riflessioni per il periodo d`Avvento quarta parte

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Dal libro del profeta Isaia (Is 60, 1-5)
Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra,
nebbia fitta avvolge le nazioni;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno i popoli alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
A quella vista sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché le ricchezze del mare si riverseranno su di te,
verranno a te i beni dei popoli.
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Dal Vangelo secondo Luca (2, 1-20)
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo
primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare,
ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di
Nàzaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare
insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per
lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una
mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.
C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un
angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da
grande spavento, ma l'angelo disse loro: "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di
tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il
segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia". E subito apparve con
l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva:
"Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e pace in terra agli uomini che egli ama".
Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: "Andiamo fino a
Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere". Andarono dunque
senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo
visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose
che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.
I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto,
com'era stato detto loro.
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Attorno al bambino Luca conduce i pastori, gente umilissima. Matteo conduce invece
personaggi solenni. La differenza però è meno marcata di quanto non sembri: i Magi sono
persone importanti, sono venuti con dei doni, questo è vero, ma sono pur sempre stranieri,
dunque collocati dalla mentalità religiosa del tempo tra gli ultimi, fra i pagani, lontani da Dio.
Matteo annota che sono proprio i lontani i primi ad arrivare, al contrario di Erode, che
invece si turbò: altra chiara anticipazione del futuro destino di Gesù, rifiutato dai vicini e
accolto dai lontani.
Erano “Magi” e venivano da “oriente”: ecco i soli dati espliciti, assai vaghi. Il Vangelo non
dice che furono “re”, né che furono “tre”, come invece si affermerà più tardi nella tradizione,
probabilmente in base alla qualità e al numero dei doni che portarono (oro, incenso e mirra).
Il vocabolo greco magos ha una gamma significati molto ampia: sacerdoti persiani, astrologi,
detentori di poteri soprannaturali, propagatori di una nuova religione e, per finire, anche
ciarlatani. Nel nostro racconto sembra giusto pensare a dei sapienti.
L’essenziale per l’evangelista è che alcuni saggi vengono da lontano a cercare Gesù, mentre
Erode lo perseguita e lo fa fuggire.
I Magi non pensano che Gesù sia un salvatore o il Messia e neppure un profeta. Lo chiamano
“il re dei Giudei”. E re lo è davvero. Ma l’evangelista si premura di collocare la sua regalità nel
giusto contesto: Gesù è un re perseguitato e fuggiasco. L’evangelista riparlerà della regalità di
Gesù nel contesto della Passione e della croce.
È questo il vero contesto per comprendere la regalità del Signore.
La tesi principale è che Gesù è un messia cercato e rifiutato. Per la verità i profeti avevano già
parlato di lui come di una pietra di contraddizione. In questo nulla di nuovo. Ma la sorpresa
è, appunto, che sono i lontani a cercarlo (i Magi) e i vicini a rifiutarlo (Erode e
Gerusalemme). Tutto il Vangelo di Matteo è segnato da questa sorpresa. La venuta di Gesù
provoca un giudizio, svela le nascoste e profonde parentele del cuore dell’uomo, al di là di
appartenenze già costituite. L’accoglienza dei lontani e il rifiuto dei vicini fu una sorpresa, ma
questo non significa che nel comportamento di Dio sia subentrato un mutamento di
solidarietà.
Al contrario, Dio non fa che applicare, come sempre, il principio che l’accoglienza della verità
è il criterio decisivo. Non è questione di vicinanza o lontananza, di essere anagraficamente di
qua o di là. È unicamente questione di autentica ricerca e di interiore disponibilità.
(da B.Maggioni, I personaggi della natività, Ancora 2004)
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È sempre a sera ma più ancora di notte
quando le imposte chiuse ci esiliano
e senti dal calore del corpo
salire il freddo della solitudine
e tutto è vivo in immediate forme
d’impotenza e di chiuso,
che io tento di bruciarmi tutto,
di avverare l’irripetibile rischio
di una fede totale e costringente
tutte le fibre madide di buio
a quell’unica Stella che trascina
tutta la notte.
(R.Barsacchi)
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Dal Vangelo secondo Matteo (2, 1-12)
Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a
Gerusalemme e domandavano: "Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e
siamo venuti per adorarlo". All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta
Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui
doveva nascere il Messia. Gli risposero: "A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del
profeta:
E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda:
da te uscirà infatti un capo
che pascerà il mio popolo, Israele.
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa
la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: "Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando
l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo".
Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva,
finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una
grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono.
Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non
tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.
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Ma veniamo finalmente al racconto della nascita di Gesù (2,1-20). Già la struttura di questo
bellissimo racconto è significativa: l’intera narrazione è infatti racchiusa in tre movimenti,
ordinati secondo la tipica figura dell’evento cristiano: il fatto, l’annuncio, l’accoglienza. È una
sequenza aperta: i pastori, che hanno ricevuto e accolto l’annuncio della nascita di Gesù, a
loro volta raccontano.
Così l’evento cristiano cammina nella storia, contemporaneo a ogni generazione. Ma l’evento
cristiano è un atto storico preciso, e come tale singolare e irripetibile. Per questo
nell’intelligente struttura pensata da Luca il fatto è raccontato tre volte, quasi con le stesse
parole in ciascuno dei tre movimenti: “ Un bambino avvolto in fasce e deposto nella
mangiatoia”. L’evento cristiano si fa contemporaneo a ogni generazione, ed è giusto che ogni
generazione lo festeggi a modo suo, ma il fatto fondatore deve restare il medesimo, immobile.
Tutto il resto, l’annuncio e l’accoglienza, è per comprendere e attualizzare il fatto. Il lettore di
Luca è invitato a seguire l’intera narrazione mantenendo fermo lo sguardo sul nudo fatto del
“bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia”.
L’immagine del bambino, che Luca ripete per tre volte, colpisce per la sua totale semplicità. Il
particolare che più meraviglia è l’assenza di ogni tratto meraviglioso. I pastori sono sì avvolti e
intimoriti dalla gloria di Dio, ma il segno che ricevono è semplicemente: “ Troverete un
bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia”. E quando giungono a Betlemme non
vedono altro che un “un bambino deposto nella mangiatoia”. La meraviglia del Natale sta qui.
Il racconto passa dal motivo della povertà al motivo della gloria: è così che povertà e gloria si
chiariscono reciprocamente. Senza la gloria non capiremmo che quel bambino deposto in una
mangiatoia è il Signore. E senza il bambino deposto nella mangiatoia non capiremmo che la
gloria del vero Dio è diversa dalla gloria dell’uomo.
La meraviglia è che a essere proclamato salvatore, Messia e Signore (così le parole dell’Angelo)
è un bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia. Se si scioglie questo legame fra il
bambino e il Signore, la nuda semplicità e la gloria, Il Natale smarrirebbe del tutto il suo
significato.
Comprendiamo allora che la meraviglia del Natale è una meraviglia che richiede conversione,
una conversione teologica: l’epifania del Signore non segue le regole della gloria degli uomini,
che sono sempre tentati di nascondere la semplicità del bambino dentro le forme seducenti
della potenza e del prestigio, dello straordinario, della gloria degli uomini. Ma in questo caso
rischiamo di perdere la lieta notizia di un dio che veramente si è fatto uomo per noi.
Lo straordinario, che non cessa di stupire, è che l’epifania del divino si mostra, anche in
questa scena, priva di ogni straordinarietà. L’assenza della straordinarietà, quella che
immaginano gli uomini, è parte essenziale della verità dell’evento cristiano.
Maria e Giuseppe non trovano posto all’albergo (l’evangelista sembra sottolineare che non
c’era posto “per loro”: forse c’era posto per altri più ricchi, ma non per loro), e si rifugiano per
la notte probabilmente in una piccola grotta scavata nel fianco della collina in vicinanza delle
case. E qui nasce Gesù, che l’angelo annuncia ai pastori come “un salvatore, che è il Messia, il
Signore” (2,11).
Di notte i pochi animali che le singole famiglie possedevano venivano fatti rientrare nelle
stalle. I greggi più numerosi rimanevano però all’aperto, nella steppa, con alcuni pastori di
guardia. Erano, questi, uomini che, secondo l’opinione comune, si trovavano ai gradini pi
bassi della stima sociale e religiosa: il nomadismo ispirava diffidenza, le condizioni di vita che
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imponeva non favorivano certo l’osservanza di tutte le purificazioni rituali, a cui scribi e farisei
tenevano tanto, e i pastori erano, di conseguenza, considerati impuri, o quasi.
Ma è proprio ai pastori, per primi, che la nascita di Gesù viene annunciata e spiegata, nel suo
significato universale, da un “angelo” apparso nella notte: “Non abbiate paura: sono infatti
qui per annunciarvi una buona notizia, che sarà gioia per tutto il popolo: oggi nella città di
Davide è nato per voi il Salvatore” (2, 10-11). Annuncio commentato da un canto di pace:
“Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace sulla terra agli uomini che egli ama” (2,14). Che la
lieta notizia sia annunciata ai pastori per primi non sorprende: è semplicemente una chiara
anticipazione del futuro comportamento di Gesù che, frequentando poveri, pubblicani e
peccatori, tanto avrebbe irritato i benpensanti del suo tempo.
Luca elenca con cura gli atteggiamenti che l’uomo deve assumere di fronte al dono di Dio. Lo
fa proprio parlando dei pastori. Poi lo stupore, la lode e il ringraziamento, il racconto agli altri
di ciò che Dio ci ha fatto incontrare.
(da B.Maggioni, I personaggi della natività, Ancora 2004)
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“Siamo venuti per adorarlo” (Mt 2,2): così affermano i Magi alla vista del Bambino. Nella
notte del mondo, nella notte del cuore, essi si sono fatti pellegrini, guidati da una stella, per
andare alla ricerca di Colui, che dà senso alla vita e alla storia. Giunti alla Sua presenza – la
presenza tenerissima di un Bambino – hanno fatto l’unica cosa degna dell’incontro con la
Verità in persona: lo hanno adorato. Proprio così, i Magi rappresentano tutti i cercatori della
verità, pronti a vivere l’esistenza come esodo, in cammino verso l’incontro con la luce che
viene dall’alto, a cui aprirsi nell’adorazione, che cambia il cuore e la vita.
I Magi pellegrini nella notte rappresentano tutti i cercatori della verità, non solo chi crede e
credendo ama l’invisibile Amato, attendendo nella speranza l’incontro della gloria futura, ma
anche chi cerca non avendo il dono della fede. La non credenza seria - non negligente e
banale - è passione e sofferenza, militanza di una vita che paga di persona l'amaro coraggio di
non credere.
Il non credente pensoso, come il credente non negligente, è perciò un uomo in ricerca, che
lotta con Dio: proprio così alla ricerca della verità, pellegrino nella notte, attratto e inquietato
da una misteriosa stella. È questa l’altissima dignità del cercare la verità da parte di ciascuno,
credente o non credente che sia. E la sola, vera notte del mondo è quella di chi non si
riconosce in esodo, pellegrino verso una patria desiderata, ricercata e attesa…
Come osserva il giovane Heidegger in Essere e tempo, vivere significa essere «gettati verso la
morte». È questa l'immediata evidenza: la vita è un lungo viaggio verso le tenebre, dove tutto
sembra assoluto silenzio. Per questo la vita è impastata di dolore: e per questo la vera
domanda, quella sulla quale sta o cade la verità di ogni risposta, è e resta la domanda del
dolore. È il patire, il morire che suscita in noi la domanda, accende la sete di ricerca, lascia
aperto il bisogno di senso. Senza dolore non ci sarebbe la dignità dell'uomo che si interroga. Il
dolore rivela allora la vita a se stessa più fortemente della morte, che lo produce, perché
insegna che noi non siamo semplicemente dei gettati verso la morte, ma dei chiamati alla vita.
Dalla morte ci facciamo pellegrini verso la vita.
Dove nasce la domanda, dove l'uomo non si arrende di fronte al destino della necessità, e
quindi alla morte che vince col suo silenzio tutte le cose, lì si rivela la dignità della vita, il
senso e la bellezza di esistere. Lì l'essere umano capisce di non essere solo gettato verso la
morte, ma chiamato alla vita: lì si riconosce come «un mendicante del cielo».
Perciò la condizione dell'essere umano è quella del pellegrino. L'uomo non è qualcuno che sia
arrivato alla meta, ma è un cercatore della patria lontana, è chi da questo orizzonte si lascia
permanentemente provocare, interrogare, sedurre.
Se l’esodo è la condizione umana, se l'uomo è un pellegrino verso la vita e un mendicante del
cielo, la grande tentazione sarà quella di fermare il cammino, di sentirsi arrivati, non più esuli
in questo mondo, ma possessori, dominatori di un oggi che vorrebbe arrestare la fatica del
cammino.
L'uomo che si ferma, l'uomo che si sente padrone e sazio della verità, l'uomo per il quale la
verità non è più Qualcuno da cui essere posseduto sempre più profondamente, ma qualcosa
da possedere, quell'uomo ha ucciso in se stesso non solo Dio, ma anche la propria dignità di
essere umano.
La condizione umana è, insomma, una condizione esodale: l'uomo è in esodo, in quanto è
chiamato permanentemente ad uscire da sé, ad interrogarsi, ad essere in cerca di una patria.
Martin Lutero avrebbe detto sul letto di morte: «Wir sind Bettler: hoc est verum!» - «Siamo dei
poveri mendicanti, questa è la verità». Sono parole dette da un «homo religiosus» alla sera
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della vita, quando è ormai sulla soglia del mistero liberante per inabissarsi in esso e tutto vede
nella verità che non mente.
Se l’uomo è alla ricerca di Dio, Dio non di meno è alla ricerca dell’uomo. È quanto ci
testimonia il Vangelo di Gesù: il Dio che egli annuncia è il Dio dell'avvento, il Dio che ha
tempo per l'uomo. È il Dio che viene: venuto una volta, egli ha dischiuso un cammino, ha
acceso un'attesa, ancora più grande del compimento realizzato.
Dio si rivela all’uomo. Ma è necessario liberarsi dal fraintendimento radicale del concetto di
rivelazione. Rivelandosi Dio si vela. Comunicandosi si nasconde. Parlando si tace.
Questo è il Dio dell'avvento.
San Giovanni della Croce in una delle sue Sentenze d'amore dice: «Il Padre pronunciò la
Parola in un eterno silenzio, ed è in silenzio che essa deve essere ascoltata dagli uomini». Il
luogo e l'origine della Parola è il Silenzio. Questo divino Silenzio col linguaggio del Nuovo
Testamento lo chiamiamo Padre. Il Padre genera la Parola, il Figlio. E noi accoglieremo la
Parola se, ascoltandola, la trascenderemo verso il Silenzio della sua origine.
Pellegrini nella notte, guidati dalla stella, i Magi hanno riconosciuto nel Bambino il dono
della verità, la luce che salva. Lo hanno adorato: in questa adorazione il cercatore è stato
raggiunto dalla Parola che viene dal Silenzio, da quel Dio, cioè, che ha tempo per l'uomo.
Ma la fede è anche resa e abbandono: quando tu nella lotta capisci che vince chi perde e
perdutamente ti consegni a Lui, quando ti arrendi all'assalitore notturno e lasci che la tua vita
venga segnata per sempre da quell'incontro, puoi vivere la fede come abbandono. La fede è
consegnarsi ciecamente all'Altro: «Tu mi hai sedotto, o Signore, ed io mi sono lasciato
sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso... Mi dicevo: “Non penserò più a lui, non parlerò più
in suo nome!” Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi
sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,7. 9)
Così la fede diventa anche un approdo di bellezza e di pace. Non la bellezza che il mondo
conosce. La bellezza che salverà il mondo non è la seduzione di una verità totale, che ambisca
a spiegare ogni cosa. La sola bellezza che salverà il mondo è la bellezza dell'Uomo dei dolori,
dell'amore crocifisso, della vita donata, dell'offerta totale di sé al Padre e agli uomini. La pace
della fede, la gioia che il mondo non conosce, non è l'assenza di lotta, di agonia, di passione,
ma è il vivere perdutamente arresi all'Altro, allo Straniero che invita, al Dio vivente.
L’adorazione di cui i Magi sono testimoni non è, allora, assenza di scandalo, ma presenza di
un più forte amore: come quello di cui dà prova la piccola Teresa di Lisieux, che non a caso
ha voluto chiamarsi “del Bambino Gesù”, quasi a stare in adorazione davanti all’Amato come
i Magi davanti al Bambino. Ella non ha paura di descrivere lo scandalo della sua fede
innamorata e fedele: «Gesù mi ha fatto sentire che esistono davvero anime senza fede. Ha
permesso che l'anima mia fosse invasa dalle tenebre più fitte, che il pensiero del cielo,
dolcissimo per me, non fosse più se non lotta e tormento... Bisogna aver viaggiato in questa
tenebra per capire che cosa essa è. So che il paese nel quale sono nata non è la mia patria. So
che ce n'è un'altra alla quale devo aspirare incessantemente. luce del mondo. Ma, Signore, la
vostra figlia ha capito la vostra luce divina. La tenebra è il luogo dell'amore, della pace. È in
essa che la fede è scandalo: non risposta tranquilla alle nostre domande, ma, come lo è Cristo,
sovversione di ogni nostra domanda, ricerca del suo Volto, desiderato, rivelato e nascosto.
Solo dopo che noi lo avremo ciecamente seguito e perdutamente avremo accettato di amarlo
dove e come Lui vorrà, Egli diverrà per noi la sorgente della gioia che non conosce tramonto.
Diversamente da ogni ideologia, la fede è un continuo convertirsi a Dio, un continuo
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consegnargli il cuore, cominciando ogni giorno, in modo nuovo, a vivere la fatica di credere,
di sperare, di amare. La luce della fede è aurora di chi sa aprirsi all’oltre e al nuovo di Dio
nello stupore e nell’adorazione. Proprio come confessano i Magi davanti al Bambino: “Siamo
venuti per adorarlo”.
Solo allora, quando ci saremo fatti pellegrini nella notte alla luce della Stella, potremo dire
nella verità come hanno detto i Magi: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la
sua stella e siamo venuti per adorarlo” (Mt 2,2). E sarà la gioia dell’incontro, la bellezza del
riconoscerci amati nell’Amato. E gli Angeli potranno cantare anche per noi la gloria
all’Altissimo e la pace offerta in abbondanza a quanti si lasciano amare da Lui. E potremo far
pienamente nostra la preghiera dell’innamorato di Dio, che ha incontrato l’Amato e ancor
più desidera incontrarLo, la preghiera con cui Anselmo apre il suo Proslogion, voce della sete
del Volto rivelato e nascosto: “‘II Tuo volto, Signore, io cerco’ (Sal 26, 8). Signore Dio mio,
insegna al mio cuore dove e come cercarTi, dove e come trovarTi... Che cosa farà, o altissimo
Signore, questo esule, che è così distante da Te, ma che a Te appartiene? Che cosa farà il Tuo
servo tormentato dall'amore per Te e gettato lontano dal Tuo volto? Anela a vederTi e il Tuo
volto gli è troppo discosto. Desidera avvicinarTi e la Tua abitazione è inaccessibile...
Insegnami a cercarTi e mostraTi quando Ti cerco: non posso cercarTi se Tu non mi insegni,
né trovarTi se non Ti mostri. Che io Ti cerchi desiderandoTi e Ti desideri cercandoTi, che io
Ti trovi amandoTi e Ti ami trovandoTi”.
(da B.Forte, Arcivescovo Metropolita di Chiesi-Vasto, Catechesi della GMG di Colonia,
“Ricercare la verità, senso profondo dell’esistenza umana”)
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Volto sconosciuto,
volto familiare,
tenerezza e bellezza,
riflesso cangiante d’un caleidoscopio,
fiamme di pace e di gioia,
mano nella mano,
tutti i miei amici.
Il mondo ha sapore di cenere:
noi abbiamo visto la morte in faccia,
riconosciuto quel volto
(lo sgomento e la nausea,
violenza e vertigine,
cupezza, disperazione),
noi abbiamo visto la morte in faccia:
cancro che a poco a poco ci rode
e vince sulla vita.
Ma abbiamo intuito,
indizio di vento sull’erba piegata,
che vi fu tenerezza,
perché ci fosse il fiore,
lo sguardo, il sorriso,
il mare e la sua immensità
che ci avvicina alla tua eternità;
la profondità del cielo d’estate
e le stelle che tremolano;
il sonno trasparente dei bambini;
e l’ora solenne
degli istanti condivisi,
i momenti sospesi
sull’orlo dell’intuizione.
E dopo vediamo,
lungo un’orma di pace,
una scia di luce
nel fondo della nostra notte,
che tu ci hai visitati.
(M. Emmanuel)
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Vieni, ritorna in mezzo a noi, Signore Gesù. In questa notte santa i nostri cuori sono in attesa
di te, del tuo amore, della tua luce, della tua pace.
Abbiamo bisogno di Te, Signore, e di Te solo, perché solo Tu puoi rispondere al nostro
bisogno di infinito. Fa’ che questa nostra Messa, in questa notte misteriosa, possa essere come
un ritrovarci nella Tua presenza. Fa’ che scopriamo il senso della capanna dove Tu nascesti, il
senso del tuo presepe.
La riscoperta del presepio è un poco la riscoperta di noi stessi, nel più profondo del nostro
essere, con i sentimenti di bontà, di fraternità, di gioia semplice, di tanta pace e serenità
interiore.
Il presepio risveglia il lato buono della nostra personalità, riconcilia le famiglie, oggi più che
mai insediate e disgregate.
Fa rinascere il bambino dentro di noi che, grazie a Dio, continua a vivere in noi. Se il mondo
vorrà ritrovare la pace, avere uomini di pace, deve ritrovare la strada del presepio.
È davanti al presepio che il bimbo comincia a scoprire chi è Gesù. Incomincia a gustare le
cose semplici, l’amore, il senso di fraternità. Non importa se il ruscello è di stagnola, il
burrone di carta pesta, la pecora zoppa. Lì nasce un bimbo straordinario capace di
capovolgere il mondo.
Contempliamolo: povero, indifeso, alla portata di tutti, adagiato su paglia che diverrà, presto,
legno su cui stenderà il proprio corpo per amore di tutti.
Contempliamolo come colui che ci ha donato il senso della vita, ci ha tratto dal nulla e ci ha
dato il potere di diventare figli della luce.
Contempliamo un bimbo!
Chi può aver paura di un bimbo, che suscita tanta tenerezza e volontà di protezione?
Gesù è un bimbo che sorride ai pastori. Chi non risponde volentieri ad un bimbo che sorride,
laddove quel sorriso nasconde e rivela tutta l’infinita misericordia del Padre?
Gesù è un bimbo che tiene aperte le braccia. Come poter resistere ad un bimbo che tende le
braccia con tanto affetto? Un bimbo così non lo potremo più dimenticare. Queste braccia
saranno sempre aperte per tutti, fino al Calvario.
Gesù, bimbo o adulto, è colui che ci tende le braccia e nessuno può dubitare del suo amore.
Soprattutto i poveri, i malati, i soli e i dubbiosi.
Anche noi, sull’esempio di Gesù Salvatore, apriamo le nostre braccia alla misericordia, alla
bontà, all’accoglienza, al perdono. Sono infinite le persone che hanno bisogno di difesa, di
protezione, di dialogo.
Apriamo le nostre braccia in famiglia: più comprensione, più tenerezza, più ascolto.
Apriamole poi a tutti i bimbi in cerca di protezione, a tutte le persone sole, a tutti gli
ammalati.
Se crediamo sul serio a questa notte divina, il nostro atteggiamento verso tutti non potrà
essere se non quello dell’amore illuminato, portatore di luce, quindi portatore di civiltà.
Meditiamo dunque di fronte al Presepe.
(da “In attesa di te della tua luce della tua pace”,
“I quaderni di don Tarcisio Comelli”, vol.2)
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Da forze buone avvolto in modo fedele e silenzioso
protetto e miracolosamente confidente
voglio queste giornate viver con voi
ed entrare con voi nel nuovo anno.
Quello vecchio vuol tormentare ancora il nostro cuore
ancor ci opprime il duro peso dei miseri giorni:
oh, Signore, dona alle nostre anime impaurite
la salvezza, per cui ci hai creati.
E porgi tu il calice pesante, quello amaro
della sofferenza, pieno fino all’orlo estremo
e così noi lo prendiam da te, grati, senza tremare
dalla mano tua, buona ed amata.
Ma certo: vuoi donarci ancora gioia
per questo mondo e per il chiarore del suo sole
allora il passato vogliamo ripensare
e così l’intera vita nostra t’appartiene.
Oggi fa ardere calde e silenziose le candele
che hai trasportato tu alla nostra oscurità;
conducici, se si può, di nuovo insieme.
È ciò che noi sappiamo: arde di notte la luce tua.
Quando su di noi discende il silenzio profondo
oh, lascia che udiamo quel timbro pieno
del mondo, che invisibile s’estende intorno a noi
di tutti i figli tuoi canto alto di lode.
Da forze buone, miracolosamente accolti
qualunque cosa accada, attendiamo confidenti.
Dio è con noi alla sera e al mattino
e stanne certa, in ogni nuovo giorno.
(D. Bonhoeffer)
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