Gustav Klimt
Nel campo pittorico l’Art Nouveau non fu un vero e proprio stile, utilizzato soprattutto in
architettura, nella grafica o nelle arti applicate. Tuttavia il pittore che più di ogni altro
raccolse nel suo linguaggio le indicazioni che derivavano dall’Art Nouveau fu Gustav
Klimt.
Egli iniziò la sua carriera come artista ufficiale,
realizzando decorazioni pittoriche di diversi edifici
pubblici, come gli affreschi per alcune pareti al
Kunsthistorisches Museum e soprattutto la decorazione
per il soffitto dell'aula magna dell'Università di
Vienna, avente per tema la Filosofia, la Medicina e la
Giurisprudenza1, eseguite da Klimt tra il 1900 e il 1903.
Questo lavoro provocò aspre critiche da parte delle
autorità viennesi, che gli contestarono il contenuto
erotico, l'inedita impostazione compositiva dei dipinti e la
inusuale interpretazione.
Ad esempio in Medicina, invece di celebrare il trionfo
della scienza ed il suo potere terapeutico, Klimt raffigurò
l’eterno ed insensato trapassare dell’esistenza dalla vita
alla morte: giovani, vecchi, bambini, donne e uomini nudi
fluttuano solitari nello spazio siderale, mentre la figura
della morte li avvolge con il suo velo nero. In primo piano
Gustav Klimt, Medicina
Igea, dea della salute, funge da tramite tra questo teatro
opera distrutta nel 1945
del dramma umano e lo spettatore.2
La vicenda artistica di Gustav Klimt (1862-1918), coincide più che altro con la storia della
Secessione viennese.
Con il termine Secessione3 si intendono quei movimenti artistici, nati a fine ’800 tra
Germania ed Austria, che avevano come obiettivo la creazione di uno stile che si
opponesse a quello accademico. Di fatto, le Secessioni introdussero in Austria e in
Germania le novità stilistiche dell’Art Nouveau che in quel momento dilagavano per tutta
Europa. La prima Secessione nacque a Monaco di Baviera nel 1892. Fu seguita nel
1897 da quella di Vienna e nel 1898 da quella di Berlino.
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https://culturificio.org/klimt-e-i-pannelli-dellaula-magna/ APPROFONDIMENTO SUI PANNELLI.
Klimt riuscì a riacquistare le sue tele dallo stato austriaco e, sul finire della seconda guerra mondiale, vennero nascoste
nel castello di Immendorf per sfuggire alle confische tedesche. In seguito ad un incendio, probabilmente appiccato
proprio dalle truppe tedesche in fuga, i quadri andarono completamente distrutti.
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Il termine Secessione venne ripreso dalla storia romana, infatti essa era una forma di lotta politica adottata dalla plebe
romana, tra il V ed il III secolo a.C., per ottenere una parificazione di diritti con i patrizi. La secessione consisteva nel
fatto che la plebe abbandonava in massa la città; in questo modo tutti i negozi e le botteghe artigiane restavano chiuse
ed inoltre non era possibile convocare le leve militari che in quel periodo facevano sempre più ricorso anche ai plebei.
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La Secessione viennese fu un vasto
movimento culturale ed artistico che vide
coinvolti architetti e pittori, si diffuse grazie alla rivista “Ver Sacrum” (Primavera Sacra”) e
si dotò anche di una sua sede progettata dall’architetto Joseph Olbrich.
Concepito come tempio dell’arte moderna, il monumento divenne dal momento della sua
inaugurazione (1898) il simbolo della Opera d’arte totale di cui parlava Wagner, ovvero
l’unione tra le Arti: architettura, pittura, scultura, poesia, musica e danza, ospitando, oltre a
quelle locali, diverse esposizioni di artisti moderni stranieri: Rodin, Van Gogh, Gauguin,
Toulouse-Lautrec, Segantini, Böcklin, Munch.
Si tratta di una struttura elegante e rigorosamente geometrica costituita essenzialmente da
parallelepipedi compatti, chiusi dal segno netto di una semplice cornice aggettante, priva
di ornamentazione classica.
Le pareti lisce sono arricchite per tutto il suo perimetro da elementi floreali e zoomorfi
stilizzati (foglie di alloro, tartarughe, lucertole, gufi) e geometrici (sfere e triangoli posti a
coronamento delle lesène).
La copertura è dominata da un’originalissima cupola traforata (unica fonte di luce dello
spazio interno) con 3000 foglie di alloro laminate d’oro che creano un contrasto netto con il
candore delle murature sottostanti. Essa è la corona di alloro, simbolo della consacrazione
ad Apollo, dio delle Arti, nonché del trionfo della creatività e della libertà artistiche.
Su di una larga trabeazione, infine, è riportato poi il motto della secessione:
“Al tempo la sua arte, all’arte la sua libertà”.
La presenza di musicisti, di intellettuali e di scrittori rendevano Vienna una delle città più
affascinanti d’Europa, ma era un mondo che stava per scomparire, consapevole della sua
prossima fine. Cosa che avvenne effettivamente con lo scoppio della prima guerra
mondiale che decretò la dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico.
Questa coscienza della fine, tratto comune a molta cultura decadentista di fine secolo,
pone anche la Secessione viennese nell’alveo della pittura simbolista4. E tale caratteristica
è riscontrabile anche nella pittura di Klimt che rimane il personaggio più vitale ed
emblematico della Secessione viennese.
Un’opera in cui è già visibile l’inconfondibile stile di Gustav Klimt è sicuramente
«Giuditta I» del 1901 (olio su tela, 84x42 cm, Vienna, Österreichische Galerie Belvedere).
L’opera è considerata come la prima opera del
periodo aureo. Da questo momento in poi, per circa
un decennio, l'uso del colore oro diviene uno dei tratti
stilistici del Klimt più noto.
Il soggetto è ovviamente una rivisitazione della storia
biblica dell’eroina ebrea Giuditta, protagonista della
vicenda che la porta a tagliare la testa del generale
assiro Oloferne per vincere l'assedio in cui era tenuta
la sua città. Il soggetto è stato sempre utilizzato quale
metafora del potere di seduzione delle donne, che
riesce a vincere anche la forza virile più bruta. In
clima simbolista la figura di Giuditta si presta
ovviamente all’esaltazione della «femme fatale»
quale simbolo di quella esasperazione dell'eros che
giunge a confondere i confini tra amore e morte.
L'immagine ha un taglio verticale molto accentuato
con la figura di Giuditta, di grande valenza erotica, a
dominare l'immagine quasi per intero. La testa di
Oloferne appare appena di scorcio, in basso a destra,
tagliata per oltre la metà dal bordo della cornice.
Da notare la notevole differenza tra gli incarnati della
figura, che hanno una resa tridimensionale, e le vesti,
trattate con un decorativismo bidimensionale molto
accentuato. Klimt riesce a fondere mirabilmente
figura e decorazione astratta, in uno schema compositivo di grande eleganza formale. I
tratti di Giuditta sono probabilmente quelli di Adele Bloch-Bauer, esponente dell'alta
società viennese, della quale Klimt eseguì due ritratti. La splendida cornice in rame
sbalzato, anch'essa in chiaro stile «secessione viennese», fu realizzata da suo fratello
Georg, scultore e cesellatore.
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Caratteristica della pittura simbolista è il non riprodurre oggetti, ma esprimere idee, traducendole nel linguaggio sintetico dei
simboli. Il mondo dei simbolisti è dominato dal sogno, dall'immaginario, dal fantastico, dal soprannaturale. Le composizioni
raffigurano situazioni in cui appaiono simboli tratti da svariati repertori: la storia antica, la mitologia, la religione. Talvolta,
compaiono anche simbologie orientali, alchemiche ed esoteriche. Sul piano stilistico le opere si caratterizzano per le tonalità cupe e
un raffinato decorativismo, che concorrono a suggerire un certo senso di mistero.
Da questo momento il suo stile si fa decisamente bidimensionale, con l’accentuazione del
linearismo e delle campiture vivacemente decorate.
Nel 1902 il Palazzo della Secessione ospita una mostra dedicata a Ludwig van
Beethoven (1770-1827), il compositore romantico tedesco celebrato, secondo la
teoria del genio e del superomismo
nietzschiano, come esempio dell'uomo
capace di riscattarsi titanicamente, attraverso
l’arte, dalla tragicità del reale. All’ingresso
campeggiava il monumento policromo di
Beethoven, in cui lo scultore, pittore e
incisore tedesco Max Klinger aveva voluto
riecheggiare nientemeno che il colosso
crisoelefantino di Zeus eretto da Fidia nel
tempio di Olimpia5.
Klimt partecipa con la realizzazione di un Fregio che orna la parte superiore di tre
delle pareti della sala laterale di sinistra, articolando, come nel fregio di un tempio
classico, la rappresentazione allegorica di temi ispirati alla Nona sinfonia del
compositore. Si tratta di un'allegoria dell'arte e della condizione umana.
Nel Fregio assistiamo alla travagliata ascesa dell'anima umana verso una felicità
superiore e una gioia raggiungibili solo attraverso la redenzione garantita dall'arte.
Con una scelta compositiva assolutamente inedita la lunga parete di sinistra, di fronte
all'ingresso della sala nella collocazione originale, è lasciata quasi completamente nuda.
Lungo il margine superiore un sottile ricamo di figure femminili distese, appena
tratteggiate, conduce a un gruppo isolato che rappresenta il sofferto anelito umano verso
la felicità: secondo le parole dello stesso Klimt, «l'uomo forte e ben armato», rappresentato
La statua rappresenta Beethoven sul trono simile a una divinità dell’Olimpo. E’ circondato dalle insegne del potere divino e terreno:
l’angelo, l’aquila, la rupe e il trono. Questa scultura vuole esprimere l’orgoglio della nazione austriaca per questo figlio illustre e
rappresentare il genio del compositore.
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da un guerriero in armatura dorata, si prepara a superare le avversità spinto dalle
suppliche di due figure inginocchiate e ispirato dalle personificazioni dell’Orgoglio e
della Compassione.
La parete centrale, più corta, è invece gremita di figure che rappresentano la via irta di
ostacoli che l'uomo dovrà attraversare.
Il bestiale gigante Tifeo è circondato, a sinistra, dalle tre Gorgoni (rappresentazioni della
malattia, della follia e della morte) e, a destra, da tre personaggi femminili che incarnano
l'incontinenza, la voluttà e la lussuria. Isolata, si rode l'angoscia, mentre in alto i desideri e
le aspirazioni degli uomini volano via.
Sulla terza parete, scandita in due
episodi principali separati tra loro,
assistiamo alla redenzione. Dapprima
«l’anelito alla felicità si placa nella
poesia», una silhouette femminile
arcaica e orientaleggiante che reca
una grande cetra.
Più oltre Klimt offre una rappresentazione figurativa del coro che conclude la sinfonia di
Beethoven celebrando la gioia come manifestazione divina: al centro di un coro d'angeli,
una coppia di amanti, stretti in un abbraccio e incoronati di luce, rappresenta la pienezza
di un'umanità che sappia ricongiungere, grazie all'arte, la componente terrena e quella
spirituale.
Sotto il profilo tecnico, Klimt dipinge il fregio con un procedimento molto originale: colori
alla caseina applicati sull’intonaco, con inserti in madreperla e pietre dure ma anche
materiali “poveri” come chiodi, bottoni, anelli per tende, frammenti di specchio. La
composizione replica le pause e i crescendo dell’opera sinfonica, con lunghi spazi vuoti
seguiti da un affollamento di immagini e di ornamenti e da un’intensità emotiva avvolgente,
tale da coinvolgere lo spettatore e trasportarlo in una condizione estatica di assoluta
elevazione spirituale.
Il bacio (1907-08, olio su tela, 180x180 cm, Vienna Österreichische Galerie Belvedere)
È probabilmente il quadro più famoso di Gustav Klimt ed uno di quelli che meglio sintetizza
la sua arte. Come altri quadri di questo periodo ha formato quadrato. In esso le figure
presenti sono due: un uomo ed una donna inginocchiati su un piccolo rettangolo erboso
nell’atto di abbracciarsi.
Delle due figure, le uniche parti realizzate in maniera naturalistica sono i volti, le mani e le
gambe della donna. Per il resto l’uomo e la donna sono interamente coperte da vesti
riccamente decorate. Quella dell’uomo è realizzata con forme rettangolari erette in
verticale, mentre la veste della donna è decorata con forme curve concentriche. La
differente geometria delle due vesti è espressione della differenza simbolica tra i due
sessi. Dell’uomo è visibile solo la nuca ed un parziale profilo molto scorciato. La donna ci
mostra invece l’intero viso, piegato su una giacitura orizzontale. Ha gli occhi chiusi ed
un’espressione decisamente estatica. È proprio il volto della donna che dà al quadro un
aspetto di grande sensualità.
L’elemento più appariscente, la profusione d’oro sul fondo e sugli abiti dei due amanti, è
un’influenza dell’arte bizantina. I mosaici di Ravenna del V e VI secolo d.C., infatti, erano
ben noti all’artista austriaco che si era recato per ben due volte nel 1903, presso l’antica
capitale dell’Impero Romano d’Occidente.
E ricorda le icone bizantine anche il diverso
trattamento delle parti del corpo: tridimensionali le
mani, i volti e i piedi, con un leggero chiaroscuro e
una netta linea di contorno; completamente
bidimensionali i corpi, gli abiti e lo spazio.
L’insolito abbigliamento degli amanti ricorda molto le
tuniche indossate da Klimt e quelle che egli creava
per la sua compagna Emilie Flöge, una delle prime
donne ad abbandonare il corsetto a favore di questi
morbidi abiti con i quali posa per l’artista sia nelle foto
che nei dipinti.
Ritratto di Emilie Flöge 1902
olio su tela Museum Karlsplatz, Vienna
Nell’arte di Klimt la donna occupa un posto decisamente
primario. Rinnovando il mito della «femme fatale» per Klimt la
donna è l’idea stessa di eros. Di quell’eros che è a un tempo
amore e morte, salvezza e perdizione.
È un’idea che serpeggia in tutta la mentalità del tempo, ma con connotazioni decisamente
antifemministe. In Klimt la posizione tende invece a ribaltarsi, assumendo la donna ruolo di
decisa superiorità rispetto all’uomo. È lei la depositaria di quel gioco amoroso che rinnova
continuamente la vita e la bellezza.
In quest’opera il bacio assume un significato cosmico, universale.
L’armonia formale del quadro, insieme al contenuto di elegante erotismo, fanno di questo
quadro il prodotto di un tempo che stava rapidamente scomparendo. La comparsa in
quegli anni dell’espressionismo rese manifesta l’inattualità di questo mondo klimtiano fatto
di eleganza e sensualità, che presto scomparve per tempi più drammatici e violenti segnati
dagli eventi bellici della prima guerra mondiale.
Danae
(1907-08, 77x83 cm, Vienna Galerie Vürthle)
Il quadro è uno dei più noti di Klimt ed appartiene alla sua fase creativa più feconda. Il
tema che egli tratta è ancora l'erotismo femminile, che egli rappresenta nella rivisitazione
del mito di Danae6, personaggio dell'antica mitologia greca, che, secondo la leggenda, fu
fecondata nel sonno da Giove, trasformatosi in pioggia d'oro.
L'espressione di estatico abbandono della donna rimanda ad una dimensione onirica
dell'eros, molto frequente nelle immagini di Klimt, fatta soprattutto di percezioni interiori
che non di un superficiale appagamento dei sensi.
Il corpo completamente abbandonato di Danae è circondato e ricoperto dai capelli, da un
velo orientaleggiante e sulla sinistra da una pioggia d'oro. Nello scroscio della pioggia
d'oro, che riecheggia di preziosismi bizantini, Klimt aggiunge un unico simbolo maschile,
proprio vicino ai genitali della donna e mischiato nella pioggia d'oro, un piccolo e astratto
rettangolo nero, che rappresenta il principio maschile, come abbiamo visto ne Il Bacio.
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Secondo il mito greco, la bellissima Danae fu rinchiusa in una torre di bronzo dal padre Acrisio, re di Argo per tenere
lontani i suoi corteggiatori. Secondo una profezia infatti, se questo non fosse avvenuto, Acrisio sarebbe stato ucciso dal
nipote. Zeus però non si rassegnò, e penetrò nella torre sotto forma di nuvola. Per mezzo di una pioggia dorata, fecondò
Danae. Da tale unione, nacque Perseo.
Klimt descrive l’incontro tra Danae e Zeus come se fosse un sogno, affrontando il soggetto
in maniera raffinata e allusiva. Danae è spiata nell’intimità del sonno, rannicchiata in uno
spazio molto stretto e quasi soffocato dai dettagli. Il viso reclinato e la bocca socchiusa,
tuttavia, sembrano narrare il momento dell’estasi amorosa di Danae, descrivendone quindi
il suo abbandono totale; tale momento è inoltre ben evidenziato anche dalla lieve
contrazione della mano.
L’opera è indice dell’approssimarsi della fine del periodo d’oro: difatti questo non è più
dominante nella composizione, ed inoltre la componente bidimensionale e decorativa
tendono a perdere importanza a favore di un ritorno alla figurazione. Dopo un periodo di
crisi esistenziale ed artistica, il suo stile conobbe una nuova fase: scomparsi gli ori e le
eleganti linee liberty, nei suoi quadri diviene protagonista il colore acceso e vivace. La sua
attività si interruppe nel 1918, quando a cinquantasei anni morì a seguito di un ictus
cerebrale.