzo per far pesare maggiormente le sue prese di posizione riguardo al problema alb anese durante la conferenza di Londra, e a nulla valgono le proposte russe, formulate in gennaio, di una reciproca riduzione delle forze militari mobilitate 424 . Alla fine del mese poi, l’imperatore Francesco Giuseppe decide di inviare a San Pietroburgo il principe Hohenlohe, che avrebbe dovuto consegnare allo zar un suo messaggio personale. I due governi appoggiano la missione, nella speranza che serva a migliorare i rapporti tra i due Paesi; il principe arriva nella capitale russa ai primi di febbraio e il suo 423 424 Cfr. Helmreich, op. cit. Cfr. Helmreich, op. cit. viaggio si conclude in maniera tutto sommato positiva, anche se non porta ad alcun risultato concreto, dal momento che nelle discussioni non vengono toccati argomenti specifici. Per quanto riguarda la questione delle forze armate Hohenlohe insiste che l’Austria non può smobilitare prima della fine della guerra 425 . Un’apertura su quest’ultimo punto da parte di Vienna si ha però poco tempo dopo, quando il 22 febbraio Mensdorff avanza alla conferenza degli ambasciatori la proposta di una comune riduzione di truppe da parte austriaca e russa, ciò che Sazonov sta chiedendo da tempo. Questa presa di posizione arriva quando le discussioni sul confine albanese sono bloccate su Djakova, ed ha evidentemente lo scopo di facilitare la risoluzione di questo problema. L’11 marzo viene finalmente diramato un comunicato in entrambi i Paesi che annuncia la smobilitazione delle truppe austriache in Galizia, al confine con la Russia (ma non di quelle radunate in Bosnia), mentre San Pietroburgo dichiara l’imminente congedo dei soldati trattenuti sotto la leva dopo i consueti tre anni di servizio. Sorge però subito un nuovo caso per una formula usata nella comunicazione russa che provoca le proteste austriache, ma dopo qualche giorno anche questo piccolo incidente diplomatico si esaurisce 426 . Nonostante questa sia stata una concessione austriaca alle richieste russe, giunta fra l’altro dopo l’esclusione di Dibra dall’Albania, Sazonov continua ad essere inamovibile su Djakova. Mensdorff avanza allora una nuova proposta che prevede l’accettazione da parte austriaca dell’invio di una commissione sul posto, come in precedenza ha suggerito Grey, in cambio del consenso russo sulla delimitazione del confine sul lago di Scutari e nelle vicinanze della città. Ma soprattutto la Ballplatz chiede che le potenze, Russia compresa, notifichino a Serbia e Montenegro che le loro truppe dovranno assolutamente evacuare l’Albania e rispettare le frontiere di 425 426 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 280, 282-84. Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 288-90. questo Paese stabilite a Londra. Sazonov risponde di accettare l’invio di una commissione solo a patto che questa dichiari in anticipo che Djakova non farà parte dell’Albania, mentre riguardo a Scutari si dice disposto ad ogni pressione diplomatica per convincere re Nicola a desistere, ma non può acconsentire all’eventuale uso della forza da parte aus triaca. Mentre si fatica quindi a trovare una via d’uscita, va detto che l’Austria si batte per Djakova senza grande sostegno da parte delle sue alleate, con Imperiali e Lichnowsky che si limitano a supportare il loro collega austriaco ma non prendono mai la parola per sostenerlo attivamente 427 . L’Italia in questi giorni dà consigli di moderazione e prudenza alla Serbia, nel timore che la posizione austriaca possa irrigidirsi e portare a sgradite complicazioni, assicurando il governo di Belgrado di aver fatto di tutto, senza successo, per convincere l’Austria a concedere Djakova 428 . Vienna invece non nasconde la sua irritazione verso i suoi due vicini slavi, accusandoli spesso di maltrattamenti ai danni della minoranza cattolica o degli albanesi in generale, con voci di conversioni forzate alla chiesa ortodossa respinte però dai serbi, che dichiarano di aver svolto indagini che escludono simili fatti e accusano la duplice monarchia di voler sfruttare la questione del protettorato sui cattolici albanesi per intromettersi negli affari di Belgrado 429 . Proprio le notizie di violenze a danno dei cattolici contribuiscono ad accelerare la decisione austriaca di porre termine a questa pericolosa situazione di stallo e di permettere l’esclusione di Djakova dai confini albane si, anche se probabilmente su questo improvviso mutamento di posizione ha pesato ancor più il timore che Scutari, ora assediata anche dai serbi, possa cadere da un momento all’altro. Una volta in mano al Montenegro sarebbe sicuramente più difficile ottenerne lo 427 Cfr. Helmreich, op. cit. Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 1445, 12 marzo 1913, San Giuliano a Rinella. 429 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 740, rap. 251/69, 11 marzo 1913, Rinella a San Giuliano; Helmreich, op. cit.; Sette mesi di terrore op. cit. 428 sgombero, e anche da parte russa potrebbero sorgere difficoltà. L’annuncio del governo austriaco riguardo a Djakova giunge il 21 marzo, con la precisazione che dovranno essere garantiti i diritti delle minoranze cattoliche, e in generale albanesi, ne i territori che passeranno agli Stati slavi, e che il resto della frontiera albanese, con riferimento a Scutari e dintorni, dovrà essere disegnato secondo il volere austroungarico. Tutte le sei grandi potenze, Russia compresa, dovranno inoltre invitare Serbia e Montenegro a cessare le ostilità a Scutari e a ritirare le loro truppe dall’Albania. Già il giorno seguente la conferenza degli ambasciatori lavora su questi punti ed emette un comunicato che li comprende tutti, accogliendo le richieste della Ballhausplatz430 . L’Italia, se sono sincere le dichiarazioni della Consulta al governo serbo a proposito di Djakova, dimostra ancora una volta di non essere molto ostile alle pretese slave nelle zone dell’Albania più lontane dalla costa che non rivestono un’importanza vitale per l’esistenza del futuro Stato, a differenza dell’Austria che, come si è detto, mira a limitare il più possibile le conquiste di Serbia e Montenegro. Contrariamente a quanto avviene per i confini nordorientali dell’Albania, l’Italia si dimostrerà invece ben ferma nel respingere le richieste elleniche quando nelle settimane e nei mesi seguenti verrà discussa a Londra la delimitazione meridionale del nuovo Stato. Infatti questa assume una grande importanza dal punto di vista dell’equilibrio strategico dell’Adriatico, e a questo proposito, assicurata ormai l’intangibilità di Valona e Saseno, i vertici militari italiani raccomandano che le due sponde dello stretto di Corfù non cadano per intero nelle mani di uno stesso Stato 431 . San Giuliano invia fin da marzo precise istruzioni ad Imperiali in vista del momento in cui il tema della frontiera meridionale albanese verrà affrontato dalla conferenza; innanzitutto lo invita fin da ora a discutere privatamente 430 431 Cfr. Helmreich, op. cit. Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. della questione coi suoi colleghi tedesco ed austriaco, per stabilire dei punti fermi su cui non si potrà transigere, che a suo parere sono la linea del fiume Kalamas a sud e l’inclusione della città di Koritza e dei cutsovalacchi del Pindo ad est. Infine ricorda all’ambasciatore l’ovvia esigenza di proporre inizialmente confini ben più ampi, dai quali poi si potranno fare alcune concessioni che non superino i limiti considerati irrinunciabili432 . Intanto Roma e Vienna stanno lavorando assieme al progetto di organizzazione dello Stato d’Albania, così come stabilito dalla riunione degli ambasciatori che ha affidato ai due Paesi questo incarico fin dalla prima seduta. San Giuliano ha nel frattempo fatto una pubblica dichiarazione di fedeltà alla Triplice nel suo fortunato discorso alla Camera del 22 febbraio, quando ha dichiarato che «l’equilibrio dell’Adriatico è un problema che sta per essere risolto mercé l’intima collaborazione fra l’Italia e l’Austria-Ungheria, la cooperazione della Germania ed il largo, pacifico spirito di equità delle altre grandi potenze»433 . Viene così in pratica stabilita nelle questioni adriatiche una gerarchia che vede in prima linea Italia ed Austria, in quanto potenze maggiormente interessate, supportate dall’alleato tedesco, mentre il resto del concerto europeo, Russia compresa, resta decisamente in seconda fila 434 . San Giuliano è comunque sempre attento che l’equilibrio fra Roma e Vienna in tutto ciò che riguarda l’Albania non sia spezzato a sfavore italiano, e pertanto si oppone decisamente all’inclusione nel progetto di costituzione albanese di qualsiasi argomento che vada a toccare la questione del protettorato religioso austriaco sui cattolici. Permettere ciò avrebbe significato lasciare via libera all’Austria nell’esercizio di una funzione che l’avrebbe indubbiamente avvantaggiata in termini di influenza nel Paese, e per questo motivo l’Italia non può riconoscere alla duplice monarchia questo diritto, che 432 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 1454, 12 marzo1913, San Giuliano a Imperiali. Il discorso del ministro Di San Giuliano alla Camera, in Corriere della Sera, 23 febbraio 1913, pag. 1. 434 Cfr. Salvemini, La politica estera dell’Italia op. cit., pp. 192-93. 433 verrebbe a rompere il principio di assoluta parità cui le due alleate hanno deciso di uniformarsi di comune accordo. San Giuliano chiede in questa occasione l’appoggio tedesco, ricordando a Berlino che sarebbe sconveniente dimostrare pubblicamente a Londra che esistono aperte divergenze nella Triplice Alleanza. Inoltre il ministro cerca abilmente di convincere il governo tedesco che in tale questione il suo interesse coincide con quello italiano, poiché se venissero accolte le richieste austriache la Francia avrebbe potuto in futuro invocare un precedente per affermare il suo protettorato religioso in Siria, Palestina e nel resto dell’Impero ottomano, dove la Germania ha importanti interessi435 . Restando sempre in Albania la politica della Consulta in questi mesi resta sostanzialmente immutata, come risulta dai documenti diplomatici. L’Italia continua ad esempio a ripetere con l’Aus tria i soliti consigli a Ismail Kemal di non lasciare Valona 436 , mentre vengono sempre seguite con attenzione le mosse dei leaders schipetari più influenti. Si temono come al solito gli intrighi di Prenk Bib Doda, che a gennaio si è recato a Belgrado, forse per favorire la cessione di Scutari ed altre città a Serbia e Montenegro in cambio di un appoggio di questi due Paesi alla sua nomina a capo di un principato indipendente nel nord dell’Albania 437 . È sempre presente il sospetto per presunte manovre dell’Austria a danno dell’Italia, o verso alcuni capi albanesi che si ritiene siano al soldo della Ballplatz438 , mentre per quanto riguarda l’operato delle due potenze adriatiche nel Paese si continua a seguire il 435 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 61, tel. 1400, 9 marzo 1913, San Giuliano a Bollati; tel. 1426, 11 marzo 1913, San Giuliano a Bollati. 436 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, tel. 2063, 7 febbraio 1913, De Facendis a San Giuliano; rap. 46, 8 marzo 1913, De Facendis a San Giuliano; Ismail Kemal verrà poi in Italia e sarà ricevuto da San Giuliano nei primi giorni di aprile (cfr. Kemal Bey ricevuto dall’on. Di San Giuliano, in La Stampa, 3 aprile 1913, pag. 2). 437 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, tel. 1199, 23 gennaio 1913, Mancinelli a San Giuliano. 438 Ad esempio, cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, 13 marzo 1913, Avarna a San Giuliano, con l’ambasciatore italiano che conferma le voci di invio di armi austriache in Albania, anche se ritiene il tutto opera di privati, senza coinvolgimento del governo; rap. 591/268, 3 aprile 1913, Avarna a San Giuliano, in cui si riferisce di un articolo antiitaliano da parte di un presunto capo albanese apparso su un giornale viennese. principio dell’assoluta parità, anche quando, ad esemp io, si tratta di intervenire in aiuto della popolazione colpita dalla carestia per il perdurare del blocco navale 439 . La Consulta riceve poi molte informazioni da Vienna e da Trieste a proposito del congresso albanese che si tiene in quest’ultima città nel mese di marzo, presieduto da Faik Konitza, uno dei più autorevoli notabili schipetari. A questa riunione partecipano anche le figure più importanti del movimento culturale e politico italo-albanese del Mezzogiorno d’Italia, come Anselmo Lorecchio, Giuseppe Schirò e Terenzio Tocci440 . Si osservano poi sempre le mosse greche nell’Epiro, dove con la presa di Janina il 6 marzo hanno termine le operazioni di guerra. Dal consolato di quella città, che è il centro più importante della regione, continuano a giungere frequenti aggiornamenti sulla situazione, mentre si ripetono notizie di violenze da parte dell’esercito ellenico e di bande irregolari nei confronti dei musulmani (e talvolta anche degli ebrei), e si segnala la durezza delle stesse autorità greche verso gli albanesi441 . Anche l’atteggiamento dei serbi nelle zone da questi occupate viene costantemente seguito 442 , e quando il governo di Belgrado assume posizioni che mettono in pericolo l’autonomia dell’Albania, l’Italia, facendo valere il suo status di grande potenza, non esita a far sentire la propria voce, come accade nel mese di marzo quando il console italiano di Durazzo informa che i serbi hanno intenzione di sondare le intenzioni di Ismail Kemal, e di chiedergli come accoglierebbe un’unione doganale fra Serbia e Albania o la nomina di un principe serbo a capo dello Stato albanese 443 . San Giuliano telegrafa il giorno seguente a Rinella dando 439 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 61, tel. 1562, 16 marzo 1913, San Giuliano a De Facendis, dove si legge che i consoli delle due potenze avrebbero agito in pieno accordo ed avrebbero speso l’identica somma in favore della popolazione colpita dalla carestia. 440 A titolo di esempio, cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, rap. 469/205, 10 marzo 1913, Avarna a San Giuliano; tel. 1648, 3 marzo 1913, Revel a San Giuliano. 441 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, rap. 108, 15 marzo 1913, Labia a San Giuliano; rap. 138, 28 marzo 1913, Labia a San Giuliano; rap. 161, 5 aprile 1913, Labia a San Giuliano. 442 A titolo di esempio, cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, rap. 93/39, 18 febbraio 1913, Dolfini a San Giuliano. 443 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 61, tel. 2138, 17 marzo 1913, Dolfini a San Giuliano. istruzione di far presente al governo di Belgrado quanto sia pericoloso l’atteggiamento serbo contrario all’autonomia albanese, che potrebbe inoltre provocare un intervento austriaco, e pertanto invita il rappresentante italiano a dare amichevoli ma fermi consigli di moderazione. Contemporaneamente il ministro italiano prega Carlotti, da poco nominato ambasciatore a San Pietroburgo, di suggerire a Sazonov di avvertire la Serbia nell’interesse di quest’ultima 444 . In altre occasioni l’Italia si dimostra più conciliante verso Belgrado, assumendo una posizione ben lontana dall’intransigenza austriaca, come ad esempio succede un mese più tardi, quando la Ballplatz protesta perché il comando militare di Durazzo si comporta nell’amministrazione dei territori soggetti ad occupazione come se questa non fosse affatto temporanea. Va detto però che in questo momento la Serbia ha appena ritirato le sue truppe da Scutari, abbandonando il Montenegro e venendo così incontro alla richiesta delle grandi potenze, e pertanto San Giuliano può permettersi ben volentieri di tenere un atteggiamento amichevole verso Belgrado 445 . Infatti, secondo la Consulta, il comportamento serbo non dà luogo a particolari motivi di lamentela, poiché Pasic ha già dato ampie assicurazioni al riguardo, ed inoltre si esprime l’opinione che il modo più efficace per accelerare lo sgombero dell’Albania settentrionale sia quello di «assicurare al più presto alla Serbia le garanzie che essa giustamente richiede»446 , anche se non è ben chiaro a cosa si riferisca in questa circostanza il ministro italiano. La ripresa delle ostilità non ha fatto registrare particolari progressi né da una parte né dall’altra, con gli eserciti bulgaro e ottomano sempre bloccati nei pressi di Chatalja, mentre continua l’assedio delle tre piazzeforti ancora in mano ai turchi. La situazione in 444 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 61, tel. 1611, 18 marzo 1913, San Giuliano a Rinella e a Carlotti. 445 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 740, tel. 2300, 15 aprile 1913, San Giuliano agli ambasciatori presso le grandi potenze. 446 ASMAE, serie politica, b. 740, tel. 2300 cit. queste città, che durante l’armistizio non hanno ricevuto alcun rifornimento, si fa sempre più drammatica, ed il cibo incomincia a scarseggiare 447 . L’ambasciatore russo propone così il 25 febbraio alla conferenza di Londra che le potenze impongano, per motivi umanitari, la fuoriuscita della popolazione civile dai centri assediati. L’Austria accoglie con soddisfazione questa proposta e la rilancia nei giorni seguenti, quando le discussioni con la Russia su Djakova e sul resto della frontiera albanese non sono ancora giunte al termine, interpretandola soprattutto come una misura per prevenire il Montenegro nella questione di Scutari, dove il suo protettorato sui cattolici le offre pur sempre la possibilità di intervenire. Berchtold propone di intimare a Cettigne di sospendere i bombardamenti sulla città fino a che la popolazione civile non sarà completamente evacuata, e pensa a misure coercitive nel caso che la risposta montenegrina sia negativa, chiedendo in tal caso l’attivo appoggio italiano. San Giuliano però non è molto entusiasta dell’idea e avanza molti dubbi sulla praticabilità delle operazioni di evacuazione. Il Montenegro si rifiuta inizialmente di acconsentire a ciò, e quando poi diventa più accondiscendente è il comandante delle forze assediate di Scutari, Essad Pascià, a opporsi alla richiesta austriaca 448 . Dopo la risoluzione della battaglia diplomatica per Djakova, con il conseguente comunicato delle sei grandi potenze sui confini settentrionali dell’Albania, la questione delle condizioni della popolazione civile di Scutari viene inglobata nel problema di come ottenere la fine dell’assedio serbo- montenegrino secondo la volontà del concerto europeo. Intanto il 6 marzo è caduta Janina e la Grecia ha così praticamente terminato la sua azione contro la Turchia, e può ora approfittarne per spostare il grosso delle sue truppe verso est, in Macedonia, viste le divergenze sorte con la Bulgaria per il destino di una parte di quelle 447 448 Cfr. Helmreich, op. cit.; Biagini, L’Italia e le guerre op. cit. Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 295-97. regioni449 . Il trattato di alleanza tra questi due Stati non comprende clausole relative alla divisione dei territori conquistati, come è invece il caso dei patti tra Belgrado e Sofia. L’esercito ellenico è giunto per primo a Salonicco ma ha preceduto le truppe bulgare soltanto di poche ore, e la città è stata sottoposta ad una doppia amministrazione. Fin da subito si sono registrati schermaglie e scontri fra i due occupanti450 , e il porto macedone, centro cosmopolita con un elevato numero di abitanti di fede ebraica, è subito diventato il “pomo della discordia” nei rapporti tra i due Paesi. Non meno tese sono le relazioni fra Serbia e Bulgaria, con il governo di Belgrado che fin da gennaio ha incominciato ad avanzare a Sofia la richiesta di rivedere le ripartizioni territoriali fissate nell’annesso segreto del trattato d’alleanza. Pasic giustifica ciò con il diverso andamento che le operazioni militari hanno avuto rispetto a quanto previsto dai patti. Questi contemplavano l’invio di un certo numero di truppe bulgare nella valle del Vardar, ossia nel cuore della Macedonia, fatto che non si è verificato, mentre viceversa sono stati i serbi a prestare un aiuto non previsto ad Adrianopoli. In altre parole, secondo Belgrado, l’andamento della guerra ha dimostrato che la Serbia è più forte di quanto si credesse al momento della stipulazione dell’alleanza, ed inoltre è in diritto di chiedere maggiori compensi poiché è stata inaspettatamente privata dello sbocco adriatico nel nord dell’Albania. In realtà si tratta di argomentazioni oggettivamente di dubbia validità, viste anche le clausole relative agli specifici accordi militari, e ovviamente sono respinte dalla Bulgaria, che fino a questo momento ha dovuto sopportare il maggior numero di perdite fra gli alleati e ha affrontato il grosso dell’esercito nemico ben presto ritiratosi in Tracia, mentre i serbi hanno potuto occupare anche quelle zone della Macedonia assegna te a Sofia e da cui ora non intendono 449 Cfr. Helmreich, op. cit. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 737; sono diversi i rapporti su questi fatti da parte del console italiano di Salonicco Macchioro Vivalba. 450 ritirarsi451 . La situazione della Turchia resta nel frattempo sempre critica, e fin dal 28 febbraio, a neanche un mese dalla ripresa delle ostilità, il governo ottomano chiede, senza porre condizioni, la mediazione delle potenze per la fine della guerra. Agli alleati balcanici viene ora chiesto se accettano anch’essi l’intervento mediatore del concerto europeo e la loro risposta giunge soltanto il 14 marzo. In linea di massima tale principio viene accolto, ma vengono fatte numerose riserve sui futuri confini, sulle isole egee e sul pagamento di un’indennità, che rappresenta una nuova richiesta rispetto a quelle precedentemente formulate nei negoziati di Londra. La conferenza degli ambasciatori incomincia così a lavorare su un progetto che serva come base nelle trattative fra i belligeranti, e vengono formulati i seguenti punti: tutti i territori ad ovest della linea Enos-Midia sono ceduti dalla Turchia agli alleati, con l’eccezione dell’Albania, la cui delimitazione ed orga nizzazione sono riservate alle grandi potenze, le quali decideranno anche del destino delle isole egee; l’Impero ottomano cede inoltre l’isola di Creta, ed infine viene per il momento esclusa la possibilità di ottenere un’indennità, anche se sia gli alleati che la Turchia saranno ammessi alla conferenza di Parigi, in cui si discuterà di tutte le questioni finanziarie sollevate dai cambiamenti causati dalla guerra 452 . Nel frattempo la Porta cerca di accelerare un intervento risolutore del concerto europeo ribadendo le consuete accuse di maltrattamenti e atrocità a danno dei musulmani nei territori occupati dalla Quadruplice, e a questo proposito consegna agli ambasciatori delle grandi potenze a Costantinopoli un rapporto sulla situazione, definita disumana, della popolazione islamica che vive in quelle regioni 453 . Il 26 marzo cade anche Adrianopoli, ciò che causa una gioia sfrenata a Sofia ed in tutto il mondo slavo, anche 451 Cfr. Helmreich, op. cit.; Biagini, L’Italia e le guerre op. cit.; entramb i gli autori condividono l’idea che la Serbia ha in verità pochi diritti per chiedere più di quanto stabilito in partenza. 452 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 326-27; Mantegazza, Questioni di politica op. cit. 453 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 740, rap. 2014/305, 20 marzo 1913, Garroni a San Giuliano. se qualche giorno dopo il governo russo è di nuovo allarmato per la possibilità che la Bulgaria tenti ora di avanzare verso Costantinopoli. In realtà questa impresa non è alla portata dell’esercito bulgaro, ridotto notevolmente nelle sue forze dalle perdite subite e da un’epidemia di colera, e la situazione rimane stabile nell’attesa di un accordo per la cessazione delle ostilità454 ; questa, mentre le potenze attendono una risposta al loro progetto di mediazione, è da ritenersi più vicina, dal momento che degli iniziali obiettivi degli alleati resta ormai in mano nemica solo Scutari, dove peraltro il concerto europeo ha già intimato a Montenegro e Serbia di ritirarsi dall’assedio, in quanto la città deve far parte dello Stato albanese. La caduta di Adrianopoli è salutata con entusiasmo anche in Francia, dove la nuova vittoria alleata viene considerata l’ennesima prova della superiorità dell’artiglieria francese su quella tedesca. Infatti gli Stati della Quadruplice ricorrono principalmente a materiale bellico di produzione francese, mentre l’esercito turco è organizzato secondo il modello prussiano, ha fatto ricorso negli anni passati ad istruttori tedeschi, che l’hanno “ristrutturato” profondamente, ed è equipaggiato con armamenti provenienti dalla Germania. Fin dall’inizio della guerra, con le prime nette affermazioni degli alleati balcanici, i giornali francesi hanno sottolineato questo fatto, compiacendosi delle imprese belliche della Quadruplice, vissute quasi come vittorie proprie, e hanno polemizzato apertamente con la stampa tedesca, confermando la permanente tensione fra i due Paesi a due anni di distanza da Agadir. In Germania le sconfitte turche colgono di sorpresa e ovviamente sono addebitate all’insipienza dei vertici militari e politici ottomani, che hanno disfatto, come è in parte vero, il prezioso lavoro di Von der Goltz, l’alto ufficiale tedesco consigliere dell’esercito turco455 . Intanto i punti formulati alla riunione degli ambasciatori come base per i negoziati di 454 455 Cfr. Helmreich, op. cit. Cfr. Biagini, L’Italia e le guerre op. cit.; Helmreich, op. cit. pace sono stati sottoposti ai governi alleati il 22 marzo e a Costantinopoli il 31. La Sublime Porta accetta subito senza riserve, mentre la risposta degli Stati balcanici tarda fino al 5 aprile: essi dichiarano di volere che le isole siano cedute direttamente a loro senza intromissione delle potenze, pretendono di essere informati in anticipo riguardo ai confini albanesi e non intendono rinunciare a ricevere un’indennità dalla Turchia. La conferenza di Londra, pertanto, ritorna a lavorare per trovare una risposta alle richieste della Quadruplice, le quali comunque non possono venire accolte nella loro interezza 456 . Dopo la firma del protocollo in cui hanno messo per iscritto le rispettive posizioni, le trattative fra Bulgaria e Romania riguardo ai compensi che quest’ultima richiede in cambio della sua neutralità si sono momentaneamente interrotte per la ripresa delle ostilità con la Turchia, ma riprendono già pochi giorni dopo, mentre, come si è visto, le grandi potenze temono un invasione rumena in Dobrugia e mandano ripetuti consigli di prudenza a Bucarest. La Bulgaria è ora disposta a cedere una piccola porzione di territorio in più rispetto a quanto ha concesso finora, ma per la Romania ciò non è ancora sufficiente457 . Per cercare di sbloccare la situazione, che sembra giunta ad un punto morto, il concerto europeo invita i due governi a ricorrere alla mediazione delle potenze nel caso che non riescano ad accordarsi fra loro. Entro la fine di febbraio da entrambe le capitali giunge tale richiesta, con l’indicazione di San Pietroburgo come località preferita per le trattative. Viene deciso allora che le discussioni saranno condotte dagli ambasciatori presso quella capitale, come già si è fatto per la riunione di Londra. La convocazione di questa nuova conferenza viene però ritardata perché compaiono parecchie divergenze a proposito della procedura da utilizzare nel prendere le decisioni. Sazonov propone che queste debbano essere prese a maggioranza e quindi 456 457 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 327-28; Mantegazza, Questioni di politica op. cit. Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 300-01. dopo una votazione; si parla anche della necessità di un arbitro super partes, ed addirittura Jagow, che ha sostituito Kiderlen come segretario di Stato agli Affari Esteri tedesco, avanza l’idea di un sorteggio, ipotesi che secondo San Giuliano costituirebbe «the bankruptcy of diplomacy»458 . Infine prevale la posizione italiana ed austriaca e si stabilisce che tutte le deliberazioni saranno effettuate all’unanimità 459 . Così come è avvenuto ed avviene alla conferenza di Londra, le discussioni più importanti fra gli ambasciatori sono svolte in privato, al di fuori delle sedute ufficiali, e molte decisioni vengono prese attraverso il contatto diretto fra i rispettivi governi. Così questi ultimi incominciano già a scambiarsi delle proposte ancor prima dell’inizio della riunione. L’Italia, legata alla Romania da un trattato d’alleanza, intende appoggiare, così come Austria e Germania, le richieste rumene su Silistria, che costituisce sicuramente il punto più contestato dell’intera questione. La Consulta rende subito nota questa sua posizione, ma San Giuliano appare anche preoccupato di provocare con ciò un eccessivo risentimento della Russia, che verosimilmente prenderà le parti di Sofia. Pare essere questo il motivo per cui fin da ora l’Italia appoggia l’idea austriaca di compensare la Bulgaria con Salonicco, anche se questa decisione è causata anche da altre ragioni 460 . Il governo russo, sempre nelle settimane precedenti l’inaugurazione della conferenza, fa sapere alla Consulta di non ritenere valida la sua argomentazione che Silistria deve assolutamente andare alla Romania per evitare che questa faccia la guerra, dato che il governo di Bucarest ha dichiarato di accettare le decisioni del concerto europeo qualunque esse siano. Inoltre si rammarica dell’attitudine italiana verso la Russia, tanto più sorprendente dopo il leale atteggiamento di San Pietroburgo nel conflitto italo-turco, 458 Helmreich, op. cit., pag. 301. Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 1404, 9 marzo 1913, San Giuliano a Carlotti; Helmreich, op. cit. 460 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 1404 cit. 459 e afferma riguardo a Salonicco che la delimitazione dei territori conquistati spetta esclusivamente ai vincitori461 . San Giuliano risponde di sapere da fonti certe che se la Romania non otterrà le soddisfazioni che il Paese reclama, l’attuale governo di Bucarest cadrà e sarà sostituito da un gabinetto disposto a scendere in guerra, circostanza che potrebbe provocare l’allargamento del conflitto alle grandi potenze e «mettere in forse i risultati ottenuti dai popoli balcanici che Italia e Russia hanno interesse a consolidare»462 . Il ministro italiano dichiara inoltre con “innocenza” di aver sostenuto la cessione di Silistria alla Romania senza sapere che la Russia sarebbe stata contraria, ma ritenendo anzi che essa fosse favorevole a ciò 463 . La conferenza di San Pietroburgo avrà finalmente inizio il 31 marzo, oscurata però a que l punto dalla nuova minaccia alla pace europea causata dall’aggravarsi della questione di Scutari. 461 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 1517, 14 marzo 1913, San Giuliano a Carlotti. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 1517 cit. 463 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 1517 cit. 462 Capitolo terzo La crisi di Scutari e la fine della guerra Dopo la deliberazione della conferenza degli ambasciatori del 22 marzo, con la quale le sei grandi potenze assegnano Djakova ai Paesi slavi e si impegnano a invitare Serbia e Montenegro a terminare l’assedio di Scutari e a ritirarsi dall’Albania, l’Austria incomincia a diventare impaziente di vedere avverarsi la volontà europea riguardo alla questione scutarina. Fin dal giorno seguente la Ballhausplatz fa presente di avere intenzione di ricorrere, eventualmente, a pacifiche misure coercitive nel caso che i due Stati slavi non si uniformino alle decisioni del concerto europeo. Ciò causa sub ito molta apprensione in tutte le capitali d’Europa, e soprattutto a San Pietroburgo 464 . In realtà già da qualche giorno il governo austriaco non fa mistero di ritenere opportuno, visto l’atteggiamento di re Nicola, un intervento per affermare ciò su cui tut ti si sono dichiarati d’accordo a Londra, vale a dire l’inclusione di Scutari nel costituendo Stato albanese. L’ambasciatore austriaco a Roma ha infatti già proposto a San Giuliano una dimostrazione navale italo-austriaca contro il Montenegro; Giolitti, interpellato dal ministro degli Esteri, risponde di non essere affatto d’accordo con lui che convenga in tal caso associarsi all’Austria. Secondo il presidente del consiglio la dimostrazione cadrebbe nel ridicolo se non fosse seguita da uno sbarco di truppe, mentre quest’ultima eventualità potrebbe essere causa dell’inizio di una guerra generale. San Giuliano in realtà non è affatto ansioso di prendere parte a questa possibile azione e fin da subito ha risposto all’ambasciatore austriaco di ritenere inefficace la misura proposta dal suo 464 Cfr. Helmreich, op cit., pp. 296-97. Paese. Timoroso anch’egli, al pari di Giolitti, che possano sorgere da tutto ciò complicazioni internazionali della massima gravità, fa predicare prudenza e moderazione dai rappresentanti italiani nei Paesi coinvolti direttamente o indirettamente nella questione, e si augura sinceramente che tutto si risolva per via diplomatica 465 . Il ministro degli Esteri però, a differenza del presidente del consiglio, sostiene che nel caso non si riuscisse a convincere il Montenegro a desistere e la Ballplatz, appoggiata, come sembra, dalla Germania, insistesse di conseguenza per qualche azione coercitiva, non si dovrebbe assolutamente permettere che l’Austria agisca da sola. Se così fosse l’alleata si avvantaggerebbe enormemente in Albania, occupando magari una parte del Paese e conquistando in ogni caso il favore della popolazione locale, alla quale apparirebbe come l’unica seria protettrice dell’indipendenza albanese. L’Italia rischierebbe di conseguenza di vedere compromessi la sua posizione nell’Adriatico e i rapporti cogli alleati, dal momento che anche la Germania, se la dimostrazione navale diventasse inevitabile, desidererebbe la partecipazione italiana. Nei giorni seguenti San Giuliano cerca di far cambiare idea a Giolitti, ma questi resta fermo nella sua convinzione che gli interessi adriatici del Paese non valgano gli enormi rischi che si correrebbero affiancando l’Austria nell’impresa 466 . Il presidente del consiglio pensa che Vienna e Berlino vogliano il concorso dell’Italia per legarla a sé in vista di un possibile conflitto con l’Intesa, dal momento che «la dimostrazione militare, se fatta seriamente, costringerebbe la Russia ad attaccare l’Austria e se noi abbiamo partecipato alla dimostrazione siamo fatalmente costretti a partecipare alla guerra»467 . In seguito San Giuliano interpella anche il ministro della Guerra, Spingardi, e Vittorio Emanuele, cui 465 Cfr. M. Mazzetti, L’Italia e la crisi albanese del marzo-maggio 1913, in Storia Contemporanea, 1973, n° 2, pp. 219-62; Bosworth, La politica estera op. cit., pp. 248-49. 466 Cfr. Mazzetti, op. cit.; Bosworth, La politica estera op. cit. 467 Mazzetti, op. cit., pag. 224. lo statuto attribuisce non poche prerogative in materia di politica estera; questi si dichiarano sostanzialmente d’accordo col titolare della Consulta che, se non si riesce a trattenere l’Austria, non è possibile lasciarla agire da sola, poiché in tal caso le ripercussioni per la politica adriatica dell’Italia sarebbero molto gravi. Giolitti a questo punto diventa più possibilista e arriva a considerare anche l’eventualità di una partecipazione ad un’azione militare che faccia seguito alla dimostrazione, a patto però che questa avvenga per esplicito mandato di tutte le grandi potenze 468 . Il 22 marzo San Giuliano illustra già al presidente del consiglio una serie di possibili comportamenti da parte italiana nel caso l’Austria decidesse di compiere la dimostrazione navale: innanzitutto la peggior soluzione viene considerata l’astensione da qualsiasi azione, mentre d’altra parte la partecipazione pura e semplice a fianco della duplice monarchia sarebbe foriera di grossi pericoli. È evidente quindi che in questo caso il ministro si sta riferendo ad un intervento austriaco senza mandato europeo, vale a dire senza quella condizione che Giolitti considera invece necessaria per il concorso italiano. San Giuliano continua avanzando l’ipotesi di una divisione dei compiti fra i due alleati oppure di un’azione parallela dell’Italia in altre parti dell’Albania, magari nel sud del Paese, facendo in modo così di non perdere terreno nei confronti della duplice monarchia 469 . Quest’ultima soluzione guadagnerà sempre più credito nelle settimane successive con il proseguimento della crisi. Nei giorni seguenti la Consulta si impegna per cercare di mantenere l’unità del concerto europeo, chiedendo inutilmente al governo tedesco di dissuadere l’Austria dal compiere azioni unilaterali 470 , e consigliando San Pietroburgo di persuadere Serbia e Montenegro a ritirarsi da Scutari per il bene della 468 Cfr. Mazzetti, op. cit.; Bosworth, La politica estera op. cit. Cfr. Mazzetti, op. cit., pp. 226-27. 470 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 249. 469 pace europea471 . San Giuliano resta però convinto che se la duplice monarchia agirà qualcosa bisognerà pur fare, facendo ancora notare a Giolitti che un intervento isolato austriaco potrebbe inoltre riaprire a danno dell’Italia la questione del protettorato cattolico in Albania 472 . In un telegramma del 26 marzo a Imperiali, il ministro degli Esteri riassume la posizione italiana e le implicazioni generali di questa crisi per la politica estera del Paese: «Nostro interesse è che non vi sia guerra europea e non si crei una situazione che spinga l’Austria ad agire e possa poi avere per conseguenza di assicurarle in Albania e in genere nei Balcani e nell’Adriatico una espansione territoriale o una influenza eccessiva.[…]è per noi essenziale al tempo stesso, non indebolire, anzi rafforzare i nostri rapporti coi nostri alleati anche in vista della probabilità di aver presto bisogno del loro appoggio nella questione dell’equilibrio del Mediterraneo, che può porsi più presto di quando vorremmo a cagione delle deplorevoli condizioni della Turchia asiatica. Tali essendo i nostri fini mi pare d’importanza secondaria la scelta dei mezzi per conseguirli e perciò accetterei tanto l’azione collettiva di tutte le potenze, quanto il mandato europeo alle due potenze adriatiche, beninteso che tale azione coercitiva si dovrebbe esercitare solo quando siano esauriti tutti i mezzi amichevoli» 473 . Lo stesso giorno in cui San Giuliano dà queste istruzioni a Londra, il rappresentante tedesco alla conferenza degli ambasciatori propone che sia dato un mandato ad Italia ed Austria per far rispettare le decisioni del concerto europeo. La proposta di Berlino viene recepita freddamente, e Grey suggerisce invece una dimostrazione navale da parte di tutte le potenze. L’Austria accetta di buon grado mentre il 28 marzo anche la Russia dà il suo assenso, pur asserendo di non poter prendere parte direttamente all’azione. Questa viene ritardata di qualche giorno perché 471 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 1813, 27 marzo 1913, San Giuliano a Carlotti. Cfr. Mazzetti, op. cit. 473 ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 1782, 26 marzo 1913, San Giuliano a Imperiali. 472 la Francia si rifiuta inizialmente di partecipare se da San Pietroburgo non le giunge l’esplicito invito a farlo; il governo francese non vuole infatti far nulla che possa anche soltanto apparire come un qualcosa compiuto contro la volontà della Russia. A questo punto però le pressioni inglesi su entrambe le alleate, dal momento che l’Inghilterra non intende certamente prender parte alla dimostrazione da sola assieme alla Triplice Alleanza, ciò che potrebbe sembrare un riavvicinamento di Londra al blocco rivale o quantomeno un indebolimento dell’Intesa, portano infine ad un’ufficiale dichiarazione di consenso alla partecipazione francese da parte di Sazonov, il quale del resto continua a pregare vivamente re Nicola di porre fine all’assedio 474 . La soluzione così raggiunta è quella che tutti i responsabili della politica estera italiana si sono augurati nei giorni precedenti, nel caso il Montenegro non avesse dovuto cedere, in quanto l’adesione di tutte le potenze scongiura per il momento pericoli più gravi, mentre nel frattempo si evitano vantaggi da parte dell’Austria che sarebbero pur sempre potuti scaturire anche da un’azione italo-austriaca in rappresentanza del concerto europeo. Le navi delle cinque potenze che partecipano alla dimostrazione si radunano così fra il 3 ed il 5 aprile nelle acque dell’Adriatico dinanzi alle coste montenegrine e albanesi, sotto il comando di un ufficiale inglese come desiderato anche dall’Italia 475 . Nessuno però può essere certo del successo dei provvedimenti che sta prendendo il concerto europeo, e pertanto le discussioni in seno al governo italiano continuano senza che vengano escluse le ipotesi più gravi. Infatti è ormai certo che se re Nicola non cederà l’Austria-Ungheria non esiterà a fare qualcosa per assicurare il destino di Scutari e per evitare che venga scosso il suo stesso prestigio. La Consulta è preoccupata anche per l’attitudine del governo tedesco, il quale, interrogato al riguardo, non sembra troppo allarmato per 474 475 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 298-300. Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 250. l’eventualità che scoppi una guerra europea, che ritiene pur probabile, ma pensa che ormai sia in gioco la dignità della duplice monarchia, oltre che i suoi interessi legittimi, e pertanto è disposto a seguire l’Austria qualsiasi sviluppo prendano gli eventi476 . Se così non fosse, secondo Jagow, «il prestigio e l’autorità della Triplice Alleanza sarebbe irremissibilmente perduto». Il segretario di Stato tedesco conclude che «La necessità di saldare le partite con lo slavismo, del quale la Russia si atteggia più che mai a rappresentante e protettore, si presenterà inevitabile un giorno o l’altro, meglio dunque prendere addirittura una risoluzione energica e coraggiosa, fidando sulla bontà della nostra causa e nella forza delle armi» 477 . L’8 aprile Avarna telegrafa da Vienna confermando che nel caso il Montenegro non cedesse e le grandi potenze si rifiutassero di intraprendere un azione militare contro di esso, l’Austria chiederebbe all’Italia, in forza dei loro accordi sull’Albania, di cooperare per assicurare Scutari al nuovo Stato. Se l’Italia non volesse partecipare, il governo austroungarico si troverebbe a dover scegliere fra l’affrontare una guerra da solo contro Serbia e Montenegro oppure l’accordarsi con Cettigne per la cessione della città, magari in cambio del Lovcen, anche se la prima eventualità appare più probabile, vista l’eccitazione dell’opinione pubblica che chiede a gran voce una prova di forza 478 . Come si vede, se l’ostinazione montenegrina dovesse perdurare, la situazione si presenterebbe in ogni caso piena di insidie per gli interessi italiani; gli obiettivi principali che la Consulta ha individuato fin dall’inizio del conflitto, vale a dire preservare la pace europea, evitare avanzamenti austriaci nei Balcani e mantenere l’equilibrio adriatico, sono tutti in ballo nell’attuale crisi. Sempre l’8 aprile San Giuliano ha scritto a Giolitti per stabilire come rispondere alle avances che giungono da Vienna. Il presidente del consiglio concorda con il parere 476 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, tel. di gabinetto 150, 5 aprile 1913, Bollati a San Giuliano. ASMAE, serie politica, b. 677, tel. di gabinetto 150 cit. 478 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, tel. di gabinetto 154, 8 aprile 1913, Avarna a San Giuliano. 477 del ministro che si possa dare una risposta affermativa solo se le due potenze adriatiche agissero a nome dell’Europa, mentre va subito chiarito che un’azione isolata dell’Austria-Ungheria non parrebbe giustificata e l’Italia non vi si potrebbe associare, perché metterebbe in pericolo la pace europea 479 . I timori sull’efficacia della dimostrazione navale si dimostrano intanto giustificati, in quanto il governo montenegrino risponde con un ennesimo rifiuto alle intimazioni del comandante della flotta internazionale radunata di fronte ad Antivari. Le grandi potenze decidono allora di passare al blocco delle costa, anche se questo, per le resistenze francesi, non è così esteso come avrebbe voluto Berchtold. Il 10 aprile viene così dichiarato il blocco di tutto il litorale da Antivari fino alla foce del Drin, ma anche questa misura, che com’era prevedibile non può danneggiare più di tanto il Montenegro, non fa mutare il contegno di re Nicola. L’unico risultato che ottengono le grand i potenze è quello di far desistere la Serbia dal continuare a prestare aiuto allo Stato fratello 480 , dopo che nei giorni precedenti anche l’Italia ha consigliato al governo di Belgrado di ritirarsi dall’assedio di Scutari, facendogli presente i rischi cui stava andando incontro 481 . L’Italia, sempre guidata dalla volontà di evitare complicazioni, propone allora fortemente l’idea di un compenso finanziario per convincere re Nicola a cedere. La Russia è ben disposta verso questo progetto, mentre le altre potenze non sembrano molto entusiaste di quello che pare più un tentativo di corruzione 482 . La Consulta prega Berlino, dapprima senza successo, di convincere l’Austria ad acconsentire a ciò 483 , e nello stesso tempo invita il governo russo a fare pressioni su Francia e Inghilterra perché accettino, ricordando che la salvezza della dinastia montenegrina è interesse russo, poiché se quest’ultima cadesse 479 Cfr. Mazzetti, op. cit., pp. 234-35. Cfr. Helmreich, op. cit. 481 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, rap. 335/85, 31 marzo 1913, Rinella a San Giuliano. 482 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 311-12; Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 250. 483 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, tel. di gabinetto 153, 7 aprile 1913, Bollati a San Giuliano. 480 ora la Ballplatz si opporrebbe con la forza all’unione di Serbia e Montenegro, mentre in futuro potrebbe essere impossibile impedire la fusione dei due Stati slavi484 . Infine anche l’Austria dà il suo assenso, subordinato alla condizione che il denaro sia utilizzato per lo sviluppo economico del Paese e non per arricchire la casa regnante, e alla conferenza di Londra si incominciano a discutere i termini di questo prestito internazionale. Re Nicola fa però subito sapere che non può accettare alcun compenso finanziario e che non intende quindi interrompere l’assedio, e così anche questo tentativo di risolvere pacificamente la questione sfuma 485 . Un’altra possibile soluzione caldeggiata dall’Italia di cui si parla in questi giorni, è quella di cercare di ottenere da parte della Turchia la cessione di Scutari direttamente alle grandi potenze, la qual cosa faciliterebbe probabilmente un intervento unanime dell’Europa, ma anche questa proposta non porta a nulla di concreto 486 . La Consulta deve intanto fronteggiare anche una parte dell’opinione pubblica interna, critica verso il concerto europeo e orientata in senso favorevole alle aspirazioni montenegrine, ma soprattutto contraria a qualsiasi intervento austriaco. Non va dimenticato che la dinastia montenegrina è imparentata con la casa regnante italiana, e che la regina Elena, figlia di re Nicola, gode di una certa popolarità nel Paese, dove si segnalano manifestazioni e riunioni pro Montenegro e contro l’Austria soprattutto da parte di studenti di diverse città italiane, con il frequente intervento della forza pubblica 487 ; l’11 aprile viene dato l’ordine a tutti i prefetti del regno di impedire simili manifestazioni 488 . 484 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 2209, 12 aprile 1913, San Giuliano a Carlotti. Cfr. Helmreich, op. cit., pag. 312; Mazzetti, op. cit. 486 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 2236, 14 aprile 1913, San Giuliano ad Avarna. 487 A titolo di esempio, cfr. ASMAE, serie politica, b. 483, 11 aprile 1913, nota 8273 del Ministero degli Interni, relativa ad una manifestazione tenutasi a Bologna; 15 aprile 1913, nota 8485 del Ministero degli Interni, riguardante gli studenti pisani; simili manifestazioni si segnalano in questi giorni anche a Roma, Bari, Pavia, Udine, Vicenza, Sulmona, Lucca e Modena, mentre gli studenti perugini festeggeranno pubblicamente la caduta di Scutari (26 aprile 1913, nota 9073 del Ministero degli Interni). 488 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 483, 11 aprile 1913, nota 8373 del Ministero degli Interni. 485 La continuazione dei bombardamenti su Scutari da parte dell’artiglieria montenegrina rende ormai vicina la capitolazione della città, dove il cibo scarseggia ormai anche per le truppe che la difendono, che danno segni di irrequietezza e minacciano l’ammutinamento, mentre cresce il numero dei morti per fame e stenti fra la popolazione civile. Il 23 aprile infine, il comandante ottomano, l’albanese Essad Pascià, si arrende al Montenegro, e si vocifera subito che la resa è stata da lui concessa in cambio dell’appoggio serbo e montenegrino alla sua nomina a re d’Albania 489 . Fin dal giorno della caduta di Scutari gli ambasciatori alla conferenza di Londra convengono che la mutata situazione non altera la decisione delle potenze, e si decide unanimemente di far presente a Cettigne che la città deve essere consegnata al comandante della flotta internazionale. L’Austria vorrebbe subito discutere eventuali misure coercitive da prendersi nel caso di risposta negativa di re Nicola, ma la Triplice Intesa non vuole per il momento impegnarsi. Sazonov, ora che Scutari è in mano slava, sostiene di non poter andare oltre l’appoggio a passi diplomatici, e di non poter dare in nessun caso il suo assenso ad un’azione di forza poiché scatenerebbe l’opinione pubblica del suo Paese, che ha salutato la resa della città con grandi manifestazioni di gioia, così come è avvenuto negli altri Stati balcanici. La Russia, per i medesimi motivi, non è disposta nemmeno a dare una pubblica autorizzazione alla Francia a partecipare all’eventuale iniziativa militare europea. Nei giorni seguenti le sedute della riunione di Londra presentano lo stesso andamento, con l’Austria, appoggiata attivamente da Italia e Germania, che cerca di ottenere il consenso per una risolutiva azione di forza, mentre la Triplice Intesa non concede più di un inasprimento del blocco navale e rilancia l’ipotesi di compensi finanziari490 . Non stupisce quindi che Berchtold torni alla carica con San 489 490 Cfr. Helmreich, op. cit.; Sette mesi di terrore op. cit. Cfr. Helmreich, op. cit. Giuliano per avere l’adesione italiana a misure coercitive nei confronti del Montenegro. La Consulta fa sapere che l’Italia non si muoverà senza mandato europeo e si dichiara assolutamente contraria ad un intervento isolato dell’Austria, che metterebbe in crisi la pace europea oltre che i rapporti di alleanza, in quanto sarebbe contrario all’articolo VII della Triplice, quello relativo alle questioni balcaniche 491 . San Giuliano riassume così un colloquio avuto con l’ambasciatore tedesco il 28 aprile: «oggi l’azione isolata austriaca non è giustificabile e[…]l’Italia non vi può prendere parte, bisogna quindi insistere per un’azione internazionale. Se si vede che realmente le potenze della Triplice Intesa tergiversano e che non vogliono eseguire le deliberazioni dell’Europa, allora forse si potrà esaminare se e come possa l’Italia partecipare all’azione austriaca; oggi non lo potrebbe certamente perché non è dimostrato che questo sia l’unico mezzo di assicurare Scutari all’Albania. Se oggi l’Austria si decide ad agire allora l’Italia dovrà escogitare i mezzi per tutelare i propri interessi. L’Italia desidera farlo in modo che sia compatibile coi suoi accordi con l’Austria e coi buoni rapporti che desidera mantenere[…]con l’alleata.[…]Tra i mezzi di mantenere in qualunque evento l’accordo italo-austriaco potrebbe esservi un’azione parallela nostra diretta a salvaguardare altre parti dell’Albania da pericoli analoghi a quelli da cui l’Austria vuole preservare l’Albania del nord, o pure una coordinazione dell’azione comune delle due potenze adriatiche che comprenda tanto la questione di Scutari quanto quella dello stretto di Corfù»492 . Come si vede la Consulta avanza nuovamente l’ipotesi già formulata all’inizio della crisi, quella che prevede l’intervento nei territori dell’Albania meridionale col pretesto delle minacce elleniche e delle pericolose manovre di Essad Pascià, in modo che si abbia in mano un “pegno” della massima utilità per evitare un 491 492 Cfr. Mazzetti, op. cit.; Bosworth, La politica estera op. cit. Mazzetti, op. cit., pag. 242. vantaggio austriaco in Albania e preservare così l’equilibrio adriatico, dando nel contempo l’impressione di agire assieme alla propria alleata. Del resto si è già detto come l’Italia abbia interesse a definire certi confini per il nuovo Stato a sud assai più che a nord o ad est, come lo stesso San Giuliano ha scritto a Giolitti l’8 aprile: «La questione di Scutari per noi è importante soprattutto perché ne può derivare una guerra europea. Invece, guardando le due questioni in sé stesse, è per noi più importante quella dello stretto di Corfù…»493 . Nei giorni seguenti l’Italia continua tuttavia a dare ripetuti consigli di moderazio ne e prudenza a tutti gli Stati coinvolti, compresa l’Austria alla quale raccomanda di non fare passi affrettati494 , mentre i rapporti fra quest’ultima e il Montenegro sono ulteriormente complicati dalle scuse che Vienna pretende per gli incidenti occorsi ad alcuni cattolici nei territori occupati dalle truppe slave, tra i quali la misteriosa uccisione di un francescano che era stato arrestato dalle autorità montenegrine. Intanto il 28 aprile Grey fa l’importante dichiarazione che se re Nicola continuasse a rifiutarsi di piegarsi al volere delle grandi potenze, unica circostanza che potrebbe portare l’aiuto finanziario dell’Europa al Paese stremato dallo sforzo bellico, la Gran Bretagna abbandonerebbe il Montenegro al suo destino. Ciò sta a significare probabilmente che il governo inglese non si opporrebbe alla ormai quasi certa mossa austriaca, e sapendo che l’Inghilterra si manterrebbe in disparte difficilmente Russia e Francia farebbero passi azzardati495 . Questa presa di posizione di Grey, che diminuisce i rischi di conflitto europeo, influisce probabilmente nei giorni seguenti sulla maggiore disponibilità italiana ad intervenire in Albania, ferma restando l’intenzione di dar vita ad un’azione parallela nel sud del Paese, e non di unirsi direttamente con l’Austria contro il 493 Mazzetti, op. cit., pag. 235. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, tel. di gabinetto 168, 29 aprile 1913, Squitti a San Giuliano; tel. di gabinetto 172, 1 maggio 1913, Avarna a San Giuliano. 495 Cfr. Helmreich, op. cit. 494 Montenegro. Il 29 aprile San Giuliano, con il consenso di Giolitti, che all’inizio della crisi era ben più riluttante a cooperare con l’alleata, consegna all’ambasciatore austroungarico un promemoria dove l’Italia si dichiara disposta a esaminare la possibilità di un concorso attivo per far rispettare la decisione della conferenza di Londra su Scutari. La partecipazione italiana viene però subordinata ad alcune condizioni, fra le quali le più importanti sono l’esclusione di un attacco sul territorio montenegrino e la considerazione dei non meno gravi problemi dei confini meridionali e degli intrighi di Essad Pascià, che ambisce a diventare re d’Albania 496 . In questo modo si chiarisce da parte italiana la volontà di agire nel sud del Paese e di differenziare la propria azione da quella austroungarica. Ciò eviterebbe l’intervento contro il Montenegro e la cooperazione diretta con l’Austria, così poco popolari nel Paese, ma soprattutto diminuirebbe i rischi di trovarsi coinvolti in una guerra europea nel caso la Russia intervenisse a difesa di re Nicola. D’altro lato la spedizione nell’Albania meridionale si rende necessaria, sempre e solo in caso di azione austriaca, per impedire che la duplice monarchia ne possa approfittare per acquisire vantaggi di qualche tipo, poiché se ciò accadesse, l’Italia potrebbe in tal modo prendersi un compenso estendendo la sua influenza su quelle regioni oppure occupandole direttamente. La posizione italiana è quindi come altre volte molto ambigua, e a seconda del punto da dove la si osserverebbe, ma soprattutto della piega che potrebbero prendere gli eventi, l’eventuale spedizione potrebbe apparire come un’effettiva cooperazione con l’alleata così come un’azione intrapresa contro di essa, ed in sostanza finirebbe per essere entrambe le cose497 . Il 30 aprile viene ufficialmente dato l’ordine all’esercito ed alla marina di iniziare una mobilitazione segreta, mentre si cerca sempre di convincere l’Austria a 496 Cfr. Mazzetti, op. cit.; curiosamente Essad Pascià sarà considerato nei mesi seguenti, con la nascita dello Stato albanese, uno dei notabili più vicini all’Italia (cfr. Bosworth, La politica estera op. cit.). 497 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit.; Mazzetti, op. cit. desistere, anche per mezzo del governo tedesco. Nello stesso tempo si portano avanti difficili trattative con gli alleati per tutelare gli interessi del Paese nel caso che la duplice monarchia agisca in Albania; entrambi si oppongono però risolutamente alla tesi italiana che ritiene valido l’articolo VII della Triplice, e non riconoscono il diritto ad un compenso in questa situazione. L’accordo per un’azione comune delle due potenze adriatiche, che anche la Germania vedrebbe con piacere, non è ancora stato trovato, poiché l’Italia resta intenzionata ad agire nel sud dell’Albania contro Essad Pascià, in quella che diventerebbe una missione per il ristabilimento dell’ordine generale nel Paese, mentre Berchtold vorrebbe l’intervento italiano a supporto austriaco nel nord, e propone uno sbarco a San Giovanni di Medua. San Giuliano arriva così ad affermare che se l’Austria si muoverà, l’Italia farà lo stesso nel sud dell’Albania, con il consenso dell’alleata o contro di essa 498 . Questa dichiarazione conferma la duplicità e l’ambiguità del comportamento italiano nella crisi di Scutari e, più in generale, nei rapporti con l’Austria. Intanto, mentre l’opinione pubblica italiana viene adeguatamente preparata all’impresa, continuano i preparativi militari in entrambi i Paesi. Come spesso accade i vertici militari restano ignari degli sviluppi diplomatici, e mentre le trattative fra Italia ed Austria non hanno finora portato ad alcun accordo concreto, gli stati maggiori dei due Paesi stanno prendendo contatto per concordare un piano d’azione comune in Albania, ed arrivano a sottoscrivere una convenzione per questa eventualità. Mentre la duplice monarchia sta procedendo a quella che è in pratica una vera e propria forma di mobilitazione alla frontiera bosniaca, l’ignoranza degli aspetti politici della crisi da parte dei militari italiani è confermata dal fatto che la flotta italiana viene radunata al largo della Sicilia, come se dovesse prevenire l’arrivo di navi nemiche da ovest, il che 498 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit.; Mazzetti, op. cit. significa premunirsi contro un eventuale intervento francese in soccorso della Russia 499 . Marina ed esercito si comportano quindi come se fra Italia ed Austria sia stato già raggiunto un accordo per una effettiva cooperazione contro il Montenegro, che invece non è ancora stato concluso e difficilmente potrebbe avvenire in questi termini, dato che l’Italia si rifiuta di agire direttamente contro il piccolo regno slavo, soprattutto per evitare di trovarsi coinvolta in una guerra contro la Russia. Infatti se la Serbia dovesse intervenire in soccorso dello Stato fratello, al quale è legata da un trattato di alleanza, l’intervento russo sarebbe a questo punto difficilmente evitabile. Se l’Austria si decidesse infine ad agire l’Italia quasi sicuramente si muoverebbe nel sud dell’Albania, anche se il governo di Roma continua a sperare, e probabilmente anche a credere, in una risoluzione diplomatica della crisi500 . Fino al momento della definitiva resa di re Nicola è certo che Italia ed Austria non sono giunte ad alcun accordo formale per la spedizione albanese, nonostante negli stessi giorni le discussioni fra i rispettivi stati maggiori siano arrivate a buon punto. Il 4 maggio, infatti, poche ore prima della notizia della resa, Avarna riferisce ancora da Vienna di aver saputo in via confidenziale che Berchtold non sarebbe in linea di massima contrario alla missione italiana nell’Albania meridionale, con l’Austria che agirebbe nel nord, a patto ovviamente che Roma dia la garanzia che le zone eventualmente occupate sarebbero sgombrate in breve tempo 501 . Quest’ultima esigenza vale ovviamente anche per l’Italia riguardo ai territori dove opererebbe l’Austria, e il reciproco sospetto su questo punto, il timore che una delle due potenze possa trarre qualche vantaggio dall’impresa, contribuisce forse alla mancata azione di forza ed alla soluzione pacifica della crisi, come lo stesso San Giuliano vanterà qualche 499 Cfr. Mazzetti, op. cit.; Bosworth, La politica estera op. cit. Cfr. Mazzetti, op. cit.; Bosworth, La politica estera op. cit.; Helmreich, op. cit. 501 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, tel. di gabinetto 189, 4 maggio 1913, Avarna a San Giuliano. 500 giorno dopo 502 . Anche il governo tedesco, nei giorni precedenti, si è dimostrato favorevole alla spedizione italiana nel sud dell’Albania, interpretandola non come una reazione nei confronti dell’alleata o come un intervento parallelo, ma come una forma di cooperazione con essa, e precisando che tale sarebbe dovuta sembrare agli occhi dell’Europa503 . Infine, la sera del 4 maggio, re Nicola rivela al rappresentante inglese a Cettigne di aver deciso di cedere Scutari alle grandi potenze, mentre nei giorni seguenti si diffondono voci, come già era successo con lo scoppio delle ostilità, che la casa regnante montenegrina abbia messo a segno un grosso colpo di borsa sfruttando i timori di guerra generale. Il 14 maggio finalmente le truppe internazionali sbarcano a terra e prendono possesso della città 504 . Termina così, con gran sollievo dell’Italia ma anche delle altre potenze, quello che è stato sicuramente il periodo di maggior tensione dall’inizio del conflitto balcanico, nonché il pericolo più grave corso dalla pace europea in questi mesi. Intanto il 31 marzo ha inizio la conferenza degli ambasciatori di San Pietroburgo sul dissidio bulgaro-rumeno. Qualche giorno prima San Giuliano ha telegrafato le istruzioni generali a Carlotti, da poco trasferito nella capitale russa, illustrando la posizione italiana sulla questione: «Da un lato è nostro interesse mantenere buoni e cordiali rapporti colla Russia e dall’altro lato è nostro interesse ancora più vitale mantenere la reciproca fiducia, concordia ed intimità coi nostri alleati. Noi non abbiamo interesse diretto a che Silistria sia piuttosto bulgara che rumena ma dobbiamo sostenere che sia data alla Rumania a cagione degli impegni nostri con la Rumania e dell’importanza che ha questo successo per impedire che la Rumania orienti la sua politica verso la Triplice Intesa, ma soprattutto poi perché se la Rumania non avrà Silistria avverrà probabilmente 502 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 253. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, tel. di gabinetto 176, 1 maggio 1913, Bollati a San Giuliano. 504 Cfr. Helmreich, op. cit., pag. 324. 503 una guerra tra essa e la Bulgaria che potrebbe avere le più pericolose ripercussioni»505 . Le esige nze italiane, spiegate in questo passo da San Giuliano, sono le stesse che hanno determinato l’azione della Consulta fin dall’inizio della crisi balcanica. Prima di tutto è necessario mantenere la pace fra le grandi potenze e cercare di evitare qualsiasi sviluppo che possa mettere in pericolo l’esistenza del concerto europeo. In secondo luogo bisogna cercare di mantenere saldi i rapporti con Austria e Germania, ed in questo caso anche con l’alleata minore, la Romania, con la quale fra l’altro sta per essere rinnovato proprio in questo periodo il trattato d’alleanza 506 . Con questo non va però dimenticato che l’Italia oltre che delle alleate ha anche delle amiche, e pertanto si deve fare in modo di evitare scontri con la Russia, con la quale sarebbe bene mantene re relazioni cordiali. Proprio questa considerazione, come si è detto 507 , pesa nella decisione della Consulta di appoggiare la richiesta della Ballplatz di assegnare Salonicco alla Bulgaria come compenso per la perdita di Silistria. In realtà altri motivi concorrono in maniera forse ancor più determinante nella scelta di favorire Sofia nella questione del porto macedone. Salonicco è aspramente contesa fra Grecia e Bulgaria, i cui rapporti sono gravemente peggiorati proprio in relazione al destino di questa città, la quale, come il resto della Macedonia, è abitata da un mosaico di etnie, fra cui quella ebraica presente in numero consistente 508 . Fra le varie ipotesi si parla anche in questi mesi di internazionalizzare e neutralizzare la città facendone un porto franco, soluzione caldeggiata fra l’altro in un primo tempo anche dall’Austria, che avrebbe così potuto più facilmente estendere la sua 505 ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 1781, 26 marzo 1913, San Giuliano a Carlotti. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, tel. di gabinetto 144, 22 aprile 1913, Avarna a San Giuliano, dove l’ambasciatore comunica di aver scambiato con Berchtold, il giorno precedente, le ratifiche dell’adesione italiana al trattato austro-rumeno. 507 Vedi pag. 145. 508 I numerosi commercianti ebraici della città sostengono vivamente, al pari della popolazione musulmana, l’internazionalizzazione di Salonicco o la sua autonomia con un piccolo hinterland (cfr. M. Dogo, Salonicco e gli Ebrei, 1912-13. Un porto franco o una patria?, in Dogo, Storie balcaniche op. cit., pp. 83-94). 506 influenza economica sulla regione 509 . Mentre il console italiano di Salonicco ripete nei suoi rapporti la convinzione che per gli interessi commerciali italiani sia meglio che la città finisca alla Grecia 510 , San Giuliano è di parere opposto. Forse il ministro italiano teme un eccessivo ingrandimento della Grecia, contro cui l’Italia si sta schierando anche nelle questioni dei confini meridionali albanesi e delle isole egee, e sospetta che dietro Atene vi sia la Francia, massima rivale mediterranea dell’Italia. Inoltre la Consulta condivide probabilmente l’idea di Berchtold di cercare di guadagnare la fiducia bulgara e di avvicina re così Sofia al blocco della Triplice 511 ; per fare ciò è necessario trovare un compenso per quel Paese fra i territori già conquistati, dal momento che, ricorda San Giuliano nel citato telegramma a Carlotti, «non possiamo sostenere un ingrandimento della Bulgaria che danneggi la Turchia perché abbiamo interesse a coltivare l’amicizia della Turchia tanto a cagione della Cirenaica quanto per avere amico quel governo nella nostra attività economica in Asia Minore in relazione anche all’equilibrio del Mediterraneo»512 . Pertanto l’Italia decide di proporre al tavolo della conferenza l’abbinamento delle questioni di Silistria e Salonicco, con San Giuliano che a proposito di quest’ultima città afferma: «A noi converrebbe che Salonicco fosse piuttosto bulgaro che greco per ragioni commerciali e politiche, ma io credo che resterà greco. La peggior soluzione[…]sarebbe per noi che venisse internazionalizzata, perché vi predominerebbe forse l’Austria»513 . Fin dalla prima seduta i rappresentanti dei Paesi della Triplice Alleanza sostengono il diritto rumeno a ricevere Silistria come compenso per la 509 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 7444, 3 dicembre 1912, Avarna a San Giuliano, dove l’amb asciatore italiano riferisce che Berchtold gli ha detto di essere, riguardo a Salonicco, a favore del porto franco e neutralizzato, e di volere, in tal caso, la partecipazione austriaca all’amministrazione del porto. 510 Cfr. Dogo, Salonicco e gli Ebrei op. cit., pag. 86; ASMAE, serie politica, b. 740, rap. 870/213, 24 maggio 1913, Macchioro Vivalba a San Giuliano. 511 Cfr. Helmreich, op. cit.; Albertini, Le origini della guerra op. cit. 512 ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 1781 cit. 513 ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 1781 cit. neutralità osservata durante la guerra, dalla quale era stato detto che non sarebbero scaturiti mutamenti territoriali. Gli ambasciatori russo e francese si oppongono alla cessione di quella città da parte della Bulgaria, avanzando argomenti contro il diritto rumeno a ottenere compensi, mentre Sazonov, come Grey alla conferenza di Londra, cerca in parte di mediare fra i differenti punti di vista. Già in questa giornata Carlotti e Thurn, rappresentante austriaco, propongono l’assegnazione di Salonicco alla Bulgaria, alla quale si oppone la Triplice Intesa sostenendo che la spartizione dei territori persi dalla Turchia spetta esclusivamente agli Stati della Quadruplice, mentre Sazonov afferma che la Bulgaria potrebbe essere compensata altrove, magari strappando ancora qualcosa all’Impero ottomano 514 . In questa battaglia diplomatica per l’abbinamento delle questioni di Silistria e Salonicco Italia ed Austria sono scarsamente appoggiate dalla Germania, che è contraria a questa soluzione. In realtà era stato proprio Kiderlen a suggerire a Vienna di appoggiare l’annessione del porto macedone da parte della Bulgaria per favorire il raggiungimento di un accordo fra Bucarest e Sofia a proposito della Dobrugia 515 . Dopo la scomparsa del segretario di Stato tedesco però, nella politica estera della Germania è aumentato il peso del cancelliere e del kaiser Guglielmo ed è mutata completamente l’attitudine di Berlino verso il progetto austriaco di avvicinare alla Triplice Alleanza la Bulgaria. Il kaiser non vede di buon occhio re Ferdinando, il sovrano bulgaro, e teme che un atteggiamento eccessivamente amichevole verso Sofia finisca per compromettere i rapporti con la Romania, la cui alleanza è ritenuta fondamentale. Inoltre Guglielmo nella questione di Salonicco vorrebbe favorire le pretese della Grecia, dove suo cognato Costantino è appena asceso al trono. La politica tedesca, a partire dal 1913, aspira a legare al blocco di alleanze germanico la Grecia, 514 515 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 304-05. Cfr. Helmreich, op. cit., pag. 263. che, con la Romania e addirittura la Serbia, irriducibile nemica dell’Austria, costituirebbero, secondo il kaiser, la miglior combinazione possibile di alleate della Triplice. Tale progetto, oltre a dimostrare la scarsa comprensione dei problemi e degli interessi austriaci da parte di Berlino, ha pochissime probabilità di riuscita ed infatti non porterà a nulla di concreto nei mesi seguenti, tant’è che durante la Prima Guerra Mondiale tutti questi Paesi si schiereranno prima o dopo con l’Intesa 516 . Alla seconda seduta della conferenza, il 4 aprile, gli ambasciatori della Triplice Alleanza insistono sulla acquisizione di Silistria da parte della Romania ed i loro colleghi, com’era prevedibile, finiscono per cedere, alla condizione che gli abitanti bulgari della città che desiderano trasferirsi siano ricompensati, e precisando che la Bulgaria non può andare oltre nelle concessioni. Il governo rumeno non è però ancora soddisfatto, e ritiene di scarso valore le altre piccole rettificazioni di frontiera che Sofia è disposta a concedere in Dobrugia. I rappresentanti della Triplice Alleanza cercano allora nelle riunioni seguenti di ottenere per la Romania l’estensione verso sud del confine nei pressi della costa del mar Nero, giustificando la richiesta con la necessità di proteggere il porto di Mangalia da possibili minacce bulgare517 . La Russia, temendo l’eventualità che la Romania possa dotarsi in quella località di un porto militare, si oppone a questa proposta, e gli ambasciatori della Triplice Intesa restano fermi nell’escludere altri sacrifici da parte bulgara dopo quello, ritenuto già grave, della perdita di Silistria. A nulla valgono i nuovi tentativi di Carlotti e Thurn di favorire la Bulgaria nella questione di Salonicco come compenso per le cessioni alla Romania, e non incontra molto successo nemmeno la proposta di assegnare ai bulgari le isole di Samotracia e Taso, situate in prossimità della Tracia. Sazonov controbatte suggerendo invece, a favore della 516 Cfr. Helmreich, op. cit.; Albertini, Le origini della guerra op. cit. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 740, rap. 400/86, 5 aprile 1913, Carlotti a San Giuliano; Helmreich, op. cit., pp. 304-07. 517 Bulgaria, un’interpretazione lata della linea di frontiera con la Turchia fra Enos e Midia, limite stabilito dalle grandi potenze nel loro progetto di mediazione fra i belligeranti518 . Vista l’opposizione categorica degli ambasciatori dell’Intesa a ulteriori compensi alla Romania, che deve, a parer loro, ritenersi già ampiamente soddisfatta e rassicurata dalle concessioni e dalle misure promesse dalla Bulgaria, la conferenza non prende altre decisioni degne d’importanza. Il 17 aprile viene trovato un accordo su quattro punti formulati dalla Triplice Intesa che prevedono la cessione di Silistria con un raggio di tre chilometri, il diritto a compensi per gli abitanti slavi della città che intendono trasferirsi, il divieto per la Bulgaria di erigere fortificazioni lungo il confine, ed infine il rispetto dei diritti delle popolazioni cutsovalacche nei territori che passeranno sotto la sovranità bulgara. La firma del protocollo finale della conferenza avviene però solamente l’8 maggio, mentre tutte le potenze si stanno già impegnando per ottenere l’accettazione dell’accordo da parte di Sofia e Bucarest 519 . Invece sorgono nelle settimane seguenti nuove complicazioni e i rapporti fra i due Paesi restano molto tesi, nonostante i ripetuti tentativi della Ballplatz di favorire un accordo fra i due Stati per formare quel blocco antiserbo che aiuterebbe i piani austriaci. L’Austria, senza l’appoggio della Germania, che come si è detto non nutre fiducia nella Bulgaria, cerca di ottenere almeno la neutralità rumena in caso di guerra fra gli alleati per la spartizione del bottino, eventua lità sempre meno improbabile con il passar del tempo. Ora che Silistria è stata concessa il governo rumeno chiede però altre tangibili prove dell’amicizia bulgara, prima che si possano intavolare trattative per un eventuale accordo. La Bulgaria da parte sua non intende fare altre concessioni, e spera fino all’ultimo di risolvere le divergenze con Grecia e Serbia senza dover fare altri sacrifici per premunirsi dalla Romania. La 518 519 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 740, rap. 455/99, 12 aprile 1913, Carlotti a San Giuliano. Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 304-07. situazione non muterà dopo la firma della pace di Londra fra la Quadruplice e la Turchia, e subito dopo lo scoppio del secondo conflitto balcanico Bucarest incomincerà la mobilitazione e attaccherà pochi giorni dopo la Bulgaria da nord 520 . Italia ed Austria continuano intanto ad adoperarsi per la formazione dello Stato d’Albania, controllandosi a vicenda ma senza rinunciare a tutti i mezzi possibili per affermare la propria influenza nel Paese. Più di una volta, anche durante la crisi di Scutari, San Giuliano continua a rivolgersi a Giolitti motivando le richieste di denaro per l’Albania con l’esigenza di non perdere terreno nei confronti dell’alleata rivale, la quale può disporre al di là dell’Adriatico di una «clientela fedele e fanatica»521 , creata non soltanto sfruttando il protettorato sui cattolici, ma anche col ricorso ad abbondanti elargizioni di denaro. Ai primi di aprile parte dalla Consulta una richiesta di 250.000 lire che servirebbero a contrastare l’influenza austriaca in Albania, con San Giuliano che illustra così la situazione al presidente del consiglio: «Senza seguire il go verno austriaco su questa via e pur intendendo di basare la nostra politica albanese su vantaggi economici e civili d’ordine generale credo non si possa prescindere in questo momento da un giusto accaparramento delle personalità albanesi delle quali dovremo valerci per attuare il nostro programma politico»522 . Il ministro italiano aggiunge che Ismail Kemal ha fatto sapere che 20.000 lire sarebbero sufficienti per mantenere la sua buona disposizione verso l’Italia, e qualche giorno dopo la somma richiesta viene messa a disposizione della Consulta 523 . Intanto le due potenze adriatiche continuano a lavorare al progetto di organizzazione dello Stato albanese, e finalmente l’8 maggio gli ambasciatori dei due Paesi presentano il disegno provvisorio alla conferenza di Londra. 520 Cfr. Helmreich, op. cit.; Albertini, Le origini della guerra op. cit. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 260. 522 Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit., pag. 426; cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 260. 523 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pp. 260-61. 521 Il programma austro-italiano prevede fra l’altro l’istituzione di una gendarmeria guidata da ufficiali di uno Stato minore d’Europa, la formazione di una commissione internazionale che studi un sistema giudiziario per il Paese, e la nomina di un sovrano scelto da Italia ed Austria e approvato dalle altre potenze. Questo progetto viene però discusso a Londra soltanto il 20 maggio, dopo che i vari governi hanno avuto modo di studiarlo. Il rappresentate francese critica severamente il disegno italo-austriaco e muove ad esso parecchie obiezioni, manifestando in realtà l’intenzione di limitare l’influenza esclusiva di quei due Paesi sulla regione. Tale è anche l’impressione di Berchtold e San Giuliano, che pensano che la Francia cerchi solo di ritardare l’andamento dei fatti sollevando problemi di scarsa importanza. Le discussioni sull’organizzazione del futuro Stato continueranno così ancora per diverse settimane in seno alla conferenza degli ambasciatori, ed il progetto che sarà infine approvato differirà non poco da quello originario 524 . Questione di Scutari a parte, dove la determinazione austriaca è arrivata quasi ad una soluzione estrema, le due potenze adriatiche continuano anche ad osservare le mosse di Serbia e Grecia e a difendere l’integrità albanese dalle loro pretese, non ancora del tutto svanite525 . Risolto il problema dei limiti settentrionali dell’Albania, resta ancora da stabilire la delimitazione della frontiera con la Grecia, con l’Italia che, come si è visto 526 , è in questo caso non meno interessata dell’Austria ad assicurare ampi confini al nuovo Stato. Questo argomento viene comunque trattato raramente nelle sedute ufficiali della conferenza in questi mesi, anche se i gabinetti europei continuano a scambiarsi opinioni al riguardo 524 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 332-33. A titolo di esempio, cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, rap. 351/166, 21 febbraio 1913, la legazione di Atene a San Giuliano, in cui si riportano articoli dei giornali greci che parlano di Saseno come di un’isola storicamente ionia; 20 aprile 1913, nota del Ministero della Marina, in cui si informa dell’avvenuta partenza da Durazzo delle truppe serbe, che hanno lasciato l’incarico di mantenere l’ordine pubblico nella città a bey e notabili assoldati dall’Austria. Si segnalano inoltre disordini con uccisioni e maltrattamenti ai danni della minoranza ortodossa. 526 Vedi pp. 135-36. 525 mentre a Londra gli ambasciatori ne parlano in conversazioni private. Avendo la Ballplatz condotto le discussioni a proposito delle frontiere con Serbia e Montenegro, è ora la Consulta a guidare la Triplice Alleanza su tale questione, anche se all’interno di essa appaiono delle divergenze. La Germania, infatti, perseguendo sempre l’obiettivo di conquistare l’amicizia greca, è disposta a fare molte concessioni alle aspirazioni elleniche e sostiene pertanto che la linea di confine passi a nord del canale di Corfù, cosa che l’Italia, su esortazione dei suoi stati maggiori, non è assolutamente intenzionata a permettere 527 . San Giuliano riassume così una sua conversazione con l’ambasciatore tedesco a Roma, che continua a sostenere che la frontiera incominci a capo Kephali: «a me pare che[…]sarebbe eccessivo andare sino al capo Kefali, convenendo che una parte almeno dello stretto di Corfù sia internazionale. Dal punto di vista militare la questione interessa ugualmente l’Austria e l’Italia anzi forse ancor più l’Austria, che non ha altro mare che l’Adriatico, ma in Italia è molto diffusa l’opinione che interessi più l’Italia, a cagione della vicinanza, e perciò l’attitudine della Germania meno ferma e più transigente in questa questione che in quella di Scutari può produrre nell’opinione pubblica italiana l’impressione che alla Germania stiano troppo più a cuore gli interessi dell’Austria che quelli dell’Italia[…]Gli ho poi fatto osservare che, qualunque sia la linea di confine sul litorale, è necessario escogitare clausole efficaci per rendere impossibile la formazione di una base navale militare»528 . All’ambasciatore tedesco che insiste sulla necessità di mantenere buoni rapporti con la Grecia in quanto elemento di equilibrio contro il panslavismo, San Giuliano risponde di ritenere difficile che Atene si stacchi dall’Intesa e soprattutto dalla Francia, e aggiunge di non nutrire molta fiducia in re Costantino, le cui qualità, a suo parere, sono decisamente inferiori di 527 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 334-35; Bosworth, La politica estera op. cit. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 2213, 13 aprile 1913, San Giuliano agli ambasciatori presso le grandi potenze e a De Bosdari. 528 quelle dei sovrani bulgaro e rumeno 529 . L’Italia, come si vede, è sempre diffidente dell’influenza francese sulla Grecia, e appoggia l’idea austriaca di favorire relazioni cordiali con la Bulgaria e di facilitare un accordo di quest’ultima con la Romania, come i rappresentanti italiano ed austriaco stanno cercando di fare alla conferenza di San Pietroburgo. Una nuova indagine del ministro italiano presso i vertici militari del Paese conferma l’opinione di questi ultimi che si debba assolutamente escludere una soluzione che, anche con la neutralizzazione, dia alla Grecia tutta la costa continentale dello stretto di Corfù. Pertanto viene ribadita la inammissibilità della linea di frontiera che partirebbe da capo Kephali, come proposto da Berlino 530 . Vista l’opposizione dell’Intesa, che, guidata dalla Francia, prende le difese della Grecia in questa questione, e considerato anche il parere tedesco, l’Italia arriva a fare la concessione massima di accordare come punto di confine capo Stylos, situato all’incirca a metà del canale di Corfù. Pertanto viene abbandonata l’idea originaria di stabilire la frontiera all’altezza del Kalamas, definito un punto fermo nel telegramma di San Giuliano ad Imperiali del 12 marzo 531 . La Ballplatz si dimostra più restia della Consulta a cedere su questo punto 532 ed anche più intransigente dell’alleata ne lla definizione dei confini grecoalbanesi nell’entroterra. Infatti l’Austria è inizialmente intenzionata ad includere anche Janina, “capitale” dell’Epiro secondo i greci, nello Stato albanese, mentre l’Italia pensa che la città possa essere lasciata alla Grecia e San Giuliano si esprime in questo senso con Berlino fin da marzo 533 . Anche per quanto riguarda la frontiera orientale la Consulta è disposta ad accogliere le richieste elleniche più moderate e a permettere, a differenza 529 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 2213 cit. Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 2233, 13 aprile 1913, San Giuliano agli ambasciatori presso le grandi potenze. 531 Vedi pp. 135-36. 532 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 28, tel. 2213 cit.; tel. 2233 cit.; Bosworth, La politica estera op. cit., pp. 344-48. 533 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 345 nota 58. 530 dell’Austria che vuole compiacere così la Romania 534 , l’esclusione dall’Albania dei territori dei valacchi del Pindo, che in un primo tempo si volevano annettere assolutamente al costituendo Stato 535 . L’Italia, dove non sono coinvolti i suoi interessi, vale a dire nelle questioni che non toccano l’equilibrio adriatico, è quindi disposta ad andare oltre la sua diffidenza verso la Grecia, e pertanto l’idea, diffusa ad Atene ma anche nelle altre capitali europee, che il governo italiano sia il maggior responsabile dell’opposizione della Triplice Alleanza alle aspirazioni elleniche nel sud dell’Albania, non è del tutto veritiera, dal momento che l’Austria su certi punti assume, come si è visto, atteggiamenti ancora più intransigenti. Nelle sedute della conferenza degli ambasciatori Mensdorff ed Imperiali agiscono comunque di comune accordo, motivando la loro posizione, oltre che con la esigenza di preservare la sicurezza dell’Adriatico, con la considerazione che proprio nei territori contesi risiede la popolazione schipetara più evoluta dal punto di vista economico e civile. Di conseguenza la sua eventuale esclusione dai confini albanesi danneggerebbe non poco il futuro Stato e diminuirebbe le possibilità già precarie che quest’ultimo riesca a reggersi autonomamente 536 . Italia ed Austria finiscono infine per proporre a Londra una linea di confine che partendo da capo Stylos si diriga verso nord-est, includendo nell’Albania la città di Koritza, con Imperiali che definisce questi due punti «the pillars of Hercules»537 . Cambon, rappresentante francese, guida l’Intesa nell’opposizione a questa proposta, sostenendo in particolare che Koritza debba andare alla Grecia per rispetto del principio di nazionalità. Le discussioni proseguiranno ancora nei mesi seguenti, con la Francia che continuerà a prendere le parti di Atene, mentre la questione si intreccerà 534 Vedi pag. 99. Vedi pp. 135-36; cfr. Helmreich, op. cit., pag. 335. 536 Cfr. Crampton, The decline of the concert op. cit., pag. 399. 537 Helmreich, op. cit., pag. 335. 535 strettamente con quella delle isole egee, e si deciderà infine l’istituzione di una commissione internazionale per lo studio del confine, che in ogni caso dovrà comprendere nello Stato albanese Stylos e Koritza, come sostenuto da Roma e Vienna 538 . Anche la destinazione delle isole egee, un altro dei punti principali del programma della conferenza fin dalla sua convocazione, viene raramente toccata nelle sedute ufficiali della riunione degli ambasciatori e sarà trattata maggiormente nei mesi seguenti, mentre intanto le grandi potenze ne parlano tra loro attraverso i consueti canali diplomatici539 . La Triplice Intesa, come si è visto, vorrebbe l’assegnazione di tutte le isole alla Grecia senza esclusioni, mentre il blocco rivale, guidato in un primo tempo dall’Italia, sostiene la necessità di conservarne qualcuna alla Turchia per motivi strategici e per salvaguardare la sicurezza delle coste dell’Impero ottomano 540 . Ora è invece la Germania a condurre l’opposizione alle pretese elleniche, appoggiate ancora una volta dalla Francia, con il governo tedesco che viene meno, in questo caso, al progetto di cercare di avvicinare la Grecia alla Triplice Alleanza. Berlino propone infatti che le isole di Imbros e Tenedos, le più vicine ai Dardanelli, restino alla Turchia per non mettere in pericolo la sicurezza degli stretti. La Germania assume questa posizione poiché su questo punto dà maggiore importanza ai suoi vasti interessi nell’Impero ottomano che alla ricerca di cordiali relazioni con Atene 541 . La situazione è complicata dall’occupazione italiana dell’arcipelago del Dodecaneso, che Gran Bretagna e Francia vedono con sempre maggior preoccupazione per il suo perdurare e perché costituisce un’alterazione dell’equilibrio del Mediterraneo orientale, a tutto vantaggio della Triplice 538 Cfr. Helmreich, op. cit. Cfr. Helmreich, op. cit. 540 Vedi pp. 125-27. 541 Cfr. Helmreich, op. cit. 539 Alleanza. La Grecia reclama per sé queste isole, mentre in tutte le capitali europee si considera cosa ovvia l’abbinamento della questione con quella dei confini albanesi, in modo che una soluzione possa essere trovata più facilmente con compensazioni in un campo che seguirebbero concessioni fatte nell’altro. L’Italia, però, mentre si mantiene ferma, appoggiata dall’Austria, nella questione della delimitazione dell’Albania, continua ugualmente a sostenere che per quanto riguarda il Dodecaneso è legata da precisi impegni con l’Impero ottomano, stabiliti nel trattato di Losanna. Se si decidesse ora di cedere le isole alla Grecia la Turchia verrebbe anch’essa meno alle altre clausole del trattato, creando magari dei problemi alla sovranità italiana in Libia. Il governo italiano, pur continuando ad assicurare di non aver alcuna intenzione di dar vita ad un’occupazione definitiva, dichiara che renderà le isole alla Porta quando le truppe turche avranno abbandonato del tutto la Cirenaica, e al riguardo non muterà posizione nemmeno nei mesi seguenti, quando questo problema verrà trattato più approfonditamente dalla conferenza di Londra 542 . L’Italia così, oltre a resistere alle richieste greche, come era facilmente prevedibile vista la differenza di status fra i due Paesi, si oppone anche con risolutezza a Francia e Inghilterra, dando prova di quell’attivismo diplomatico che contraddistingue, a partire dall’impresa libica, la politica estera della più piccola delle grandi potenze, per dirla con Bosworth543 . L’occupazione “temporanea” del Dodecaneso si trasformerà infatti, come spesso succede in queste circostanze, in un’annessione definitiva e la Grecia entrerà in possesso dell’arcipelago soltanto al termine della Seconda Guerra Mondiale. Inevitabilmente la questione delle isole egee e quella dei confini meridionali dell’Albania determinano il progressivo peggioramento dei rapporti italo-greci, iniziato 542 543 Cfr. Helmreich, op. cit.; Bosworth, La politica estera op. cit. Cfr. Bosworth, op. cit. ai tempi della firma della pace di Losanna. Il governo greco, soprattutto per voce del ministro degli Esteri, tiene spesso un atteggiamento ostile, quando non aggressivo, con il rappresentante italiano ad Atene, e Venizelos deve spesso intervenire per smorzare i toni usati dal suo collega. L’Italia, del resto, fa valere il suo status di grande potenza, e San Giuliano arriva a minacciare di guerra la Grecia se questa non cederà nella questione del canale di Corfù 544 . Atene insiste che la popolazione di molti territori che si vorrebbe assegnare all’Albania è di religione ortodossa e di etnia greca. Dall’Epiro provengono molti patrioti distintisi nelle lotte d’indipendenza del Paese, ed inoltre questa zona è naturalmente legata alle città di Janina e Salonicco assai più che non a Valona e Durazzo 545 . La stampa ellenica è scatenata contro l’Italia, ritenuta la responsabile principale dell’opposizione alle giuste pretese elleniche, e le camere di commercio greche progettano un boicottaggio delle merci italiane, evitato per intervento di Venizelos ma esercitato poi in realtà in maniera latente546 . I giornali italiani, da parte loro, trattano la Grecia con altezzosità in quanto piccola potenza che cerca con impertinenza di intromettersi nelle decisioni che spettano al concerto europeo, mentre dirigono le loro accuse contro la Francia, che vuole servirsi della Grecia per contrastare la posizione dell’Italia nel Mediterraneo, e si sviluppa così una lunga e insistente polemica tra i giornali francesi e quelli italiani 547 . I diplomatici italiani segnalano spesso nei loro dispacci alla Consulta l’atmosfera ostile all’Italia che si respira in Grecia: De 544 Cfr. De Bosdari, op. cit., pp. 74-78. Cfr. Crampton, The decline of the concert op. cit., pp. 399-400; curiosamente negli ambienti italoalbanesi del sud Italia l’argomentazione che molti protagonisti del risorgimento greco erano epiroti è ribaltata contro le pretese della Grecia, accusata di peccare di ingratitudine verso il popolo albanese che ha prestato in passato il suo aiuto decisivo alla causa nazionale greca (cfr. C. Serembe, Contro il panellenismo, in La rivista dei Balcani, 15 settembre 1912, pp. 7-9). 546 Cfr. De Bosdari, op. cit., pp. 75-76. 547 A titolo di esempio, cfr. L’inaccettabile progetto greco per l’Albania, in La Stampa, 4 aprile 1913, pag. 1; C., Le mire di Francia nella questione adriatica, in La Stampa, 11 aprile 1913, pag. 2; T. (A. Torre), Il canale di Corfù e il suo valore rispetto all’Italia, in Corriere della sera, 18 maggio 1913, pag. 1; Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit. 545 Bosdari, preoccupato di ciò, parla di «escandescenze della stampa», e teme che le questioni delle isole e dell’Epiro possano comportare un lungo periodo di inimicizia tra i due Paesi548 . Il console di Janina scrive dell’idea diffusissima fra i greci che l’Italia sola si opponga alle aspirazioni greche nell’Epiro per perseguire una politica albanofila; esprime poi il parere che sarebbe forse il caso di fare in modo che una parte della stampa europea polemizzi con quella greca per porre fine o almeno per limitare questa convinzione 549 . Sempre da Janina si informa il 19 maggio della presenza in quei luoghi di un corrispondente del giornale francese Temps, noto per i suoi attacchi all’Italia, che girando per i villaggi dell’Epiro viene accolto da manifestazioni ellenofile adeguatamente preparate per convincerlo che la zona è indubbiamente greca 550 . La posizione della Consulta su tali questioni ha ripercussioni anche sull’immagine dell’Italia negli altri Paesi dell’Intesa, e non solo in Grecia ed in Francia; da San Pietroburgo Carlotti riporta articoli della stampa russa che accusano l'Italia di comportarsi con la Grecia nello stesso modo dell’Austria nei confronti della Serbia 551 . In realtà va detto che il governo italiano è stato con Belgrado molto più moderato di quello austriaco, mentre la Ballplatz è non meno intransigente dell’alleata riguardo i confini dell’Albania meridionale, ma verso l’Italia si aggiunge da parte greca e da parte dell’Intesa il risentimento per la questione del Dodecaneso. Intanto i rapporti fra Serbia e Grecia da una parte e Bulgaria dall’altra restano sempre pessimi, e per il momento non si trova una soluzione che metta d’accordo questi Paesi sulla divisione delle spoglie della Turchia europea 552 . Nei territori macedoni occupati si 548 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, rap. 145, 2 aprile 1913, De Bosdari a San Giuliano; De Bosdari, op. cit. 549 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, rap. 182, 11 aprile 1913, Labia a San Giuliano. 550 Cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 61, rap. 259, 19 maggio 1913, Labia a San Giuliano. 551 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 740, rap. 684/171, 25 maggio 1913, Carlotti a San Giuliano. 552 Cfr. Helmreich, op. cit. registrano soprusi e angherie non solo nei confronti della popolazione di fede musulmana, ma anche verso quei cristiani di etnia diversa o appartenenti ad un’altra chiesa nazionale rispetto a quella degli occupanti. Ormai da anni, infatti, l’appartenenza ad una comunità religiosa in Macedonia è uno strumento di affermazione nazionale da parte dei Paesi balcanici che hanno poi costituito la Quadruplice, con il patriarcato greco, quello serbo e l’esarcato bulgaro che si contendono i fedeli cristiani in una lotta non sempre pacifica e cortese553 . L’occupazione da parte serba di zone destinate, secondo i patti, alla Bulgaria, provoca fin da subito diversi problemi, nonché il malcontento della popolazione prevalentemente bulgara di questi distretti. Si è già detto dei rapporti del console italiano di Uskub, che accusa l’esercito di re Pietro e alcune bande paramilitari di atrocità nei confronti di musulmani e albanesi in generale 554 . Dal consolato di Monastir giungono ora nuove accuse ai metodi delle autorità di occupazione serbe: queste sono molto dure con la popolazione bulgara, la danneggiano in tutti i modi e spesso ne estorcono dichiarazioni forzate di appartenenza all’etnia serba, mentre continuano a registrarsi intimidazioni e violenze a danno degli albanesi555 . Monastir è uno dei centri più importanti della Macedonia e nel trattato di alleanza è assegnata alla Bulgaria, che non intende assolutamente rinunciare ad essa. Lo stesso dicasi per la vicina città di Ochrida, antica sede dell’esarcato bulgaro prima che questo venisse soppresso dalla Porta nel diciottesimo secolo, ed è risaputo quanto le questioni storico-religiose siano importanti nella “costruzione” delle nazioni balcaniche e quanto spazio occupino nell’immaginario collettivo di questi popoli 556 . La Serbia, invece, privata dello sbocco adriatico che prima della guerra pensava di ottenere, è ora costretta 553 Vedi pp. 13-15. Vedi pp. 83, 88. 555 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 740, rap. 77/29, 17 aprile 1913, il console di Monastir a San Giuliano. 556 Cfr. K. H. Karpat, Gli stati balcanici e il nazionalismo: l’immagine e la realtà, in Quaderni storici, a. XXVIII, n° 3, dicembre 1993, pp. 679-718; Dogo, Storie balcaniche op. cit. 554 a guardare con maggiore interesse in direzione dell’Egeo e punta ad avere una frontiera comune con la Grecia. Dato che per i suoi commerci, se vorrà evitare il “soffocamento” economico da parte dell’Austria, dovrà probabilmente servirsi anche di un porto greco, sarebbe preferibile che nella strada verso il mare non si frapponga anche la Bulgaria. Si è già detto delle mo tivazioni addotte dal governo di Belgrado per giustificare la richiesta di revisione del trattato per quanto riguarda la ripartizione degli acquisti territoriali fra gli alleati557 ; Sofia ha buon gioco nel respingere le argomentazioni serbe, sia per quanto concerne gli accordi militari fra i due Stati sullo spiegamento delle forze contro la Turchia, sia a proposito dei sacrifici imposti alla Serbia dalle grandi potenze che le hanno negato lo sbocco sull’Adriatico. Il governo bulgaro ricorda a quello serbo che anche il proprio Paese sarà costretto a cedere Silistria alla Romania per volere del concerto europeo, ma non per questo intende condividere questo sacrificio con gli alleati. Inoltre, per quanto riguarda l’espansione bulgara in Tracia più estesa del previsto, il trattato di alleanza assegna incondizionatamente alla Bulgaria tutti i territori che verranno strappati alla Turchia ad est del fiume Struma 558 . Non meno tesi restano i rapporti fra Atene e Sofia, con Salonicco come oggetto di contesa principale. Mentre San Giuliano, insieme a Berchtold, cerca di appoggiare la Bulgaria in questa questione, il console di quella città, come si è visto, ritiene più vantaggioso per l’Italia che il porto macedone finisca alla Grecia. Macchioro Vivalba ribadisce queste argomentazioni in un nuovo rapporto inviato a Roma verso la fine di maggio, osservando che se Salonicco finisse ai greci incomincerebbe per essa un periodo di decadenza economica «e quindi il rifiorimento, a tutto nostro vantaggio, dei porti albanesi e segnatamente di quel porto che sarà assegnato alla Serbia come sbocco commerciale sull’Adriatico»559 . Per lo 557 Vedi pag. 141. Cfr. Helmreich, op. cit., pag. 354. 559 ASMAE, serie politica, b. 740, rap. 870/213 cit. 558 stesso motivo, secondo il console, converrebbe che Monastir fosse assegnata alla Bulgaria, che in questo modo si insinuerà come un cuneo fra Grecia e Serbia. Per quest’ultima sarà così più difficile valersi di Salonicco per i suoi commerci, i quali di conseguenza si indirizzeranno verso l’Adriatico. All’Italia pertanto non converrebbe che Serbia e Grecia fossero confinanti ed infatti, ricorda Macchioro Vivalba, «da quando esistono relazioni intime fra i greci e i serbi, l’antico fervore di questi ultimi per la ferrovia Danubio-Adriatico sembra molto intiepidito»560 . Indubbiamente, come afferma il console italiano, i rapporti fra Atene e Belgrado sono in questo periodo molto cordiali, essendo i due Paesi accomunati dai medesimi problemi riguardo alle relazioni con Sofia. Già il 5 maggio, a testimonianza della gravità della situazione, Serbia e Grecia firmano un accordo generale che le impegna a seguire un’identica politica verso la Bulgaria; nemmeno un mese più tardi vengono sottoscritti anche una convenzione militare ed infine un trattato d’alleanza vero e proprio, redatto in termini generali ma chiaramente indirizzato contro la Bulgaria. La risoluzione dei contrasti fra gli alleati resta lontana anche per l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei rispettivi Paesi, eccitata dalle vittorie conseguite contro i turchi e per niente disposta a fare concessioni dopo i grandi sforzi sostenuti o dopo le brillanti prove di valore date in battaglia561 . Nella stessa Bulgaria, ad esempio, si è tornato a parlare ben presto di autonomia per la Macedonia, anziché di spartizione con la Serbia come previsto dai trattati562 . Proprio questa presa di posizione ha ostacolato in passato il raggiungimento di un’alleanza balcanica, in quanto l’autonomia macedone sarebbe stata solo l’anticamera dell’unione definitiva di tutta la regione con la Bulgaria, com’era già successo meno di trent’anni prima con la Rumelia orientale. Bisogna poi anche considerare il peso dei rispettivi 560 ASMAE, serie politica, b. 740, rap. 870/213 cit. Cfr. Helmreich, op. cit. 562 Ad esempio, cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 7533, 6 dicembre 1912, Galanti a San Giuliano. 561 eserciti all’interno degli Stati balcanici, con la maggioranza degli ufficiali schierati su posizioni intransigenti; e infine non va dimenticata l’influenza di società segrete e di movimenti irredentisti, pronti anche a ricorrere ad atti di terrorismo per imporre le proprie vedute nazionaliste a governi e sovrani. Atene e Belgrado prendono anche contatto, in vista di un possibile conflitto, con il governo rumeno, ma questo resterà fino all’ultimo fedele alla politica di vigile attesa seguita fino a questo momento, salvo poi intervenire a guerra già scoppiata. Fra Sofia e Bucarest, infatti, non vengono appianate le divergenze, nonostante l’intervento mediatore del concerto europeo che ha assegnato Silistria alla Romania nella conferenza di San Pietroburgo. Mentre la Russia cerca in questi mesi di mantenere l’alleanza balcanica (e proprio nella mediazione russa la Bulgaria confiderà fino all’ultimo, pensando di risolvere così le questioni pendenti per vie diplomatiche), l’Austria vede ovviamente di buon occhio gli screzi fra gli alleati, sperando che questi rechino danno alla Serbia. Pertanto la Ballplatz continua a cercare un avvicinamento con Sofia, cercando di convincerla, senza successo, a raggiungere un accordo con la Romania 563 . Intanto alla conferenza di Londra viene preparata una nuova nota da inviare agli Stati della Quadruplice, per convincerli ad accettare i punti formulati dalle grandi potenze come base per i negoziati di pace con la Turchia. Gli alleati hanno infatti risposto al precedente passo del concerto europeo reclamando per sé le isole egee, chiedendo di essere informati anticipatamente sui confini albanesi e pretendendo un’indennità dalla Porta, ritenuta l’unica responsabile della continuazione del conflitto dopo il primo armistizio di dicembre, e pertanto tenuta a risarcire gli Stati balcanici per gli ulteriori sforzi da questi sostenuti. In realtà nella nuova nota delle potenze i termini per la cessazione delle ostilità non mutano di molto: si ribadisce che sulle isole le decisioni 563 Cfr. Helmreich, op. cit. spettano alla riunione degli ambasciatori e che i belligeranti saranno rappresentati alla conferenza di Parigi che affronterà tutte le questioni finanziarie inerenti la guerra, mentre si assicura che appena la delimitazione dell’Albania sarà definitivamente stabilita ne sarà data comunicazione agli alleati. Questo nuovo passo viene effettuato dalle grandi potenze negli Stati della Quadruplice fra il 13 ed il 16 aprile 564 . In questo caso il concerto europeo viene però preceduto e scavalcato dall’iniziativa di Bulgaria e Turchia, che hanno intavolato trattative dirette per la sospensione delle ostilità, misura che viene raggiunta il 15 aprile per una durata di dieci giorni. A questo provvedimento si associano Serbia e Grecia, ma non il Montenegro, ancora impegnato, contro il volere europeo, nell’assedio di Scutari565 . Gli alleati rispondono il 21 aprile alla nota delle potenze, accettando la mediazione ma continuando a fare alcune riserve sulle questioni delle isole e dell’Albania. La loro risposta viene comunque considerata nel complesso un’accettazione della base per l’inizio dei negoziati, e i belligeranti vengono subito invitati a nominare i propri plenipotenziari e a designare il luogo preferito per le trattative, mentre la sospensione del conflitto viene prorogata. Se la Turchia, che ha da subito accettato senza condizioni la mediazione del concerto europeo, non pone questa volta molte difficoltà, gli Stati balcanici, con le spaccature ormai insanabili all’interno dell’alleanza, litigano invece fra loro e faticano a mettersi d’accordo. A metà maggio, finalmente, i rispettivi rappresentanti si ritrovano a Londra, mentre un progetto di trattato di pace anglo- francese viene sottoposto dapprima alla conferenza degli ambasciatori, che lo approva senza cambiamenti566 , ed in seguito ai belligeranti. Questi 564 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 327-28; Mantegazza, Questioni di politica op. cit. Cfr. Helmreich, op. cit., pag. 308. 566 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 328-29; Mantegazza, Questioni di politica op. cit.; gli ambasciatori della Triplice Alleanza appoggiano la richiesta della Romania di un’amnistia per i cutsovalacchi incriminati in seguito a episodi bellici; la conferenza decide però che non è possibile inserire una simile clausola nel trattato di pace, ma tutte le potenze si impegnano a raccomandare agli alleati un’amnistia generale (cfr. ASMAE, serie politica, b. 740, rap. 1574/261, 13 maggio 1913, Imperiali a San Giuliano). 565 chiedono qualche lieve modifica, e il raggiungimento di un accordo definitivo tarda ancora, soprattutto per il comportamento della Grecia, che cerca ostinatamente di ottenere qualche ulteriore garanzia riguardo alle isole egee e ai confini meridionali albanesi. La Bulgaria, invece, al pari della Turchia, ha maggior fretta di concludere in modo da poter affrontare al più presto la questione macedone, dove l’andamento della guerra ha posto le sue alleate in una posizione di vantaggio. Le grandi potenze sono irritate per questi ritardi e vorrebbero anch’esse vedere la pace siglata al più presto. Il 27 maggio Grey fa presente tutto ciò direttamente agli interessati, con un linguaggio fermo e deciso che produce i suoi effetti. Infatti il 30 dello stesso mese vengono finalmente firmati i preliminari di pace, che stabiliscono da parte turca la cessione agli alleati dei territori ad ovest della linea Enos-Midia e dell’isola di Creta, mentre sull’assegnazione delle altre isole egee le decisioni spettano alle grandi potenze, così come per tutto ciò che riguarda l’Albania. Viene infine stabilito che tutte le questioni finanziarie sorte dall’andamento della guerra saranno discusse più avanti alla conferenza internazionale di Parigi 567 . In questo modo ha termine la Prima Guerra Balcanica, anche se le questioni sollevate da questa non si esauriscono qui. Nemmeno un mese più tardi le ostilità ricominceranno fra gli stessi alleati, con la Bulgaria, completamente isolata, che si troverà a dover fronteggiare anche la Romania e la Turchia. Quest’ultima, sebbene riuscirà a riprendersi Adrianopoli, non potrà comunque ribaltare il risultato dei precedenti mesi di guerra, la cui conseguenza più vistosa è proprio l’estromissione quasi totale dell’Impero ottomano dal continente europeo. Gli Stati balcanici hanno dimostrato inoltre in questo periodo di aver raggiunto un’autentica indipendenza e di essersi sottratti alla tutela delle grandi potenze. Anche i consigli della Russia, della quale si è talvolta pensato che essi non 567 Cfr. Helmreich, op. cit., pp. 329-31; Mantegazza, Questioni di politica op. cit. fossero altro che dei “satelliti”, non sempre sono stati ascoltati fedelmente, anzi spesso i Paesi balcanici hanno agito contro la volontà di San Pietroburgo, mentre d’altro lato i loro ingrandimenti hanno bloccato le possibilità di espansione dell’Austria-Ungheria nella penisola. Quest’ultimo risultato è sicuramente favorevole all’Italia 568 ed è salutato come tale nel Paese, dove il motto «I Balcani ai popoli balcanici», applicato anche a vantaggio della popolazione albanese, ha trovato grande diffusione nell’opinione pubblica fin da prima dello scoppio del conflitto 569 . 568 Vedi pag. 131. Il giorno seguente la firma della pace di Londra, alla Camera viene salutata la fine del conflitto, con un intervento dell’on. Galli (vedi pag. 105) che esprime soddisfazione per la liberazione dei Balcani dal giogo ottomano e orgoglio per il concorso dell’Italia, che con la guerra libica ha dato il là al crollo dell’impero (cfr. ASMAE, archivio di gabinetto, b. 61, nota 3922 della Presidenza della Camera). 569 Capitolo quarto L’opinione pubblica liberale e la Prima Guerra Balcanica Le intenzioni bellicose degli Stati balcanici, che si ma nifestano apertamente fin dal settembre 1912, sono viste con compiacimento dalla maggior parte del Paese, la cui attenzione è rivolta in questo periodo all’andamento delle trattative con la Turchia per porre termine all’impresa libica. L’opinione pubblica italiana, che si è “nutrita” a volontà, in questi mesi, di discorsi antiottomani e antimusulmani, simpatizza quindi con la Quadruplice contro quello che è visto come un comune nemico. Non mancano però, negli ambienti più consapevoli e illuminati, preoccupazioni in gran parte simili a quelle della Consulta, vale a dire il timore che la questione d’Oriente si riapra con l’Italia ancora impegnata in Libia ed impossibilitata a difendere adeguatamente i suoi interessi nei Balcani, dove l’Austria potrebbe approfittare della situazione per avanzare nella sua marcia verso Salonicco 570 . Superate queste preoccupazioni con la firma del trattato di Losanna, proprio nei giorni in cui sta per iniziare il conflitto balcanico, l’opinione pubblica resta orientata quasi all’unanimità in senso antiturco. A ciò concorre la tradizionale simpatia per i popoli cristiani della penisola balcanica, i cui sforzi di affermazione sono visti, fin dall’ottocento, come una giusta lotta combattuta in nome del principio di nazionalità 571 . La questione nazionale di questi Paesi si armonizza perfettamente, agli occhi degli italiani, con i ricordi ancora freschi delle battaglie 570 571 Cfr. Albertini, Epistolario op. cit. Cfr. Dogo, Gli stati-nazione balcanici op. cit. risorgimentali, e pertanto vi sono pochi dubbi, limitati ad alcune frange socialiste, sulla bontà della causa della Quadruplice. Sulla maggior parte dei quotidiani liberali italiani appaiono i consueti giudizi negativi sui turchi, responsabili della profonda arretratezza delle regioni sottoposte al loro dominio, o meglio, come si è soliti dire, «al giogo ottomano». Inoltre una tematica che riecheggia un po’ ovunque nel primo periodo di guerra riguarda le accuse rivolte al concerto europeo per la politica di mantenimento dello status quo nei Balcani e di difesa dell’integrità dell’Impero ottomano, professata e seguita fin dai tempi del congresso di Berlino. In realtà, come si è detto, questa linea politica è stata appoggiata per evitare gravi complicazioni internazionali anche da quelle potenze, come l’Italia, che avrebbero in realtà visto con favore lo sviluppo delle autonomie balcaniche. Ora tali accuse giungono da più parti, accompagnate dal compiacimento per l’audacia e l’indipendenza mostrate dagli alleati, che hanno ignorato i tardivi tentativi delle grandi potenze di evitare il conflitto con la solita promessa di portare a compimento un’efficace opera riformatrice, misura la cui inutilità è stata già ampiamente dimostrata negli anni passati. «L’Europa, infatti – si legge sul Corriere della sera – sa benissimo che la Turchia non ha voglia, non ha capacità e non ha interesse a rinnovare civilmente i Paesi che ella domina; sa dunque che le riforme profonde non possono essere opera del governo turco[…]se la Turchia sarà sconfitta, la questione macedone non potrà essere risoluta con gli espedienti a cui l’Europa oggi l’abbandonava»572 . Sulla Nuova antologia, uno dei più autorevoli periodici italiani dell’epoca, un certo Guido Cora, che si definisce geografo ed esploratore, sentenzia che «Era un’onta per la civiltà che tante nazioni, che pure nei loro Stati ascrivono a gloria di progredire nella morale e nel diritto, si associassero per tenere in piedi il Gran Malato, uno stato politico che elevava a sacerdozio il replicato eccidio degli Armeni, gli 572 T., I pericoli della conflagrazione in oriente, in Corriere della sera, 10 ottobre 1912, pag. 1. oltraggi, le torture e le crudeltà più raffinate agl’inermi ed ai vinti nella stessa Europa, non risparmiando né vecchi, né donne, né bimbi»573 . Anche La Stampa parla di anni di complicità con la Turchia da parte delle grandi potenze, venute meno agli impegni presi al congresso di Berlino, ed approva la reazione degli Stati balcanici a questo atteggiamento del concerto europeo 574 . In generale questo nuovo conflitto viene presentato come uno scontro fra la civiltà moderna e la barbarie, con Cirmeni, il corrispondente politico da Roma de La Stampa, che definisce la guerra «una nuova crociata: da una parte i cristiani, dall’altra parte i musulmani. Da una parte quattro piccoli Stati che combattono in nome di un grande principio umanitario, dall’altra parte l’unico stato barbaro d’Europa che difende il dominio fondato e tenuto su colle stragi di cristiani» 575 . Questi toni da crociata sono spesso presenti anche nel racconto degli episodi bellici, mentre il Corriere è sicuramente più misurato, anche se non viene mai meno all’impostazione generale filocristiana. Su tutta la stampa italiana vengono riportate le notizie di atrocità e misfatti che coinvolgono come vittime le popolazioni civili dei territori interessati dalle operazioni di guerra, così come avviene nel resto d’Europa, dove giornalisti e viaggiatori, fin dalle rivolte e dalle guerre degli anni settanta dell’ottocento, informano costantemente delle violenze che i cristiani subiscono da parte dei turchi o dei musulmani in generale (che i cristiani della penisola chiamano turchi anche quando si tratta di slavi convertiti o di albanesi). L’opinione pubblica europea è pertanto molto sensibile su questo argomento, e quella italiana, come si è visto, non è da meno; per contro gli episodi, non meno violenti, di vendetta da parte delle popolazioni cristiane, che puntualmente si sono sempre verificati in ogni guerra di 573 G. Cora, La penisola balcanica nel momento attuale. Impressioni di viaggio, in Nuova antologia, 16 novembre 1912. 574 Cfr. C., Come è divisa l’Europa al divampare dell’incendio balcanico, in La Stampa, 14 ottobre 1912, pag. 2. 575 C., Come è divisa l’Europa art. cit. uno degli Stati balcanici contro la Turchia e che si verificano tuttora, vengono ignorati e raramente ne viene data notizia 576 . Basta leggere i titoli delle cronache di guerra de La Stampa o del Corriere per rendersi conto che i resoconti di questi episodi di violenza, che hanno spesso per vittime le popolazioni civili, sono praticamente a senso unico: Atrocità turche, I turchi in fuga dall’Epiro massacrano, incendiano e saccheggiano, Villaggi e fattorie serbe assalite dai predoni albanesi, Un altro spaventoso quadro delle atrocità turche577 . Le corrispondenze dai Paesi della Quadruplice sono tutte filocristiane e infarcite di retorica sull’eroismo dei combattenti alleati; sia su La Stampa che sul Corriere le vittorie dei bulgari vengono esaltate, ed è messo in buona luce persino l’operato delle bande di comitagi, composte più che altro da fuoriusciti macedoni, che in realtà si distinguono da anni per atti di violenza e di terrorismo vero e proprio 578 . Luigi Barzini, uno dei più autorevoli giornalisti del Corriere, inviato sul fronte turco-bulgaro in Tracia, scrive articoli in cui denuncia le violenze dei turchi e dei pomacchi, slavi bulgari convertiti all’islamismo, a danno dei cristiani, mentre, come si è detto, parlando con il ministro italiano a Sofia, rivela di essere a conoscenza di eccessi da parte bulgara che addirittura superano in atrocità i misfatti dei turchi 579 . Anche le corrispondenze dal Montenegro esaltano l’eroismo di questo popolo che ha fama di generare guerrieri indomiti dal coraggio leggendario 580 , e lo stesso vale per gli articoli sull’andamento della guerra combattuta dai serbi. Guelfo Civinini scrive per il Corriere dal fronte 576 Cfr. Dogo, Gli stati-nazione balcanici op. cit.; M. Todorova, The Balkans: from discovery to invention, in Slavic Review, summer 1994, pp. 453-82. 577 Atrocità turche, in La Stampa, 28 ottobre 1912, pag. 6; I turchi in fuga art. cit.; Villaggi e fattorie serbe art. cit.; Un altro spaventoso quadro art. cit. 578 Cfr. G. Bevione, Perché i bulgari vincono, in La Stampa, 14 novembre 1912, pag. 3; Dalle atrocità dei turchi all’azione delle bande bulgare, in Corriere della sera, 16 novembre, pag. 2. 579 Cfr. Barzini, art. cit.; vedi pag. 120. 580 Cfr. Savorgnan di Brazzà, Epopea montenegrina: eroi leggendari, in La Stampa, 4 novembre 1912, pag. 3; Savorgnan di Brazzà, Un gagliardo fremito di guerra scuote le salde mura di Scutari, in La Stampa, 29 novembre 1912; Zenari, Lo sforzo eroico del Montenegro per la conquista di Scutari, in Corriere della sera, 14 febbraio 1912, pag. 1. serbo-turco celebrando «La vendetta di Kossovo», vale a dire il riscatto serbo della famosa battaglia medievale di Campo dei merli persa contro i turchi581 . Su La Tribuna, quotidiano così vicino a Giolitti da essere ritenuto ufficioso 582 , i corrispondenti di guerra sono schierati anch’essi dalla parte dei cristiani. L’inviato al fronte serbo-turco in questo Paese è Bruno Barilli, che raggiungerà poi una certa notorietà come scrittore e compositore. In questo caso la posizione filoserba degli articoli in questione, i quali hanno inoltre un certo valore letterario, è motivata anche dal fatto che l’autore di questi è sposato con una nobildonna serba, nipote dello stesso re Pietro 583 . Non c’è da stupirsi pertanto se vengono celebrate con abbondanza di retorica, come del resto avviene su tutti i quotidiani liberali, le gesta belliche dell’esercito serbo e delle stesse bande di comitagi, e se invece l’operato di turchi e albanesi è costantemente descritto sotto una luce negativa. In particolare gli albanesi, più spesso chiamati arnauti, che combattono in supporto all’esercito turco, vengono accusati di numerosi atti di slealtà e crudeltà, e a questo proposito si racconta di vili tranelli tesi ai serbi; più di una volta, ad esempio, si legge di gruppi di arnauti che si fanno incontro al nemico sventolando la bandiera bianca, per poi scaricare le loro armi a bruciapelo sui serbi non appena questi si avvicinano per fraternizzare 584 . Gli albanesi nei villaggi in festa conquistati dall’esercito di re Pietro, sono paragonati, nel loro atteggiamento truce ed impassibile, agli arabi della Libia che assistono al passaggio delle truppe italiane 585 . Ora le loro prepotenze, favorite dal permesso concessogli dai turchi di portare armi, avranno termine («le mani affondate nelle saccocce delle brache dove non rispondeva più la punta amica dello 581 582 583 584 585 Cfr. G. Civinini, La vendetta di Kossovo, in Corriere della sera, 15 novembre 1912, pag. 3. Cfr. V. Castronovo, N. Tranfaglia, Storia della stampa italiana, vol. III, Roma -Bari, Laterza, 1979. Cfr. B. Barilli, Le guerre serbe, a cura di G. Pellegrini, Roma, Editori Riuniti, 1993, pp. IX-XXXIV. Cfr. Barilli, op. cit., pp. 5-6, 11-12. Cfr. Barilli, op. cit., pag. 15. stiletto») 586 , così come è finita per sempre «la loro feroce vita da lupi di bosco»587 . Non meno crudeli, nella descrizione che ne dà Barilli, sono i turchi, accusati di atti di violenza contro le donne e persino i bambini. In generale poi, l’autore di queste cronache indugia spesso su particolari macabri e truculenti («Teste mozze di donne e di bambini giacevano sul lastricato», «la testa manca di orecchie, di naso, di labbra e di occhi», in riferimento al cadavere di un komita serbo sfigurato dagli albanesi) 588 , che non mancano comunque nemmeno negli articoli di altri giornalisti italiani. Del resto, proprio in questi anni, si forma nell’Europa occidentale quell’immagine stereotipata dei Balcani, giunta fino ai nostri giorni, come di una regione abitata da genti divise da un odio ancestrale, quasi genetico, odio che periodicamente esplode in atti di una violenza ed una atrocità indicibili. La penisola balcanica, come argomenta la Todorova nel suo saggio, viene vista, a partire dalle prime sanguinose rivolte ottocentesche, come un luogo barbaro e lontano, ai margini dell’Europa ed “altro” rispetto ad essa, dove possono capitare episodi di tale ferocia che mai potrebbero accadere in un Paese civile 589 . Nelle corrispondenze di Barilli non mancano poi i tradizionali riferimenti storici della retorica patriottica serba, a cominciare dalla famosa battaglia di Campo dei merli, ora finalmente vendicata, continuando con i ricordi della grande Serbia medievale che riaffiorano con la presa di Uskub, antica capitale di quel glorioso regno. Proprio il festoso ingresso dell’esercito nella città è ampiamente descritto da Barilli, che parla della gioiosa accoglienza riservata alle truppe da parte degli abitanti, mentre si è visto come invece il console italiano di Uskub riferisca il malcontento della popolazione, prevalentemente bulgara, di quelle zone 590 . Barilli accoglie poi senza alcuna esitazione, 586 Barilli, op. cit., pag. 47. Barilli, op. cit., pag. 44. 588 Barilli, op. cit., pp. 26, 12. 589 Cfr. Todorova, op. cit. 590 Cfr. Barilli, op. cit.; ASMAE, serie politica, b. 738, tel. 7533 cit.; vedi pag. 83. 587 e senza risparmio di enfasi retorica, le pretese serbe di ottenere lo sbocco sull’Adriatico: «Il popolo serbo[…]all’annunzio che il suo grande esercito avanza lento verso il mare[…]si esalta spinto da uno slancio ancor più poetico che politico[…]ora i serbi vogliono vivere la vita piena vogliono affacciarsi sul mare a respirare la Libertà da essi raccolta con le mani nel sangue dei loro congiunti»591 . Per trovare qualche cambiamento nelle prese di posizione filoalleate della stampa e della pubblicistica liberale bisognerà aspettare qualche tempo: dapprima incominciano ad esserci malumori verso la Grecia, che con le sue pretese nel sud dell’Albania minaccia pericolosamente gli interessi italiani, mentre invece le aspirazioni serbe allo sbocco adriatico, quando non sono apertamente appoggiate, vengono comunque biasimate senza molta energia. Questa differenza di atteggiamento nei confronti di Grecia e Serbia è sottolineata da Francesco Guicciardini, ex ministro degli Esteri nel gabinetto Sonnino, che la ritiene contraddittoria e nociva agli interessi italiani in Albania, soprattutto per quel che riguarda le mire serbe su Durazzo, poco discusse dall’opinione pubblica del Paese. In un articolo apparso sulla Nuova Antologia a metà dicembre, Guicciardini affronta il problema dei futuri confini albanesi e, affermando che la delimitazione del nuovo Stato dovrà seguire criteri politici più che etnografici, si dimostra comunque favorevole ad ampie concessioni ai vincitori, a patto che queste non vanifichino l’esistenza di un’Albania solida e vitale 592 , posizione condivisa da gran parte della opposizione costituzionale. Ad esempio Sonnino, in un intervento alla Camera il 3 dicembre, si dichiara favorevole ad un corridoio serbo fino all’Adriatico, pur ritenendo che anche uno sbocco soltanto commerciale avrebbe soddisfatto le giuste esigenze di Belgrado 593 . Uno dei pochi casi di documentazione delle ripercussioni 591 Barilli, op. cit., pag. 49. Cfr. F. Guicciardini, Serbia e Grecia in Albania, in Nuova antologia, 16 dicembre 1912, pp. 652-57. 593 Cfr. La pace di Losanna art. cit. 592 negative del conflitto per la popolazione islamica è un articolo che appare sul Corriere della sera il 27 marzo, intitolato Gli orrori ignorati della guerra, in cui si ricorda la sorte di circa duecentomila profughi musulmani giunti, dai territori occupati dalla Quadruplice, a Costantinopoli e in Asia Minore, dove per ora hanno trovato un rifugio provvisorio 594 . In generale, col passare dei mesi, gli albanesi, che inizialmente non hanno riscosso grosse simpatie essendosi schierati nella maggior parte dei casi a fianco dei turchi, sono messi in una luce migliore rispetto a prima, anche per la crescente e sempre più salda consapevolezza degli interessi italiani, che, al di fuori di ogni sentimentalismo, implicano la creazione di uno Stato d’Albania vitale e realmente autonomo, che va pertanto assolutamente difeso dalle eccessive pretese alleate. Così, ad esempio, le corrispondenze di Savorgnan di Brazzà per La Stampa sulle operazioni montenegrine a Scutari, inizialmente tese a celebrare retoricamente l’eroismo dei soldati di re Nicola, mutano lentamente col tempo in senso filoalbanese; in maggio appare un articolo che arriva addirittura a lodare la presunta concordia delle tribù montanare della Malissia, ora unite dal comune sentimento di identità nazionale 595 . In occasione poi della crisi di Scutari non mancano critiche al Montenegro ed al suo sovrano, colpevoli di attentare all’integrità albanese sconfessando coi fatti quel principio di nazionalità per il quale la Quadruplice è scesa in battaglia, e rei di sfidare apertamente la volontà delle grandi potenze 596 , quando pochi mesi prima, all’inizio del conflitto, l’opposizione al volere del concerto europeo, legato come sempre al mantenimento dello status quo, veniva salutato ovunque con soddisfazione. Va detto però che ancora in questa 594 Cfr. R. Larco, Gli orrori ignorati della guerra, in Corriere della sera, 27 marzo 1913, pag. 3. Cfr. Savorgnan di Brazzà, Un’escursione sui monti della Malissia, in La Stampa, 7 maggio 1913. 596 A titolo di esempio, cfr. C., Grave problema per l’Europa, in La Stampa, 30 marzo 1913, pag. 1. 595 occasione, oltre a rumorose prese di posizione e pubbliche manifestazioni pro Montenegro 597 , non mancano attestati di simpatia verso il piccolo Stato slavo 598 . Il Corriere della sera, diretto da Luigi Albertini, è indubbiamente il quotidiano italiano più autorevole e più diffuso dell'epoca; da semp re critico verso il “giolittismo” è spesso vicino alle posizioni di Sonnino e, negli anni precedenti la Grande Guerra, di Salandra. Con ciò il giornale milanese non perde mai la propria indipendenza di giudizio, al punto che, secondo il curatore di un epistolario di Albertini, questi può essere considerato il vero capo dell’opposizione costituzionale a Giolitti, ancor più degli stessi Sonnino e Salandra 599 . Il Corriere, che ha fama di “triplicista”, si è associato alla campagna per la spedizione libica senza ricorrere però ai toni infervorati di altra parte della stampa, e soprattutto senza dimenticare l’importanza ed il valore, per la politica estera del Paese, della questione adriatica e balcanica. Gli interessi italiani in questa regione, secondo l’opinione del quotidiano milanese, non vanno assolutamente messi in secondo piano a vantaggio della politica mediterranea e africana che l’impresa libica ha riportato alla ribalta 600 . Allo scoppio del conflitto, come si è detto, il Corriere sottolinea le responsabilità delle grandi potenze, colpevoli di aver trascurato negli ultimi anni la sempre più grave situazione della Turchia europea; di non aver seriamente cercato di portare a compimento le riforme previste dal trattato di Berlino e di aver sempre sostenuto, per i propri interessi, la conservazione dello status quo anche quando questo era ormai palesemente individuabile come la causa dell’arretratezza di quelle regioni e 597 Vedi pag. 154. A titolo di esempio, cfr. Victor, Montenegro ed Austria-Ungheria, in Nuova antologia, 1 maggio 1913, pp. 159-63. 599 Cfr. Albertini, Epistolario op. cit., in particolare la prefazione di O. Barié; Castronovo, Tranfaglia, op. cit. 600 Cfr. O. Barié, La “politica nazionale” del Corriere della sera dalla Guerra di Libia alla Grande Guerra, in Il Risorgimento, 1968, pp. 172-99. 598 delle violenze che vi avevano luogo 601 . In questi giorni anche il Corriere, come gli altri giornali europei e come gli stessi ambienti diplomatici, dà per scontato un intervento austriaco nel caso di ingresso delle truppe serbe o montenegrine nel sangiaccato di Novi Bazar, intervento che resta comunque probabile anche con altri pretesti e che potrebbe avere come terribile conseguenza l’inizio di una grande conflagrazione europea, dal momento che le altre potenze non assisterebbero inerti alla mossa dell’Austria 602 . Il corrispondente politico da Roma, Angelo Torre, esprime un giudizio positivo sulla conclusione della pace italo-turca, che a suo parere salvaguarda gli interessi e le esigenze del Paese e fa sì che l’Italia possa ora adoperarsi al meglio, senza impedimenti, per favorire una soluzione della questione macedone conforme alle giuste aspirazioni della Quadruplice e per contribuire al mantenimento della pace europea. Pertanto non si condivide l’idea di coloro i quali rimpiangono l’occasione persa per affiancare gli Stati balcanici in lotta, o almeno per favorirli continuando ad impegnare la Turchia in Africa settentrionale, ciò che avrebbe impedito all’Italia di far pesare adeguatamente la propria opinione nella soluzione dei problemi nella penisola 603 . Del resto in questi giorni il Corriere ritiene ancora che gli alleati, se saranno vincitori, non chiederanno ingrandimenti territoriali, limitandosi ad ottenere la realizzazione nei vilayet macedoni di radicali riforme, alle quali loro stessi possano concorrere direttamente 604 . In questo contesto si svolge l’incontro fra Berchtold e San Giuliano in Italia il 22 ed il 23 ottobre, con il giornale di Albertini che non nasconde una certa preoccupazione nel commentare i risultati della visita del ministro austriaco. In particolare viene discussa la formula 601 Cfr. T., I pericoli della conflagrazione art. cit. Cfr. T., I pericoli della conflagrazione art. cit. 603 Cfr. T., Dopo la pace. Ciò che l’Italia può fare per i popoli balcanici, in Corriere della sera, 17 ottobre 1912, pag. 1. 604 Cfr. T., Dopo la pace art. cit.; T., Il convegno di San Rossore e le complicazioni balcaniche, in Corriere della sera, 22 ottobre 1912, pag. 1. 602 usata nel comunicato ufficiale della Stefani, l’agenzia di stampa italiana, che parla di «perfetta identità di vedute fra i governi italiano e austro-ungarico» in merito alla crisi balcanica. Viene ricordato che le due potenze adriatiche hanno interessi divergenti nella penisola, in quanto l’Austria si oppone ad un effettivo sviluppo delle autonomie balcaniche e coltiva mire di penetrazione territoriale o commerciale verso l’Egeo, mentre l’Italia ha tutto da guadagnare dalla crescita degli Stati della Quadruplice e dalla loro piena indipendenza, e non può assolutamente tollerare un’avanzata della duplice monarchia nella regione o anche solo una sua posizione privilegiata in termini di influenza politica ed economica. Pertanto si esprimono dubbi sulla reale importanza della formula usata nel comunicato della Stefani a proposito della identità di vedute fra i due governi, e ci si augura che con ciò non si voglia significare l’adesione pura e semplice da parte italiana al programma austroungarico, mirante ad evitare una soluzione radicale e definitiva dei problemi della Turchia europea per mantenere in futuro la possibilità di intervenire nella penisola col pretesto dei disordini e delle violenze nella regione 605 . Dopo le prime decisive vittorie degli alleati, il Corriere propugna senza esitazioni la spartizione dei territori contesi fra gli Stati della Quadruplice, confidando nella loro maturità che li porterà ad accordarsi senza troppi problemi. L’Europa ha tutto l’interesse a favorire questa soluzione, poiché in questo modo si porrebbe fine alle minacce per la pace generale che il dominio turco su queste regioni ha comportato finora; nello stesso tempo si blocca l’espansione austriaca nella penisola e si aprono interessanti prospettive economiche per le grandi potenze con l’ampliamento dei mercati degli Stati balcanici 606 . Proprio per questa serie di motivi, 605 Cfr. Che cosa può significare “l’identità di vedute”, in Corriere della sera, 24 ottobre 1912, pag. 5; T., Il convegno di San Rossore art. cit. 606 Cfr. T., Il programma italiano nella quistione orientale. I Balcani ai popoli balcanici, in Corriere della sera, 2 novembre 1912, pag. 2. l’Italia, che ha sempre seguito una politica di conservazione dello status quo fino a che fosse stato possibile, e di sviluppo delle autonomie balcaniche quando non lo fosse più stato, deve caldeggiare questa soluzione, creando così i «fondamenti di un futuro accordo suo coi popoli balcanici emancipatori ed emancipati»607 . Fin da questo momento il Corriere esclude però che gli alleati possano spartirsi l’Albania, la cui indipendenza o autonomia sotto la formale sovranità della Porta diventano indispensabili per più di un motivo. Innanzitutto questa soluzione è conforme al principio di nazionalità per il quale la Quadruplice stessa combatte e nello stesso tempo evita nuovi disordini etnici che inevitabilmente sorgerebbero se gli Stati balcanici si ingrandissero a spese dell’Albania. Inoltre viene garantita, con la neutralizzazione del nuovo Stato, la libertà dell’Adriatico, come desiderato da Austria e Italia 608 . Ciò non implica, secondo il Corriere, che lo Stato albanese debba avere un’estensione eccessiva, come vorrebbe invece la duplice monarchia che ha trovato in esso il pretesto per salvare qualcosa delle sue aspirazioni balcaniche. L’Albania dovrà essere più ristretta rispetto alle delimitazioni amministrative ottomane dei vilayet di Scutari e Janina, e quindi si potranno accogliere alcune richieste dei belligeranti. Il quotidiano milanese, pertanto, sostiene l’ammissibilità di uno sbocco serbo sul mare a San Giovanni di Medua o ad Alessio, in ogni caso non più a sud del corso del fiume Drin 609 . Ci si deve opporre quindi alle eventuali mire serbe su Durazzo, ritenuta fondamentale insieme a Valona per l’esistenza del futuro Stato, con queste due città che vengono definite «i polmoni dell’Albania»610 . L’Italia, secondo il Corriere, dovrà fare in Albania un attivo sforzo di 607 T., Il programma italiano art. cit. Cfr. T., Il programma italiano art. cit.; T., L’ora storica, in Corriere della sera, 5 novembre 1912, pp. 1-2. 609 Cfr. La questione albanese e la politica art. cit.; T., Il problema albanese. Gli interessi e i compiti dell’Italia, in Corriere della sera, 24 novembre 1912, pp. 1-2. 610 T., L’autonomia albanese e lo sbocco serbo nell’Adriatico, in Corriere della sera, 7 dicembre 1912, pp. 1-2. 608 penetrazione pacifica, contrastando l’influenza austriaca che poggia soprattutto sul protettorato sulla popolazione cattolica. Non mancano riserve e critiche per l’azione italiana in quel Paese negli ultimi anni, incapace per la sua discontinuità di raggiungere i risultati che l’Austria ha conseguito con un’opera sapiente e capillarmente diffusa sul territorio. Ora, alla politica cattolica della duplice monarchia, la Consulta dovrebbe opporre l’attenzione e la cura degli «interessi morali e materiali degli albanesi» 611 . Lo strumento più importante per raggiungere lo scopo potrebbe essere lo sviluppo dei progetti ferroviari per le linee Durazzo-Monastir e Valona-Salonicco, che farebbero della regione, sfruttandone la favorevole posizione geografica, un’autentica porta fra l’Europa occidentale e l’oriente balcanico. L’Albania, collegata così al centro dei commerci fra Paesi civili e produttivi, potrà svilupparsi adeguatamente ed arricchirsi, costituendo un campo privilegiato d’azione per l’economia italiana. L’Italia dovrebbe farsi avanti e contribuire in prima persona alla realizzazione di questi tronchi ferroviari, la cui importanza, secondo il Corriere, supera abbondantemente quella del vecchio progetto Danubio-Adriatico. Il giornale diretto da Albertini esprime dei dubbi sulla validità di quest’ultimo, soprattutto per le enormi difficoltà tecniche che si incontrerebbero nell’attraversamento delle impervie montagne dell’Albania settentrionale, e che difficilmente potrebbero venire compensate dal futuro valore commerciale della linea 612 . In un editoriale del 12 novembre, intitolato La questione balcanica e l’Italia, vengono esposte le considerazioni generali e la posizione del giornale sui rivolgimenti in atto nella penisola balcanica. Come si è detto, vi è in questo momento grande fiducia nella maturità e nella concordia degli Stati della Quadruplice e viene ancora data per 611 T., Il problema albanese art. cit. Cfr. T., Il problema albanese art. cit.; La questione libica e la questione balcanica, in Corriere della sera, 4 dicembre 1912, pag. 1. 612 probabile la trasformazione dell’alleanza in una confederazione permanente, come fin dall’ottocento si auspica da più parti. La nascita di questo organismo, o comunque l’ingrandimento e il consolidamento degli Stati balcanici, sono un risultato che l’Italia deve accogliere con grande soddisfazione, poiché rappresentano «la fine di quel pericolo costante e formidabile che si chiama l’inorientamento dell’Austria, l’avanzata dell’Austria attraverso la penisola balcanica, l’enorme accrescimento della potenza austriaca sull’altra sponda di quel già nominato mare nostro che, inoltrandosi l’Austria a sud, diventerebbe poco meno che un lago austriaco. L’espansione dell’Impero austroungarico nei Balcani significa per noi una perdita inestimabile di valore come grande Potenza[…]di cui nessun accrescimento altrove ci potrebbe compensare»613 . Con questa presa di posizione si nega senza compromessi la vecchia tesi di Cesare Balbo sull’inorientamento austriaco, che avrebbe facilitato il completamento dell’unità nazionale nei territori nordorientali della penisola senza ricorrere a soluzioni cruente. Questo indirizzo politico non è mai stato del tutto accantonato, in questi decenni, nell’azione diplomatica italiana, come dimostra la storia dell’alleanza con l’Austria e, all’interno di questa, il valore da sempre dato all’articolo VII. Ora Albertini sembra attribuire un’importanza primaria, al di fuori di ogni sentimentalismo, allo scacchiere adriatico e balcanico, ricordando che il miraggio dell’irredentismo non deve far perdere di vista la consistenza degli interessi italiani nella penisola 614 . L’Italia, secondo la linea del giornale milanese, deve seguire in questa crisi una politica con due fini principali: cercare «la simpatia e la gratitudine» degli Stati balcanici e vigilare affinché l’Austria non infranga il principio dell’assoluta parità «d’ogni influenza, politica ed economica, sui Balcani, che risponde al più vitale dei nostri interessi e il cui spostamento sarebbe tal 613 614 La questione balcanica art. cit. Cfr. Barié, La “politica nazionale” op. cit. danno che nessun altro ripiego o risorsa potrebbe in alcun modo compensare»615 . L’Italia deve pertanto esprimere apertamente il proprio dissenso sulle presunte intenzioni austriache di legare a sé Serbia e Montenegro con un’unione doganale o con altri mezzi, che avrebbero per fine l’assoggettamento economico di quei Paesi a cui fatalmente seguirebbe una condizione di dipendenza politica, e deve opporsi risolutamente a questi disegni nel momento in cui si rivelassero autentici616 . Questo problema dovrebbe riguardare l’Europa intera, dato che tutte le potenze hanno interesse a godere in condizioni paritarie dei benefici che scaturiranno dal nuovo regime che si sta creando nella regione balcanica 617 . Nello stesso tempo il Corriere prende posizione contro l’opposizione della Ballplatz, appoggiata con qualche titubanza anche dalla Consulta, allo sbocco serbo sull’Adriatico. I paventati pericoli per l’equilibrio strategico di questo mare, secondo il giornale diretto da Albertini, sarebbero facilmente evitabili obbligando la Serbia a neutralizzare il suo tratto di costa e vietando la costruzione di un porto militare. Ne consegue che l’Austria cerca solo un pretesto per proseguire l’opera di soffocamento economico del Paese slavo, che con le sue vittorie sta cercando di liberarsi da quella situazione di dipendenza commerciale nei confronti del vicino impero che dura ormai da decenni. L’Italia, pertanto, sbaglia ad appoggiare l’alleata in questa azione diplomatica, mentre avrebbe tutto da guadagnare dall’affacciarsi della Serbia sull’Adriatico, a patto che le pretese di Belgrado non eccedano certi limiti, a danno dell’esistenza dell’Albania, e si mantengano ragionevoli 618 . A questo proposito non mancano critiche all’azione del governo, ritenuta troppo debole e insicura. La Consulta 615 La questione balcanica art. cit. Cfr. La questione balcanica art. cit. 617 Cfr. T., L’ora storica art. cit. 618 Cfr. La questione albanese e la politica art. cit.; La questione balcanica art. cit.; T., Il problema albanese art. cit.; T., L’autonomia albanese art. cit.; T., Il compito dell’Italia. Pacificazione e accomodamento, in Corriere della sera, 25 novembre 1912, pag. 1. 616 dovrebbe agire per una reale affermazione del principio «I Balcani ai popoli balcanici», mentre invece la si accusa di non avere una politica propria e di differenziarsi troppo poco dall’Austria, anche per quel che riguarda l’Albania. L’occasione sarebbe invece propizia per fare opera di conciliazione e di mediazione fra le aspirazioni della Quadruplice e quelle della Ballplatz, convincendo la nostra alleata ad abbandonare le inammissibili pretese di dominio economico e ad accogliere le richieste alleate più ragionevoli, quale è la concessione alla Serbia di un corridoio territoriale fino all’Adriatico a nord del fiume Drin. L’Italia si guadagne rebbe così la gratitudine e la riconoscenza degli Stati balcanici, con benefici effetti per le relazioni future con questi Paesi. I responsabili della politica estera italiana non sembrano però all’altezza della situazione; non hanno per ora saputo approfittare di questa circostanza fortunata, bensì aderiscono passivamente alla politica austroungarica, anche quando, come nel caso del porto adriatico serbo, questa è in contrasto con gli interessi dell’Italia e rischia di trascinare il Paese in complicazioni internazionali gravissime. Secondo il Corriere la Consulta dovrebbe essere meno remissiva e dimostrare più energia e spirito di iniziativa, sfruttando le alleanze, come l’Austria sa invece fare benissimo, per trarre vantaggio dagli sviluppi internazionali e per promuovere gli interessi nazionali 619 . L’annuncio della rinnovazione senza modifiche del trattato della Triplice Alleanza, avvenuta il 5 dicembre, viene accolta anche dal Corriere della sera con qualche preoccupazione. Si esprimono dubbi sull’utilità di rinnovare il patto con gli imperi centrali con tanto anticipo sulla scadenza, e soprattutto in un momento così delicato per le relazioni internazionali: «temiamo che il nostro governo ignori anch’esso dove lo trarrà l’obbligo di alleato e non possa assolutamente escludere il pericolo d’essere tratto 619 Cfr. T., La politica che si impone, in Corriere della sera, 15 novembre 1912, pag. 1; T., Il compito dell’Italia art. cit.; T., L’autonomia albanese art. cit. per l’appunto su vie nocive agli interessi del proprio Paese»620 . In pratica si teme che l’Austria possa addirittura trascinare l’Italia in una guerra europea, o spingerla comunque ad appoggiare Vienna su posizioni che contrasterebbero con gli interessi del Paese e che sarebbero solo di esclusivo vantaggio austriaco. Questo sospetto è rafforzato dalla notizia che non sono state apportate modifiche a «patti esistenti da lungo tempo e stabiliti in circostanze considerevolmente diverse dalle attuali» 621 , mentre in realtà sono stati inseriti nel trattato i protocolli degli accordi austro- italiani sull’Albania e sul sangiaccato, ma, per volere austriaco, questa aggiunta è stata tenuta segreta 622 . Pur riconoscendo i benefici effetti per la conservazione della pace europea che questa prova di saldezza e compattezza dell’alleanza comporta, si ritiene che sarebbe stato opportuno, pur non escludendo che ciò sia in realtà avvenuto, che l’Italia avesse ottenuto precise garanzie in merito alla situazione nei Balcani, in modo tale che fosse riconosciuto dall’Austria il «principio del giusto equilibrio degli interessi dei due Paesi nella nuova Balcania»623 , ad esclusione di qualsiasi privilegio austriaco, non solo in Albania, ma in tutta la penisola 624 . Il Corriere si dichiara invece d’accordo con la linea del governo in occasione del discorso tenuto dal ministro degli Esteri alla Camera il 22 febbraio: «Il Di San Giuliano di oggi ha fatto dimenticare il Di San Giuliano degli ultimi tre anni, il ministro che parlava da scettico e fatalista, il ministro che, almeno nelle parole, mostrava di non credere a un’Italia capace di fare una politica energica e feconda»625 . Il titolare della Consulta conosce uno dei suoi rari momenti di popolarità proprio quando, per una volta, usa quei toni enfatici e solenni sulla grandezza dell’Italia 620 La rinnovazione della Triplice art. cit. La rinnovazione della Triplice art. cit. 622 Vedi pp. 110-11. 623 La rinnovazione della Triplice art. cit. 624 Cfr. La rinnovazione della Triplice art. cit. 625 T., Un discorso che interpreta il sentimento nazionale, in Corriere della sera, 23 febbraio 1913, pag. 1. 621 e sul suo destino di grande potenza che riecheggiano un po’ ovunque sulla stampa nazionale, compreso il quotidiano di Albertini, dove Torre ricorda, commentando il fortunato discorso di San Giuliano, la necessità che l’Italia sia sempre forte e preparata militarmente per difendere le conquiste fatte e per «far valere quella politica che oggi il Governo ha enunciato con il consenso e la soddisfazione del Parlamento e del Paese»626 . Intanto, durante le trattative fra i belligeranti in seguito all’armistizio del 3 dicembre, il Corriere invita le grandi potenze a fare qualcosa per vincere le resistenze turche e favorire la pace. Adrianopoli pertanto dovrebbe essere ceduta agli alleati, perché se restasse all’Impero ottomano vi sarebbero ancora in futuro disordini e turbolenze nella regione balcanica, che continuerebbe quindi ad essere fonte di preoccupazioni e di eventuali rischi per la pace europea 627 ; nello stesso tempo è ritenuta saggia la posizione della Triplice Alleanza sulle isole dell’Egeo, alcune delle quali dovrebbero essere mantenute dalla Turchia, che cederebbe così più facilmente su Adrianopoli. Si nega poi che l’Italia abbia mire di annessione sul Dodecaneso e si polemizza coi giornali francesi che hanno riportato queste informazioni, definite «tendenziose» e «gratuite»628 . Anche dopo il colpo di Stato giovane turco viene ribadita la necessità che il concerto europeo si dimostri all’altezza del suo compito, e si imponga con più energia di quanto ha fatto finora per evitare una ripresa del conflitto, che potrebbe avere le conseguenze più gravi per l’esistenza dell’Impero ottomano e per la conservazione della pace europea 629 . Nel mese di gennaio viene affrontata alla conferenza degli ambasciatori di Londra la questione dei confini dell’Albania. Il quotidiano milanese mette in guardia contro le macchinazioni della diplomazia austriaca, che cerca di ampliare il più possibile il nuovo 626 T., Un discorso che art. cit.; cfr. Bosworth, La politica estera op. cit. Cfr. T., Pace balcanica e pace europea, in Corriere della sera, 29 dicembre 1912, pag. 1. 628 Le questioni aperte, in Corriere della sera, 10 gennaio 1913, pag. 1. 629 Cfr. T., La catastrofe minacciata e il dovere delle Potenze, in Corriere della sera, 25 gennaio 1913, pag. 1. 627 Stato per limitare gli ingrandimenti territoriali di Serbia e Montenegro e per cercare di estendere la sua influenza sulla regione, valendosi appunto di una Grande Albania e di una situazione instabile nella penisola che consenta in futuro l’intervento “civilizzatore” della duplice monarchia. Per questo motivo la Ballplatz favorisce soluzioni che non risolvono i consueti problemi dei Balcani, ma che lasciano prevedere ancora anni di turbamenti e disordini, come nel caso del veto al porto adriatico serbo o del tentativo di estendere lo Stato d’Albania a territori dove la popolazione non è omogeneamente albanese, pur essendo gli schipetari in maggioranza 630 . Infatti, se da un lato i limiti del nuovo Stato proposti dalla Quadruplice sono inammissibili 631 , dall’altro lato non va dimenticato che l’Albania nasce perché la sua esistenza garantisce l’equilibrio e la sicurezza dell’Adriatico, più che per la volontà dei suoi abitanti, ai quali, pur non mancando un vivo sentimento di diversità dagli slavi e dai greci, difetta un’autentica coscienza nazionale. Pertanto i confini albanesi, secondo il giornale milanese, dovranno essere stabiliti seguendo criteri politici piuttosto che etnici, e le zone dove gli schipetari vivono a fianco di altre etnie, in ragione del maggior grado di civiltà di queste ultime, dovranno essere assegnate agli Stati della Quadruplice. Questo vale anche per la Vecchia Serbia, dove è risaputo che gli albanesi sono diventati maggioranza in seguito all’emigrazione forzata di molti serbi, fuggiti per evitare le violenze e la tirannia dei loro vicini protetti dal potere ottomano 632 . L’Italia dovrebbe quindi anche in questo caso prendere le distanze dalla politica di Vienna e vigilare sulle sue intenzioni: sarebbe ovviamente inammissibile che l’Austria si impossessasse del Lovcen in cambio della cessione al Montenegro di Scutari, che la Ballplatz sembra ora voler impedire dopo 630 Cfr. T., Le inquietanti incognite della quistione albanese, in Corriere della sera, 5 gennaio 1913, pag. 1; T., I confini dell’Albania autonoma e l’inquietante problema del Montenegro, in Corriere della sera, 11 febbraio 1913, pp. 1-2. 631 Cfr. Le questioni aperte art. cit. 632 Cfr. T., Le inquietanti incognite art. cit.; T., I confini dell’Albania art. cit. averla ritenuta possibile all’inizio del conflitto, quando, secondo il Corriere, Vienna ha cercato di seguire una politica filomontenegrina in contrapposizione alla Serbia 633 . Quando la questione di Scutari si complica, il quotidiano diretto da Albertini mette in risalto tutti i rischi che derivano dalla ostinazione di re Nicola, anche se viene proclamata una sincera ammirazione verso il popolo montenegrino, per «la tenacia, l’energia, lo spirito di sacrifizio, l’eroismo tragico» che sta dimostrando 634 . Il minacciato intervento austriaco per far rispettare le decisioni del concerto europeo, ritenuto inammissibile se non sarà approvato da tutte le potenze 635 , rischia di far scoppiare un conflitto generale. Anche se così non fosse l’Italia potrebbe vedere danneggiati i suoi interessi da un’espansione austriaca in Albania o in altre parti della penisola a danno del Montenegro, dato che è chiaro che Vienna ha delle intenzioni nascoste, dal momento che «Un’Austria altruista, disinteressata, la quale faccia la guerra soltanto per dare Scutari a un altro stato[…]non riusciamo a immaginarla»636 . Quando l’intervento austriaco sembra ormai inevitabile per il rifiuto del Montenegro di cedere la città alle grandi potenze e da parte italiana si propende per un’azione parallela nel sud dell’Albania, il Corriere non sembra molto entusiasta di ciò, pur riconoscendo che qualcosa andrà fatto e che «L’Italia non può passivamente far maturare eventi che offendono i suoi interessi»637 . Viene sottolineato il pericolo costituito da Essad Pascià, il “traditore” di Scutari, per l’ordine interno e la stabilità dell’Albania, ciò che costituirebbe il pretesto per l’intervento italiano, ma non vengono usati contro di lui i toni aspri cui invece ricorre, ad esempio, La Stampa, convinta sostenitrice della 633 Cfr. T., Le inquietanti incognite art. cit. T., Le incognite del problema orientale, in Corriere della sera, 2 aprile 1913, pag. 1. 635 Cfr. T., Un’azione isolata sarebbe inammissibile, in Corriere della sera, 22 marzo 1913, pag. 1. 636 T., La mossa austriaca e la politica italiana, in Corriere della sera, 30 aprile 1913, pag. 1. 637 T., Ora critica. Il dovere dell’Italia, in Corriere della sera, 1 maggio 1913, pag. 1. 634 missione albanese 638 . Quando poi re Nicola cede al volere dell’Europa, il giornale milanese esprime soddisfazione per l’esito della crisi, poiché se l’Italia fosse stata nonostante tutto costretta ad intervenire in seguito ad un’azione austriaca, vi sarebbero stati per essa più svantaggi che benefici, sia in seguito ad un’occupazione temporanea che ad una presa di possesso definitiva dell’Albania meridionale. In quest’ultimo caso, verosimilmente, le altre grandi potenze non avrebbero mai permesso all’Italia di impossessarsi di Valona, consentendole di diventare la “padrona” dell’Adriatico, mentre sarebbero sorti nuovi problemi coi Paesi balcanici confinanti, dalle cui mire si sarebbe dovuto difendere quel territorio, e con l’Austria stessa, la quale stabilendosi nel nord del Paese avrebbe conseguito vantaggi ben maggiori, controllando gli sbocchi delle future linee ferroviarie e circondando da un nuovo lato la Serbia, sulla qua le si sarebbe presa così una rivincita 639 . Scrive Torre che «La Monarchia austro-ungarica è, sotto certi aspetti, necessaria all’Europa; ma a noi conviene che non si ingrandisca a danno di popoli che ne limitano la forza. L’Albania neutralizzata e internazio nalizzata è perciò la migliore soluzione che l’Italia possa oggi desiderare»640 . Quando viene affrontata la questione dei confini meridionali dell’Albania, il Corriere ritiene ingiustificati i sentimenti greci avversi all’Italia, considerata un Paese nemico. L’unico motivo per cui l’Italia e le sue alleate non possono acconsentire alle pretese greche, che prevedono il possesso di tutta la costa di fronte all’isola di Corfù, è la necessità imprescindibile di salvaguardare la libertà e la sicurezza dell’Adriatico 641 . È 638 Cfr. T., La mossa austriaca art. cit.; vedi pp. 217-18. Cfr. T., La miglior soluzione, in Corriere della sera, 8 maggio 1913, pag. 5. 640 T., La miglior soluzione art. cit.; l’internazionalizzazione dell’Albania, e quindi il controllo di tutte le potenze sul Paese, è preferibile al protettorato delle sole Austria ed Italia anche secondo Luigi Luzzatti, ministro dell’interno ed ex presidente del consiglio, che firma diversi interventi sul Corriere. Secondo Luzzatti tale soluzione si impone per limitare i rischi che l’Albania diventi terreno di pericolose competizioni fra le due potenze adriatiche (cfr. L. Luzzatti, Un pericolo grave da evitare nella sistemazione dell’Albania, in Corriere della sera, 31 gennaio 1913, pag. 5). 641 Cfr. T., Le incognite del problema art. cit. 639 vero che la Grecia è oggi una piccola potenza, ma nulla toglie che in futuro possa ingrandirsi e prosperare, potenziando la sua flotta da guerra e sfruttando il controllo degli stretti di Corfù per dominare il canale d’Otranto. Non è poi da escludere il pericolo che qualche grande potenza, alleata di Atene, intenda servirsi dello stretto di Corfù come punto d’appoggio per la sua marina 642 . Questi sono gli unici motivi che inducono l’Italia a seguire questa politica, e pertanto sono prive di fondamento le voci che appaiono su alcuni giornali francesi e che vengono ampiamente accolte in Grecia, secondo cui l’Italia coltiverebbe mire nascoste di conquiste territoriali nell’Albania meridionale; a dimostrazione di ciò vi sono le ampie concessioni che la Consulta è disposta a fare riguardo ai confini interni, ciò che chiarisce come non vi siano posizioni preconcette verso la Grecia 643 . In maggio la polemica con la Francia, massima protettrice di Atene, si inasprisce ulteriormente, anche in questo caso senza toccare i livelli di ostilità raggiunti da La Stampa, con Torre che ora ribalta le accuse provenienti da Parigi e insinua che i francesi mirino a crearsi a Corfù un punto d’appoggio per la loro flotta da guerra, in modo da costituire un asse con Biserta che li renderebbe padroni del Mediterraneo 644 . La conclusione del conflitto con la firma del trattato di Londra viene salutata come la sanzione della tanto attesa fine del dominio turco in Europa. Scrive Torre che è stata fatta giustizia su un popolo che non meritava le conquiste che ha fatto, un popolo «sterile» che non lascia, nelle zone dove per secoli ha dominato, «nessuna orma di civiltà», rendendosi anzi responsabile di aver inaridito «le sorgenti della produzione economica e della vita civile» nelle province sottomesse, che ora finalmente risorgono rientrando nella «circolazione della storia civile»645 . Vengono poi 642 Cfr. T., Il canale di Corfù art. cit. Cfr. T., Le incognite del problema art. cit.; T., La frontiera meridionale albanese, in Corriere della sera, 12 aprile 1913, pag. 2. 644 Cfr. T., Il canale di Corfù art. cit. 645 T., I giganteschi problemi posti dalla pace, in Corriere della sera, 31 maggio 1913, pag. 1. 643 sottolineati, tralasciando le rivalità all’interno della Quadruplice, i grandi problemi aperti dal conflitto, individuati soprattutto nel futuro della monarchia asburgica, che dovrà in un modo o nell’altro risolvere il problema degli slavi del sud a fronte delle vittorie ottenute dalla Serbia, e nel destino di ciò che resta dell’Impero ottomano, la cui integrità in Asia è a questo punto sempre meno salda. Entrambe queste grosse questioni internazionali interessano da vicino l’Italia, la quale dovrà farsi trovare adeguatamente preparata dinanzi allo sviluppo degli eventi646 . La Stampa è invece un quotidiano molto vicino alle posizioni di Giolitti; secondo Castronovo i rapporti tra Frassati, direttore del giornale torinese, e il presidente del consiglio sono paragonabili a quelli fra Albertini e Sonnino, e costituiscono entrambi dei «consorzi ideali e politici» basati però sulla reciproca indipendenza di giudizio e su un vivo senso del magistero della stampa 647 . Il quotidiano diretto da Frassati, infatti, pur restando sempre, nel complesso, vicino alle posizioni del governo, non esita talvolta ad avanzare suggerimenti ed opinioni indipendenti, soprattutto per quanto riguarda la politica estera, dove anche La Stampa si associa spesso alla richiesta di un’azione più attiva ed energica, degna della grandezza del Paese, da parte della Consulta 648 . Il giornale di Torino con l’inizio della guerra guarda anch’esso con simpatia alla causa degli alleati, sottolineando i limiti dell’operato del concerto europeo. La firma della pace di Losanna viene giudicata positivamente in relazione allo scoppio del conflitto balcanico. Benedetto Cirmeni, corrispondente politico da Ro ma, afferma che ora l’Italia è in una posizione migliore per contribuire alla conservazione della pace fra le grandi 646 Cfr. T., I giganteschi problemi art. cit. Cfr. Castronovo, Tranfaglia, op. cit. 648 Cfr. Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit.; Castronovo, Tranfaglia, op. cit.; Bosworth, La politica estera op. cit. 647 potenze e per tutelare i suoi vitali interessi nei Balcani, dove l’accordo austro-russo ha dimostrato col fallimento del patto di Murzsteg di non essere sufficiente a garantire la stabilità della regione. Deve essere perciò ormai chiaro a tutti che nella penisola balcanica l’azione delle potenze «deve esplicarsi in un terzetto e non in un duetto»649 , perché l’Italia ha interessi non meno importanti e vitali di quelli di Austria e Russia. Cirmeni ricorda anche che la pace con la Turchia esclude i pericoli che sarebbero derivati dalla convocazione di una conferenza, di cui proprio in questi giorni si sta parlando per iniziativa francese. In tal caso sarebbe potuta essere sottoposta al giudizio del concerto europeo anche la sovranità italiana sulla Libia, e ciò avrebbe potuto causare non pochi danni al prestigio del Paese 650 . Bergeret, qualche giorno dopo, sottolinea che se l’Italia avesse proseguito la sua guerra con la Turchia, magari estendendo le operazioni belliche per aiutare indirettamente la Quadruplice, come a molti sarebbe piaciuto, l’Austria non avrebbe più avuto remore ad intervenire nel conflitto, e quindi il concorso italiano avrebbe infine portato più svantaggi che benefici alla causa alleata. Invece l’Italia, in virtù della sua alleanza con l’Austria e degli accordi balcanici con essa contenuti nel trattato della Triplice, che prevedono che un’azione nella penisola possa avvenire solo col consenso di entrambe, ha contribuito, ancor più della Russia col suo atteggiamento minaccioso, a frenare la duplice monarchia dall’entrare nel sangiaccato per allontanarvi serbi e montenegrini. L’Italia quindi è la massima artefice, insieme alla Russia, delle vittorie della Quadruplice, e si batterà ancora perché questa possa godere dei frutti di queste imprese 651 . Sempre Bergeret, che ha spesso firmato articoli fortemente polemici nei confronti della Francia 652 , propone a fine ottobre una nuova 649 C., L’Italia ha ripresa la sua libertà diplomatica, in La Stampa, 17 ottobre 1912, pag. 5. Cfr. C., L’Italia ha ripresa art. cit. 651 Cfr. Bergeret, Dopo la partenza di Berchtold, in La Stampa, 25 ottobre 1912, pag. 1. 652 Cfr. Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit. 650 interpretazione della Triplice che possa dare vitalità e solidità all’alleanza. Ricordando che questa è nata col fine principale di favorire il Drang nach osten teutonico, il raggiungimento dell’Egeo da parte dell’Austria, Bergeret afferma che l’Italia è stata costretta ai “giri di valzer” per cercare altrove le vitali garanzie mediterranee che i suoi interessi richiedono. Ora la Triplice può essere rivitalizzata se l’Italia trova appoggio per la sua politica mediterranea all’interno di essa, e questo può accadere soltanto in seguito ad un’intesa con l’Austria sui Balcani che ne preservi gli interessi adriatici653 . L’aquila asburgica, infatti, ha due teste, di cui una mira verso l’Egeo e l’altra verso l’Adriatico. Il giorno in cui entrambe guarderanno in direzione di Salonicco, riconoscendo all’Italia un’influenza preponderante nell’antico «golfo di Venezia», l’accordo «latino- germanico» nella penisola balcanica sarà possibile, ma questo «in italiano porta un nome che a Vienna non vogliono ancora sentir pronunziare: si chiama Vallona»654 . In queste prime settimane di guerra La Stampa sottolinea più volte l’operato della Consulta in favore della pace e i grandi risultati in questo senso raggiunti finora; viene spesso enfatizzata l’intesa italiana con la Russia, il che ha fatto sì che l’Italia funzionasse da cuscinetto fra Vienna e San Pietroburgo, rendendo un grande servigio al mantenimento del concerto europeo. Anche in occasione dell’inasprirsi del dissidio fra Vienna e Belgrado riguardo alle pretese serbe di ottenere un porto sull’Adriatico, l’azione italiana è ritenuta decisiva per la risoluzione pacifica della questione. Inoltre il quotidiano diretto da Frassati dà una grande importanza, e continuerà a farlo per tutta la durata del conflitto, alla presunta «perfetta identità di vedute fra Italia e Germania», i cui ripetuti consigli di moderazione al governo austriaco hanno per ora sortito i loro 653 654 Cfr. Bergeret, Le chiavi dell’Egeo e le chiavi dell’Adriatico, in La Stampa, 29 ottobre 1912, pp. 1-2. Bergeret, Le chiavi dell’Egeo art. cit. effetti655 . Anche La Stampa, come si è detto, propugna una politica estera attiva ed energica, degna di una grande potenza e dei livelli di sviluppo raggiunti dal Paese in altri campi. Il benefico risultato della guerra di Libia ha aumentato nella nazione la consapevolezza della propria grandezza, dei propri diritti e dei propri interessi, e questa lezione, secondo il foglio torinese, va ora sfruttata per incoraggiare ed illuminare l’azione del governo. I tempi della “politica delle mani nette” sono finiti per sempre, l’Italia del 1912 è ben diversa da quella del 1878 656 . Non bisogna più seguire degli inutili sentimentalismi, ragionando «in base a presupposti accolti senza beneficio d’inventario, a vecchi rancori, a mal supposte simpatie di consanguinei, a principi astratti[…]Ora dobbiamo fare la nostra politica estera ispirandoci unicamente al conseguimento dei nostri diritti, alla tutela dei nostri interessi, al mantenimento delle porte e delle finestre spalancate traverso alle quali deve entrare l’aria necessaria ai nostri polmoni»657 . Di conseguenza la simpatia dell’Italia verso gli Stati balcanici non può arrivare a rendere ammissibile la loro pretesa di spartirsi l’Albania come si fece con la Polonia nel diciottesimo secolo, venendo così meno alla tutela del vitale interesse italiano della sicurezza dell’Adriatico, condiviso anche dall’Austria, con la quale inoltre, proprio a proposito dell’Albania, vi sono patti tuttora in vigore. La Stampa ricorda che gli albanesi da sempre costituiscono un popolo a sé che nemmeno la Turchia è mai riuscita a sottomettere completamente; gli alleati, inebriati ed eccitati dalle inaspettate travolgenti vittorie, dimostrano adesso una certa arroganza, sconfessando coi fatti il principio per cui hanno dichiarato di combattere. Inoltre il loro dominio su genti fiere e indomite quali sono gli albanesi, da sempre attaccati ai loro privilegi e alla loro 655 Cfr. C., L’azione dell’Italia nel conflitto austro-serbo, in La Stampa, 14 novembre 1912, pag. 1; C., La trasformazione della politica orientale dell’impero austro-ungarico, in La Stampa, 3 novembre 1912, pag. 2. 656 Cfr. C., La trasformazione della politica art. cit.; C., Una più vasta e più chiara art. cit. 657 C., Una più vasta e più chiara art. cit. autonomia, sarebbe solo la causa di continui disordini e tensioni, con effetti destabilizzanti su tutta la penisola, che continuerebbe così a costituire un pericolo per la pace generale. Nonostante l’atteggiamento della Quadruplice le grandi potenze avranno l’ultima parola sulla sistemazione dei Balcani, e i termini della pace che gli alleati riusciranno a imporre alla Porta non costituiranno certamente una sentenza inappellabile 658 . Austria ed Italia, quindi, essendo le potenze maggiormente interessate alla libertà dell’Adriatico, si adopereranno per la creazione di uno Stato albanese vitale, che per essere realmente tale, secondo il quotidiano torinese, dovrà assolutamente comprendere nei suoi confini le città più importanti, fra cui Scutari, Durazzo, Janina e Prevesa 659 . In occasione poi delle azioni della marina greca contro la baia di Valona, La Stampa ricorda che «nessun sentimentalismo filellenico deve ingombrare la nostra politica»; nel caso che le pressioni diplomatiche non riuscissero a mutare l’attitudine del governo di Atene, che mira apertamente alla conquista del maggior porto albanese, «il governo italiano deve prepararsi ad agire con la più ferma energia» per difendere i suoi interessi adriatici660 . Il giornale diretto da Frassati respinge poi la preoccupazione di parte del Paese che nel propugnare l’indipendenza albanese si faccia unicamente il gioco dell’Austria, aderendo per dovere d’alleati ad una politica che addirittura danneggerebbe gli stessi interessi italiani. La nascita dell’Albania come Stato autonomo è una vitale esigenza dell’Italia, oltre a costituire un preciso impegno contrattuale da parte di essa 661 . Il timore nei confronti dell’Austria, secondo La Stampa, è nato forse in una parte dell’opinione pubblica per la grande e rumorosa attività della Ballplatz e per la «eccessiva riserva dell’Italia che non fa conoscere nemmeno le sue buone azioni 658 Cfr. C., L’intangibilità dell’Albania, in La Stampa, 8 novembre 1912, pag. 2. Cfr. C., Quale deve essere la politica dell’Italia, in La Stampa, 29 novembre 1912, pag. 2. 660 Il pericolo da scongiurare, in La Stampa, 3 dicembre 1912, pag. 1. 661 Cfr. C., L’azione dell’Italia art. cit.; C., Quale deve essere art. cit. 659 diplomatiche»662 . Affinché queste preoccupazioni scompaiano del tutto è necessario che l’Italia, nella sua politica in Albania, non resti mai «in seconda linea» rispetto all’alleata, come invece è purtroppo successo in passato, quando si è peccato di accidia e la duplice monarchia ha saputo conquistarsi un’influenza preponderante sulla popolazione albanese ricorrendo ad ogni mezzo possibile di penetrazione pacifica. Questi errori, secondo Cirmeni, non vanno più ripetuti e bisogna assolutamente impedire che l’Austria si avvantaggi a danno dell’Italia in Albania, senza trascurare ciò che a prima vista può sembrare senza importanza. Ad esempio, dato che Vienna ha mandato una sua nave a Durazzo per imbarcare eventualmente cittadini austroungarici in caso di pericolo, il governo italiano dovrebbe affrettarsi a fare lo stesso 663 . Allo stesso modo, in occasione della proclamazione dell’indipendenza dell’Albania, Cirmeni esorta la Consulta ad approfittare del fatto che una commissione albanese inizierà con una visita a Roma il suo viaggio nelle capitali europee, così come bisognerebbe trarre profitto dalla buona disposizione verso l’Italia di Ismail Kemal, senza ripetere gli errori del passato, come quando qualche anno prima, ad esempio, i responsabili della politica estera italiana non osarono ricevere ufficialmente Ismail Kemal per timore di compromettersi con la Turchia 664 . Nei mesi seguenti la Consulta viene poi invitata ad opporsi al mantenimento del protettorato sui cattolici da parte della duplice monarchia nel costituendo Stato albanese 665 . Secondo il quotidiano torinese, la dimostrazione del fatto che l’Italia non segue passivamente l’Austria nella sua condotta politica, e che quindi certi timori sono infondati, si ha a proposito delle presunte intenzioni austriache 662 C., L’azione dell’Italia art. cit. Cfr. C., L’azione dell’Italia art. cit.; C., Quale deve essere art. cit.; C., Una più vasta e più chiara art. cit.; vedi pag. 78. 664 Cfr. C., Quale deve essere art. cit.; C., Per un’Albania autonoma e indipendente, in La Stampa, 25 novembre 1912, pag. 1. 665 Cfr. C., Il protettorato delle missioni in Oriente, in La Stampa, 2 febbraio 1913. 663 di stringere un’unione doganale con Serbia e Montenegro, o di strappare comunque trattamenti economici privilegiati da parte di questi due Paesi. In tal caso l’Italia si schiererebbe risolutamente contro l’alleata per difendere i suoi interessi nella regione balcanica, che presuppongono da sempre l’apertura di quel mercato a condizioni paritarie per tutti, ad esclusione di ogni forma di monopolio o di posizione privilegiata per qualche potenza 666 . La Stampa ricorda che l’Italia è concorde con l’Austria sulla questione albanese, dove gli interessi dei due Paesi si armonizzano e a proposito della quale esistono precisi accordi, mentre invece «ha piena libertà di azione in tutte le altre questioni balcaniche, di fronte alle quali agisce secondo le esigenze dei suoi vitali interessi»667 . Un editoriale del 26 novembre fa il punto della situazione sull’attitudine dell’Austria e sui rapporti dell’Italia con essa, mettendo in guardia il governo dalle probabili minacciose intenzioni dell’alleata. La Stampa prende in questo caso posizione contro il veto di Vienna allo sbocco serbo sull’Adriatico, a cui è difficile dare una valida giustificazione, sia dal punto di vista politico che da quelli economico e strategicomilitare. Dopo che la duplice monarchia ha rinunciato ad intervenire nel sangiaccato di Novi Bazar all’inizio del conflitto, quando tutti se lo aspettavano, la ferma ostinazione di impedire ai serbi di raggiungere il mare sembra più che altro un pretesto, e testimonia il profondo disagio e lo smarrimento che regnano a Vienna in questo momento, soprattutto nei circoli militari668 . L’esito della guerra sembra per il momento sbarrare la strada ai disegni asburgici di espansione verso Salonicco. Infatti sarebbe ingenuo ritenere che la fine dell’occupazione del sangiaccato da parte delle truppe austroungariche, stabilita in seguito all’annessione della Bosnia, abbia significato l’abbandono delle tradizionali aspirazioni a raggiungere l’Egeo per conquistare così un 666 Cfr. C., Una più vasta e più chiara art. cit. C., Una più vasta e più chiara art. cit. 668 Cfr. Il punto nero, in La Stampa, 26 novembre 1912, pag. 1. 667 ruolo dominante nella penisola; la marcia austriaca non è stata bloccata da quella rinuncia, la quale pertanto non può essere citata come titolo di merito della politica di Tittoni, ma unicamente dalle vittorie odierne degli Stati balcanici. L’Italia deve quindi essere molto prudente e vigilare attentamente per cercare di chiarire le nebulose intenzioni austriache 669 . Le due potenze adriatiche sono legate da accordi precisi, che vanno rispettati, sull’Albania, ma se l’indipendenza di questa fosse solo il pretesto, da parte dell’Austria, per cercare di riguadagnare il terreno perduto, «potrebbe darsi che l’Italia fosse costretta non solo a combattere per interessi non più suoi, ma soltanto austriaci (nel qual caso, noi non potremmo, come leali alleati, negare il nostro concorso) ma a combattere per interessi austriaci assolutamente contrari agli interessi italiani. Il Governo nostro deve sommamente badare a non lasciarsi attirare a passi che siano come i primi anelli di una catena di cui non si può prevedere la fine; a non lasciarsi cogliere in un ingranaggio che ci trascini fatalmente a combattere per una causa che non è la nostra, ma che anzi è opposta alla nostra»670 . A proposito dei negoziati di pace di Londra La Stampa assume una posizione critica verso le pretese ritenute eccessive degli Stati balcanici, ricordando che questi avevano proclamato all’inizio della guerra di non aspirare a conquiste territoriali. Mentre viene ritenuto indispensabile l’intervento delle grandi potenze per limitare le ambizioni «smisurate» degli alleati671 , si giudica negativamente il comportamento della Romania, la cui richiesta di compensi viene paragonata ad un ricatto 672 . In particolare ci si oppone all’annessione delle isole egee alla Grecia; viene sottolineata l’importanza delle isole vicine agli stretti per la sicurezza di questi ultimi, nonché la necessità di preservare 669 Cfr. Il punto nero art. cit. Il punto nero art. cit. 671 Cfr. C., Turchia e stati balcanici nella definizione del conflitto, in La Stampa, 25 dicembre 1912, pag. 1. 672 Cfr. C., La sortita della Romania, in La Stampa, 12 gennaio 1913, pag. 1. 670 l’equilibrio del Mediterraneo orientale, che verrebbe alterato se la Grecia divenisse padrona dell’Egeo. Pertanto si sostiene l’idea che le isole, comprese in futuro quelle attualmente occupate dall’Italia, vadano a formare uno Stato autonomo, con l’eccezione di Creta che passerebbe sotto la sovranità di Atene. In questo modo si rispetterebbe il principio di nazionalità e si manterrebbe l’equilibrio del Mediterraneo 673 . Anche per quanto riguarda la questione albanese le aspirazioni della Quadruplice sono considerate inammissibili, in quanto mirano ad impedire la creazione di uno Stato forte e vitale con la speranza di procedere in futuro a quella spartizione dell’Albania che ora è stata negata dalle grandi potenze 674 . Intanto le corrispondenze dal fronte turco- montenegrino diventano col tempo più ostili alla causa del Montenegro, dei cui soldati si continua però sempre a sottolineare il valore e l’eroismo. Ora si sostiene senza mezzi termini che Scutari, abitata esclusivamente da una popolazione albanese e «capitale morale dello stato nascituro»675 , non possa essere esclusa dall’Albania indipendente, anche perché la sua annessione al regno di re Nicola sarebbe sicura causa di continue rivolte e agitazioni da parte degli indomiti montanari schipetari. Secondo Savorgnan di Brazzà anche l’Italia ha tutto l’interesse che Scutari non diventi montenegrina; infatti in questo centro urbano e nella regione circostante la Consulta è stata in grado in questi anni di conquistare notevole influenza e molte simpatie fra la popolazione albanese 676 . Questi risultati andrebbero persi se la città fosse annessa al Montenegro, poiché in quest’ultimo Paese, a detta del corrispondente de La Stampa, «gli italiani sono quelli che, dopo gli albanesi, soffrono delle maggiori antipatie popolari» 677 . Nei mesi seguenti il quotidiano 673 Cfr. C., Turchia e stati balcanici art. cit. Cfr. C., I confini dell’Albania e gli stati balcanici, in La Stampa, 10 gennaio 1913, pag. 1. 675 Savorgnan di Brazzà, La resistenza di Scutari e gli interessi dell’Italia, in La Stampa, 2 gennaio 1913, pag. 1. 676 Cfr. Savorgnan di Brazzà, La resistenza di Scutari art. cit. 677 Savorgnan di Brazzà, La resistenza di Scutari art. cit. 674 diretto da Frassati inasprisce sempre più la polemica con la Grecia, e con la Francia che ne difende le posizioni, sulle questioni dei confini albanesi e delle isole egee. Viene ricordato che le vittorie dell’esercito ellenico sono state ottenute con grossa facilità e che i sacrifici del Paese sono stati di molto inferiori a quelli sostenuti, ad esempio, dalla Bulgaria. Nonostante ciò Atene vuole ora fare «la parte del leone» nella spartizione del bottino, con inaccettabili pretese sui confini albanesi e sulle isole dell’Egeo 678 . Non vengono risparmiate accuse a Venizelos, il quale «ha dimostrato che lo hanno calunniato coloro i quali hanno fatto risalire a lui il merito principale della lega balcanica. La costituzione della lega balcanica dovette richiedere una grande somma di qualità diplomatiche che fanno difetto nel signor Venizelos»679 . Con non meno sarcasmo la Megale Idea ellenica, vale a dire il programma politico di espansione nazionalista sulle orme del passato bizantino, formulato fin dal secolo precedente, diventa sulle pagine de La Stampa «l’idea megalomane»680 . Per quanto riguarda il Dodecaneso si afferma ora perentoriamente che l’Italia, oltre a considerare i pericoli per la Turchia asiatica che deriverebbero dal possesso greco di queste isole, è legata da precisi impegni contrattuali con la Porta, alla quale dovrà restituire l’arcipelago quando i soldati turchi avranno completamente abbandonato Tripolitania e Cirenaica681 . Soltanto pochi mesi prima, invece, in occasione della firma della pace di Losanna, il giornale torinese aveva espresso la speranza che le isole occupate temporaneamente dall’Italia non sarebbero necessariamente dovute tornare sotto la dominazione ottomana, e ancora durante i negoziati di dicembre si è suggerita la loro inclusione in 678 Cfr. C., L’Italia, la Grecia e le isole, in La Stampa, 5 febbraio 1913, pag. 2. C., L’Italia, la Grecia art. cit. 680 Ad esempio, C., Il preciso punto di vista d’Italia sulle questioni dell’Egeo e dell’Adriatico, in La Stampa, 18 aprile 1913, pag. 1; cfr. Jelavich, op. cit. 681 Cfr. C., L’Italia, la Grecia art. cit.; C., Il preciso punto art. cit. 679 una nuova entità autonoma che comprendesse tutte le isole egee 682 . A proposito invece del problema dei confini meridionali albanesi vengono denunciate le presunte mire della Francia, che, rinsaldati i rapporti di amicizia con la Grecia, aspirerebbe alla supremazia mediterranea “chiudendo” Austria e Italia nell’Adriatico. La Stampa è il grande quotidiano più francofobo dell’epoca, e già nei mesi precedenti non sono mancate occasioni per polemizzare con i giornali d’oltralpe 683 . Ora si afferma senza mezzi termini che la Francia ha appoggiato le «megalomani pretese» elleniche su Valona e sostiene tuttora il punto di vista greco sul canale di Corfù, nella speranza di costruire all’imbocco dell’Adriatico una base navale militare dell’Intesa; da qui la flotta francese o russa potrebbe facilmente appoggiarsi a quella stazionante a Biserta, senza dimenticare la possibilità di usufruire dell’isola di Malta come punto di incontro a metà strada. Il risultato sarebbe «l’imbottigliamento dell’Italia e dell’Austria nel mare Adriatico»684 e il dominio della Triplice Intesa in tutto il Mediterraneo. Nello stesso tempo il governo francese si schiera con la Grecia nella questione dell’Egeo perché guarda già alla caduta dell’Impero ottomano, e non si perita di preservarlo dai pericoli che correrebbe se tutte le isole egee fossero in mano di una sola potenza; per quel che riguarda poi il Dodecaneso, la Francia teme in realtà la concorrenza dell’Italia nella futura spartizione della Turchia asiatica 685 . Il governo italiano non deve piegarsi alle richieste greche e deve difendere gli interessi e la sicurezza del Paese, minacciati dalle macchinazioni francesi, le quali del resto non devono stupire, dato che da sempre «la politica francese tiene costantemente rivolta la sua punta contro l’Italia»686 . Le 682 Cfr. C., L’Italia ha ripresa art. cit.; C., Turchia e stati balcanici art. cit. Ad esempio, cfr. Una risposta al Temps, in La Stampa, 24 novembre 1912, pag. 1; Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit., pag. 436. 684 C., Il preciso punto art. cit. 685 Cfr. C., Le mire di Francia art. cit.; C., Il preciso punto art. cit. 686 C., La politica italiana mal giudicata e fraintesa, in La Stampa, 5 maggio 1913, pag. 1. 683 polemiche antifrancesi proseguiranno anche nei mesi seguenti con non minore violenza, e già da adesso Giolitti, in seguito alle proteste di Barrere, tenta inutilmente di fare pressioni su Frassati affinché questi intervenga per moderare i toni degli articoli di Cirmeni687 . Quando la questione di Scutari incomincia ad aggravarsi La Stampa sostiene il buon diritto degli abitanti della città, quasi esclusivamente albanesi, di far parte del nuovo Stato e di non passare sotto una nuova dominazione da parte degli slavi ortodossi del Montenegro, così diversi da loro. Quando si incomincia a parlare di una dimostrazione navale, il quotidiano torinese esprime dei dubbi sulla sua efficacia, constatando che re Nicola è incoraggiato ad insistere dalla scarsa unità delle grandi potenze. Nonostante ciò il governo italiano, che sta giustamente facendo opera di mediazione, non può esimersi dal partecipare all’azione se questa avverrà su mandato europeo. L’Italia, «massima potenza adriatica», deve essere in prima linea in tutto ciò che concerne l’Albania, stando bene attenta che il principio di assoluta parità con l’Austria nelle questioni albanesi non sia infranto a vantaggio della duplice monarchia 688 . Come si vede la linea del giornale di Frassati è in questo momento, prima della dimostrazione navale delle grandi potenze, concorde con la politica seguita dal governo. Quando la crisi si aggrava con la caduta di Scutari, Cirmeni ricorda che l’intangibilità dell’Albania rientra fra i vitali interessi italiani e non viene sostenuta soltanto per far piacere all’Austria, ma anzi «L’Italia, che per salvarsi dall’imbottigliamento nel Mediterraneo fece la guerra alla Turchia, dovrebbe far la guerra a qualsiasi potenza che volesse impadronirsi della costa albanese appunto per salvarsi da un imbottigliamento nell’Adriatico», con riferimento, in questo 687 Cfr. Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit., pp. 461-62. Cfr. C., Grave problema art. cit.; C., Dubbi sull’efficacia della dimostrazione, in La Stampa, 1 aprile 1913, pag. 1; Le ragioni dell’intervento italiano, in La Stampa, 3 aprile 1913, pag. 1. 688 caso, alle pretese greche dietro cui si intravede la mano francese 689 . La posizione de La Stampa resta nel complesso vicina a quella del governo e si sostiene infatti che l’Italia debba propugnare l’intervento collettivo di tutte le potenze, ma che in ogni caso, se l’accordo europeo non verrà trovato, non possa permettere che l’Austria agisca da sola. Ciò potrebbe portare vantaggi decisivi alla duplice monarchia in termini di influenza nel Paese, oltre che, nell’ipotesi peggiore, guadagni territoriali 690 . Il mancato intervento dell’Italia potrebbe sembrare una rinuncia ai suoi legittimi interessi in Albania e nell’Adriatico, mentre i sostenitori dell’astensione da qualsiasi azione coercitiva vengono definiti «figli legittimi dei fautori di quella “politica dalle mani nette” che riuscì tanto fatale alla patria nostra»691 . Nei giorni seguenti cresce l’entusiasmo del giornale per l’eventuale missione oltre Adriatico, anche se viene pienamente approvata l’azione di Giolitti e San Giuliano tesa a trattenere l’Austria da passi affrettati e a convincere la Russia ad acconsentire ad un intervento collettivo dell’Europa 692 . Ci si augura ovviamente il mantenimento della pace europea, ma questo obiettivo non deve essere raggiunto col sacrificio degli interessi italiani: «in questo momento una eccessiva prudenza potrebbe riuscire fatale»693 . Viene sottolineato il pericolo per l’esistenza dello Stato albanese rappresentato da Essad Pascià, accusato di aver “venduto” Scutari e di voler diventare re per poi permettere in realtà la spartizione del Paese fra gli alleati balcanici694 , risultato che farebbe comodo a qualche potenza per danneggiare l’Italia nell’Adriatico (è questa un’ennesima accusa rivolta velatamente alla Francia); non vanno poi dimenticate, nel sud dell’Albania, le minacce costituite dai resti dell’esercito 689 C., La politica dell’Italia, in La Stampa, 26 aprile 1913, pag. 1. Cfr. C., La politica dell’Italia art. cit. 691 C., La politica dell’Italia art. cit. 692 Cfr. C., In caso di insuccesso si dovrà agire in Albania di conserva con l’Austria, in La Stampa, 30 aprile 1913, pag. 1; C., L’intervento dell’Italia in Albania pel ristabilimento dell’ordine, in La Stampa, 3 maggio 1913, pag. 2. 693 C., L’intervento dell’Italia art. cit. 694 Vedi pag. 155. 690 turco allo sbando, capeggiati da Giavid Pascià, che pare intendano marciare su Valona. L’Italia, quindi, ha tutto il diritto ad intervenire per porre termine allo stato di anarchia nella regione albanese, e se l’Austria agirà a Scutari diventerà necessario uno sbarco a Durazzo e Valona 695 . Risolta pacificamente la crisi con la rinuncia di re Nicola sulla città, Cirmeni, che qui va ben oltre la linea governativa, esprime l’opinione che, scomparso ogni motivo di intervento contro il Montenegro, non si possa escludere la necessità di un’azione per il ristabilimento dell’ordine nel sud del Paese, dove la situazione resta caotica con i sempre presenti pericoli impersonati da Essad e Giavid Pascià. Inoltre viene prospettato anche il rischio di un eventuale «colpo di testa» della Grecia, la quale potrebbe comportarsi come il Montenegro, rifiutandosi di sgombrare i territori che la conferenza degli ambasciatori assegnerà all’Albania. In questo caso la reazione italiana dovrà essere non meno ferma di quella austriaca per Scutari: bisognerà dapprima chiedere l’intervento di tutte le potenze o un mandato europeo per far rispettare le decisioni prese a Londra, e in caso di mancato accordo l’Italia dovrà considerare l’opportunità di tutelare da sé i propri interessi, chiedendo il concorso dell’Austria come questa ha fatto con lei per Scutari696 . Con la fine della guerra sono scomparsi su La Stampa i toni violentemente antiturchi e nettamente favorevoli agli Stati balcanici presenti all’inizio del conflitto, e che ad esempio sul Corriere della sera ancora accompagnano la firma della pace di Londra697 . Cirmeni invece sostiene che la guerra sarebbe potuta terminare già cinque mesi prima se la Quadruplice non si fosse lasciata spingere a pretese sempre nuove, e intanto ricorda le disastrose condizioni in cui versa l’Impero ottomano e la possibilità affatto remota che il 695 Cfr. C., In caso di insuccesso art. cit.; C., L’intervento dell’Italia art. cit.; C., Se l’Austria invadesse il Montenegro l’Italia dovrebbe sbarcare a Durazzo, in La Stampa, 29 aprile 1913, pag. 2. 696 Cfr. C., Per Vallona e Corfù come per Scutari, in La Stampa, 7 maggio 1913, pag. 1. 697 Vedi pp. 204-05. conflitto ricominci presto fra gli alleati, che non riescono ad accordarsi per la spartizione del bottino 698 . La Stampa sembra ammettere la validità di alcune argomentazioni avanzate da serbi e greci per la revisione dei patti con la Bulgaria, riconoscendo che l’andamento delle operazioni belliche ha dimostrato che gli eserciti di Belgrado e Atene, che hanno saputo contribuire in maniera decisiva alla sconfitta turca, non sono così inferiori a quello bulgaro come si credeva inizialmente 699 . Ovviamente ci si augura che la questione venga sciolta in maniera pacifica, anche perché, in caso contrario, l’Austria si farebbe difficilmente scappare l’occasione di ristabilire il suo prestigio nei Balcani, ed è pertanto comprensibile che le altre grandi potenze stiano facendo di tutto per evitare lo scoppio di un nuovo conflitto. Un altro compito urgente che attende queste ultime è la soluzione dei problemi dei confini meridionali albanesi e delle isole dell’Egeo, indispensabile «per far rientrare nella realtà della vita la Grecia, che nel presente stato di fervida megalomania rappresenta un elemento di perturbazione»700 . In questi mesi vengono pubblicate diverse opere sugli avvenimenti balcanici da parte di giornalisti, scrittori e pubblicisti. Uno di questi è Vico Mantegazza, considerato un esperto di politica estera ed in particolare di questioni balcaniche, su cui ha già all’attivo diverse pubblicazioni 701 . Molto vicino all’establishment liberale, Mantegazza fa parte dell’Istituto coloniale italiano, un gruppo di pressione simile ad altri dello stesso periodo che conta fra i soci diversi politici, fra cui lo stesso San Giuliano, l’ex ministro 698 Cfr. C., Urge la soluzione del problema albanese, in La Stampa, 31 maggio 1913, pag. 1. Cfr. C., La prossima pace e il nuovo pericolo di conflitti per l’egemonia bulgara nei Balcani, in La Stampa, 19 aprile 1913, pag. 2. 700 C., Urge la soluzione art. cit. 701 Cfr. Dogo, Questione albanese op. cit., pag. 102. 699 Guicciardini e numerosi funzionari della Consulta 702 . Bosworth definisce pertanto Mantegazza un «propagandista semiufficiale»703 , e questo giudizio trova conferma, ad esempio, nella gratifica speciale di due mila lire versatagli dal ministero degli Esteri nel 1911704 , anche se nei suoi scritti non mancano talvolta opinioni divergenti da quelle della Consulta. Mantegazza, inoltre, è tra gli azionisti della Compagnia di Antivari, l’impresa italo- montenegrina di Giuseppe Volpi, all’interno della quale si è assunto l’incarico di trattare i rapporti con le autorità politiche balcaniche e di curare le pubbliche relazioni. La sua presenza nella compagnia è infatti ritenuta utile soprattutto per le sue ampie conoscenze personali, anche ad alti livelli, nel mondo balcanico. Di tutto ciò cerca di servirsi la Banca Commerciale, a cui Mantegazza è molto vicino per il tramite di Volpi e Joel, quando nel 1912 la Breda ottiene una commessa ferroviaria dalla Bulgaria, che però poi si rivolge in maniera poco corretta ad un’impresa tedesca; Joel allora spera che Mantegazza riesca a convincere i bulgari a tornare sui loro passi, ma senza successo 705 . Sul finire del 1912, fra le altre pubblicazioni, Mantegazza dà alle stampe il contenuto di una conferenza da lui tenuta nel novembre di quell’anno sul conflitto nei Ba lcani 706 ; in quest’opera vengono trattati raramente temi propriamente politici e perlopiù si celebrano retoricamente le vittorie balcaniche e l’emancipazione delle nazionalità oppresse della penisola. Pertanto compaiono i soliti motivi antiottomani («I giova ni turchi hanno emulato e superato tutte le infamie del vecchio regime») 707 , e non vengono risparmiate accuse alla tradizionale politica in favore dello status quo delle grandi potenze, paragonata a quella di un industriale che fa credito ad 702 Cfr. Bosworth, La politica estera op. cit., pp. 68-71, 79-80. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 280. 704 Cfr. Webster, op. cit., pag. 390. 705 Cfr. Webster, op. cit., pp. 389-90, 434. 706 Mantegazza, La guerra balcanica op. cit. 707 Mantegazza, La guerra balcanica op. cit., pag. 20. 703 un cattivo cliente e lo aiuta vanamente a reggersi in piedi708 . Non si nasconde il compiacimento per l’indipendenza dimostrata dagli Stati balcanici, che hanno sorprendentemente superato le loro storiche rivalità e hanno giustamente deciso che è arrivato il momento di provvedere da sé a risolvere i problemi della penisola, viste le continue promesse non mantenute dalla Turchia e dal concerto europeo 709 . L’autore passa poi ad analizzare la situazione di ogni Paese alleato, celebrando gli sforzi e i sacrifici fatti da ognuno per raggiungere questi gloriosi risultati. Viene magnificata la fama del Montenegro, Paese «ove par tutti nascano soldati ed eroi»710 e dove l’idea serba ha trovato rifugio in questi secoli di oppressione da parte dei turchi, che non sono mai riusciti a sottomettere questi valorosi montanari, e sono inoltre ritenute legittime le aspirazioni di questo Stato su Scutari711 . Per quel che riguarda la Serbia Mantegazza ricorda i difficili rapporti con l’Austria e si dichiara favorevole alla volontà di Belgrado di ottenere uno sbocco sull’Adriatico, criticando in questo caso l’allineamento dell’Italia sulla posizione austriaca 712 . Vengono poi lodati i progressi compiuti dalla Grecia, che sta vendicando la sconfitta del 1897, e simili considerazioni sono svolte anche a proposito della Bulgaria, i cui abitanti soltanto qualche decennio prima erano considerati «i paria della penisola»713 mentre ora si rivelano soldati valorosi e temerari, come del resto hanno già dimostrato i guerriglieri delle bande macedoni, il cui eroismo non è stato giustamente apprezzato dall’Europa negli anni precedenti714 . La simpatia con cui la maggior parte dell’opinione pubblica italiana guarda alla causa balcanica è dovuta anche alle analogie che vengono individuate fra le lotte di emancipazione di 708 Cfr. Mantegazza, La guerra balcanica op. cit., pag. 13. Cfr. Mantegazza, La guerra balcanica op. cit., pag. 25. 710 Mantegazza, La guerra balcanica op. cit., pag. 27. 711 Cfr. Mantegazza, La guerra balcanica op. cit., pp. 26-30. 712 Cfr. Mantegazza, La guerra balcanica op. cit. 713 Mantegazza, La guerra balcanica op. cit., pag. 42. 714 Cfr. Mantegazza, La guerra balcanica op. cit.; vedi anche Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pag. 63. 709 queste nazioni e le vicende del risorgimento italiano, e Mantegazza non fa eccezione a questo schema interpretativo 715 . Ad esempio nell’introduzione della conferenza, tenutasi a Torino, da cui è tratto questo scritto, il nostro saluta il Piemonte, artefice dell’unità italiana e additato come esempio dai popoli balcanici, che «si disputano fra loro come il più nobile dei titoli il diritto di chiamarsi il Piemonte dei Balcani», e menziona inoltre la recente fondazione a Belgrado di un giornale intitolato proprio Il Piemonte716 . Mantegazza, che ricorda anche la popolarità oltre Adriatico della figura di Garibaldi717 , si augura che l’Italia appoggi le aspirazioni degli alleati, considerato che per una volta interessi e sentimento si armonizzano perfettamente. Insieme all’orgoglio per aver favorito la conflagrazione in Oriente con l’impresa libica, traspare del rammarico per la stipulazione della pace proprio quando ha avuto inizio il conflitto balcanico, anche se, a parziale consolazione, si afferma che polemiche e «armeggi diplomatici» scompariranno nel «gran libro della storia», dove si ricorderà soltanto che «l’Italia prima gittò il guanto di sfida in nome della civiltà contro quelle orde mongoliche»718 . Nel 1914 poi, Mantegazza pubblicherà un volume in cui sono raccolti scritti e articoli, già apparsi su diversi quotidiani e riviste, riguardanti la guerra balcanica e risalenti ai mesi in cui si svolgono i fatti719 . In quest’opera si parla più volte della questione albanese, che invece viene completamente trascurata nella pubblicazione precedente. Fin da ottobre, quando ancora si discute poco dell’Albania, Mantegazza scrive che il problema di questo Paese sarà probabilmente il più grave da risolvere a guerra finita, vista l’inconciliabilità delle aspirazioni della Quadruplice con quelle della popolazione 715 Cfr. Dogo, Gli stati-nazione balcanici op. cit. Mantegazza, La guerra balcanica op. cit., pp. 5-6. 717 Cfr. Mantegazza, La guerra balcanica op. cit., pag. 46. 718 Mantegazza, La guerra balcanica op. cit., pp. 56-57. 719 Mantegazza, Questioni di politica op. cit. 716 schipetara 720 . L’autore biasima poi quest’ultima per aver combattuto a fianco dei turchi contro cui soltanto pochi mesi prima era in rivolta, riportando considerazioni presenti in larghi strati dell’opinione pubblica, presso cui la causa dell’Albania ha perso in parte popolarità proprio per questi motivi; se gli albanesi non avessero commesso questo errore ora i loro problemi sarebbero più facilmente risolvibili e gli altri Stati non attenterebbero all’integrità del loro Paese 721 . D’altra parte Mantegazza ricorda l’odio vero e proprio che divide gli schipetari dagli slavi e, in misura minore, dai greci, contro i quali si è rivolto il risveglio del sentimento nazionale albanese dopo il congresso di Berlino, sentimento che è più forte delle stesse differenze religiose722 . Nelle zone etnicamente miste la lotta è stata spesso feroce, soprattutto nella Vecchia Serbia, dove la politica ottomana e le violenze e le angherie degli albanesi, cui era concesso portare armi, hanno costretto i serbi ad emigrare e a rifugiarsi all’interno dei confini dello Stato serbo. Belgrado ha sempre cercato di impedire questi spostamenti che, insieme al diverso tasso di natalità delle due etnie, avrebbero presto avuto come conseguenza, se il vecchio regime fosse ancora durato a lungo, la sparizione dell’elemento slavo da questi territori e il sorgere di conseguenti difficoltà per le pretese della Serbia su queste zone. Mantegazza riporta poi i consueti argomenti storici della propaganda nazionale serba a proposito di questa terra «sacra», centro da cui si irradiò in tutto il suo splendore il grande regno medievale, dove si combatté la famosa battaglia di Kosovo Polje e dove si trovano le più belle e antiche testimonianze dell’arte religiosa serba 723 . Tornando alle persecuzioni cui i serbi sono stati sottoposti da parte degli albanesi, Mantegazza afferma che non è un mistero come questi ultimi siano sempre stati aiutati e incoraggiati in 720 Cfr. Mantegazza, Cfr. Mantegazza, 722 Cfr. Mantegazza, 723 Cfr. Mantegazza, 721 Questioni di politica op. cit., pp. 66-67. Questioni di politica op. cit., pag. 112; Dogo, Questione albanese op. cit. Questioni di politica op. cit., pp. 62-63. Questioni di politica op. cit., pp. 62-63, 195-99. questa lotta dai consoli austroungarici, «abili ed attivissimi strumenti della politica di Vienna, sempre indirizzata ad impedire lo sviluppo e l’ingrandimento della Serbia»724 . La posizione dell’Austria è analizzata in diversi articoli, in cui vengono messi in luce il disorientamento e l’inquietudine che regnano nella duplice monarchia, dove le vittorie alleate hanno colto tutti di sorpresa; solo ora si rivela pienamente «il colossale errore commesso dall’Aehrenthal» 725 con la rinuncia al sangiaccato di Novi Bazar, l’occupazione del quale da parte di serbi e montenegrini blocca la strada in direzione di Salonicco. È pertanto naturale che la duplice monarchia, perdute le speranze di espansione verso l’Egeo, si impunti ora sulla questione adriatica, che assume per lei in queste circostanze la massima importanza, senza dimenticare poi il proble ma sud-slavo nelle regioni meridionali dell’impero. Per questi motivi l’Austria ha minacciosamente mobilitato parte del suo esercito in Bosnia, e Mantegazza fa notare come Vienna ripeta così la mossa di trentaquattro anni prima, quando si apprestava a discutere con le altre potenze la sistemazione della penisola balcanica con l’esercito pronto a qualsiasi evenienza, allo scopo di far pesare maggiormente il proprio punto di vista e di influire sull’attitudine della Russia. Sempre col fine di limitare gli ingrandimenti degli Stati slavi, l’Austria è sostenitrice della nascita di una Grande Albania, e negli anni passati, secondo Mantegazza, ha spesso appoggiato e finanziato le rivolte albanesi contro il potere centrale ottomano 726 . Per quel che riguarda poi il veto al porto serbo sull’Adriatico, la questione, secondo l’autore, tocca il problema che caratterizzerà il ventesimo secolo, vale a dire la lotta fra razze «che si contenderanno l’egemonia nel vecchio come nel nuovo continente»727 , lotta di cui la presente guerra è già un primo 724 Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pag. 199. Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pag. 104. 726 Cfr. Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pp. 101-11. 727 Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pag. 108. 725 episodio. Nello scontro fra Germanesimo e Slavismo ciò che a prima vista può sembrare insignificante, come è il caso di uno sbocco serbo sull’Adriatico, potrebbe avere una grande importanza a seconda degli sviluppi futuri. Queste riflessioni vanno tenute in debita considerazione quando si giudica la politica dell’Italia, che ha appoggiato il punto di vista austriaco nella questione del porto serbo. Come si è visto, nella conferenza di novembre Mantegazza ha criticato questa presa di posizione da parte della Consulta; a gennaio, invece, riconosce i rischi, pur non immediati, di un’espansione slava fino all’Adriatico: «se si pensa[…]alle sterminate popolazioni slave, che possono un giorno gravitare su quelle coste dove l’Italianità è aspramente combattuta, e ahimè, perde terreno, dalle genti slave che si insediano ogni giorno più a Zara, a Spalato[…]la visione di un grande pericolo slavo, sia pure lontano, non può a meno di impressionare»728 . L’esistenza dell’Austria-Ungheria, secondo Mantegazza, diventa una necessità per l’Italia in quanto barriera contro il panslavismo, ma anche contro la minaccia, non meno grave, di una Grande Germania che arrivi fino a Trieste. L’autore di questi articoli ritiene quindi logica l’avvenuta rinnovazione della Triplice Alleanza, anche se esprime qualche riserva sulla precipitazione con cui è stata effettuata ed annunciata 729 . Nel mese di marzo, invece, Mantegazza sembra dare maggior peso al pericolo pangermanista, quando sottolinea che «forse, fino ad un certo punto», l’Italia ha il medesimo interesse dell’Austria a negare lo sbocco adriatico alla Serbia, ed ammette che i pericoli «di un porto iugo-slavo nell’Adriatico sono forse meno gravi di quelli che a tutta prima ci siamo figurati» 730 . Il noto pubblicista conclude che solo il tempo e lo sviluppo degli eventi potranno dire quale fra le due minacce che incombono sull’Adriatico sia più forte e più vicina. Pertanto sarebbe stata necessaria, da parte del 728 Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pag. 113. Cfr. Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pp. 113-14. 730 Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pag. 200. 729 governo italiano, «una diversa intonazione» nel seguire la politica austriaca, in modo da non perdere le simpatie della Serbia verso l’Italia 731 . Certamente quest’ultima non si è trovata in una situazione facile, dovendo scegliere fra l’amicizia dei serbi e i propri interessi in Albania, e va comunque detto che la Consulta è stata ad esempio conciliante verso Belgrado, a differenza dell’Austria, nelle questioni di Prizren, Djakova e Ipek. Resta però il fatto, secondo Mantegazza, che un atteggiamento più distaccato dalle posizioni austriache sarebbe stato della massima utilità per le relazioni italiane con la Serbia. Questo non significa abbandonarsi a inutili sentimentalismi, bensì tenere in debito conto gli interessi commerciali ed economici del Paese, che risentono indubbiamente della percezione che gli altri popoli hanno dell’Italia 732 . Mantegazza condivide con la gran parte delle classi dirigenti dell’epoca l’idea della grandezza del Paese e della necessità di conquistare un ruolo adeguato al suo rango di grande potenza. Sia ne La guerra balcanica che in questi scritti compaiono qua e là riferimenti alla guerra libica, alla grande posizione internazionale raggiunta dall’Italia con questa impresa e al destino luminoso che la attende, forte anche della sua potenza demografica 733 . L’autore si compiace inoltre del fatto che molti protagonisti del conflitto balcanico hanno studiato alla scuola militare di Torino; ad esempio Fitchev, attuale capo di stato maggiore dell’esercito bulgaro, ha espresso allo stesso Mantegazza grande riconoscenza per i suoi istruttori torinesi, «che queste nuove generazioni hanno saputo educare alla vittoria, sia che combattano fra le nevose balze della Tracia e della Macedonia o sulle sabbie del deserto della Libia nostra»734 . Come già ne La guerra balcanica, in questa raccolta di articoli non vengono risparmiate lodi e approvazioni 731 Cfr. Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pag. 201. Cfr. Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pp. 112, 201-04, 249. 733 Cfr. Mantegazza, La guerra balcanica op. cit.; Mantegazza, Questioni di politica op. cit. 734 Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pag. 75. 732 all’operato degli Stati balcanici e ai progressi compiuti da essi in pochi anni, con l’autore che dimostra tutta la sua simpatia per queste nazioni nonché grande ammirazione per le gesta belliche di cui si rendono protagonisti i loro soldati735 . Fin da febbraio però, svanito da tempo l’entusiasmo per la ritrovata concordia fra le etnie cristiane della penisola, viene dato ampio spazio ai primi screzi fra gli alleati e alle divergenze a proposito della spartizione dei territori conquistati ai turchi. Le due questioni più scottanti sono individuate nel destino delle città di Monastir e Salonicco. Riguardo alla prima Mantegazza, che illustra ampiamente tutte le argomentazioni che serbi e bulgari chiamano a loro sostegno, sembra sostenere la posizione della Bulgaria, riconoscendo che questa ha realmente affrontato il peso maggiore della guerra e considerando che Monastir e suoi dintorni sono senza dubbio bulgari per composizione etnica, oltre che per tradizioni storiche. Lo stesso non si può dire però di Salonicco, ma su questa città sembra, secondo Mantegazza, che sia più facilmente raggiungibile un accordo fra Grecia e Bulgaria. Il pubblicista italiano si augura che gli statisti dei Paesi della Quadruplice sappiano essere responsabili e riescano a resistere alle pressioni dell’opinione pubblica interna, eccitata dalle vittorie conseguite ed eccessivamente polemica nei confronti degli alleati, verso cui non è disposta a fare concessioni. Invece sarà necessario che tutti rinuncino a qualcosa abbandonando le pretese massime, in modo da perpetuare gli accordi che così tanti vantaggi hanno recato ai rispettivi Paesi, aumentandone inoltre l’indipendenza dalle grandi potenze 736 . A marzo, comunque, Mantegazza dimostra di non credere alle voci sulla presunta alleanza serbo-greca in funzione antibulgara, anche se deve riconoscere i sempre più cordiali rapporti fra Belgrado e Atene, con la Serbia che sta sicuramente cercando un accordo per uno 735 736 Cfr. Mantegazza, Questioni di politica op. cit. Cfr. Mantegazza , Questioni di politica op. cit., pp. 179-87. sbocco commerciale, se non territoriale, sull’Egeo, ciò che implica il possesso serbo di Monastir e della Macedonia occidentale, che invece la Bulgaria rivendica per sé 737 . A proposito poi del dissidio bulgaro-rumeno, Mantegazza difende la Romania dalle accuse di opportunismo di una parte della stampa europea 738 e ricorda come a Bucarest non si parli di compenso, ma di una giusta rettifica di confini per allontanare l’eventuale pericolo di un irredentismo bulgaro in Dobrugia. Mentre a gennaio, quando si svolgono a Londra trattative fra i due Paesi, l’autore di questi articoli si dimostra ottimista su una soluzione diplomatica della questione 739 , ad aprile, mentre si sta tenendo la conferenza di San Pietroburgo, la situazione è definita incerta e preoccupante, soprattutto per quel che riguarda l’assegnazione della città di Silistria. La risoluzione di questa disputa è della massima importanza per l’equilibrio del sistema delle relazioni internazionali, in quanto da essa potrebbe dipendere la collocazione nell’orbita della Triplice Alleanza o dell’Intesa da parte della Roma nia, la cui politica estera è dominata da due differenti irredentismi in Bessarabia e in Transilvania. Infine viene ricordata la simpatia con cui in questo Paese si guarda all’Italia, e il grande interesse, confermato all’autore da un colloquio con lo stesso re Carol, che esiste a Bucarest per la linea ferroviaria DanubioAdriatico, la quale agevolerebbe notevolmente i commerci fra Italia e Romania (la qual cosa è di grande interesse personale per lo stesso Mantegazza, socio della Compagnia di Antivari, località dove potrebbe sorgere il capolinea di quella ferrovia) 740 . Quando si presenta la questione di Scutari l’autore non nasconde la sua simpatia per il Montenegro («Questa volta la fortuna ha tradito questo pugno di valorosi») 741 , che pare ora avere tutti contro, compresa la sua tradizionale protettrice, la Russia, che si associa 737 Cfr. Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pp. 208-23. Cfr. Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pp. 184-85. 739 Cfr. Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pp. 279-85. 740 Cfr. Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pp. 285-93. 741 Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pag. 245. 738 ai passi delle altre potenze per far sgombrare la città. È difficile stabilire cosa abbia causato la nuova attitudine di San Pietroburgo, che in un primo momento si era rifiutata di prender parte alla dimostrazione navale, pur non disapprovandola. Probabilmente, secondo Mantegazza, si tratta solo di una tregua temporanea con l’Austria che non va sopravvalutata, oppure la Russia, che d’altronde non si è ancora ripresa del tutto dalla sconfitta subita in estremo Oriente, ha sacrificato il Montenegro perché guarda già al momento del crollo della Turchia asiatica 742 . Del resto dall’inizio della guerra balcanica si possono individuare due momenti distinti nelle relazioni austro-russe, in evidente analogia con quanto accaduto al tempo della crisi bosniaca: in una prima fase regna la massima tensione, con i rispettivi eserciti in parte schierati alle frontiere e con la Germania che assume un contegno riservato; in seguito diventa chiaro che la Russia non intende farsi trascinare in una guerra per difendere gli Stati balcanici, mentre Berlino «esce dal riserbo e prende posizione a fianco della sua alleata, pronta a sguainare la spada… quando si sa che le spade rimarranno nel fodero»743 . L’Austria, da parte sua, cerca chiaramente di danneggiare i due Stati serbi ingrandendo il più possibile l’Albania, che, aperta alla sua influenza, diventerebbe il mezzo per continuare a intromettersi negli affari balcanici. Un altro strumento per nuocere al serbismo è il protettorato sulle popolazioni cattoliche, a cui Vienna fa ricorso da tempo per i suoi fini politici e che vorrebbe mantenere anche sui territori passati sotto la sovranità della Serbia, per limitarne l’indipendenza 744 . Anche nel nascente dissidio fra Belgrado e Sofia la duplice monarchia, secondo Mantegazza, «getta olio sul fuoco», poiché vedrebbe di buon occhio la rottura dell’alleanza e soprattutto l’indebolimento serbo a vantaggio della Bulgaria. In ciò l’Austria si distingue dalla Germania, di cui è l’avanguardia nella 742 Cfr. Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pp. 243-57. Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pag. 247. 744 Cfr. Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pp. 213-14, 243-57. 743 lotta contro lo slavismo, dal momento che a Berlino, invece, «è considerato nemico tutto ciò che è slavo»745 . Per quel che riguarda in particolare la crisi di Scutari l’Austria vuole chiaramente umiliare il Montenegro, simbolo dell’indipendenza della razza serba, Paese che negli ultimi anni, dopo l’abolizione di alcune clausole del trattato di Berlino in seguito all’annessione della Bosnia, è riuscito sempre a sfuggire alla sua influenza. Inoltre con Scutari, principale centro cattolico dell’Albania, inclusa nel nuovo Stato, la Ballplatz consoliderebbe la sua politica cattolica nella regione e troverebbe facilmente pretesti per intervenire, in ragione del protettorato, negli affari interni di Serbia e Montenegro 746 . Mantegazza riconosce che l’Italia, nonostante le sue simpatie per il piccolo regno slavo, non poteva non partecipare alla dimostrazione navale, soprattutto dal momento che su essa è stato raggiunto l’accordo europeo. Però avrebbe potuto certamente tenere un atteggiamento più passivo, in particolare all’inizio della crisi, quando il pericolo di un conflitto fra Austria e Russia non era ancora scemato del tutto. Così l’Italia avrebbe allontanato da sé il risentimento e l’animosità del popolo serbo, lasciando che questi si indirizzassero su altre nazioni; d’altra parte l’atteggiamento dell’opinione pubblica italiana, favorevole fin dall’inizio della guerra alla causa alleata, è conosciuto ed apprezzato nei Balcani, e ha fatto dimenticare a questi popoli la delusione per la firma della pace di Losanna. In altre parole Mantegazza esprime ancora una volta la necessità di quella «diversa intonazione» nell’azione diplomatica della Consulta, che avrebbe l’effetto di non far svanire le simpatie dei popoli balcanici verso l’Italia, la quale se ne avvantaggerebbe nella diffusione oltre Adriatico dei prodotti delle proprie industrie 747 . 745 Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pag. 227. Cfr. Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pp. 243-57. 747 Cfr. Mantegazza, Questioni di politica op. cit., pp. 248-49. 746 Capitolo quinto Il Partito Socialista: internazionalismo e pacifismo I socialisti italiani hanno sempre riservato un interesse relativamente modesto alla politica internazionale e alla politica estera; d’altronde in questo campo la loro possibilità di esercitare una certa influenza è minima, dal momento che in materia lo stesso sovrano mantiene ancora ampie prerogative, mentre l’azione e le decisioni della diplomazia restano sconosciute ai più e, molto spesso, allo stesso parlamento. In ambito socialista prevalgono tradizionalmente le tematiche pacifiste e antimilitariste, e si pensa che la politica estera e le manovre della diplomazia siano un qualcosa legato all’antico regime, agli intrighi dinastici, con la stessa borghesia che in questo campo è ancora tenuta al margine delle decisioni più importanti. Col tempo cresce l’interesse dei socialisti per gli affari esteri del Paese, e in alcuni settori si fa strada l’idea che non sia indifferente per il proletariato che si affermi una certa politica piuttosto che un’altra748 . Tuttavia, negli anni precedenti i conflitti balcanici (e anche durante il loro svolgimento), il Partito Socialista è ancora impreparato sui grandi temi di politica estera ed internazionale, e le divisioni al suo interno si riflettono nella mancanza di posizioni precise al riguardo 749 . Salvemini in questo periodo critica nei socialisti «il disinteresse sostanziale per i problemi di politica internaziona le[…]la scarsa capacità di affrontarli 748 Cfr. E. Decleva, Anna Kuliscioff, Turati e la ricerca di una politica estera socialista (1900-1915), in Anna Kuliscioff e l’età del riformismo. Atti del convegno di Milano – dicembre 1976, Roma, Mondo Operaio – Edizioni Avanti!, 1978, pp. 202-29. 749 Cfr. M. Degl’Innocenti, L’età giolittiana, in Storia del socialismo italiano, a cura di G. Sabbatucci, Roma, Il Poligono, 1980. con mentalità moderna e con un livello adeguato di conoscenze tecniche»750 . Lo stesso Turati, nel 1908, ammette in una lettera alla Kuliscioff la vera e propria ignoranza, da parte del partito, delle basi tecniche indispensabili per avere anche solo delle opinioni generali sulle questioni internazionali 751 . Ostili alla politica coloniale del periodo crispino, i socialisti, dopo la svolta di fine secolo e dopo il riavvicinamento alla Francia culminato negli accordi del 1902, superano in parte la tradizionale avversione dell’estrema per la Triplice Alleanza, la quale, ora che non è più intesa in maniera totalizzante come ai tempi di Crispi ed è bilanciata dalla politica delle amicizie, incomincia a venire apprezzata come strumento di pace e di equilibrio europeo. Come conseguenza della nuova posizione internazionale dell’Italia viene bloccata la crescita delle spese militari e, pertanto, aumentano i fondi disponibili per la politica di riforme e di sviluppo interno del Paese, portata avanti dal governo di Giolitti e appoggiata dagli stessi socialisti, al cui interno prevalgono ora le correnti riformiste. Dopo l’annessione della Bosnia e il clima di eccitazione che segue in Italia, i socialisti si oppongono all’aumento delle spese militari, ritenuto, soprattutto da Turati, incompatibile con la politica di riforme sociali 752 . Intanto, nella “destra” del partito, Bissolati sviluppa nuove riflessioni sulle tematiche di politica estera, arrivando alla conclusione che anche il proletariato deve riconoscere l’esistenza di alcuni interessi nazionali che vanno salvaguardati; in Bissolati la politica estera acquista una sua autonomia ed una sua importanza per lo stesso movimento socialista, mentre per Turati e gli altri riformisti ciò che conta sono soprattutto i riflessi sul piano interno, con il problema delle spese 750 La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, vol. V, a cura di F. Golzio e A. Guerra, Torino, Einaudi, 1962, pag. 76. 751 Cfr. Decleva, Anna Kuliscioff op. cit., pag. 214. 752 Cfr. Decleva, Anna Kuliscioff op. cit.; Decleva, I partiti popolari op. cit. militari sempre in primo piano 753 . La guerra di Libia rappresenta certamente un momento importante per il Partito Socialista, che ha appoggiato la formazione all’inizio del 1911 di un nuovo gabinetto Giolitti con un programma di ampie riforme. L’opposizione all’impresa tripolina non ha molto successo; l’idea di Turati di tornare al blocco di forze democratiche che ha sconfitto il tentativo reazionario di fine secolo si rivela irrealizzabile, visto l’atteggiamento favorevole alla guerra di parte dei repubblicani e di molti radicali. Mentre Turati, Treves e gli altri riformisti ritengono incompatibile la spedizione libica con il proseguimento della politica di riforme e si oppongono all’impresa soprattutto per motivi etici e morali, Bissolati e la sua corrente, pur criticando modi e tempi dell’azione governativa, non sono irriducibilmente ostili ad essa, e soprattutto non reputano che implichi necessariamente l’uscita dalla maggioranza parlamentare e il ripudio dell’avanzato programma riformista con cui l’attuale governo si è presentato 754 . Intanto le correnti intransigenti e rivoluzionarie guadagnano terreno nella base del partito, opponendosi senza compromessi alla spedizione libica e rilanciando con veemenza le consuete tematiche pacifiste, internazionaliste e antimilitariste. La stessa condotta dei riformisti di sinistra, con la notevole campagna dell’Avanti!, diretto da Claudio Treves, contro la guerra, finisce per rimanere subordinata all’azione degli intransigenti, i quali, nel congresso di Reggio Emilia del luglio 1912, riescono a conquistare la guida del partito ed ottengono l’espulsione di Bissolati, Bonomi e Cabrini con l’ordine del giorno presentato da Benito Mussolini. Questi appare come la figura nuova del socialismo rivoluzionario, un agitatore abile a cogliere gli umori e le passioni delle masse, come dimostra sulle colonne dell’Avanti!, che dirigerà a partire dal dicembre 1912 dandogli un indirizzo 753 Cfr. Z. Ciuffoletti, Storia del PSI, vol. I, Le origini e l’età giolittiana, Roma-Bari, Laterza, 1992, pp. 340-45. 754 Cfr. Ciuffoletti, op. cit., pp. 387-402; Decleva, Anna Kuliscioff op. cit., pp. 218-23. aggressivamente rivoluzionario 755 . L’affermazione degli intransigenti a capo del partito, il cui gruppo parlamentare resta però in maggioranza riformista, comporta un’accentuazione delle tematiche antimilitariste e pacifiste, che già da un po’ di tempo conoscono una forte ripresa. Ora si sente spesso parlare di solidarietà internazionalista, di ripudio dell’idea borghese di patria 756 , di «classe lavoratrice universalmente affratellata sopra tutte le frontiere»757 . Per quanto riguarda in particolare la questione d’Oriente, alla vigilia del conflitto i socialisti italiani sono a favore di una confederazione balcanica, al di fuori di ogni ingerenza austriaca o di altre potenze, come auspicato da più di una conferenza dei partiti socialisti di quei Paesi negli anni precedenti758 . Dopo lo scoppio della guerra la direzione del partito approva, in una riunione dell’8 novembre, un ordine del giorno presentato da Mussolini in cui ci si richiama, appunto, alla mozione votata dai socialisti dei Paesi balcanici riuniti a Belgrado nel 1911, nella quale si propugna la nascita di una confederazione repubblicana dei popoli della penisola, riprendendo così una vecchia idea di origine ottocentesca. Il partito fa sua la formula, che riecheggia sui giornali di tutta Europa, compresi quelli liberali, «I Balcani ai popoli balcanici», con la precisazione però che essa è valida anche per gli albanesi e per i turchi, i cui diritti etnici e religiosi vanno salvaguardati. L’ordine del giorno, che si richiama anche alla posizione prevalente nell’Internazionale di fronte a questo conflitto, prosegue con l’opposizione ad ogni intervento delle grandi potenze teso a riportare in vita lo status quo, e ribadisce la necessità di porre un freno alle spese militari, a maggior ragione ora che si sta risolvendo la questione d’Orie nte, spesso invocata come pericolo che 755 Cfr. Ciuffoletti, op. cit. Cfr. Degl’Innocenti, op. cit.; Ciuffoletti, op. cit. 757 Gli eredi, in Avanti!, 10 ottobre 1912, pag. 1. 758 Cfr. Degl’Innocenti, op. cit., pag. 418. 756 giustificava la necessità di nuovi armamenti759 . L’Avanti!, che dopo la vittoria degli intransigenti a Reggio Emilia è passato dalla direzione di Treves a quella di Giovanni Bacci, quando il conflitto sta ormai per cominciare non risparmia critiche, non diversamente da quanto fanno molti quotidiani liberali, all’azione dell’Europa, che in questi anni «ha fatto da mezzana alla Turchia per l’oppressione dei popoli al solo fine della solitudine che chiamava pace»760 . Con ciò l’Avanti! non si associa alla simpatia del resto dell’opinione pubblica italiana per la causa alleata, invitando a distinguere nella presente guerra «ciò che è slancio proprio dei popoli e ciò che è ambizione delle dinastie»761 . Questo conflitto ha ben poco a che fare con il principio di nazionalità invocato da più parti, e pertanto viene lodato l’atteggiamento di quei deputati socialisti bulgari e serbi che nei rispettivi parlamenti hanno coraggiosamente condannato la guerra, nonostante il clima a dir poco sovraeccitato che regna a Sofia e Belgrado, mentre si riaffermano i principi del pacifismo e della solidarietà internazionalista fra lavoratori762 . Nelle settimane seguenti il giornale socialista mantiene questa linea, che si distingue per originalità rispetto alle posizioni del resto dell’opinione pubblica, compresa quella democratica, e piange i proletari morti da ambo le parti, ««servi ed oppressi gli uni e gli altri, e si sgozzarono come nemici…»763 . La responsabilità di tutto ciò è dell’Europa civile, che non ha voluto imporre le riforme necessarie alla Turchia, difendendone allo stesso tempo l’integrità territoriale in nome della pace europea, e permettendo così che la Porta continuasse ad opprimere le nazionalità non turche dell’impero. Il non aver provveduto prima alla risoluzione di questi problemi con mezzi diplomatici ha avuto come conseguenza la tragedia dell’attuale guerra, e in ciò consiste 759 Cfr. Mussolini, Opera omnia, vol. IV, op. cit., pp. 223-24. Gli eredi art. cit. 761 Gli eredi art. cit. 762 Cfr. Gli eredi art. cit. 763 C., L’enorme crimine europeo, in Avanti!, 6 novembre 1912, pag. 1. 760 «l’enorme crimine europeo»764 . La posizione dell’Avanti! e dei socialisti italiani è concorde del resto con quella dell’Internazionale, che disapprova il presente conflitto e si mobilita per evitare lo scoppio di una guerra europea. Gli stessi partiti socialisti degli Stati belligeranti, compreso quello turco, si oppongono alla guerra e rilanciano l’idea di una federazione balcanica che comprenda tutti i popoli della penisola, e le loro riflessioni sono spesso riportate dall’Avanti!765 . In tutti i Paesi europei si tengono manifestazioni pacifiste e vengono formulate dichiarazioni in favore della pace nei Balcani e nel mondo 766 . Proprio allo scopo di affermare l’opposizione socialista ad un eventuale conflitto generale, viene poi decisa la convocazione di un congresso straordinario dell’Internazionale, che si svolge con pieno successo alla fine di novembre a Basilea 767 . Intanto sul quotidiano socialista vengono seguiti e commentati gli eventi balcanici e gli sviluppi della politica internazionale ad essi legati. La proposta di Poincaré di convocare una conferenza per imporre il decentramento amministrativo o l’autonomia alle regioni balcaniche dell’Impero ottomano viene accolta abbastanza favorevolmente; si riconosce però che questa iniziativa difficilmente avrà successo per l’opposizione della Germania, che in odio alla Francia ed in omaggio ai suoi interessi in Turchia non vuole far nulla che possa dispiacere alla Porta. A questo proposito si biasima l’atteggiamento dell’Italia in appoggio a Berlino e si denuncia la francofobia presente in certi circoli militari, a corte 764 e nella stessa diplomazia, dove è impersonata, secondo l’Avanti!, Cfr. C., L’enorme crimine art. cit. Cfr. L’”Internazionale” contro la guerra. Un manifesto dei socialisti della Turchia e dei Balcani, in Avanti!, 19 ottobre 1912, pag. 3; D. Blagoeff, Alleanza militare e alleanza di popoli nei Balcani, in Avanti!, 21 dicembre 1912, pag. 1. 766 Ad esempio, cfr. Di chi è la colpa? Il pensiero dei socialisti tedeschi, in Avanti!, 10 ottobre 1912, pag. 2; la Consulta riceve spesso dalle ambasciate italiane i resoconti di manifestazioni socialiste contro la minaccia di guerra europea (A titolo di esempio, cfr. ASMAE, serie politica, b. 737, rap. 2412/1011, 11 novembre 1912, Avarna a San Giuliano). 767 Cfr. Il significato e l’importanza del convegno di Bruxelles, in Avanti!, 31 ottobre 1912, pag. 1; Il Congresso internazionale di Basilea, in Avanti!, 25 novembre 1912, pag. 1. 765 dall’ambasciatore a Parigi Tittoni768 . La Consulta teme poi di inimicarsi gli Stati balcanici, dai quali l’Italia deve ancora farsi perdonare la firma della pace di Losanna quando questi si accingevano a entrare in guerra, ma, secondo il giornale socialista, se la proposta francese fosse davvero indirizzata a far trionfare la pace e a far riconoscere i giusti diritti dei sudditi cristiani della Turchia, bisognerebbe appoggiarla, anche a costo di deludere «le aspirazioni territoriali dei reucci balcanici, perché fra queste e il buon diritto dei macedoni e degli albanesi non vi è assolutamente nulla di comune»769 . In occasione poi del viaggio in Italia di Berchtold, Claudio Treves firma un articolo in cui ritiene improbabile che sia stata rinnovata la Triplice in questa circostanza. Vista l’intricata situazione creata dal conflitto balcanico, conseguenza anche della guerra italo-turca, prima di accingersi a questo passo il buon senso consiglia di aspettare la fine di questa crisi, che sta chiaramente rivoltando gli equilibri internazionali, tenuto anche conto del fatto che mancano parecchi mesi alla scadenza del trattato. I buoni rapporti dell’Italia con la Russia sono sottolineati dandogli forse più importanza di quella che meritano, ma ciò succede non solo in questo articolo e non solo sull’Avanti!770 . Secondo Treves l’Italia dovrebbe cercare «una leale intesa con tutte quelle Potenze che mirino a dare soddisfazione ai popoli balcanici, a strapparli al martirio sanguinoso del vecchio giogo turco, e mirino a dare un ordine alle cose balcaniche di tal natura che nessun ingrandimento territoriale austriaco ne segua a scapito degli interessi italiani. I due postulati si concretano in uno, la costituzione di un forte cuscinetto greco-slavoalbanese che[…]impedisca la avanzata al sud dell’Austria e della Russia o scongiuri 768 Cfr. C., L’iniziativa della Francia e gli atteggiamenti italo-tedeschi, in Avanti!, 22 ottobre 1912, pag. 1. 769 C., L’iniziativa della Francia art. cit. Cfr. c. t. (C. Treves), Otto mesi davanti a noi…, in Avanti!, 24 ottobre 1912, pag. 1; C., L’iniziativa della Francia art. cit.; vedi pag. 207. 770 così il loro scontro violento e l’urto altresì dell’Austria e dell’Italia…»771 . Gli argomenti di Treves non sono poi molto lontani da quelli usati in ambito liberale, anche se qui viene maggiormente enfatizzata l’importanza di una risoluzione della questione balcanica che faccia finalmente sparire i pericoli di guerra fra le grandi potenze. L’esponente riformista analizza qualche giorno dopo i primi risultati delle operazioni belliche in un interessante articolo dal significativo titolo La guerra rivoluzionaria. In esso Treves constata la disfatta dell’Impero ottomano, il cui processo di dissoluzione sembra ormai avviato in maniera irreversibile, e ne ricerca le cause più profonde, a prescindere dall’attuale conflitto. La conclusione è che la Turchia sta crollando per l’intervento di un fattore esogeno che ne ha minato lentamente le basi, così come l’impero romano crollò per l’infiltrazione della religione cristiana. Il ruolo avuto dal Cristianesimo nell’antichità è svolto nell’Impero ottomano dal capitalismo 772 : «è la finanza europea, sono gli inizi del sistema di produzione capitalistico con tutti i contraccolpi che recano con sé quelli[…]che hanno[…]scavato e scavano con un lavorio sordo, persistente, inesorabile, immane, come di innumeri legioni di talpe, il sottosuolo dell’Impero»773 . È la rivoluzione apportata dall’introduzione del capitalismo, con i conseguenti sovvertimenti e turbamenti, che insieme alla persistenza di molti caratteri tipici di una società «agrario- militare-religiosa» ha dato vita ad «un paradosso storico insuperabile» ed all’inevitabile, ad un certo punto, crollo dell’edificio politico imperiale 774 . L’Avanti! prende presto posizione in difesa degli albanesi, i cui diritti vanno riconosciuti se si vuole realmente rispettare la formula «I Balcani ai popoli 771 c. t., Otto mesi art. cit. Cfr. c. t., La guerra rivoluzionaria, in Avanti!, 2 novembre 1912, pag. 1. 773 c. t., La guerra rivoluzionaria art. cit. 774 c. t., La guerra rivoluzionaria art. cit. 772 balcanici» 775 , e non risparmia accuse alla Quadruplice, la quale, «risorta in nome della libertà, tradisce, mente a sé stessa, mostra tutti i suoi regi istinti di ladroneccio, un istante coverti sotto il belletto dell’idealismo dell’indipendenza, quando essa vuol sbranare l’Albania, una razza, una lingua, un territorio che hanno diritto di vivere da sé, senza diventare slavi o greci»776 . Il quotidiano socialista non disconosce i grossi problemi di quel Paese, quando ricorda che «l’Albania, oggi come oggi, è un’espressione etnografica[…]ma non è[…]un’espressione politica precisa», mentre «la sua divisione religiosa spinge i suoi figlioli a combattere i turchi coi turchi, i cristiani coi cristiani» 777 . L’Avanti! mette però in guardia dalle macchinazioni della diplomazia austroungarica, la quale potrebbe cercare nel nuovo Stato i compensi alle vittorie degli alleati balcanici che hanno posto fine ai suoi progetti egemonici. Bisogna inoltre assolutamente evitare che l’Albania diventi terreno di scontro fra Austria e Italia e che le due potenze si spartiscano il Paese o lo dividano in sfere di influenza, tutte soluzioni che creerebbero nuove difficoltà e persistente tensione fra Roma e Vienna, col pericolo sempre presente di una guerra. Nello stesso tempo il proletariato si deve opporre quando Austria e Italia si atteggiano a protettrici dell’Albania col solo scopo di intervenire con un pretesto per cercare un «colpo reazionario» ai danni della Quadruplice, eguagliando quest’ultima nelle menzogne a proposito del principio di nazionalità 778 . L’Avanti! è contrario anche alle pretese serbe di avere uno sbocco sull’Adriatico in territorio albanese, anche se sottolinea appunto come l’opposizione di Austria e Italia sia tutt’altro che disinteressata, mentre la Germania le lascia fare vedendo di buon occhio tutto ciò che ostacola la marcia dello slavismo. Le aspirazioni della Serbia e della Quadruplice 775 Cfr. L’ora dell’Albania, in Avanti!, 7 novembre 1912, pag. 1. Tra i litiganti…, in Avanti!, 15 novembre 1912, pag. 1. 777 L’ora dell’Albania art. cit. 778 Cfr. Tra i litiganti art. cit.; L’ora dell’Albania art. cit. 776 tradiscono in realtà le sordide cupidigie territoriali delle dinastie balcaniche e delle caste militari, dal momento che, con l’auspicata formazione di una confederazione di Stati, comprendente anche l’Albania, le vie di comunicazione e i porti sull’Adriatico e sull’Egeo sarebbero aperti a parità di condizioni a tutti i Paesi balcanici779 . Come si vede, in questo periodo viene ancora dato per molto probabile il consolidamento dell’alleanza al termine della guerra e la nascita di una vera e propria confederazione. Questa previsione un po’ ingenua è del resto comune in queste settimane a gran parte della stampa e degli osservatori, e persino un “esperto” come Mantegazza la ritiene verosimile 780 . Tornando al dissidio fra Vienna e Belgrado, secondo il giornale socialista, «terzo tra i due ladroni litiganti, il proletariato interverrà per proclamare che tra l’Austria e la Serbia, fra l’Austria e la Quadruplice, tra l’una Triplice e l’altra, esso non intende fare col suo sangue le spese della contesa»781 . L’Albania, in conclusione, deve essere creata e posta come elemento di equilibrio fra Italia ed Austria e all’interno della confederazione balcanica, affinché quest’ultima non sia a schiacciante prevalenza slava, e non dia così il pretesto a Vienna per intervenire nuovamente in futuro in ragione del problema sud-slavo all’interno dei suoi confini 782 . Intanto anche Mussolini espone le sue considerazioni sul conflitto balcanico in comizi pubblici e in articoli su La lotta di classe e sull’Avanti!. Il crollo della Turchia europea gli sembra un grande successo della Russia, che da due secoli appoggia le lotte dei popoli balcanici col fine di impossessarsi di Costantinopoli e di diventare così una potenza mediterranea a tutti gli effetti783 . Mussolini sostiene però che la fine del dominio ottomano in Europa non deve far trascurare i diritti legittimi delle popolazioni 779 Cfr. Tra i litiganti art. cit. Vedi pp. 195-96; cfr. Mantegazza, La guerra balcanica op. cit., pag. 55. 781 Tra i litiganti art. cit. 782 Cfr. Tra i litiganti art. cit.; L’enigma austriaco, in Avanti!, 12 dicembre 1912, pag. 1. 783 Cfr. Mussolini, Opera omnia, vol. IV, op. cit., pp. 225-26. 780 turche della penisola, oltre che di quelle albanesi. Citando il geografo anarchico francese Reclus, egli ricorda che l’elemento turco è presente in gran numero nei territori che la Quadruplice sta conquistando, e certamente non può essere sterminato o costretto ad abbandonare quella che è divenuta nei secoli anche la sua terra, dal momento che «La sconfitta di un esercito non significa esodo di tutto un popolo»784 . Va riconosciuto che i socialisti sono forse gli unici a fare queste riflessioni e a sostenere i diritti degli abitanti turchi, mentre il resto dell’opinione pubblica sembra trascurare la loro sorte, che, come si è detto, nelle zone conquistate dagli alleati non è sempre felice, viste le violenze e i soprusi di cui sono vittime le popolazioni musulmane, costrette in molti casi ad una migrazione forzata. Mussolini ribadisce anche il rifiuto socialista della guerra e nega che questa possa precedere e preparare l’avvento della rivoluzione: «è una illusione, un sofisma[…]la guerra non crea il sentimento rivoluzionario là dove non esiste; anzi lo deprime e quando è debole lo atterra»785 . Pochi anni più tardi, come è noto, Mussolini ribalterà queste convinzioni quando diventerà sostenitore dell’intervento nel conflitto mondiale in nome della “guerra rivoluzionaria”. L’agitatore romagnolo scrive anche un articolo, pubblicato sull’Avanti!, in cui prende di mira la spedizione delle camicie rosse di Ricciotti Garibaldi a fianco dell’esercito greco. Non senza sarcasmo vengono sottolineati gli anacronismi di questa impresa e si afferma che nelle guerre moderne non c’è più posto per i corpi volontari, impotenti «di fronte a masse disciplinate e da molto tempo allenate»»786 . Il garibaldinismo, pertanto, ha fatto il suo tempo e «non è possibile[…]riprodurlo in una edizione riveduta e corretta ad uso e consumo degli eroi a scartamento molto ridotto dell’Italia contemporanea. Tanto riveduta e corretta è l’odierna edizione ricciottiana del garibaldinismo che[…]avrebbe 784 Mussolini, Opera omnia, vol. IV, op. cit., pag. 227. Mussolini, Opera omnia, vol. IV, op. cit., pp. 234-35. 786 Mussolini, Opera omnia, vol. IV, op. cit., pag. 230. 785 ottenuta l’approvazione di Giovanni Giolitti, l’uomo che è la negazione vivente di ogni romanticismo»787 . L’ennesima e forse più grave contraddizione è rappresentata poi dalla volontà della Quadruplice di spartirsi l’Albania, quando proprio i garibaldini soltanto un anno prima ha nno vagheggiato una spedizione in sostegno ai rivoltosi albanesi. Del resto Mussolini ricorda che «Una guerra di nazionalità intrapresa da monarchie si conclude sempre nel mercato e nel tradimento dei popoli» 788 , e conclude il suo intervento invitando i giovani volontari in buona fede a mettere le loro vite in gioco, piuttosto che per «sciupare un nome e diminuire una leggenda», per migliorare il destino della patria, di «questa Italia che sospingerete rapidamente, col vostro spirito di sacrificio e col vostro desiderio d’azione, a migliori destini» 789 . Il 5 dicembre viene poi rinnovata la Triplice Alleanza e Mussolini, divenuto dall’inizio di quel mese direttore dell’Avanti!, scrive giustamente che una delle cause dell’anticipato rinnovo si trova nella volontà di mostrare la solidità e la forza dell’alleanza in vista dell’inizio della conferenza di Londra 790 . Dopo aver ribadito i consueti argomenti pacifisti ed internazionalisti, Mussolini afferma che l’Italia della Triplice «è l’Italia dinastica e affaristica, che nulla ha [a] che vedere con le classi lavoratrici, come la Germania e l’Austria che fanno, disfanno e rifanno la tela delle alleanze, rappresentano le rispettive case regnanti, i ceti capitalistici, le caste parassitarie»791 . Il patto con gli imperi centrali, secondo il neo direttore del quotidiano socialista, ha nuociuto all’Italia «trascinandola nelle stolte competizioni militaresche che costrinsero e costringono il popolo italiano a tanti sacrifici per concedersi il lusso di un “grande esercito” e di una “flotta 787 Mussolini, Opera omnia, vol. IV, op. cit., pp. 229-30. Mussolini, Opera omnia, vol. IV, op. cit., pag. 230. 789 Mussolini, Opera omnia, vol. IV, op. cit., pag. 231. 790 Cfr. B. Mussolini, Opera omnia, a cura di E. e D. Susmel, vol. V, Dalla direzione dell’Avanti! alla vigilia della fondazione di «Utopia», Firenze, La Fenice, 1953, pag. 10. 791 Mussolini, Opera omnia, vol. V, op. cit., pag. 11. 788 potente”»792 . Anche ponendosi dal punto di vista dell’Italia «dinastica, capitalistica», la rinnovazione del patto in questo momento è un errore, perché ci sarebbe stato tutto da guadagnare dal temporeggiare, aspettando perlomeno la fine del conflitto balcanico e la conseguente nuova disposizione degli equilibri internazionali, come del resto vanno ripetendo quasi tutte le forze d’opposizione italiane 793 . Anche fra le correnti riformiste del partito il rinnovo della Triplice è visto come un passo azzardato, apparentemente inconciliabile con la politica del «piede in casa», l’unica che eviterebbe al Paese impegni diplomatici e militari gravosi e permetterebbe il rilancio di una linea di governo riformista 794 . La Kuliscioff, ad esempio, in questo periodo è molto allarmata per il contegno dell’Austria e per la situazione internazionale, che le pare in pericoloso movimento e che «fa presentire una guerra delle più terribili» 795 . Ella teme che il patto con gli imperi centrali possa trascinare l’Italia in una guerra antislava per il perseguimento di interessi esclusivamente austriaci che risultano contrari a quelli commerciali del Paese, che non deve alienarsi le simpatie degli Stati balcanici796 . Anche alla Camera, dove fra i deputati socialisti i riformisti sono in netta maggioranza, Graziadei, nella seduta sulla politica estera del 22 febbraio, critica la presunta fretta con cui è avvenuto il rinnovo del trattato e il fatto che non siano state ottenute garanzie per le popolazioni italiane soggette alla duplice monarchia. Dichiara però che la Triplice non viene adeguatamente apprezzata come strumento di pace e di equilibrio europeo, e critica l’immotivato sentimentalismo filofrancese dell’estrema. Nel suo intervento dimostra poi una certa sensibilità per la questione adriatica e sembra non disapprovare l’azione del governo tesa ad evitare vantaggi austriaci sull’altra sponda, considerazioni 792 Mussolini, Opera omnia, vol. V, op. cit., pag. 12. Cfr. Mussolini, Opera omnia, vol. V, op. cit., pp. 11-12; vedi pp. 110-11, 198-99. 794 Cfr. Ciuffoletti, op. cit., pp. 436-37. 795 Decleva, Anna Kuliscioff op. cit., pag. 224. 796 Cfr. Decleva, Anna Kuliscioff op. cit., pp. 224-25; Degl’Innocenti, op. cit., pag. 363. 793 che è difficile trovare in ambito rivoluzionario, dove non ci si scosta da un intransigente solidarismo internazionalista e pacifista 797 . Mussolini scrive intanto diversi articoli sui negoziati di pace e sulla conferenza degli ambasciatori di Londra, definiti entrambi dei mercati di popoli798 . A proposito della seconda vengono sottolineati i rischi di nuove controversie che la delimitazione dei confini albanesi porterà con sé, e già da ora è facile prevedere un ulteriore dissidio austro-serbo su tale questione. Il direttore dell’Avanti! afferma poi che i socialisti, per coerenza con le loro premesse dottrinali, devono essere soddisfatti della concessione alla Serbia di uno sbocco commerciale sull’Adriatico, in quanto ciò gioverà sicuramente, col tempo, allo sviluppo economico del Paese. Infatti, spiega Mussolini, «La trasformazione delle economie arretrate[…]in economie complesse, capitalisticobancarie, è il presupposto logico, diremmo marxistico, dello sviluppo del proletariato e della fioritura del socialismo»799 . Per quel che riguarda poi le trattative fra i belligeranti egli sembra ritenere eccessive le richieste degli alleati, o perlomeno gli pare comprensibile che la Turchia tentenni e si opponga alle cessioni nell’Egeo e in Tracia, che effettivamente metterebbero a rischio la sua stessa esistenza. Viene poi ritenuto probabile che l’Austria stia premendo sul governo ottomano per convincerlo a resistere, e quindi dal contegno della Ballplatz dipenderà forse la firma della pace 800 . La speranza dei socialisti deve essere quella che le parti interessate, considerato anche il fatto che a nessuno gioverebbe la ripresa delle guerra, riescano ad accordarsi da sole. In caso contrario l’intervento mediatore europeo porterebbe a un altro congresso di Berlino, a soluzioni nuovamente provvisorie e irrazionali, che sarebbero foriere in futuro di altri 797 Cfr. Il discorso del ministro art. cit. Cfr. B. Mussolini, Il nodo gordiano, in Avanti!, 30 dicembre 1912, pag. 1. 799 Mussolini, Opera omnia, vol. V, op. cit., pag. 35. 800 Cfr. Mussolini, Opera omnia, vol. V, op. cit., pp. 34-36, 48-51; Mussolini, Il nodo gordiano art. cit. 798 disordini e conflitti. Se invece ricominciassero le operazioni belliche il rischio di conflagrazione generale sarebbe alto, visto che l’Austria difficilmente si farebbe scappare l’occasione per intervenire 801 , ed in tal caso il compito del proletariato europeo, come stabilito dal congresso di Basilea, sarebbe quello di «rispondere alla mobilitazione dell’esercito colla mobilitazione fulminea, generale, violenta, di tutto il popolo»802 . Mussolini, che fra l’altro mette in luce fin da gennaio i problemi che si apriranno con la spartizione del bottino, e che sottolinea come il suo giornale abbia individuato una delle cause della disfatta ottomana nel fatto che i proprietari terrieri della Macedonia e dell’Epiro, quand’anche di etnia turca, sono sempre stati favorevoli al cambiamento di regime per i vantaggi che ciò comporta per loro 803 , scrive un articolo alla vigilia del colpo di Stato a Costantinopoli in cui analizza i risultati della guerra, dando per scontato che la firma della pace sia ormai prossima. Il direttore dell’Avanti! ribadisce gli elogi ai socialisti dei Paesi balcanici che si sono opposti al conflitto; questo non è stato un trionfo del principio di nazionalità, e le analogie col risorgimento italiano, che molti hanno scorto, non hanno fondamento. L’unica soluzione dei problemi della penisola, secondo i socialisti dei Balcani, è l’abbattimento delle monarchie da parte del proletariato unito e la conseguente nascita della federazione repubblicana di tutte le nazionalità, compresa quella turca, come da tempo auspicato in più di una conferenza interbalcanica. Ora l’esito della guerra ha allontanato questa meta, a detta dei compagni bulgari; inoltre difficilmente si riuscirà a rispettare il principio di nazionalità col nuovo ordinamento che verrà dato alla regione. Se scompare l’irredentismo bulgaro in Macedonia, sorgerà ora quello turco in Tracia, nonostante l’esodo già incominciato di molte famiglie, e quindi è facile prevedere che persisterà 801 Cfr. Mussolini, Il nodo gordiano art. cit. Mussolini, Il nodo gordiano art. cit. 803 Cfr. Mussolini, Opera omnia, vol. V, op. cit., pp. 48-51. 802 una certa instabilità nella regione 804 . Conclude Mussolini, con un argomentazione tipica della retorica pacifista socialista, che se «I re e gli uomini di governo sono salvi, tanto quelli della Quadruplice come quelli della Turchia, i morti a migliaia e migliaia sono i proletari dell’uno e dell’altro esercito che non si conoscevano e non avevano sufficiente ragione di odiarsi…»805 . L’Avanti! pubblica il 3 gennaio, fra l’altro, un articolo di un certo Raffaele Ottolenghi, di origini ebraiche, il quale denuncia aspramente il fanatismo religioso dei cristiani nella penisola balcanica 806 . Già nelle prime settimane di guerra il quotidiano socialista ha polemizzato con quei giornali cattolici che hanno inneggiato alle vittorie degli alleati per ostilità verso gli islamici807 . Ora vengono riportate le notizie di massacri e uccisioni di civili musulmani da parte dei vincitori, che fanno prevedere che in futuro l’odio etnico e religioso continuerà probabilmente ad insanguinare queste terre. Voler scacciare popolazioni turche che da cinquecento anni abitano nei Balcani rappresenta un anacronismo storico oltre che un vero e proprio crimine; ragionando in questa maniera andrebbe allora detto che anche bulgari e ungheresi arrivano dall’Asia. In realtà dietro il grido «La Turchia torni in Asia!» si nasconde, secondo l’autore di questo articolo, che accenna fra l’altro a crudeltà commesse dai soldati italiani in Libia, la volontà della Bulgaria di annientare l’islamismo 808 . A proposito invece del dissidio bulgaro-rumeno l’Avanti! biasima apertamente la mossa del governo di Bucarest: il territorio conteso non è abitato da popolazioni rumene, e le motivazioni strategiche addotte sono definite «oziose». Si teme che dietro la Romania vi sia la mano dell’Austria, intenzionata a creare disordine 804 Cfr. Mussolini, Opera omnia, vol. V, op. cit., pp. 77-81. Mussolini, Opera omnia, vol. V, op. cit., pag. 81. 806 Cfr. R. Ottolenghi, Le atrocità dei “cristiani” nella guerra balcanica, in Avanti!, 3 gennaio 1913, pag. 3. 807 Cfr. Contro le abbiette speranze, in Avanti!, 7 novembre 1912, pag. 2. 808 Cfr. Ottolenghi, Le atrocità dei “cristiani” art. cit. 805 per poi intervenire in prima persona 809 . Se fra i due Stati contendenti non è mai corso buon sangue, i due popoli, i contadini dei due Paesi, non si sono mai odiati, e rischiano ora di vedersi trascinati al macello senza sapere perché, su decisione di «una trentina di diplomatici e coronati». L’autore dell’articolo conclude, ancora con motivi e parole d’ordine tipici di certo pacifismo ed antimilitarismo, che «viene una voglia matta di odiare nazioni, monarchi, diplomatici, oligarchi e patria. Sotto questo bel nome che nella lontana infanzia ci insegnarono ad amare… quanto letame!»810 . La ripresa delle ostilità ai primi di febbraio viene commentata sull’Avanti! in un articolo decisamente critico verso la Quadruplice, ritenuta responsabile di tutto ciò con le sue inammissibili pretese su Adrianopoli, le quali decisamente non rispettano il principio di nazionalità, dal momento che la città in questione è abitata in gran parte da turchi musulmani. Gli alleati sono ora accusati di voler stravincere, di essersi trasformati da liberatori in oppressori, e hanno ormai svelato le vere motivazioni della loro guerra, «tanto celebrata dai fatui e sentimentali democratici dell’Occidente»811 . L’articolo in questione difende poi l’operato dei socialisti turchi e armeni, che con la ripresa del conflitto sono entrati a far parte del Comitato di Difesa Nazionale costituitosi a Costantinopoli. Ciò che a prima vista può sembrare una contraddizione, vale a dire dei socialisti che appoggiano una guerra, in questo caso non lo è: innanzitutto «il socialismo non è pacifista per definizione, e il pacifismo socialista non ha nulla da spartire col pacifismo tolstoiano o con quello di Teodoro Moneta»812 . L’atteggiamento dei socialisti turchi non è da biasimare perché di fronte ad una guerra di rapina, come è ora quella della Quadruplice balcanica, è umano, è comprensibile, resistere ed opporsi con ogni 809 Cfr. R. Balducci, Romania e Bulgaria, in Avanti!, 16 gennaio 1913, pag. 1. R. Balducci, art. cit. 811 La ripresa della guerra, in Avanti!, 8 febbraio 1913, pag. 1. 812 La ripresa della guerra art. cit. 810 mezzo. Il loro contegno viene paragonato a quello dei rivoluzionari parigini del 1870 che si pronunciarono per la «guerra ad oltranza» contro la Germania, quando la borghesia voleva ad ogni costo accettare la pace «dettata colla spada e col pugno da Bismarck e da Moltke, rappresentanti tipici del militarismo e del feudalesimo prussiano»813 . Col nuovo inizio delle ostilità l’Avanti! segue con minore attenzione rispetto a prima l’andamento delle operazioni, e appaiono ora meno articoli sulla guerra. Si commenta invece ampiamente la ripresa in grande della corsa agli armamenti in tutta Europa, conseguenza proprio delle guerre balcaniche, della tensione internazionale che queste hanno contribuito a far salire, e della divisione sempre più netta del concerto europeo in due blocchi più compatti. Per tutta la prima metà del 1913, pertanto, il quotidiano diretto da Mussolini porta avanti una intensa campagna contro il militarismo e contro nuove spese e provvedimenti in favore dell’esercito e della marina. La caduta di Adrianopoli viene commentata in un articolo dal significativo titolo Trionfo slavo814 ; la vittoria della Quadruplice, che assume ora proporzioni schiaccianti, è considerata un successo della Russia, di cui gli Stati balcanici sono considerati da sempre le avanguardie (mentre in realtà si è visto come questi ultimi abbiano saputo guadagnarsi un’autentica indipendenza politica sottraendosi a schiaccianti influenze esterne). La Russia, come ha spiegato Marx, citato ampiamente in questo articolo, coltiva da due secoli la speranza di giungere ai mari caldi, a Costantinopoli, e fin dalle prime rivolte serbe all’inizio dell’ottocento ha sempre appoggiato i popoli balcanici contro la Turchia. La conquista bulgara di Adrianopoli è giudicata una vittoria politica di San Pietroburgo, ma ora è probabile che la marcia vittoriosa degli slavi si arresti. L’ingresso dei bulgari a Costantinopoli verrebbe infatti senza dubbio impedito dall’Inghilterra (quando invece si 813 814 La ripresa della guerra art. cit. Trionfo slavo, in Avanti!, 28 marzo 1913, pag. 1. è visto che è proprio la Russia la più ferma nel non volerlo permettere), ma prima o poi nulla potrà evitare l’affacciarsi degli slavi sul Bosforo 815 . L’avanzata del panslavismo è anche una sconfitta del pangermanesimo e del drang nach osten teutonico, che sembra definitivamente bloccato dalle vittorie della Quadruplice. Queste hanno inoltre eccitato e inorgoglito gli slavi soggetti all’Austria, che come la Turchia è uno Stato senza nazione destinato a scomparire. L’inevitabile processo di organizzazione dei popoli europei nelle rispettive entità etniche e storiche, quind i, non è ancora terminato, e la rapidità con cui si svolgerà è ritenuta della massima importanza per i socialisti, dal momento che «Le rivoluzioni e le autonomie nazionali sono il presupposto logico e necessario della Rivoluzione sociale»816 . Si afferma poi che Marx esagerava il pericolo reazionario impersonato dalla Russia per le sorti della libertà e del progresso. Il padre della concezione materialistica della storia considerava infatti con la massima preoccupazione l’aggressiva politica estera espansionistica zarista, in parte retaggio dell’invasione mongolica, la cui affermazione avrebbe rappresentato il trionfo della reazione e il rallentamento, se non l’arresto, dello sviluppo politico ed economico dell’Europa817 . Ora però, si legge sulle colonne dell’Avanti!, «le condizioni della Russia sono profondamente cambiate», e pertanto è possibile guardare ad un’occupazione slava di Costantinopoli, inevitabile in un domani più o meno prossimo, «senza disperare per l’avvenire della Rivoluzione»818 . Nel mese di aprile l’Avanti! commenta poi le rivalità fra gli alleati per la spartizione del bottino, ma, oltre a ribadire la condanna socialista di questa guerra di rapina, ritiene che difficilmente si ricorrerà a soluzioni drastiche, vista la miseria e i problemi interni di quegli Stati e vista la volontà dell’Europa, interessata a 815 Cfr. Trionfo slavo art. cit. Trionfo slavo art. cit. 817 Cfr. B. Bongiovanni, La Russia e la politica internazionale, in B. Bongiovanni, Da Marx alla catastrofe dei comunismi, Milano, Unicopli, 2000, pp. 53-69. 818 Trionfo slavo art. cit. 816 porre termine alle complicazioni balcaniche per far finalmente fruttare i capitali impegnati in quei Paesi, «quei tali capitali che, al solo scopo di trarre grandi redditi, provocarono la guerra»819 . Ora i vincitori non riescono ad accordarsi perché hanno pretese contrastanti che, in base al principio di nazionalità sbandierato all’inizio del conflitto, non sempre sono legittime. In realtà tutti cercano il «dominio commerciale, agricolo, industriale su terre che debbono essere sfruttate[…]per conto dei capitalisti che sono a Parigi, a Londra o… a Costantinopoli» 820 . Queste sono state le vere cause della carneficina di migliaia di proletari, e queste sono le motivazioni che fanno minacciare nuove stragi per la spartizione del bottino, al di là di tutte le belle formule inalberate all’inizio della guerra, felicemente accolte dalla «democrazia europea sciocca e superficiale»821 . In occasione della crisi di Scutari i socialisti esprimono sull’Avanti! la loro condanna dapprima della dimostrazione navale, definita una «bravata internazionale»822 , e poi del minacciato intervento austriaco e italiano. Nello stesso tempo però non si associano alle simpatie di parte dell’opinione pubblica per il Montenegro, e ironizzano sulle manifestazioni studentesche in favore del piccolo Stato slavo e sulle false leggende che circondano la casa regnante dei Petrovic. Viene ricordato che questa guerra è stata voluta dalle dinastie balcaniche e dal capitalismo europeo, desideroso di far fruttare il denaro investito a Sofia e Belgrado, e intenzionato a valorizzare la Macedonia e la Tracia unendole a mercati aperti ed in pieno sviluppo 823 . Se il Montenegro non ha alcun diritto di impadronirsi di Scutari, l’Austria non ha però il diritto di intervenire accampando giustificazioni false ed insincere. L’Italia sbaglia ad appoggiare le 819 La divisione delle spoglie, in Avanti!, 18 aprile 1913, pag. 1. La divisione delle spoglie art. cit. 821 La divisione delle spoglie art. cit. 822 La parte dell’Austria e quella dell’Italia nelle questioni balcaniche, in Avanti!, 22 aprile 1913, pag. 5. 823 Cfr. Il quarto d’ora di nostra suocero, in Avanti!, 4 aprile 1913, pag. 1. 820 rimostranze austriache e viene condannata la sua partecipazione alla dimostrazione navale, decisa dal momento che il Paese, che «vive di prestigio all’estero e di fame all’interno»824 , partecipa al concerto delle grandi potenze e non può sottrarsi ai suoi doveri. L’Avanti! sostiene che, anche ragionando dal medesimo punto di vista «realistico» degli avversari politici del socialismo, il governo italiano commette un errore nell’affiancarsi all’Austria, la quale persegue soltanto propri interessi che contrastano con quelli italiani825 . Fin dalle prime vittorie alleate, infatti, la Ballplatz ha fatto di tutto, col beneplacito di Berlino, per limitare l’avanzata dello slavismo, negando lo sbocco adriatico alla Serbia, favorendo la «creazione artificiale» dello Stato albanese, che ha cercato di estendere il più possibile a danno dei vicini anche per mantenere l’instabilità della regione, e sostenendo ora la Romania nella questione di Silistria. L’Italia, appoggiando questa politica, si rende responsabile dei futuri disordini e dei nuovi conflitti che sorgeranno inevitabilmente nei Balcani, e, schierandosi dalla parte del germanesimo nella lotta contro lo slavismo, si aliena le simpatie degli Stati balcanici a tutto svantaggio dei suoi interessi commerciali e politici nella penisola 826 . Quando la situazione sembra precipitare e il governo italiano pare intenzionato ad intraprendere una spedizione parallela a quella austriaca, l’Avanti! prende posizione ancor più fermamente contro l’intervento oltre Adriatico 827 . Italia ed Austria, resesi conto che quel «castello di cartone» che è l’Albania sta per crollare, intendono paradossalmente imporre con la forza la libertà agli albanesi, che a quanto pare non la desiderano affatto in questa maniera, dal momento che permettono a Essad e Giavid Pascià di attentare liberamente all’autorità del governo provvisorio albanese, formato da «quattro o cinque 824 Il quarto d’ora art. cit. Cfr. La parte dell’Austria art. cit.; Il quarto d’ora art. cit. 826 Cfr. La parte dell’Austria art. cit. 827 Cfr. Nuove sorprese e nuove avventure, in Avanti!, 3 maggio 1913, pag. 1. 825 pantins di cui Austria e Italia muovono i fili» 828 . La mossa delle due potenze adriatiche, che dietro le belle parole delle formule di facciata perseguono in realtà i loro interessi particolari, rischia inoltre di riaccendere il conflitto balcanico, ragion per cui i socialisti austriaci e italiani devono fare fino in fondo il loro dovere, che consiste nell’opporsi risolutamente, e in pieno accordo, a eventi le cui peggiori conseguenze ricadranno come sempre sulle spalle del proletariato 829 . Nell’articolo in questione si polemizza poi col resto della stampa nazionale, che riconosce la necessità e l’urgenza della spedizione quando poco tempo prima esaltava le gesta del Montenegro. Ancora una volta, con riferimento alla recente impresa libica, si giustificherà tutto invocando «l’equilibrio dell’Adriatico, l’altra sponda, il decoro della nazione, l’avvenire della patria. E si dirà che si tratta di un’altra innocua ed incruenta passeggiata militare»830 . 828 Nuove sorprese art. cit. Cfr. Nuove sorprese art. cit. 830 Nuove sorprese art. cit. 829 Capitolo sesto Uomini e partiti politici di fronte al conflitto balcanico Fra i partiti e i movimenti dell’estrema la guerra della Quadruplice balcanica contro la Turchia è generalmente vista con favore, con l’eccezione, come si è visto, dei socialisti. In questi ambienti il principio di nazionalità, considerato quasi come un dogma irrinunciabile, è da sempre ritenuto il cardine di una politica estera ideale da parte dell’Italia, e la Prima Guerra Balcanica viene salutata come una lotta combattuta in nome di esso e per la liberazione e l’emancipazione delle popolazioni oppresse della penisola. Radicali, repubblicani e mazziniani sono ovviamente ostili alla Turchia, di cui si augurano il crollo insieme a quell’altro impero oppressore dei popoli che è l’Austria, come ha insegnato Mazzini preconizzando l’inevitabile caduta di entrambi831 . Di conseguenza queste forze politiche sono da sempre contrarie alla Triplice Alleanza, con qualche sporadica eccezione come quella di Colajanni tra i repubblicani, che ne apprezza, al pari di alcuni socialisti, la funzione di elemento d’equilibrio, e quindi di pace, nel sistema internazionale 832 . Le prime vittorie degli Stati balcanici sono pertanto acclamate anche come una sconfitta della politica asburgica di espansione verso l’Egeo, mentre la ritrovata concordia fra le popolazioni slave e greche sembra costituire un buon inizio verso la formazione di quella federazione balcanica auspicata da Mazzini e da tempo indicata come rimedio ideale e soluzione più efficace ai problemi della penisola. Il nuovo blocco balcanico infatti, oltre a impedire la discesa austriaca verso Salonicco, 831 832 Cfr. Pacor, op. cit. Cfr. Decleva, I partiti popolari op. cit. ostacolerebbe anche le aspirazioni imperialiste della Russia, che da sempre mira a raggiungere Costantinopoli. Nelle prime settimane di guerra si svolgono diverse manifestazioni pubbliche in favore dei popoli balcanici e contro l’Austria, organizzate dai repubblicani, dai radicali e dai socialisti riformisti di Bissolati e Bonomi, e sorvegliate e controllate attentamente da prefetti e questori che spesso informano del loro svolgimento la Consulta833 . Si svolgono anche comizi e conferenze sulla questio ne balcanica, come ad esempio quella tenuta il 3 novembre a Forlì dal noto geografo ed esponente repubblicano Arcangelo Ghisleri. Al termine della sua relazione un certo on. Gaudenzi legge un ordine del giorno in cui il popolo di Romagna «saluta nella mirabile concorde insurrezione dei popoli slavi e greci contro il secolare esoso dominio dell’invasore ottomano, l’auspicato avvento delle nazionalità balcaniche, profetizzato da Giuseppe Mazzini» 834 ; la dichiarazione prosegue con la speranza che gli intrighi della diplomazia europea e l’intervento delle grandi potenze siano evitati, e che le nazioni della penisola possano così disporre liberamente del loro destino e dettare la propria pace al vinto. Infine si esprime l’augurio che venga finalmente convocata nella Costantinopoli liberata un’assemblea costituente di tutte le etnie della penisola, «per dettare il patto federale perpetuo di una grande confederazione repubblicana balcanica»835 . Il Partito Repubblicano, come si è detto, è da sempre ostile alla Triplice Alleanza, filofrancese, sostenitore, ma non in ogni circostanza, dell’irredentismo, nemico della diplomazia segreta e fautore della trasformazione in senso democratico della politica estera 836 . La guerra libica segna un momento importante anche per i repubblicani, fra i quali, come accade contemporaneamente nel Partito Socialista, vanno 833 Ad esempio cfr. ASMAE, serie politica, b. 738, 25 novembre 1912, nota del Ministero degli Interni, relativa ad una manifestazione svoltasi a Roma il 16 novembre. 834 ASMAE, serie politica, b. 737, 9 novembre 1912, nota 29844 del Ministero degli Interni. 835 ASMAE, serie politica, b. 737, 9 novembre 1912, nota 29844 del Ministero degli Interni. 836 Cfr. Decleva, I partiti popolari op. cit.; Vigezzi, op. cit., pp. 40-41. guadagnando terreno gli intransigenti e i rivoluzionari, che in questi anni riescono a conquistare la guida del partito. I repubblicani conoscono delle divisioni al loro interno a proposito dell’impresa tripolina: alcuni infatti, come ad esempio Barzilai, non si oppongono ad essa ma la approvano 837 . Quasi tutti sono però concordi nel biasimare la firma della pace con i turchi proprio quando l’inizio del conflitto nei Balcani avrebbe potuto dare una più alta dignità alla missione di civiltà dell’Italia, che avrebbe così spalleggiato le nazioni balcaniche nella loro lotta per l’indipendenza, seguendo in questo modo una delle linee di politica estera indicate da Mazzini. Questi argome nti sono esposti anche durante la discussione del 3 dicembre 1912 alla Camera sulla politica estera, ed in particolare sul trattato di Losanna 838 . A nome del gruppo repubblicano prende la parola in questa occasione l’on. Mirabelli, il quale, pur riconoscendo che la pace con la Turchia soddisfa pienamente gli obiettivi prefissi prima della guerra, afferma che il suo partito, che fa del crollo del dominio turco in Europa una «bandiera» di politica internazionale, non vuole «la pace putrida del Bismarck». Pertanto, «come Potenza mediterranea l’Italia non doveva deporre le armi nell’ora stessa in cui il rombo del cannone balcanico rendeva possibile uno dei due fatti vaticinati da Mazzini come inevitabili» 839 , riferendosi con ciò alla sparizione degli imperi multinazionali ottomano ed austriaco. L’esponente repubblicano prosegue il suo intervento ribadendo alcuni principi cardine della politica estera del suo partito. Innanzitutto invoca una nuova orientazione della politica italiana, vale a dire l’abbandono di un sis tema di alleanze imperniato sul principio dinastico, quale è il patto con gli imperi centrali, e l’instaurazione di rapporti più stretti con Francia e Inghilterra, «antesignane delle genti europee sul cammino della libertà». Poi, dagli attuali eventi 837 Cfr. Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit.; Pacor, op. cit., pag. 31; Vigezzi, op. cit., pag. 40. Cfr. La pace di Losanna art. cit. 839 La pace di Losanna art. cit. 838 della penisola balcanica trae la conclusione che «la diplomazia oggi ha fatto bancarotta e bisognerebbe abolirla o meglio farla diventare pubblica»840 . Anche il piccolo Partito Mazziniano Italiano, fondato all’inizio del secolo 841 , saluta favorevolmente le vittorie della Quadruplice contro la Turchia e condivide il rammarico per non aver visto l’Italia combattere a fianco dei Paesi balcanici. I mazziniani negli ultimi anni hanno riservato molte attenzioni all’Albania, e sono stati coinvolti nella mancata spedizione garibaldina oltre Adriatico del 1911 842 . Quando si decide l’impresa libica essi notano con dispiacere come pochi mesi prima il governo abbia ostacolato la rivolta albanese e impedito l’imbarco dei volontari italiani, dichiarandosi difensore dell’integrità dell’Impero ottomano. Solo una piccola parte del partito è incondizionatamente favorevole al conflitto tripolino, ma in realtà tutti i mazziniani concordano che, una volta intrapresa, la guerra va condotta con la massima energia. Ciò che viene messo in discussione è il modo in cui viene portata avanti: la Turchia non andrebbe combattuta solo in nord Africa ma soprattutto nei Balcani, dove l’Italia dovrebbe estendere le operazioni belliche, favorendo la rivolta delle popolazioni cristiane oppresse. Questa sarebbe una missione degna della “Terza Italia”, come ha insegnato Mazzini, che prevedendo il crollo degli imperi multinazionali austriaco e ottomano, ha indicato nell’alleanza con le nazioni balcaniche la linea principale della politica estera dell’Italia unita. La nuova confederazione balcanica, con capitale Costantinopoli, che sorgerà sulle ceneri della Turchia europea, costituirà un baluardo, oltre che contro l’Austria, anche nei confronti della Russia zarista, e sarà poi necessariamente riconoscente all’Italia per l’aiuto da questa prestatole. Non manca poi chi vorrebbe approfittare dell’occasione per estendere il conflitto addirittura contro la 840 La pace di Losanna art. cit. Cfr. Lodolini, op. cit., pp. 473-74. 842 Vedi pp. 35-36. 841 duplice monarchia per ottenere Trento e Trieste. È naturale quindi che subentri una certa delusione quando viene firmata la pace di Losanna mentre gli Stati balcanici entrano in guerra, ignorando apparentemente il contegno italiano al punto che qualcuno, all’interno del partito, teme che dietro i sommovimenti nella penisola vi sia la mano dell’Austria 843 . I mazziniani, inoltre, durante il conflitto balcanico voltano le spalle alla causa degli albanesi, colpevoli, a loro giudizio, di combattere a fianco dei turchi e di non essersi alleati con la Quadruplice, la quale ora ha pertanto tutto il diritto di spartirsi l’Albania 844 . Se questi gruppi dell’estrema, da sempre sostenitori dell’irredentismo tradizionale, parteggiano apertamente, come si è detto, per gli alleati, non si può dire lo stesso degli “irredenti” veri e propri, vale a dire delle popolazioni italiane che abitano nei territori asburgici, soprattutto quelle di Venezia Giulia e Dalmazia. Pur con notevoli eccezioni, fra cui la più importante è quella dei socialisti845 , la maggior parte di esse è decisamente avversa agli slavi, vede come un pericolo il numero sempre crescente di sloveni e croati che si riversa nelle città costiere, e teme più di ogni cosa i progetti di riorganizzazione trialistica dell’impero. Molti di loro caldeggiano perciò un’alleanza col gruppo nazionale tedesco e sin dall’inizio delle guerre balcaniche non vedono di buon occhio le vittorie degli alleati, e soprattutto quelle della Serbia 846 . Questo non è certamente il caso dell’intellettuale triestino Scipio Slataper, che nel dicembre 1912 scrive un articolo per La Voce, di cui è collaboratore, in cui commenta i risultati del conflitto balcanico e le conseguenze di esso per la politica austroungarica. Secondo lui, innanzitutto, le vittorie 843 Cfr. Lodolini, op. cit., pp. 473-80. Cfr. G. Petrotta, L’Albania e gli albanesi nella presente crisi balcanica, Palermo, Trimarchi, 1913, pp. 21-25; La Rivista dei Balcani, 5 dicembre 1912, pag. 13. 845 Cfr. M. Cattaruzza, Socialismo adriatico. La socialdemocrazia di lingua italiana nei territori costieri della Monarchia asburgica: 1888-1915, Manduria, Lacaita, 1998. 846 Cfr. Vigezzi, op. cit., pp. 22-28; Pacor, op. cit. 844 alleate non segnano, come vanno ripetendo i democratici, il trionfo del principio di nazionalità e delle previsioni di Mazzini. Quest’ultimo concepiva infatti la patria come «identità di storia e geografia, d’ideali e interessi, nazione e stato»847 , e si è visto che tale concezione non è applicabile ai Balcani, dove le etnie sono commiste, e dove proprio in nome di essa slavi, greci e albanesi si sono combattuti l’un l’altro fino a poco tempo prima, anziché confederarsi come auspicato da Mazzini. Secondo Slataper l’attuale alleanza è merito degli statisti dei Paesi balcanici, che hanno saputo conciliare il principio di nazionalità con i particolari interessi di ogni Stato. Lo scrittore triestino si dimostra poi non meno antiturco del resto dell’opinione pubblica italiana, quando afferma, con argomenti che si ritrovano un po’ ovunque sulla stampa e nella pubblicistica di questo periodo, che l’unica forza dei turchi è stata l’esercito, che essi non lasciano alcuna eredità, che «non aggiunsero un grammo alla civiltà»848 . Egli passa poi ad analizzare la situazione dell’Austria, che vede sbarrata la via verso Salonicco dalle vittorie degli Stati slavi. Dopo il 1866, con la sconfitta contro la Prussia, l’Austria, pur restando una potenza prevalentemente occidentale, ha rivolto il suo sguardo ad est, dove, secondo i calcoli di Bismarck, avrebbe costituito un antemurale contro le mire zariste e contro il pericolo panslavista, facendo inoltre da tramite per l’espansione del capitalismo tedesco in oriente 849 . Raggiungere l’Egeo è diventata così una necessità imprescindibile per l’Austria, poiché, spiega Slataper, «è la legge[…]dei mostruosi aggregati statali d’estendersi e di complicarsi fino a che non abbiano attinto i due o i quattro mari, riuscendo a racchiudere e organare un tal numero di interessi che produzione e consumo si compiano la più parte nei propri confini, e nazioni staccate e 847 La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, vol. III, a cura di A. Romanò, Torino, Einaudi, 1960, pag. 493. L’articolo appare col titolo Il momento attuale dell’Austria ne La Voce del 12 dicembre 1912. 848 La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, vol. III, op. cit., pag. 494. 849 Cfr. La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, vol. III, op. cit., pp. 497-98. ostili comunichino tra loro, in modo da essere nello stesso tempo e uno stato e “l’estero”. Mancando questi aggregati di vera unità, di centro e di limiti, devono spostarsi perpetuamente al di là della loro convenzionale periferia; viventi di un equilibrio soltanto dinamico, burocratico, militare, e soprattutto commerciale, devono far sì che tutte le proprie nazioni abbiano modo d’estrinsecare le loro forze economiche e godano, o sappiano di poter via via godere, di benessere materiale proprio perché unite in quell’organismo statale»850 . I problemi di equilibrio interno vengono risolti anche con la vecchia politica del divide et impera, appoggiandosi sulle nazioni più importanti ma servendosi di volta in volta di quelle più piccole per evitare il prevalere di una delle prime. La contraddizione più grave della monarchia asburgica, secondo Slataper, è nella soluzione dualistica adottata, soluzione che, se da un lato si è resa necessaria per mantenere all’impero un carattere occidentale e non troppo marcatamente slavo, non è del tutto adeguata per il perseguimento della politica di assimilazione degli slavi della penisola balcanica. Infatti l’Ungheria non può vedere di buon occhio l’acquisizione di nuovi territori agricoli che le farebbero concorrenza, e ancor meno i magiari possono tollerare di perdere i propri privilegi, vedendosi relegati al terzo posto fra le nazionalità dell’impero in caso di riforma trialistica, che pertanto è da loro decisamente avversata 851 . Ora la duplice monarchia è stata colta di sorpresa, come dimostra il suo atteggiamento incerto e oscillante fin dall’inizio della guerra. Vengono sottolineati i limiti di Berchtold, ma va riconosciuto, secondo l’intellettuale triestino, che anche una figura politica della statura di Aehrenthal sarebbe stata impotente di fronte ai recenti avvenimenti, che sembrano chiudere all’Austria la via d’oriente così come il 1866 le sbarrò la strada verso occidente852 . Con questo non si può ancora 850 La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, vol. III, op. cit., pag. 496. Cfr. La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, vol. III, op. cit., pp. 496-99. 852 Cfr. La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, vol. III, op. cit., pag. 499. 851 parlare, per Slataper, che morirà nel conflitto mondiale intrapreso da volontario nelle fila italiane, di «finis Austriae», anche se non si intravedono sbocchi per la monarchia asburgica, la quale con ogni probabilità dovrà tentare prima o poi «un colpo disperato»853 . Anche Gaetano Salvemini è un assiduo collaboratore de La Voce, dalla quale però si distacca nel 1911 in occasione dell’impresa libica, cui l’intellettuale di Molfetta, come è noto, è decisamente contrario 854 . Durante la guerra italo-turca Salvemini, e con lui il gruppo de L’Unità, il settimanale da lui fondato sul finire del 1911, è allarmato per le possibili ripercussioni balcaniche dei colpi inferti dall’Italia all’Impero ottomano, e teme soprattutto che l’Austria ne possa eventualmente approfittare per espandersi nella penisola. Per questo motivo, quando il conflitto balcanico sembra ormai inevitabile, egli è favorevole ad un compromesso con la Porta per ottenere rapidamente una pace che ridia libertà diplomatica all’Italia 855 . In un articolo apparso su L’Unità il 12 ottobre, Salvemini dà per conclusa la pace italo-turca e dimostra di non condividere le recriminazioni di chi avrebbe voluto la prosecuzione del conflitto per porgere un aiuto agli Stati balcanici, guadagnando così la loro simpatia. Invece l’Italia può ora difendere al meglio la causa degli alleati, vigilando insieme alla Russia per impedire che l’Austria intervenga contro di loro. Ciò è reso possibile dal trattato della Triplice Alleanza, che obbliga la duplice monarchia ad evitare alcun passo nei Balcani senza il consenso di Roma. Se però l’Italia, proseguendo la sua guerra, avesse esteso le operazioni militari alla penisola, avrebbe perso ogni diritto di impedire all’Austria di fare altrettanto e questa non si sarebbe lasciata sfuggire l’occasione, e pertanto tutto si sarebbe risolto 853 La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, vol. III, op. cit., pag. 500. Cfr. La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, vol. III, op. cit. 855 Cfr. La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, vol. V, op. cit. 854 proprio a svantaggio dei popoli balcanici. Anche nel caso di convocazione di una conferenza europea, un’Italia ancora impegnata in Libia avrebbe rischiato di veder sottoposta al giudizio del concerto europeo la questione tripolina, oppure, dato il suo stato di guerra con la Turchia, avrebbe potuto essere esclusa dalla conferenza stessa, con il risultato di non poter partecipare alle decisioni sulla sistemazione della penisola balcanica. La conclusione della pace con la Porta, secondo Salvemini, va quindi accolta favorevolmente in quanto conforme sia agli interessi della Quadruplice che a quelli dell’Italia 856 . Da sempre il fondatore de L’Unità dà la massima importanza agli interessi adriatici e balcanici del Paese, ritenuti più importanti di quelli mediterranei o delle aspirazioni irredentiste: già nel febbraio 1912 ha scritto che l’obiettivo primario della politica estera italiana deve essere quello di evitare un’espansione austriaca nei Balcani, favorendo per contro lo sviluppo delle autonomie nazionali. L’Italia non può permettere che la duplice monarchia arrivi a Salonicco e Valona, nemmeno se in cambio le fosse offerto il Trentino o le venisse palesata la conquista di Tunisi e della Corsica in caso di una guerra vittoriosa della Triplice contro la Francia. Salvemini, che dimostra così di non condividere la vecchia tesi di Cesare Balbo sull’inorientamento austriaco, prosegue invocando un immediato cambio di alleanze, dal momento che Francia e Inghilterra garantirebbero meglio gli interessi balcanici del Paese in quanto favorevoli anch’esse allo sviluppo degli Stati indipendenti della penisola 857 . Ora, a conflitto balcanico iniziato, Salvemini ribadisce questa necessità, compiacendosi del fatto che il Corriere della sera, non immune in questi mesi dall’infatuazione libica, riconosca nuovamente la prevalenza dello scacchiere adriatico e balcanico nella politica estera del Paese858 . 856 Cfr. G. Salvemini, Come siamo andati in Libia e altri scritti dal 1900 al 1915, a cura di A. Torre, Milano, Feltrinelli, 1963, pp. 241-45. 857 Cfr. La cultura italiana del ’900 attraverso le riviste, vol. V, op. cit. 858 Cfr. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pp. 255-57. L’Italia, in questo momento, dovrebbe cercare uno stretto accordo con la Russia indirizzato a impedire l’intervento dell’Austria nella guerra balcanica, augurandosi che la Quadruplice riesca a cacciare dall’Europa la Turchia e a ridurre così nello stesso tempo le possibilità di espansione austriaca verso l’Egeo. Salvemini è disposto ad ammettere che ««Per ottenere un risultato così benefico per la pace del mondo e per l’avvenire economico e politico del nostro Paese – l’intellettuale pugliese considera anche i vantaggi commerciali che si apriranno con lo sviluppo dei progetti ferroviari balcanici859 – varrebbe la pena che noi ci esponessimo anche ai rischi di una nuova guerra; e così non avessimo sperperato storditamente per la Libia una parte di quelle forze che sarebbero state infinitamente meglio adoperate nell’Adriatico»860 . Se l’Austria si espandesse verso sud e si insediasse a Valona, otterrebbe una supremazia militare che costringerebbe l’Italia a divenirne vassalla, oppure a cercare la non disinteressata protezione della Francia, entrambe ipotesi funeste per l’avvenire del Paese. Invece, con la formazione di un nuovo e forte organismo statale balcanico, sarebbero ora tre le potenze affacciate sull’Adriatico, ma nessuna potrebbe mai assicurarsi una posizione di dominio definitiva, poiché i due Stati più deboli avrebbero sempre tutto l’interesse ad allearsi contro il più forte e a perseguire politiche doganali reciprocamente favorevoli, e così l’equilibrio delle forze politiche ed economiche non sarebbe mai turbato irrimediabilmente, ma bensì resterebbe sempre aperto a nuovi sviluppi861 . L’Italia ha anche altri motivi, secondo Salvemini, per augurarsi che gli alleati ottengano una piena vittoria e riescano, senza interventi stranieri, a dare un assetto politico stabile alla penisola; l’esito di tutto ciò, infatti, vorrebbe dire la fine dei pericoli per la pace generale che in questi anni l’instabilità dei Balcani ha comportato, quando le turbolenze 859 Cfr. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pag. 259 nota 2. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pag. 244. 861 Cfr. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pp. 258-60. 860 e i disordini originati dall’oppressione ottomana sulle popolazioni cristiane hanno fatto temere il peggio in più di un’occasione 862 . Inoltre anche Salvemini scorge molte analogie fra l’attuale conflitto degli Stati balcanici contro la Turchia e le guerre risorgimentali combattute dal Piemonte contro l’Austria. Pertanto non sarebbe lecito restare indifferenti e cinici di fronte allo sforzo di chi cerca di affermare il principio di nazionalità, grazie al quale l’Italia stessa si è potuta formare, anche se attualmente nel Paese, abbagliato dalla retorica imperialista e dai miti di grandezza della nazione, «parlare di tradizioni nazionali e di senso morale in fatto di politica estera è[…]dar segno di grande e compassionevole ingenuità antidiluviana»863 . In un articolo pubblicato su L’Unità del 23 novembre Salvemini riconosce che potrebbero sorgere nuovi problemi dalla spartizione della Macedonia fra gli alleati, sia nel caso che non esistano accordi territoriali precisi, sia nel caso opposto, in quanto comunque ogni Stato ingloberà delle minoranze etniche che potrebbero dar vita a nuovi irredentismi. Ora il dovere e l’interesse dell’Italia sono quelli di fare opera di conciliazione e di mediazione, per far sì che l’alleanza balcanica perduri e l’assetto della penisola divenga il più possibile stabile. L’Austria persegue invece lo scopo opposto, in quanto trarrebbe vantaggio da nuovi dissidi fra gli Stati balcanici e da disordini e turbolenze nella regione, grazie alle quali potrebbe trovare un giorno il pretesto per intervenire e per riprendere la marcia verso Salonicco e Valona 864 . Nello stesso articolo, ed in altri successivi, Salvemini prende anche posizione in favore dell’autonomia albanese. Per quel che riguarda la delimitazione del nuovo Stato, che ci si augura entrerà a far parte della confederazione balcanica, non si potrà fare affidamento su criteri esclusivamente etnici, geografici o storici, ma si dovrà necessariamente scendere a compromessi. I 862 Cfr. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pp. 260-61. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pag. 257. 864 Cfr. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pp. 262-63. 863 distretti dove la popolazione albanese vive a fianco di altre etnie, in ragione del maggior grado di civiltà di queste ultime, dovranno essere annessi agli altri Stati balcanici, i quali del resto fanno pesare giustamente in questi compromessi le vittorie militari da essi ottenute. Pertanto non è ammissibile il progetto della Grande Albania, appoggiato per interesse anche dall’Austria, bensì il nuovo Stato dovrà essere limitato a quei territori abitati omogeneamente da popolazioni schipetare 865 . D’altra parte Salvemini riconosce che queste dimostrano una scarsa coscienza nazionale, come rivelano con le attuali divisioni di fronte alla guerra, e non è detto che l’Albania riesca a condurre una vita realmente autonoma in condizioni normali. È però un atto di giustizia dare almeno la possibilità agli albanesi, in un ampio periodo di tempo, di provare a reggersi da sé, e se non si dimostreranno in grado di farlo l’Italia dovrebbe fin da adesso affermare il diritto di serbi e greci, i quali però nel frattempo devono evitare di interferire nell’esistenza dello Stato autonomo, a estendere la propria sovranità sull’Albania 866 . In questo modo si eviterebbe il pericolo austriaco, contro cui l’Italia si deve battere fin da ora per assicurare che l’autonomia albanese non sia solo una costruzione fittizia: Salvemini appare soprattutto preoccupato per la questione del protettorato cattolico, formidabile strumento di influenza cui il governo italiano ha il dovere di opporsi nella creazione del nuovo Stato. La duplice monarchia, infatti, vistasi chiusa da serbi e montenegrini nel sangiaccato di Novi Bazar, cerca di riguadagnare il terreno perduto dalla parte dell’Albania, che nei progetti della Ballplatz diventa ora la via di penetrazione principale nel cuore della penisola e in direzione dell’Egeo. Tramite il clero cattolico e altri mezzi di propaganda, Vienna cerca di ottenere un’influenza preponderante in Albania e si batte perché questa abbia l’estensione maggiore possibile, 865 866 Cfr. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pp. 264-68, 289-90, 300-01. Cfr. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pp. 264-65, 289-90. a danno delle aspirazioni degli Stati balcanici867 . Inoltre agita lo spauracchio del panslavismo, di cui la Serbia sarebbe l’avanguardia, per cercare di guadagnare la fedeltà dell’Italia, ma secondo Salvemini si tratta di una minaccia ridicola, senza fondamento nella realtà 868 . Gli imperativi della politica italiana nella presente situazione, per l’intellettuale pugliese, sono quelli di difendere l’integrità e l’effettiva autonomia di un’Albania dai confini ragionevoli; di opporsi ai tentativi austriaci di soffocare economicamente Serbia e Montenegro, e pertanto di aiutare Belgrado ad ottenere uno sbocco «almeno commerciale» sull’Adriatico. Se il dissidio austro-serbo diventasse irriducibile e sfociasse in una guerra in cui l’Austria sbandierasse la difesa dell’indipendenza albanese, l’Italia, secondo Salvemini, dovrebbe badare esclusivamente ai suoi interessi, e quindi rimanere dalla parte dei Paesi balcanici e «sacrificare, come meno peggio, l’Albania»869 . L’annuncio del rinnovo della Triplice Alleanza e il passo italiano contro la Grecia dopo il bombardamento di Valona, fatti che avvengono pressappoco negli stessi giorni, determinano molte preoccupazioni nel fondatore de L’Unità. Innanzitutto non gli paiono rassicuranti le consuete affermazioni sul carattere difensivo e pacifico del trattato, in tutto simili a formule di rito senza reale valore 870 . Il suo timore principale è che le due potenze adriatiche abbiano colto l’occasione del rinnovo per accordarsi su una spartizione dell’Albania in sfere di influenza, come dimostrano la decisa azione della Ballplatz, appoggiata dall’Italia, contro le pretese serbe nel nord, e le rimostranze italiane, sostenute dall’Austria, contro le mire greche su Valona. Da sempre in Italia si è tutti concordi sul fatto che questa città e la sua baia non debbano cadere nelle mani 867 Cfr. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pp. 264-68, 281-84, 289-90, 300-01. Cfr. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pag. 266. 869 Salvemini, Come siamo andati op. cit., pag. 268. 870 Cfr. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pp. 278-79. 868 austriache, ma ora il governo è intenzionato a voler evitare che possano essere annesse anche da un piccolo Stato come la Grecia, nel timore che col tempo questa possa diventare più forte e pericolosa o possa allearsi con qualche altra potenza, stravolgendo così l’equilibrio dell’Adriatico 871 . Salvemini, che resta pur sempre a favore dell’autonomia albanese, non condivide gli argomenti e le preoccupazioni della Consulta e sembra unicamente timoroso di un’espansione austriaca. Se l’Italia non può ammettere che Valona faccia parte di un piccolo Stato come la Grecia (quando invece per Salvemini, come si è visto, ciò dovrebbe accadere se gli albanesi si dimostrassero col tempo incapaci di vita autonoma), ritenendo pericolosa questa eventualità, ciò vuol dire che si opporrebbe anche all’adesione dell’Albania all’eventuale confederazione balcanica, perché in questo caso Valona potrebbe diventare il porto militare del nuovo organismo politico. Allo stesso modo Italia ed Austria avrebbero quindi tutto l’interesse che l’Albania si mantenga nell’attuale stato di barbarie, o che comunque non si sviluppi e non prosperi più di tanto, in modo che non possa trasformare Valona in un pericolo per l’Adriatico. Con ciò, secondo Salvemini, sono svelate le reali motivazioni delle due potenze adriatiche, che si proclamano solennemente protettrici dell’autonomia albanese in nome del principio di nazionalità, ma che in realtà cercano solo per questa via di limitare le conquiste degli Stati balcanici vittoriosi con un colpo reazionario 872 . Salvemini si augura che quest’ipotesi da lui illustrata, fondata su un accordo italoaustriaco e sulla divisione della regione albanese in due zone di influenza, si riveli infondata, in quanto non solo macchierebbe l’onore dell’Italia, ma sarebbe a lungo andare dannosa per gli stessi interessi del Paese. È evidente che l’Austria mira in questo modo a schiacciare la Serbia e a prendersi una rivincita sugli attuali avvenimenti. La 871 872 Cfr. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pp. 279-81, 285-86. Cfr. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pp. 279-81. Ballplatz, infatti, riconosciuta la parte settentrionale dell’Albania come sua zona d’influenza, cercherebbe di estendere i confini della medesima a quelle zone del vilayet di Kosovo reclamate dalla Serbia e abitate da numerose tribù albanesi, che, e qui Salvemini cita le Lettere sull’Albania del ministro San Giuliano 873 , hanno fama di selvagge ed indomabili e da tempo opprimono in tutti i modi la popolazione serba, la quale in questi distretti sta diminuendo sempre più. L’Austria appoggerà probabilmente gli schipetari, che difficilmente accetteranno di passare sotto la sovranità degli Stati vicini, nella loro inevitabile lotta contro gli irriducibili nemici serbi, e farà in modo che la parte della Macedonia annessa agli Stati slavi sia ridotta il più possibile. Una volta insediatasi in maniera più o meno velata nell’Albania del nord, la duplice monarchia avrà accerchiato la Serbia anche da sud-ovest, costringendola prima o poi ad entrare nel sistema doganale austriaco e a diventare così uno Stato vassallo dell’impero874 . L’Austria trarrebbe in questo modo il massimo vantaggio dall’accordo con l’Italia e estenderebbe notevolmente la sua influenza nei Balcani, risultato che per Salvemini, come si è visto, sarebbe deleterio per la nazione e non potrebbe venire bilanciato da compensi di alcun tipo. Un altro noto uomo politico che sarà con Salvemini una delle figure più importanti del cosiddetto interventismo democratico nella Prima Guerra Mondiale, è Leonida Bissolati, che negli anni passati è stato fra gli esponenti più prestigiosi del riformismo socialista, collocandosi nella destra del partito. Soprattutto a partire dall’annessio ne della Bosnia, che lo ha visto associarsi alle rimostranze antiaustriache, egli ha elaborato originali posizioni in materia di politica estera che vanno oltre il consueto pacifismo e 873 874 Vedi pag. 37. Cfr. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pp. 282-86. internazionalismo del movimento socialista. Secondo Bissolati uno dei compiti dei socialisti è quello di favorire l’ingresso delle masse nello Stato per consolidarne e svilupparne l’assetto democratico, e per accrescere nelle masse stesse il senso della “cosa pubblica” e dell’interesse collettivo. Da ciò deriva la necessità di riconoscere che esistono alcuni interessi nazionali, che non contrastano con gli interessi di classe, che vanno salvaguardati, anche in collaborazione con la borghesia democratica e liberale, e che pertanto non è indifferente per il proletariato l’affermazione di una certa linea di politica estera piuttosto che un’altra. Considerazione dei problemi di sicurezza nazionale e difesa dei principi della democrazia e della sovranità popolare anche a livello internazionale, dovrebbero essere, per il leader riformista, le linee guida di una politica estera ideale 875 . In occasione della guerra libica Bissolati si limita a criticare tempi e modi dell’azione, ma non pare contrario in maniera assoluta all’impresa come il resto del partito e dello stesso schieramento riformista, e sembra incline a riconoscere che si è trattato, come ha spiegato Giolitti, di una «fatalità storica». Soprattutto, Bissolati si dimostra contrario a revocare la fiducia ad un governo che, come egli ricorda, si è presentato con un ampio programma di riforme. La posizione tenuta di fronte al conflitto italo-turco peggiora i suoi rapporti all’interno del partito, dal quale viene infine espulso, insieme a Bonomi e Cabrini, nel congresso di Reggio Emilia del luglio 1912, quando gli intransigenti ottengono la guida del partito. Lo stesso motivo ufficiale della sua espulsione, la visita al re scampato all’attentato di un anarchico, testimonia il suo riconoscimento di valori interclassisti di solidarietà nazionale 876 . La corrente bissolatiana dà vita subito dopo la scissione al Partito Socialista Riformista, che si ispira al modello del laburismo inglese e che per quanto riguarda la politica estera 875 876 Cfr. Ciuffoletti, op. cit.; Decleva, Anna Kuliscioff op. cit. Cfr. Ciuffoletti, op. cit. riflette le posizioni maturate negli anni passati dai suoi leaders. Nel congresso del nuovo partito tenutosi ne l dicembre 1912, a conflitto balcanico iniziato, Bissolati presenta un ordine del giorno in cui si dichiara l’aspirazione dei socialriformisti alla pace fra i popoli, risultato che però può essere raggiunto solo superando le generiche posizioni internazionaliste e pacifiste. Il proletariato deve pertanto favorire e cercare di imporre quelle soluzioni dei problemi di politica internazionale che paiono più adatte al raggiungimento di quello scopo, senza però subordinarle in via assoluta alla pregiudiziale pacifista, e nello stesso tempo non deve «disinteressarsi delle esigenze legittime della espansione civile della propria nazione, da armonizzarsi con quelle di tutte le stirpi umane»877 . Infine si afferma che la politica estera italiana, dopo i recenti eventi libici e balcanici, può e deve tenersi fuori dallo scontro fra le due Triplici, favorendo il raggiungimento di una sicura pace europea 878 . Allo scoppio della guerra balcanica i socialriformisti si schierano su posizioni simili a quelle di altre forze democratiche come repubblicani e radicali, con i quali talvolta organizzano manifestazioni e comizi in favore della Quadruplice e contro l’intervento europeo nei Balcani879 . Su questi problemi la direzione del partito, pochi giorni prima dell’inizio delle ostilità, ha approvato un ordine del giorno in cui si denuncia la politica delle grandi potenze legata al mantenimento dello status quo, e si esprime l’augurio che gli Stati alleati ottengano la vittoria in questa guerra, definita «una dolorosa necessità» per la liberazione delle popolazioni oppresse dal fanatismo musulmano. Si afferma che «il principio della libertà dei popoli è il presupposto necessario della fratellanza dei popoli in una civiltà superiore», e si esortano il proletariato di tutti i Paesi e le forze della democrazia a battersi contro «le eventuali congiure conservatrici della diplomazia 877 L. Bissolati, La politica estera dell’Italia dal 1897 al 1920, Milano, Treves, 1923, pp. 293-94. Cfr. Bissolati, op. cit., pp. 293-94. 879 Vedi pag. 254. 878 europea»880 . Bissolati scrive diversi articoli sulla situazione internazionale per Il Secolo, quotidiano milanese di ispirazione democratica di cui è ormai da tempo collaboratore881 . A metà novembre denuncia le manovre austriache per intervenire nel conflitto balcanico a danno degli Stati slavi, il cui rafforzamento ai confini meridionali dell’Impero asburgico rappresenta per quest’ultimo un grave pericolo. L’Italia, per Bissolati, deve difendere le vittorie alleate e opporsi risolutamente alle intenzioni della Ballplatz, negando l’appoggio diplomatico richiesto da Vienna. L’Austria infatti non può correre il rischio, scagliandosi contro l’elemento slavo, di sfidare da sola l’Europa intera, che ha proclamato solennemente il principio del non intervento nella guerra in corso. Pertanto sta cercando il consenso italiano, al quale seguirebbe sicuramente quello della Germania, che vedrebbe con sommo piacere il miglioramento delle relazioni italoaustriache ed il conseguente consolidamento della Triplice Alleanza. Bissolati dubita che il governo italiano abbia realmente affermato la sua solidarietà con l’Austria, il cui eventuale intervento porterebbe probabilmente ad una guerra generale, ma si rammarica che le minacce e le intimazioni contro la Serbia lanciate dalla Ballplatz siano state effettuate a nome della Triplice Alleanza, senza che da Roma sia giunta né una conferma né una smentita 882 . In occasione poi della seduta della Camera del 3 dicembre sulla pace di Losanna, Bissolati interviene a nome del suo partito, ricordando come la fine delle ostilità con la Turchia quando i popoli balcanici dichiaravano guerra sia sembrata a molti un atto di egoismo, mentre in realtà ha permesso all’Italia di riconquistare quella libertà d’azione che si augura venga ora impiegata per fare opera di conciliazione, e per difendere la causa alleata impedendo le mosse di chi vorrebbe intorbidire la situazione per i propri fini particolari, a danno degli Stati balcanici e 880 ASMAE, serie politica, b. 736, 15 ottobre 1912, nota 28714 del Ministero degli Interni. Cfr. Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit., pag. 403. 882 Cfr. Bissolati, op. cit., pp. 275-79. 881 dell’Italia stessa, e con pericolo per la pace europea 883 . Nel suo discorso Bissolati esprime anche la speranza che col trattato di Losanna il Paese non si sia impegnato ad impedire un’occupazione greca del Dodecaneso, nel caso che la restituzione delle isole avvenga a conflitto balcanico ancora in corso. Nell’ipotesi invece che l’arcipelago sia evacuato al termine della presente guerra, ci si augura che esso possa essere aggregato alle altre isole egee liberate nella sistemazione definitiva che a queste sarà data884 . Anche nei mesi successivi Bissolati tiene una posizione filoellenica e non condivide il duro atteggiamento della Consulta nei confronti del governo di Atene. Ad esempio, in un articolo apparso su Il Secolo nel mese di gennaio, egli critica la posizione tenuta alla conferenza degli ambasciatori dall’Italia, che sostiene che le isole egee in prossimità degli stretti e della costa anatolica debbano restare alla Porta perché non costituiscano un pericolo per la parte asiatica dell’Impero ottomano 885 . Secondo Bissolati la tesi italiana, oltre ad essere in contrasto col principio di nazionalità, presenta il rischio di mantenere nelle isole in questione una situazione foriera di disordini e nuovi conflitti, come già si è visto nel caso di Creta, ed inoltre va contro gli stessi interessi del Paese, che avrebbe tutto il vantaggio ad assicurarsi la benevolenza della Grecia. Bissolati teme che la posizione della Consulta sia dovuta agli obblighi dell’alleanza, dal momento che sono Austria e Germania a trarre il maggior guadagno dalla limitazione delle conquiste dei vincitori, e si rammarica che questa politica stia facendo perdere all’Italia di volta in volta le simpatie di tutti gli Stati balcanici886 . A maggio poi, quando il dissidio italoellenico si è esteso alla questione della frontiera meridionale albanese, Bissolati si chiede «se il nostro interesse ci imponga davvero di renderci ostile la giovane potenza 883 Cfr. La pace di Losanna art. cit.; Bissolati, op. cit., pp. 279-88. Cfr. La pace di Losanna art. cit.; Bissolati, op. cit., pp. 279-88. 885 Vedi pp. 125-28. 886 Cfr. Bissolati, op. cit., pp. 300-02. 884 della Grecia per rivendicare al futuro Stato albanese qualche striscia di terra etnicamente controversa»887 . Le minacce italiane al governo di Atene sono ritenute un fatto gravissimo, e sono anche la causa, secondo Bissolati, delle aspre polemiche della stampa francese verso l’Italia e della crescente tensione fra le due potenze latine, circostanza che lo preoccupa notevolmente. Con ciò il Paese si sta isolando sempre più nell’Adriatico e nel Mediterraneo e, di conseguenza, si sta legando più strettamente agli imperi centrali, a tutto vantaggio dell’Austria che al momento opportuno lo estrometterà dall’Albania, destinata a diventare un «feudo austriaco»888 . Tornando indietro di qualche mese al rinnovo della Triplice Alleanza, Bissolati si dichiara contrario a questo passo del governo italiano che va contro gli interessi del Paese. Infatti la conquista della Libia aumenta considerevolmente la vulnerabilità dell’Italia in caso di attacco via mare, e pertanto richiederebbe la ricerca di accordi con le altre potenze navali, a meno che non si voglia dissanguare la nazione con un grande programma di potenziamento della flotta. Inoltre l’esito della guerra balcanica, che ha bloccato la possibilità di un’espansione austriaca verso l’Egeo, ha fatto svanire il principale motivo di conflitto fra Italia ed Austria. Pertanto i vantaggi che offre la Triplice al Paese, il più importante dei quali è sempre stato quello di evitare una guerra con la duplice monarchia, sono ora notevolmente ridotti, mentre i sacrifici imposti dal trattato pesano allo stesso modo, se non più di prima. Infatti va sempre più inasprendosi il dissidio anglo-tedesco, che ormai da qualche anno desta la massima preoccupazione in Bissolati889 , e il fatto che la rinnovazione sia avvenuta senza modificazioni fa pensare che l’Italia non abbia ottenuto alcuna garanzia per evitare di trovarsi coinvo lta in un conflitto contro l’Inghilterra. Inoltre i tempi dell’annuncio del rinnovo fanno temere che 887 Bissolati, op. cit., pag. 317. Cfr. Bissolati, op. cit., pp. 315-18. 889 Cfr. Vigezzi, op. cit., pag. 38. 888 si sia voluto dare una prova di forza e compattezza a sostegno dell’Austria, impegnata attualmente in un aspro contrasto con la Serbia, ciò che per Bissolati costituisce un grave errore, in quanto l’Italia avrebbe dovuto invece fare opera di mediazione e conciliazione a vantaggio della pace europea 890 . Durante i negoziati di pace fra i belligeranti nel mese di dicembre, il leader dei socialriformisti propone poi che il governo italiano si serva utilmente dei vincoli di alleanza con l’Austria per frenare le indubbie intenzioni bellicose di quest’ultima, alla quale si devono con ogni probabilità le resistenze turche nelle trattative di Londra. Nel momento attuale, infatti, la duplice monarchia vede perduta ogni possibilità per rimediare alla situazione a lei dannosa creatasi nei Balcani; se però la guerra continuasse sarebbe allora più facile trovare un pretesto sufficientemente credibile per spezzare il concerto europeo e intervenire nella penisola. Ciò che fa propendere per questa ipotesi sono anche gli armamenti austriaci al confine bosniaco, che contribuiscono inoltre a mantenere alta la tensione con la Russia. L’Italia, secondo Bissolati, dovrebbe chiedere spiegazioni su questi provvedimenti militari all’Austria, la quale in virtù dell’alleanza non dovrebbe ritenere tale richiesta una provocazione, come invece accadrebbe se la domanda provenisse da San Pietroburgo. Il governo italiano quindi deve far comprendere a Vienna di non poterla seguire su questa strada, ammonendola che così sta correndo il rischio di restare isolata. L’Italia si guadagnerebbe in questo modo, facendo opera di pacificazione in un’ora forse decisiva, la riconoscenza di tutta Europa 891 . Bissolati in alcuni articoli tratta anche i problemi inerenti la questione albanese; ad esempio quando nel mese di gennaio si diffondono le voci di una possibile cessione del monte Lovcen all’Austria da parte del Montenegro, che verrebbe compensato 890 891 Cfr. Bissolati, op. cit., pp. 288-93. Cfr. Bissolati, op. cit., pp. 294-97. dall’acquisto di Scutari, egli sottolinea le ripercussioni negative che si avrebbero, in conseguenza di un simile evento, per l’Europa tutta e per l’Italia in particolare. Infatti in questo caso la duplice monarchia romperebbe l’accordo preso dalle grandi potenze all’inizio del conflitto, che esclude vantaggi territoriali per alcuna di esse, mettendo così in pericolo la pace generale dal momento che tutte le altre si affretterebbero a reclamare compensi. Inoltre un simile passo da parte di Vienna segnerebbe la fine del patto con l’Italia riguardante l’Albania, in quanto l’equilibrio fra le due alleate nella regione sarebbe spezzato a favore dell’Austria, rafforzata dalla nuova postazione strategica ottenuta a Cattaro 892 . Successivamente Bissolati prende anche posizione contro il protettorato esclusivo delle due potenze adriatiche in Albania, dichiarando di preferire piuttosto il controllo da parte di tutta l’Europa. Ciò che bisogna assolutamente evitare, secondo il leader socialriformista, è che l’Italia si trovi isolata di fronte all’Austria nel nuovo Stato, dove la duplice monarchia è già avvantaggiata per la maggiore influenza di cui gode su quelle popolazioni. Di conseguenza l’interessamento di tutte le potenze avrebbe l’indubbia convenienza di sottoporre ad una maggiore sorveglianza l’operato di Vienna 893 , che sicuramente intende servirsi dell’Albania per i suoi fini particolari, «per paralizzare la tendenza degli Stati balcanici a comporsi in sempre più compatta e più possente unità»894 , compito che le riuscirebbe più difficile quando avesse di fronte tutta l’Europa e non la sola Italia. Pertanto Bissolati esprime il suo disappunto quando, nel mese di maggio, il progetto di costituzione dell’Albania, presentato alla conferenza di Londra dagli ambasciatori italiano e austriaco, sembra prevedere l’ingerenza nel Paese delle sole potenze adriatiche 895 . Anche l’eventualità di una spartizione dell’Albania fra 892 Cfr. Bissolati, op. cit., pp. 297-300. Cfr. Bissolati, op. cit., pp. 302-06. 894 Bissolati, op. cit., pag. 304. 895 Cfr. Bissolati, op. cit., pp. 314-15. 893 Italia ed Austria non trova il consenso di Bissolati, che la considera un “tradimento” dei principi di nazionalità e giustizia, e che la ritiene altamente pericolosa per i rapporti fra le due alleate. Quest’ultimo è infatti uno dei motivi per cui egli è contrario al protettorato austro- italiano, vale a dire il timore che l’Albania possa diventare un terreno di aperto scontro fra Italia ed Austria, che rischierebbe di portare prima o poi addirittura ad una guerra 896 . Per questa stessa ragione Bissolati è fermamente contrario alla spedizione italiana a Valona in caso di intervento della duplice monarchia contro il Montenegro a Scutari. Rammaricandosi dell’entusiasmo con cui l’opinione pubblica italiana va preparandosi all’impresa, egli ricorda come un simile passo metterebbe a repentaglio la pace europea, e soprattutto come la spartizione del Paese, anche solo in sfere di influenza, che verrebbe di conseguenza, metterebbe di fronte Austria e Italia col pericolo inevitabile di nuove tensioni fra i due Paesi, la cui “gara” in Albania rischierebbe prima o poi di trasformarsi in scontro aperto, visto che la duplice monarchia vuole sicuramente mettere le mani anche su Valona. L’esito di questo duello difficilmente sarebbe favorevole all’Italia, che nel frattempo con la sua condotta avrebbe rotto i legami con la Triplice Intesa e persa l’amicizia degli Stati balcanici, e si troverebbe quindi completamente isolata 897 . Nel mese di aprile Bissolati scrive anche un articolo, apparso sempre su Il Secolo, in cui commenta le aspre divergenze che sono sorte in seno alla Quadruplice per la ripartizione dei territori conquistati, e non risparmia parole pesanti per gli Stati balcanici, la cui guerra, «che tutti gli spiriti democratici di Europa salutarono come una tappa ascensionale della storia, come una benefica rivoluzione nella vita internazionale, discenderebbe al livello di un misero episodio di sangue e rapina»898 . Come sempre la 896 Cfr. Bissolati, op. cit., pp. 302-06, 314-15. Cfr. Bissolati, op. cit., pp. 311-13. 898 Bissolati, op. cit., pag. 307. 897 riflessione di Bissolati è dominata dal timore dell’Austria, la quale ha tutto l’interesse a veder rotta l’alleanza balcanica e a veder separate Bulgaria e Serbia. Anche se quest’ultima avesse per il momento la meglio nella spartizione del bottino, si troverebbe comunque isolata e in balia della duplice monarchia, la quale aspetterebbe il momento propizio per portare a termine il suo progetto. La situazione favorevole attesa dall’Austria potrebbe essere l’inevitabile crollo della Turchia asiatica, uno dei temi di politica internazionale più discussi in questi anni, quando la Ballplatz potrebbe ottenere il “via libera” nei confronti della Serbia come compenso agli acquisti delle altre potenze in Asia, con la Russia stessa che potrebbe non opporsi, soddisfatta dei suoi probabili ingrandimenti in Armenia. Infatti la protezione delle grandi potenze sugli Stati balcanici non è mai stata disinteressata, e uno dei risultati più benefici della stipulazione dell’alleanza è stato proprio il superamento di ogni tipo di influenza e di patronato europeo. Questo importante esito può essere mantenuto e consolidato, secondo Bissolati, solo col rafforzamento del blocco balcanico, colla formazione di una federazione che avrebbe titoli e forza per trattare da pari a pari col resto d’Europa; sarebbe questa la soluzione più efficace per impedire la discesa dell’Austria nella penisola 899 . Fra le forze conservatrici e di destra del Paese, collocate al di fuori del blocco liberale, le posizioni di fronte alla Prima Guerra Balcanica sono discordanti. Nel mondo cattolico degli anni del pontificato di Pio X si assiste ad un’attenuazione del non expedit, che culminerà nelle elezioni del 1913, e ad un progressivo avvicinamento politico allo schieramento moderato e conservatore. Su questo processo influisce anche il compimento dell’impresa tripolina, appoggiata da praticamente tutto l’ambiente 899 Cfr. Bissolati, op. cit., pp. 306-10. cattolico, che in alcuni settori, soprattutto quelli legati al Banco di Roma, dà un’adesione addirittura entusiasta alla guerra 900 . I giornali appartenenti al trust controllato dal Banco di Roma, fin da prima del conflitto italo-turco, si associano ai giudizi prevalenti nell’opinione pubblica del Paese riguardanti la presunta inadeguatezza della politica estera italiana, che si vorrebbe più attiva e dinamica, e auspicano anch’essi il rafforzamento e il potenziamento dell’esercito e della marina 901 . Il Corriere d’Italia, ad esempio, sostenendo anch’esso la necessità dell’espansione del Paese, nel 1911 individua un ampio campo d’azione per l’imperialismo nazionale, e indica anche i Balcani fra le regioni in cui l’opera del governo dovrebbe far valere gli interessi italiani. L’Albania è poi considerata un possibile sbocco ai prodotti manifatturieri, e in occasione delle rivolte oltre Adriatico del 1911 si chiede addirittura che l’Italia intervenga direttamente in aiuto agli insorti, «in nome dei suoi diritti di grande nazione 902 . Una simile presa di posizione è dovuta anche ai sentimenti antiottomani ed antiislamici largamente diffusi nel mondo cattolico. Negli anni passati sia la stampa intransigente che quella moderata è sempre insorta contro i turchi in occasione dei disordini e delle stragi in Armenia e in Macedonia, spesso senza risparmiare critiche all’operato dell’Europa, colpevo le di permettere il brutale dominio ottomano e di non fare nulla di concreto per impedire questi fatti903 . Poco tempo dopo l’annessione della Bosnia, l’Unione, organo dei clerico- moderati vicini a Filippo Meda, ha scritto che compito dell’Italia nei Balcani è quello di favorire l’indipendenza dei popoli soggetti al «giogo turco, che la ripagherebbero con amicizia e gratitudine su cui l’Italia potrebbe costruire la sua influenza nella regione», non diversamente da quanto 900 Cfr. L. Ganapini, Il Nazionalismo cattolico. I cattolici e la politica estera in Italia dal 1871 al 1914, Bari, Laterza, 1970. 901 Cfr. Ganapini, op. cit.; Castronovo, Tranfaglia, op. cit. 902 Ganapini, op. cit., pag. 173. 903 Cfr. Ganapini, op. cit., pp. 168-69. sostenuto in altri ambienti politici, anche se qui viene dato maggior risalto all’aspetto religioso della questione, quando ad esempio si dice che l’Italia guiderebbe così l’Europa cristiana a «vegliare perché non si aprano nuovi cimiteri, perché la scimitarra musulmana non abbia a mietere altre vittime cristiane»904 . Vista l’ampia diffusione di questi motivi antiottomani, inaspriti ulteriormente con la guerra di Libia, non sorprende che la maggior parte del mondo cattolico inneggi alle vittorie degli alleati cristiani all’inizio del conflitto balcanico, con l’ Osservatore romano che ne approfitta per ricordare il ruolo svolto dal papato da cinque secoli a questa parte, teso a contrastare prima e a rendere meno dura poi la dominazione turca 905 . Questa presa di posizione favorevole alla Quadruplice si accompagna però poco dopo a considerazioni sul pericolo rappresentato dall’avanzata dello slavismo, a cui non sono estranee la diffidenza e la rivalità verso la chiesa ortodossa. Dopo il riavvicinamento fra Italia e Francia alla fine dell’ottocento e dopo la svolta politica rappresentata dal caso Dreyfus, i rapporti fra Parigi e il Vaticano sono peggiorati notevolmente, e con il pontificato di Pio X si assiste ad una sostanziale adesione cattolica, in chiave conservatrice, alla Triplice. Il favore con cui si guarda in questi anni all’alleanza con l’Austria non è dettato solo da considerazioni legate alla difesa di alcuni princìpi che la monarchia asburgica, soprattutto agli occhi degli intransigenti, sembra incarnare, ma è anche originata da riflessioni politiche più elaborate. Infatti la divisione sempre maggiore del concerto europeo in due blocchi separati e rivali fa ritenere inevitabile prima o poi lo scontro risolutivo fra germanesimo e slavismo, e interesse dell’Italia, secondo la maggior parte dei cattolici, è quello di appoggiarsi senza esitazione alle alleate, sostenendole in questa lotta 906 . L’avanzata degli slavi sulle rive adriatiche è considerato 904 Ganapini, op. cit., pag. 169. Cfr. Ganapini, op. cit., pag. 211; Contro le abbiette art. cit. 906 Cfr. Ganapini, op. cit. 905 infatti un pericolo tanto per l’Austria che per l’Italia, e l’irredentismo viene di conseguenza condanna to senza riserve da intransigenti e moderati, mentre si propugna l’alleanza dei gruppi nazionali tedesco e italiano all’interno della duplice monarchia 907 . Pertanto se la cacciata dei turchi dall’Europa è un avvenimento positivo, l’eccessivo rafforzamento degli Stati slavi e ortodossi della penisola balcanica non è visto di buon occhio dalla maggior parte dei cattolici, secondo i quali l’Italia dovrebbe appoggiare fedelmente l’Austria contro le nazioni che attentano alla sua integrità territoriale e difendere insieme ad essa la causa dell’Albania, destinata a limitare l’espansione vittoriosa degli alleati. L’Italia, quotidiano moderato del trust, arriva a propugnare, nel gennaio 1913, una sincera e ferma adesione ad una Triplice Alleanza estesa alla Romania, anch’essa allarmata per le vittorie slave, e all’Impero ottomano, la quale, oltre a costituire un blocco decisamente superiore dal punto di vista militare, porterebbe anche, finalmente, notevoli vantaggi al Paese908 . Intanto, non solo sui fogli intransigenti e sull’Osservatore romano ma anche sui giornali clerico-moderati del trust, durante la prosecuzione del conflitto balcanico appaiono spesso motivi violentemente polemici nei confronti della chiesa ortodossa («La intolleranza greco-scismatica non conosce confini») 909 e del panslavismo, che «detesta l’Austria-Ungheria ed ha in odio Roma che considera sul terreno religioso come un nemico mortale del mondo slavo e dell’ortodossia»910 . Una parziale eccezione a queste manifestazioni di integralismo all’interno del mondo cattolico, è rappresentata dalla Lega democratica nazionale di Murri, all’interno della quale non manca comunque chi sostiene la necessità di contrastare il pericolo slavo. 907 Cfr. Ganapini, op. cit.; Vigezzi, op. cit., pp. 29-30. Cfr. Ganapini, op. cit., pp. 214-17. 909 Ganapini, op. cit., pag. 216. 910 Ganapini, op. cit., pag. 216. 908 Molti esponenti di essa si attestano però su posizioni apertamente democratiche, e per quel che riguarda la guerra balcanica salutano la rinascita dei popoli cristiani della penisola, compiacendosi che l’Italia abbia contribuito col conflitto libico a porgere loro un’occasione propizia di riscossa. Ad esempio Eugenio Vajna de’ Pava, collaboratore dell’Azione di Cesena, foglio vicino alla Lega di Murri, e caduto poi da volontario nella Grande Guerra, si oppone nei suoi articoli all’intervento europeo, che teme sia animato da intenzioni conservatrici, nel conflitto balcanico, auspicando invece il libero sviluppo degli Stati nazionali non solo nei Balcani, ma anche in Armenia e in Asia Minore, ad esclusione di ogni ipotesi di occupazione europea nelle province asiatiche dell’Impero ottomano ormai prossimo al crollo totale 911 . Vajna è anche sostenitore della creazione di un’Albania dagli ampi confini, poiché solo in questa maniera sarebbe potuto nascere uno Stato vitale e realmente indipendente, e non «un secondo stato pitocco»912 come il Montenegro. Pertanto si oppone in questo caso alle aspirazioni di Serbia e Grecia, e a questo proposito è protagonista di una polemica con Salvemini, che invece riconosce il buon diritto dei vincitori di annettersi perlomeno i territori non omogeneamente albanesi ed è contrario, quindi, alla nascita di una Grande Albania 913 . Una componente importante del panorama politico italiano di questi anni è rappresentata dal movimento nazionalista, cresciuto attorno all’esperienza di alcune riviste nei primi anni del secolo, e costituitosi in partito politico con la nascita dell’Associazione Nazionalista Italiana nel 1910 a Firenze. In esso confluiscono inizialmente circoli e uomini di varia estrazione ideologica, accomunati da un’alta concezione del destino della patria e del suo ruolo nel mondo, e dalla convinzione che la politica estera del Paese sia troppo cauta e remissiva, idea che del resto è diffusa 911 Cfr. Ganapini, op. cit., pp. 220-21. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pag. 289 nota 1. 913 Cfr. Salvemini, Come siamo andati op. cit., pp. 289-90, 300-01. 912 ampiamente in una parte consistente dell’opinione pubblica. Il movimento resta pertanto, ai suoi inizi, qualcosa di vago senza una linea di azione ben definita, vista la presenza al suo interno di correnti apertamente reazionarie come di settori democratici legati ancora ad un irredentismo di tipo tradizionale. La guerra di Libia costituisce un momento determinante per la crescita del nazionalismo, che sa cogliere questa occasione per acquisire maggiore visibilità e per inserirsi rumorosamente nella vita politica del Paese 914 . In questi mesi avviene anche l’inevitabile processo di chiarificazione teorica e pratica all’interno del movimento, che porta, nel congresso di Roma del dicembre 1912 (a conflitto balcanico in pieno svolgimento), all’uscita dall’ANI delle correnti democratiche, mentre sempre maggiore importanza assume il gruppo romano de L’Idea nazionale, che ha in Corradini la figura più prestigiosa e autorevole. È questo il settore del partito più rumoroso e più apertamente reazionario, che finirà per affermarsi col passare del tempo elaborando un preciso progetto politico conservatore. Antigiolittiani e antisocialisti in politica interna, Corradini e i vari Federzoni, Forges Davanzati, Coppola, Maraviglia, sostengono decisamente una politica estera espansionista e la necessità dell’imperialismo, riservando maggiore attenzione all’Africa e al Mediterraneo che non all’Adriatico e ai Balcani, che comunque non trascurano 915 . Al congresso del 1910 l’ANI non esprime un programma preciso di politica estera, proprio per l’eterogeneità delle sue componenti, ma anche per il fatto che la scelta di questa o quella linea politica in campo internazionale è ritenuta di importanza secondaria rispetto al metodo e al modo con cui tali politiche vengono perseguite 916 . In tal senso si esprime Federzoni nella sua relazione al congresso di 914 Cfr. F. Gaeta, Il nazionalismo italiano, Roma -Bari, Laterza, 1981; F. Perfetti, Il movimento nazionalista in Italia (1903-1914), Roma, Bonacci, 1984; I nazionalisti, a cura di A. d’Orsi, Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 13-50. 915 Cfr. Gaeta, op. cit.; Perfetti, op. cit.; d’Orsi, op. cit. 916 Cfr. Gaeta, op. cit.; Perfetti, op. cit. Firenze, quando si scaglia contro il “raccoglimento” seguito alla sconfitta di Adua, cui ha fatto seguito un periodo di timidezza e povertà di iniziativa che ha avuto come conseguenza «l’umiliazione del 1908. Federzoni riconosce che «gli interessi politici dell’Austria e dell’Italia nell’Adriatico non solo si contrastano, ma necessariamente si escludono», concludendo però che nella Triplice per il momento conviene rimanere, ma in condizioni di parità e non «di dipendenza di clienti verso padroni. Perciò il Paese dovrebbe potenziare esercito e marina per essere abbastanza forte, nel momento decisivo, da poter scegliere «fra l’alleanza e l’inimicizia, fra la pace e la guerra»917 . Negli anni di “incubazione” del movimento nazionalista fra il 1908 e il 1910, sono sorti alcuni giornali, come Il Carroccio e La Grande Italia, aperti alla collaborazione di elementi di varia formazione ideologica, fra cui alcuni democratici ed irredentisti. Costoro, a proposito della questione balcanica, hanno propugnato sulle colonne di questi fogli una politica antitriplicista e di amicizia coi popoli slavi, in vista della distruzione dell’Impero austroungarico. Ben presto, però, queste prese di posizione filoslave sono state messe ai margini, su quegli stessi giornali, dall’atteggiamento rozzo e aggressivo degli altri elementi nazionalisti antidemocratici e indifferenti verso il principio di nazionalità 918 . Federzoni, ad esempio, ha scritto nel 1909 su Il Carroccio che gli slavi «sono un popolo spiritualmente muto, senza altro carattere che un rissoso fanatismo sanfedista», un popolo «la cui ideale soppressione dalla carta geografica del mondo non avrebbe mutato di una linea la storia della civiltà»919 . Lo scoppio delle guerre balcaniche non viene accolto in maniera univoca dagli esponenti nazionalisti, a conferma dell’assenza di una precisa linea di politica estera: alcuni elementi democratici bolognesi, non ancora usciti dall’ANI (il congresso di Roma si tiene nel dicembre del 917 Gaeta, op. cit., pag. 124. Cfr. Gaeta, op. cit., pp. 111-13; Perfetti, op. cit., pp. 54-56. 919 Perfetti, op. cit., pag. 56. 918 1912), salutano favorevolmente le vittorie alleate e criticano la posizione del governo, che in osservanza ai suoi obblighi di membro del concerto europeo non appoggia attivamente i popoli balcanici, come vorrebbero invece le tradizioni del Paese e il rispetto del principio di nazionalità 920 . Altri si chiedono invece se non sia il caso, una volta tutelati gli interessi adriatici dell’Italia, di favorire la discesa dell’Austria verso l’Egeo, ciò che avrebbe evitato il pericoloso rivolgersi verso occidente del pangermanesimo 921 . Maraviglia, che fa parte del gruppo de L’Idea nazionale, giudica in maniera positiva lo sviluppo degli Stati balcanici della penisola; questa valutazione non è ovviamente dettata da considerazioni legate al principio di nazionalità, aliene al modo di pensare dei seguaci di Corradini, bensì dalla convinzione che l’accrescimento della Serbia blocca per sempre le aspirazioni espansionistiche dell’Austria nella regione 922 . Federzoni, dal canto suo, ritiene inesistente il pericolo di un’avanzata russa fino al Mediterraneo, e ne trae la conseguenza che all’Italia non conviene, in omaggio all’alleanza con l’Austria, schierarsi decisamente contro l’Intesa, con la qua le sarebbe invece necessario mantenere buoni rapporti923 . Come è facile prevedere l’atteggiamento del governo riguardo alla guerra balcanica è criticato aspramente dai nazionalisti, e al secondo congresso dell’ANI del dicembre 1912 viene presentato un ordine del giorno, sottoscritto da De Frenzi (pseudonimo di Federzoni), Castellini e Forges Davanzati, in cui si denuncia la mancanza di «un contenuto nazionale nella politica seguita dall’Italia nella crisi balcanica»; si afferma inoltre che, mentre le altre potenze hanno un chiaro programma in proposito, la Consulta si limita ad «un’azione imitativa e subordinata alla politica 920 921 922 923 austroungarica, senza Cfr. Gaeta, op. cit., pp. 169-70. Cfr. Gaeta, op. cit., pag. 170. Cfr. Gaeta, op. cit., pag. 170. Cfr. Gaeta, op. cit., pag. 170. difendere adeguatamente gli interessi italiani nell’Adriatico, in Albania, e nei rapporti con gli Stati balcanici»924 . Anche il rinnovo della Triplice Alleanza non trova concordia di giudizio all’interno del movimento: L’Idea nazionale si associa, con toni ovviamente più energici, alle perplessità di gran parte dell’opinione pubblica per il momento scelto per questo passo, quando l’Italia avrebbe invece potuto mantenere una certa indipendenza almeno fino allo scioglimento della questione balcanica, ma soprattutto protesta perché, in uno spirito di passiva adesione al blocco germanico, non sono state ottenute concessioni da parte dell’Austria e nuovi vantaggi per il Paese. Non tutti i nazionalisti sono però dello stesso parere, e infatti all’interno del gruppo milanese alcuni non condividono l’asprezza delle critiche espresse per il rinnovo della Triplice, mentre a Venezia vi è chi sostiene la necessità politica, in questo momento, del passo effettuato dal governo 925 . L’Idea nazionale, invece, dichiara per una volta il proprio apprezzamento nei confronti di San Giuliano in occasione del discorso tenuto da quest’ultimo alla Camera il 22 febbraio 1913, anche se non rinuncia ad avanzare qualche riserva: ad esempio si manifesta il dubbio che l’enfasi posta dal ministro sulla grande posizione raggiunta dall’Italia nel Mediterraneo, abbia lo scopo di far passare in secondo piano la difficile situazione del Paese nello scacchiere adriatico 926 . All’interno dell’ANI, col proseguimento del conflitto balcanico nei mesi seguenti, continueranno ad esserci pareri discordanti su di esso, con alcuni che auspicheranno la formazione di un forte Stato serbo per bloccare l’espansione austriaca, ed altri che saranno invece preoccupati soprattutto per l’avanzata dello slavismo 927 . Intanto lo stato di tensione fra le grandi potenze causato dall’andamento della guerra balcanica, insieme alla divisione semp re più netta del concerto europeo in due blocchi 924 Cfr. Affermazione antimassonica al Congresso nazionalista, in La Stampa, 22 dicembre 1912, pag. 2. Cfr. Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit., pp. 424-25; Gaeta, op. cit., pag. 170. 926 Cfr. Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit., pp. 428-29; Gaeta, op. cit., pp. 170-71. 927 Cfr. Gaeta, op. cit., pag. 171. 925 distinti e contrapposti, porgono l’occasione alla redazione de L’Idea nazionale per intraprendere nella primavera del 1913 una chiassosa campagna giornalistica in favore di una politica di armamenti928 . Un esponente nazionalista che riserva molto interesse alla questione balcanica e al suo sviluppo col conflitto della Quadruplice contro la Turchia, è Gualtiero Castellini, definito per il suo contributo organizzativo alla nascita dell’ANI, un importante «elemento di raccordo e di mediazione fra gli ambienti del nazionalismo milanese, intrisi di irredentismo e filodemocratici e filoliberali, e quelli del gruppo romano, legati alla visione corradiniana del nazionalismo come imperialismo 929 . Castellini infatti è nato a Milano da una famiglia trentina con un nonno garibaldino, ed è nipote di Scipio Sighele, una delle figure più importanti della corrente irredentista che lascerà il partito nel 1912 930 . Per i suoi legami famigliari egli è quindi sentimentalmente legato all’irredentismo, ma fin da subito è molto vicino a Corradini e al gruppo de L’Idea nazionale, di cui condivide anche la maggiore importanza data all’espansione mediterranea rispetto al completamento dell’unità nazionale; inoltre Castellini è fra i firmatari dell’ordine del giorno antidemocratico approvato al congresso di Roma che provoca la scissione all’interno dell’ANI931 . Nel novembre 1912 Castellini scrive a Luigi Albertini complimentandosi vivamente per la linea seguita dal Corriere della sera a proposito della guerra balcanica, vale a dire per le quotidiane affermazioni del giornale milanese che l’Italia non deve seguire ciecamente l’Austria in passi che vanno contro l’interesse nazionale. Riconosce inoltre che il Corriere aveva ragione nel 1908 a dare molta importanza alla rinuncia austriaca sul sangiaccato in cambio dell’annessione 928 Cfr. Perfetti, op. cit., pag. 154. Perfetti, op. cit., pag. 76. 930 Cfr. d’Orsi, op. cit., pag. 238. 931 Cfr. Gaeta, op. cit., pp. 34-35, 142; d’Orsi, op. cit., pp. 30-31; Perfetti, op. cit., pp. 142-43. 929 della Bosnia, quando invece il resto dell’opinione pubblica era di parere opposto, e si rammarica per avere rivolto in quell’occasione pesanti accuse al quotidiano milanese, la cui posizione gli sembrava antipatriottica. Un altro errore austriaco, a detta di Castellini, è consistito nella proposta di Berchtold dell’agosto 1912 relativa al decentramento in Macedonia e Albania, passo che non ha fatto altro che spingere gli Stati balcanici a stringere maggiormente i loro legami e ad affrettare il corso degli eventi. Infine egli spende qualche parola sull’Albania, che a suo giudizio ha pochi diritti per aspirare all’indipendenza, vista la mancanza di sentimento nazionale fra le sue popolazioni, e che in caso di spartizione fra Grecia e Serbia costituirebbe forse un pericolo minore per l’Italia che non se divenisse un’entità autonoma, e quindi suscettibile di cadere sotto l’influenza austriaca 932 . Castellini si reca in viaggio nella penisola balcanica fra l’agosto e il settembre 1912, alla vigilia della conflagrazione, e nel maggio 1913, quando le operazioni belliche sono ormai concluse per lasciare spazio alle trattative di pace. Subito dopo vengono dati alle stampe i diari di questi viaggi, in un volume dal titolo I popoli Balcanici nell’anno della guerra osservati da un italiano. Nella prima occasione Castellini visita i tre Stati slavi della Quadruplice, mentre a maggio si reca in Albania: l’autore si limita per lo più a descrivere i Paesi visitati e a celebrare la loro preparazione alla guerra, analizzando poi gli effetti del conflitto nella regione albanese, della quale viene illustrata la caotica situazione 933 . Talvolta egli accenna anche alla posizione dell’Italia, come ad esempio nell’introduzione, dove però afferma che è difficile sostenere con sicurezza quale politica il governo avrebbe dovuto seguire, vista la complicazione e la connessione di molteplici aspetti. L’unica cosa che si può dire con certezza è che «l’Italia doveva 932 Cfr. Albertini, Epistolario op. cit., pp. 167-69. Cfr. G. Castellini, I popoli Balcanici nell’anno della guerra osservati da un italiano, Milano, Treves, 1913. 933 seguire nella penisola balcanica, come altrove, una politica realistica determinata strettamente dai suoi diritti e dai suoi interessi»934 , all’infuori di ogni sentimentalismo. Fino a qualche mese prima l’interesse principale dell’Italia nei Balcani era, secondo Castellini, la fine del potere ottomano; ora è invece quello di opporsi al sorgere di un nuovo impero eccessivamente potente 935 . Nel mese di settembre però, in occasione della sua permanenza in Bulgaria, l’autore esprime la convinzione che l’Italia abbia interessi collimanti con quelli degli Stati balcanici, e si rammarica che non sia stata colta l’occasione della guerra con la Turchia per incoraggiare le rivendicazioni di quei popoli, le cui aspirazioni, una volta realizzate, comporterebbero la fine dei sogni espansionistici austriaci, a vantaggio anche dell’Italia e in omaggio alla giustizia e alle tradizioni del Paese (in un simile riferimento, difficile da trovare ad esempio in un Federzoni, è possibile rintracciare le radici famigliari irredentiste di Castellini). Inoltre l’autore ricorda come si stia perdendo un’occasione per guadagnare influenza fra gli Stati della penisola, influenza che gioverebbe enormemente alla “conquista” di quei mercati936 , obiettivo, quest’ultimo, spesso citato nelle discussioni dell’opinione pubblica sulla politica estera italiana. In un capitolo scritto al termine dei suoi viaggi, in cui riepiloga brevemente lo svolgimento degli eventi bellici e politici, Castellini appare però più cauto nel rimpiangere che non si abbia supportato attivamente gli Stati balcanici approfittando della guerra italo-turca. Sarebbe stato certamente possibile, nei mesi precedenti, provvedere a cercare un accordo con essi o a favorire ed appoggiare la loro alleanza formatasi poi spontaneamente, cogliendo così la grande occasione storica che il destino ha sporto all’Italia; quando però la guerra balcanica stava diventando inevitabile, il governo italiano si trovava ormai impegnato nei negoziati di Ouchy, che 934 Castellini, op. cit., pag. 7. Cfr. Castellini, op. cit., pp. 6-9. 936 Cfr. Castellini, op. cit., pp. 94-96. 935 avrebbe rischiato di mandare poco saggiamente all’aria schierandosi a quel punto con la Quadruplice 937 . Ciò non toglie, secondo Castellini, che l’Italia deve ritenersi orgogliosa per essere stata l’iniziatrice di questi importanti avvenimenti e per avere stravolto due principi passivamente accettati per anni da tutta Europa, vale a dire «l’intangibilità della pace e l’intangibilità della Turchia»938 . In quest’opera appaiono poi altre volte celebrazioni ed esaltazioni della guerra, temi cari a Corradini e ampiamente diffusi in questi anni in ambienti culturali e artistici di ispirazione irrazionalista 939 . Ad esempio nell’introduzione Castellini afferma che i conflitti libico e balcanico offrono «un ammaestramento morale», e dimostrano come si possa «in pieno secolo ventesimo guerreggiare dai popoli di questo continente, sul quale socialismo e pacifismo parevano aver messo profonde radici», e come «la guerra, che ha veste di brutalità, sia intessuta di sacrificio: poiché diventa la forza egoistica di una nazione soltanto per l’altruismo singolo dei suoi mille e mille soldati morituri»940 . In seguito poi alla visita fatta sulle pendici del monte Tarabosh, che domina Scutari e che è stato teatro del terribile assedio della città, Castellini deve ammettere di essere stato profondamente colpito dallo spettacolo di morte e desolazione (cadaveri abbandonati di soldati turchi, carcasse di cavalli, tracce di incendi ovunque) 941 . Dinanzi al «viso della grande fattrice di morte e di vita – racconta l’autore – il dubbio mi ha preso[…]se la lotta combattuta lassù fosse nel diritto degli uomini… Il dubbio mi ha preso, mi ha agitato, mi ha empito l’animo di esitazioni e di turbamenti. La guerra?… E dopo lunga tortura il dubbio, che non aveva nome Zola né Tolstoi[…]è stato domato, e si è ritratto, vinto», rassicura infine 937 Cfr. Castellini, op. cit., pp. 125-28. Castellini, op. cit., pag. 125. 939 Ad esempio Filippo Tommaso Marinetti è autore di una composizione celebrativa del conflitto balcanico, intitolata Adrianopoli Assedio Orchestra e pubblicata su Lacerba (La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, vol. IV, a cura di Gianni Scalia, Torino, Einaudi, 1961). 940 Castellini, op. cit., pp. 5-6. 941 Cfr. Castellini, op. cit., pp. 182-96. 938 Castellini, che definisce questa esperienza personale «un incubo, terribile come una tentazione»942 . L’autore esprime nella sua opera giudizi decisamente negativi sulla Turchia, ricorrendo ad argomenti ampiamente diffusi nella stampa e nella pubblicistica di questo periodo, come quando afferma che l’esercito è stato l’unica forza dell’Impero ottomano o che nei territori sottoposti al dominio turco regnano l’abbandono e l’arretratezza 943 . È inutile, scrive Castellini a settembre, sperare che la Porta si faccia carico delle riforme per le popolazioni balcaniche, e a questo proposito è stata dimostrata anche l’inefficacia dei tentativi europei: è evidente quindi che la soluzione della questione non può più essere affidata a misure di questo tipo, ma richiede passi ben più radicali, che gli Stati balcanici sono ormai intenzionati a compiere senza ripensamenti. La loro alleanza si sta dimostrando molto efficace, perché l’unione li sottrae all’influenza delle grandi potenze e gli permette di sfidare la «cattiva volontà dell’Europa, che difende lo status quo»944 . Nel resoconto della sua permanenza nei tre Stati slavi nell’immediata vigilia della guerra, Castellini esprime tutta la sua simpatia verso quei Paesi. Del Montenegro ricorda il leggendario valore militare dei suoi abitanti coraggiosi e temerari, dei quali però non si può dire che siano anche solerti lavoratori. L’autore manifesta poi l’orgoglio per la pionieristica attività economica svolta nel piccolo regno dagli italiani, i quali in quest’opera esaltano tutte le virtù della propria razza, e si augura che l’espansione economica italiana possa proseguire e svilupparsi ulteriormente 945 . Anche nei riguardi della Bulgaria non vengono risparmiate lodi per i notevoli progressi compiuti dagli anni dell’indipendenza, che ne hanno fatto il Paese più forte dei Balcani. Vengono descritti 942 Castellini, op. cit., pp. 195-96. Cfr. Castellini, op. cit., pp. 91-92, 144. 944 Cfr. Castellini, op. cit., pp. 91-92, 113-14. 945 Cfr. Castellini, op. cit., pp. 28-65. 943 lo stato di eccitazione presente nel Paese, dove l’opinione pubblica preme fortemente sul governo e sul sovrano, e i preparativi dei comitati macedoni, che fanno affermare a Castellini che la Sofia che si agita in questi giorni deve essere simile alla Torino colma di emigrati della vigilia delle guerre risorgimentali 946 . Un’altra analogia viene trovata con l’Italia del 1911 che si prepara al conflitto libico, «inconsapevolmente forte e pronta agli eventi, lieta di una sua anonima forza di progresso, pronta ad agire senza essere impetuosamente decisa a provocare»947 , anche se l’autore si rammarica per la freddezza dei bulgari verso l’Italia, dovuta all’atteggiamento e al modo con cui quest’ultima conduce le operazioni belliche contro la Turchia 948 . Infine Castellini spende qualche parola sul suo viaggio in Serbia, Paese la cui azione gli pare subordinata a quella della Bulgaria, autentica guida dell’alleanza balcanica. Anche in questo caso egli trova il modo di rimpiangere l’occasione persa dall’Italia per conquistarsi un importante mercato per i suoi prodotti, come invece ha saputo fare la Germania sostituendosi parzialmente all’Austria dopo la crisi della Bosnia 949 . Nella seconda parte del volume l’autore si occupa dell’Albania, trascurata nella prima parte dell’opera se si eccettua un breve accenno a quello che viene definito «l’enigma albanese»950 , mentre si è visto come nella lettera ad Albertini si dichiari dubbioso sul buon diritto degli schipetari di costituire uno Stato indipendente e sull’utilità di ciò per l’Italia. Il viaggio compiuto a Valona e Scutari gli conferma questi dubbi: la popolazione non ha coscienza nazionale, le divisioni religiose fanno sentire il loro peso, e a queste ultime si sommano le differenze regionali fra nord e sud del Paese. Mentre al sud, se si esclude il caso di pochi notabili illuminati, il sentimento di nazionalità resta 946 Cfr. Castellini, op. cit., pp. 69-97. Castellini, op. cit., pag. 93. 948 Cfr. Castellini, op. cit., pag. 81. 949 Cfr. Castellini, op. cit., pp. 101-15. 950 Castellini, op. cit., pag. 36. 947 qualcosa di sconosciuto, al nord quest’ultimo è più diffuso, almeno fra i cristiani951 , e Castellini loda a questo proposito gli indomiti malissori, «gli unici albanesi ai quali non si possa muovere l’appunto che si deve fare agli altri» 952 , in quanto si sono periodicamente battuti contro i turchi e hanno sempre manifestato poca simpatia per l’annessione al Montenegro. L’esponente nazionalista deve però ammettere a questo punto che i malissori, come le altre tribù montanare del nord, sono più che altro ferocemente gelosi dei propri privilegi e della loro ristretta autonomia, e lo stanno dimostrando ancora una volta con la loro indifferenza verso il governo provvisorio di Valona; se a ciò si aggiungono la presenza delle truppe turche in alcune zone del Paese e il regime instaurato dall’ambizioso Essad Pascià a Durazzo, ecco che si possono contare ben quattro diverse autorità che coesistono sul territorio destinato a diventare lo Stato albanese 953 . Il fatto è che l’Albania nasce per una serie di volontà negative e «senza alcuna azione positiva, né degli albanesi all’interno, né delle Potenze all’esterno»954 . È evidente quindi, per l’autore, che i problemi da affrontare sono molti e che il futuro di quello che egli stesso definisce il «Regno dell’equivoco e del provvisorio»955 è a dir poco incerto. L’Albania, scrive Castellini in conclusione, «è la ferita aperta che il conflitto balcanico ha lasciato sull’Adriatico»956 . Forse la spartizione della regione fra Serbia e Grecia sarebbe stata una soluzione più semplice, e difficilmente si può dire, secondo l’autore, che avrebbe costituito un’ingiustizia. Ciò avrebbe potuto creare qualche rischio per l’Italia, ma non è detto che le altre soluzioni mettano il Paese al riparo da sorprese in futuro. Però dal momento che si è deciso, per 951 Cfr. Castellini, op. cit. Castellini, op. cit., pag. 177. 953 Cfr. Castellini, op. cit. 954 Castellini, op. cit., pag. 154. 955 Castellini, op. cit., pag. 203. 956 Castellini, op. cit., pag. 211. 952 unanime volontà delle potenze, di creare un nuovo regno in Europa, l’Italia fa bene a favorirne la nascita e lo sviluppo a venire, anche se Castellini, con un paragone storico allora in voga 957 , ricorda il rischio che l’Albania possa un giorno diventare lo Schleswig- Holstein dei rapporti italo-austriaci958 . L’autore loda l’operato dei consoli italiani di Valona e Scutari, entrambi capaci di accrescere l’influenza dell’Italia anche in questi mesi difficili, e lo stesso giudizio esprime riguardo ai rappresentanti della Consulta negli altri Paesi balcanici, tendendo piuttosto ad attribuire le pur ampie carenze nell’opera di penetrazione italiana nella penisola all’inadeguatezza delle decisioni prese da Roma («Ah, i nostri diplomatici confrontati con i nostri soldati negli anni di grazia 1911 e 1912! È meglio non parlarne…») 959 . Castellini giudica comunque molto positivo, nel complesso, il lavoro compiuto in questi anni in Albania; nel sud del Paese l’influenza italiana è esclusiva, mentre anche nel nord, dove si potrebbe pensare che l’Austria prevalga nettamente nelle simpatie della popolazione, anche in virtù del protettorato religioso, l’Italia è presente con le sue scuole ed è benvoluta. Il merito principale è stato quello di aver seguito una politica albanese, tesa allo sviluppo di una coscienza nazionale, mentre la duplice monarchia ha fatto una politica austriaca e confessionale e ha suscitato diffidenze e malumori; il risultato è che tutti in Albania, consci dei problemi enormi da affrontare per garantirsi un’esistenza autonoma, si aspettano un aiuto decisivo dall’Italia, che ha anche saputo scavalcare l’Austria nei commerci con la regione 960 . Lodi di questo genere a proposito dell’azione della Consulta in Albania sono a dir poco singolari, soprattutto da parte di un esponente del movimento nazionalista, se si pensa che sullo stesso argomento le accuse ai governi 957 Vedi pag. 80. Cfr. Castellini, op. cit. 959 Castellini, op. cit., pag. 95. 960 Cfr. Castellini, op. cit. 958 succedutisi in questi anni, incapaci secondo gran parte dell’opinione pubblica di contrastare l’influenza austriaca, provengono da quasi tutti i settori politici, e persino un foglio filogiolittiano come La Stampa non lesina critiche a questo riguardo 961 . Per quel che concerne la mancata spedizione a Valona, Castellini ritiene un errore non averla effettuata: il pericolo rappresentato dai greci e dall’esercito turco di Giavid Pascià, accampato a poche ore dalla città, è reale e sempre presente, e inoltre gli albanesi stessi attendono con ansia un aiuto da oltre Adriatico, consapevoli di essere impotenti e di aver bisogno di essere assistiti per organizzarsi. Essi, secondo l’autore, desiderano l’intervento esclusivo di una grande potenza, che nel sud del Paese non può essere che l’Italia, perché qualsiasi forma di protezione internazionale sarebbe inefficace, come già dimostrato in passato a Creta e in Macedonia. Inoltre se gli albanesi comprendono che motivi legati all’equilibrio internazionale, una volta svanita l’event ualità di un intervento austriaco a Scutari, abbiano impedito lo sbarco italiano a Valona, si rendono però perfettamente conto che nel nord del Paese il problema della minaccia montenegrina è stato risolto, mentre nel sud la necessità di stabilire l’ordine e porre fine all’anarchia resta immutata, cosicché il collegamento delle due questioni ha dato origine ad una situazione paradossale 962 . Castellini si reca anche nella Scutari occupata dalle forze internazionali, e riconosce che questa città ha tutto il diritto di far parte del nuovo Stato albanese, in quanto la sua popolazione è omogeneamente schipetara e non dimostra molte simpatie verso i montenegrini. L’autore nota poi con fierezza che i marinai italiani si stanno guadagnando l’ammirazione degli abitanti per l’ottimo lavoro che stanno svolgendo, mentre la loro presenza e l’aspetto di Scutari, con i suoi bazar e i suoi suk, fanno vivere per un attimo a Castellini il ricordo dei giorni 961 962 Vedi pag. 210. Cfr. Castellini, op. cit., pp. 142-54. gloriosi passati a Tripoli 963 (anche in occasione del suo imbarco a Brindisi, egli paragona i soldati radunati al porto per la spedizione poi saltata a quelli in partenza qualche mese prima per le coste libiche) 964 . Un altro motivo di forte orgoglio patriottico, ma anche di velata malinconia per la grandezza passata, è rappresentato dai segni della dominazione veneziana, a partire dalla rocca che domina Scutari965 . Già in occasione del viaggio compiuto alla vigilia del conflitto, Castellini, imbarcatosi su un piroscafo austriaco dove però il linguaggio dei marinai a bordo è veneto, è colto, attraversando l’Adriatico, dal pensiero di quando in questo mare la padrona assoluta era Venezia, la quale ha lasciato ovunque testimonianze della sua potenza, ed è portato a fare alcune riflessioni, comuni in questo periodo a gran parte dell’opinione pubblica, e a quella nazionalista in particolare, sul destino dell’italianità della Dalmazia, messa in pericolo dall’incombere della «marea slava»966 . 963 964 965 966 Cfr. Castellini, op. cit., pp. 169-81. Cfr. Castellini, op. cit., pp. 139-41. Cfr. Castellini, op. cit., pag. 174. Cfr. Castellini, op. cit., pp. 19-27. Capitolo settimo Le comunità albanesi del Mezzogiorno d’Italia e la nascita dell’Albania Le vicende della Prima Guerra Balcanica sono ovviamente seguite con molto interesse e con grande partecipazione dalle comunità albanofone del Mezzogiorno d’Italia, che si mobilitano per far sentir la propria voce in un momento decisivo per il futuro dell’Albania. Si è detto come gli italo-albanesi, che in questi anni pretendono di essere circa duecentomila, sparsi nelle regioni meridionali del Paese 967 , abbiano rivestito un ruolo fondamentale, soprattutto dal punto di vista culturale e letterario, per la crescita del movimento nazionale schipetaro, e come alcuni di essi abbiano più di una volta sostenuto l’intervento italiano oltre Adriatico, arrivando anche a progettare spedizioni di volontari che non sono poi mai avvenute 968 . In questi ultimi casi il governo si è opposto alle loro intenzioni, ma nel complesso la Consulta ha quasi sempre visto di buon occhio l’attività degli italo-albanesi, la cui opera per il riconoscimento del diritto all’esistenza della nazionalità albanese si armonizza con gli obiettivi della politica estera italiana. Ad esempio, a guerra balcanica già iniziata, alla Consulta viene steso un rapporto sulle varie riviste albanesi diffuse in Europa, soprattutto in quei Paesi come l’Italia che 967 Cfr. Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit., pag. 35; A. Tucci, L’Albania e la guerra balcanica, in La Rivista dei Balcani, 15 ottobre 1912, pp. 1-3; si tratta probabilmente di una cifra eccessiva, dal momento che pubblicazioni recenti parlano, per i nostri giorni, di centomila albanofoni in tutto il Mezzogiorno (cfr. AA. VV., Stato e società. Dizionario di educazione civica, Scandicci, La Nuova Italia, 1991, pag. 254). 968 Vedi pp. 10-11, 35-36. contano comunità schipetare al loro interno. Fra le riviste italiane viene citata La Nazione Albanese, periodico fondato e diretto da Anselmo Lorecchio, su cui il giudizio è decisamente positivo per la sua posizione nettamente antiaustriaca e per l’ideazione e la diffusione della formula «l’Adriatico mare italiano ed albanese». Il rapporto continua ricordando che però la rivista, che resta pur sempre l’organo più importante delle comunità albanofone d’Italia, conduce fin dal 1901 una vita stentata, anche per le divergenze e le rivalità all’interno del movimento che rappresenta 969 . Nel 1912 viene intanto fondato a Roma da alcuni italo-albanesi il quindicinale La Rivista dei Balcani. Il direttore è quel Terenzio Tocci protagonista nel 1911 dell’insurrezione contro il potere ottomano da parte delle tribù dei mirditi del nord dell’Albania. In quell’occasione egli ha proclamato l’indipendenza del Paese e si è posto a capo di un governo provvisorio, nella vana attesa dell’arrivo di Ricciotti Garibaldi e delle sue truppe di volontari970 . Nel mese di luglio, proprio quando oltre Adriatico la rivolta albanese si sta estendendo e sta per entrare nella fase decisiva 971 , esce il primo numero della rivista, e con l’editoriale di presentazione ne viene illustrato il programma politico, che si rifà alla fortunata formula, coniata dall’ex capo del governo serbo Milovanovic, «I Balcani ai popoli balcanici». Ciò che viene propugnato è la caduta dell’Impero ottomano in Europa e la liberazione delle nazionalità oppresse della penisola, nel rispetto dei diritti di ognuna e al di fuori di ogni possibile intromissione delle grandi potenze. L’ambizioso progetto della rivista è il superamento delle rivalità e dei rancori fra le diverse etnie dei Balcani, che finiscono solo per tradursi in un vantaggio per il potere ottomano e sono inoltre causa dell’intervento non disinteressato dell’Europa; pertanto dalle colonne del giornale viene predicata in questi 969 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676; vedi anche Lorecchio, art. cit. Vedi pp. 35-36. 971 Vedi pp. 40-42. 970 mesi la necessità di buoni rapporti fra i popoli della penisola 972 , per cui è necessario l’accantonamento di quei programmi nazionalisti basati «s u antichissimi ricordi storici, cancellati dalla vita odierna dei popoli con la sovrapposizione di nuovi fatti e con una completa e radicale trasformazione delle contrade contese»973 , con chiaro riferimento alle aspirazioni serbe sul Kosovo e greche sull’Epiro, dove gli albanesi costituiscono la maggioranza della popolazione. Il rispetto reciproco e la piena indipendenza di tutte le nazionalità della regione, con il conseguente riconoscimento di giusti confini fra gli organismi politici che si formeranno sulle ceneri dell’Impero turco, sono le premesse necessarie per la successiva unione di quegli stessi organismi in una federazione balcanica 974 . In questi primi mesi di vita, pur continuando ovviamente a trattare in prevalenza la questione albanese, e pur ammone ndo più volte contro le velleità di sopraffazione sulle nazionalità più deboli e meno organizzate da parte di altre già costituite in Stato, La Rivista dei Balcani continua a predicare la fratellanza fra i popoli della penisola, dando anche spazio, ad esempio, a interventi filoserbi e filoellenici975 . Non sempre però gli articoli pubblicati sono di questo tenore: nel numero del 15 settembre ne appare uno dal significativo titolo Contro il panellenismo, in cui non vengono risparmiate feroci critiche ai regni balcanici ed in particolare alla Grecia, cui vengono contestate le aspirazioni sull’Epiro. Questi Stati sono accusati di essere al servizio del fanatismo religioso ortodosso e di essere incapaci di progresso civile976 ; quando poi l’autore arriva a parlare dei greci passa direttamente all’insulto: «questi 972 Cfr. I Balcani ai popoli balcanici!, in La Rivista dei Balcani, 15 luglio 1912, pp. 1-3; T. T. (T. Tocci), Per la missione della Rivista dei Balcani e per il Principio di Nazionalità, in La Rivista dei Balcani, 30 agosto 1912, pp. 1-3. 973 I Balcani ai popoli art. cit., pag. 1. 974 Cfr. T. T., Per la missione della Rivista art. cit. 975 Cfr. M. Ristich, La rinascita della Serbia, in La Rivista dei Balcani, 15 luglio 1912, pp. 11-12, che propugna l’unione di serbi e croati; G. E. Typaldo, Lettere dalla Grecia, in La Rivista dei Balcani, 15 luglio 1912, pp. 12-13, che parla di fratellanza italo-greca e si augura che le isole egee occupate dall’Italia non vengano restituite alla Turchia. 976 Cfr. Serembe, art. cit. levantini bastardi, che sin ora non hanno dato all’umanità un eroe, né un artista o storico insigne; questi Rumi che parlano un linguaggio rubacchiato agli albanesi, agli arabi, ai turchi; ai veneziani, ai francesi, agli ebrei spagnuoli, ai valacchi e a tutti i dialetti slavi; questi detriti etnici, dalla bassa statura, dalle forme gracili, dalla fronte bassa e sfuggente, dagli occhi piccoli, tondi e furbi, hanno l’inconsapevole audacia di vantarsi e gloriarsi come i continuatori della schiatta greca, che ha dato al mondo le donne più belle e gli atleti più possenti, che ha elargito all’umanità gli artisti meravigliosi che ancora tutti adoriamo, i poeti, gli storici, i filosofi che ancora ci sono maestri»977 . L’autore dell’articolo riconosce che in quella che lui chiama l’Albania meridionale vivono popolazioni greche, soprattutto a Janina, «dove più che i commerci hanno introdotto le truffe, più che opifici hanno istituite case di piacere per tutte le borse»978 , ma ricorda come esse siano una esigua minoranza, e come non ci si debba far trarre in inganno dal fatto che molti albanesi di queste zone parlino, oltre al tosco, anche il greco. Infine denuncia i metodi violenti di cui si servono i nazionalisti greci, appoggiati a suo dire dal governo turco, per ellenizzare la regione 979 . Una nota del direttore afferma però a fine articolo che la rivista non condivide la verve polemica dell’autore ed in particolare le «espressioni poco riguardose verso popoli nemici od avversari transitori» e ricorda, tanto agli albanesi quanto ai greci, che eccedendo da una parte e dall’altra «inconsciamente si fa il… gioco dei Turchi», concludendo che «Serbi, Bulgari, Greci, Albanesi non si amano perché non si conoscono: opera santa, altamente umanitaria sarà quella di coloro dunque che, invece di fomentare i rancori, procureranno di eliminarli» 980 . Ancora il 30 settembre, alla vigilia ormai dell’inizio della guerra 977 Serembe, art. cit. Serembe, art. cit. 979 Cfr. Serembe, art. cit. 980 La Rivista dei Balcani, 15 settembre 1912, pag. 9. 978 balcanica, che peraltro è ancora ritenuta improbabile dalla redazione della rivista981 , viene ospitato sulle colonne del giornale un progetto di alleanza fra tutte le nazionalità dei territori sotto il dominio turco, comprese la valacca e naturalmente l’albanese, con lo scopo di porre fine al dominio ottomano. Il superamento delle rivalità fra i popoli balcanici può avvenire, secondo l’autore dell’articolo, soltanto con l’accordo preventivo sul destino della Macedonia e delle altre regioni contese. Pertanto sarebbe necessario stabilire fin da ora la convocazione, al termine di un’eventuale guerra vittoriosa contro la Porta, di un congresso in cui saranno rappresentate tutte le etnie della penisola, che dovrà decretare la sistemazione territoriale dei Paesi liberati982 . L’unico Stato balcanico cui in questi mesi non vengono risparmiate critiche anche da parte della redazione della rivista è il Montenegro, di cui viene denunciata la condotta poco chiara e tutt’altro che disinteressata, tenuta negli ultimi anni a proposito delle rivolte albanesi del nord del Paese contro il potere centrale ottomano, supportate da re Nicola col fine di annettere quei territori al piccolo regno slavo 983 . La linea seguita da La Rivista dei Balcani è decisamente antiottomana, con i turchi che vengono accusati più volte di atrocità e violenze varie sulle popolazioni civili, mentre al loro dominio, con un argomento a cui spesso si ricorre in questi anni da parte della propaganda filobalcanica, viene imputata l’arretratezza dell’Albania e della Macedonia. Non si nutre alcuna fiducia nella possibilità che la Porta possa migliorare le condizioni delle popolazioni autoctone della penisola, e si critica la miopia di chi nel 1908 ha salutato con entusiasmo la rivoluzione dei giovani turchi, che si sono rivelati non meno 981 Vedi pag. 304. Cfr. M. Govi, Per l’intesa balcanica contro la Turchia, in La Rivista dei Balcani, 30 settembre 1912, pp. 3-4. 983 Cfr. I Balcani ai popoli art. cit.; N. Spacit, Due rivoluzioni d’Albania, in La Rivista dei Balcani, 30 luglio 1912, pp. 11-12; N. Spacit, Intrighi del neo-regno, in La Rivista dei Balcani, 30 settembre 1912, pp. 7-8. 982 oppressori dei precedenti governanti984 ; pertanto Tocci e i suoi amici propugnano senza esitazioni la piena indipendenza dell’Albania e degli altri territori sotto il «giogo ottomano», e non ritengono sufficiente la semplice concessione dell’autonomia all’interno dell’impero 985 . Da sempre gli italo-albanesi sono divisi a questo proposito fra una maggioranza, di cui fa parte anche Lorecchio, autonomista, su una posizione quindi vicina a quella dei leaders schipetari d’oltre Adriatico, che raramente rivendicano il distacco completo dalla Porta, e una minoranza, che vede al suo interno il poeta Giuseppe Schirò, a favore della totale indipendenza 986 . Tocci quindi, che pur lamenta spesso sulle colonne del suo giornale la mancanza di concordia e unità d’azione all’interno dell’intero movimento nazionale albanese 987 , si trova in questo caso in disaccordo con Lorecchio, che teme probabilmente che un’Albania indipendente avrebbe vita difficile e finirebbe presto, per la sua debolezza, sotto il controllo straniero 988 . Tuttavia va detto che Lorecchio, di cui Tocci si proclama discepolo, collabora ed interviene spesso su La Rivista dei Balcani989 . Su questa sono inoltre costantemente presenti motivi antiaustriaci, e vengono denunciate le mire espansive della duplice monarchia nella penisola balcanica e soprattutto in Albania, dove Vienna cerca con un’assidua opera propagandistica di convincere la popolazione che, in caso di crollo del potere ottomano, la nazionalità albanese troverebbe modo all’interno dell’impero multinazionale asburgico di svilupparsi e di progredire al sicuro dalle mire dei vicini. Nello stesso tempo si afferma la gravità del pericolo russo, a proposito del 984 Cfr. I Balcani ai popoli art. cit.; T. T., Per la missione della Rivista art. cit.; Apol., L’Austria nei Balcani. Mistificazione o realtà?, in La Rivista dei Balcani, 15 settembre 1912, pp. 2-4; Senza titolo, in La Rivista dei Balcani, 30 settembre 1912, pag. 1; M. C., Le atrocità turche in Albania, in La Rivista dei Balcani, 30 settembre 1912, pag. 8. 985 Cfr. La Rivista dei Balcani, 15 luglio 1912, pag. 7. 986 Cfr. Skendi, op. cit. 987 Ad esempio, cfr. T. T., Per la missione della Rivista art. cit.; Appello per una società nazionale albanese, in La Rivista dei Balcani, 30 agosto 1912, pag. 4. 988 Cfr. Skendi, op. cit. 989 Cfr. La Rivista dei Balcani, 15 luglio 1912, pag. 7. quale viene citato un discorso di Cavour del 1855 sulla necessità di evitare, per l’equilibrio del Mediterraneo, che gli stretti cadano in mano dell’impero zarista, e viene caldeggiata l’internazionalizzazione di Costantinopoli 990 . L’Italia, grande potenza mediterranea (proprio in questi mesi sta volgendo al termine la guerra di Libia), secondo il foglio diretto da Tocci, che come i suoi amici è pur sempre un cittadino italiano a tutti gli effetti, deve avere un ruolo di primo piano nella risoluzione della questione balcanica ed esercitare «la sua naturale influenza»991 su quelle popolazioni, facendosi «stimare e amare con le industrie, il commercio e le scuole» ed anche incoraggiando il nazionalismo, «quando questo significhi libertà e giustizia per le nazioni balcaniche, diffusione della nostra influenza economica, delle simpatie e del culto d’Italia all’estero»992 . La Consulta deve pertanto sostenere lo sviluppo dei movimenti nazionali della penisola e soprattutto opporsi, in omaggio alla giustizia ma anche in difesa del suo status di grande potenza, ai disegni egemonici austriaci e russi. In questi primi numeri compaiono su La Rivista dei Balcani articoli firmati da Roberto Galli, un deputato liberale dai trascorsi crispini, che, come si è detto, interviene spesso alla Camera su tematiche di politica estera 993 . Convinto che l’Italia debba seguire una politica da grande potenza marittima, sulle orme del glorioso passato veneziano, Galli ricorda che «dovunque batte un’onda del Mediterraneo, ivi deve vedersi un grande interesse italiano»994 , e che pertanto la situazione dell’Adriatico, a cui la questione albanese è collegata, non può essere trascurata. Galli, che ricorda il suo impegno per le nazionalità balcaniche fin dalle insurrezioni degli anni settanta dell’ottocento, si scaglia senza compromessi contro la Turchia, che non ha arricchito in nulla i popoli sottoposti 990 Cfr. I Balcani ai popoli art. cit. I Balcani ai popoli art. cit. 992 M. Govi, I popoli balcanici e la guerra italo-turca, in La Rivista dei Balcani, 15 luglio 1912, pp. 3-5. 993 Vedi pp. 105, 182. 994 R. Galli, L’idea-forza, in La Rivista dei Balcani, 30 luglio 1912, pp. 1-2. 991 al suo brutale dominio ed è ritenuta portatrice di una civiltà inferiore, e si augura il suo crollo a dispetto della politica in favore dello status quo da parte del concerto europeo 995 . A proposito del conflitto libico viene pubblicato un articolo in cui si lamenta l’atteggiamento egoistico con cui l’Italia conduce le operazioni belliche, e si denuncia la politica dello status quo seguita nei Balcani. Augurandosi che le isole egee occupate non vengano restituite ai turchi alla firma della pace, si rimpiange l’occasione persa dal Paese per aiutare la causa delle nazioni della penisola 996 , e si polemizza sia coi fautori della guerra, che vedono in essa solo un’occasione di espansione coloniale e non hanno inteso l’importanza dello scontro che da secoli si combatte in Europa fra la «civiltà occidentale» e la «barbarie musulmana»997 , sia coi suoi avversari, che motivano la loro posizione con considerazioni legate unicamente alla politica interna. La redazione fa però seguire a questo articolo una nota in cui si dichiara non del tutto d’accordo con l’autore, ricordando che in campo internazionale non sempre è possibile conciliare l’idealismo con la realtà dei fatti; lo stesso accordo per lo status quo nei Balcani ha avuto alcuni effetti benefici, bloccando ad esempio l’Austria che avrebbe potuto pur sempre approfittare dell’impegno italiano in nord Africa per espandersi verso Salonicco 998 . Ancora il 30 settembre appare un articolo che auspica che l’Italia, nelle trattative di pace con i turchi, sfrutti la sua posizione di forza e accresca il suo prestigio imponendo alla Porta la concessio ne dell’autonomia albanese, anche a difesa dei suoi stessi interessi nella regione, con Tocci che ancora una volta prende le distanze dall’autore non ritenendo sufficiente la soluzione autonomistica della questione 995 Cfr. Galli, L’idea-forza art. cit.; R. Galli, In poche settimane, in La Rivista dei Balcani, 15 settembre 1912, pp. 1-2. 996 Cfr. Govi, I popoli balcanici art. cit. 997 Govi, I popoli balcanici art. cit. 998 Cfr. Govi, I popoli balcanici art. cit. albanese 999 . I primi numeri della rivista escono quando la situazione nei Balcani, e in Albania in particolare, non è affatto tranquilla: la rivolta albanese sta conoscendo una diffusione ed un’ampiezza mai raggiunte prima e contribuisce alla caduta del governo di Istanbul, col nuovo gabinetto che è praticamente costretto ad accogliere le richieste di autonomia degli insorti1000 . La Rivista dei Balcani riporta alcune riflessioni antialbanesi della stampa degli altri Paesi balcanici, che vede con sospetto l’estrema facilità con cui i rivoltosi hanno occupato Uskub e altri importanti centri della Macedonia e della Vecchia Serbia, traendone la conseguenza che in realtà i turchi hanno lasciato fare con una certa condiscendenza. Ma ciò che più allarma l’opinione pubblica slava è il timore che dietro l'insurrezione albanese vi sia l’Austria, che trarrebbe vantaggio dalla creazione di una Grande Albania autonoma estesa anche su territori a cui aspirano da sempre i regni balcanici. Il giornale diretto da Tocci critica queste prese di posizione fuorvianti ed ingenerose, ma non intende polemizzare più di tanto, in omaggio all’intento dichiarato di favorire il superamento delle reciproche incomprensioni fra le diverse popolazioni della penisola 1001 . Nel mese di agosto vi è poi anche la famosa proposta austriaca alle altre potenze, che non porta a nulla di concreto, per intervenire collettivamente presso la Porta in favore di una politica di decentramento nelle provincie europee, e per effettuare contemporaneamente dei passi presso le capitali balcaniche per suggerire moderazione e pazienza in attesa che si attuino le riforme 1002 . La Rivista dei Balcani, coerentemente con la linea antiaustriaca seguita fin dalla nascita del periodico, discute ampiamente la proposta di Berchtold, criticandone la vaghezza e l’inadeguatezza, provata dal fallimento cui sono andati incontro in questi anni tutti i 999 Cfr. C. T. R., Ad armi abbassate…, in La Rivista dei Balcani, 30 settembre 1912, pp. 2-3. Vedi pp. 40-42. 1001 Cfr. Macedo., Errori ed ingenerosità, in La Rivista dei Balcani, 15 settembre 1912, pp. 5-6. 1002 Vedi pp. 42-43. 1000 tentativi di riforma. Vengono apertamente denunciate le ambizioni della duplice monarchia, che cerca soltanto di sollevare il suo prestigio e di aumentare la sua influenza in Albania e ne l resto della penisola 1003 . Lo scoppio della Prima Guerra Balcanica costituisce ovviamente un momento decisivo per la vita della rivista, che intanto da ottobre si trasferisce a Milano. Fino all’ultimo il giornale di Tocci si dimostra scettico, come la maggior parte dell’opinione pubblica europea, sull’esistenza di un’alleanza fra gli Stati cristiani e quindi sulla possibilità di un conflitto contro la Turchia 1004 . Quando quest’ultimo infine inizia, La Rivista dei Balcani si scaglia senza compromessi contro la Quadruplice balcanica per le mire di spartizione dell’Albania che questa coltiva, dimenticando tutti i buoni propositi di pacificazione e solidarietà fra le nazionalità della penisola, e attenuando i tradizionali sentimenti ostili alla Turchia e all’Austria. Terenzio Tocci, che qui si firma con lo pseudonimo di Bishti Drecit (la coda del diavolo), ricorda che il giornale da lui diretto vuole sì «l’affratellamento dei popoli balcanici, ma esso dev’essere basato sul Principio di Nazionalità, sull’amore reciproco, non sulla criminosa attività da masnadiero di Nicola Petrovich e degli altri Governanti che sono pronti a sbranare la povera Albania!…»1005 . Nel numero del 15 ottobre viene riportata un’intervista rilasciata da Tocci all’Avanti! in cui viene denunciata la guerra di rapina, definita «un atto di brigantaggio internazionale»1006 , che gli alleati stanno per intraprendere a danno degli 1003 Cfr. Le mire dell’Austria nei Balcani, in La Rivista dei Balcani, 30 agosto 1912, pag. 7; Apol., L’Austria nei Balcani art. cit.; F. Caburi, Il valore ed il significato dell’iniziativa del conte Berchtold, in La Rivista dei Balcani, 15 settembre 1912, pp. 4-5. 1004 Cfr. La Rivista dei Balcani, 15 settembre 1912, pag. 12; Lelio, art. cit., che ritiene improbabile il superamento improvviso di rivalità e gelosie di lunga data, per ottenere il quale sarebbe necessario un accordo preventivo sulla Macedonia, che altrimenti diventerebbe nuovamente oggetto di contesa al termine di un’eventuale guerra vittoriosa contro la Turchia. 1005 Bishti Drecit (T. Tocci), Avviso per tutti, in La Rivista dei Balcani, 15 ottobre 1912, pag. 9. 1006 Tucci, art. cit.; l’articolo appare con lo stesso titolo anche sull’Avanti, preceduto da una breve introduzione in cui si legge che «cotesta intervista noi diamo a titolo soltanto documentale e senza impegnare affatto la nostra coscienza e il giudizio dei lettori» (Avanti!, 16 ottobre 1912, pag. 2). albanesi. Le parole più aspre sono riservate al Montenegro, del quale viene ricordato il “doppio gioco” seguito in occasione delle rivolte dei malissori nei mesi passati, e al suo sovrano, «incarnazione del Principe del Machiavelli assai peggiorata»1007 . Anche Serbia, Bulgaria e Grecia, della quale si denuncia la violenta opera di ellenizzazione nel sud dell’Albania, sono accusate per le loro bramosie di annessione. Tocci respinge poi le affermazioni riguardo alla discordia e alle divisioni che regnerebbero tra gli schipetari, imputando queste ultime al deliberato intervento del Montenegro e degli altri Stati, che farebbero di tutto per acuirle 1008 . La Macedonia, secondo l’intervistato, «è meno che un’espressione geografica»1009 , definizione che i governi e la stampa balcanica, emulando Metternich, riservano solitamente all’Albania. I vilayet di Uskub e Monastir, spiega Tocci, sono indiscutibilmente albanesi, mentre quello di Salonicco è costituito da un mosaico di nazionalità, fra cui quella schipetara è in maggioranza, affermazioni di dubbia veridicità che sottintendono il programma della Grande Albania. Minacciati dagli eventi in corso, per evitare di essere inglobati da razze che tutti gli etnologi concordano nel considerare inferiori, agli albanesi non resta che invocare la protezione austriaca o difendersi al fianco della Turchia, rinviando così i progetti di indipendenza che invece sarebbero forse persi per sempre se la compagine nazionale albanese fosse divisa e assorbita dagli Stati vicini. L’Italia viene polemicamente ignorata, e subito dopo viene accusata di aver fatto troppo poco, in questi anni, in favore dell’Albania, ribaltando così la linea antiaustriaca seguita dalla rivista fino a quel momento, e dimenticando le lodi e le celebrazioni dell’azione italiana compiute nei mesi precedenti1010 . 1007 Tucci, art. cit., pag. 1. Cfr. Tucci, art. cit. 1009 Tucci, art. cit., pag. 3. 1010 Cfr. Tucci, art. cit. 1008 Nello stesso numero del foglio diretto da Tocci viene ospitato un articolo di Pasquale Sabatini, italo-albanese di fede socialista del quale è stato anche recensito, nelle settimane precedenti, un opuscolo sulla questione albanese in cui l’autore giudica negativamente la politica seguita dall’Italia, che invece di appoggiare le ribellioni degli schipetari contro la Porta difende lo status quo nella penisola balcanica, e afferma che «la causa albanese è causa proletaria», polemizzando anche con Bissolati per la posizione da questi tenuta nel 1911 a proposito delle insurrezioni d’oltre Adriatico 1011 . Nell’articolo pubblicato il 15 ottobre Sabatini tocca tematiche tipiche del pacifismo e dell’antimilitarismo socialista, prendendosela con le correnti belliciste della cultura e dell’opinione pubblica europee, inclini a celebrare la guerra in sé stessa, e con l’industria militare («Vi può essere musica più sentita della voce del cannone e del moschetto, per chi sa che dopo i colpi si deve sostituire il pezzo e che il gettito continuo di proiettile delle industre macchine non trova il necessario smaltimento nell’innocuo tiro a segno, od in quello al piccione?») 1012 . Vengono poi denunciate le ambizioni illecite degli Stati balcanici, che appena raggiunta una minima stabilità interna imitano le grandi potenze cercando di prevenirle nella spartizione della Turchia; infine si conclude che un assetto duraturo e stabile della penisola balcanica, che elimini futuri pericoli per la pace, permettendo il «passaggio dal triste stato di guerra continua al regno fecondo del lavoro, unica fonte di moralità, di virtù, di civiltà»1013 , si può raggiungere soltanto col riconoscimento, nei giusti confini che le spettano, della nazionalità albanese, costretta ora a schierarsi coi turchi non per difendere la barbarie e l’oppressione, ma per salvaguardare la propria esistenza 1014 . Sabatini è autore anche di 1011 P. Sabatini, La quistione albanese. Il diritto di un popolo, Milano, 1912; cfr. La Rivista dei Balcani, 30 settembre 1912, pag. 13. 1012 P. Sabatini, Guerra per… la guerra, in La Rivista dei Balcani, 15 ottobre 1912, pp. 3-4. 1013 Sabatini, Guerra per… art. cit. 1014 Cfr. Sabatini, Guerra per… art. cit. un articolo pubblicato sull’Avanti! nel mese di gennaio in cui ribadisce queste riflessioni, polemizzando inoltre con quei partiti che «con la solita leggerezza che tanto li distingue, salutavano con ordini del giorno di plauso la magnifica riscossa dei popoli balcanici per la puerile soddisfazione di far dispetto alla Turchia che si era permessa il lusso di un anno di resistenza alla conquista libica»1015 . Egli critica poi la spedizione garibaldina in sostegno all’aggressione greca nell’Albania meridionale e riprende le accuse, già mosse nell’articolo precedente, verso lo spirito imperialistico che anima le case regnanti balcaniche, «sostenute da una borghesia che trova più facile impiego di capitali nello sfruttamento del proletariato sotto la divisa del soldato piuttostoché sotto la blusa dell’operaio»1016 . L’articolo prosegue con l’affermazione che gli albanesi, piuttosto che sottomettersi a «popoli sotto tutti i rapporti inferiori» o vedere la propria autonomia ridursi alla creazione di un piccolo regno «senza mezzi e risorse»1017 , finirebbero per chiedere di essere annessi all’Austria-Ungheria, con l’Italia che se vuole evitare questa eventualità deve sostenere con forza l’indipendenza del Paese, senza dare ascolto a chi sostiene che la spartizione fra slavi e greci è da preferirsi alla creazione dell’Albania perché costituirebbe una più utile barriera contro le minacce austriache nell’Adriatico 1018 . Questa presa di posizione, secondo Sabatini, è ingiusta ma anche ingenua, perché sottovaluta il pericolo rappresentato dall’avanzata del panslavismo, che è una «minaccia alle più sacrosante conquiste della libertà» come testimoniano «i deportati in Siberia, lo knut, gli eroi ingallonati sventratori di donne»1019 . Una larga parte dell’opinione pubblica italiana è favorevole alla spartizione dell’Albania, oltre che per considerazioni di carattere politico simili a quella riportata da 1015 P. Sabatini, Il punto di vista degli albanesi, in Avanti!, 5 gennaio 1913, pag. 1. Sabatini, Il punto di vista art. cit. 1017 Sabatini, Il punto di vista art. cit. 1018 Cfr. Sabatini, Il punto di vista art. cit. 1019 Sabatini, Il punto di vista art. cit. 1016 Sabatini, anche per la perdita di simpatia che la causa albanese conosce, in conseguenza del fatto che la maggior parte degli schipetari combattono in questa guerra a fianco dei turchi. Pregiudizi di carattere religioso, dubbi sull’esistenza di un autentico sentimento nazionale, e la convinzione che sia legittimo che Stati più civili e sviluppati inglobino popolazioni che non sono in grado di reggersi politicamente autonome, si aggiungono all’opinione che gli albanesi non hanno diritto ad un’indipendenza per la quale non hanno lottato schierandosi invece con gli oppressori ottomani1020 . Soprattutto negli ambienti dell’estrema si incontrano tali prese di posizione: si è detto dell’atteggiamento dei mazziniani, coi quali gli italo-albanesi polemizzano apertamente 1021 , mentre poco dopo l’inizio del conflitto si sciolgono, proprio per il comportamento degli schipetari nella presente guerra, molti comitati pro Albania sorti nel 1911 in occasione delle rivolte contro la Porta 1022 . Gli albanofoni italiani si mobilitano con lo scoppio delle ostilità per difendere la causa albanese e per respingere gli argomenti che vengono usati contro di essa. Numerosi consigli comunali di paesi del Mezzogiorno lanciano appelli a favore della nascita dell’Albania e approvano ordini del giorno contro la sua spartizione: ad esempio alla Consulta giungono le deliberazioni del comune siciliano di Mezzojuso e dei comuni calabresi di San Demetrio Corone, Vaccarizzo Albanese, Caraffa. Inoltre si ha notizia di comizi pro Albania tenutisi a Napoli, dove è presieduto da Lorecchio, e a Foggia, mentre a Palermo si costituisce invece una lega albanese 1023 . Nelle settimane e nei mesi seguenti, quando sulla creazione del nuovo regno balcanico le grandi potenze sono ormai concordi, continuano gli appelli al governo da parte dei 1020 Cfr. Dogo, Questione albanese op. cit., pag. 106. Vedi pp. 257, 318-19. 1022 Cfr. La questione albanese e la guerra, in La Stampa, 29 ottobre 1912, pag. 2, in cui si dà la notizia dello scioglimento di un comitato pro Albania, con la partecipazione all’adunanza finale degli esponenti repubblicani Barzilai e Ferrari. 1023 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676; b. 677. 1021 consigli comunali del sud Italia (ad esempio quello di Castelnuovo di Puglia), che chiedono ora un’adeguata delimitazione dei confini dell’Albania 1024 . La neo costituita lega albanese di Palermo 1025 , intanto, indice a gennaio un comizio pubblico alla presenza delle massime autorità cittadine, a cominciare dal sindaco, in cui viene votato un ordine del giorno che afferma come gli stessi interessi italiani si armonizzino perfettamente col buon diritto degli albanesi a vivere in uno Stato indipendente. Vengono ricordate le necessità di porre un argine al dilagare dello slavismo, di preservare l’equilibrio adriatico, e di stabilire un assetto che non faccia più dei Balcani un pericolo costante per la pace. Si denunciano le atrocità e le stragi commesse dagli alleati, che dimostrano come questi non siano assolutamente in grado di compiere un’opera realmente civilizzatrice, e si esprime infine il voto che l’Albania non venga amputata dal tracciato dei confini e che questi si estendano sui vilayet di Scutari, Janina, Kosovo e Monastir 1026 . La Rivista dei Balcani, la cui uscita comincia a diventare meno regolare, continua intanto la sua opera in difesa della nazionalità albanese minacciata dalle bramosie degli Stati vicini. Nel numero del 5 dicembre si celebra la presunta unanime volontà di costituirsi in Stato indipendente da parte della popolazione schipetara, la quale col suo atteggiamento concorde, tollerante e sereno, sta dimostrando come siano infondati gli argomenti che fanno della presenza in essa di tre diverse confessioni il motivo di inesistenti divisioni religiose. Inoltre si esprime gratitudine per l’azione di Italia e Austria, indipendentemente dai motivi che possono averle spinte a patrocinare la causa albanese, motivi che non interessano del resto ai patrioti schipetari, i quali sapranno 1024 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677; archivio di gabinetto, b. 61. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, 7 gennaio 1913, nota 68 del Ministero degli Interni. 1026 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, 31 gennaio 1913, nota 973 del Ministero degli Interni. 1025 sempre lealmente dimostrare la loro riconoscenza alle due potenze adriatiche 1027 . Nello stesso numero, in cui fra l’altro vengono elogiati quei volontari garibaldini che, rifiutandosi di combattere contro gli albanesi, hanno abbandonato la camicia rossa salvandone l’onore 1028 , Tocci entra anche nel merito delle questioni strettamente territoriali, affermando che l’Italia ha finora fatto molto per difendere l’Albania dalle mire della Quadruplice, ma tutto ciò ancora non basta. Essa, insieme all’Austria e con l’appoggio della Germania, deve fare in modo che al nuovo regno siano assicurate adeguate frontiere, in omaggio al principio di nazionalità ma anche per dare alla penisola balcanica una sistemazione stabile e definitiva, che permetta con una pace duratura lo sviluppo e il progresso dei popoli che la abitano. Infatti, se alcuni territori albanesi saranno esclusi dal nuovo Stato, qualsiasi governo a capo di quest’ultimo non potrebbe fare a meno di rinunciare alla neutralità per cercare in ogni modo di riunire alla madrepatria tutti gli schipetari. Per evitare ciò Italia ed Austria devono opporsi alle pretese greche su Janina e sul resto dell’Albania meridionale, a quelle montenegrine su Scutari e la regione circostante, e a quelle serbe sul Kosovo 1029 , a proposito del quale si afferma in un altro articolo che si tratta di una zona da sempre albanese, che i serbi al tempo del regno medievale di Dusan vi hanno dominato per soli 25 anni, e che la famosa battaglia di Campo dei merli vedeva schierati contro i turchi tutti i popoli della penisola, fra cui albanesi, greci, bulgari, rumeni, e non soltanto i serbi 1030 . Pertanto le aspirazioni degli slavi, basate su questi infondati presupposti storici, su quella che essi chiamano con una «vieta e vuota espressione[…]Vecchia Serbia»1031 non hanno diritto 1027 Cfr. L’Aquila shkipetara risorge!…, in La Rivista dei Balcani, 5 dicembre 1912, pp. 1-2. Cfr. Contro l’Albania art. cit.; vedi anche pp. 109-10. 1029 Cfr. Bishti Drecit, Se volete la pace in Oriente rispettate l’integrità dell’Albania, in La Rivista dei Balcani, 5 dicembre 1912, pp. 6-8. 1030 Cfr. Il nuovo stato, in La Rivista dei Balcani, 5 dicembre 1912, pp. 8-12. 1031 Bishti Drecit, Se volete la pace art. cit., pag. 7. 1028 di esistere. Gli albanesi però, secondo Tocci attaccati alla propria nazionalità come nessun altro popolo, non ambiscono alla creazione di «un’Albania grande» e non mirano ad alcuna parte del vilayet di Salonicco, dove sono pur presenti in buon numero (con ciò Tocci modera le affermazioni fatte nell’intervista all’Avanti!), per non cadere nello stesso errore in cui incorrono i nazionalisti degli altri Paesi balcanici1032 . Resta però il fatto che i confini pretesi da La Rivista dei Balcani, comprendenti gli interi vilayet di Uskub e Monastir, corrispondono a quelli della Grande Albania, e sono molto più ampi di quelli che verranno effettivamente stabiliti dalle grandi potenze. La successiva uscita del periodico diretto da Tocci ritarda fino al 24 gennaio, quando viene pubblicato un supplemento al numero del 5 dicembre, nel quale si annuncia che la Rivista dei Balcani sospende le pubblicazioni in Italia per riprenderle quanto prima in Albania, a Scutari1033 . Non si conoscono con precisione i motivi del progressivo diradarsi delle uscite del giornale fino alla interruzione temporanea, o almeno annunciata come tale, delle pubblicazioni. A questo passo non sono forse estranee questioni economiche, mentre sicuramente la situazione di guerra e il momento decisivo che questa costituisce per le sorti dell’Albania hanno il loro peso, dal momento che spingono i redattori della rivista, ed in primis il suo direttore, a impegnarsi su più fronti e con diversi mezzi per sostenere la causa albanese. Tocci ha infatti già cercato senza successo alla fine del 1912 di recarsi in Albania; il 25 dicembre il console italiano di Durazzo, Dolfini, telegrafa a Roma che il giorno precedente è arrivato da Brindisi, sotto lo pseudonimo di Francesco Pigorri, corrispondente del Corriere delle Puglie, l’avvocato Terenzio Tocci. Questi ha dichiarato di volersi recare in Mirdizia per degli impegni presi con un certo Giacomo Vismara, e per fare opera di propaganda in favore 1032 1033 Cfr. Bishti Drecit, Se volete la pace art. cit.; Il nuovo stato art. cit. Cfr. La Rivista dei Balcani, 24 gennaio 1913, pag. 8. della nascita dello Stato albanese in conformità agli intendimenti del governo e del popolo italiano. Dolfini chiede alla Consulta se quest’ultima affermazione corrisponde al vero e che atteggiamento deve tenere nei confronti di Tocci1034 . Vismara, come si è detto 1035 , è un industriale bolognese che coltiva già da qualche anno, con l’appoggio diplomatico della Consulta, progetti di sfruttamento forestale nell’Albania settentrionale, a proposito dei quali è impegnato da tempo in trattative col capo mirdita Prenk Bib Doda che non hanno ancora condotto a nulla di concreto. È verosimile quindi che Tocci, che proprio in Mirdizia, dove ora sta cercando di recarsi, aveva proclamato l’indipendenza albanese ponendosi a capo degli insorti nel 1911 1036 , sia in rapporti con Vismara, che ha importanti interessi in quella regione, mentre d’altra parte il direttore de La Rivista dei Balcani non sembra avere molta simpatia per Bib Doda, accusato più volte di essere al soldo dell’Austria 1037 (ed effettivamente Bib Doda, come molti altri leaders albanesi, si rivolge a seconda delle situazioni ai diversi Paesi interessati al destino della regione, alternando voltafaccia improvvisi a richieste di denaro, e dimostrandosi venale ed inaffidabile)1038 . Intanto il 26 dicembre San Giuliano risponde a Dolfini, informandolo che Vismara è già noto alla Consulta per i suoi interessi forestali nell’alta Albania, ed è un industriale che «ha relazioni personali e di affari con varie notabilità albanesi fra cui[…]Bib Doda e Tocci»1039 ; Vismara è al corrente dell’accordo italo-austriaco per la creazione dello Stato albanese e per favorire l’unione fra i diversi capi schipetari, e si spera, continua San Giuliano, che lui e i suoi amici seguano queste indicazioni date dalla Consulta. Pertanto il ministro suggerisce al 1034 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 7956, 25 dicembre 1912, Dolfini a San Giuliano. Vedi pp. 24-25. 1036 Vedi pp. 35-36. 1037 Ad esempio, cfr. La Rivista dei Balcani, 15 luglio 1912, pag. 15; La Rivista dei Balcani, 15 settembre 1912, pag. 13. 1038 Vedi pp. 24-25, 100, 137. 1039 ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 5005, 26 dicembre 1912, San Giuliano a Dolfini. 1035 console di Durazzo di valutare se sia possibile favorire con discrezione il viaggio di Tocci senza provocare proteste da parte dei serbi, che stanno occupando la città; in ogni caso Dolfini deve però informare di tutto il suo collega austriaco per evitare sospetti da parte della Ballplatz1040 . Pochi giorni più tardi però, il ministero degli Esteri italiano viene informato che le autorità serbe hanno impedito a Tocci di raggiungere la Mirdizia, adducendo come motivo i pericoli derivanti dalla scarsa sicurezza che regna nel Paese, ragion per cui egli ha lasciato Durazzo alla volta di Corfù 1041 . Nell’ultimo numero de La Rivista dei Balcani Tocci racconta questo viaggio effettuato oltre Adriatico, che gli ha confermato che i popoli della Quadruplice non sono affatto in grado di portare la civiltà in Albania come pretendono i loro governi; anzi gli albanesi «sono l’unico popolo non barbaro della penisola balcanica», mentre «la barbarie turca non superò mai quella dimostrata in questa guerra da slavi e greci»1042 , macchiatisi di atrocità indicibili e portatori di morte e desolazione in tutte le zone toccate dal loro passaggio, al punto che le loro gesta «fanno retrocedere la storia verso l’epoca in cui l’uragano dei barbari si rovesciava su l’Italia ed Attila era bollato flagello di Dio!»1043 . Ai difensori italiani della causa della Quadruplice Tocci riserva l’epiteto di «bestie», poiché dimostrano una enorme stupidità basando questa presa di posizione sul ragionamento che l’Italia non deve imitare l’Austria, ma deve cercare invece l’amicizia dei popoli balcanici, i quali invece, con l’eccezione degli albanesi, non amano affatto l’Italia 1044 . Il direttore della rivista polemizza poi vivacemente con Guicciardini, autore, come si è detto 1045 , di un articolo apparso a dicembre sulla Nuova Antologia, dove l’ex ministro degli Esteri 1040 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 5005 cit. Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, tel. 8018, 29 dicembre 1912, Dolfini a San Giuliano. 1042 Bishti Drecit, Dopo un viaggio nei Balcani, in La Rivista dei Balcani, 24 gennaio 1913, pp. 4-7. 1043 Bishti Drecit, Dopo un viaggio art. cit. 1044 Cfr. Bishti Drecit, Dopo un viaggio art. cit. 1045 Vedi pag. 189. 1041 sostiene l’ammissibilità di ampie concessioni ai vincitori, fra cui quella di Scutari al Montenegro, a proposito della delimitazione delle frontiere albanesi, con la conseguenza che si darebbe vita in tal modo, secondo Tocci, ad «un mostriciattolo di stato»1046 . L’Italia dovrebbe invece guardarsi dal gravissimo pericolo rappresentato dal panslavismo, tenendo presente che «un’amicizia sincera, cordiale tra Slavi e Italiani MAI sarà possibile: ostano la diversità dell’indole costitutiva delle razze, gli interessi politici ed economici che ogni giorno più decisamente si vanno delineando antitetici»1047 . A questo proposito Tocci chiude quest’ultimo intervento come ha iniziato nel primo numero della neonata rivista, vale a dire citando un discorso di Cavour del 1855, in cui lo statista piemontese ammoniva contro il pericolo della calata russa sul Mediterraneo 1048 . L’Italia dovrebbe quindi costruire una barriera antislava nella penisola balcanica, propugnando la creazione di un’Albania forte, e appoggiandosi ad una Romania investita della «missione di avanguardia dei figli dell’Urbe» e ad una Grecia «sottratta al delirio del panellenismo come anche ad una politica antilatina»1049 . Sempre nell’ultimo numero del 24 gennaio appare un’intervista al principe Fuad d’Egitto, con la quale La Rivista dei Balcani si schiera a sostegno di questo personaggio nella “corsa” alla corona di re d’Albania, per la quale in queste settimane stanno sorgendo numerosi pretendenti. Egli appartiene alla casata, di origini schipetare, dell’attuale kedivé d’Egitto, che come molte altre cariche dell’Impero ottomano è un titolo che è spesso stato appannaggio di personaggi di etnia albanese. Fuad dichiara all’intervistatore di essere a favore del controllo di tutte le grandi potenze sul nuovo regno, e di non ritenere invece sufficiente, come sostenuto da sempre dalla redazione della rivista, l’autonomia 1046 Bishti Drecit, Dopo un viaggio art. cit. Bishti Drecit, Dopo un viaggio art. cit. 1048 Vedi pp. 300-01. 1049 Bishti Drecit, Dopo un viaggio art. cit. 1047 dell’Albania sotto la sovranità della Turchia, che è incapace di esercitare un’azione realmente civilizzatrice. Egli prosegue poi ritenendo necessario che il nuovo sovrano sia musulmano come la maggioranza della popolazione, e con ciò Fuad, nonostante affermi il contrario nel corso della stessa intervista, intende probabilmente sostenere la sua causa personale. Come è facile attendersi egli perora l’inclusione nei confini del nuovo Stato delle città di Scutari, Janina, Ipek, Dibra, Prizren, e anche di Uskub e Monastir, aggiungendo di ritenere inesatta l’espressione Grande Albania, perché tali frontiere costituirebbero soltanto la giusta delimitazione del Paese da un punto di vista storico e linguistico, e contribuirebbero inoltre alla stabilizzazione della regione ed al raggiungimento di una pace duratura, che invece inevitabilmente non sarebbe tale se massicce popolazioni albanesi fossero costrette a slavizzarsi o a grecizzarsi1050 . Un esempio dell’intensa attività degli italo-albanesi a sostegno della causa nazionale schipetara è dato dalla pubblicazione di un opuscolo, che riporta il contenuto di una conferenza tenuta a Palermo il 9 febbraio 1913 da Gaetano Petrotta 1051 . Questi ha già firmato interventi su La Rivista dei Balcani1052 , e lo ritroviamo inoltre fra i consiglieri comunali del centro di San Demetrio Corone nel cosentino, che nella seduta del 29 novembre 1912 protestano, appellandosi al governo, contro l’eventuale smembramento dell’Albania 1053 . Petrotta, dopo una breve introduzione che afferma il diritto all’esistenza della nazionalità albanese, tocca subito l’argomento che in quelle settimane, in quanto oggetto principale delle sedute della conferenza degli ambasciatori di Londra, è all’ordine del giorno, vale a dire la delimitazione dei confini dell’Albania. A sostegno del suo punto di vista egli cita diplomatici, militari, studiosi e pubblicisti, 1050 Cfr. L’apostolato di un Principe, in La Rivista dei Balcani, 24 gennaio 1913, pp. 1-3. Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit. 1052 G. Petrotta, Lembi d’oriente in Italia. Piana dei Greci, in La Rivista dei Balcani, 15 luglio 1912, pp. 13-14. 1053 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 676, 29 novembre 1912, nota della Presidenza del Consiglio. 1051 con lo scopo di dimostrare che il nuovo Stato non può essere meno esteso degli interi vilayet di Scutari, Janina, Monastir e Kosovo, tutti e quattro omogeneamente albanesi per composizione etnica. Gli schipetari si distinguono da greci e slavi, ed hanno un forte sentimento di diversità da essi che giunge fino al disprezzo; non si fanno mai assimilare dai loro vicini, anzi spesso sono questi ultimi ad essere assimilati, anche con la forza 1054 . L’Albania, punto d’unione fra occidente ed oriente, ha svolto l’importante funzione storica di ergersi come una barriera, dapprima, in età tardoantica, contro la calata degli slavi nel Mediterraneo, e in seguito contro l’invasione dei turchi dei quali ha fermato la «vandalica corsa verso Roma»1055 . Purtroppo però la stirpe albanese, che annovera fra i suoi antenati leggendari l’eroe omerico Achille, e fra quelli reali Pirro e Alessandro Magno, albanese per parte di madre, ha pagato questi poco conosciuti servigi resi alla civiltà moderna «con il sacrificio della sua vita intellettuale e morale»1056 . Che il popolo schipetaro sia suscettibile di civiltà e progresso, cosa che alcuni calunniatori mettono in dubbio, è dimostrato, secondo Petrotta, oltre che dagli innumerevoli personaggi distintisi in ogni tempo nei campi della politica, della scienza, dell’arte e delle virtù militari, dalle colonie albanesi d’Italia, che fra gli altri hanno dato al Paese d’adozione «il suo più grande statista», Francesco Crispi1057 . L’autore è però costretto ad ammettere che l’Albania si trova in condizioni di profonda arretratezza, e la causa di ciò è individuata proprio nel perenne stato di guerra in cui gli albanesi, «non sempre per loro esclusivo vantaggio né per uno sport capriccioso della loro indole»1058 , si sono trovati fin dalla loro comparsa nella storia. Di questa situazione sono consci gli stessi patrioti schipetari più illuminati, che per tale motivo hanno sempre caldeggiato l’ottenimento 1054 Cfr. Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit. Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit., pag. 7. 1056 Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit., pag. 8. 1057 Cfr. Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit., pag. 12. 1058 Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit., pag. 12. 1055 dell’autonomia amministrativa prima dell’indipendenza vera e propria (Petrotta si trova quindi in disaccordo su questo punto con Tocci e la sua rivista). Citando le motivazioni che solitamente vengono addotte per affermare che gli albanesi non sono in grado di governarsi da sé all’interno di uno Stato civile, l’autore ammette che è vero che fra di essi è ancora in uso la “vendetta del sangue”, ma ciò è dovuto a precise circostanze storiche in cui l’Albania ha finito per trovarsi, e non ad un presunto istinto peculiare della loro razza 1059 . Per quel che riguarda poi la questione religiosa, Petrotta chiarisce subito che il sentimento nazionale precede fra gli albanesi il senso di appartenenza ad una confessione, ed è quindi un errore citare la presenza di tre differenti religioni come prova di insanabili divisioni e feroci fanatismi fra la popolazione. In realtà in questa materia gli schipetari si distinguono per la loro tolleranza, al punto che la coesistenza di riti e credenze diverse, a volte persino all’interno di una stessa tribù, li ha fatti diventare «un po’ scettici in quanto alle forme religiose»1060 . La maggior parte degli albanesi ha abbracciato l’islamismo e ha spesso impugnato le armi a fianco dei turchi soltanto perché in tal modo ha ritenuto di poter meglio preservare la propria individualità etnica, minacciata dal patriarcato ortodosso al sud e dal pericolo di slavizzazione al nord e all’est. Che gli albanesi non siano dei fanatici musulmani è dimostrato, secondo Petrotta, dalle dichiarazioni di Ismail Kemal, che in qualità di capo del governo provvisorio ha affermato, sebbene egli stesso sia di fede islamica, che il sovrano d’Albania non dovrà essere un musulmano, perché così vuole la maggior parte della popolazione, conscia dei maggiori vantaggi che potrebbe recare un principe cristiano. Infatti, afferma l’autore dell’opuscolo, la candidatura di Fuad d’Egitto, che La Rivista dei Balcani pare invece vedere di buon occhio, non è ben accetta a parecchi notabili 1059 1060 Cfr. Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit. Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit., pag. 14. islamici1061 . Lo spirito nazionale in Albania, continua Petrotta, è sempre stato vivo, e ancor più lo è dai tempi del congresso di Berlino, quando si costituì la lega albanese per opporsi alle mire di annessione slave ed elleniche e alla relativa propaganda fra la popolazione schipetara. È poi una falsità l’affermazione che l’Albania non ha una lingua ed una letteratura: le differenze tra ghego e tosco sono ad esempio assai minori di quelle fra i diversi dialetti italiani, mentre la produzione letteraria albanese è molto più antica e prestigiosa di quella neogreca o di quella serba, spiega Petrotta, che sostiene l’esistenza di grammatiche e vocabolari in lingua albanese fin dal diciassettesimo secolo 1062 . Passando poi ad analizzare la situazione politica, l’autore ritiene ingenuo il chiedersi, come qualcuno fa, perché mai gli albanesi non abbiano proclamato l’indipendenza nell’estate del 1912, quando controllavano praticamente tutta la regione. Infatti l’Albania non ha i mezzi per reggersi da sola senza un aiuto esterno, e a quel tempo sia Austria che Italia non hanno potuto intervenire perché avrebbero provocato il risentimento delle altre potenze. Ancora più assurda è l’accusa mossa agli albanesi per aver combattuto nell’attuale conflitto a fianco delle truppe ottomane, come è già spesso accaduto in passato quando l’impero si è trovato minacciato da un nemico esterno. In realtà, secondo Petrotta, la guerra balcanica è scoppiata quando i quattro alleati, e con loro la Russia, si sono resi conto che il riconoscimento da parte turca della nazionalità albanese e l’imminente concessione dell’autonomia alla regione stavano per distruggere i sogni egemonici slavi 1063 . È pertanto evidente che gli albanesi «non potevano entrare in una lega che aveva per programma la spartizione della loro patria, non potevano unirsi con quelli che sarebbero stati i dilaniatori della loro Nazione»1064 , e di 1061 Cfr. Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit., pp. 14-16. Cfr. Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit. 1063 Cfr. Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit. 1064 Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit., pag. 22. 1062 conseguenza si sono schierati a fianco della Porta, con la parziale eccezione dei malissori cattolici dello scutarino, che però, appena resisi conto delle vere intenzioni dei montenegrini, li hanno subito abbandonati dopo averli inizialmente aiutati1065 . Petrotta, che polemizza inoltre coi mazziniani, che hanno sciolto in ottobre il comitato pro Albania sorto in seno al loro partito proprio per l’atteggiamento degli albanesi nel conflitto balcanico 1066 , ritiene senza fondamento l’argomento avanzato dalla Quadruplice per spartirsi l’Albania, relativo al presunto diritto dei popoli di civiltà superiore di tutelare quelli inferiori. In realtà, secondo l’autore, slavi ed elleni non sono affatto degni di questa missione, e gli albanesi non hanno nulla da invidiare nei loro confronti. Sono noti i metodi intimidatori e violenti con cui serbi e greci hanno estorto alla popolazione schipetara di molti villaggi dichiarazioni di consenso alla loro occupazione. Allo stesso modo tutti ricordano le famigerate gesta delle bande bulgare in Macedonia, mentre nell’attuale conflitto i serbi non si sono dimostrati da meno, se si pensa che «nel solo vilayet di Kossovo furono massacrati 25 mila albanesi» 1067 . Petrotta conclude ammettendo che l’ Albania, dove «tutto è da creare», ha ancora molta strada da percorrere per essere annoverata fra i Paesi più civili d’Europa, ma è giusto darle il tempo di crescere e di svilupparsi, fino a quando «avrà trovata la sua via e si sarà emancipata dalle più o meno interessate tutele»1068 , delle quali peraltro ha ora necessariamente bisogno. L’Austria ha speso e spende tuttora molto in Albania, ma con la sua politica, secondo Petrotta, ha finito per creare diffidenza fra gli albanesi, che conoscono le tradizioni liberticide della monarchia asburgica e sono rimasti colpiti dall’annessione della Bosnia. Gli albanesi, di conseguenza, «guardano all’Italia come al 1065 Cfr. Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit. Vedi pag. 257. 1067 Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit., pag. 31. 1068 Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit., pag. 34. 1066 faro che dopo il disastroso naufragio deve guidarli alla salvezza», in quanto essa è «la nazione che per natura, per tradizioni, per nobiltà di carattere dà le maggiori garenzie della libertà dei popoli» 1069 . Va detto, inoltre, che se è vero che «il sentimento[…]è la negazione della politica», l’Italia ha però anche tutto l’interesse a veder nascere un’Albania dagli ampi confini, e a questo proposito, e qui Petrotta riprende un argomento già esposto in un suo intervento su La Rivista dei Balcani 1070 , è da augurarsi che il governo sappia valersi del prezioso strumento rappresentato dalle colonie albanofone del meridione, che possono contribuire utilmente «al risorgimento del popolo albanese» e alla «diffusione dell’italianità nell’altra sponda»1071 . I più importanti esponenti del movimento culturale e politico degli italo-albanesi, fra cui Lorecchio, Schirò e Tocci, sono presenti al congresso albanese che si tiene nei primi giorni del marzo 1913 a Trieste, presieduto da Faik Konitza, un autorevole notabile schipetaro di cui sono note le simpatie per l’Austria 1072 . Il console italiano di questa città telegrafa alla Consulta il 3 marzo affermando che la delegazione italiana sta facendo un’ottima impressione 1073 . Il giorno seguente però, la seduta del congresso è segnata da una serie di controversie e di accesi diverbi fra i partecipanti, che vedono fra i protagonisti Terenzio Tocci, che dimostra qui tutto il suo focoso temperamento, e che confermano le spaccature e i contrasti all’interno del movimento nazionale albanese. La sortita di Tocci ha origine dalla larga diffusione, alla vigilia del congresso, di un opuscolo che asserisce che l’occupazione dell’Albania da parte austriaca sarebbe la miglior soluzione della questione nazionale albanese, ma soprattutto dalla notizia, 1069 Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit., pag. 34. Cfr. Petrotta, Lembi d’oriente art. cit., in cui l’autore auspica che il governo italiano difenda e incoraggi, magari ricorrendo all’elargizione di sussidi, l’opera di conservazione della cultura albanese nelle colonie del Mezzogiorno, azione che tornerebbe a vantaggio della politica estera del Paese. 1071 Petrotta, L’Albania e gli albanesi op. cit., pag. 35. 1072 Cfr. Skendi, op. cit.; vedi anche pp. 137-38. 1073 Cfr. ASMAE, serie politica, b. 677, tel. 1648 cit. 1070 pubblicata da un giornale triestino, che gli organizzatori del congresso sarebbero stati largamente sovvenziona ti dal governo di Vienna. Tocci, appena aperta la seduta, sostiene che l’opuscolo in questione non può essere stato scritto da un vero patriota, e chiede poi spiegazioni sulla faccenda del finanziamento austriaco, con un’energia tale, racconta l’inviato del Corriere della sera, da venire più volte interrotto con altrettanta vivacità. Konitza cerca ad un certo punto di impedirgli di proseguire il suo intervento, con Tocci che allora abbandona la sala, mentre una parte dell’assemblea pare solidale con lui1074 . Il direttore de La Rivista dei Balcani sembra quindi essere tornato alla consueta posizione antiaustriaca, dopo che allo scoppio della guerra e nella prima fase di essa la gravità del momento gli ha fatto attenuare i sentimenti antiasburgici. Poco dopo un altro italiano, Giuseppe Schirò, protesta per la proposta da parte di un partecipante di inneggiare all’Austria e al suo imperatore come unici difensori dell’Albania. Questa volta Konitza accoglie il reclamo, deplorando che l’oratore abbia dimenticato di lodare l’Italia, che da sempre si batte per la causa albanese 1075 . Nella seduta pomeridiana la questione sollevata da Tocci torna alla ribalta per l’intervento di un sacerdote ortodosso proveniente dall’America, dove risiede una delle più importanti colonie albanesi all’estero 1076 , che dichiara di ritenere legittime le richieste di spiegazioni sul presunto finanziamento austriaco. In un «glaciale silenzio» prende allora la parola il presidente del comitato organizzatore, che ammette che un importante personaggio viennese, vicino a un ministro, ha versato, come diversi altri amici della causa albanese, una piccola somma, peraltro di molto inferiore a quella riportata sul giornale triestino e ripresa da Tocci. Dopo nuove vivaci discussioni su argomenti di 1074 Cfr. La fine del Congresso albanese tra clamorosi incidenti, in Corriere della sera, 5 marzo 1913, pag. 1. 1075 Cfr. La fine del Congresso art. cit. 1076 Cfr. Skendi, op. cit. altro tipo, e con una parte dei delegati che ha abbandonato l’aula dopo l’incidente della sovvenzione austriaca, il congresso si chiude coll’approvazione di una mozione da presentarsi alla conferenza degli ambasciatori di Londra, in cui ci si appella alle grandi potenze perché sia posta fine quanto prima al blocco navale e allo stato di guerra, e affinché il nuovo regno non sia privato di quei territori e di quelle città che sono indispensabili per il suo sviluppo civile e per la sua stabilità 1077 . 1077 Cfr. La fine del Congresso art. cit. Conclusione I due conflitti balcanici, con l’estromissione quasi totale dalla penisola della Turchia, che nel corso della Seconda Guerra Balcanica riesce sì a riprendere Adrianopoli, ma non a ribaltare il risultato dei precedenti mesi di guerra, segnano il consolidamento territoriale degli Stati nazionali della regione ed il coronamento del loro risorgimento iniziato nel corso dell’ottocento. I confini tracciati nell’agosto 1913 con la pace di Bucarest, se si eccettuano l’unione di serbi, croati e sloveni, e altre piccole rettifiche conseguenti al conflitto mondiale, resteranno praticamente immutati fino alle sanguinose crisi balcaniche degli anni novanta del novecento, dove ritroviamo questioni e temi già allora ampiamente discussi e di difficile soluzione; fra tutti il problema del Kosovo o Vecchia Serbia, rivendicata e infine ottenuta da Belgrado, ma abitata in maggioranza da popolazioni albanesi ferocemente nemiche degli slavi, i quali già allora si rendono responsabili di operazioni paragonabili all’odierna pulizia etnica. Ma le guerre balcaniche hanno importanti ripercussioni anche sul breve periodo: l’Austria, almeno nel prestigio, esce indebolita da questa crisi, che sembra bloccare i suoi disegni espansivi, mentre per contro la Serbia aumenta la sua forza ed il suo potenziale attrattivo sulle popolazioni sud-slave dell’impero asburgico; il concerto europeo appare pericolosamente sempre più diviso in blocchi contrapposti, che aumentano la loro solidità e compattezza interna 1078 . L’Italia può guardare con comp iacimento all’esito del conflitto balcanico: la vittoria della Quadruplice allontana il pericolo di un’espansione austriaca nella penisola, mentre la creazione dell’Albania, alla quale Roma concorre attivamente (e anche questi legami 1078 Cfr. R. J. Crampton, The Balkans as a factor in german foreign policy, 1912-1914, in The Slavonic and east european review, July 1977, pp. 370-90; Crampton, The decline of the concert op. cit.; Renouvin, op. cit. con l’altra sponda del canale d’Otranto sono un fattore che ritroviamo ai giorni nostri), corrisponde ai suoi interessi di salvaguardia dell’equilibrio adriatico. La Consulta affronta diplomaticamente la crisi balcanica mantenendosi molto vicina alle sue alleate, come raramente è accaduto nella storia della Triplice. Ciò contribuisce forse ad avvalorare in sede storiografica il giudizio sul “triplicismo” di San Giuliano 1079 , anche se va detto che non manca talvolta la consueta ambiguità, come nella questione di Scutari, e che questa condotta è dettata, in parte, proprio dall’esigenza di controllare da vicino e prevenire le mosse austriache. I rapporti fra i due Paesi peggioreranno però nei mesi seguenti, che precedono l’attentato di Sarajevo, anche, e soprattutto, a causa del problema dell’Albania, dove la loro cooperazione per la nascita di uno stato autonomo prenderà le sembianze, per dirla con Bosworth, di una «guerra fredda semicoloniale»1080 . Pur dimostrando in questi anni precedenti la Grande Guerra un certo dinamismo diplomatico, l’azione del governo italiano, anche riguardo al conflitto balcanico, è spesso criticata dall’opinione pubblica e dalla stampa nazionale, che rimproverano ai responsabili della politica estera eccessiva cautela, presunta remissività e mancanza di spirito di iniziativa. In particolare la collaborazione con la duplice monarchia nella crisi balcanica non è sempre ben vista, ed è talvolta considerata incompatibile con gli interessi italiani, con la Consulta che viene criticata per la sua debole politica “a rimorchio” dell’Austria. Queste accuse, sicuramente eccessive, non provengono solo dagli ambienti nazionalisti propriamente detti, ma riecheggiano un po’ ovunque in un Paese ancora eccitato dall’impresa libica, che ha aumentato la consapevolezza della grandezza della nazione e del suo status di grande potenza. L’opinione pubblica nel complesso è schierata decisamente a favore della Quadruplice: 1079 1080 Vedi pp. 47-48. Bosworth, La politica estera op. cit., pag. 262. vengono riconosciute diverse analogie fra le lotte di questi Paesi e il risorgimento italiano, mentre prevalgono, come nel resto d’Europa, sentimenti violentemente antiturchi ed antiislamici. Anche in questo caso certi toni da crociata, la netta contrapposizione fra due civiltà, con quella occidentale che è ritenuta l’unica in grado di condurre al progresso e allo sviluppo della modernità, costituiscono temi e motivi, diffusi allora anche in ambito democratico (con la parziale eccezione dei socialisti), che sono tuttora pienamente attuali. In anni in cui non si perde occasione di ricordare la nocività dei sentimentalismi in politica estera, la simpatia con cui si guarda alla causa balcanica non è incondizionata: quando le pretese degli alleati si fanno eccessive e contrastano con quelli che sono riconosciuti come interessi italiani, ad esempio a proposito dell’Albania, la stampa nazionale si oppone ad esse e ricorda come le esigenze del Paese vengano prima di tutto, in un’anticipazione, come ricorda Decleva, di quello che poco tempo più tardi verrà chiamato “sacro egoismo”1081 . 1081 Cfr. Decleva, Da Adua a Sarajevo op. cit., pp. 450-51. Fonti e bibliografia 1. Fonti inedite La pubblicazione de I documenti diplomatici italiani, per quel che riguarda gli anni a cui si riferisce questa ricerca, è incompleta. Infatti la quarta serie di quest’opera (19081914) ha visto finora l’edizione del solo volume dodicesimo, che copre l’arco di tempo che va dal 28 giugno 1914, data dell’attentato di Sarajevo, al 2 agosto dello stesso anno, ed il completamento di questa serie non è per il momento imminente. Pertanto si è reso necessario per questo lavoro una ricerca all’Archivio storico dip lomatico del Ministero degli Affari Esteri. Si è consultato innanzitutto il fondo denominato serie P. politica (1891-1916), all’interno del quale il materiale inerente alla Prima Guerra Balcanica è opportunamente raggruppato in una serie di buste che portano la dicitura Avvenimenti balcanici. Fra queste sono state utilizzate quelle che vanno dalla numero 736 alla 740. Inoltre sono state consultate le buste numero 676 e 677, sempre comprese in questo fondo, riguardanti l’Albania, in cui si trovano molti documenti interessanti al fine di questo lavoro. Assai meno ricche di materiale utile si sono rivelate invece le buste relative agli altri singoli Stati balcanici; fra queste sono state considerate solo quelle inerenti alla Serbia (199) e al Montenegro (483). Si è poi anche visto il fondo Archivio di gabinetto (1908-1914), che però si presenta meno ordinato e quindi di meno facile consultazione rispetto al precedente. Ciò nonostante sono stati utilizzati in questa ricerca diversi documenti appartenenti a questo fondo, del quale però, purtroppo, è stato possibile visionare solo le buste numero 28 e 61, che non coprono l’intero arco di tempo in cui si svolgono i fatti che sono oggetto di questo lavoro. 2. Bibliografia primaria Sono stati consultati per questa ricerca i numeri che vanno dall’ottobre 1912 al giugno 1913 de La Stampa e del Corriere della sera; del direttore di quest’ultimo quotidiano si sono viste le lettere raccolte in L. Albertini, Epistolario. 1911-1926, a cura di O. Barié, vol. I, Milano, Mondadori, 1968. Si sono poi analizzate le corrispondenze di Bruno Barilli dal fronte serbo-turco per La Tribuna, incluse in B. Barilli, Le guerre serbe, a cura di G. Pellegrini, Roma, Editori Riuniti, 1993, e gli scritti di Vico Mantegazza, apparsi su diversi quotidiani e riviste e ripresi in V. Mantegazza, Questioni di politica estera. Anno ottavo (1913). La guerra balcanica, Milano, Treves, 1914. Dello stesso autore si è tenuto presente La guerra balcanica, Roma, Bontempelli e Invernizzi, 1912, che riporta il contenuto di una conferenza tenuta nel novembre di quell’anno. Sono stati utilizzati anche i fascicoli del periodico Nuova Antologia che vanno dal novembre 1912 al maggio 1913. Si sono poi visti gli scritti di Gaetano Salvemini raccolti in G. Salvemini, Come siamo andati in Libia e altri scritti dal 1905 al 1915, a cura di A. Torre, Milano, Feltrinelli, 1963, e in La cultura italiana del ’900 attraverso le riviste, vol. V, a cura di F. Golzio e A. Guerra, Torino, Einaudi, 1962. Articoli e discorsi di Leonida Bissolati si trovano invece in L. Bissolati, La politica estera dell’Italia dal 1897 al 1920, Milano, Treves, 1923; lo scritto di Scipio Slataper citato nel sesto capitolo di questa ricerca è tratto da La cultura italiana del ’900 attraverso le riviste, vol. III, a cura di A. Romanò, Torino, Einaudi, 1960. Per quello che riguarda il partito socialista sono stati consultati i numeri dell’Avanti! dall’ottobre 1912 al maggio 1913, e inoltre gli scritti di Benito Mussolini raccolti in B. Mussolini, Opera omnia, a cura di E. e D. Susmel, vol. IV, Dal primo complotto contro Mussolini alla sua nomina a direttore dell’Avanti!, Firenze, La Fenice, 1952, e vol. V, Dalla direzione dell’«Avanti!» alla vigilia della fondazione di «Utopia», Firenze, La Fenice, 1953. Per quel che concerne il movimento nazionalista si è visto G. Castellini, I popoli balcanici nell’anno della guerra osservati da un italiano, Milano, Treves, 1913, costituito principalmente dai diari dei viaggi compiuti nella penisola balcanica dall’autore. Il materiale sulle comunità albanesi dell’Italia meridionale è tratto dai numeri de La Rivista dei Balcani che vanno dalla fondazione del periodico alla sospensione delle pubblicazioni (15 luglio 1912 – 24 gennaio 1913), e che sono conservati, in maniera pur troppo incompleta, nella Biblioteca centrale della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Torino; inoltre, sullo stesso argomento, è stato utilizzato un breve opuscolo tratto da una conferenza: G. Petrotta, L’Albania e gli albanesi nella presente crisi balcanica, Palermo, Trimarchi, 1913. Infine si è fatto ricorso ad una cronaca dell’assedio di Scutari scritta dai gesuiti residenti in quella città: Sette mesi di terrore in Scutari, Padova, Prosperini, 1913. 3. Bibliografia secondaria Un’utile lettura al fine di questo lavoro è stata quella di B. Vigezzi, Politica estera e opinione pubblica in Italia dall’Unità ai giorni nostri, Milano, Jaca Book, 1991, che costituisce una rassegna degli studi italiani su politica estera e opinione pubblica, e tratta anche questioni di metodo. Sulla politica estera dell’Italia liberale è stata consultata innanzitutto la classica opera di Federico Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari, Laterza, 1951; dello stesso autore si è considerato anche il saggio Considerazioni sulla politica estera dell’Italia dal 1870 al 1915, in AA. VV., Orientamenti per la storia d’Italia nel Risorgimento, Bari, Amici della cultura, 1952, pp. 17-49. Alla stessa scuola storiografica del grande storico valdostano appartiene Carlo Morandi, di cui si è visto La politica estera dell’Italia da Porta Pia all’età giolittiana, Firenze, Le Monnier, 1972 (1945). Un altro studio classico sul periodo in questione è G. Salvemini, La politica estera dell’Italia dal 1871 al 1915, Firenze, Barbera, 1950. Questa monografia è compresa fra l’altro, insieme ad altri scritti dello storico pugliese, nel volume: G. Salvemini, La politica estera italiana dal 1871 al 1915, a cura di A. Torre, Milano, Feltrinelli, 1970. Altre opere sulla politica estera italiana dell’epoca consultate per questo lavoro sono: L. Salvatorelli, La Triplice Alleanza. Storia diplomatica (1877-1912), Roma, Istituto per gli studi di politica internazionale, 1939, che tratta soprattutto dei rapporti italo-austriaci; A. Torre, La politica estera dell’Italia dal 1896 al 1914, Bologna, Patron, 1960, che si occupa dettagliatamente delle questioni balcaniche ed in particolare dell’annessione della Bosnia del 1908 e della crisi che segue; E. Decleva, Da Adua a Sarajevo. La politica estera italiana e la Francia. 1896-1914, Bari, Laterza, 1971. Di quest’ultimo autore, che nei suoi lavori analizza soprattutto l’atteggiamento dell’opinione pubblica e dei vari schieramenti politici di fronte alle grandi questioni di politica estera, sono stati considerati anche: L’Italia e la politica internazionale dal 1870 al 1914, Milano, Mursia, 1974, e i saggi Fra “raccoglimento” e “politica attiva”. La politica estera nella stampa liberale italiana (1870-1914) e I partiti popolari e la Triplice Alleanza: tra vecchie polemiche e nuove impostazioni (1900-1908), entrambi compresi in E. Decleva, L’incerto alleato. Ricerche sugli orientamenti internazionali dell’Italia unita, Milano, Angeli, 1987, pp. 13-56 e 145-70. Fra le opere che si occupano invece più specificamente degli anni a cui si riferisce questa ricerca si è fatto ricorso a B. Vigezzi, L’imperialismo e il suo ruolo nella storia italiana del primo ‘900, in Storia Contemporanea, 1980, n° 1, pp. 29-56, che analizza brevemente le diverse interpretazioni storiografiche su un periodo che si estende anche al di là di quello interessato da questo lavoro; dello stesso autore si è visto il saggio La politica estera italiana e il problema dell’Austria-Ungheria (19121914), incluso in B. Vigezzi, Da Giolitti a Salandra, Firenze, Vallecchi, 1969, pp. 3-52; per quello che riguarda invece i rapporti con Francia e Inghilterra si è anche considerato G. André, L’Italia e il Mediterraneo alla vigilia della prima guerra mondiale. I tentativi di intesa mediterranea (1911-1914), Milano, Giuffré, 1967; infine lo studio più recente sulla politica estera italiana negli anni in cui il titolare della Consulta è Antonino di San Giuliano, è quello di R. J. B. Bosworth, La politica estera dell’Italia giolittiana, Roma, Editori Riuniti, 1985. Fra le opere che affrontano i rapporti fra l’Italia e il mondo balcanico sono state consultate: M. Pacor, Italia e Balcani dal Risorgimento alla Resistenza, Milano, Feltrinelli, 1968; E. Decleva, Destra e Sinistra di fronte alla crisi d’Oriente (1876-1878), in Decleva, L’incerto alleato op. cit., pp. 57-82; F. Guida, L’Italia e il Risorgimento balcanico. Marco Antonio Canini, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1984; A. Giannini, I rapporti italo-ellenici (1860-1955), in Rivista di studi politici internazionali, 1957, n° 3, pp. 389-445; M. Dogo, Questione albanese e questione macedone nella politica estera italiana alla vigilia delle guerre balcaniche, in M. Dogo, Storie balcaniche. Popoli e stati nella transizione alla modernità, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 1999, pp. 94-109. Sulla ricezione italiana delle rivolte albanesi alla vigilia del conflitto balcanico si sono visti, fra l’altro, questi due saggi: F. Guida, Ricciotti Garibaldi e il movimento nazionale albanese, in Archivio storico italiano, 1981, pp. 126-38, e A. Tamborra, Michail A. Osorgin: un «testimone della storia» da Roma ai Balcani ai primi del Novecento, in Rassegna storica del Risorgimento, ottobre-dicembre 1991, pp. 461-66. Fra le opere che affrontano temi ed eventi della Prima Guerra Balcanica dal punto di vista italiano, si è fatto ricorso ad A. De Bosdari, Delle guerre balcaniche della Grande Guerra e di alcuni fatti precedenti ad esse, Milano, Mondadori, 1927, che consiste nelle memorie del diplomatico italiano, che all’epoca dei fatti che sono oggetto di questa ricerca è rappresentante della Consulta dapprima a Sofia ed in seguito ad Atene; è stato inoltre ampiamente utilizzato l’articolo di M. Mazzetti, L’Italia e la crisi albanese del marzo-maggio 1913, apparso in Storia Contemporanea, 1973, n° 2, pp. 219-62, che delinea dettagliatamente la politica seguita dal governo italiano in occasione della crisi di Scutari. Fra gli studi che si occupano dei rapporti economici fra l’Italia e la penisola balcanica e dei tentativi di espansione dell’industria nazionale, sono stati consultati: R. A. Webster, L’imperialismo industriale italiano 1908-1915, Torino, Einaudi, 1974; E. Sori, La penetrazione economica italiana nei territori degli Slavi del Sud (1896-1914), in Storia Contemporanea, 1981, n° 2, pp. 217-69; A. Tamborra, The rise of the italian industry and the Balkans (1900-1914), in The journal of european economic history, 1974, pp. 87-120; R. J. B. Bosworth, The albanian forest of signor Giacomo Vismara: a case study of italian economic imperialism during the foreign ministry of Antonino Di San Giuliano, in Historical Journal, XVIII, 3 (1975), pp. 571-86; S. Romano, Giuseppe Volpi. Industria e finanza fra Giolitti e Mussolini, Milano, Bompiani, 1979. Per quel che concerne la storia dei Balcani, in generale e per il periodo precedente i fatti che interessano questa ricerca, si sono considerati: D. Caccamo, Introduzione alla storia dell’Europa orientale, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1991, che affronta problemi storiografici sulle questioni, fra le altre, del panslavismo e dell’economia dei Paesi balcanici; M. Todorova, The Balkans: from discovery to invention, in Slavic Review, summer 1994, pp. 453-82, che tratta della percezione del mondo balcanico da parte dell’Europa occidentale; C. e B. Jelavich, The establishment of the Balkan national states, 1804-1920, Londra-Seattle, University of Washington press, 1977; B. Jelavich, History of the Balkans, Cambridge, Cambridge University press, 1983, che ricalca abbastanza fedelmente, per il periodo in questione, l’opera precedente; L. S. Stavrianos, The Balkans (1815-1914), New York, Holt, Rinehart and Winston, 1963; M. Dogo, Gli stati-nazione balcanici e la questione dei musulmani, in Dogo, Storie balcaniche op. cit., pp. 36-58; A. Biagini, Momenti di storia balcanica (1878-1914). Aspetti militari, Roma, Ufficio storico S.M.E., 1981. Sui paesi che formeranno poi la Jugoslavia si sono visti: AA. VV., Storia della Jugoslavia. Gli slavi del sud dalle origini a oggi, Torino, Einaudi, 1969, e J. Pirjevec, Serbi, croati, sloveni. Storia di tre nazioni, Bologna, Il Mulino, 1995. Per quello che riguarda la storia dell’Albania sono stati utili il classico studio di S. Skendi, The Albanian national awakening (1878-1912), Princeton, Princeton University press, 1967, e, in misura minore, A. Biagini, Storia dell’Albania, Milano, Bompiani, 1998, che tratta approfonditamente le insurrezioni degli anni precedenti le guerre balcaniche. Sulla Macedonia sono stati consultati: V. Aarbakke, Identità etnica e irredentismo in un contesto di mutamento politico e sociale. Il caso della Macedonia fra Otto e Novecento, in Quaderni storici, a. XXVIII, n° 3, dicembre 1993, pp. 719-44, che cerca di fare chiarezza sulle cifre a proposito della composizione etnica della regione; la breve recensione di due opere di Marco Dogo da parte di H. G. Lunt, On Macedonian nationality, in Slavic Review, Winter 1986, pp. 729-34; A. Giannini, La Bulgaria e il problema macedone, in L’Universo, 1952, n° 4, pp. 453-67, n° 5, pp. 611-24, n° 6, pp. 767-78, che sostiene la legittimità delle aspirazioni bulgare sulla Macedonia. Infine, per un punto di vista filoturco, si sono considerati D. Quataert, The Ottoman Empire, 1700-1922, Cambridge, Cambridge University press, 2000, che ribalta molte delle tradizionali posizioni antiottomane, e K. H. Karpat, Gli stati balcanici e il nazionalismo: l’immagine e la realtà, in Quaderni storici, a. XXVIII, n° 3, dicembre 1993, pp. 679-718, che è molto critico riguardo ai modi in cui sono state “costruite” le nazioni della penisola. Fra le opere di carattere generale sulle relazioni internazionali dell’epoca si sono visti i classici lavori di A. J. P. Taylor, L’Europa delle grandi potenze, Bari, Laterza, 1961, e di P. Renouvin, Storia della politica mondiale, vol. VI, Il secolo XIX 1871-1914, Firenze, Vallecchi, 1961; si sono poi consultati: L. Albertini, Le origini della guerra del 1914, vol. I, Le relazioni europee dal Congresso di Berlino all’attentato di Sarajevo, Milano, Bocca, 1942, che tratta approfonditamente il problema sud-slavo dal punto di vista austriaco e dedica di conseguenza molto spazio alle guerre balcaniche; R. J. Crampton, The decline of the concert of Europe in the Balkans, 1913-1914, in The Slavonic and east european review, July 1974, pp. 393-419, e R. J. Crampton, The Balkans as a factor in german foreign policy, 1912-1914, in The Slavonic and east european review, July 1977, pp. 370-90, che trattano delle crisi balcaniche dal punto di vista delle relazioni fra le grandi potenze. Sulla formazione della Quadruplice balcanica è stato considerato E. C. Thaden, Russia and the balkan alliance of 1912, University Park, The Pennsylvania state University press, 1965. La monografia più importante sulla storia diplomatica delle guerre balcaniche è ancora oggi E. C. Helmreich, The diplomacy of the balkan wars 1912-1913, Cambridge, Harvard University press, 1938, a cui si è fatto ampiamente ricorso per la stesura di questa ricerca. Si è poi visto A. Biagini, L’Italia e le guerre balcaniche, Roma, Ufficio storico S.M.E., 1990, che si basa quasi esclusivamente sui rapporti degli addetti militari italiani all’estero, e pertanto si occupa soprattutto dell’andamento delle operazioni belliche; infine si è tenuto presente il breve saggio sulla questione di Salonicco di M. Dogo, Salonicco e gli Ebrei, 1912-13. Un porto franco o una patria?, incluso in Dogo, Storie balcaniche op. cit., pp. 83-93. Per quello che riguarda la storia dei quotidiani italiani dell’epoca si sono consultati V. Castronovo, La stampa italiana dall’unità al fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1973 (1970), e V. Castronovo, N. Tranfaglia, Storia della stampa italiana, vol. III, RomaBari, Laterza, 1979, che ricalca in gran parte l’opera precedente. Sul Corriere della sera in particolare, sono stati utili il saggio di O. Barié, La “politica nazionale” del Corriere della sera dalla Guerra di Libia alla Grande Guerra, in Il Risorgimento, 1968, pp. 17299, e la prefazione dello stesso autore a Albertini, Epistolario op. cit. Si è poi utilizzata l’ampia opera La cultura italiana del ’900 attraverso le riviste, e soprattutto le introduzioni ai diversi volumi, fra i quali: il vol. III op. cit., il vol. V op. cit., il vol. IV, a cura di G. Scalia, Torino, Einaudi, 1961, ed il vol. I, a cura di D. Frigessi, Torino, Einaudi, 1960, dedicato alle riviste di inizio secolo attraverso le quali si sviluppa il nazionalismo. Sempre a proposito del movimento nazionalista si sono considerati: F. Gaeta, Il nazionalismo italiano, Roma-Bari, Laterza, 1981; I nazionalisti, a cura di A. d’Orsi, Milano, Feltrinelli, 1981; F. Perfetti, Il movimento nazionalista in Italia (19031914), Roma, Bonacci, 1984. Per le posizioni dei cattolici sui temi di politica estera si è ricorso a L. Ganapini, Il nazionalismo cattolico, Bari, Laterza, 1970, mentre si è visto anche il saggio di E. Lodolini, Mediterraneo, Adriatico, intervento, nella politica del Partito Mazziniano Italiano (1900-1918), in Rassegna storica del Risorgimento, 1951, pp. 473-86. Sul movimento socialista sono stati consultati: M. Degl’Innocenti, L’età giolittiana, in Storia del socialismo italiano, a cura di G. Sabbatucci, Roma, Il Poligono, 1980; Z. Ciuffoletti, Storia del PSI, vol. I, Le origini e l’età giolittiana, Roma-Bari, Laterza, 1992; E. Decleva, Anna Kuliscioff, Turati e la ricerca di una politica estera socialista (1900-1915), in Anna Kuliscioff e l’età del riformismo. Atti del convegno di Milano – dicembre 1976, Roma, Mondo Operaio – Edizioni Avanti!, 1978, pp. 202-29. Si sono anche rivelati utili, al fine di questa ricerca, il saggio di B. Bongiovanni, La Russia e la politica internazionale, in B. Bongiovanni, Da Marx alla catastrofe dei comunismi, Milano, Unicopli, 2000, pp. 53-69, e lo studio di M. Cattaruzza, Socialismo adriatico. La socialdemocrazia di lingua italiana nei territori costieri della Monarchia asburgica: 1888-1915, Manduria, Lacaita, 1998. Indice Introduzione Italia e Balcani dal congresso di Berlino alla vigilia della Prima Guerra Balcanica 2 pag. Capitolo I La Prima Guerra Balcanica dallo scoppio del conflitto all’armistizio di dicembre pag. Capitolo II Il fallimento delle trattative di pace e la ripresa delle ostilità pag. 104 Capitolo III La crisi di Scutari e la fine della guerra pag. 147 Capitolo IV L’opinione pubblica liberale e la Prima Guerra Balcanica pag. 183 Capitolo V Il Partito Socialista: internazionalismo e pacifismo pag. 231 Capitolo VI Uomini e partiti politici di fronte al conflitto balcanico pag. 253 Capitolo VII Le comunità albanesi del Mezzogiorno d’Italia e la nascita dell’Albania 50 pag. 295 Conclusione 323 pag. Fonti e bibliografia pag. 326