UNIVERSITÀ DI PISA, CAGLIARI, NAPOLI FEDERICO II MASTER INTERUNIVERSITARIO DI II LIVELLO IN “CONSULENZA FILOSOFICA” Tesi di master La consulenza filosofica ed il disagio giovanile Candidata: Francesca Pratali Anno accademico 2005/2006 1 Indice Premessa 3 Parte I. Adolescenza e pratica filosofica 4 1.1 Filosofia e consulenza filosofica. pag. 5 – 1.2 Adolescenza. pag. 10 – 1.3 Adolescenza e pratica filosofica: conclusioni. pag. 17. Parte II. Riflessioni sul tirocinio: problematiche e proposte. 20 Bibliografia 29 2 Premessa La tesi che intendo presentare in questo breve saggio, scritto a conclusione del mio percorso all’interno della prima edizione del Master di secondo livello in “Consulenza Filosofica” indetto congiuntamente dall’Università degli studi di Pisa, Cagliari e Napoli Federico II, è la seguente: il disagio adolescenziale è uno dei possibili ambiti in cui realizzare interventi di consulenza. Nelle pagine che seguiranno, cercherò di sviluppare questa mia posizione mostrando sia i presupposti teorici che mi hanno indotto ad elaborarla, che le possibili implicazioni pratiche emerse durante la fase di tirocinio. Nella prima parte, per tanto, esporrò: a) quelli che secondo me sono il ruolo ed i compiti della filosofia e della consulenza filosofica, b) il paradigma dell’adolescenza come età caratterizzata da “un salto di coscienza” e dallo sviluppo del “pensiero formale”, c) la relazione tra il fare filosofia e l’età adolescenziale. Nella seconda parte, invece, dopo aver descritto brevemente la mia esperienza di stage all’interno del centro di aggregazione giovanile “Circolando”, presso il comune di Peccioli, mostrerò le possibilità concrete e le modalità con cui poter realizzare degli interventi di consulenza filosofica in ambito adolescenziale, sottolineandone anche le difficoltà ed i limiti. 3 Parte I Adolescenza e pratica filosofica Eppure è proprio la critica che fa vivere chi parla e tutti gli altri. Affinare il senso critico significa dare a ciascuno il senso del proprio valore e della propria dignità. F. Dolto Una buona capacità di giudizio è una cosa di cui tutti hanno bisogno e spero che un giorno i filosofi avranno un ruolo importante nello svilupparla alle radici. M. Lipman 4 1.1 Filosofia e consulenza filosofica Prima di affrontare la questione dell’adolescenza e delle possibili relazioni con la pratica filosofica, credo sia necessario spendere alcune parole per chiarire al lettore quale sia il mio modo di intendere sia la filosofia che la consulenza filosofica. Per quanto riguarda la prima, la mia concezione si colloca sulla stessa linea interpretativa adottata da Martha Nussbaum, la quale considera la filosofia come una ricerca immanente e non trascendente la realtà, ricerca aperta, che induce a confrontarsi con la problematicità e l’indeterminatezza dell’esperienza. Come per la filosofa americana, anche per me “[…] la filosofia non è una disciplina astratta e lontana dalla realtà, ma è intrecciata, come d’altra parte le argomentazioni socratiche, alla trama dell’esistenza quotidiana, alle discussioni sulla vita e sulla morte, sull’aborto e sulla vendetta, sulla giustizia e sulla religione.”1. Parlare di filosofia, dunque, significa riferirsi ad una riflessione consapevole che, grazie all’elaborazione di quello che potremmo definire – con Lipman2 – “un pensiero complesso”, consente, a chi la fa diventare suo habitus mentale, di operare una rilettura del reale. In questo senso, il pensiero filosofico, muovendosi oltre che sul piano cognitivo, anche su quello metacognitivo3, deve essere considerato, da un lato come ciò che offre la possibilità di sviluppare una capacità di “controllo e padronanza attiva nel porsi delle domande, una capacità di fare Martha C. Nussbaum, Coltivare l’umanità, Carocci Editore, Roma 2003, pag. 32 (corsivo mio). Del pensiero di M. Lipman e della Philosophy for Children, si è parlato in fase di laboratorio, nel corso tenuto da E. Adami. Come riferimento bibliografico di veda Filosofia e formazione: 10 anni di Philosophy for Children in Italia a cura di A. Cosentino, Liguori Editore, 2002 3 Scrive Lipman: “Il pensiero complesso […] è un pensiero consapevole delle proprie assunzioni ed implicazioni nonché delle ragioni e dell’evidenza che sottendono questa e quella conclusione. Esso tiene conto della sua stessa metodologia, delle proprie procedure, delle proprie prospettive e punti di vista. Il pensiero complesso è preparato a riconoscere i fattori che determinano i preconcetti, i pregiudizi e l’autoinganno. Implica un pensare sulle proprie procedure ed allo stesso tempo, pensare i propri contenuti. Quanto qui si definisce pensiero complesso include dimensioni ricorsive, metacognitive, autocorrettive e tutte quelle altre forme di pensiero che implicano una riflessione sulla propria metodologia mentre allo stesso tempo si applicano ad un contenuto”. Cfr. M. Lipman, Thinking in education, New York 1991, pagg. 23-24, citato da Maura Striano nel breve saggio “Per un’educazione al pensiero complesso” reperibile sul web all’indirizzo http://lgxserver.uniba.it/lei/sfi/bollettino/159_striano.htm. Per quanto riguarda la questione della complessità, molto interessante è il testo della lezione tenuta nella parte teorica del master da A. Orsucci e reperibile in http://www.unica.it/~flscuman/. 1 2 5 distinzioni, un modo di interagire che non si accontenta di semplici affermazioni e controaffermazioni”4, e, dall’altro, come mezzo attraverso cui integrare prospettive e variabili diverse, aprendosi all’elaborazione di cornici di riferimento nuove e di strategie di azione non banali. Questo fa, di quello filosofico, un discorso che si articola sia lungo la dimensione autocorrettiva e autocritica del pensiero, che lungo l’asse creativo, dando la possibilità di formulare scelte non precostituite e più consapevoli. Ma non solo. Oltre a questo, la ricerca filosofica, proprio per il suo svilupparsi all’interno dell’esperienza intersoggettiva, assume un'altra caratteristica: essa è riflessione etica, che coinvolge e dà senso a ciò con cui entra in relazione. Il processo deliberativo innescato dalla pratica filosofica, proprio perché fondata sull’esperienza reale, non può, infatti, non incidere sulle scelte morali, spingendo a riconsiderare le regole ed i principi su cui il concetto stesso di moralità sembra essere basato. L’ultimo aspetto che qui mi interessa sottolineare a proposito della mia concezione della filosofia è l’idea che essa sia argomentazione rigorosa e speculazione razionale, dove per razionalità, bisogna intendere, però, non un processo logico completamente asettico, ma capacità di gestire la complessità del reale. La concezione di ricerca filosofica che intendo porre a fondamento del mio discorso, è volta, quindi, a oltrepassare la dicotomia cartesiana tra ragione ed emozione5, recuperando la dimensione affettiva che pervade e sostiene qualsiasi forma di ragionamento logicamente fondato. Detto questo, credo sia facile intuire cosa intendo per consulenza filosofica. Se, infatti, la filosofia è ricerca immanente, critica, etica e creativa, la consulenza filosofica, dal mio punto di vista, non può che essere il tentativo di riproporre questa idea di filosofia all’interno di una relazione d’aiuto strutturata con l’obiettivo di gestire e risolvere, attraverso il confronto dialogico, incongruenze e 4 5 Cfr. Martha C. Nussbaum, Coltivare l’umanità, Carocci Editore, Roma 2003, pag. 32 Cfr. A. Damasio, L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano 2005. 6 conflitti sia di natura sociale che individuale. Si potrebbe anche dire che essa è pratica filosofica che si fa relazione a più voci, volta a promuovere un processo di cambiamento che coinvolge interamente tutte le parti in gioco. Ma quali sono le condizioni essenziali perché essa possa aver luogo? Innanzi tutto – vorrei sottolineare – la percezione, da parte di chi intende prendervi parte, del bisogno di affrontare le varie problematiche attraverso un’interlocuzione attenta e attiva che vede nel dialogo, non il risultato, ma ciò che promuove la riflessione e, quindi, la scoperta di alternative possibili6. Oltre a questo – secondo presupposto in ordine di priorità – è sicuramente, la necessità di definire lo spazio di discussione, fissandone, pena il fraintendimento e la delusione, le regole, i ruoli ed i tempi. Tutto ciò senza la pretesa né di stabilire dei vincoli rigidi e formali – che finirebbero per immobilizzare e bloccare la relazione – né di servirsi di un metodo e di un’impostazione univoca da utilizzare a prescindere sia dal tipo di setting che di interlocutori. I modi di procedere e di impostare il dialogo dovranno, semmai, essere ridisegnati ogni volta tenendo conto delle condizioni in cui la pratica filosofica avrà luogo. Per tanto, prima di realizzare una consulenza, sarà necessario partire da un’analisi preliminare sia dell’utenza che dell’ambito in cui essa è collocata, studiando il possibile tipo di approccio da utilizzare. In altre parole, una consulenza filosofica efficace dovrà essere pensata come esperienza strutturata, ma allo stesso tempo, fluida ed in divenire, perché ricostruita, ogni volta, sulla base del contesto in cui si sviluppa. Un altro aspetto importante che mi interessa evidenziare, è l’idea che la pratica filosofica non debba essere intesa come un’esperienza esclusiva, che si sostituisce a qualsiasi altro tipo di intervento: essa, semmai, deve essere pensata come strategia che integra, supporta e implementa il In Introduzione al pensiero complesso, E. Morin scrive: “Quando il pensiero è concepito come qualcosa di interamente mentale e privato, offriamo spazio a considerevoli fraintendimenti circa il modo in cui esso possa essere sviluppato. Consideriamo ad esempio la relazione tra pensiero e dialogo. L’assunto comune è che la riflessione generi il dialogo, mentre in realtà, è il dialogo a produrre la riflessione. Spesso, quando le persone sono implicate in una dimensione dialogica sono stimolate a riflettere, a concentrarsi, a considerare alternative possibili, ad ascoltare, a prestare attenzione alle definizioni ed ai significati, a riconoscere opzioni inizialmente trascurate, e in generale, ad intraprendere un vasto numero di attività mentali che non si sarebbero usate se non vi fosse stato il dialogo.” (passo riportato da Maura Stiano. Vedi nota 3) 6 7 lavoro di altre figure professionali. Il contributo dato dal consulente filosofico a chi si trova ad affrontare problematiche di diversa natura (di tipo etico o esistenziale, per esempio) dovrebbe essere quello di favorire, nell’interlocutore, un processo di cambiamento che conduce ad un sapere pratico “che nessuna delle parti in gioco possiede anticipatamente e singolarmente ma che entrambi possono raggiungere quando sono in relazione tra loro”7. Questo lo rende un facilitatore: ma non uno specialista o un tecnico in grado di sostituirsi a chi ricopre, invece, funzioni più specifiche. Diversa da qualunque tipo di terapia o di attività specialistica, dunque, la consulenza filosofica non deve avere la pretesa né di fornire risposte precostituite, né di “guarire” o di “salvare”: suo compito, semmai, è quello di aiutare ad approfondire e a comprendere le ragioni che hanno determinato un qualche stato di difficoltà, collocandole in scenari diversi, aperti a nuove interpretazioni, fuggendo così il rischio – per dirla con J. Stuart Mill – “di voler vedere ciò che abbiamo già nella testa”8. L’azione del consulente è volta, quindi, non a dare soluzioni ma a favorire, nei suoi interlocutori, la capacità di farsi interpreti attivi, elaborando un pensiero critico e autonomo grazie a cui superare la tendenza a dare risposte fisse e quasi stereotipate a situazioni note o impreviste. Questo senza dover fare riferimento – come in altre professioni – a dei presupposti teorici specifici, ma, semplicemente, diventando ascoltatori attenti, capaci di lasciare in sospeso qualsiasi spiegazione definitiva a vantaggio della ricerca e dell’analisi. Di conseguenza, un buon consulente, oltre a possedere spiccate abilità logiche e analitiche, dovrebbe essere in grado di farsi “cassa di risonanza”, persona pronta a riconoscere e ad accettare, in tutta la loro umanità, coloro con cui entra in relazione. Comprendere le problematiche altrui, di qualsiasi natura esse siano, implica, infatti, la capacità di sapersi collocare sulla stessa lunghezza d’onda di chi ci sta davanti condividendone, prima di tutto, le difficoltà ed i dubbi. Cfr. Canevaro-Chieregatti, La relazione d’aiuto: l’incontro con l’altro nelle professioni educative, Carocci Editore, Roma 2001. 8 John Stuart Mill, L’asservimento delle donne, Einaudi Editore, Torino 2001 7 8 In questo senso, l’impegno a cui il consulente è sottoposto, va letto, non solo sul piano cognitivo, ma anche su quello emotivo: iniziare una consulenza comporta la responsabilità di assumersi il rischio di far parte di un processo di cambiamento che, perché sia autentico e produttivo, deve coinvolgere il consulente stesso, inducendolo ad impegnarsi in un confronto aperto, incerto e complesso. 9 1.2 Adolescenza. Veniamo adesso all’adolescenza, a questa età incerta, a metà strada tra natura e cultura, discussa e problematica non solo per chi la vive, ma anche per chi, facendo ormai parte del mondo adulto, la fa diventare oggetto di analisi e di riflessione. Una riflessione che molto spesso oscilla tra due poli contrapposti, passando, come ben ha sottolineato Alfio Maggiolini9, da una visione di romantico ottimismo, volto a declinare il paradigma della gioventù nel segno della speranza, ad una concezione marcatamente pessimista che, leggendo nell’adolescenza una minaccia di destabilizzazione dell’ordine costituito, preferisce arroccarsi su posizioni di difesa e controllo. Al di là delle varie interpretazioni, tuttavia, sembra essere ormai convinzione assodata e condivisa, l’idea che, parlare di adolescenza, significhi aver a che fare con una metamorfosi complessa in cui si intrecciano aspetti affettivi, cognitivi e sociali, e che, soprattutto, vede la trasformazione non solo del corpo, ma anche della mente dell’individuo. Sebbene sia difficile scindere questi due aspetti10, dato che l’affacciarsi di un nuovo status pulsionale inaugurato dalla pubertà sembra essere in corrispondenza biunivoca con il mutamento del pensiero, è di quest’ ultimo che qui mi interessa parlare. A tale proposito, quello che vorrei sottolineare è l’idea, già ampiamente sviluppata da Piaget11 e confermata da recenti studi di neuroscienze12, che durante l’adolescenza si verifica un cambiamento sia dei contenuti della mente, che della struttura del pensiero. È infatti più o meno nel periodo che va dagli 11 ai 20 anni, che si avvia, da un lato, il processo di “soggettivazione” e formazione della personalità e, dall’altro, lo sviluppo del “pensiero formale”. Si veda l’intervento di Alfio Maggiolini, Creatività e costruzione della personalità in adolescenza, tenuto al Festival della Mente 2006. 10 Cfr. A.Damasio, L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano 2005. 11 Cfr. Piaget, Dal bambino all’adolescente. La costruzione del pensiero, La Nuova Italia Editore, Firenze 1994. 12 Cfr. nota 1 9 10 Dal punto di vista intellettivo e cognitivo, nell’adolescente, si assiste al passaggio da una “logica concreta”, che si riferisce direttamente agli oggetti, ad una “logica proposizionale o, come si esprime Piaget, alla seconda potenza, in quanto costruisce relazioni di relazioni”13. A differenza del bambino, capace soltanto di operare sulla situazione reale data attraverso il raggruppamento di classi e relazioni, l’individuo, nella fase adolescenziale, impara ad operare sulle proposizioni riuscendo a coordinare ipotesi e variabili molteplici, secondo una vera e propria combinatoria. In altre parole, lo sviluppo del pensiero formale, costituisce l’acquisizione della capacità “di pensare il proprio pensiero”, di attuare “una riflessione dell’intelligenza su se stessa”. E, soprattutto, di elaborare dei sistemi, delle teorie con la funzione essenziale di “permettere all’adolescente l’inserimento morale e intellettuale nella società degli adulti”14. Oltre a questo, si verifica anche un altro fatto importante: un vero e proprio rovesciamento del rapporto tra il reale ed il possibile. Se prima quest’ultimo era concepito come una sorta di “prolungamento virtuale di azioni od operazioni applicate ad un dato contenuto” e ad oggetti non presenti ma immaginabili, ora diventa la dimensione attraverso cui pensare la realtà: “i fatti concreti – scrive Piaget – vengono concepiti come il settore delle realizzazioni effettive in seno ad un universo di trasformazioni possibili, perché non sono spiegati e neppure ammessi come fatti, se non dopo una verifica sull’insieme delle ipotesi in una data situazione”15. La realtà diventa non più orizzonte certo, sempre gestibile e manipolabile perché attuale, ma possibilità da reinterpretate, ricostruire e realizzare. Agli occhi dell’adolescente, lo spazio, il tempo, le relazioni sociali assumono un aspetto diverso: si mostrano nella loro fluidità e complessità, facendo avvertire al ragazzo, da un lato, il bisogno di riorganizzare il proprio pensiero, trovando strategie nuove per gestire e tollerare l’ambiguità, e, dall’altro, di ripensare se stesso ed i propri legami con il mondo esterno. Per questo, egli si trova dinnanzi al compito di rileggere l’ambiente in cui vive, cercando, non solo di adattarsi ad esso ma anche, e soprattutto, di modificarlo e trasformarlo attraverso 13 Cfr. nota 3, pag 131. Ibidem pag 143. 15 Ibidem pag 132 14 11 l’elaborazione di un nuovo piano di vita. A tale proposito, afferma Piaget: “L’adolescente costruisce le sue teorie o adotta, ricostruendole, quelle che gli sono offerte: ma, oltre al bisogno di partecipare alle ideologie adulte, gli è indispensabile pervenire ad una concezione delle cose che gli offra la possibilità di affermarsi e di creare (di qui lo stretto legame tra il sistema costruito ed il programma di vita) e che anche gli garantisca che egli riuscirà meglio di chi l’ha preceduto (di qui le riforme necessarie in cui si mescolano nel modo più stretto le preoccupazioni disinteressate e le ambizioni proprie della gioventù)”16. Questo significa che l’adolescente, per contrastare il disagio latente e il senso di inadeguatezza generato da questo diverso modo di intendere e percepire la realtà, si fa artefice di una ricerca lenta e faticosa, intrisa di affettività e creatività, inaugurando quel processo di “soggettivazione” che gli permetterà – facendolo così approdare all’età adulta – di prendere consapevolezza di sé ed operare un vero e proprio salto di coscienza17. L’aspetto forse più interessante di questo lungo e laborioso percorso è il fatto che l’adolescente compia, qui, una rielaborazione e riorganizzazione dei significati, una sorta di ridefinizione dei valori morali. Ora, la sua riflessione sembra iniziare a spostarsi sul piano dell’etica: “nozioni come quella di umanità, giustizia sociale (in opposizione alla giustizia interindividuale che è profondamente vissuta già a livello concreto), di libertà, di coscienza, di coraggio civico o intellettuale, ecc.”18, che dal bambino potevano essere sentiti e compresi solo attraverso il filtro 16 Ibidem pag 146. Tale processo, che si snoda lungo tutto l’arco dell’adolescenza, è caratterizzato dalla trasformazione e dall’elaborazione di nuove modalità di simbolizzazione legate alle acquisizioni delle strutture del pensiero formale. Non bisogna dimenticare, però, anche l’importante ruolo giocato dalla fantasia e dalla creatività. Osservando e ascoltando gli adolescenti non può sfuggire, infatti, la loro propensione ad immaginare scenari possibili in cui vedersi in azione, e ad elaborare dei veri e propri sogni ad occhi aperti. E neppure la tendenza a modificare lo spazio in cui vivono – emblematica è la propria camera – il corpo – attraverso la cura dell’ abbigliamento – gli oggetti – alcuni diari sono delle vere e proprie opere d’arte – non può passare inosservata. 18 Cfr. nota 3 pag 153. 17 12 degli affetti interindividuali, diventano per lui ideali emancipati, almeno parzialmente, dalla realtà concreta in cui è calato, arricchendo e modificando il proprio orizzonte di senso19. A tale proposito, credo che abbia ragione Piaget quando, analizzando le conseguenze sia emotive che cognitive dovute al nuovo assetto della mente, definisce l’adolescenza come “l’età della formazione della personalità”, dove, per personalità si deve intendere “la sottomissione dell’io ad un ideale che egli incarna ma che lo supera e che lo subordina, l’adesione ad una scala di valori, non astratta ma relativa ad un’opera, e dunque, in definitiva, l’adozione di un ruolo sociale non del tutto preparato come una funzione amministrativa, ma un ruolo che l’individuo creerà nell’assolverlo”20. In definitiva, quindi, nell’adolescenza, la realtà viene ricostruita dando vita ad una progettualità nuova, le relazioni sono percepite in modo diverso ed i valori messi in discussione. Tutto questo approdando ad una vera e propria autonomia morale grazie a cui diventare indipendenti da quel mondo degli adulti, sentito, ormai, sotto il segno della reciprocità e dell’uguaglianza. Ma da che cosa è determinato questo cambiamento? Che cosa induce l’adolescente ad integrare punti di vista diversi, rivisitando, non senza un certo grado di sofferenza e disagio, l’immagine di sé e degli altri? A tale proposito credo che la prospettiva da adottare sia duplice. Il fattore determinante che sta alla base della metamorfosi adolescenziale è sicuramente quello biologico. Il cambiamento dell’assetto ormonale e la maturazione sessuale incidono in modo decisivo sulla personalità. Il corpo si modifica e si ridefinisce assumendo forme prima solo potenzialmente presenti. Parallelamente, a questo, poi, si verifica un altro cambiamento fondamentale, forse troppo spesso sottovalutato, ossia un vero e proprio sviluppo delle strutture celebrali. Come attestano, infatti, i recenti studi e le A tale proposito è interessante la riflessione che Rawls fa nell’ultima parte de Una teoria della giustizia riguardo allo sviluppo dei principi morali. Cfr. John Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli Editore, Milano, 2004, capitolo 8. 20 Cfr. nota 3, pag 154 (corsivo mio). 19 13 analisi di brain immaging, nella mente dell’adolescente si assiste ad una ramificazione impressionante delle cellule nervose ed il potenziamento delle reti neuronali, a cui va aggiunto un processo di riorganizzazione delle reti stesse. Questo nuovo assetto, naturalmente non statico ma soggetto ad ulteriori modificazioni, consente all’adolescente di raggiungere la maturazione emotiva e cognitiva21, imparando a pianificare e ad elaborare pensieri complessi secondo quelle modalità della logica proposizionale di cui si è detto. Ma – e qui veniamo al secondo aspetto – se sembra ormai fatto assodato che lo sviluppo delle strutture formali dell’adolescenza sia legato a quello delle strutture celebrali, questo legame non sembra essere affatto semplice: esso dipende sicuramente anche dal tipo di ambiente sociale in cui l’individuo vive. “In breve – afferma Piaget – lungi dal costituire una fonte di idee innate completamente elaborate, la maturazione del sistema nervoso determina l’insieme delle possibilità e delle impossibilità per un certo livello e non va oltre: è dunque indispensabile un ambiente sociale determinato per la messa in atto di tale potenzialità, che per tanto può essere accelerata o viceversa ritardata in funzione delle condizioni culturali ed educative: per questo tanto il sopraggiungere del pensiero formale che dell’età dell’adolescenza in generale, vale a dire l’inserimento dell’individuo nella società adulta, dipendono costantemente dai fattori sociali altrettanto e più che dai fattori neurologici”.22 Se da un lato, quindi, l’individuo deve aver raggiunto un grado di maturazione sufficiente che gli permette di assimilare e rispondere agli stimoli sia interni che esterni, dall’altro la società si rivela essere elemento determinante per questo stesso processo di sviluppo. Ma quali sono le condizioni che possono creare questa sorta di “circolo virtuoso” tra individuo e ambiente? Come può la società favorire il processo di crescita individuale anziché bloccarlo? Inoltre, nel valutare la sua influenza sul mondo giovanile, dovremmo soffermarci soltanto sul ruolo 21 22 Cfr. lezione tenuta nel corso del master dalla prof.ssa Morelli. Cfr. anche con nota 1 Cfr. nota 3, pag. 140 – 141 (corsivo mio). 14 svolto da alcune agenzie formative quali la scuola e la famiglia, oppure allargare il discorso coinvolgendo anche quegli attori sociali che non hanno uno specifico compito educativo? Cercare di dare una risposta esauriente ed articolata a tali importanti interrogativi in questo breve testo, sarebbe credo, oltre che una pretesa quanto mai presuntuosa, anche un’impresa poco funzionale all’economia del mio discorso. Affrontare questo compito vorrebbe dire, infatti, sviluppare un’analisi molto complessa e dettagliata, andando ben al di là dello scopo qui perseguito. Ciò nonostante, però, credo che, in questa sede, sia importante sottolineare almeno un aspetto della questione: evidenziare, cioè, quella che potrebbe essere la chiave interpretativa attraverso cui leggere il reciproco legame tra individuo e società. O meglio, tra adolescente e società, dato che è dell’adolescenza che qui si sta parlando. A tale proposito, tenendo conto di quanto precedentemente detto, sono fermamente convinta che l’ambiente sociale, per diventare fattore di sviluppo, dovrebbe ripensare il suo rapporto con i giovani a partire dalla necessità di favorire – come afferma la Dolto – “lo slancio, la fiducia in se stessi ed il coraggio di superare le difficoltà”23. La società potrebbe sostenere i ragazzi nel loro tentativo di ricerca ed esplorazione, creando i presupposti perché la metamorfosi adolescenziale porti al raggiungimento di quelle che sono le condizioni essenziali per diventare adulti responsabili. L’ambiente, inteso in tutte le sue sfaccettature, diventerebbe, quindi, punto di riferimento credibile e coerente, fuggendo il tentativo sia di modellare i caratteri, che di eliminare qualsiasi limite rendendo lecita ogni genere di condotta. Sostenere un adolescente nella propria evoluzione credo significhi dargli la possibilità di costruire un proprio progetto di vita, di esprimesi ed essere in grado di compiere scelte in maniera 23 Cfr. Françoise Dolto, Adolescenza, Mondadori Editore, Milano, 2005, pag 8. A tale proposito vorrei ricordare anche quanto scrive il Kierkegaard di Aut-Aut: “Quello che importa nell’educazione non è che il fanciullo impari questo o quello, ma che lo spirito si maturi, che l’energia si risvegli. Tu parli assai spesso di quanto sia meraviglioso l’essere una buona testa. Chi vuol negare che ciò abbia importanza? Eppure credo quasi che si riesca a diventarlo se si vuole. Da all’uomo energia, passione ed egli ha tutto.” (corsivo mio). S. Kierkegaard, Aut-Aut, Mondadori Editore, Milano, 2004, pagg. 116-117. 15 consapevole: è, quindi tenendo conto di questo, che ogni intervento sociale, volto a favorire quella lenta metamorfosi che è l’adolescenza – metamorfosi, tra l’altro, non aliena alla sofferenza24 – dovrebbe essere pensato e progettato. 24 Cfr. Françoise Dolto, Adolescenza, Mondadori Editore, Milano, 2005 16 1.3 Adolescenza e pratica filosofica: conclusioni. A questo punto, per concludere questa mia analisi teorica, non mi resta che cercare di esplicitare meglio la relazione che, secondo me, lega l’adolescenza e la pratica filosofica, chiarendo quali sono i vantaggi che può dare un intervento di consulenza in ambito giovanile. A tale proposito, spero sia qui ormai chiaro come, partendo dalle interpretazioni sopra esposte, tale legame possa essere trovato nella dimensione della ricerca volta al cambiamento. Come abbiamo visto, infatti, se la filosofia non è altro che una disciplina critica, etica e creativa che “nasce dal disagio (uneasiness) di cui parlava Locke o, meglio, dalle scissioni che, secondo Hegel, lacerano l'esistenza degli individui”25, essa non può non essere affine all’adolescenza, il cui tratto distintivo è proprio la trasformazione della mente e la percezione della necessità di compiere un salto di coscienza, facendo della propria, una “vita esaminata”26. Osservando il mondo giovanile, ci si può rendere conto del fatto che gli adolescenti, come avviene per il filosofo, percepiscano lo smarrimento di fronte alla multidimensionalità dell’esperienza, e siano indotti, per questo, ad intraprendere modalità di confronto nuove, provando a integrare prospettive diverse, elaborare teorie e sistemi di riferimento, mettere in discussione norme e valori fino ad ora accettati soltanto perchè veicolati dai principali legami affettivi. A differenza, però, di chi ha fatto della ricerca la modalità definitiva con cui rileggere la realtà, trasformandola, il giovane non possiede ancora tutti quegli strumenti logici ed emotivi adatti allo scopo: per questo, deve, abbracciando quella lunga e difficile metamorfosi che lo condurrà all’età adulta, acquisirli e imparare ad utilizzarli. 25 Vedi Remo Bodei Techne alipias, intervento tenuto al convegno di Cagliari sulla consulenza filosofica, reperibile all’indirizzo http://www.unica.it/~flscuman/ 26 Scrive Platone ne L’apologia di Socrate: “Se, poi, vi dicessi che il bene più grande per l’uomo è fare ogni giorno ragionamenti sulla virtù e sugli altri argomenti intorno ai quali mi avete ascoltato discutere e sottoporre ad esame me stesso e gli altri, e che una vita senza ricerche non è degna per l’uomo di essere vissuta; ebbene, se vi dicessi questo, mi credereste ancora di meno. Invece, le cose stanno proprio così come vi dico, o uomini. Ma il persuadervi non è cosa facile.” Cfr. L’apologia di Socrate, 38 a, Garzanti Editore, Milano, 1985. 17 Ma è proprio qui che può verificarsi un punto di rottura: l’adolescente, attuando una sorta di bilancio costi/benefici, può decidere, magari anche inconsapevolmente, di abbandonare l’impresa ancor prima di intraprenderla. L’ambiguità e la fluidità con cui la realtà viene percepita possono apparire al giovane così intollerabili, e la riorganizzazione del sé, richiesta da questo nuovo scenario, così dolorosa, da far sembrare preferibile rinviare ad un tempo indeterminato qualsiasi esperimento di cambiamento. Il faticoso tentativo di elaborare nuovi pensieri e di iniziare un percorso di riflessione può, allora, lasciare il campo alla scelta di manipolare la propria mente, attraverso l’abuso di sostanze stupefacenti e di alcool, oppure all’adozione di condotte di vita estreme e a rischio, che fanno della sfida, della trasgressione e della continua ricerca dell’eccezionale l’unica soluzione accettabile. Oppure – e questa è un’alternativa forse meno appariscente ma altrettanto drammatica e diffusa – il ragazzo può scivolare lentamente in una sorta di torpore esistenziale, in un eterno presente sempre uguale a sé stesso in cui ogni progettualità viene sospesa e rimandata. Incapaci di gestire l’ambiguità, gli adolescenti si possono trovare, quindi, ad indossare, a seconda delle situazioni, ora la maschera della violenza rivolta contro di sé o contro gli altri, ora i panni dell’indifferenza e del disinteresse. Il loro spazio mentale, invaso da un groviglio di immagini, sensazioni e percezioni nuove, diventa ambito che sfugge ad ogni controllo, generando smarrimento e paralizzando ogni capacità critica. Allo stesso modo i desideri e le attese finiscono per mostrarsi in tutta la loro inconsistenza e, invece che aspettative da realizzare, diventano contenitori vuoti privi di ogni fascino ed attrattiva. Questo, trasformando il disagio da chiave di volta del cambiamento, punto di partenza per la costruzione di una personalità in fieri, in prigione che rende impensabile qualsiasi tentativo di fuga. È allora di fronte a questo naufragio, a questo perenne oscillare tra la rassegnazione ed il conflitto, che la consulenza filosofica può essere proposta. Ricorrere al dialogo e alla riflessione condivisa su cui tale prassi è fondata significa, infatti, offrire a chi è rimasto impantanato nelle sabbie mobili 18 dell’adolescenza, un’alternativa plausibile, una strada percorribile, un sostegno concreto: la possibilità, insomma, di uscire da quel immobilismo del pensiero che, alla lunga, non può che condurre all’apatia o alla ribellione estrema e fine a se stessa. Parlare di pratica filosofica in età adolescenziale, equivale, in definitiva, ad immettere nel tessuto sociale un ulteriore strumento che, affiancato agli interventi delle varie agenzie educative, contribuisca a modificare in modo costruttivo, fuggendo il rischio di trasformarlo in devianza, quel senso di inadeguatezza e di disagio di cui si è detto. Come afferma Bodei, “in questo accumulo d'insicurezza e di dilemmi morali, gli individui possono pertanto incontrare nella consulenza filosofica un sostegno nel curare la propria ‘ordinaria follia’ […] senza bisogno di stendersi sul lettino dello psicanalista a rivangare il proprio inconscio, […] tenendo desta la coscienza, coinvolgendo razionalità ed emotività” rendendo “noi, contemporanei di Internet, dell'AIDS e delle carte di credito, capaci di riflettere sulle novità apportate dalla complessità degli stili di vita, dei saperi e delle tecnologie contemporanee”27. Se questo è vero per chiunque si trovi impigliato nelle maglie della propria esistenza, lo è ancora di più per un adolescente che tale esistenza deve, se solo lo vuole, iniziare a costruire. 27 Vedi Remo Bodei Techne alipias, intervento tenuto al convegno di Cagliari sulla consulenza filosofica, reperibile all’indirizzo http://www.unica.it/~flscuman/ 19 Parte II Riflessioni sul tirocinio: problematiche e proposte. Troppo spesso si parla di loro, come se fossero strani esseri sfuggenti e misteriosi da catturare nella rete delle parole, invece di parlare con loro aprendosi all’ascolto Finzi-Battistin Abituati a considerare con estrema attenzione le parole degli altri e, per quanto puoi, entra nell’anima di chi ti sta parlando. M. Aurelio 20 Fin qui la teoria. Passiamo ora agli aspetti pratici, cercando di capire come ed in quali contesti sia concretamente possibile proporre ed iniziare un percorso di ricerca filosofica con degli adolescenti. Se infatti, da un punto di vista teorico, come abbiamo visto, parlare di pratica filosofica in età adolescenziale, sembra essere quanto mai appropriato, la sua realizzazione non appare aliena da difficoltà di varia natura. Prima di illustrare le mie riflessioni in merito, però, credo sia opportuno descrivere le caratteristiche del contesto in cui sono stata inserita in occasione della fase di tirocinio, visto che, è principalmente da questa esperienza, che esse derivano. Come ho accennato nella premessa di questo mio lavoro, il punto di osservazione privilegiato a cui ho avuto accesso durante lo stage per analizzare da vicino alcune delle dinamiche che distinguono il mondo adolescenziale, è stato il centro di aggregazione giovanile “Circolando”, progetto nato, ormai più di dieci anni fa, da una convenzione stipulata tra il Comune di Peccioli e la Cooperativa Sociale Il Cerchio28. Tale centro, ben radicato nel territorio e progettato in modo da creare una continuità educativa tra le diverse fasi dell’età evolutiva29, è stato pensato come spazio rivolto ai giovani dagli 11 ai 22 anni. Il servizio, gestito da tre educatrici (un’educatrice professionale, una dottoressa in scienze della formazione primaria e un’assistente sociale), di cui almeno due sempre presenti, rimane aperto cinque giorni alla settimana30, dalle 16.00 alle 19.00, dedicando due pomeriggi (il Martedì ed il Mercoledì) ai ragazzi dagli 11 ai 13 anni, e gli altri (Lunedì, Giovedì e Venerdì) alla fascia di età 14 – 22. La frequenza – tra l’altro registrata nel rispetto della normativa sulla qualità ISO 9001/2000 secondo cui il progetto è certificato – è libera: per avere accesso al centro non ci sono, oltre quelli appena detti, vincoli particolari, ed è permesso entrare ed uscire 28 Per chi volesse reperire informazioni sulle attività e la struttura di questa cooperativa, può consultare il sito internet all’indirizzo http://www.cooperativailcerchio.com/. 29 Circolando, infatti, fa parte di un progetto più ampio articolato in tre moduli di intervento rivolti alle diverse fasce di età: 1) bambini (Birimbus), 2) preadolescenti, adolescenti e giovani (Circolando), 3) adulti e famiglie. 30 Questo orario di apertura è valido per il periodo Settembre/Giugno. Nei mesi estivi le attività ludico-educative del centro di aggregazione vengono modificate proponendo ai ragazzi e alle loro famiglie soggiorni, più o meno brevi, in diversi luoghi di vacanza. 21 come e quante volte si vuole. I gruppi stessi, tra l’altro, sono identificati soltanto dall’appartenenza alle due categorie di età indicate. Le finalità che la Cooperativa Sociale ed il Comune si sono proposti di raggiungere con la realizzazione di questo centro di aggregazione giovanile sono principalmente due: da un lato, la promozione del benessere, operando significative azioni di accompagnamento e sostegno al processo di crescita individuale, e, dall’altro, la valorizzazione della socializzazione come fattore che consente la sperimentazione delle proprie competenze di autonomia e di conoscenza di sé. Volendo scendere in dettaglio – come si può leggere nel testo del progetto – gli obiettivi specifici perseguiti sono: permettere ai ragazzi di fare esperienze di gruppo, favorendo le relazioni tra pari e con le figure educative di riferimento; favorire l’autonomia, intesa come capacità sia di gestione della quotidianità (riordinare, pulire, cucinare, ecc.) che di elaborazione di scelte indipendenti con l’assunzione delle relative responsabilità; favorire la capacità di raccontare se stessi, i propri mondi ed i propri sentimenti, nel rispetto di sé e degli altri; favorire la crescita dell’autostima e della capacità di riconoscere i propri limiti e le proprie risorse in relazione al gruppo dei pari e agli educatori; promuovere la creatività, intesa come strumento per rispondere ai propri bisogni e possibilità di espressione individuale; stimolare la capacità di riflessione rispetto alle esperienze concrete, individuali o di gruppo, vissute all’esterno o all’interno del centro di aggregazione; promuovere “il senso di cura”, intesa come rispetto della propria persona, degli altri, dell’ambiente, degli spazi e dei materiali utilizzati; sostenere l’autoprogettualità individuale e di gruppo; 22 sostenere i giovani, una volta terminata la frequenza del centro di aggregazione, nel processo di acquisizione dell’autonomia; attivare delle reti di sostegno formale ed informale in collaborazione con le istituzioni presenti sul territorio (come le scuole, le varie associazioni, la parrocchia, i servizi sociali, le forze dell’ordine). Le attività svolte al centro per raggiungere questi scopi sono molteplici e di varia natura: innanzi tutto si utilizzano moltissimo i giochi di gruppo (soprattutto da tavolo, il ping-pong ed il biliardino); si valorizza il dialogo sia informale (individuale e/o di gruppo) che strutturato (uso del “circe-time” su tematiche specifiche); talvolta, poi, si realizzano laboratori di breve durata che prevedono l’uso di strumenti quali il video, la fotografia, il fumetto (laboratorio delle immagini) oppure la manipolazione di materiali quali, per esempio, la creta, la carta, la plastica; in occasione di ricorrenze particolari, inoltre, si organizzano ed animano feste; si partecipa attivamente ad eventi di interesse civico (come nella giornata mondiale per la lotta all’AIDS); si programmano escursioni anche di più giorni. Riguardo tutte queste attività, mi sembra fondamentale evidenziare – dato che ciò costituisce il principale criterio su cui è costruito questo centro di aggregazione giovanile – come esse vengano svolte e realizzate principalmente sulla scia delle esigenze, degli interessi e delle richieste espresse dai ragazzi. Tutto quello che si fa a “Circolando”, infatti, è solo parzialmente programmato e previsto dalle educatrici, il cui compito consiste soprattutto nell’offrire stimoli che facciano emergere nei giovani i bisogni latenti, fornendo loro gli strumenti adatti per poterli comprendere. Gli stessi tentativi di creare occasioni di confronto su tematiche a loro molto vicine come la sessualità, le dipendenze, l’amicizia, la scuola, ecc., vengono effettuati soltanto nei momenti in cui la possibilità di comunicazione risulta favorevole per affrontarle. 23 Questo tipo di impostazione rende il centro di Peccioli – diventato ormai punto di riferimento importante per il territorio, dal momento che, giornalmente, può arrivare ad ospitare nei suoi locali anche una quarantina di adolescenti31 – uno spazio aperto e fluido, una realtà che i ragazzi sentono come parte significativa della propria esistenza. Per loro – come ho avuto modo di costatare durante la mia breve esperienza di tirocinio – frequentare “Circolando”, sembra voler dire, infatti, avere la possibilità di entrare in una dimensione che sentono “fatta su misura”, diversa da quella sperimentata altrove perché pensata secondo il criterio dell’accoglienza e dell’ascolto32. Qui, a differenza che in altri luoghi e situazioni, dominati dalla logica che considera di valore solo ciò che produce risultati tangibili ed immediati, l’adolescente può permettersi di correre il rischio di esporsi, di sperimentare modalità relazionali nuove, di mostrarsi per quello che è senza il timore di sentirsi valutato e giudicato, fiducioso del rispetto per i propri tempi di crescita, fatti di rinvii e progressi inaspettati. Di conseguenza, frequentando il centro, si può assistere all’innescarsi di dinamiche individuali e di gruppo molto complesse33, in cui momenti di euforia – durante i quali ci si spintona, ci si provoca, si fa baccano o si ostenta, in modo quasi rituale, la propria corporeità – si possono alternare a giornate di “calma piatta” in cui il tempo – a detta di alcuni di loro – “sembra rallentare la sua corsa e non passare mai”. In relazione a questo, credo che l’osservazione e la partecipazione agli spazi di tale centro di aggregazione, arricchita dal racconto delle esperienze delle singole educatrici, suggerisca a chi volesse intraprendere una qualche relazione costruttiva con degli adolescenti – compresa quindi una consulenza filosofica – due importanti insegnamenti: 31 Vorrei far notare che questo centro di aggregazione ha anche una buona visibilità dato che si affaccia proprio sulla piazza principale del paese. 32 A tale proposito vorrei citare un’affermazione della Doltò, la quale scrive: “Hanno bisogno di un orecchio silenzioso che non ricacci loro le parole in bocca, di una persona da cui si sentano amati e compresi nella loro sofferenza, poiché è un’età di sofferenza a causa del mutamento.”(cfr. Françoise Dolto, Adolescenza, Mondadori Editore, Milano, 2005, pag 110. 33 Alcune situazioni sono di difficile gestione sia per i ragazzi che le generano, che per le educatrici, esposte, per questo, ad un elevato rischio di burn out. 24 in primo luogo, la necessità di pensare e disporre ogni attività che vede coinvolti dei ragazzi, a partire dall’ascolto dei loro bisogni e desideri: solo basandosi su di essi, sembra, infatti possibile tentare di stimolarli, rendendoli promotori del cambiamento. Il rischio, altrimenti, è quello di organizzare programmi ed iniziative, che percepite come estranee, risulterebbero prive di qualsiasi senso. in secondo luogo – fattore questo di non minore importanza – l’esigenza di istaurare un clima di fiducia e di reciprocità, rinviando qualsiasi tipo di giudizio e dando modo ai giovani di raccontarsi, di esprimere liberamente i propri pensieri e sentimenti, aprendosi alla scoperta di sé e dell’altro in modo responsabile. La necessità di rispettare tali vincoli, inoltre, sembra diventi tanto più marcata quanto più forte è il disagio esistenziale vissuto dai ragazzi che si intende coinvolgere: se mancassero anche solo parzialmente, con buona probabilità, si finirebbe per isolare anziché sostenere i giovani nel loro processo di crescita, aggravando il loro senso di malessere e di smarrimento. Questo perché, lì dove le problematiche individuali sono più profonde e complesse, meno sviluppate saranno anche le competenze relazionali, la consapevolezza di sé, la “congruenza”34 con il proprio mondo affettivo, e quindi, più difficile e delicata qualsiasi tipo di comunicazione. Per quanto riguarda la consulenza filosofica, la conseguenza immediata che credo si possa trarre dall’acquisizione di questi basilari elementi, si riferisce alla persona del consulente. Egli infatti, per intraprendere un percorso in ambito adolescenziale, oltre a possedere quelle peculiarità di cui si è detto nella prima parte di questo lavoro, dovrebbe essere anche un profondo conoscitore del mondo giovanile: sarebbe, infatti, impensabile per lui riuscire a decodificare gli interessi e le problematiche degli adolescenti, ignorandone i linguaggi e le modalità di simbolizzazione. Per questo, il consulente dovrebbe avere sia una notevole esperienza diretta, che conoscenze di natura psicologica 34 Prendo in prestito questo termine dalla psicologia umanistica di Carl Rogers, il quale con congruenza intende l’accordo tra l’esperienza reale vissuta dalla persona (intesa come totalità di corpo e mente) e l’immagine di sé che l’individuo elabora quando si rappresenta nell’esperienza stessa. 25 e sociologica, riguardanti, cioè, tutto ciò che è legato all’età evolutiva, alle mode e agli stili di vita dei ragazzi. Ma non solo: egli dovrebbe avere familiarità con gli ambienti in cui i giovani vivono – come la scuola, il quartiere, i luoghi del divertimento, le associazioni di cui possono far parte, ecc. – così da delineare, in maniera abbastanza precisa, la cornice di riferimento in cui collocare il proprio contributo. In più, credo, dovrebbe essere anche persona che, pur affascinata dal mondo giovanile, fosse capace di mantenere un certo distacco da esso, in modo da non perdere, facendosi coinvolgere eccessivamente, il proprio punto di osservazione privilegiato, o peggio, incappando nell’errore di voler “trasformare” secondo un qualche modello, i suoi interlocutori. In ogni caso, pensare di lavorare con degli adolescenti, implica la necessità di avere una formazione adeguata che integri tutti questi fattori: sarebbe, perciò, auspicabile definire, per la figura del consulente filosofico in campo adolescenziale, un vero e proprio curriculum specifico da seguire. Oltre a questo, dal mio punto di vista, un' altra conseguenza importante che emerge da quanto detto, riguarda le modalità ed i luoghi in cui realizzare una consulenza filosofica. A tale proposito, basandomi sulla mia esperienza, penso di poter affermare che, se come si è visto, sembra indispensabile istaurare un clima di fiducia tra gli adolescenti e l’operatore educativo di riferimento, prima di iniziare una qualche pratica filosofica, bisognerebbe creare i presupposti perché il consulente ed i ragazzi potessero conoscersi reciprocamente, condividendo altre esperienze oltre a quelle direttamente legate al dialogo e alla ricerca filosofica. Sarebbe opportuno, per tanto, che il consulente frequentasse i giovani e interagisse con loro nell’ambito in cui il suo intervento viene richiesto. In questo senso, si potrebbe far in modo che il filosofo, almeno inizialmente, affiancasse, nelle loro attività di competenza, altre figure professionali, come per esempio, gli insegnanti, gli educatori, gli psicologi, i tutor scolastici, gli operatori sociali, studiando, di volta in volta, in collaborazione con ciascuno di essi, le modalità più appropriate per realizzare il proprio inserimento. Solo successivamente, potrebbe tentare la costruzione – su adesione volontaria – di piccoli gruppi di discussione (formati da dieci, quindici ragazzi al massimo), sganciandosi, 26 almeno parzialmente, dalle attività della realtà di partenza. O, magari, iniziare dei percorsi di ricerca individuale. Naturalmente i tempi perché si realizzino questi passaggi, varieranno in base al contesto e al tipo di collaborazione e adesione ottenuta. Differenziati, per gli stessi motivi, saranno anche gli argomenti e le modalità di svolgimento della ricerca filosofica. Per quanto riguarda queste ultime, credo che dei buoni modelli di riferimento siano da individuare nella comunità di ricerca pensata da M. Lipman – nell’ambito della Philosophy for Children – o nel dialogo socratico elaborato da Nelson35. Altro strumento utile potrebbe essere l’utilizzo del linguaggio del gioco, della drammatizzazione, della musica, delle immagini, di quelle dimensioni, cioè, molto vicine al mondo giovanile e quindi più facilmente fruibili e adatte a veicolare domande filosofiche e il relativo sviluppo di antinomie. A prescindere dalla strategia adottata, però, quello che vorrei rimarcare è il fatto che, il consulente filosofico dovrebbe svolgere un lavoro di equipe, collaborando strettamente con le varie agenzie educative a cui gli adolescenti in questione fanno riferimento. Solo così potrà avere visibilità e suggerire la pratica filosofica come sostegno concreto al raggiungimento dell’autonomia individuale, con l’acquisizione di un maggiore livello di insight ed il conseguente miglioramento delle capacità relazionali. Tuttavia, se questa esigenza rappresenta, senza ombra di dubbio, un punto di forza e una notevole facilitazione per la consulenza filosofica, dall’altro, essa può rivelarsi anche un limite. La riuscita e l’attuazione di questa pratica dipenderanno, infatti, oltre che dall’abilità del consulente e dall’interesse dei ragazzi, anche dalla credibilità che tale attività ricoprirà agli occhi dei possibili collaboratori: la percezione che questi ultimi avranno in merito all’importanza della consulenza filosofica per la prevenzione del disagio giovanile, giocherà, quindi, un ruolo fondamentale per 35 Cfr. Filosofia e formazione: 10 anni di Philosophy for Children in Italia, a cura di A. Cosentino, Liguori Editore, 2002 27 stabilire quanto saranno disposti ad investirvi in termini di tempo e risorse, sia economiche che strumentali. In definitiva, dunque, perché la consulenza filosofica abbia un futuro in ambito adolescenziale, dipenderà, in larga misura, dall’iniziativa, dall’impegno e dalla capacità dei filosofi nel promuoverla: se questi ultimi saranno in grado, operando una vera e propria campagna di sensibilizzazione rivolta alle scuole, alle cooperative, alle amministrazioni comunali e alle varie associazioni attive sul territorio a favore dei giovani, di valorizzarla e motivare in modo serio la sua importanza, essa potrà diventare uno strumento di prevenzione e un fattore di protezione sociale rilevante. In caso contrario, finirà per rimanere un’interessante, ma irrealizzabile, utopia. 28 Bibliografia Saggi Andreoli V. Giovani. Sfida, rivolta, speranze, futuro., Rizzoli Editore, Milano, 2006 Lettera ad un adolescente, Rizzoli Editore, Milano, 2006 Canevaro La relazione d’aiuto: l’incontro con l’altro nelle professioni educative, Carocci Editore, Roma 2001. Cosentino A Filosofia e formazione: 10 anni di Philosophy for Children in Italia, a cura di A. Cosentino, Liguori Editore, 2002. Damasio A. L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano 2005. Dolto F. Adolescenza, Mondadori Editore, Milano, 2005. Kierkegaard S. Aut-Aut, Mondadori Editore, Milano, 2004. Lipman M. Thinking in education, New York 1991. M. Aurelio I ricordi, Einaudi Editore, Torino, 2003 Morin E. Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer Editore, 1993. Nussbaum M. Coltivare l’umanità, Carocci Editore, Roma, 2003. Platone L’apologia di Socrate, Garzanti Editore, Milano, 1985. Piaget J. Dal bambino all’adolescente. La costruzione del pensiero, La Nuova Italia Editore, Firenze 1994. Rawls J., Una teoria della giustizia, Feltrinelli Editore, Milano, 2004. Stuart Mill J. L’asservimento delle donne, Einaudi Editore, Torino, 2001. Vegetti Finzi L’età incerta, Mondadori Editore, Milano, 2005. Siti Web http://www.cooperativailcerchio.com/. http://www.unica.it/~flscuman/ http://lgxserver.uniba.it/lei/sfi/bollettino/159_striano.htm. http://www.festivaldellamente.it 29