GLI ELATERIDI DEL PARCO NATURALE LA MANDRIA (COLEOPTERA, ELATERIDAE) ............................................................. Enrico Ricchiardi 1 PREMESSA DELL’AUTORE ABSTRACT DEL QUADERNO Il parco naturale La Mandria, essendo un conoide argilloso scavato ai due lati occidentale e orientale dai torrenti Ceronda e Stura di Lanzo e quindi essendo poco adatto alle coltivazioni, ha goduto nei secoli di un tasso di antropizzazione meno elevato di quello al quale è stato sottoposto il territorio circostante. La protezione dei suoi boschi residui, poi, iniziata alla fine del XVII secolo per gli scopi venatori di Casa Savoia e successivamente alla costruzione della Reggia, ne ha consentita una conservazione che seppur di fragile equilibrio, si protrae tutt’oggi. I circa 1800 ettari residui costituiscono infatti la più grande area boschiva esistente nella Pianura Padana. La collocazione geografica del Parco, al margine nord della piana alluvionale, quasi confinante con le prime elevazioni prealpine, ha favorito l’insediamento di una fauna e di una flora che presentano sia influssi alpini sia mediterranei, provenienti questi ultimi attraverso la connessione esistente con i rilievi interni piemontesi. Per questo motivo, e per meglio conservare, si è proceduto allo studio della Elaterofauna del Parco. La ricerca ha evidenziato alcune specie di provenienza prealpina ed altre più marcatamente mediterranee che si affiancano alle specie proprie della Pianura Padana, creando un’interessante composizione faunistica dell’area protetta. Il Quaderno vuole essere, pur nella rigorosità di una pubblicazione scientifica, strumento di approfondimento per giovani studiosi desiderosi di contribuire alla migliore conoscenza della biodiversità piemontese. KEYWORDS. Piemonte, Parco Regionale La Mandria, Bosco Planiziale, Elateridae. BOOKLET ABSTRACT The natural park La Mandria is an alluvial clay-dominated cone, eroded on both western and eastern margins by the Ceronda and the Stura di Lanzo streams respectively. Because its morphological and soil characteristics make it poorly suitable for agricultural use, it has enjoyed through the centuries a much lower intense level of human interference, in comparison with the surrounding areas. The protection of its indigenous forests dates back to the turn of the 17th century, initially as a hunting reserve for the Savoia Family and later as part of the Reggia of Venaria Reale. As a result, the conservation of its pristine state has been ensured up to now, even though this remains precarious. The approximately 1800 hectars of land that constitute the Park represent the largest forest area currently found in the entire Po Valley. The geographic position of the Park, on the northern side of the flood plain and virtually at the foot of the lowest Alpine hills, has resulted in the establishment of a mixture of animal and plant communities with both Alpine and Mediterranean characteristics. The latter probably arrived in the region through the connectivity existing between the coast and the Piedmontese midlands. It is because of these ecological factors, and the need to provide further knowledge for the adequate conservation of the Park, that a survey of the diversity of its elaterid (click) beetles was recently conducted. Species of Alpine and Mediterranean origin were found alongside the more typical species of the Po Valley, thereby demonstrating the peculiar and interesting faunal composition of this protected area. Beyond highlighting these findings in rigorous scientific style , the booklet is also intended to act as incentive for other young researchers that wish to contribute further towards improving our knowledge of the Piedmontese biodiversity. KEYWORDS. Piedmont, La Mandria Park, Po Valley, Elateridae. 2 Uno dei principali problemi per un neofita nell’intraprendere lo studio di un qualunque gruppo di insetti è la scarsità di pubblicazioni introduttive che, pur nel rigore scientifico, gli consentano di districarsi nella complessità della materia. Di conseguenza, sia il semplice curioso evoluto, potenziale entomologo futuro, sia lo specialista di altre discipline, dopo qualche infruttuoso tentativo di classificazione degli esemplari raccolti spesso rinuncia. D’altronde, quando pubblicazioni esistono, queste sono quasi sempre compilate da specialisti stranieri1 nella propria lingua madre, il che può costituire un problema. Fortunatamente, invece, per quanto riguarda i Coleotteri elateridi italiani, esistono due pubblicazioni abbastanza recenti. La prima, di Carlo Pesarini2, è un volumetto di quarantaquattro pagine che include chiavi dicotomiche3 che consentono (con l’utilizzo però indispensabile4 di uno stereo microscopio binoculare) di identificare il genere5 al quale l’esemplare in esame appartiene. Per aiutare nell’identificazione della maggior parte delle specie presenti sulla nostra penisola Pesarini ha inserito nel suo manuale decine e decine di disegni. Questi, però, danno solo un’idea approssimativa delle specie, alcune delle quali, molto variabili o simili ad altre, rendono spesso incerta l’identificazione. L’altra pubblicazione, scritta da Giuseppe Platia nel 19946 e che fa parte dell’importante serie “La Fauna d’Italia”, è una revisione completa degli elateridi italiani. E’ rivolta agli specialisti ed è piuttosto parca di disegni. In essa, inoltre, mancano totalmente fotografie che illustrino le specie. Il volume è però riccamente corredato di chiavi dicotomiche che consentono l’identificazione e fornisce di ciascuna specie informazioni dettagliate sulla loro morfologia, distribuzione, habitat elettivo, ecc. Questo Quaderno sugli elateridi della Mandria ha l’obiettivo primario di pubblicare i ritrovamenti effettuati durante una lunga ricerca sul campo (giugno 2004 - dicembre 2008) svolta in tutti i mesi di ciascun anno, utilizzando svariate tecniche di ricerca (delle quali darò una descrizione più avanti). Nello stendere la nota scientifica, però, ho iniziato a pensare che potesse essere anche utile (pur nel rigore della pubblicazione scientifica) fornire al non specialista un mezzo per monitorare popolazioni di elateridi della pianura piemontese, indicandogli i metodi di ricerca e raccolta più adeguati a seconda della stagione, consentendogli di identificare il più possibile la specie7, sia degli adulti, sia delle larve. A questo scopo ho inserito chiavi dicotomiche ampiamente riprese dalla letteratura e adeguatamente adattate. Infine nella parte del Quaderno che tratta delle specie reperite ho inserito le loro foto a colori. Per quanto la distribuzione degli elateridi piemontesi sia relativamente ben conosciuta, accadrà certamente che una specie mai prima segnalata sul nostro territorio venga successivamente reperita o che, a seguito delle oscillazioni climatiche, specie prima assenti dalle nostre parti inizino ad apparirvi8. In questi casi, queste specie non sono presenti nelle chiavi Le “Faune” degli altri stati dell’Europa occidentale e centrale sono relativamente simili a quella italiana e in gran parte utili. 2 Vedere Pesarini, 1984, nella Bibliografia. 3 Le Chiavi Dicotomiche sono un classico schema che consente (o dovrebbe consentire) di discriminare a quale specie appartiene l’esemplare che stiamo esaminando utilizzando due stati alternativi (dicotomia) di un carattere morfologico. 4 Quasi sempre, all’inizio della loro attività, i giovani entomologi provano ad utilizzare le chiavi dicotomiche usando nell’identificazione dei caratteri proposti dalle chiavi dicotomiche una semplice lente d’ingrandimento. Purtroppo in questo modo sarà loro impossibile raggiungere risultati: sarà sempre necessario uno stereo microscopio binoculare. Nel caso degli elateridi la maggior parte dei caratteri è già apprezzabile ad ingrandimenti non troppo elevati, dell’ordine dei 10-20 ingrandimenti. 5 Si presuppone che il lettore sia famigliare con la classificazione binominale degli Insetti. 6 Vedere Platia, 1994, nella Bibliografia. 7 Anche se in alcuni casi dubbi sarà comunque necessaria la conferma successiva di uno specialista. 1 3 dicotomiche del Quaderno, rendendo necessario l’utilizzo di quelle della Fauna (Platia, 1994). Il Quaderno è suddiviso in tre parti. Nella Prima, dopo una breve descrizione degli ambienti esistenti nel Parco e della sua importanza per la conservazione della biodiversità, sono trattati gli elateridi. Dopo aver dato conto del motivo per cui il loro studio è utile nel raggiungere una migliore conoscenza della fauna coleotterologica del Parco, in questa prima parte descrivo la morfologia (sia degli stadi pre-immaginali sia degli adulti), la distribuzione mondiale, le straordinarie capacità saltatorie, il ciclo vitale, gli ambienti popolati e, infine, le molteplici tecniche che, secondo le stagioni consentono di reperirli. La seconda parte è dedicata alla determinazione di larve e adulti. È corredata di chiavi dicotomiche ampiamente illustrate da disegni al tratto che consentono, prima, di individuare la sottofamiglia d’appartenenza degli esemplari in esame e, in seguito, di determinare genere e specie. Nelle chiavi dicotomiche degli adulti di elateridi sono anche inserite informazioni sulla loro possibile presenza nel territorio del Parco. La seconda parte, per le sue caratteristiche molto tecniche, potrà essere utilizzata principalmente per la determinazione e quindi tralasciata da chi non sia a questo interessato. La terza parte, infine, è dedicata alla trattazione delle specie effettivamente reperite nel Parco durante le ricerche. Questo, ovviamente, non esclude che altre specie, soprattutto se molto localizzate, siano presenti e possano essere reperite in futuro. Gli adulti di alcune specie di elateridi compaiono, infatti, solo per brevi periodi della stagione più favorevole. In questo caso, però, con un po’ di fortuna potrebbe essere possibile trovarne le larve9. Il territorio attrezzato del Parco (3400 ha) è così vasto che sono certo che future ricerche potranno arricchire il numero di specie di elateridi che elenco in questa parte del Quaderno. Sempre nella terza parte traggo alcune conclusioni relative alle categorie corologiche degli elateridi della Mandria. Durante le molte giornate passate nella ricerca di esemplari nel Parco, ho avuto modo di apprezzare sia la cortesia e positiva curiosità per le mie ricerche del personale del Parco sia la fattiva collaborazione, trasformatasi in amicizia, con i Guardaparco e con il loro Responsabile. Un particolare ringraziamento va a due di essi, Paolo Debernardi e Christian Segreto, con i quali ho trascorso molto tempo, sia di giorno, sia nelle serate e notti dedicate al monitoraggio di specie con abitudini crepuscolari o notturne. Il primo ha contribuito con molti consigli e con un sostanzioso contributo alla stesura della prima parte. il secondo ha collaborato attivamente alla ricerca sul campo. Un ringraziamento particolare anche a Direzione e Presidenza del Parco per il loro desiderio di favorire l’approfondimento delle conoscenze naturalistiche della Mandria, coinvolgendo vari specialisti, consentendo l’accesso alle aree chiuse al pubblico e favorendo la pubblicazione delle ricerche. Un sentito ringraziamento anche a Carlo Pesarini, entomologo del Museo Civico di Scienze Naturali di Milano, per l’autorizzazione ad utilizzare dati e disegni del suo libro. Infine gran parte delle fotografie di esemplari adulti di elateridi provengono dalla ricchissima serie inserite nel bel WEB10 dei due elaterologi tedeschi V. Dušánek e J. Mertlik dedicato alla famiglia. Ringrazio infine l’amico Giuseppe Platia che ha consentito a verificare la correttezza delle mie determinazioni. Salvo diversa indicazione le elaborazioni grafiche necessarie alla preparazione delle illustrazioni sono state effettuate dall’autore. Alcune delle segnalazioni faunistiche sono riprese da Ruffo e Stoch, 2005. Come risultato dello studio, oltre a questo Quaderno, è stata creata una serie di scatole entomologiche (ora depositate presso il Parco) che contengono gli esemplari reperiti e che potranno servire a futuri studi, sia per verificare le mie determinazioni sia come base tassonomica di partenza per approfondimenti faunistici. Ovviamente può accadere anche l’opposto, cioè l’estinzione locale di una specie presente in passato sia per azione antropica sia per variazione climatica. 9 In un solo caso, tuttavia, ho reperito larve di specie non ritrovate anche allo stadio adulto. 10 http://www.elateridae.com 8 4 PARTE PRIMA Il Parco Naturale La Mandria Il Parco Naturale La Mandria11 è caratterizzato da terrazzamenti alternati a superfici più basse, modellate dal reticolo fluviale tributario del torrente Ceronda, che a valle del Parco confluisce nella Stura di Lanzo. I terrazzamenti si sono formati nel periodo geologico interglaciale Mindel-Riss (175.000 – 300.000 anni fa) e sono costituiti da grandi quantità di materiale detritico accumulato dal precedente ghiacciaio e depositati allo sbocco della Valle di Lanzo. La vecchia conoide fluvio-glaciale è in seguito stata scavata dai due torrenti Stura di Lanzo (a est) e Ceronda (a ovest), e incisa dal sistema torrentizio tributario di quest’ultimo. I suoli della Mandria sono principalmente argilloso-limosi, poco fertili e adatti alle colture. Questo è il motivo per cui il territorio del Parco è giunto a noi, anche se profondamente modificato dall’attività antropica, con una copertura boschiva importante. La natura argillosa dei terrazzi, con la presenza di livelli induriti superficiali (in genere affioranti) sono fattori limitanti molto importanti per l’approfondimento delle radici. I periodi umidi determinano l’instaurarsi di condizioni d’idromorfia legata allo scarso drenaggio mentre nei periodi secchi si riscontra forte aridità. La natura del terreno costituisce anche un serio ostacolo per il popolamento degli insetti che, talvolta solo allo stadio larvale, vivono negli interstizi nei quali si annida l’umidità. A riprova di que- sto fatto non ho mai reperito12 larve o adulti di elateridi scavando il terreno, ad eccezione delle specie rizofaghe infeudate ai prati (nei quali il terreno è fertile e più penetrabile fino a discreta profondità) o alle sabbie trasportate dai torrenti. A questo riguardo è importante indicare che le specie appartenenti al genere di elateridi Zorochrus, sono state reperite soltanto nei sabbioni del torrente Ceronda (quelle della Stura di Lanzo, al di fuori della cinta confinaria della Mandria non sono state investigate) e mai nei torrentelli, talvolta pluviali, che scavano i terrazzamenti del Parco dalle aree più elevate (385 m s.l.m.) a quelle più basse (247 m s.l.m.) immettendosi poi nel Ceronda. Questi torrentelli, scavati nei terreni argillosi, non presentano praticamente mai, neanche nella parte bassa del loro corso, accumuli significativi di sabbia. Il monitoraggio qualitativo degli elateridi è stato svolto soltanto nella parte attrezzata del Parco (che essendo di ben 3446,2 ha costituiva già da sé un’area enorme) e non nella totalità del territorio (6570,8 ha). E’evidente che per una completa conoscenza dell’elaterofauna della Mandria sarà indispensabile compiere in futuro anche il monitoraggio della restante area e del greto della Stura di Lanzo, estendendolo anche verso i vicini rilievi prealpini e alle campagne adiacenti, per individuare i corridoi di diffusione delle specie. Limitandoci, quindi, all’area cosiddetta “attrezzata”, si può rilevare dalla tabella che segue l’andamento della copertura boschiva totale13 per un periodo che va dal 1874, Le informazioni di questa parte del Quaderno fanno ampio uso al Piano d’assestamento forestale e di gestio ne naturalistica (IPLA 2001). 12 Come invece avviene normalmente altrove. 13 Costituita cioè sia dal Querceto-Carpineto sia da boschi di altra natura. Per il dettaglio relativo alla copertura (o meglio le coperture) arboree consultare IPLA 2001. 11 5 % Per quanto riguarda gli Invertebrati, e in particolare gli insetti, sono stati compiuti pochissimi studi e molto rimane da fare. L’importanza del Parco dal punto di vista della conservazione di flora e fauna planiziale piemontese è nota e si auspica che l’Ente possa finanziare future e approfondite ricerche su altri gruppi animali. Nel passato sono stati monitorati solo pochi di essi, rilevando, in particolare: Copertura forestale dell’area attrezzata 70 60 50 40 30 20 10 0 1874 1881 1892 1938 1950 1979-80 2000 Numero delle specie Fig. 1 - Evoluzione storica della copertura forestale dell’area attrezzata della mandria (IPLA). anno in cui i boschi erano ancora proprietà della Real Casa, al 2000. Si può facilmente notare che durante l’800 La Mandria, utilizzata quasi esclusivamente per scopi venatori o per l’allevamento, aveva una copertura boschiva media che si collocava tra il 50 e il 60 % dell’area. Successivamente, a seguito della vendita della proprietà e dei tentativi di sfruttamento agricolo e a una pesantissima pressione antropica, questa superficie si ridusse a una percentuale che si collocava poco sopra il 40 % (ma parte importante di questi boschi era costituita da essenze introdotte). Dall’anno di acquisizione della proprietà da parte della Regione Piemonte (1978) si nota un progressivo aumento dell’area boschiva, in lento miglioramento anche dal punto di vista della qualità dei boschi stessi. Certamente è indispensabile fare di più, cercando anche di limitare il più possibile il forte impatto antropico previsto con le nuove iniziative edilizie e turistiche pubbliche. Occorre cioè impostare un piano di valorizzazione del territorio del Parco che tenga conto delle prevalenti necessità di conservazione. L’area tutelata è situata a NW di Torino ed è addossata ai primi rilievi alpini (peraltro xerici) che fanno in parte risentire la loro influenza sia sulle precipitazioni sia sull’andamento delle temperature. Il clima prevalente è continentale-temperato (padano), con inverni non molto freddi (sem6 pre > 0 °C e rare punte che possono occasionalmente raggiungere i – 20 °C), ed estati con temperature medie elevate (19-20 °C) durante i mesi di giugno, luglio e agosto. Esistono, però, situazioni microclimatiche particolari, per esempio nei tratti incassati degli impluvi nei quali scorrono modesti torrenti tributari del Ceronda, con suoli spesso più morbidi perché di natura alluvionale. Questi particolari ambienti, ricoperti da boschi, sono importanti per il solo sviluppo delle specie francamente nemorali. L’analisi corologica del popolamento vegetale, descritta da IPLA 2001, fornisce i risultati riportati in tabella, per un totale di 622 specie. Successivi rilievi hanno elevato il complesso della flora vascolare censita nel Parco a 733 entità. Corotipo % delle specie reperite Cosmopolite o subcosmopolite 16,1 Euroasiatiche 39,2 Boreali Naturalizzate e coltivate 19,1 Mediterranee s.l. Orofite s. Europee Subatlantiche Endemiche 11,6 9,2 2,4 2,2 0,2 Coleotteri Carabidi14 87 specie Coleotteri Scarabeidi Stercorari15 27 specie Coleotteri Xilofagi (Cerambicidi)16 76 specie Coleotteri Xilofagi (Buprestidi)17 36 specie Odonati18 20 specie circa Ortotteri19 13 specie Lepidotteri diurni20 12 specie21 Anche se sono state proposte in quasi tutti gli studi sull’entomofauna analisi delle categorie corologiche degli specifici gruppi, i dati in nostro possesso (includendo anche quelli che forniremo successivamente relativamente agli elateridi) sono ancora largamente in- sufficienti per trarre conclusioni più generali sul popolamento della Mandria. Mancano inoltre quasi totalmente dati sulla entomofauna del pre-parco e delle aree limitrofe, sia planiziali, sia pre-alpine, che possano aiutare a comprendere il ruolo che potrà assumere la salvaguardia del territorio del Parco nei riguardi del ripopolamento delle aree limitrofe e quali apporti il Parco stesso potrà a sua volta ancora ricevere dall’esterno. L’importanza del Parco La Mandria per la conservazione della biodiversità di Paolo Debernardi (Tav. I-V) Il Parco La Mandria è collocato in un ambiente che possiamo definire planiziale, sebbene su un piano più rilevato rispetto a quello, principale, della Pianura Padana: le quote altimetriche variano da 247 a 385 metri s. l. m. Qui i fattori ambientali naturali (altitudine, latitudine, clima, suolo, ecc.) fanno evolvere la vegetazione verso uno stadio, detto climax vegetazionale, corrispondente a una foresta di latifoglie dominata da querce (in prevalenza Farnia) e Carpino bianco. Questo e tipi simili di foresta planiziale erano un tempo largamente diffusi sul territorio europeo. Ci riesce oggi difficile immaginare la selva di alberi plurisecolari, sovente alti fino a Della Beffa in IPLA, 2001. Menetto, 1996. 16 Curletti, 1996. 17 Ibidem. 18 Della Beffa, ibidem. 19 Ibidem. 20 Ibidem. 21 Le specie segnalate per La Mandria nei decenni passati da vari Lepidotterologi sono molto più numerose e la loro attuale presenza deve essere confermata. Il tema, vista la particolare importanza dello studio del popolamento di Lepidotteri per impostare corrette politiche conservazionistiche, necessita di un’apposita analisi faunistica, prima di tipo qualitativo, per individuare la totalità del numero di specie, successivamente, sulla base dei dati, quantitativo. 14 15 7 50 metri, che ricopriva interamente la Pianura Padana; eppure 2000 anni fa essa ospitava possenti Uri (grossi antenati, oggi estinti, dei bovini domestici), Bisonti, Cervi, Caprioli e grandi predatori: Lupi, Linci e Orsi. L’incessante opera di “bonifica” e antropizzazione della pianura del Po ha distrutto tale foresta quasi interamente. Ne sono stati risparmiati soltanto alcuni piccoli lembi relittuali, per lo più fortemente alterati rispetto all’aspetto originario ed ubicati esclusivamente in aree dai suoli poco adatti all’agricoltura, certamente non ottimali neppure per lo sviluppo di una foresta. In Piemonte, su 671.347 ha di pianura solo 42.847 ha (pari al 6,38%) conservano boschi. Essi raggruppano soprattutto formazioni di bordura fluviale e solo 4000 ha (l’1% del totale!) presentano condizioni fisionomico-strutturali parzialmente rapportabili all’originario Querco - carpineto. Dal punto di vista ecologico il Querco - carpineto si configura non solo come il climax vegetazionale della Pianura Padana, ma anche come l’ecosistema più complesso e ricco di vita di tale area. Pertanto vale la pena svolgere alcune considerazioni di ordine ecologico, utili per comprendere il valore naturalistico di un ambiente ormai solo più presente in forma relitta e tuttora minacciato di degrado. La prima caratteristica della nostra foresta è che si presenta strutturata in senso verticale, secondo piani sovrapposti, ognuno dei quali è individuato dalle masse fogliari dei singoli vegetali ed è disposto parallelamente al suolo. Lo strato superiore è occupato dalle chiome degli alberi di prima grandezza, quello inferiore dagli steli delle erbe, quello mediano da specie arboree e arbustive, legnoso-basse. Nei singoli strati poi, la presenza di specie diverse e di diversa taglia può portare a distinguere ulteriori strati arborei, strati arbustivi e strati erbacei. Infine è quasi sempre presente una sottostruttura sviluppantesi in senso verticale, data dalle liane (Clematis) 8 e dalle specie epifite in genere (Hedera, Lonicera, Humulus, Viscum). La fauna associata alla foresta planiziale utilizza la complessa struttura della vegetazione in forma specializzata: ogni strato offre cibo e riparo a specie diverse, talora esclusive di quel livello (tav. I). Aumentando la varietà floristica e la diversità strutturale della vegetazione si incrementano infatti le possibilità di vivere e riprodursi in luoghi protetti e di inserirsi in reti trofiche più complesse. Negli ecosistemi immaturi, come sono i campi coltivati, la struttura verticale della vegetazione è inesistente o estremamente semplificata. In questi ambienti si rinvengono poche specie animali, alcune ad altissime densità e soggette periodicamente a brusche oscillazioni demografiche; tipiche sono le entità opportuniste, che proliferano enormemente in stretta relazione alle produzioni agricole e alla scomparsa delle specie ecologicamente più esigenti. La biodiversità è bassissima. Quest’ultima osservazione ci rende consapevoli dell’importanza che hanno in Piemonte gli ambienti che, da secoli, mantengono la stessa matrice ambientale. La Mandria, pur con gli intensi fenomeni di sfruttamento del passato, è un’ importante sopravvivenza del nostro ambiente forestale originario. Alla fine del ‘800, La Mandria, allora tenuta reale di caccia, ospitava ancora un “blocco” unico di 2000 ha di foresta in condizioni paranaturali. Oggi, nel Parco, la superficie forestale si presenta ridotta e frammentata e, pur nella sua relativa ricchezza naturalistica, La Mandria è attualmente ben lungi dall’estrinsecare appieno le sue potenzialità ecologiche. Vediamone il perché: l le bonifiche agronomiche condotte tra gli anni ‘20 e ‘50 hanno ridotto e frammentato la superficie forestale. Tagli sconsiderati hanno eliminato gli esemplari arborei più cospicui; l una causa particolare di impoverimento della biodiversità è legata all’introduzione TAV. I La foresta si comporta come un labirinto tridimensionale. Guardando un bosco con gli occhi dell’ecologo possiamo suddividere idealmente la complessa struttura della vegetazione in strati. Ogni livello è intrinsecamente interconnesso con gli altri da intricate relazioni ecologiche. I due livelli più esterni, il suolo e la volta della foresta sono ancora poco studiati e si ritiene che offriranno nei prossimi anni straordinarie informazioni sul funzionamento delle foreste. 9 antropica di specie vegetali esotiche invasive (robinia, ciliegio tardivo, quercia rossa, spirea, ecc.) e sulle quali solo poche specie di fauna indigena possono vivere; l la foresta è stata sfruttata alterandone struttura e fisionomia, ad es. privilegiando alcune specie arbustive rispetto alle altre; l la “pulizia” del sottobosco e l’eliminazione di alberi sani e deperienti hanno significato la rimozione di un’ imponente massa di legname che, permanendo nell’area, avrebbe arricchito la lettiera e, con essa, la biodiversità dell’ecosistema; l la presenza eccessiva di grossi erbivori (Cervi, Daini, Cinghiali, Bovini ed Equini domestici) ha prodotto profonde alterazioni nella stratificazione vegetazionale. La componente arbustiva compresa entro 2 metri dal suolo risulta drasticamente ridotta e, conseguentemente, impoverite flora e fauna a essa associate; l gli Ungulati in soprannumero hanno bloccato la rinnovazione naturale della foresta consumando i semi degli alberi e le giovani plantule; l la ricerca alimentare, soprattutto d’inverno, ha portato i Cervidi a scortecciare la vegetazione legnosa, causando ulteriori depauperamenti. l per ragioni sempre legate all’impatto dei grossi erbivori, nel Parco si registra una carenza degli ecotoni cioè di quegli ambienti di transizione rappresentati dagli stadi giovanili di colonizzazione delle aree aperte da parte della foresta. Tali ambienti, in condizioni naturali, sono particolarmente ricchi di specie vegetali e animali. In ogni caso, per l’estrema rarefazione che denotano e il ruolo insostituibile nel mantenimento di quanto rimane della biodiversità planiziale, tutti i relitti forestali di pianura dovrebbero essere sottoposti a immediate e drastiche misure di conservazione. Possiamo cogliere il significato di tale necessità analizzando la tabella della pagina seguente che compara la ricchezza biologi10 ca associata alle foreste naturali europee. Se confrontiamo i nostri ambienti forestali di pianura, come La Mandria e il Parco del Ticino, con le foreste planiziali meglio conservate in Europa, troviamo, pur nella carenza delle nostre attuali conoscenze scientifiche, risultati sorprendenti. Per ricchezza floristica e di vertebrati le nostre aree protette non sfigurano con il parco polacco di Bialowieza, che rappresenta l’ultimo lembo di vegetazione primaria ancora disponibile in Europa, e con la foresta di Fontainebleau, in Francia, che gode di una protezione totale ormai dal 1861. La tabella della pagina seguente ci offre lo spunto per ulteriori considerazioni: l la biodiversità di un area forestale è influenzata dalla sua superficie. Una foresta di piccola superficie (300 ha) accoglie oltre 5.000 specie; una grande foresta (di migliaia di ettari) ospita oltre 10.000 specie viventi; l la diversità dei vegetali conta per un 1020% delle specie presenti; l la fauna rappresenta oltre un terzo delle specie complessive e risulta composta al 90% dagli Insetti. I vertebrati, comprendenti specie note e vistose come il cervo o gli uccelli rapaci, rappresentano solo una frazione intorno al 3% del totale; l un 15-30% delle altre specie forestali è costituito dai Funghi: il gruppo che si è più strettamente coevoluto con la foresta. Sono infatti gli unici organismi in grado di “smontare” e riciclare le forti e lunghe molecole che costituiscono il legno. Altri indispensabili Funghi, le Micorrize, sono alleati fondamentali degli alberi, senza le quali non potrebbero sfruttare appieno i nutrienti del suolo forestale. Il confronto con aree protette più studiate è utile per comprendere quali gruppi siano prioritariamente da approfondire e proteggere nel Parco La Mandria: Licheni, Briofite e Funghi sono gli organismi “vegetali” di cui non disponiamo ancora di inventari definitivi mentre le carenze conoscitive più Parco La Mandria Parco del Ticino Riserva Fontainebleau Parco di Bialowieza I, Piemonte I, Lombardia F, Seine-et-Marne PL quota min (m) 247 56 42 147 quota max (m) 384 280 146 172 superficie (ha) 3.500 20.566 25.000 125.000 N° specie N° specie N° specie N° specie BRIOFITE 131 278 460 254 LICHENI 31 127 675 334 FUNGHI 452 1.252 2.700 >2.000 FLORA VASCOLARE 733 866 1.350 990 (30022) 1.734 >5.700 >8.500 PESCI 20 52 - 24 ANFIBI 9 9 12 12 RETTILI 11 14 11 7 UCCELLI 206 230 260 228 MAMMIFERI 45 48 55 62 INSETTI Totale delle specie attualmente censite. Ovviamente, lo studio di altri gruppi di Insetti porterà ad un totale di alcune migliaia di specie. 22 gravi riguardano gli Invertebrati. Questo quaderno vuole contribuire a colmare un poco le nostre lacune entomologiche trattando dei coleotteri Elateridi. Un po’ di ecologia forestale In una foresta matura la quantità di energia fissata annualmente dalle piante verdi meno il consumo energetico di produttori, consumatori e decompositori risulta prossimo a zero. Questo equilibrio energetico investe i rapporti fra le varie specie e le catene trofiche in cui sono inserite. L’ecosistema “gira”, per così dire, su se stesso e le popolazioni mostrano densità relative che oscillano debolmente nel tempo. Troviamo poche specie dominanti, con numerosi individui, che conferiscono un carattere tipico alla comunità (es. le specie legnose più abbondanti, come Farnia e Carpino) e un altissimo numero di specie caratterizzate da stock di individui relativamente bassi (Insetti che dipendono in tutto o in parte dalle querce, Invertebrati detritivori che vivono al suolo, Uccelli e Mammiferi insettivori che inseguono le loro prede in un’infinità di possibili ambienti, ecc.). La maggior parte dell’energia incorporata nella produzione annuale di tessuto vegetale non viene consumata da animali erbivori né accumulata nella biomassa vegetale viva, ma cade sul suolo della foresta. Si crea così un enorme serbatoio di energia, da cui, direttamente o indirettamente, attingono gli organismi detritivori o predatori della ricchissima pedofauna della lettiera: Lombrichi, Insetti e altri Invertebrati. Si può affermare che la stragrande maggioranza delle specie animali della foresta ri11 siede proprio in quello strato di tessuto vegetale morto (tronchi schiantati o deperienti, rami, foglie, radici, humus, ecc.). Ma vi è un altro aspetto da considerare: la morte di un organismo vegetale è completamente differente da quella di un animale. Un albero che abbia già molte parti morte e in avanzato stato di decomposizione può sopravvivere ancora per secoli. Allorché un albero alla fine “muore”, su di esso la vita continua: nuovi Invertebrati, Funghi, Licheni, Muschi ed Epatiche cominciano a vivere nel legno morto dando vita ad un complesso ecosistema. Le cavità poste tra le radici, gli interstizi tra il suolo e tronchi o rami caduti ospitano un microcosmo brulicante e affascinante. Nella seguente tabella viene sintetizzato il ruolo del legno morto nell’ecologia degli invertebrati. FONTE DI CIBO E SITI DI ALIMENTAZIONE CONSUMATORI PRIMARI DI LEGNO (xylofagi e cariofagi) floema interno corteccia xylema MICOFAGI corpi fruttiferi spore micofagi legno contenente micelio miceti agenti della carie del legno PREDATORI E PARASSITOIDI CONSUMATORI DI DETRITI E FECI SITI RIPRODUTTIVI (es. formiche carpentiere, icneumonidi) RISORSE PER MATERIALI DA COSTRUZIONE (es. vespe) PROTEZIONE DAI PREDATORI PROTEZIONE DA AGENTI CLIMATICI (es. disseccamento) SITI DI SVERNAMENTO O IBERNAZIONE Oltre a divenire il substrato vitale di una 12 moltitudine di organismi decompositori, un albero morto, sia esso ancora in piedi o accasciato al suolo, offre cibo, protezione e rifugio riproduttivo a numerosi vertebrati quali Anfibi, Rettili, Uccelli forestali e Micromammiferi. In altre parole, il legno morto (necromassa) e i vecchi alberi interagendo con l’ambiente fisico e altri gruppi viventi in foresta producono, nel tempo, elementi di ulteriore complessità dell’ecosistema, generando delle strutture, che chiameremo microhabitat (tav. 2). Le specie dipendenti dai microhabitat che si sviluppano nel legno in decomposizione (per esempio molti invertebrati e funghi) sono denominate saproxyliche, mentre quelle che lo colonizzano sulla superficie (per esempio molti licheni e briofite) sono denominate epixyliche. Il numero di specie viventi che si sviluppano su un albero sono correlate strettamente alla sua età e si incrementano esponenzialmente quando raggiunge la sua maturità biologica (circa 2/3 della sua longevità potenziale). Purtroppo nelle attuali formazioni forestali la maggior parte degli alberi non raggiunge mai dimensioni cospicue per effetto dell’utilizzazione forestale vigente o passata. Le foreste naturali differiscono infatti da quelle gestite per la loro complessa struttura stratificata e, in particolare, per la quantità di necromassa sedimentata nel tempo. Nelle foreste gestite dall’uomo però gli alberi non muoiono di morte naturale ma la selvicoltura li preleva ad un’età di utilizzazione che interrompe la lunga sequenza naturale di invecchiamento-morte-riciclo e rigenerazione. Questo corto circuito è tanto più evidente se si considera l’età che potenzialmente sono in grado di raggiungere i nostri alberi in natura. Una quercia in Europa può vivere fino a 9 secoli, raggiungere un diametro di 2,5 metri e l’altezza di 42 m. Nella gestione forestale più oculata viene abbattuta a 200 anni di vita. TAV. II Nel corso del loro invecchiamento gli alberi sviluppano condizioni e strutture particolari: cavità e fenditure prodotte da carie fungine o scavate attivamente da parte di vertebrati ed invertebrati, fuoriuscite di linfa, cortecce con spaccature e sollevamenti, ramificazioni morte o fratturate, fruttificazioni fungine e sviluppo di epifite (felci, briofite, licheni). Si tratta di un complesso di habitat fondamentali per la sopravvivenza di specie saproxiliche (in grado di sfruttare l’energia immagazzinata nel legno nelle sue varie fasi di invecchiamento e decadimento) e troglofile (utilizzatrici di cavità arboree per il loro ciclo biologico), specie nel complesso minacciate sia per la rarità dei loro habitat specializzati, sia per la loro ridotta mobilità che le condanna a sopravvivere solo in presenza di formazioni forestali poco o nulla frammentate. 13 RUOLO DEL LEGNO MORTO PER GLI INVERTEBRATI MOLLUSCA GASTEROPODA Spesso nella materia organica in decomposizione. Alimentazione: funghi, alghe, licheni, piante verdi e probabilmente batteri. ARTHROPODA ARACHNIDA Araneae Alcune specie di ragni sono specializzati nel vivere in microhabitat sotto le cortecce. (es. Araneus umbraticus, Segestria florentina) Predatori. Pseudoscorpiones Alcune specie strattamente lagate a tronchi cavi, alcune molto rare. Predatori Acaridae Alcune specie vivono in gallerie del legno. Predatori, coprofagi e micofagi. CRUSTACEA Vivono in materia organica in decomposizione. Isopoda Vivono in materia organica in decomposizione in ambienti bui e umidi. DIPLOPODA Alcune specie vivono sotto le cortecce di alberi morti e nei ceppi. SYMPHYLA Scarse informazioni. PAUROPODA Scarse informazioni. CHILOPODA Scarse informazioni. Predatori. INSECTA Neuroptera Alcune mosche scorpione sono predatrici di insetti legati alle cortecce e al legno vivo. Hemiptera Alcuni Aradidi vivono sui funghi sotto cortecce staccate e schianti di alberi morti. Lepidoptera Principalmente sulle foglie degli alberi ma alcune specie vivono nel legno, cortecce e su funghi. Pochi taxa presentano larve scavatrici del legno. Diptera Presentano una vasta gamma di habitat. Relativamente poche specie di questo grande gruppo sono associate agli alberi morti o deperienti (45 famiglie in USA). Tuttavia diverse specie sono collegate al legno morto e ai funghi. Molti sono predatori di altri insetti. Hymenoptera Il più vasto ordine di insetti. Parassitano molti insetti del legno. Molti Icneumonidi utilizzano alberi morti come sito di riproduzione. Alcune vespe del legno dipendono da funghi che vivono a loro volta sul legno morto Coleoptera Molte specie vivono in associazione a funghi e/o ne inoculano passivamente le spore nel legno (mycetangia). Il micelio, corteccia e legno costituiscono importanti fonti di cibo. In Svezia circa 1000 specie sono dipendenti dalla corteccia e dal legno degli alberi morti. Ips typographus, specie che colonizza le cortecce, è in rapporto a 141 specie di altri insetti legati al suo ciclo vitale (uova, larve, pupe e adulti). In Gran Bretagna 518 specie si rinvengono sul legno vivo o sotto le cortecce quando il deperimento ha inizio o ha già raggiunto uno stadio avanzato. In Germania è stato riscontrato che il 56% delle specie di coleotteri trovate in foresta sono classificabili come saproxyliche. 14 Non deve perciò stupire che su un singolo vecchio esemplare arboreo di grosso diametro, ad esempio una farnia del viale del Ponte Verde, si possano rinvenire un numero di specie di funghi, invertebrati, anfibi, uccelli e mammiferi superiore a quello presente su un ettaro di bosco di robinia, specie esotica diffusa dall’uomo in Europa solo da tre secoli. Molte di tali specie, come i coleotteri Osmoderma eremita e Cerambix cerdo, sono oggi minacciate23 sia per la rarità dei loro habitat specializzati sia per la loro ridotta mobilità che le condanna a sopravvivere solo in presenza di formazioni forestali poco o nulla frammentate (tav. III e IV). Pensiamo che, in Europa, il bosco originario avesse una copertura pressoché continua, e i diversi esseri viventi che si sono progressivamente adattati a vivere sul legno invecchiato o morto non dovevano quindi spostarsi o volare lontano per trovare condizioni di sopravvivenza e di riproduzione ideali. Per questo motivo, contrariamente a quanto avviene per le specie legate agli ambienti aperti, ancor oggi la maggior parte delle specie tipiche dei boschi sono generalmente poco mobili (tav. 5). Gli insetti caratteristici degli ambienti naturali aperti hanno invece delle buone attitudini alla dispersione nel paesaggio. Ai tempi delle foreste vergini per sopravvivere essi dovevano infatti emigrare di radura in radura per trovare continuamente nuovi luoghi di riproduzione in sostituzione degli habitat precedenti, che tendevano a riforestarsi naturalmente. Quando un albero o un arbusto si decompongono, i macro e micro elementi incorporati nei suoi tessuti durante la vita vegetativa ritornano lentamente nel suolo della foresta. La materia organica, mediante l’attività degli organismi saproxilici che degradano e rilasciano le sostanze nutrienti, può così venir utilizzata da altre piante e organismi. Questo rilascio non avviene immediatamente ma nel corso di anni e tale gradualità previene la perdita di nutrienti che avverrebbe durante forti precipitazioni e conseguente dilavamento. Purtroppo non bastano le foglie che cadono ogni anno a fertilizzare la foresta ma occorre la secolare sedimentazione della necromassa legnosa che concorre quantitativamente e qualitativamente nella formazione di un complesso e fondamentale ecosistema: il suolo forestale. Nelle foreste fruttate ogni ciclo di taglio rimuove molti nutrienti. Ad esempio, assumendo un taglio di querce ogni 100 anni pari a 400 m3/ha, la quantità di nutrienti rimossi dalla foresta è immensa. In un solo ettaro si sottraggono: 126 kg di potassio, 45 kg di sodio, 36 kg di magnesio, 803 kg di calcio e 40 kg di fosforo. Tali valori se moltiplicati a scala regionale ammontano a migliaia di tonnellate. Una foresta non può sostenere tali perdite in eterno. In un piano di utilizzazione forestale occorre prevedere, oltre al rilascio di esemplari arborei a tempo indeterminato, il mantenimento della più alta quantità di necromassa e di materia organica al suolo. Le motivazioni tradizionali alla base delle pratiche di pulizia del bosco e rimozione non hanno quindi fondamenti ecologici. In altre parole, mantenere boschi giovani, privandoli degli alberi morti e deperienti e ripulendo la necromassa legnosa presente al suolo è il miglior modo per distruggerne la biodiversità e, a lungo termine, indebolirne la salute e resistenza alle avversità. Il legno morto è stato spesso incolpato in passato di favorire infestazioni o patologie. Dati sperimentali dimostrano che un elevato livello di legno morto non è pericolo- 23 Ma fortunatamente le due specie sono presenti nel Parco, anche se solo in poche località da preservare con grande cura. 15 SIGNIFICATO ECOLOGICO DEL LEGNO MORTO TAV. III STRUTTURA SUBSTRATO VITALE PER GLI ORGANISMI SAPROXYLICI ED EPIXYLICI. Sito di riproduzione e rifugio. Sito di rifugio per superare stress climatici e ambientali (fuoco, aridità, ecc.). Connettività spaziale e temporale per organismi forestali stenoeci con cicli biologici lunghi e/o con scarsa vagilità. EFFETTI Elevata diversità strutturale dell’ambiente forestale sia a scala locale che di paesaggio. Elevata ricchezza di funghi, flora e fauna. Almeno ¼ delle specie forestali sono dipendenti dal legno morto. Fonte di elementi indispensabili alla foresta. (carbonio, azoto, calcio, ecc.) e di energia. Stoccaggio a lungo termine del carbonio. Migliore ritenzione idrica dell’ecosistema. Protezione contro l’erosione. Facilitazione e condizionamento della rinnovazione forestale. Maggiore capacità dell’ecosistema di reagire alle perturbazioni. Maggiore valore scientifico, educativo, estetico e turistico. L’emblema degli insetti saproxilici, che dipendono per il loro ciclo vitale dal legno vivo o morto, è il coleottero Osmoderma eremita. Questa specie è stata designata dalla Direttiva “Habitat” 92/43/CEE come “prioritaria” ovvero minacciata a livello europeo. Le larve di Osmoderma vivono per 2-3 anni in cavità formatesi all’interno di alberi centenari e al termine del loro sviluppo gli insetti hanno una bassissima capacità di dispersione, dell’ordine di poche centinaia di metri. Tutelando questa specie si protegge un importante ambiente necessario a centinaia di altre specie viventi, comprese numerose di Elateridi, associate ai microhabitat degli alberi annosi. 16 so per la foresta. Al contrario diversi studi mostrano che esso ospita e protegge un gruppo significativo di parassitoidi e predatori che a loro volta controllano le popolazioni di insetti patogeni. In presenza di tronchi tagliati, le ricerche hanno mostrato che non si incrementa l’attacco agli alberi vivi, ciò perché principalmente le specie attratte sono altamente specializzate proprio nel legno morto. Dall’inizio degli anni ‘80 si è cominciato a comprendere meglio il funzionamento degli ecosistemi forestali delle zone temperate e oggi sappiamo che: l nell’ecosistema forestale il legno morto non è meno importante degli alberi e arbusti viventi; l da un terzo ad un quarto di tutte le specie in esso presenti sono dipendenti strettamente dal legno morto; l il legno morto deve venir considerato come un sistema di microhabitat che evolve in fasi successive di progressivo decadimento e riciclo. Ciascuna fase è caratterizzata da distinte associazioni di specie; l la quantità di legno morto presente nelle foreste naturali dipende da numerosi fattori quali la composizione delle specie arboree, la loro struttura, lo stadio di sviluppo, il tipo e la frequenza dei fenomeni di disturbo naturale, la tipologia di suolo e di clima; l la frammentazione forestale, unitamente alla carenza di alberi annosi e di necromassa costituiscono le principali cause di perdita di biodiversità poiché alterano la connettività spaziale e temporale necessarie agli organismi forestali; Nel 1994 l’Italia ha sottoscritto, con altri 40 Paesi europei un accordo per attuare la gestione forestale sostenibile. La nozione di sostenibilità implica il passaggio dalla tradizionale gestione forestale rinnovabile al mantenimento dei processi ecologici fondamentali delle foreste e quindi della biodiversità. Gli errori gestionali del passato non sono più giustificabili oggi: acquisizioni scientifiche e motivazioni morali impongono di conservare per le generazioni future l’ambiente forestale de La Mandria. 17 TAV. IV Proprio nelle farnie del Parco è stata scoperta un’imprevista relazione che lega il ciclo larvale del più grosso coleottero cerambicide della nostra fauna, il Cerambix cerdo, con uno dei più piccoli fra i nostri mammiferi: il Pipistrello nano. I fori ellittici delle gallerie prodotte dalla larva del coleottero, da cui fuoriescono al termine di un ciclo di 3-4 anni, gli insetti “adulti” vengono utilizzati come rifugio di svernamento del chirottero. Le dimensioni dei fori sono sufficienti ad ospitare il pipistrello (cfr. figura) che sfrutta così il rifugio protetto e le capacità isolanti del legno. Perchè gli elateridi Gli elateridi (Elateridae) sono Coleotteri relativamente ben studiati sin dai primordi settecenteschi dell’Entomologia. Le specie appartenenti alla famiglia, diffusa a livello mondiale, sono attualmente decine di migliaia. Ne sono descritte continuamente di nuove, principalmente tropicali. Fortunatamente per i nostri studi, però, la fauna europea è ormai ben nota, anche se alcune nuove entità di quest’area geografica sono ancora sporadicamente descritte. In questo ambito anche la composizione delle faune sia italiana sia piemontese (che ne è un sottoinsieme) sono ben conosciute. Delle 137 specie presenti sul territorio della nostra regione conosciamo abbastanza bene, se non la loro distribuzione geografica di dettaglio, almeno gli ambienti nei quali esse vivono. Durante le ricerche di esemplari adulti di insetti capita spesso di imbattersi in larve. Anzi, in autunno e inverno queste sono quasi le uniche rappresentanti rintracciabili di parte degli insetti. Ne consegue che poterle correttamente identificare permette un migliore e più rapido monitoraggio del territorio. Questa pratica spesso non è però attuabile perché gli entomologi hanno rivolto, e continuano a rivolgere, gran parte dei propri studi allo stadio adulto. Ma, per quanto riguarda gli elateridi europei, molte larve (ma non tutte) sono state studiate e descritte rendendone spesso possibile la determinazione. Molte specie di elateridi delle nostre latitudini si trasformano in adulti al termine dell’estate, rimanendo rintanati fino a primavera o estate e quindi possono essere rintracciati anche nel periodo che va da settembre a marzo. In alcuni casi questo periodo è addirittura di gran lunga il più favorevole al loro reperimento. Alcuni di essi sono specializzati per vivere in ambienti ben rappresen24 18 tati nel territorio che costituisce La Mandria, come le rive di torrenti e fiumi, i prati, le siepi, il fitto o i margini del bosco, nel terreno o nella rosura presente nelle cavità alte o basse degli alberi, e il loro monitoraggio ci può dare molte informazioni sullo stato di conservazione della territorio del Parco. Generalità sugli elateridi Aspetto e nomenclatura Nell’ambito dell’ordine dei coleotteri gli elateridi costituiscono una famiglia molto ben caratterizzata da un corpo lungo e stretto, da antenne spesso dentellate che raggiungono, anche se non sempre, il bordo posteriore del pronoto e dalle loro capacità di saltare ad altezza molto elevate24 (ovviamente, in proporzione alle loro dimensioni, che vanno da pochi millimetri ai 5-6 centimetri di alcune Tetralobus africani). Per queste loro caratte- Fig. 2 - Elementi principali del corpo di un elateride adulto (Elater ferrugineus Linnaeus, 1758). Vista dorsale. Solo gli elateridi possiedono la capacità di effettuare il salto. 19 ristiche gli elateridi sono facilmente identifia cabili quando abbiamo l’occasione di osservarli sia in volo sia posati su erbe, terreno o cortecce degli alberi. Distribuzione Gli elateridi sono presenti praticamente in tutto il mondo, ad esclusione delle regioni climaticamente più estreme, come i grandi deserti del pianeta, le due regioni polari e le sommità innevate delle montagne. In quest’ultimo ambiente molte specie di elateridi appartenenti principalmente al genere Selatosomus raggiungono i più alti pascoli e colli delle nostre Alpi, potendosi rinvenire fino a circa 3000 m di quota. Delle più di 20.000 specie appartenenti alla famiglia fin qui descritte dagli entomologi (e moltissime nuove sono descritte ogni anno!) circa 240 sono presenti sul territorio italiano25 ben 137 (il 57%) sono segnalate in qualche località del Piemonte. Molte specie presenti nella regione abitano la Regione Alpina (convenzionalmente al di sopra degli 800 m). Molte altre, confinate ad un ambiente di pianura o collinare, sono reperibili con maggiore facilità alle quote basse della fascia alpina o appenninica. La distruzione dell’ambiente originale a causa della continua espansione umana, ha portato a una loro rarefazione (ed in qualche caso estinzione) in pianura. Proprio per questo motivo è importante analizzare quante di queste specie sono ancora presenti nelle pochissime aree della Pianura Padana rimaste relativamente boscose. Tra queste un posto di particolare importanza spetta a La Mandria. Capacità saltatorie Le capacità saltatorie degli elateridi erano note sin dai primordi dell’Entomologia e fu- Fig. 3 - Figura 3. Salto di un elateride. Da Binaghi 1942. Fig. 4 - Larve di Elater ferrugineus Linnaeus, 1758 fotografate in un olmo cavo della Mandria. Le larve vivono nella rosura costituita da segatura e terriccio. Foto Christian Segreto. rono già descritte da Charles Darwin nel suo “Viaggio di un naturalista intorno al mondo”, con queste parole “… L’elateride, quando era sul dorso e si preparava a saltare, piegava all’indietro il capo e il torace, in modo che la spina pettorale era spinta all’infuori e appoggiava sull’estremità della sua guaina. Continuando questo movimento all’indietro, la spina pettorale, sotto la completa spinta dei muscoli, si piegava come una molla e l’insetto in quel momento era appoggiato sulle estremità del capo e delle elitre. Quando lo sforzo cessava improvvisamente, la testa e il torace scattavano all’insù e in conseguenza la base delle elitre colpiva la superficie d’appoggio con tale forza, che l’insetto, per reazione, era lanciato in alto fino a un’altezza da cinque a otto centimetri. I punti prominenti del torace e la guaina della spina servivano a stabilizzare l’intero corpo du- rante il salto…”. L’argomento venne infine studiato in dettaglio da un entomologo italiano, Giovanni Binaghi, nel 194226 . Egli evidenziò anche il caratteristico rumore metallico, “lo scatto”, che gli elateridi emettono quando saltano. Scopo del movimento, che avviene solo quando l’insetto è rovesciato sul dorso, è di farlo raddrizzare sulle zampe: infatti il salto termina invariabilmente con l’esemplare in posizione normale. Il territorio considerato, esulando dalle vicissitudini politiche delle singole aree geografiche, include anche alcune porzioni di territorio non italiane, come il Canton Ticino, l’Istria e la Corsica. 25 20 Stati pre-immaginali Le larve degli elateridi sono facilmente riconoscibili per il loro aspetto: sono normal- mente allungate, sub-cilindriche, sclerotizzate. Le loro dimensioni variano, a seconda della specie, da pochi millimetri ad alcuni centimetri. Tra le specie reperibili nel Parco le larve più lunghe appartengono alla specie Elater ferrugineus Linnaeus, 1758 (fig. 4), e si trovano quasi sempre associate a quelle dello scarabeide Osmoderma eremita27 (Scopoli, 1763) delle quali si nutrono. Le larve degli elateridi si sviluppano dalle uova depositate, a seconda della specie, dalla primavera all’estate ed escono dall’uovo dopo una quindicina di giorni dalla loro deposizione. Le informazioni in nostro possesso sulla du- Vedere in Binaghi G., 1942, in Bibliografia. Durante la ricerca delle larve di Elater ferrugineus nelle cavità piene di rosura presenti in varie essenze presenti nel Parco, abbiamo potuto accertare la presenza di almeno tre popolazioni di Osmoderma eremita. Questa notizia è positiva, anche se in tutte e tre le località la popolazione è a rischio per la tendenza dell’Ente (per motivi di giustificata sicurezza) a eliminare i grandi alberi cavi che ospitano questa specie in grande rarefazione. A questo riguardo sarebbe opportuno intervenire non con ulteriori tagli ma recintando le aree attorno alle piante interessate allo sviluppo della specie e spostando il traffico umano altrove. 26 27 21 rata dello stadio larvale sono incomplete e molti studi sono ancora necessari per meglio definirla. Siamo anche molto carenti di notizie sulle abitudini di vita delle larve e sulle loro preferenze alimentari. In generale le larve degli elateridi hanno un ciclo biennale che, nel caso di annate sfavorevoli allo sviluppo, può prolungarsi nell’attesa di condizioni climatiche migliori. Alcune larve rizofaghe infeudate ai prati e coltivi sembrano avere un ciclo larvale triennale. Le larve uscite dall’uovo iniziano immediatamente a nutrirsi e crescere, continuando nel loro sviluppo fino a che la siccità estiva indurisce il substrato nel quale vivono. In questa fase esse entrano in uno stato di diapausa estiva. Infatti durante i mesi di luglio ed agosto (fino alle prime piogge di metà/fine di quest’ultimo mese) per quante ricerche vengano effettuate è difficilissimo incontrarne. Dopo la ripresa della loro attività alle prime piogge estive le larve sono attive fino a quando l’abbassamento delle temperature non le costringe alla diapausa invernale. La trasformazione delle larve in ninfe avviene quasi sempre al termine dell’estate, quan- do le prime piogge ammorbidiscono il leb gno morto o il terreno induriti dall’essiccazione estiva. A questi segnali le larve cercano un luogo nel quale poter effettuare in sicurezza la loro trasformazione. Il successivo stadio ninfale (o pupale) dura una ventina di giorni e al suo termine la larva si trasforma in adulto. Riporto per intero la descrizione delle ninfe di elateridi di Platia (1994), il quale descrive efficacemente questo stadio pre-immaginale degli elateridi: Pupe. Tipico stadio quiescente degli insetti olometaboli, la pupa dei coleotteri elateridi è di tipo exarato (o libera) in quanto le appendici e i processi esterni del futuro adulto sono liberi e adagiati sulla superficie del corpo. Essa è facilmente distinguibile (fig. 5) per la forma del pronoto analoga a quella dell’adulto e per l’apofisi prosternale caratteristica. Il colore è in genere biancastro e la consistenza debole, molto delicata, poco sclerificata. Nel periodo agosto-settembre, a seconda delle condizioni ambientali, le ninfe si trasformano in adulti, i quali rimangono però nelle cellette ninfali per la maggior parte del tempo fino ai primi caldi. Ci sono però eccezioni, per esempio nel Parco mi è capitato di vedere, nelle calde giornate di ottobre del 2005, adulti di Drasterius bimaculatus posati sul muro di cinta rivolto a ovest della cosiddetta “Villa Ghia”. Ciclo vitale degli adulti c Fig. 5 - Ninfa di un elateride (Ampedus sanguineus Linnaeus, 1758). Da Leseigneur (1972). 22 Nel Parco La Mandria, scavando nella rosura delle cavità basali degli alberi cavi, per esempio i salici, è già possibile trovare adulti di Cardiophorus attivi nei primi giorni di marzo. La maggior parte degli adulti, però, fuoriesce più tardi. Alcune specie, come Anostirus purpureus e Prosternon tessellatum sono primaverili in quanto si reperiscono solo nel mese di aprile. Però la maggior parte di esse fuoriescono dalla fine di aprile all’inizio della stagione secca. In generale gli elateridi, salvo rare eccezioni, prediligono le giornate con maggiore umidità nell’aria ed è possibile reperirli soprattutto nelle giornate coperte, ma mai durante le piogge. Alcune specie, come gli Zorochrus e il Betarmon bisbismaculatus volano nel crepuscolo alla ricerca dell’altro sesso. Il monitoraggio delle larve Alcune larve di elateridi si possono reperire esclusivamente negli ambienti nei quali vivono gli adulti. Le larve degli Ampedus, genere le cui specie vivono prevalentemente nel cavo degli alberi o nel legno morto, si possono trovare soltanto in tale ambiente. Quelle degli Athous e Agriotes, invece, essendo rizofaghe, si trovano generalmente interrate presso erbe o altre radici, nell’aperto dei prati, o nell’humus dei boschi. Quelle degli Zorochrus, genere le cui specie sono ripicole, si possono reperire nel terreno in prossimità dei corsi d’acqua, ma sempre in presenza di erbe, delle cui radici, forse, si cibano. Le larve di altri elateridi, come, per esempio, i Melanotus, sembrano avere abitudini meno specializzate. Sono infatti reperibili sia nelle cavità degli alberi, sia sotto pietre o legno morto. Solo raramente, quindi, l’ambiente nel quale le larve sono state reperite costituisce un modo di determinarne il genere di appartenenza. Molto più utile per la loro determinazione è la struttura morfologica del segmento caudale, facilmente esaminabile anche a occhio nudo. Quasi sempre però, la determinazione della specie alla quale appartiene la larva potrà essere confermata da lavoro a tavolino, con documentazione e l’utilizzo del microscopio stereoscopico (30 - 50 Fig. 6 - Larva (e adulto) di Melanotus castanipes. Normalmente la larva è lunga da 1,5 a due volte la lunghezza dell’adulto e, come quasi tutte le larve di elateridi, è facilmente identificabile per aspetto e colorazione. Foto Vàclav Duśanek. ingrandimenti saranno più che sufficienti allo scopo). Essendo sclerotizzate, poi, le larve di elateridi si prestano con grande facilità ad essere conservate a secco. Sarà sufficiente incollarle su un cartellino tramite colla entomologica28, con l’avvertenza che l’esemplare dovrà essere incollato (con una piccola goccia di colla) su un fianco, in modo da mantenere visibili le parti anatomiche che è necessario osservare per la determinazione. E’ indispensabile poi (anche per gli adulti) che, allo stesso spillo che appunta la larva nelle cassette entomologiche di conservazione, sia anche inserito un cartellino che specifichi in dettaglio i dati di cattura (esatta località, data, pianta ospite eventuale, ecc.) Le larve di elateridi sono attive per la maggior parte dell’anno salvo quando le condizioni ambientali sono estreme. Anche nei Personalmente preferisco utilizzare Vinavil, che seccando diventa incolore e consente in qualunque momento, anche dopo anni, la reversibilità dell’intervento essendo questa colla idrosolubile (sarà però necessario utilizzare acqua prossima al punto di ebollizione). Possiedo nella mia collezione esemplari incollati in questo modo circa 30 anni fa senza che mai si siano verificati inconvenienti o siano insorte muffe. 28 23 mesi più freddi (alle nostre latitudini da metà novembre alla fine di febbraio) le larve possono comunque essere reperite con lo scavo specializzato. Non smetto mai di stupirmi quando, scavando in pieno inverno il legno morto, ho l’avventura di reperire larve di Ampedus (assieme agli adulti, o in loro vicinanza) completamente immerse in una specie di brina costituita da cristalli di ghiaccio. Nel periodo più caldo dell’anno, specie nelle annate con estate secca e temperature sopra la norma, è invece estremamente difficile e sporadico reperire larve di elateridi, che sono in diapausa estiva. Inoltre il monitoraggio in questo periodo e con quelle condizioni climatiche è reso molto difficile dall’estrema secchezza del legno, praticamente impossibile da scavare con la zappetta. Anche il terreno, essendo duro e secco è difficilmente monitorabile, come anche la rosura degli alberi cavi. In generale in questo periodo sarà difficile reperire larve che, evidentemente, si rifugiano nelle parti più profonde e umide. Ambienti popolati Nell’ambito degli ambienti presenti nel vasto territorio del Parco La Mandria nella stagione giusta è possibile reperire adulti di elateridi quasi ovunque. Boschi Nel fitto dei boschi gli adulti di elateridi sono molto rari e sporadici, prediligendo invece le radure e i sentieri. Infatti gli adulti, non appena sfarfallati tendono a disperdersi raggiungendo le foglie e gli arbusti in zone più luminose. Siepi e radure Questi ambienti sono molto importanti, anzi fondamentali per la biodiversità, alloggiando un gran numero di specie. Per quanto riguarda gli elateridi sarà possibile trovare sulle fo- glie di alberi e arbusti o mentre si arrampicano sui rami per spiccare il volo, molti adulti di svariate specie, sia infeudate al legno morto, sia rizofaghe. Anche specie che sono infeudate alle erbe di prati e coltivi si rinvengono spesso in questi ambienti. Fiumi e torrenti Le specie di elateridi (tra quelli presenti o potenziali nel Parco) appartenenti ai generi Zorochrus e Paracardiophorus sono ripicole e (sembra) rizofaghe. Le loro larve si sviluppano nei terreni alluvionali di torrenti e fiumi e hanno necessità di substrato sabbioso, che ne consenta i movimenti. Nel territorio del Parco i numerosi torrenti e torrentelli sono in genere scavati nel conoide argilloso che costituisce il substrato del Parco e la presenza di sabbia è scarsa. Il tratto del torrente Ceronda incluso nel Parco (poco meno di 2 km), invece, è contornato da depositi alluvionali e sabbie che consentono la vita degli elateridi specialisti di quell’ambiente. Il particolare ambiente dei rigagnoli che attraversano o contornano i prati, invece, consentendo la vita di una vegetazione specializzata che radicando nel terreno non argilloso dei coltivi, consente una numerosa popolazione di elateridi, caratterizzata dall’abbondante Betarmon bisbismaculatus e dai più sporadici Adrastus. Metodi di cattura di larve e adulti Larve Le larve, vivendo nel terreno, nel cavo degli alberi e nel legno morto possono solo essere reperite zappettando in quegli ambienti. Le stagioni più fruttuose saranno la primavera e l’autunno, quando esse (sia quelle neo-exuviate sia quelle più anziane) sono molto attive. Fig. 7 - Ambienti della Mandria. Prato Tori. Sulla destra gli arbusti sui quali si reperiscono molti adulti di Melanotus. Foto dell’autore. 24 Per una raccolta più proficua, però, è opportuno raccogliere e setacciare il materiale di scavo con un setaccio a maglia larga circa 1 cm. Per le tecniche di allevamento delle larve di elateridi vedere Leseigneur (1972). Adulti Tra tutte le tecniche adottate nel corso di tre anni di ricerca darò di seguito le indicazioni relative a quelle che hanno dato frutti apprezzabili29. Ricerca a vista Gli adulti di elateridi lasciano gli ambienti nei quali sono exuviati in un periodo che va (alla latitudine ed altitudine della Mandria), dai primi giorni di aprile alla metà di luglio. Una volta dispersi nel territorio sarà generalmente possibile reperirli sulle foglie e sui fiori di vari alberi. Con la ricerca a vista si trovano esemplari appartenenti a tutti i generi infeudati al legno morto, alle cavità cariate di tronchi e rami e al terreno. La ricerca sarà più fruttuosa verso il crepuscolo, in giornate non piovose ma nuvolose, cupe e umide. L’assenza di vento è una condizione indispensabile, perché quasi tutti gli insetti interrompono ogni attività nelle giornate ventose. L’osservazione diretta dei lati superiore ed inferiore delle foglie e dei rami dovrà essere effettuata con grande cura, tenendo presente che gli elateridi si accorgono abbastanza rapidamente della nostra presenza e tendono quindi a nascondersi rapidamente alla nostra vista. Un minimo movimento, poi, delle foglie o del ramo farà si che si lascino immediatamente cadere a terra o spicchino il volo, a seconda delle abitudini della specie. Gli elateridi essendo generalmente di colori non vistosi risultano mimetici e poco visibili. Per quanto riguarda le caratteristiche dei barattoli nei quali riporre gli elateridi catturati e le modalità di preparazione, documentazione e conservazione successivi si rimanda alla documentazione specializzata. 29 25 Fig. 8 - Anostirus purpureus che “passeggia” sulle foglie di un albero. Foto Stanislav Krejčik. Anche gli elateridi più colorati, come gli Ampedus e gli Anostirus si troveranno solo raramente con la ricerca a vista. Questa tecnica sarà più proficua per le specie infeudate a prati e coltivi. I maschi di queste (appartenenti ai generi Cidnopus, Agriotes, alcuni Melanotus, Adrastus, Synaptus ecc.) quando il clima è favorevole risalgono sugli steli delle erbe e giunti in cima aprono le antenne rimanendo in attesa di poter individuare le femmine. Traguardando quindi le cime di queste ultime sarà possibile, nelle giornate adatte, individuare un grande numero di esemplari. Ombrello entomologico Più proficuo sarà l’utilizzo dell’ombrello entomologico. Questo è un particolare ti- Fig. 9 - Maschio di Agrypnus murinus nella caratteristica posizione in cima agli steli delle erbe dei prati. Foto dell’autore. 26 po di ombrello reperibile presso pochi produttori e commercianti specializzati che ha il grande pregio di essere smontabile. Comunque un normale ombrello di cotone, possibilmente di colore uniforme bianco o panna, potrà servire alla bisogna. Individuato un ramo frondoso in posizione opportuna (che l’esperienza suggerirà rapidamente essere la migliore), occorrerà avvicinarvisi rapidamente (avendo cura di non proiettarvi la propria ombra) e percuoterlo ripetutamente con un lungo e solido bastone, dando colpi forti e veloci. Gli elateridi, assieme ad altri insetti presenti nello stesso ambiente, cadranno nell’ombrello, posto preventivamente rovesciato ad di sotto del ramo. E’ sempre un’esperienza sorprendente trovare nell’ombrello decine di esemplari che non erano stati reperiti con un’accurata esplorazione visiva. Un consiglio pratico: per questo tipo di ricerca sarà più prudente indossare occhiali chiusi anche lateralmente (tipo quelli da officina) per evitare che polvere e insetti si posino sui nostri occhi facendoci rischiare congiuntiviti o peggio. Legno morto La conservazione sul posto di alberi o di rami abbattuti dal vento, morti in piedi, o di rami è fondamentale per la biodiversità del bosco. Da molti anni nel Parco La Mandria, luogo votato dalla Regione Piemonte alla conservazione della biodiversità, il legno morto viene lasciato in sito, creando l’ambiente ideale per il lento recupero di specie che si erano molto rarefatte con le pratiche commerciali di silvicoltura dei precedenti proprietari. La rinaturalizzazione di un’area così vasta di bosco, radure, siepi e prati consentirà sicuramente in futuro anche la ripopolazione naturale di specie provenienti dall’esterno: non bisogna dimenticare che il Parco, pur se contornato da aree pesantemente antropizzate, è situato in prossimità dei rilievi prealpini. Fig. 10 - Legno morto in uno dei boschi presso la Cascina La Peppinella. Foto dell’autore. Fig. 11 - Esemplare di Ampedus cardinalis che fuoriesce dalla propria loggetta. Foto Christian Segreto. La ricerca di elateridi infeudati al legno morto sarà proficua se effettuata nel periodo che va dalle piogge autunnali al mese di marzo (ad esclusione dei mesi più freddi). Come ho scritto a riguardo del ciclo biologico degli elateridi, gli adulti normalmente sfarfallano in autunno e, successivamente, rimangono nelle loro loggette fino a quando inizieranno la loro diffusione per la riproduzione. Quindi la ricerca nel legno morto, da effettuarsi con zappette adatte a scavare il legno, peraltro piuttosto ammorbidito dall’umidità, sarà molto più proficua nelle stagioni indicate in quanto successivamente nel legno morto sarà possibile reperire solo larve. Spesso in un ramo o ceppo di legno morto si raggruppano parecchi adulti per cui sarà possibile prelevare uno o due esemplari per la preparazione e determinazione al binoculare da effettuarsi con l’aiuto del Quaderno. E’ sempre calorosamente raccomandato di lasciare più esemplari possibile in loco ed evitare inutili stragi collezionistiche. Il luogo di raccolta, accuratamente annotato, potrà quindi essere utilizzato negli anni successivi per il monitoraggio della specie, in quanto spesso è possibile reperirne esemplari anno dopo anno nell’arco di pochi metri. Anche nei mesi di gelo sarà possibile effettuare ricerche nel legno morto: si individueranno gli adulti nelle loro loggette e, talvolta, soprattutto nel caso di rami e tronchi di pochi centimetri di diametro, avvolti in brina ghiacciata. Cavità degli alberi Alcune specie di elateridi sono reperibili esclusivamente nelle cavità di varie essenze, come querce, salici, olmi (che però alla Mandria sono pressoché estinti), conifere. In linea generale sarà possibile trovare nelle cavità alte dei tronchi e dei grossi rami specie diverse da quelle presenti nelle cavità prossime al suolo o poste ai piedi della pianta e che continuano nel sottosuolo30. Alla Mandria nelle cavità alte si possono reperire soprattutto esemplari (e larve) di Elater ferrugineus, mentre la varietà di specie nelle cavità prossime al suolo è più elevata (Ampedus, Melanotus, Cardiophorus). Per una descrizione delle cavità degli alberi vedere Leseigneur (1972). Vi è anche citata la Bibliografia relativa all’argomento. 30 27 a Fig. 12 - L’autore alla ricerca di larve di elateridi alla fine dell’inverno nella cavità alta di una quercia. Foto Christian Segreto. Fig. 13 - Cavità alta in un salice di Prato Tori. Foto dell’autore. Mentre le larve vivono costantemente nella rosura costituita da segatura e terriccio delle cavità per tutto l’anno, gli adulti, non appena la stagione avanza, ne fuoriescono e sarà possibile reperirli solo sulle erbe, foglie e cortecce dello stesso albero o nelle sue immediate vicinanze. La ricerca di elateridi (sia adulti sia larve) nella rosura delle cavità è effettuata a vista. Il materiale deve essere estratto con grande attenzione e posto su un telo impermeabile per essere successivamente setacciato con setaccio a maglie larghe (circa 1 cm). Occorrerà stare attenti a esemplari Fig. 14 - A sinistra: tronco cavo di salice con il tassello scavato nella corteccia in posizione. A destra: cavità di un analogo albero comunicante con l’esterno allargata per una migliore prospezione. Al termine dell’ispezione il tassello sarà riposto per preservare l’umidità ambientale della cavità. Foto dell’autore. 28 adulti che tentano di involare e catturarli per la loro identificazione visiva. Prelevati gli esemplari (il minor numero possibile!) necessari allo studio, la rosura dovrà essere accuratamente riposta nella cavità e l’ambiente per quanto possibile ricostituito. Questo, oltre a preservare la presenza delle specie, faciliterà l’eventuale monitoraggio negli anni successivi. Spesso i tronchi degli alberi (anche vivi) 1 cavitati nell’interno ma la cavità non sono è raggiungibile dall’esterno, o lo è soltanto dall’alto. In questo caso sarà opportuno tassellare la corteccia creando una finestra dalla quale estrarre la rosura per l’ispezione (fig. 14). E’ importante che, terminata la ricerca e riposta la rosura nella cavità, lo “sportello” sia riposto in sede per preservare il particolare microclima della cavità. Nel caso di cavità che comunichino 3 con l’esterno ma che sono troppo strette per il monitoraggio sarà opportuno allargarle (fig. 14) creando tasselli da riporre, anche in questo caso, nella loro sede. Sfalcio con retino La ricerca di elateridi adulti che si arrampicano su erbe e arbusti di prati, coltivi e siepi può essere assai efficacemente effettuata con il retino da sfalcio. Questo è un attrezzo simile, ma più robusto, a quello che si utilizza per la cattura dei Lepidotteri (le farfalle). Sono particolarmente fruttuose le ricerche effettuate su erbe ai bordi dei prati e di sentieri e radure. Come accade con l’ombrello entomologico è sempre sorprendente, dopo un’accurata ricerca a vista di elateridi, scoprire che lo sfalcio con il retino permette di reperire ancora moltissimi esemplari. Con questa tecnica sarà possibile catturare sopratutto esemplari appartenenti ai generi Adrastus, Synaptus, Agriotes e Melanotus. Lo sfalcio di erbe e fiori ai margini di radure e sentieri potrà anche portare al- Fig. 15 - Dopo lo sfalcio di erbe e arbusti ai margini di un sentiero del Parco (Cuminetti) si esamina il sacco del retino per verificare i ritrovamenti. Foto dell’autore. la piacevole scoperta di rari esemplari di Denticollis, Anostirus e Ampedus che normalmente non frequentano i prati ma che riposano momentaneamente sulle erbe durante i loro spostamenti in volo. Una volta effettuato lo sfalcio occorrerà chiudere superiormente con una mano il 4 sacco del retino per impedire la fuga in volo degli esemplari così catturati. Le giornate migliori per utilizzare questa tecnica di ricerca sono le stesse che ho descritto parlando della caccia a vista. Grande retino montato sul tetto dell’automobile Molte specie di coleotteri, e tra queste anche alcuni elateridi, volano all’imbrunire, per5posarsi poi all’inizio della notte. Questo avviene però soltanto nelle calde serate estive dalla metà/fine di giugno (ovviamente, a seconda delle condizioni climatiche dell’anno). Prerequisiti indispensabili, al solito, sono l’assenza di vento e pioggia. Una certa umidità nell’aria è invece preferita dagli insetti che tendono a non volare nelle serate molto secche. Ovviamente non sarà facile vedere e catturare esemplari in volo al buio. Anche l’ausilio di una pila sarà poco utile. Una tecnica che dà risultati apprezzabili e che con gli amici Guardiaparco Christian e Paolo abbiamo ampiamente utilizzato alla 29 tuto reperire grandi quantità di Betarmon bisbismaculatus e alcuni Elater ferrugineus, Melanotus sp., Athous sp. e, percorrendo la strada che corre parallelamente a 10-20 m alla riva del torrente Ceronda, alcuni Zorochrus sp. Fig. 16 - Una delle Panda 4X4 dei Guardiaparco sul tetto della quale è stato installato un grande retino appositamente costruito. Foto Christian Segreto. Mandria, è quella dell’utilizzo di una struttura a cono (da noi definita poco fantasiosamente “il retinone”) avvolta da una fitta reticella di nylon. Il tutto (come si vede nella fotografia della fig. 16) è stato costruito e montato sul portapacchi di una delle Panda dei Guardiaparco (grazie alla grande capacità da “bricoleur” di Paolo). Ovviamente l’apertura anteriore del cono, che serve a catturare insetti volanti è rivolta anteriormente al mezzo. La parte posteriore del cono termina con un barattolo di plastica di medie dimensioni, contenente acqua. Gli insetti (ma in un caso abbiamo anche catturato un pipistrello, immediatamente liberato da Christian!) sono convogliati dalla struttura a cono del retino e cadono in gran parte nel barattolo. Per molte serate, dal crepuscolo a notte fonda, ci siamo aggirati a 30 Km all’ora per le strade del Parco, arrestandoci ogni poco per precipitarci a osservare quanto catturato. Con questo metodo, nelle solite serate “giuste” dell’estate31, si cattura un gran numero di insetti che si ha l’opportunità di liberare dopo una loro accurata analisi. Con questa tecnica di ricerca abbiamo po- Ricerche al lume Negli stessi orari adatti alle ricerche con il retinone abbiamo ottenuto qualche risultato anche con la lampada a raggi ultravioletti. Abbiamo disteso un lenzuolo bianco tra pali posti verticalmente nella località da monitorare, anteriormente al quale abbiamo collocato una lampada U.V. alimentata a batteria. Molti esemplari di alcune specie (con fototropismo positivo a queste lunghezze d’onda) sono attirati dalla luce artificiale e si posano sul telo bianco, dove possono essere identificati ed eventualmente catturati. Occorre essere molto attenti alle fasi lunari: il chiarore diffuso della luna piena, riducendo il buio a una tenue luminosità, rende inefficace il potere di attrazione della lampada diminuendo drasticamente la quantità di esemplari attirati dalla trappola. Nel territorio del Parco questo metodo di ricerca è stato particolarmente proficuo nella stazione predisposta ai margini del Viale dei Roveri, dove la presenza di querce secolari cariate favorisce significativamente la biodiversità e dove moltissimi coleotteri xilofagi e corticicoli sono attirati dal lume. Per quanto riguarda gli elateridi, con questo metodo abbiamo reperito una fauna analoga a quella individuata con il retinone, inclusa una grande quantità di coleotteri scarabeidi ster- L’estate del 2007, climaticamente estrema, non ha portato, invece frutti: le molte serate passate a girare con la Panda attrezzata con il retinone non hanno fornito che una minima parte degli insetti che normalmente si reperiscono con questa tecnica di ricerca, e nessun elateride. La stessa cosa, come vedremo, è avvenuta con le ricerche al lume. corari, e, sorprendentemente, Coleotteri Idrofilidi. Fig. 17 - La trappola a U.V. predisposta presso la Lanca Ferloc in attesa del crepuscolo per l’attivazione. Foto dell’autore. Fig. 18 - Una suggestiva visione notturna della trappola a U.V. nella notte. Foto dell’autore. Trappole a intercettazione Un altro metodo di monitoraggio degli elateridi e di numerosi altri coleotteri appartenenti alle famiglie infeudate agli alberi, è l’utilizzo di trappole ad intercettazione (figg. 19 e 20). Queste sono costruite con due fogli di plexiglass trasparente montati a croce e fissati superiormente da un coperchio di plastica che serve anche a trattenere i cavetti per la sospensione della trappola. Inferiormente è attaccato al plexiglass un imbuto il cui becco termina con un barattolo nel quale viene inserita una miscela di acqua e alcol. Le trappole ad intercettazione sono in genere issate a rami dell’albero in esame. Per la ricerca di specie che sono abituate a volare ad altezza diverse (per esempio solo a livello delle chiome) si possono issare su uno stesso albero due o tre trappole, poste a diverse altezze. Gli insetti volatori incontrano il plexi- 31 30 Fig. 19 - Christian Segreto e l’autore alle prese con una trappola ad intercettazione (costruita ed “ingegnerizzata” da Paolo De Bernardi) posta su un salice adiacente a Prato Pascolo. Foto dell’autore. 31 Fig. 20 - Christian Segreto mentre issa una trappola a intercettazione su una delle grandi querce di Viale dei Roveri. glass (che sembra essere loro poco visibile) e accompagnati dall’imbuto, cadono nel liquido del barattolo annegandovi. Ogni due/tre giorni i barattoli saranno svuotati e si ricaveranno da essi molti interessanti esemplari. Ricerca ai margini dei torrenti Le specie di elateridi infeudati alle acque correnti (Zorochrus, Negastrius, Oedosthetus, Paracardiophorus) si reperiscono dalla primavera all’autunno sotto alle pietre depositate dalle acque di fiumi e torrenti. Il substrato deve essere sabbioso per permettere a larve e adulti di muoversi liberamente all’interno del terreno. Il periodo di maggior successo nelle ricerche di queste specie è comunque l’estate, quando gli adulti sono attivi e a sera volano alla ricerca dell’altro sesso per ri32 Fig. 21 - Esemplare di Zorochrus su un ciottolo di un torrente. Foto Stanislav Krejčik. Fig. 22 - Allevamenti realizzati inserendo tranci di legno morto in scatole di cartone ermeticamente chiuse. Foto dell’autore. prodursi. L’indagine a vista sulle rive di un torrente, è spesso però poco fruttuosa. Il monitoraggio si effettua quindi con una tecnica particolarmente adatta all’ambiente. Identificata un’area di circa un metro quadrato che l’esperienza ci avrà insegnato essere interessante, si procederà allagandola con acqua del torrente raccolta in un capiente e robusto sacco di nylon. Gli insetti che vivono nel substrato, e tra questi gli elateridi, per non annegare inizieranno dopo circa un minuto a fuoriuscire precipitosamente e sarà possibile osservarli e catturarne il piccolo numero necessario per l’identificazione delle specie. In genere questi elateridi ripicoli (a parte i Paracardiophorus che sono lunghi poco meno di un centimetro) sono di dimensioni ridotte e quindi la ricerca dovrà essere effettuata con molta attenzione, perché alcuni esemplari saranno poco visibili. Una particolare cura dovrà essere dedicata alla ricerca sulla parte inferiore dei ciottoli di dimensione medio/piccola bagnati dall’acqua da noi versata e sui quali numerosi esemplari si rifugiano senza così uscire allo scoperto. no presenti (esclusivamente o casualmente) nel legno morto (come Ampedus, Melanotus e Denticollis) può essere effettuata prelevando tranci di legno dalle località nelle quali sospettiamo presenti gli elateridi e inserendoli, dopo averli preventivamente un po’ inumiditi32, in scatoloni di cartone chiusi con nastro di plastica. Questo consente di trattenere all’interno della scatola gli elateridi (e altri insetti) quando sfarfallano. L’ambiente dovrà essere mantenuto moderatamente umido aprendo periodicamente le scatole e spruzzando poca acqua. A ogni scatolone saranno avvitate (vedere la fig. 22) un paio di bottiglie di plastica trasparente da 0,33 litri. Il tappo, opportunamente aperto superiormente con il taglierino, sarà stato incollato solidamente alla parete dello scatolone tramite colla al silicone e permetterà di avvitare/svitare agevolmente le bottiglie. Gli scatoloni dovranno essere conservati in un ambiente fresco (per esempio una cantina, ma non troppo umida). Gli insetti, una volta sfarfallati, tendono a fuoriuscire dal legno non appena le condizioni ambientali lo consentono e ad infilarsi nelle bottiglie, unica sorgente di luce esterna, dove resteranno intrappolati. Allevamenti Talvolta la ricerca di alcune specie che so- 32 Il monitoraggio frequente delle bottiglie consentirà di prelevare alcuni esemplari per i nostri studi e di liberare nel Parco gli altri. Fig. 23 - Trancio di tronco cavo messo in allevamento. Foto dell’autore. Ma non troppo, per evitare il proliferare di muffe e funghi. 33 PARTE SECONDA La determinazione delle larve Morfologia33 Darò di seguito una succinta descrizione delle larve degli Elateridae. Per un approfondimento puntuale è consigliabile la lettura di Rudolph (1974). Le larve degli Elateridae sono allungate, sub cilindriche, generalmente sclerificate, di colore giallo o giallo-bruno, talvolta biancastre. Nell’ambiente del Parco La Mandria possono essere confuse soltanto con le larve di alcune specie di Tenebrionidae, distinguibili, però, a prima vista per l’assenza della placca sclerotizzata detta “epistoma” (fig. 25). Il corpo (fig. 24) è chiaramente suddiviso in segmenti. Iniziando dalla testa (C), si collocano tre segmenti toracici (T1, T2, T3) e dieci segmenti addominali (A1-A10). Il segmento A 10, o segmento anale, forma uno pseudopodo ventrale (fig. 24-2), non visibile osservando la larva dall’alto. Il segmento A 9 (ultimo visibile dall’alto), talvolta è fornito di una o più spine apicali. La testa (fig. 25), legata al protorace da una membrana, è mobile. Dorsalmente l’epistoma (Eps) forma, nel mezzo del bordo anteriore, una piccola protuberanza angolosa, il “nasale” (N), la forma del quale è un importante carattere per la determinazione delle larve adulte. Le larve di Elateridae non hanno il labbro. Le antenne (A) sono corte, poste sul davanti della testa, verso la base delle mandibole; sono generalmente composte da due articoli prolungati da due appendici una al di sopra dell’altra. Le mandibole (M) sono robuste, più o meno dentate sul bordo interno. L’insieme maxillo-labiale comprende, da entrambe le parti del mentum e del submentum che sono saldati tra loro, un cardo molto piccolo e uno stipe più grande; quest’ultimo porta, al bordo anteriore, un palpo mascellare, una galea e una lacinia, talvolta difficilmente distinguibile. Anteriormente al mento si trova il labium, con due palpi labiali. Le zampe sono corte e molto robuste. La scultura e la pelosità dei differenti segmenti 34 Terminologia adottata da Rudolph (1974) Fig. 25 - Testa delle larve di Agriotes obscurus (Linnaeus, 1758). Epc, epicranium; A, antenne; M, mandibole; N, nasale; Scl, sclerite mandibolare; Eps, epistoma; F, frons; Sf, sutura frontale; Sep, sutura epicraniale. Leseigneur (1972). o delle appendici forniscono dei buoni caratteri per la determinazione. Chiavi dicotomiche per la determinazione delle larve de La Mandria (Da Rudolph, 1974 modificato). Fig. 24 - (1), Habitus delle larve di Agriotes lineatus (Linnaeus, 1767); (2) dettaglio del segmento anale delle larve della stessa specie; (3) habitus delle larve di Cardiophorus sp. Elaborazione grafica dell’autore da Leseigneur (1972). Il contenuto di questo capitolo è tratto in larga parte da Leseigneur (1972). Alcune delle notizie riportate sono già state date altrove. La loro ripetizione è però essenziale per la completezza di questa parte del Quaderno. 33 te utilizzata come base di lavoro per le pagine che seguono, nelle quali sono inseriti soltanto i generi certamente rappresentati nel territorio del Parco e altri possibili34. Essendo il lavoro relativo alle larve di Rudolph, datato, la classificazione da lui seguita allora non è più stata aggiornata da autori europei successivi35. Obiettivo di queste tavole dicotomiche è di fornire a chi intraprende lo studio delle larve di Elateridae una guida alla determinazione fino al livello di genere. Per riconoscere le specie, se necessario, sarà opportuno rifarsi alla letteratura specializzata. Di particolare utilità per la nostra fauna planiziale, sono i lavori in lingua madre dell’entomologo russo Vladimir Gdalich Dolin, pubblicati a cavallo tra gli anni 70-80 del secolo scorso e rintracciabili presso le biblioteche meglio rifornite dei Musei di Scienze Naturali. Fonte comunque insostituibile, anche se scritta in tedesco, è la già citata pubblicazione di Rudolph (1974), ampiamen- acd ar as cd cl cn co cqs dpla epi epist fcx fem fr ga hyst ipr isc la lan lct lig lim lcim lp alocardo uncini anali setae apicale dei tibio-tarsus cardo clypeus cavità caudale condyle della mandibola sutura trasversale del clipeo Disco del segmento caudale epimeron episternite cavità coxale femore frons galea hyposternite ramo interno degli urogomfi interncutum lacinia lobus analis setola laterale del clipeo ligula impressione laterale del segmento caudale impressione longitudinale del mesotergite palpo labiale In alcuni casi sono inserite sottofamiglie o generi non rappresentati ma lasciati per non modificare eccessivamente le tavole dicotomiche originali. 35 Questo significa una differenza tra la classificazione supragenerica delle larve e degli adulti di questo Quaderno. Considerato lo scopo, cioè la determinazione del genere per le larve e della specie per gli adulti, questa differenza è ininfluente. D’altronde la revisione e l’aggiornamento della classificazione supragenerica delle larve costituisce un lavoro che auspico sarà effettuato al più presto ma esula totalmente dagli scopi di questa guida. 34 35 ls ltg lto mag mst mtg mto mxp n nab nal opr pato pen pim pl pnl pmt prmt prsc setae laterale dei tibio-tarsus tergite laterale dente laterale del segmento caudale cavità mediana del segmento caudale mesosternite mesotergite dente mediano del segmento caudale palpo mascellare nasale setola nasobasale setola nasolaterale ramo esterno degli urogomfi dente preapicale della mandibola penicillus Impressione paramediana del segmento caudale pleurite paranasallobum postmentum praementum Praescutum prst psc ret sap sc sf sim Prosterno Postacutum retinaculum papilla sensoriale delle antenne scutum seta fossori striature dell’impressione muscolare del tergite sloim impressione longitudinale sublaterale del tergite sp stigma st sternite stp stipes tal talus tg tergite tita tibio-tarsus to denti laterali del segmento caudale tr trocantere trim impressione trasversale del mesotergite tub tubercolo un ungula ur urogomfi 3. Bordo interno della mandibola senza un grosso dente ...... Agrypninae Fleutiaux, 1919 Bordo interno della mandibola semplicemente seghettato...Conoderinae Fleutiaux, 1919 4. Galea (ga) ad un solo segmento (fig. 28 b). Frons (fr) a forma di V (fig. 33 a). Urogomfi semplici, non biforcati (fig. 26 a-c) ………..….. Negastriinae Nakane, 1983 Galea (ga) a due segmenti (fig. 28 a e c). Frons (fr) a forma di brocca (fig. 36 c). Urogomfi biforcati (fig. 26 d-g) ……………………….....….....………………..…... 5 5. Prosternite (prst) del protorace suddiviso in 3 scleriti (fig. 29 a)..................................... .....……………………………………………………….. Ctenicerinae Fleutiaux, 1936 Prosternite (prst) del protorace non diviso (fig. 29 d) …………...........……………... 6 6. Impressione trasversale dei segmenti addominali 2-8 chiusa. Stigmi degli 8 segmenti Chiave dicotomica delle sottofamiglie36 Dolin (1974) modificato. La larva di una specie comunissima alla Mandria, il Betarmon bisbismaculatus (Fabricius, 1803) è sconosciuta. Di altre non incluse in Rudolph (1974), ho inserito i disegni dei loro particolari anatomici tratti da Dolin (1978) e Dolin et Atamuradov (1994). 1. Segmento caudale con un’intaccatura sull’apice. L’intaccatura termina in due denti (fig. 26 a-c) o con urogomfi (fig. 26 d-g) ……….........…......…………………….........…...2 Segmento caudale senza intaccature. Termina con una punta (fig. 31 c-h) o è smussato (fig. 31 a-b) .…………………………………………………………….………..….…7 2. Postmentum (pmt) lungamente triangolare, lo stipes (stp) della mascella raggiunge la base (fig. 28 c). Bordo interno della mandibola senza grossi denti, liscio o seghettato (figg. 28 d e 27 d) ……………………...…….............................................................. 3 Postmentum (pmt) lungamente da trapezoidale a rettangolare; lo stipes (stp) della mascella non raggiunge la base (fig. 28 a-b). Bordo interno della mandibola con un dente (ret) (fig. 28 e) ..................................................................................................... 4 Nella illustrazioni delle chiavi dicotomiche delle larve sono inserite, dopo l’elaborazione al computer, accanto ai disegni le numerazioni (“Abb xxx”) di Rudolph (1974) per consentire, a chi lo desiderasse, di risalire al lavoro originale. 36 36 Fig. 26 - Segmento caudale (in visione dorsale) della larva di: a, Negastrius pulchellus (Linnaeus, 1758); b, Oedostethus quadripustulatus (Fabricius, 1792); c, di Zorochrus dermestoides37(Herbst, 1806); d, Denticollis linearis (Linnaeus, 1758); e, Cidnopus pilosus (Leske, 1785); f, Athous vittatus (Fabricius, 1792); g, Agrypnus murinus (Linnaeus, 1758). Tutte le figure seguenti relative alla morfologia larvale, salvo diversa indicazione, sono ricavate rielaborando quelle di Rudolph (1974). 37 Platia, 1994 cita questa specie come Zorochrus minimus (Lacordaire, 1835). 37 addominali situati nel mezzo (fig. 29 c). Rami esterni degli urogomfi molto lunghi, significativamente più lunghi che gli interni (fig. 26 d) .................................................. ...................................................................................... Denticollinae Schenkling, 1927 Impressione trasversale dei tergiti addominali interrotta sulla mezzeria. Gli stigmi degli 8 segmenti addominali situati sul primo terzo (fig. 29 f). Ramo esterno degli urogomfi più corto o non molto più lungo che gli interni (fig. 26 e-f) ............................................ ................................................................................................ Athoinae38 Schaufuss, 1911 Larve uniformemente e fortemente chitinizzate …………...........………………..… 8 7. Segmenti addominali (sterniti) 1-7 ri-suddivisi da due restringimenti trasversali. Corpo cilindrico, vermiforme, bianco, molto allungato (fig. 30) ...................................... ...................................................................................... Cardiophorinae Candéze, 1860 Segmenti addominali (sterniti) 1-7 non suddivisi da due restringimenti trasversali. Fig. 29 - a, protorace in visione ventrale delle larve della sottofamiglia Ctenicerinae; b, segmento addominale (in visione ventrale) delle larve della stessa sottofamiglia; c, Segmento addominale (in visione ventrale) delle larve di Denticollis linearis (Linnaeus, 1758); Segmento addominale d (in visione ventrale), e (in visione laterale) delle larve della sottofamiglia Athoinae. f, segmento addominale (in visione laterale) delle larve di Athous haemorrhoidalis (Fabricius, 1801). Fig. 27 - Disegni di particolari anatomici della larva di Drasterius bimaculatus (Rossi, 1790). In alto, testa: a, vista superiore; b, vista inferiore. In basso: c, segmento caudale; d, mandibola. Disegni da Dolin (1994) elaborati dall’autore. 8. Segmento caudale a forma di parabola, con l’apice arrotondato (fig. 31 a), con linea centrale fine, che continua sulla parte ventrale dei segmenti caudali. Sterniti dei segmenti caudali molto piccoli (fig. 31 b) ……......……....................... Elaterinae Fleutiaux 1936 Segmento caudale con apice non arrotondato ma con una spina (fig. 31 c), dente (fig. 31 f) o verruca (fig. 31 d). Lo sternite del segmento caudale prende almeno un terzo della superficie ventrale del primo segmento (fig. 31 c). Segmento caudale senza linea mediana .................................................................................................................……..….…... 9 9. Segmento caudale ad apice tridentato (fig. 31 f-h). Dei tre denti talvolta si vede chiara mente solo il mediano (fig. 31 f). Sterniti dei segmenti addominali 2-8 con una carena convessa (fig. 32 a) nel terzo basale .............................. Melanotinae Schenkling, 1927 Segmento caudale conico o cilindrico, con un dente o con una verruca all’apice. Sternite addominale senza carena convessa nella parte basale (fig. 32 b) ….......…………... 10 10. Sutura epicraniale ridotta, è presente la sola sutura frontale. Mesotergite dei segmenti addominali solo con setole laterali spaiate (fig. 32 c) ………......……………...…. 11 Sutura epicraniale ben sviluppata. Mesotergite dei segmenti addominali con almeno tre setole laterali (talvolta appaiate) al bordo posteriore (fig. 32 e)................…….. 12 Fig. 28 - Forma delle parti boccali (in visione ventrale) delle larve delle sottofamiglie: a, Ctenicerinae; b, Negastriinae; c, Agrypninae. Mandibola sinistra (in visione dorsale) delle larve delle sottofamiglie: d, Agrypninae; e, Athoinae. Platia (1994) utilizza una diversa classificazione sopragenerica di Denticollinae e Athoinae. Ai fini della determinazione delle larve (e degli adulti) degli elateridi del Parco queste differenze sono ininfluenti e per non generare confusioni ho utilizzato quella adottata da Rudolph (1974). 38 38 Fig. 30 - Habitus (in visione dorsale) di una larva della sottofamiglia Cardiophorinae. Si noti la forma completamente diversa da quella delle larve appartenenti alle altre sottofamiglie di Elateridae. 39 11. Tergiti robustamente e fittamente punteggiati (fig. 32 h-l) …........................................ .......................................................................................... Ampedinae Fleutiaux, 1947 Tergiti leggermente e sparsamente punteggiati. Questa sottofamiglia non risulta presente in Piemonte ……………………….….......... Physorrhininae Fleutiaux, 1919 A entrambi i lati del nasale sono presenti 6-8 setole che formano uno spazzolino (fig. 34 c ed e) …………….………………………………………………………………...... 2 12. Zona di transizione tra la frons (fr) e il clipeo significativamente più larga che la larghezza totale del nasale (fig. 33 c) ....…………...…......…. Agriotinae Fleutiaux, 1939 Zona di transizione tra la frons (fr) e il clipeo più stretta della traversa del nasale (fig. 33 f)..............…………...………………………...…. Adrastinae Fleutiaux, 1940 AGRYPNINAE 1. Frons largamente arrotondata e dilatata all’apice (fig. 34 a). Disco del segmento caudale increspato. Intaccatura del segmento caudale carenata (fig. 26 g) …………………… ……………....................................................................... Agrypnus Eschscholtz, 1829 Frons nel terzo apicale decisamente ristretta, non arrotondata (fig. 34 b). Disco del segmento caudale non increspato. Intaccatura del segmento caudale arrotondata alla base (fig. 35 a) ………........................................................ Danosoma C.G. Thomson, 1859 Fig. 32 - Segmento addominale (in visione ventrale) delle larve rispettivamente di: a, Melanotus rufipes (Herbst, 1784); b, Brachygonus megerlei (Lacordaire, 1835). Tergite del 4° segmento addominale delle larve di: c, Ampedus praestus (Fabricius, 1792); d, Denticollis linearis (Linnaeus, 1758); e, Agriotes sputator (Linnaeus, 1758); f, Dalopius marginatus (Linnaeus, 1758); g, di Synaptus filiformis (Fabricius, 1781); h, Ampedus nigerrimus (Lacordaire, 1835); i, 4° segmento addominale (in visione laterale) delle larve di Ischnodes sanguinicollis (Panzer, 1793); l, tergite del 4° segmento addominale delle larve di Megapenthes lugens (Redtenbacher, 1842). Fig. 31 - Segmento caudale delle larve di Elater ferrugineus Linnaeus, 1758: a, visione dorsale; b, visione laterale. c, segmento caudale (in visione ventrale) delle larve di Ampedus nigerrimus (Lacordaire, 1835); d, idem di Ectinus aterrimus (Linnaeus, 1761). Segmento caudale (in visione dorsale) delle larve di: e, Ampedus praestus (Fabricius, 1792); f, Melanotus rufipes39 (Herbst, 1784); g, Melanotus niger40 (Fabricius, 1792); h, Melanotus brunnipes (Germar, 1824). CTENICERINAE 1. A entrambi i lati del nasale sono presenti solo setole sparse, quindi non è visibile uno spazzolino …………….....………...………………………. Calambus Thomson, 1864 39 40 Secondo Platia (1994), Melanotus villosus (Geoffroy in Fourcroy, 1785). Ibidem, Melanotus punctolineatus (Pelerin, 1829). 40 Fig. 33 - Frontoclipeo (in visione dorsale) delle larve rispettivamente delle specie: a, Negastrius pulchellus (Linnaeus, 1758); b, Ctemicera cuprea (Fabricius, 1775); c, Agriotes ustulatus (Schaller, 1783); d, Agriotes lineatus (Linnaeus, 1767); e, Synaptus filiformis (Fabricius, 1781); f, Adrastus limbatus (Fabricius, 1776). 41 2. Parte distale del secondo articolo antennale con 3-5 papille sensoriali (sap; fig. 36 b). Frons (fr) poco ristretta anteriormente, leggermente appiattita alla base (fig. 34 c) …………………………………..…………………………. Prosternon Latreille, 1934 Parte distale del secondo articolo antennale con solo 1 papilla sensoriale (fig. 36 a). Frons (fr) visibilmente arrotondata alla base (fig. 34 e) ................................................... ....................................................................................... Anostirus C.G. Thomson, 1859 ATHOINAE 1. Ramo esterno degli urogomfi cilindrico, con l’apice arrotondato (fig. 35 b). Qui si collocano i generi Harminius, Diacanthous e Stenagostus, non presenti a La Mandria. Ramo esterno degli urogomfi conico, a forma di unghia o con un’unghia all’apice (fig. 35 c) ........................................................................................................................2 2. Ramo interno degli urogomfi molto potente (forte), 2 volte più lungo e molto più largo che l’esterno. Quest’ultimo talvolta rappresentato solo da una piccola verruca (fig. 35 c) ………........................................................................................................................... 3 Ramo esterno degli urogomfi ben formato. Lungo come o persino un po’ più lungo dell’interno, a forma d’artiglio (fig. 35 d) ..........................................……….………. 4 Fig. 34 - Frontoclipeale (in visione dorsale) delle larve di: a, Agrypnus murinus (Linnaeus, 1758); b, Danosoma fasciata (Linnaeus, 1758); c, Prosternon tessellatum (Linnaeus, 1758); d, Selatosomus cruciatus (Linnaeus, 1758); e, Anostirus castaneus (Linnaeus, 1758); f, Ampedus nigrinus (Herbst, 1784); g, Procraerus tibialis (Lacordaire, 1835). Fig. 36 - Antenna destra (in visione dorsale) delle larve rispettivamente di: a, Anostirus purpureus (Poda, 1761); b, Prosternon tessellatum (Linnaeus, 1758). c, Mandibola sinistra (in visione dorsale) delle larve di Limonius aeneoniger (De Geer, 1774). 3. Mandibole con un dente aggiunto all’apice (fig. 36 c) ....... Limonius Eschscholtz, 1829 Mandibole senza dente aggiunto all’apice …….....…... Cidnopus C.G. Thomson, 1859 4. Intaccatura del segmento addominale piccola, quasi chiusa, diametro dell’intaccatura meno larga che gli urogomfi (fig. 35 e). Qui si collocano le larve del genere Limoniscus Reitter, 1905 non rappresentato in Italia. Intaccatura del segmento addominale grande e aperta (fig. 35 f) o piccola ma posteriormente ristretta, comunque non più stretta che la larghezza degli urogomfi (fig. 35 d) .... ................................................................................................ Athous Eschscholtz, 1829 DENTICOLLINAE Una sola specie rappresenta questa sottofamiglia alla Mandria, Denticollis linearis (Linnaeus, 1758). Le larve appartenenti a questa specie sono identificabili, quindi, con la chiave dicotomica relativa alle sottofamiglie. Fig. 35 - Segmento caudale (in visione dorsale) delle larve di: a, Danosoma fasciata (Linnaeus, 1758); b, Harminius undulatus41 (De Geer, 1774); c, Cidnopus aeruginosus (Olivier, 1790); d, Athous haemorrhoidalis (Fabricius, 1801); e, Limoniscus violaceus (P.W. Müller, 1843); f, Athous hirtus (Herbst, 1784); g, Zorochrus dermestoides (Herbst, 1806); h, Fleutiaxellus maritimus (Curtis, 1840). 41 NEGASTRIINAE La chiave dicotomica dei Negastriinae è stata modificata per includere il genere Oedostethus Le Conte, 1853. Specie attualmente inserita nel genere Diacanthous (cfr. Platia, 1994, pag. 175). 42 43 1. Urogomfi a forma di tenaglie; intaglio del segmento caudale quasi chiuso posteriormente (fig. 26 b) ……………………..........…………………. Oedostethus Le Conte, 1853 Intaglio del segmento caudale tra gli urogomfi tutt’al più ristretto di un terzo (figg. 26 a ed c) ........................................................................................................................................................2 2. Nasale tridentato. I denti laterali visibilmente più grandi che quello centrale (fig. 33 a) …...……................…………………………..................…. Negastrius Thomson, 1859 Nasale tridentato. I tre denti della stessa dimensione, talvolta il dente mediano è più grande …………………………………...………..……..… Zorochrus Thomson, 1859 Assieme a Zorochrus è inserito Fleutiaxellus maritimus (Curtis, 1840), l’unica specie di quel genere presente in Italia (le altre due appartengono ora a Oedostethus). MELANOTINAE La sottofamiglia è rappresentata nel territorio del Parco solo da specie appartenenti al genere Melanotus Eschscholtz, 1829. ADRASTINAE 1. Segmento caudale con vistosa rugosità trasversale in prossimità dell’apice (fig. 37 i). Rimanenti tergiti longitudinalmente increspati. Mandibole con un dente supplementare sulla parte superiore. Larve grandi ………………………. Synaptus Eschscholtz, 1829 Segmento caudale senza vistosa rugosità trasversale in prossimità dell’apice (che è però presente sul disco; fig. 37 l). I rimanenti tergiti sono lisci, talvolta sparsamente ricoperti di debole punteggiatura. Mandibole senza dente supplementare sulla parte superiore. Larve piccole ………………………....…………………... Adrastus Eschscholtz, 1829 CARDIOPHORINAE In Rudolph (1974) sono solo inserite le larve di varie specie di Cardiophorinae. Non sono inseriti disegni di dettagli morfologici di specie possibili a La Mandria le cui larve sono sconosciute. AMPEDINAE 1. Nasale con un solo dente, carenato (fig. 34 f). Sternite e placca anale del segmento caudale occupano non più di ½ del disco del segmento caudale (fig. 31 c) (Gruppo Ampedus) ........ ....................................................................................................................................... 2 Nasale con tre denti (fig. 34 g). Sternite e placca anale del segmento caudale occupano non meno di ¾ del disco del segmento caudale (fig. 37 b) (Gruppo Megapenthes) .................. 3 2. Tergite del segmento caudale con inserzione muscolare ben visibile (fig. 37 e). Forma del segmento caudale lateralmente arrotondata dopo la metà .......................................... .................................................................................................... Ampedus Germar, 1844 Tergite del segmento caudale senza inserzione muscolare (fig. 37 f). Forma del segmento caudale conica con i lati diritti dopo la metà ....................... Ischnodes Germar, 1844 3. Apice del segmento caudale con una spina chitinizzata (figg. 37 c, d) ........................... ................................................................................................. Procraerus Reitter, 1905 Apice del segmento caudale con tre denti (figg. 37 a,b) ……........................................... .................................................................................... Megapenthes Kiesenwetter, 1858 Mentre le larve delle specie (non ancora reperite nel Parco) appartenenti ai generi Ischnodes, Procraerus e Megapenthes sono identificabili con quanto scritto fin qui perché si tratta di tre generi monospecifici, quelle appartenenti al genere Ampedus sono identificabili tramite la tavola dicotomica riportata in Appendice 1. AGRIOTINAE La sottofamiglia nel territorio del Parco è rappresentata solo da specie appartenenti al genere Agriotes Eschscholtz, 1829. Sarà quindi possibile attribuire senz’altro a questo genere le larve di elateridi determinate con la chiave dicotomica delle sottofamiglie. 44 Fig. 37 - Segmento caudale delle larve di Megapenthes lugens (Redtenbacher, 1842): a, vista dorsale; b, vista laterale. Idem di Procraerus tibialis (Lacordaire, 1835): c, vista dorsale; d, vista laterale. Segmento caudale (in visione dorsale) rispettivamente delle larve di: e, Ampedus nigerrimus (Lacordaire, 1835); f, Ischnodes sanguinicollis (Panzer, 1793). 8° e 9° segmento addominale (in visione dorsale) rispettivamente di: g, Adrastus rachifer (Geoffroy in Fourcroy, 1785); h, Adrastus pallens (Fabricius, 1792). Segmento caudale (in visione dorsale) delle larve di: i, Synaptus filiformis (Fabricius, 1781); l, Adrastus limbatus (Fabricius, 1776). 45 TAV. V La determinazione degli adulti Morfologia Nei due schemi sono riportati esempi di relazioni fra organismi dipendenti dalle fasi di decadimento e riciclo delle foreste. Dall’inizio degli anni ‘80 si è cominciato a comprendere meglio il funzionamento degli ecosistemi forestali e oggi sappiamo che da un terzo ad un quarto di tutte le specie in essi presenti sono dipendenti strettamente dal legno morto. In altre parole, mantenere boschi giovani, privandoli degli alberi morti e deperienti e ripulendo la necromassa legnosa presente è il miglior modo per distruggerne la biodiversità e, a lungo termine, indebolirne la salute e resistenza alle avversità. 46 La forma generale degli adulti di elateridi (fig. 38) è facilmente riconoscibile a prima vista. Essi sono generalmente allungati, con il corpo molto più lungo che largo, l’apice delle elitre ristretto posteriormente, la testa sempre visibile. La colorazione è molto varia. Prevalgono i toni cupi (marrone, nero) ma spesso gli esemplari sfoggiano colori, disegni e riflessi metallici più vistosi (figg. 64 e 65). A grandi linee il corpo degli elateridi è suddiviso, in visione superiore, in quattro parti, la testa, il pronoto, lo scutello e l’addome, quest’ultimo completamente ricoperto dalle elitre. La testa è sempre visibile. Gli occhi sono sempre scoperti. Le antenne sono solitamente lunghe (ma quelle delle femmine spesso lo sono meno di quelle dei maschi) e costituite da articoli di forma varia. Anche la forma della testa (fig. 40) è un ottimo carattere per la determinazione degli adulti. Il pronoto è solitamente ristretto anteriormente e termina posteriormente con due angoli acuti, talvolta carenati. Lo scutello (fig. 38 n° 29) è inserito tra i bordi anteriori delle elitre e la sua forma è anch’esso un carattere spesso utile per la determinazione. Le elitre possono avere costolature più o meno visibili e sono sempre vistosamente ristrette all’apice posteriore. Le tre paia di zampe sono sempre visibili in vista superiore, una ai lati del pronoto e le altre due dalle elitre. In visione inferiore (fig. 39B) sono ben visibili le mascelle atte a frammentare il cibo. Il prosterno (fig. 39B n° 22), la parte inferiore del pronoto, è caratterizzato da due strutture. La prima (fig. 39B n° 26) è for- mata dalle due fossette antennali che possono avere diverso sviluppo e sono un importante carattere per la determinazione; in alcuni casi (Agrypninae) esse sono scavate in tutta la loro lunghezza consentendo la protezione delle antenne a riposo. La seconda (fig. 39B n° 25) è l’appendice prosternale, posta centralmente al bordo posteriore del prosterno, che contribuisce al meccanismo di salto degli elateridi. La parte inferiore del corpo sottostante alle elitre è suddivisa in due parti. Anteriormente è posto il mesosterno (fig. 38B n° 30), nel quale lo sviluppo delle placche sclerotizzate laterali (figg. 46 c e 46 d) costituisce un’importante carattere. Il secondo paio di zampe è inserito in questo segmento. Infine, l’addome è suddiviso in cinque sterniti (segmenti dell’addome) visibili, l’ultimo dei quali è denominato “sternite anale” ed è talvolta importante per la distinzione tra i sessi. 47 Fig. 38 - Nomenclatura delle parti anatomiche di un adulto di elateride in visione dorsale. Da Pesarini (1984). 48 Fig. 39 - Nomenclatura delle parti anatomiche di un adulto di elateride in visione ventrale e dorsale. Da Pesarini (1984). 49 Chiave dicotomica delle sottofamiglie Da Platia, 1994 e Pesarini, 1984, modificati. Avvertenze. La classificazione degli Elateridae è ancora instabile e soggetta a continui aggiornamenti. Questo è dovuto al grande numero di specie e ai continui approfondimenti sul significato di alcuni caratteri tassonomici. Le differenze tra la posizione sistematica di sottofamiglie e tribù che scaturiscono dai contributi di vari specialisti, per quanto importantissime per la comprensione della filogenesi della famiglia, sono però di scarsa rilevanza per i nostri scopi. Per quanto riguarda la chiave delle sottofamiglie di Elateridae presenti nel Parco La Mandria ho preferito utilizzare quella di Leseigneur, 1972 e Pesarini, 1984 invece che Platia, 1994, per rimanere coerente con la classificazione delle larve adottata da Rudolph, 1974. L’aggiornamento di queste ultime secondo criteri recentemente adottati è troppo al di là degli scopi del Quaderno. D’altronde l’obiettivo di determinare le larve a livello di genere e gli adulti a livello di specie è raggiunto comunque. 1. La lamina del mento, ben sviluppata, ricopre in gran parte la gola (figg. 40b e 40 c). Metasterno sporgente fra le anche posteriori con bordo rettilineo o arrotondato ……..… 2 La lamina del mento è indistinta, lasciando la gola ampiamente scoperta (fig. 40 a). Metasterno sporgente fra le anche posteriori in punta acuta ……...………... Denticollinae Fig. 40 - Particolari anatomici di protorace e capo di elateridi, rispettivamente in visione ventrale e laterale. Pesarini (1984) modificato. 2. Suture prosternali almeno nel terzo anteriore incavate a formare delle profonde fossette antennali (fig. 40 b) ...…………………..…….……………………………...…….…. 3 Suture prosternali superficiali fino all’apice o quasi (fig. 40 c) .......………...……….. 4 3. Fossette antennali profondamente scavate fino ai due terzi delle suture prosternali …… …………………………………………………………………………....... Agrypninae Fossette antennali profondamente scavate al più nella metà anteriore delle suture prosternali. Specie estranee alla fauna italiana ……….………….………. (Hemirrhipinae) 4. Scutello cordiforme, vistosamente incavato al centro della base (fig. 41) ....................... ................................................................................................................. Cardiophorinae Scutello semplice, a base diritta o arcuata …………......…………………………….. 5 5. Carene sovra-antennali svanite sulla fronte, che perciò non appare avanzata a lamina sul clipeo (figg. 42 a e 42 b) ………..……………...……………….…….………... 6 Carene sovra-antennali continue e riunite fra loro sulla fronte, che perciò appare sporgente a lamina sul clipeo (figg. 42 c e 42 d) …...…………..……………………... 10 Fig. 42 - Forma del capo. Da Pesarini (1984) modificato. 6. Bordo laterale del protorace doppio …………………………….........…….. Diminae Bordo laterale del protorace semplice ……………...……………..………………... 7 7. Parti boccali, osservate di lato, nettamente più avanzate della fronte (fig. 42 a) ……… ………………………………….………………………….......…….…. Ctenicerinae Parti boccali, osservate di lato, non o poco più avanzate della fronte (fig. 42 b) …... 8 8. Unghie pettinate (fig. 43 a) o dentellate (fig. 43 b) ….……........……...…. Adrastinae Unghie semplici (fig. 43 c) …...…………………...……………...………………… 9 Fig. 43 - Dettaglio delle unghie tarsali. Da Pesarini (1984) modificato. 9. Secondo e terzo articolo delle antenne, presi insieme, nettamente più corti del quarto. Bordo esterno delle anche posteriori dentato presso la base della lama coxale ………. ….................................................................................................................. Elaterinae Secondo e terzo articolo delle antenne, presi insieme, non più corti del quarto, generalmente più lunghi. Bordo esterno delle anche posteriori non dentato …..................... ..................................................................................................................... Agriotinae 10. Terzo articolo tarsale munito di una sviluppatissima lamella espansa, lunga il doppio del quarto articolo o ancora più lunga (fig. 44) …………...…………... Physorrhinae Terzo articolo tarsale semplice o munito al più di una lamella che supera di poco la lunghezza del quarto articolo ………………………….......…………………….... 11 Fig. 44 - Forma dei tarsi dei Physorrhinae. Da Pesarini (1984) modificato. Fig. 41 - Forma dello scutello dei Cardiophorinae. Da Pesarini (1984) modificato. 50 11. Unghie pettinate (fig. 43 a) ………………………..…………......…..… Melanotinae Unghie semplici (figg. 43 c e 45) ……………………...………......……...…....…. 12 51 Chiave dicotomica delle specie Da Platia, 1994 e Leseigneur, 1972, modificati. Fig. 45 - Unghie tarsali semplici. Da Pesarini (1984) modificato. 12. Pubescenza del pronoto, osservata di profilo, diretta dall’indietro in avanti …….......... .........................................................................................................................Athoinae Pubescenza del pronoto, osservata di profilo, diretta dall’avanti all’indietro o completamente abbattuta, quasi indistinta ……..……………………………………….… 13 13. Parti boccali, osservate di lato o di profilo, nettamente più avanzate della fronte (fig. 42c) ………………………………………………………………………………... 14 Parti boccali, osservate di lato o di profilo, non o poco più avanzate della fronte (fig. 42d) …….......………………………………………………………………... 15 14. Antenne dentate a sega a partire dal quarto o dal quinto articolo (fig. 46 a). Gli epimeri mesotoracici raggiungono la cavità delle anche mediane (fig. 46 d) ..... Hypnoidinae Antenne non dentate o indistintamente dentate a sega (fig. 46 b). Gli epimeri mesotoracici non raggiungono la cavità delle anche mediane (fig. 46 c) …...…. Negastriinae Sottofamiglia AGRYPNINAE 1. Terzo articolo delle antenne nettamente più piccolo del secondo. Solchi antennali profondamente scavati solo nei due terzi anteriori (fig. 40 b) …….…. Agrypnus Latreille Terzo articolo delle antenne non più piccolo del secondo, generalmente più grande. Solchi antennali profondamente scavati per tutta la loro lunghezza ............ Lacon Laporte Il genere Agrypnus è rappresentato in Italia da una sola specie Agrypnus murinus43 (Linnaeus, 1758), generalmente molto comune e facilmente identificabile a prima vista in base al carattere citato nella chiave dicotomica. Il genere Lacon è rappresentato in Italia da tre specie, una sola della quali, Lacon punctatus (Herbst, 1779) è segnalata nella pianura piemontese. La specie non è ancora stata reperita nel territorio della Mandria ma la sua presenza, per quanto improbabile, è possibile. Sottofamiglia CONODERINAE 1. Quarto articolo dei tarsi distintamente lamellato (fig. 47 a), angoli posteriori del protorace non carenati ………………….………………………............. Aeloderma Fleutiaux Quarto articolo dei tarsi non lamellato (fig. 47 b), angoli posteriori del protorace carenati ……………………………….……………………….........….. Drasterius Eschscholtz Fig. 46 - Forma delle antenne (a sinistra) e degli epimeri mesotoracici. Da Pesarini (1984) modificato. 15. Secondo articolo delle antenne molto piccolo e tozzo, lungo appena un terzo del seguente, quest’ultimo dilatato e fortemente appiattito (gen. Isidus42 Mulsant) ................ ....................................................................................................……... Athoinae (pars) Secondo articolo delle antenne normalmente sviluppato, sempre più lungo della metà del terzo, quest’ultimo mai fortemente appiattito ……………...…………………. 16 16. Protorace stretto ed alquanto allungato, a lati pressoché paralleli, appena più largo del capo ……………………...……………………………………….……. Pomachilinae Protorace più tozzo, distintamente ristretto in avanti, sempre molto più largo del capo …................................................................................................................................17 17. Lunghezza inferiore ai 6 mm. Corpo densamente ricoperto da pubescenza giallognola a riflessi dorati e sericei. Elitre di regola con disegni complessi. Unghie munite di una setola presso la base ………………...……………………..….……...… Conoderinae Lunghezza quasi sempre superiore ai 6 mm. Pubescenza del corpo di rado densa, quasi mai con marcati riflessi sericei. Elitre raramente con disegni complessi. Unghie sempre prive di setole basali …………………….........………............….…….… Ampedinae 42 Il genere Isidus non è rappresentato nella fauna piemontese. 52 Fig. 47 - Forma dei tarsi.. Da Pesarini (1984) modificato. La sottofamiglia Conoderinae è rappresentata in Italia da due sole specie, Aeloderma crucifer (Rossi, 1790) e Drasterius bimaculatus (Rossi, 1790). La prima delle due specie non è segnalata del Piemonte, dove potrebbe essere presente solo nelle zone orientali più calde. La seconda è comune e ampiamente diffusa. Quest’ultima specie è facilmente identificabile per le sue piccole dimensioni (da un minimo di circa 3,6 mm raggiunge eccezionalmente i 6 mm), per l’ambiente che frequenta in via quasi esclusiva e per la caratteristica colorazione (fig. 64 b). Sottofamiglia AMPEDINAE 1. Angolo apicale delle elitre non incavato ……...….………..….…………………...…. 2 Angolo apicale delle elitre incavato .…………….….…...... Megapenthes Kiesenwetter 43 In Pesarini (1984) è inserita nel genere Adelocera, mentre nella Fauna essa fa parte di Agrypnus. 53 2. Suture prosternali incise in avanti ………….……………………............................... 3 Suture prosternali chiuse ………...……………………..........…….. Ischnodes Germar 3. Suture prosternali scavate nel tratto apicale. Elitre totalmente nere o in gran parte rosse, gialle o ferruginee e comunque diversamente colorate …........……………..……...... 4 Suture prosternali superficiali fino al bordo anteriore. Elitre nere con epipleure e talora anche le suture rossicce .................................................................... Procraerus Reitter di caducifoglie ed è rarissima in Italia. Platia segnala un ritrovamento “dintorni di Torino”, senza ulteriori dettagli sulla località. Anche se la presenza di I. sanguinicollis a La Mandria è improbabile, la sua presenza non è impossibile. Il suo ritrovamento eventuale costituirebbe un importante tassello alla biodiversità degli elateridi del Parco. 4. Pronoto con angoli posteriori bicarenati; una di queste carene è forte, l’altra talvolta è poco evidente ed è posta in prossimità del margine laterale; corpo interamente castanobruno ……………………………….…......……………............ Brachygonus Buysson Pronoto con angoli posteriori monocarenati; corpo con pronoto generalmente nero, elitre nere, rosse, gialle, queste ultime due colorazioni talvolta con aree più o meno estese nere …………………………………………………...............…….... Ampedus Dejean Osservazioni. Fig. 49 - Habitus di adulto di Ischnodes sanguinicollis. Le specie appartenenti ai generi inseriti nella sottofamiglia Ampedinae e che potrebbero essere presenti nel Parco sono una decina. Di queste quattro appartengono, una ciascuno, ai generi Megapenthes, Ischnodes, Procraerus e Brachygonus, le rimanenti al genere Ampedus. Megapenthes lugens (Redtenbacher, 1842) Specie inconfondibile per le dimensioni del pronoto e la colorazione nera e opaca. Non molto grande (lunghezza 8-10 mm; larghezza 2-2,5 mm), la sua presenza nel Parco è improbabile ma non impossibile in quanto infeudata ai vecchi boschi di caducifoglie, in particolare quercete e faggete. Secondo Platia in Italia è specie rara, relegata in zone con alberi molto vecchi. Per quanto riguarda il Piemonte Platia (1994) segnala la specie presente a Superga. Della Beffa (1911) la indica dell’agro torinese. Non risultano ritrovamenti recenti. Procraerus tibialis (Lacordaire, 1835) Anche se può a prima vista essere confusa con altre completamente nere, questa specie è agevolmente identificabile utilizzando le chiavi dicotomiche del Quaderno. E’ di dimensioni analoghe o più piccole rispetto alle specie precedenti (lunghezza 5,7-8,3 mm; larghezza 1,6-2,9 mm) ed è specie infeudata ai vecchi alberi di caducifoglie. Platia la segnala della pianura cuneese (Genola), per cui la sua presenza a La Mandria, per quanto improbabile, non è impossibile. Fig. 50 - Habitus di adulto di Procraerus tibialis. Fig. 48 - Habitus di adulto di Megapenthes lugens. Ischnodes sanguinicollis (Panzer, 1793) Anche questa specie è inconfondibile. L’aspetto è lucido, il pronoto rosso vivo (da qui deriva il nome “sanguinicollis”). Dimensioni analoghe a quelle della specie precedente (lunghezza 8-10 mm; larghezza 2-3). Anche questa specie è infeudata ai vecchi boschi 54 Brachygonus megerlei (Lacordaire, 1835) Specie che si può confondere a prima vista con altre appartenenti al genere Melanotus. Si discrimina agevolmente da queste ultime per avere le unghie semplici, non a forma di pettine. Si distingue dalle specie appartenenti alla sottofamiglia per la colorazione interamente nero bruna. E’ più o meno delle stesse dimensioni delle altre, talvolta un po’ più grande (lunghezza 8-11 mm; larghezza 2-3 mm). Specie infeudata alle vecchie caducifoglie ma anche al Pino Marittimo. Secondo Platia in Piemonte esemplari sono stati ritrovati a San Carlo Canavese e a Dogliani (segnalata anche della Val Sesia) per cui la presenza di questa specie nel Parco non è impossibile. 55 noto grande e fitta. Elitre a pelosità nera sui cinque o sei prime interstrie45, rossiccia o dorata lateralmente, molto raramente interamente nera o interamente dorata ………………………………………...……...…. A. cinnabarinus (Eschscholtz, 1829) Pronoto senza solco mediano longitudinale ben distinto. Punteggiatura laterale del pronoto meno grande e fitta. Elitre con peluria laterale dello stesso colore di quella delle prime cinque o sei interstrie …………………............................................................. 5 Fig. 51 - Habitus di adulto di Brachygonus megerlei. Genere Ampedus Germar (Platia, 1994 modificato) Il genere in Italia è rappresentato da 29 specie, maggiormente concentrate su Alpi ed Appennini. Le specie possibili per La Mandria sono sette. Di seguito diamo una chiave dicotomica che ne aiuti l’identificazione, anche se questa non è agevole e richiede quasi sempre l’utilizzo del microscopio stereoscopico. 1. Punteggiatura del pronoto uniforme su tutta la superficie44 , i punti ombelicati hanno densità costante, solo posteriormente possono essere più piccoli …………...…………... 2 Punteggiatura del pronoto ineguale, con punti di diametro e densità variabili, semplici ed ombelicati, rotondeggianti ed allungati ……………………...………..…….......... 3 2. Corpo generalmente più gracile. Pronoto più largo che lungo, senza linea mediana non punteggiata. Impressione basale sempre appena visibile. Espansione apicale dei parameri in corta, sporgente lateralmente in punta acuta. Elitre rosso vivo con spesso apice nero, più raramente completamente rosse. Lunghezza 9-13 mm (fig. 53 a) …………………..………………….....……...… praestus (Fabricius, 1792) Pronoto circa lungo quanto largo, spesso con una linea mediana non punteggiata. Impressione basale presente e visibile. Espansione apicale dei parameri più allungata, poco sporgente ed ottusa verso l’esterno. Elitre rosso ferrugineo monocolore o talvolta con la sutura leggermente imbrunita. Lunghezza 12-15 mm (fig. 53b) …………………………………………………..……....... cardinalis (Schiödte, 1865) 3. Margini laterali del pronoto con punti generalmente tondi e vistosamente ombelicati, più o meno fitti (fig. 54 a) …………………………………...………...….......……… 4 Margini laterali del pronoto almeno posteriormente con punti semplici o vagamente ombelicati, superficiali o allungati (fig. 54 b) ………..……….………………...….… 6 4. Pronoto con solco mediano longitudinale ben distinto, limitato al terzo basale, con peli generalmente rossicci, molto raramente neri. Punteggiatura laterale del pro- Fig. 52 - Pronoto di Ampedus sp. Si noti l’impressione basale più o meno marcata. Questo carattere è soggetto ad una certa variabilità intraspecifica, per cui non sempre è utile per la determinazione della specie. Disegni da Platia (1994) modificati. Fig. 53 - Parameri in visione dorsale (scala 0,5 mm). Rispettivamente (a) di Ampedus praestus, (b) di A. cardinalis. Disegni da Platia (1994) modificati. 5. Margini del pronoto più lucidi per una punteggiatura meno densa con punti ombelicati, più o meno allungati e più o meno spaziati (fig. 54 c). Elitre generalmente rosse con una larga tacca nera fusiforme sul disco, la quale può essere più o meno ridotta, talvolta assente. ……………………......................…......…....... sanguinolentus (Schrank, 1776) Margini laterali del pronoto con superficie più opaca per una punteggiatura più densa con punti ombelicati, rotondeggianti e continui (fig. 54 d). Elitre interamente rosse o solamente leggermente più scure all’apice ...……….......... pomonae (Stephens, 1830) Raramente, almeno per quanto riguarda la popolazione di A. cinnabarinus (Eschscholtz, 1829) del cosidetto “agro torinese”, anche la pelosità della parte superiore delle elitre è rossiccia o dorata. In questo caso gli altri caratteri sono sufficienti per la determinazione. 45 L’aspetto del pronoto è, al microscopio binoculare, più o meno opaco. La punteggiatura è densa e i punti sono adiacenti tra loro, cioè distanziati per una distanza inferiore al loro diametro. 44 56 57 2. Corpo depresso, interamente nero; pronoto con superficie interamente granuloso-punteggiata, poco lucida. Dimensioni più ridotte di quelle delle altre specie, 2-2,8 mm ………………………………………....……………... meridionalis (Castelnau, 1840) Corpo convesso, interamente nero o con macchie gialle sulle elitre; pronoto con superficie granulosa solo nella parte antero-mediana, alla base solo punteggiato, piuttosto lucido. Specie più grandi ……………………………………………………….……. 3 Fig. 54 - Punteggiatura laterale del pronoto: a, ombelicata, più o meno densa; b, non ombelicata. Disegni da Leseigneur (1972) rielaborato. Punteggiatura laterale del pronoto degli adulti di: c. Ampedus sanguinolentus; d. A. pomonae. Disegni da Platia (1994) rielaborato. 6. Elitre da giallo-zafferano a giallo-arancio, con distinta macchia apicale nera nel terzo posteriore. Terzo articolo delle antenne lungo quanto il secondo. Generalmente di dimensioni ridotte (lunghezza 6,5-9 mm, larghezza 2-2,5 mm) .......................................... ................................................................................................. glycereus (Herbst, 1784) Elitre colore rosso-mattone, talvolta chiaro. Pronoto poco arcuato ai lati, non sinuato presso gli angoli posteriori. Terzo articolo delle antenne più lungo che il secondo. Più grande (lunghezza 8,5-11 mm, larghezza 2,5-3,5 mm) …...... pomorum (Herbst, 1784) Sottofamiglia PHYSORRHININA La sottofamiglia non è rappresentata nel Parco. 3. Femori delle zampe anteriori e medie con sporgenza posteriore dentiforme, più acuta nei maschi (figg. 55 a e 55 b). Elitre sempre con quattro macchie gialle ……………… ……………..........………………….............................…... boubersi Leseigneur, 1970 Femori delle zampe anteriori in entrambi i sessi senza sporgenza dentiforme (figg. 55). Elitre sia nere sia con due o quattro macchie gialle …..................................................... ........................................................................…...……. demustoides46 (Herbst, 1806) Ho inserito nella tavola dicotomica del genere Zorochrus le specie che sono segnalate della parte pianeggiante del Piemonte. Alcune di esse (vedere la terza parte del Quaderno) sono state reperite alla Mandria. Fig. 55 - Femore di: a, ♂ b, ♀ di Zorochrus. boubersi; c, di Z. dermestoides ♂ . Tibia di: d, F. maritimus ♂. Disegni da Platia (1994) modificati. Genere Negastrius C.G. Thomson, 1859 Sottofamiglia HYPNOIDINAE 1. Lati del pronoto sinuati avanti gli angoli posteriori …...................................................... ............................................................................................ pulchellus (Linnaeus, 1758) Sottofamiglia non rappresentata nel Parco Sottofamiglia NEGASTRIINAE 1. Suture prosternali chiuse; superficie del pronoto con semplice punteggiatura o con superficie scabra o fortemente rugosa ……………………...…………………………... 2 Suture prosternali in avanti più o meno fortemente impresse; superficie del pronoto in parte o del tutto granulosa …………...….... Zorochrus Thomson C.G. Thomson, 1859 2. Superficie del pronoto scabra e rugosa …….........…. Negastrius C.G. Thomson, 1859 Superficie del pronoto semplicemente punteggiata, con intervalli fra i punti lisci e lucidi …………………………………………………...…… Oedostethus Le Conte, 1853 Genere Zorochrus C.G Thomson, 1859 Fig. 56 - Habitus di: a sinistra, N. pulchellus (Linnaeus, 1758), a destra N. sabulicola (Boheman, 1852). 1. Angoli posteriori del pronoto carenati …………….....……….......………………….. 2 Angoli posteriori del pronoto non carenati ................. alysidotus (Kiesenwetter, 1858) 58 46 In Platia (1994) questa specie è inserita come Z. minimus (Lacordaire, 1835) 59 Lato del pronoto regolarmente arcuati fino agli angoli posteriori .................................. …………………………………...…………....……........ sabulicola (Boheman, 1852) Le due specie di Negastrius sono segnalate della pianura piemontese ma non sono ancora state reperite nel territorio del Parco. Genere Oedostethus Le Conte, 1853 Il genere, rappresentato in Italia da tre specie, ma una sola, O. novaki (Binaghi, 1935) sembra essere presente nella pianura piemontese. La specie non è comunque ancora stata reperita nel territorio del Parco. riori del pronoto nel maschio, poco più corte nella femmina …....... equiseti (Herbst, 1784) Genere Paracardiophorus Schwarz, 1895 In Europa il genere è rappresentato da una sola specie, Paracardiophorus musculus (Erichson, 1840). Anche se non è ancora stata reperita alla Mandria la sua presenza è possibile lungo il corso del fiume Ceronda (o, nella zona pre-parco, lungo il greto del torrente Stura di Lanzo). Genere Cardiophorus Eschscholtz, 1829 Sottofamiglia CARDIOPHORINAE (sec Platia) 1. Unghie con dente basale (fig. 57 d) .………..........………............………. Dichronycus Unghie semplici (fig. 57 c) ………….........………………………..……………..….. 2 2. Margine laterale del pronoto con carena corta, a volte assente, ed incurvata in avanti verso il basso (fig. 57 a) ………………………….………….....…….... Cardiophorus Margine laterale del pronoto con carena intera, ben visibile e subrettilinea (fig. 57 b) ... ……………………….........……………………………………….. Paracardiophorus Nelle tavole dicotomiche che seguono ho inserito le specie rappresentanti dei generi di Fig. 57 - A sinistra, vista laterale del pronoto; a destra, unghie tarsali. Da Pesarini (1984) modificato. questa sottofamiglia segnalati della pianura piemontese. Genere Dichronycus Brullé, 1832 1. Punteggiatura del pronoto robusta e densa, con intervalli fra i punti brevissimi o nulli per cui la superficie appare poco lucida ....................................................................... 2 Punteggiatura del pronoto fine e normalmente più sparsa, con intervalli fra i punti uguali o di poco inferiori al loro diametro, per cui la superficie appare lucida ......................... ................................................................................................... cinereus (Herbst, 1784) 2. Colorazione, escluse a volte le articolazioni delle zampe ed i tarsi, di un nero intenso, con pubescenza bianco-argentea; antenne mediamente più corte, non raggiungenti o superanti di poco gli angoli posteriori del pronoto nel maschio, più corte nelle femmine ………………………………………………………........… equisetoides Loshe, 1976 Colore nero meno intenso, con antenne e zampe ferruginee, con pubescenza molto più densa, giallastra; antenne mediamente più lunghe, superanti di 0,5-2 segmenti gli angoli poste60 Fig. 58 - Habitus Paracardiophorus musculus. 1. Specie nei due sessi interamente nere, a volte le zampe sono rosse. Pronoto notevolmente ristretto in addietro ………………………....………...… rufipes (Goeze, 1777) Specie nei due sessi normalmente bicolori, con pronoto rosso arancio variamente macchiato di nero (nelle forme melaniche uno strettissimo margine basale del pronoto, o una piccolissima porzione basale degli angoli posteriori rimangono rossi); zampe generalmente rossicce o appena imbrunite ……………………………...…...……….….. 2 2. Punteggiatura del pronoto più o meno densa ma sempre chiaramente doppia, costituita da punti di diametro maggiore intervallati da due o tre punti di diametro minore. Colorazione del pronoto costante rosso-arancio, con il terzo anteriore nero ……...…....... ................................................................................................. anticus Erichson, 1840 Punteggiatura del pronoto più o meno densa ma sempre costituita da punti pressoché dello stesso diametro. Colorazione del pronoto da completamente rosso-arancio a quasi nero ……................................................................................... collaris Erichson, 1840 Sottofamiglia MELANOTINAE La sottofamiglia nel territorio del Parco è rappresentata solo da specie del genere Melanotus Eschscholtz. I Melanotus delle nostre latitudini sono elateridi di dimensioni abbastanza ragguardevoli, con tegumenti neri o bruno scuro. Genere Melanotus Eschscholtz, 1829 Come spesso accade con gli elateridi la determinazione degli adulti di Melanotus è agevole solo dopo un certo esercizio. 61 1. Articoli mediani delle antenne chiaramente più lunghi che larghi …........………..… 2 Articoli mediani delle antenne più corti, poco più lunghi che larghi o così lunghi come larghi ............................................................................................................................ 3 2. Base del pronoto fortemente impressa, con un solco mediano longitudinale corto ma ben evidente ……….............…..….................... villosus (Geoffroy in Fourcroy, 1785) Base del pronoto non o appena impressa, senza un solco mediano longitudinale ben distinto ……………....................................................... crassicollis (Erichson, 1841)47 Secondo e terzo articolo delle antenne presi assieme notevolmente più lunghi del quarto ………………………………......…………...………. Cidnopus C.G. Thomson, 1859 4. Angoli posteriori del pronoto carenati ……................. Hemicrepidius Germar, 1839 Angoli posteriori del pronoto non carenati …..................…. Athous Eschscholtz, 1829 Genere Kibunea Kishii, 1966 Il genere comprende tre specie, una sola delle quali, Kibunea minutus (Linnaeus, 1758) è segnalata della pianura piemontese (fig. 64 h). 3. Corpo convesso, subcilindrico, di un colore nero opaco, più intenso; pronoto con carena longitudinale mediana più o meno evidente ........................ punctolineatus (Pèlerin, 1829)48 Corpo meno convesso, di un colore nero meno intenso ……...……..…………….… 4 Genere Nothodes Le Conte, 1861 4. Corpo in media più robusto; articoli antennali più ispessiti; pronoto più convesso e con accenno di carena mediana longitudinale ..........................cinerascens Küster, 185249 Corpo in media più gracile; articoli antennali meno ispessiti; pronoto meno convesso, senza accenni di carena mediana longitudinale ..…...... tenebrosus (Erichson, 1841)50 Il genere comprende una sola specie italiana, che è anche segnalata della pianura piemontese: Nothodes parvulus (Panzer, 1799). E’ interamente nero-bronzea, di aspetto molto lucido, con i primi articoli delle antenne e zampe giallastri; pubescenza lunga, densa e giallastra (fig. 64 i). Sottofamiglia POMACHILINAE Genere Cidnopus C.G. Thomson, 1859 Protorace bruno giallastro. Elitre ciascuna con due macchie gialle di grandi proporzioni, talvolta fuse insieme. Terzo articolo tarsale con lamella non molto lunga ma ben distinta ………………………………...............…... Betarmon bisbismaculatus (Fabricius, 1803) 1. Pronoto molto più convesso, ai lati declive quasi perpendicolarmente, con carena laterale non visibile o poco evidente anteriormente in visione dorsale …........................ 2 Pronoto meno convesso, ai lati dolcemente declive, con la carena laterale chiaramente e completamente visibile dall’alto ………………....……….….. pilosus (Leske, 1785) Il genere è rappresentato in Italia da una sola specie, diffusa in tutta la pianura piemontese. Sottofamiglia ATHOINAE 1. Articoli dei tarsi semplici ……………………………...........………...………….….. 2 Due o più articoli dei tarsi dilatati o lobati …….……..………………….…....…….. 4 2. Carena laterale del pronoto brevemente dilatata verso l’esterno in prossimità degli angoli anteriori …............................................................................ Kibunea Kishii, 1966 Carena laterale del pronoto decorrente regolarmente fino agli angoli anteriori …...... 3 3. Secondo e terzo articolo delle antenne presi assieme così lunghi o appena più lunghi del quarto ………………………………..........………..……… Nothodes Le Conte, 1861 Questa specie può essere confusa con piccoli esemplari di Melanotus villosus; si distingue per il pronoto non impresso alla base e senza solco, per la carena frontale più sporgente in avanti, per la forma più acuminata delle elitre. 48 Specie ben caratterizzata per la forma molto convessa e subcilindrica e per il colore nero molto intenso, distinta perciò facilmente da Melanotus tenebrosus. 49 Si distingue da Melanotus tenebrosus per la corporatura più robusta, la pubescenza giallognola, l’accenno di carena sul disco del pronoto. 50 Distinto da Melanotus cinerascens per la taglia in genere più gracile, per l’assenza di carena mediana longitudinale sul disco del pronoto e per la pubescenza biancastra. 47 62 2. Quarto articolo antennale più lungo che largo; carena laterale del pronoto invisibile dall’alto ………………………….................…….…..… aeruginosus (Olivier, 1790) Quarto articolo antennale più largo che lungo; carena laterale del pronoto visibile anteriormente dall’alto, ma poco evidente; …...... pseudopilosus Platia et Gaudenzi, 1985 Le specie che rappresentano questo genere di elateridi in Italia sono tre, tutte segnalate della pianura piemontese. Il carattere che distingue C. pilosus dalle altre due specie è facilmente rilevabile, mentre C. aeruginosus e C. pseudopilosus sono molto più difficilmente separabili tra loro. Aiuta la relativa abbondanza di tutte e tre le specie che rende possibile analizzare con il microscopio binoculare molti esemplari rendendone un po’ più facile la determinazione. Genere Hemicrepidius Germar, 1839 Delle due specie italiane appartenenti a questo genere solo una è segnalata della pianura piemontese: Hemicrepidius hirtus (Herbst, 1784). E’ interamente nera lucida, con densa pubescenza giallastra (lunghezza 11-17 mm). La femmina è solitamente di dimensioni maggiori, più larga e convessa (fig. 64 r). Genere Athous Eschscholtz, 1829 1. Quarto articolo dei tarsi di dimensioni variabili ma superante sempre in lunghezza del 63 tutto o quasi il lobo inferiore del terzo ..........................…………………………....... 2 Quarto articolo dei tarsi piccolissimo, non o appena superante in lunghezza il lobo inferiore del terzo (fig. 59 a) ….....................................................................................…. 3 2. Scutello più o meno fortemente convesso, in avanti non occupante interamente lo spazio interelitrale (fig. 60) ……………………...............………... bicolor (Goeze, 1777) Scutello piatto o appena convesso, in avanti occupante interamente lo spazio interelitrale ......………………………………………………….…… flavipennis Candéze, 1860 3. Forma generale più robusta e convessa. Terzo articolo delle antenne leggermente più lungo del secondo ……………..…………...……. haemorrhoidalis (Fabricius, 1801) Forma generale più gracile e meno convessa. Secondo e terzo articolo delle antenne di eguale lunghezza ……………………………………….….. vittatus (Fabricius, 1792) dimensioni (lunghezza 17-25 mm). La sua colorazione, generalmente completamente rossiccia, talvolta può essere da parzialmente a completamente nera. Nelle fig. 65 i e 65 l si noti l’aspetto inconfondibile. Sottofamiglia AGRIOTINAE La sottofamiglia è rappresentata in pianura da specie appartenenti al solo genere Agriotes, la maggior parte delle quali è segnalata della pianura piemontese. Si tratta di un genere ben studiato per i danni che in passato gli Agriotes hanno inflitto ad alcune coltivazioni. Genere Agriotes Eschscholtz, 1829 1. Angoli posteriori del pronoto con carena finissima, molto ravvicinata al bordo laterale ……..…………………………………………..….......… acuminatus (Stephens, 1830) Angoli posteriori del pronoto con carena più robusta e più o meno distante dal bordo laterale ........................................................................................................................... 2 Fig. 59 - Tarsi anteriori di Athous haemorrhoidalis (Fabricius, 1801). Da Leseigneur (1972) modificato. Fig. 60 - Dettaglio dello scutello di Athous. bicolor. Si noti che lo scutello anteriormente non riempie completamente lo spazio interelitrale. Da Leseigneur (1972) modificato. Sottofamiglia CTENICERINAE 1. Tegumenti nerastri o bruni, elitre con screziature irregolari formate da peli dorati disposti a vortice. Simile nell’aspetto a un piccolo Agrypnus murinus ................................... …………………………………….....……... Prosternon tessellatum (Linnaeus, 1758) Tegumenti rossi, privi di riflessi metallici. Antenne seghettate nelle femmine, pettinate nei maschi ................................................................. Anostirus purpureus (Poda, 1761) Le due specie appartenenti a questa sottofamiglia sono facilmente distinguibili tra loro (si notino le caratteristiche antenne pettinate dei maschi di A. purpureus (fig. 64 c) e l’habitus di P. tessellatum (fig. 64 e). quest’ultima specie, potrebbe essere confusa con piccoli esemplari Agrypnus murinus (fig. 64 a), ma, come si può dedurre dalle fotografie, è sufficiente un po’ d’attenzione per distinguerla. Sottofamiglia ELATERINAE Nella pianura piemontese è presente una sola specie appartenente a questo genere: Elater ferrugineus Linnaeus, 1758. E’ facilmente distinguibile a prima vista per le sue grandi 64 2. Carena del margine laterale del pronoto interrotta per un tratto più o meno lungo verso la metà. Secondo articolo delle antenne visibilmente più corto che il terzo …….……… ………………………………………….....…….........……….. litigiosus (Rossi, 1792) Carena del margine laterale del pronoto intera. Secondo articolo delle antenne sia più lungo sia più corto che il terzo ……………………..................................................... 3 3. Prosterno con punteggiatura costituita da punti superficiali vistosamente ombelicati. Secondo articolo delle antenne più corto che il terzo ……...……………..……...…... 4 Prosterno con punteggiatura costituita da punti più profondi, semplici o indistintamente ombelicati. Secondo articolo delle antenne più lungo che il terzo .............................. 5 4. Lamina delle anche posteriori regolarmente ristretta verso l’esterno ............................... ............................................................................................… gallicus Lacordaire, 1835 Lamina delle anche posteriori non o appena ristretta verso l’esterno ............................... .………………………….....…………..…………..……….. ustulatus (Schaller, 1783) 5. Interstrie dispari delle elitre talvolta più strette, ma sempre più convesse e normalmente di colore più chiaro …………………………....……….…... lineatus (Linnaeus, 1767) Interstrie elitrali più o meno della stessa larghezza e convessità ................................. 6 6. Punti del pronoto superficiali e vistosamente ombelicati, contigui, per cui la superficie appare poco lucida……………………...……..…..…...….. obscurus (Linnaeus, 1758) Punti del pronoto più profondi, semplici o vagamente ombelicati, più o meno spaziati, per cui la superficie appare più lucida ......................................................................... 7 7. Punti del pronoto più densi, con intervalli di molto inferiori al loro diametro ................. .........…………………………………………...................…… sordidus (Illiger, 1807) Punti del pronoto più sparsi, con intervalli pari al loro diametro ……..…………..… 8 65 8. Pronoto tanto lungo quanto largo, ai lati sub-parallelo e brevemente ristretto nel terzo anteriore ………………………………………….........…... sputator (Linnaeus, 1758) Pronoto distintamente più largo che lungo, ai lati arcuato e ristretto in avanti fin dalla metà ............................................................................................ brevis Candéze, 1863 Sottofamiglia ADRASTINAE 1. Terzo articolo dei tarsi inferiormente con una lunga lamella. Unghie fittamente pettinate (fig. 61 a) ……………….................…………………....... Synaptus Eschscholtz, 1829 Terzo articolo dei tarsi semplice. Unghie con dentelli più radi (fig. 61 b) ……………… ……………………………............………………..…....... Adrastus Eschscholtz, 1829 Secondo articolo delle antenne nel maschio più lungo della metà del terzo, nella femmina appena più corto o della stessa lunghezza, oppure nei due sessi della medesima lunghezza ................................................................................................................... 3 2. Pubescenza dorsale delle elitre costituita da setole di lunghezza varia, irte e coricate … ….......................................................................................… limbatus (Fabricius, 1776) Pubescenza dorsale delle elitre costituita da setole di lunghezza uniforme, coricate …… ……………………………………....…....…....................... binaghii Leseigneur, 1969 3. Secondo e terzo articolo delle antenne nei due sessi di eguale lunghezza ………....... 4 Secondo e terzo articolo delle antenne nel maschio più lungo della metà del terzo, nella femmina appena più corto o uguale al terzo ..................................................................... ............................................................................ rachifer (Geoffroy in Fourcroy, 1785) Fig. 61 - Disegno delle unghie rispettivamente di: a, Synaptus; b, Agriotes. Genere Adrastus Eschscholtz, 1829 Le specie appartenenti a questo genere sono normalmente abbastanza difficili da identificare. Per distinguere i maschi dalle femmine occorre tenere presente che i primi hanno normalmente le antenne che superano l’angolo posteriore del pronoto di 2-3 articoli, le seconde, invece hanno le antenne che raggiungono a malapena gli stessi angoli. In ogni caso, ovviamente, è abbastanza semplice verificare il sesso dell’esemplare in studio analizzando gli organi genitali51. Fig. 63 - Pronoto rispettivamente di: a, Adrastus lacertosus; b, A. pallens. Disegni da Leseigneur (1972) modificati. 4. Pronoto meno convesso, con i lati lungamente paralleli, bruscamente ristretti quasi all’estremità anteriore (fig. 63 a) ..…......…..……............... lacertosus Erichson, 1841 Pronoto più convesso, in addietro con i lati sinuati ed angoli posteriori divergenti …… …...…………………………....……....…….......................... pallens (Fabricius, 1792) Genere Synaptus Eschscholtz, 1829 Il genere è rappresentato da una sola specie, Synaptus filiformis (Fabricius, 1781), a larga diffusione euro-asiatica, che è presente e abbondante nella pianura piemontese. Sottofamiglia DENTICOLLINAE I rappresentanti della sottofamiglia sono in genere infeudati delle zone montane (convenzionalmente al di sopra degli 800 m s.l.m.). Nel territorio del Parco è stata reperita la specie Denticollis linearis, della quale saranno dati ragguagli nella terza parte del Quaderno. Fig. 62 - Antenne rispettivamente: a ♂, f ♀ di Adrastus limbatus; b ♂, g ♀ di A. lacertosus; c ♂, h ♀ di A. pallens; d ♂, i ♀ di A. rachifer; e ♂, e ♀ di A. binaghii. Scala 1 mm. Disegni da Platia (1994) modificati. 1. Secondo articolo delle antenne nel maschio lungo la metà (o più corto) del terzo; nella femmina raggiungente i due terzi della lunghezza del terzo ……….....…….....….... 2 51 E per questo si consiglia la consultazione di Platia (1994). 66 67 PARTE TERZA Elenco delle specie riscontrate Specie (35) Segue una tabella contenente l’elenco delle specie reperite nel Parco La Mandria con le rispettive categorie corologiche, ambienti di reperimento52 e una succinta trattazione di ciascuna di esse53. Ambiente di reperimento Categoria Corologica Bosco Radura x x Filare54 Prato Ripariale Adrastus pallens (Fabricius, 1792) Sibirico-Europea Synaptus filiformis (Fabricius, 1781) Sibirico-Europea x Agriotes acuminatus (Stephens, 1830) Turanico-Mediterranea x Agriotes brevis Candéze, 1863 Europea x Agriotes lineatus (Linnaeus, 1767) Sub-Cosmopolita x Agriotes litigiosus (Rossi, 1792) Est-Mediterranea x Agriotes obscurus (Linnaeus, 1758) Sibirico-Europea x Ampedus cardinalis (Schiödte, 1865) Europea x x x x Agrypnus murinus (Linnaeus, 1758) Asiatica-Europea Drasterius bimaculatus (Rossi, 1790) ? Anostirus purpureus (Poda, 1761) Turanico-Europea-Mediterranea x x Ampedus cinnabarinus (Eschscholtz, 1829) Sibirico-Europea x Prosternon tessellatum (Linnaeus, 1758) Sibirico-Europea x x Ampedus glycereus (Herbst, 1784) Sibirico-Europea x Cidnopus pilosus (Leske, 1785) Turanico-Europea-Mediterranea x x Ampedus pomorum55 (Herbst, 1784) Sibirico-Europea x Cidnopus pseudopilosus Platia e Gaudenzi, 1985 Sud-Europea x x Elater ferrugineus Linnaeus, 1758 Europeo-Mediterranea Kibunea minutus (Linnaeus, 1758) Sibirico-Europea x Betarmon bisbismaculatus (Fabricius, 1803) Turanico-Mediterranea Nothodes parvulus (Panzer, 1799) Turanico-Europea Melanotus crassicollis (Erichson, 1841) Turanico-Mediterranea Denticollis linearis (Linnaeus, 1758) Sibirico-Europea x Melanotus tenebrosus (Erichson, 1841) Europea Athous haemorrhoidalis (Fabricius, 1801) Turanico-Europea-Mediterranea x x Asiatico-Europea Athous vittatus (Fabricius, 1792) Turanico-Europea-Mediterranea Melanotus villosus (Geoffroy in Fourcroy, 1785) x x Europea Athous flavipennis Candéze, 1860 Zorochrus demustoides (Herbst, 1806) x Alpino-Appenninica x x Turanico-Mediterranea Athous bicolor (Goeze, 1777) Zorochrus meridionalis (Castelnau, 1840) x Centroeuropea x x Turanico-Europea Hemicrepidius hirtus (Herbst, 1784) Turanico-Europea-Mediterranea Cardiophorus anticus Erichson, 1840 x Dicronychus cinereus (Herbst, 1784) Turanico-Mediterranea x Dicronychus equisetoides Loshe, 1976 Centroeuropea x x x x x Cioè con gli ambienti nei quali li ho effettivamente reperiti nel Parco e non come riportati in letteratura. 53 Gli esemplari raccolti durante la ricerca sono stati depositati presso il Parco. 54 Mentre gli altri ambienti esistono ancora in natura, i filari di alberi (nel Parco querce varie e salici) costituiscono un ambiente completamente antropizzato. 52 68 55 x x x x x x x x x x Specie reperita per ora solo allo stadio larvale. 69 Genere Agrypnus Eschscholtz, 1829 Nel Parco il genere è rappresentato da una sola specie, Agrypnus murinus (Linnaeus, 1758) ampiamente diffusa e comunissima ovunque nelle radure e prati e facilmente riconoscibile a prima vista (fig. 64.a). Corologia. Specie ad ampia distribuzione Asiatico-europea, euriecia, ad ampia valenza ecologica. E’ specie polifaga sia allo stato larvale, sia a quello adulto. Genere Drasterius Eschscholtz, 1829 Anche questo genere è rappresentato da una sola specie, Drasterius bimaculatus (Rossi, 1790), che frequenta i luoghi sabbiosi. L’ho reperita nella bella stagione nelle alluvioni (assieme a vari Zorochrus) del Torrente Ceronda e nei pressi nelle aree soleggiate divenute brulle a seguito delle sarchiature fatte nei prati dai cinghiali alla ricerca del cibo (zona Galiassi e prati della Cascina Bizzarria). Infine, nel caldo autunno del 2007, ho reperito parecchi esemplari posati a prendere il sole sul muro di cinta di Villa Ghia. La specie è facilmente identificabile perché di piccole dimensioni, molto attiva e decisamente più grande degli Zorochrus con i quali talvolta convive (fig. 64 b). Secondo Platia (1994) si tratta della specie più comune della fauna italiana e si rinviene quasi ovunque. Corologia. Non appartiene ad una categoria corologica identificabile. E’ specie diffusa in Asia centrale, Caucaso, Asia minore, Europa centrale, orientale e area circummediterranea. Genere Anostirus C.G. Thomson, 1859 Delle dieci specie che rappresentano in Italia il genere (cfr. Platia, 1994 pag. 53) solo una, Anostirus purpureus (Poda, 1761), è presente alla Mandria. Platia (1994) la defi70 nisce “Specie silvicola, si rinviene in luoghi umidi e freschi nelle zone di montagna generalmente oltre i 700 m …”. Nella checklist della fauna italiana è indicata, per quanto riguarda la pianura piemontese, solo del Pino Torinese e di Caramagna Piemonte, zone di collina elevata. La presenza di questa specie alla Mandria è notevole, data la bassa elevazione del Parco ed è, quindi, una delle specie più interessanti. Ne ho reperiti pochi esemplari, dalla seconda metà di aprile ai primi giorni di giugno, ombrellando le fronde dei rami bassi di querce o altre essenze (in un caso su fiori di biancospino) nelle parti più fresche e alte del Parco: Piano delle Costere, Bassa Combattinassa, anche in zone più basse, ma sempre in vicinanza di torrentelli e laghi (Rio Valsoglia, Cascina Oslera). La specie è facilmente identificabile a prima vista per il suo bel colore rosso acceso (fig. 63 c, il ♂, 63 d, la ♀). Il maschio si distingue per le antenne molto più pettinate che quelle delle femmine. Corologia. Specie a distribuzione TuranicoEuropeo-Mediterraneo, infeudata agli ambienti silvicoli a latifoglie, umidi e freschi. La larva e, probabilmente, gli adulti sono saprofagi. Costituisce specie riconosciuta come importante Bioindicatore. La larva si sviluppa nel legno marcio di diverse latifoglie. Genere Prosternon Latreille, 1834 Anche questo genere è rappresentato nel Parco da una sola specie, Prosternon tessellatum (Linnaeus, 1758), per la quale valgono le stesse considerazione relative a Anostirus purpureus. La sua presenza in pianura può essere considerata notevole. L’ho reperita nel solo mese di aprile ombrellando i rami bassi delle querce e retinando le erbe nei loro pressi nella zona del Lago Grande, e nella parti alte dei piani Costere e Bruciato. Habitus in fig. 64 e). Fig. 64 - Foto di esemplari adulti delle specie riscontrate nell’area attrezzata della Mandria. Rispettivamente: a Agrypnus murinus; b Drasterius bimaculatus; c Anostirus purpureus ♂; d A. purpureus ♀; e Prosternon tessellatum; f Cidnopus aeruginosus; g C. pilosus; h Kibunea minutus; i Nothodes parvulus; l Denticollis linearis; m Athous haemorrhoidalis; n Athous (Orthathous) bicolor; o Athous vittatus (forma scura); p A. vittatus (forma chiara; entrambe presenti nel Parco); q Athous (Haplathous) flavipennis; r Hemicrepidius hirtus; s Adrastus limbatus; t Synaptus filiformis. 71 Corologia. Specie a distribuzione Sibirico-Europeo, infeudata alle formazioni erbose montane e fitofaga (almeno allo stato larvale). Nella pianura torinese P. tessellatum è specie segnalata anche della zona di Stupinigi. Genere Cidnopus C.G. Thomson, 1859 I Cidnopus, in generale sono sempre molto abbondanti. Si trovano principalmente falciando le erbe dei prati più umidi. Nel Parco sono sinora state reperite due sole specie, C. pilosus e C. pseudopilosus. La terza specie italiana, C. aeruginosus è quasi certamente presente e sarà reperita in futuro. Cidnopus pilosus (Leske, 1785) - fig. 64 g. E’ specie infeudata a prati incolti e coltivi, fitofaga, molto comune ovunque nel Parco. Si cattura retinando erbe ed arbusti nel mese di maggio. Corologia. Specie a distribuzione TuranicoEuropea-Mediterranea. Cidnopus pseudopilosus Platia et Gaudenzi, 1985 E’ specie che secondo Platia (1994) sarebbe infeudata a formazioni erbose montane, mai al di sotto dei 500 m s.l.m. Alla Mandria la specie è presente in discreta quantità negli stessi luoghi e periodi della specie precedente. Corologia. E’ specie a distribuzione SudEuropea. molto lucidi, con pubescenza lunga e densa (fig. 64 h). Alla Mandria ne sono stati reperiti pochi esemplari ombrellando nella prima quindicina di maggio le zone umide a est del Lago Grande e attorno alla Cascina Oslera. Corologia. Kibunea minutus (Linnaeus, 1758) è specie a distribuzione Sibirico-Europea, solitamente infeudata alle formazioni boschive e fitofaga. La specie costituisce bioindicatore e la sua presenza nel Parco è notevole. Genere Nothodes Le Comte, 1861 Al genere appartiene una sola specie ed è stata reperita nel Parco: Nothodes parvulus (Panzer, 1799). E’ di piccole dimensioni (fig. 64 i), nera, allungata. Potrebbe essere confusa con la specie precedente ma la si distingue ad occhio nudo per il colore meno scuro e per avere le zampe ed antenne decisamente più chiare. Ho reperito esemplari di N. parvulus principalmente nella parte alta e più fresca del Parco (Pian Bruciato, Pian Costere), tra la fine di aprile e i primi giorni di maggio, ombrellando le querce. Alcuni esemplari, al pari di altre specie caratteristiche di zone più fresche, sono stati reperiti nei prati attorno alla Cascina Oslera. Corologia. Specie a distribuzione TuranicoEuropeo infeudata alle foreste di latifoglie. La larva è fitofaga. Genere Kibunea Kishii, 1966 Genere Denticollis Piller & Mitterpacher, 1873 Al genere appartiene una sola specie Kibunea56 minutus (Linnaeus, 1758) che è stata reperita nel territorio del Parco e non è segnalata di altre zone della pianura piemontese. Gli adulti sono di piccole dimensioni (lunghezza 5-8 mm), interamente neri, Delle due specie italiane appartenenti al genere, una è stata reperita nel Parco: Denticollis linearis (Linnaeus, 1758). Pochi esemplari sono stati catturati ombrellando nel mese di maggio i cespugli ai margini di corsi d’acqua. Le località sono: Casci- na Oslera, Bassa Combattinassa, Rio Valsoglia. In un caso un adulto è exuviato da un ceppo di Ontano sp. prelevato ai margini di un ruscello parallelo a Rio Valsoglia inserito in allevamento. Platia (1994) definiva la specie come “esclusivamente montana”, ma essa è in realtà ben presente nella pianura torinese, essendo stata reperita (successivamente al 1994) delle seguenti località: Druento, Volpiano, Carmagnola, Stupinigi. E’ riconoscibile a prima vista (fig. 64 l). Corologia. Specie a distribuzione SibiricoEuropeo, saprofaga, infeudata alle radure delle foreste di latifoglie. Costituisce Bioindicatore. Genere Athous Eschscholtz, 1829 Tutte le specie appartenenti al genere Athous che era presumibile poter individuare in un’area dalle caratteristiche del Parco La Mandria vi sono state reperite, in generale in buon numero, indice del discreto livello di conservazione naturalistica dell’area. Le quattro specie vivono allo stato larvale nel terreno, di foreste o radure. Gli adulti frequentano le foglie di alberi ed arbusti, talvolta in radura o ai margini del bosco, talaltra in zone più ombreggiate. Frequentano anche le erbe di radure e margini dei boschi, raramente dei prati e coltivi. Gli adulti si catturano retinando gli ambienti citati o monitorando, con l’uso dell’ombrello entomologico, i rami di alberi e arbusti. Gli adulti si distinguono facilmente tra loro a prima vista. Per separare con sicurezza alcuni esemplari scuri di A. vittatus e A flavipennis occorrerà utilizzare il microscopio binoculare e la tavola dicotomica inserita nella Parte Seconda. Athous (Athous) haemorrhoidalis (Fabricius, 1801) - fig 64 m. E’ specie diffusa in tutto il Piemonte, sia in ambiente planiziale sia collinare o montano. In Mandria è molto diffuso ed è reperibile nei mesi di maggio e giugno. Corologia. E’ specie a distribuzione Turanico-Europeo-Mediterranea. Ed è infeudata alle foreste di latifoglie. Athous (Athous) vittatus (Fabricius, 1792) - figg. 64 o, p. Valgono le stesse considerazioni della specie precedente ma A. vittatus è specie più primaverile, essendo reperibile già nei primi giorni di aprile, fino ai primi giorni del mese di giugno. Corologia. E’ specie a distribuzione Turanico-Europeo-Mediterranea. Ed è infeudata alle foreste di latifoglie. Athous (Haplathous57) flavipennis Candéze, 1860 (fig. 64 q). Questa specie ha abitudini montane e ricerca zone più fresche di quelle frequentate dalle due specie precedenti. La larva, che non è nota, è però sicuramente terricola. A. flavipennis è specie molto più rara delle due precedenti. Ne ho reperiti pochi esemplari retinando e ombrellando nel mese di maggio. Corologia. specie Alpino-Appenninica, infeudata alle foreste di latifoglie. Athous (Orthathous) bicolor (Goeze, 1777) - fig. 64 n. Specie che si reperisce a margini dei boschi di latifoglie, nelle radure e nei coltivi. Nel Parco è abbastanza rara. L’ho reperita ombrellando e retinando nei mesi di maggio e giugno. Corologia. E’ specie a distribuzione Centroeuropea. Platia (1994) inserisce la specie nel sottogenere Exanathrotus. Il genere, molto variabile e complesso, non ha ancora raggiunto una classificazione stabile. 57 56 Talvolta questa specie è inclusa nel genere Limonius. 72 73 Genere Adrastus Eschscholtz, 1829 Sorprendentemente malgrado le molte ricerche fatte nel Parco è stata reperita finora una sola specie, A. pallens, mentre della pianura del torinese ne sono segnalate altre quattro - A. binaghii Leseigneur, 1969; A. lacertosus Erichson, 1841; A. limbatus (Fabricius, 1776); A. rachifer (Geoffroy in Fourcroy, 1785). E’ quindi molto probabile che in futuro altre specie di Adrastus saranno reperite alla Mandria. Le specie appartenenti a questo genere si catturano solitamente ombrellando salici e arbusti ai margini dei torrenti. Adrastus pallens (Fabricius, 1792). Ho reperito alcuni esemplari nel mese di giugno retinando verso sera i margini dei prati in zona Prato Pascolo. Altri esemplari sono stati catturati (nelle stesse località e periodo al volo, con il grande retino montato sulla Panda dei Guardiaparco (fig. 64 s). Corologia. E’ specie a distribuzione SibiroEuropea infeudata alle aree arbustive situate in zone umide. La larva è terricola. Genere Synaptus Eschscholtz, 1829. Synaptus filiformis (Fabricius, 1781) è l’unica specie appartenente a questo genere e solitamente è piuttosto comune. Nel territorio del Parco è stata reperita pressoché in tutti i prati freschi, generalmente nel mese di maggio, ombrellando erbe e arbusti (fig. 64 t). Corologia. Specie fitofaga a distribuzione Sibirico-Europea, infeudata alle formazioni erbose naturali o semi-naturali. Genere Agriotes Eschscholtz, 1829. Il genere Agriotes è ben rappresentato nella Penisola. Platia (1994) segnala infatti la presenza di ben diciassette specie, otto58 delle quali possono essere teoricamente presenti alla Mandria. Le ricerche effettuate hanno finora consentito di reperirne cinque. Ricerche future mirate potranno quasi certamente consentire di reperirne altre. Gli Agriotes sono elateridi di difficile identificazione ma con un po’ di pratica non si avranno difficoltà. Più che le immagini delle specie (tra loro molto simili) aiuterà la tavola dicotomica inclusa nella seconda parte del quaderno. Le specie appartenenti al genere sono infeudate alle formazioni erbose naturali e preparate. Le larve vivono nel terreno e sono rizofaghe. Gli adulti exuviano nel terreno e sono reperibili facilmente con le varie tecniche di ricerca in questo ambiente (a vista, retinando). Adulti possono anche essere catturati al volo verso sera. Fa eccezione, A. acuminatus, che è specie infeudata all’humus dei terreni boschivi ed ha abitudini alimentari diverse dalle congeneri. te più elevate. E’ comunissima nei mesi di maggio e giugno. Corologia. E’ specie a distribuzione Europea. Agriotes acuminatus (Stephens, 1830) (fig. 65 a). Esemplari adulti appartenenti a questa specie sono stati reperiti nel Parco nel mese di maggio, fino alla prima settimana di giugno (2006) esclusivamente attorno al Lago Grande, sia retinando le erbe ai margini del bosco sia ombrellando le fronde dei pini. Specie fitofaga e saprofaga. Corologia. E’ specie a distribuzione Turanico-Mediterranea. Agriotes obscurus (Linnaeus, 1758). Ne ho reperiti alcuni esemplari retinando le erbe di Prato Pascolo e della vasta prateria a sud della Cascina Peppinella nei mesi di maggio e giugno. Corologia. E’ specie a distribuzione Sibirico-Europea. Agriotes brevis Candéze, 1863 (fig. 65 c). Specie molto diffusa in tutti i prati del Parco, sia nella parte bassa sia in quella a quo- 58 Queste sono: A. acuminatus, A. brevis, A gallicus, A. lineatus, A. litigiosus, A. obscurus, A. sordidus e A. ustulatus. Di queste sette sono segnalate della pianura torinese, mentre la località più prossima segnalata dell’ottava, A. gallicus, è Asti. 74 Agriotes lineatus (Linnaeus, 1767) (fig. 65 b). Specie che si reperisce frequentemente retinando dalla fine di maggio ai primo giorni di giugno un po’ in tutti i prati del Parco. Corologia. E’ specie Cosmopolita o SubCosmopolita. Agriotes litigiosus (Rossi, 1792) (fig. 65 d). Solo pochi esemplari di adulti appartenenti a questa specie sono stati catturati nelle ore del crepuscolo nel mese di giugno 2006 con il retinone installato sulla Panda dei Guardiaparco in zona Castello. Probabilmente vivono nei prati della zona. Appartengono alla var. laichartigi caratterizzata da colorazione nero-bruna, prevalente nel nord Italia (Platia, 1994, pag. 218). Corologia. E’ specie a distribuzione EstMediterranea. In linea generale sia le larve sia gli adulti di Ampedus si reperiscono nel legno sia nel fitto del bosco sia ai margini delle radure, ma mai nei filari di salici o querce. Leggendo le note che seguono sarà subito evidente come, anche con ricerche molto specializzate, sia necessaria una buona dose di fortuna per individuare specie generalmente localizzate. Questo fa però ben sperare che ulteriori ricerche, estese anche alle aree del Parco non esplorate o alle zone di pre-parco possano aumentare il numero di specie della Mandria. Ampedus cardinalis (Schiödte, 1865) La specie (fig. 65 e) deve essere distribuita in tutti i boschi del Parco ma sporadica. In anni di ricerche ne ho reperiti soltanto nove adulti e alcune larve (boschi vicino a Rotta Ciuchè, Cascina Fornaci, Cascina Vittoria). Gli adulti si reperiscono principalmente nei ceppi, nelle parti degradate a carie rossa da settembre ad aprile. Successivamente gli adulti si disperdono e non ho mai avuto l’opportunità di individuarne un esemplare. Queste ultime considerazioni sono valide per tutte le specie di Ampedus. Corologia. Specie a distribuzione Europea. Genere Ampedus Dejean, 1833 Ampedus cinnabarinus (Eschscholtz, 1829) E’ la specie (fig. 65 f) di Ampedus di gran lunga più comune a La Mandria e si reperisce pressoché in tutti i boschi del Parco, specie nella parte bassa. Corologia. Sibirico-Europea. Nel territorio monitorato è stato possibile reperire cinque specie appartenenti al genere, tutte a distribuzione europea o sibirico-europea ed infeudate ai boschi di latifoglie. La presenza alla Mandria di grandi quantità di ceppaie e legno morto consente la presenza di ampie comunità di insetti delle quali i numerosissimi Ampedus trovano nutrimento allo stato larvale. Ampedus glycereus (Herbst, 1784) Questa specie (fig. 65 g) è poco diffusa e decisamente sporadica nel Parco. Ne ho reperiti pochi adulti e due larve nel bosco a est della Cascina Fornaci, nella carie rossa di un ceppo di quercia rossa del diametro di circa un metro. Nello stesso ceppo erano presenti anche A. cardinalis e A. pomonae. Corologia. Sibirico-Europea. 75 Ampedus pomorum (Herbst, 1784) Specie reperita attualmente solo allo stadio larvale (un esemplare nei ceppi dei boschi a ovest della Cascina Peppinella). Malgrado le molte ricerche non ho avuto ancora l’avventura di imbattermi in adulti (fig. 65 h). Corologia. Sibirico-Europea. Genere Elater Linnaeus, 1758 Elater ferrugineus Linnaeus, 1758 è l’unica specie appartenente al genere presente in Italia ed è stata reperita nel Parco. La specie è ad alto rischio d’estinzione locale in quanto la larva è predatrice (anche se probabilmente non esclusiva) delle larve del Cetonide Osmoderma eremita (Scopoli, 1763). Quest’ultima specie è stata inserita in Direttiva Habitat perché il suo ambiente d’elezione, la rosura delle cavità dei vecchi tronchi di latifoglie, è seriamente minacciata dal taglio forsennato dei vecchi alberi. In conseguenza, anche E. ferrugineus, una volta molto comune nella pianura torinese, è specie seriamente minacciata. Infatti nel territorio del Parco ne abbiamo reperiti solo due esemplari adulti (catturati al volo con il retinone nelle ore serali del mese di luglio) in prossimità delle grandi querce cariate di Viale Roveri. Una delle conseguenze di questo fortunoso ritrovamento, è stata la decisione, da parte del Parco, di preservare quanto più possibile tali piante. Una nutrita popolazione di larve di E. ferrugineus è stata individuata, assieme a una discreta popolazione di larve di O. eremita in un vecchio olmo cariato situato presso Cascina Comba. Il ritrovamento è stato segnalato per un’adeguata salvaguardia anche di quest’albero. E. ferrugineus è il più grande elateride appartenente alla fauna europea ed è facilmente distinguibile a prima vista (figg. 65i e 65 l). Corologia. Specie a distribuzione EuropeoMediterranea infeudata alle foreste di lati76 foglie. Costituisce un impostante bioindicatore. Genere Betarmon Kiesenwette, 1858 L’unica specie che rappresenta il genere è Betarmon bisbismaculatus (Fabricius, 1803). E’ presente in Italia e comune nel Parco. Si distingue facilmente da qualunque altra per la colorazione caratteristica (fig. 65 m). E’ di piccole dimensioni, essendo lunga da 5 a 6,5 mm circa. Secondo Platia (1994) la specie è presente nelle zone umide e viene catturata falciando le erbe di tali ambienti o sotto le pietre. Curiosamente, per quante ricerche abbia effettuato alla Mandria non sono mai riuscito a reperire esemplari tramite ricerche a vista o retinando le erbe di torrenti, rii o zone paludose. Invece, quando veniva attivata la lampada U.V. in zona Viale Roveri, i Betarmon arrivavano sul lenzuolo in gran numero, come anche in gran numero venivano catturati al crepuscolo tramite il retinone montato sulla Panda dei Guardiaparco. Appaiono in giugno. Corologia. B. bisbismaculatus è specie a distribuzione Turanico-Mediterranea. Genere Melanotus Eschscholtz, 1829 Finora le ricerche effettuate nel Parco ci hanno portato a reperire gli adulti di Melanotus di tre delle cinque specie possibili: M. punctolineatus (Pélerin, 1829), M. villosus (Geoffroy in Fourcroy, 1785), M. tenebrosus (Erichson, 1841). Gli adulti si catturano negli stessi ambienti durante la pausa invernale e più avanti (a seconda delle condizioni climatiche dell’anno), tra la fine di aprile e giugno, su erbe e arbusti al margine delle radure o nelle immediate vicinanze dei salici cavi. Le tre specie, mai comuni, si sviluppano allo stato larvale nelle radici e nei ceppi degli alberi situati al margine delle radure o nelle cavità esposte Fig. 65 - Foto di esemplari adulti delle specie riscontrate nell’area attrezzata della Mandria. Rispettivamente: a Agriotes acuminatus; b A. lineatus; c A. brevis; d A. litigiosus; e Ampedus cardinalis; f A. cinnabarinus; g A. glycereus; h A. pomonae; i Elater ferrugineus (forma chiara); l E. ferrugineus (forma a pronoto scuro); m Betarmon bisbismaculatus; n Cardiophhorus anticus; o Melanotus crassicollis ♂; p M. crassicollis ♀; q M. tenebrosus; r M. villosus; s Zorochrus demustoides (forma melanica); t Z. demustoides; u Z. meridionalis; v Dichronycus cinereus; z D. equisetoides. 77 da nord a est dei salici cariati di Prato Pascolo o di Prato Tori. Le due specie non reperite finora, M. crassicollis (Erichson, 1841) e M. cinerascens Küster, 1852, sono diffuse la prima in tutta la penisola, la seconda in tutto il nord Italia dove sono relativamente comuni. E’ molto probabile quindi la loro presenza anche a La Mandria. Melanotus punctolineatus (Pélerin, 1829). Ne ho reperiti pochi esemplari nelle cavità di alcuni salici di Prato Pascolo nel mese di maggio e in prossimità degli stessi alberi nel mese di giugno sfalciando le erbe. Corologia. Specie a distribuzione Europea-Mediterranea. Melanotus tenebrosus (Erichson, 1841). Un esemplare reperito nello stesso mese falciando i bordi dei prati di Cascina Nuova (fig. 65 q). Corologia. Specie a distribuzione Europea. Melanotus villosus (Geoffroy in Fourcroy, 1785). Alcuni esemplari (fig. 65 r) reperiti falciando vari prati del Parco nei mesi di marzo, aprile e maggio. Un esemplare reperito verso la fine del mese di settembre all’interno di una quercia in zona Cuminetti. Un altro esemplare reperito l’11 novembre all’interno di un salice del filare di Prato Tori. Corologia. Specie a distribuzione Asiatico-Europea. Genere Zorochrus C.G. Thomson, 1859 Le specie appartenenti a questo genere di elateridi, essendo ripicole, sono reperibili generalmente nei ghiaioni e sotto le pietre in riva a torrenti e rii, oppure, al crepuscolo, al volo alla distanza di poche decine di metri al massimo dai greti. Nel caso del Parco La Mandria, essendo i terreni argillosi, gli Zorochrus sono stati reperiti solo nel Torrente Ceronda. Zorochrus demustoides (Herbst, 1806) Ho catturato adulti appartenenti a questa specie sotto le pietre in prossimità del Ceronda nel mese di aprile. A giugno, invece, nelle calde serate estive, alcuni adulti sono stati catturati al volo nei pressi del torrente (figg. 65 s e 65 t). Corologia. Specie a diffusione Europea. Zorochrus meridionalis (Castelnau, 1840) Pochi esemplari raccolti sul greto del Ceronda da aprile a giugno (fig. 65 u). Corologia. Specie a diffusione TuranicoMediterranea. Genere Cardiophorus Eschscholtz, 1829 Delle tre specie italiane appartenenti al genere Cardiophorus che vivono in zone collinose o pianeggianti e che sono segnalate del Piemonte, C. collaris59 Erichson, 1840, C. goezei60 Sanchez & Ruiz 1996, C. anticus61 Erichson, 1840 solo quest’ultima è stata reperita nel Parco ed è considerata molto rara (fig. 65 n). L’ho reperita nel cavo di un unico salice in zona Prato Pascolo verso la metà di marzo. Pur vivendo all’interno del tronco (nel legno delle pareti della cavità alla base e rivolta a ovest) gli adulti, evidentemente exuviati l’anno precedente, erano già molto attivi. Nel mese di maggio, falciando le erbe nell’arco di pochissimi metri dalla cavità ho potuto reperire al- Specie segnalata di Sommariva del Bosco (CN). Sembra la specie più comune ma le segnalazioni sono datate (Della Beffa, 1911): Avigliana, Musinè, Rivoli. 61 Una sola segnalazione Borgoratto (AL). cuni adulti62. C. anticus è specie molto rara e localizzata e per quante ricerche abbia fatto in altri salici del Parco non ho mai reperito un’altra colonia. La località, quindi, dovrebbe essere protetta in quanto questo Cardiophorus è evidentemente a rischio di estinzione locale. L’estrema localizzazione dell’unica specie di Cardiophorus reperita alla Mandria permette di sperare che anche le altre due specie appartenenti al genere possano essere reperite in futuro a seguito di accurate ricerche. Corologia. C. anticus è specie a distribuzione Turanico-Mediterranea, infeudata ai boschi di latifoglie. In considerazione, però, delle caratteristiche della nuova stazione de La Mandria, è più probabile che in realtà la specie sia reperibile ai bordi del bosco o in ampie radure e in presenza di vecchi alberi cariati. Dicronychus equisetoides Loshe, 1976 Anche di questa specie ne ho reperito un solo esemplare retinando i prati presso la Cascina Carbonera verso la fine del mese di aprile (fig. 65 z). Corologia. Distribuzione Centroeuropea. Genere Dicronychus Brullé, 1832 Le specie appartenenti a questo genere di Cardiophorinae è rappresentato nella fauna italiana da cinque specie, due delle quali sono state reperite finora alla Mandria. Si rintracciano raramente nelle ore più fresche falciando con il retino i prati del Parco. Una terza specie, D. equiseti, non ancora individuata, è quasi certamente presente alla Mandria. Dicronychus cinereus (Herbst, 1784). Un solo esemplare (fig. 65 v), raccolto sulle erbe all’interno dei pioppeti in zona Laghi nel mese di maggio. La distribuzione nel Parco di questa specie, come della seguente, è da precisare con ricerche mirate. Corologia. E’ specie a distribuzione Turanico-Mediterranea 59 60 78 Purtroppo nel 2008, a seguito di un forte temporale, il salice che ospitava C. anticus è stato abbattuto dal vento. Fortunatamente la Direzione del Parco ha deciso di lasciare il tronco in loco. 62 79 APPENDICE 1 Genere Ampedus Germar, 1944 - Tavola dicotomica delle larve 3. Tergite del mesotorace nella parte centrale con 2-5 grossi punti, simile a quelli della striscia di punti basale (fig. 70 c). Tergite del metatorace con 5-8 di tali punti. Mesotergite dei tergiti addominali anteriori con 8-12 grossi punti. Inserzione dei muscoli di forma ovale trasversale (fig. 70 d) …................... sanguinolentus (Schrank, 1776) Molto simile alla specie precedente, si distingue comunque da essa per mezzo della Rudolph (1974) ha inserito nella tavola dicotomica delle larve di Ampedus anche Brachygonus megerlei essendo quest’ultimo genere considerato a quei tempi un semplice sottogenere del primo. Ai nostri fini è utile lasciare questa specie, la cui presenza è possibile nel territorio del Parco, nella tavola dicotomica delle larve. 1. Sternite e pleurite dei segmenti punteggiati (fig. 66 a). Lo sternite mostra una banda di punti alla base. Apice del segmento caudale con una spina chitinizzata (fig. 66 b) ........ 2 Sternite e pleurite dei segmenti addominali lisci, completamente senza punteggiatura (fig. 67 a). Apice del segmento caudale a forma di verruca (fig. 67 b) ……………… ………….................................................. Brachygonus megerlei (Lacordaire, 1835) Fig. 66 - Particolari anatomici delle larve di Ampedus praestus: a, segmento addominale in visione ventrale; b, segmento caudale in visione dorsale. Fig. 68 - Particolari anatomici (in visione ventrale) di A. sanguinolentus: a, meso- e metatorace; b, segmento addominale. Fig. 69 - Particolari anatomici (in visione ventrale) di A. praestus: a, meso- e metatorace; b, segmento addominale. Fig. 67 - Particolari anatomici delle larve di Ampedus (Brachygonus) megerlei: a, segmento addominale in visione ventrale; b, segmento caudale in visione dorsale. 2. Pleurite del meso e metatorace punteggiato solo sulla metà anteriore (fig. 68 a). Sternite dei segmenti addominali diffusamente punteggiato o liscio, nella parte basale solo con grossi punti (fig. 68 b) ……...…………………………………………….. 3 Pleurite del meso- e metatorace con grande punteggiatura sull’intera lunghezza (fig. 69 a). Pleurite dei segmenti addominali con righe di grandi punti ben visibili nella parte basale (fig. 69 b) ……………....……….……………….…………….……..... 4 80 Fig. 70 - Particolari anatomici (in visione ventrale) delle larve di A. pomonae: a, tergite del mesotorace; b, tergite del 4° segmento addominale. Idem A. sanguinolentus: c, tergite del mesotorace; d, tergite del 4° segmento addominale 81 caratteristica punteggiatura del petto e dell’addome. Tergite del meso- e metatorace con circa 10-12 robusti punti (fig. 70 a). La punteggiatura del tergite addominale consiste in un gruppo di forti punti sulla parte mediana e di punti più piccoli ai lati. Inserzione dei muscoli di forma ovale allungato (fig. 70 b) …............................................. ......................................................................................... pomonae (Stephens, 1830) 4. L’impressione muscolare dei tergiti addominali (fig. 71) supera il solco longitudinale di una lunghezza pari alla sua larghezza (a=c) o almeno del doppio della larghezza del solco stesso (a=2d) (figg. 72 a,72 b) ………….………...……………………… 5 L’Impressione muscolare dei tergiti addominali non supera lateralmente il solco longitudinale (fig. 73) ................................................................................................... 7 Fig. 73 - Tergite del 4° segmento addominale delle larve di A. pomorum. Fig. 74 - Tergite del 4° segmento addominale delle larve di A. cinnabarinus. Fig. 71 - Impressione muscolare dei tergiti addominali di una larva appartenente al genere Ampedus. 6. Il mediotergite del mesotorace, del metatorace e dei segmenti addominali uniformemente e densamente ricoperto di grossi punti (fig. 72 a). Parte basale degli sterniti addominali ricoperta da una fascia di punti disposta in almeno tre file (fig. 72 a), egualmente la fascia basale di punti dello sternite (fig. 75 a). Punta del segmento caudale conica, lateralmente diritta (fig. 75 b) .............................. praestus (Fabricius, 1792) Il mediotergite del mesotorace, del metatorace e dei segmenti addominali ricoperto solo con un piccolo gruppo di grossi punti (fig. 72 b). Parte basale degli sterniti addominali ricoperta da una fascia di punti disposta su due sole righe, egualmente la fascia basale di punti dello sternite. Segmento caudale lateralmente arrotondato (fig. 76) .... ........................................................................................ cardinalis (Schiődte, 1865) Fig. 72 - Tergite del 4° segmento addominale delle larve di, rispettivamente: a, A. praestus; b, A. cardinalis. 5. L’Impressione muscolare dei tergiti addominali supera il solco longitudinale di una lunghezza pari alla sua larghezza (a=c) (figg. 72 a,72 b) ......................................... 6 L’Impressione muscolare dei tergiti addominali supera il solco longitudinale di una lunghezza solo pari al doppio della larghezza del solco stesso (a=2d) (fig. 74) …........ .............................................................................. cinnabarinus (Eschscholtz, 1829) 82 Fig. 75 - Particolari anatomici delle larve di A. praestus: a, sternite del 4°segmernto addominale; b, segmento caudale. 83 ELENCO DELLE SPECIE CITATE Fig. 76 - Segmento caudale delle larve di A. cardinalis. 7. Lati del segmento caudale arrotondati, senza intaccature sul terzo apicale (fig. 77 a). Spina apicale corta, non più lunga che larga alla base (fig. 77 a). Lunghezza fino a 18 mm, larghezza fino a 1,6 mm ............................................. glycereus (Herbst, 1784) Segmento caudale a forma di cono aguzzo, lateralmente diritto, con 1-2 tacche (incisioni) nel terzo apicale. Spina apicale corta e deformata (fig. 77 b). Lunghezza fino a 25 mm, larghezza fino a 2 mm ............................................ pomorum (Herbst, 1784) Adrastus binaghii Adrastus lacertosus Adrastus limbatus Adrastus pallens Adrastus rachifer Aeloderma crucifer Agriotes acuminatus Agriotes brevis Agriotes gallicus Agriotes linearis Agriotes lineatus Agriotes litigiosus Agriotes obscurus Agriotes sputator Agriotes ustulatus Agrypnus murinus Ampedus cardinalis Ampedus cinnabarinus Ampedus glycereus Ampedus nigerrimus Ampedus nigrinus Ampedus pomonae Ampedus pomorum Ampedus praestus Fig. 77 - Segmento caudale delle rispettivamente delle larve di: a, A. glycereus; b, A. pomorum. 84 Ampedus sanguineus Ampedus sanguinolentus Anostirus castaneus Anostirus purpureus Athous bicolor Athous flavipennis Athous haemorrhoidalis Athous hirtus Athous vittatus Betarmon bisbismaculatus Brachygonus megerlei Cardiophorus anticus Cardiophorus collaris Cardiophorus goezei Cardiophorus rufipes Cidnopus aeruginosus Cidnopus pilosus Cidnopus pseudopilosus Ctenicera cuprea Fig. 62 (adulto). Pag. 65; 74. Fig. 62 (adulto); 63 (adulto). Pag. 67; 74. Fig. 33 (larva); 37 (larva); 62 (adulto); 64 (adulto). Pag. 67; 74. Fig. 37 (larva); 62 (adulto); 63 (adulto). Pag. 67; 69; 74. Fig. 37 (larva); 62 (adulto). Pag. 67; 74. Pag. 53. Fig. 65 (adulto). Pag. 65; 69; 74. Fig. 65 (adulto). Pag. 66; 68; 74. Pag. 65; 74. Fig. 24 (larva). Fig. 33 (larva); 65 (adulto). Pag. 65; 69; 74; 75. Fig. 65 (adulto). Pag. 65, 69, 74, 75. Fig. 25 (larva). Pag. 35, 65, 69, 74, 75. Fig. 32 (larva). Pag. 66. Fig. 33 (larva). Pag. 65; 74. Fig. 9 (adulto); 26 (larva); 34 (larva); 64 (adulto). Pag. 53; 64; 68; 70. Fig. 11 (adulto); 53 (parameri); 65 (adulto); 72 (larva); 76 (larva). 56; 69; 75; 83. Fig. 65 (adulto); 74 (larva); Pag. 57, 69, 75, 82. Fig. 65 (adulto), 77 (larva). Pag. 59, 69, 75, 84. Fig. 31 (larva); 32 (larva); 37 (larva). Fig. 34 (larva). Fig. 54 (adulto); 65 (adulto); 70 (larva). Pag. 57; 75, 82. Fig. 73 (larva); 77 (larva). Pag. 58; 69; 76; 84. Fig. 31 (larva). 32 (larva); 53 (parameri); 66 (larva); 69 (larva); 72 (larva); 75 (larva). Pag. 56; 83. Fig. 5 (ninfa). Fig. 54 (adulto); 68 (larva); 70 (larva). Pag. 57; 81. Fig. 34 (larva). Fig. 8 (adulto); 36 (larva); 64 (adulto). Pag. 22; 64; 68; 70. Fig. 60 (adulto); 64 (adulto). Fig. 64 (adulto). Pag. Pag. 64; 68; 73. Fig. 29 (larva); 35 (larva); 59 (adulto); 64 (adulto). Pag. 64; 68; 73. Fig. 35 (larva). Fig. 26 (larva); 64 (adulto). Pag. 64, 68, 73. Fig. 65 (adulto). Pag. 23; 25; 30; 36; 62; 69; 76. Fig. 32 (larva); 51 (adulto); 67 (larva). Pag. 55; 80. Fig. 65 (adulto). Pag. 61; 69; 78; 79. Pag. 61; 78. Pag. 78. Pag. 61. Fig. 35 (larva); 64 (adulto). Pag. 63; 72. Fig. 26 (larva); 64 (adulto). Pag. 63; 68; 72. Pag. 63; 68; 72. Fig. 33 (larva). 85 Dalopius marginatus Danosoma fasciata Denticollis linearis Dichronycus cinereus Dichronycus equiseti Dichronycus equisetoides Drasterius bimaculatus Ectinus aterrimus Elater ferrugineus Fleutiaxellus maritimus Harminius undulatus Hemicrepidius hirtus Ischnodes sanguinicollis Kibunea minutus Lacon punctatus Limoniscus violaceus Limonius aeneoniger Megapenthes lugens Melanotus brunnipes Melanotus cinerascens Melanotus crassicollis Melanotus niger Melanotus punctolineatus Melanotus rufipes Melanotus tenebrosus Melanotus villosus Negastrius pulchellus Negastrius sabulicola Nothodes parvulus Oedostethus novaki Oedostethus Paracardiophorus musculus Procraeus tibialis Prosternon tessellatum Selatosomus cruciatus Synaptus filiformis Zorochrus alysidotus Zorochrus boubersi Zorochrus demustoides Zorochrus dermestoides Zorochrus meridionalis Zorochrus minimus Fig. 32 (larva). Fig. 34 (larva); 35 (larva). Fig. 26 (larva); 29 (larva); 32 (larva); 64 (adulto). Pag. 43; 67; 68; 72. Fig. 65 (adulto). Pag. 60; 69; 79. Pag. 61; 79. Fig. 65 (adulto). Pag. 60; 69; 79. Fig. 27 (larva), 64 (adulto). Pag. 22; 53; 68; 70. Fig. 31 (larva). Fig. 12 (adulto); 4 (larva); 31 (larva); Fig. 65 (adulto). Pag. 20; 29; 64; 69; 76. Fig. 35 (larva). Pag. 43. Fig. 35 (larva). Fig. 64 (adulto). Pag. 63; 68. Fig. 32 (larva); 37 (larva); 49 (adulto). Pag. 54; 55. Fig. 64 (adulto). Pag. 63; 68; 72. Pag. 53. Fig. 35 (larva). Fig. 36 (larva). Fig. 32 (larva); 37 (larva); 48 (adulto). Pag. 54. Fig. 31 (larva). Pag. 62; 78. Fig. 65 (adulto). Pag. 62; 69; 78. Fig. 31 (larva). Pag. 40 (nota); 62; 76; 78. Fig. 31 (larva); 32 (larva). Fig. 65 (adulto). Pag. 62; 69; 76; 78. Fig. 65 (adulto). Pag. 40 (nota); 62; 69; 76; 78. Fig. 26 (larva); 33 (larva); 56 (adulto). Pag. 59. Fig. 56 (adulto). Pag. 60. Fig. 64 (adulto). Pag.63; 68; 72. Pag. 60. Fig. 26 (larva). Fig. 58 (adulto). Pag. 61. Fig. 34 (larva); 37 (larva); 50 (adulto). Pag. 55. Fig. 34 (larva); 36 (larva); 64 (adulto). Pag. 22; 64; 68; 70; 72. Fig. 34 (larva). Fig. 32 (larva); 33 (larva); 37 (larva); 64 (adulto). Pag. 66; 69; 74. Pag. 58. Fig. 55 (adulto). Pag. 59. Fig. 65 (adulto). Pag. 59; 69; 78. Fig. 26 (larva); fig. 35 (larva); Fig. 55 (adulto). Fig. 65 (adulto). Pag. 59; 69; 78. Pag. 37 (nota); 59 (nota). RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Atlante della Biodiversità nel Parco Ticino. Volume 1 Elenchi Sistematici. Parco del Ticino, 2002. Baudi di Selve Flaminio, Catalogo dei Coleotteri del Piemonte. “Annali della Regia Accademia di Agricoltura di Torino”, Torino. 1889. Binaghi Giovanni, I Melanotini della fauna italiana Sphenicosomus Schw. E Melanotus Eschs. “Memorie della Società Entomologica Italiana”, Genova. 1939. Binaghi Giovanni, Sulla meccanica del salto degli elateridi. “Bollettino della Società Entomologica Italiana, Volume LXXIV N 1, Genova. 1942. Curletti Gianfranco. L’entomocenosi xilofaga del Parco della Mandria (Piemonte, Italy). Rivista Piemontese di Scienze Naturali, 17, 1996:151-165. 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