1 22-09-2008 Angelo Campodonico Università di Genova – Etica, metafisica, ontologia analitica. Il caso di Iris Murdoch (testo provvisorio) “In filosofia è difficile capire se si sta dicendo qualcosa di sensato e obbiettivo o se si sta solamente erigendo una barriera, adatta al proprio temperamento, contro le proprie paure personali. È sempre buona norma chiedersi di un filosofo: di che cosa ha paura?” (EM356). Introduzione Una riflessione s’impone innanzitutto sul titolo. Che cosa significa filosofia analitica? Non è facile definirla. La filosofia analitica “si dice in molti modi”. A volte essa viene a coincidere con una certa interpretazione e con un certo filone di essa (così accade spesso in Italia) oppure, inversamente, con la filosofia anglosassone contemporanea “tout court”. Cercherò di darne un’accezione ampia, seguendo il suggerimento di Piergiorgio Donatelli e di Cora Diamond e valorizzando così un filone meno conosciuto soprattutto in Italia. - Riguardo al significato dei termini metafisica e ontologia in ambito analitico, a parte le origini nella scolastica moderna, occorre ricordare che nell’idealismo la metafisica diventerà la scienza dell’Assoluto e, in quanto tale, la sua negazione costituirà uno degli elementi identitari del neopositivismo1. Strawson sarà il primo esponente della filosofia analitica a reintrodurre il termine “metafisica”, intendendo questa disciplina come meramente descrittiva ed escludente la sfera del divino2. Austin, Ryle, Kripke, Hamlyn, Wiggins, Quine, Goodman, Armstrong, Dummett, Putnam hanno ripreso alcuni aspetti della filosofia di Aristotele3 e hanno riabilitato la metafisica, lasciando però cadere completamente l’aspetto teologico e identificandola piuttosto con l’ontologia. Altri, come Ryle, hanno approfondito le nozioni di capacità, disposizione, sopravvenienza e, a partire dalla filosofia della mente, sono approdati a temi classicamente metafisici, ma sempre a prescindere dalla teologia. Tutti costoro, dopotutto, hanno approfondito questi temi spinti dall’insufficienza dei modelli descrittivi, dalla volontà di recuperare elementi normativi anzitutto in campo epistemologico ed etico e dall’esigenza realista di dare un riferimento a enti non empirici (astrazioni matematiche, elementi teorici della fisica, mondi possibili, proprietà, relazioni, natura degli oggetti materiali) e dagli sviluppi della logica modale e della semantica formale (necessità, possibilità, universali, quantificatori, identità, esistenza, persistenza nel tempo). La presa in carico da parte Ringrazio il Dott. Marco Damonte per i preziosi suggerimenti: Cfr. Strawson F. P., Individui, Feltrinelli, Milano 1978 (ed. or. Individuals. An Essay of Descriptive Metaphysics, London 1959). 3 Cfr. Berti E. Aristotele nel Novecento, Laterza, Roma-Bari 1992, pp. 112-185. 1 2 2 della filosofia analitica di questi ambiti fu una svolta epocale e segnò una frattura rispetto al positivismo logico: quello che si chiamava “filosofia analitica” quando ero studente universitario non ha niente a che fare con quello che oggi si chiama con lo stesso nome. I miei professori troverebbero che quello che oggi si chiama filosofia analitica è metafisica, “quello che noi per tutta la vita abbiamo cercato di distruggere”, direbbero Carnap e Reichenbach4. Affrontare questo programma forte prettamente ontologico, ha ridimensionato il ruolo dell’epistemologia come filosofia prima (cioè come indagine preliminare) e ha reso disponibili nuovi strumenti concettuali, utilizzati anche nelle argomentazioni peculiari della teologia filosofica, come, ad esempio, hanno fatto Chisholm, Alston, Swinburne, Van Inwagen e Plantinga5. Ciò è stato una condizione necessaria, ma non sufficiente ad inserire nelle ricerche metafisiche anche la teologia naturale. Per questo scopo è stato necessario attendere lo sviluppo di altri fattori, cioè un interesse nei confronti della realtà nel suo complesso e un’attenzione alla concretezza esistenziale dell’uomo; entrambe queste condizioni possono considerarsi un’eredità di Wittgenstein che, celata nel Nachlass, è carsicamente riemersa durante la pubblicazione dei suoi scritti e ha fecondato il pensiero di alcuni suoi discepoli a partire dagli anni settanta. Un precursore di questo approccio è Waismann, il quale, mettendo in parallelo Agostino e Wittgenstein, mostra come per entrambi la metafisica consista in un modo di vedere il mondo che si vive concretamente, scaturisce dalla meraviglia ed è lo sfondo, spesso non tematizzato, sul quale si costruiscono i grandi sistemi filosofici6. Secondo Varzi l’ontologia si occupa del che cosa c’è, cioè tenta di redigere un inventario di ciò che esiste, mentre la metafisica stabilisce che cosa è, ovvero specifica la natura degli enti inclusi nell’inventario ontologico7. Questa distinzione è però problematica, perché il nesso tra queste due discipline diventerebbe inevitabile e non giustificherebbe la loro esistenza quali ricerche separate. In effetti, Berti mostra proprio come in ambito analitico metafisica e ontologia siano di fatto sinonimi, perché la metafisica analitica, a differenza di quella classica, rinuncia a problematizzare a fondo l’esperienza e non si pone la domanda sulle cause prime, domanda che tradizionalmente è 4 Putnam H., Philosophie analytique et philosophie continentale. Entretien avec Joëll Proust, «Philosophie», 35 (1992), p. 50 (trad. mia). Cfr. Mitchell B., Staking a Claim for Metaphysics, in Harris A. H. – Insole C. J. (eds.), Faith and Philosophical Analysis, cit., pp. 21-32. 5 Cfr. Chisholm R, A Realistic Theory of Categories. An Essay on Ontology, Cambridge University Press, Cambridge 1996, in particolare pp. 127-132; Van Inwagen P., Metaphysics, Westview Press, Boulder 1993 e Plantinga A., The Nature of Necessity, Clarendon Press, Oxford 1974. 6 Cfr. Waismann F., Analisi linguistica e filosofia. Una nuova prospettiva, Ubaldini, Roma 1970 (ed. or. How I see Philosophy, Macmillan, London 1968). 7 Cfr. «Giornale di metafisica», 29 (2007). Per quanto concerne la presente discussione abbiamo tenuto presente gli interventi di Varzi C. A., Sul confine tra ontologia e metafisica, pp. 285-303 e Berti E., Ontologia analitica e metafisica classica, pp. 305-316. 3 stata la porta di accesso alla teologia naturale. Stando questo stato di cose, diventa evidente la diffidenza dei filosofi analitici della religione a riconoscersi nell’agenda di ricerca della metafisicaontologia. Essi attingono abbondantemente da questo filone, soprattutto avvalendosi degli apparati concettuali e metodologici che esso mette a disposizione, ma sono altresì convinti, e giustamente, di indagare un altro aspetto della realtà. Una tesi sulla quale Micheletti ha particolarmente insistito è che la rinascita della teologia naturale […] implica non solo l’impiego di strumenti concettuali resi disponibili dall’ontologia analitica, ma anche un suo approfondimento nella direzione della ricerca delle cause prime e dei fondamenti teistici della realtà8. Coerentemente con ciò Pouivet considera la filosofia analitica della religione come l’erede legittima della metafisica delle cause prime, cioè della teologia naturale9. Seppure la situazione stia cambiando abbastanza profondamente e velocemente verso un pieno recupero della teologia naturale entro l’ambito della metafisica, Berti ha senz’altro ragione nell’affermare che nell’ambito della filosofia analitica manca proprio ciò che permette di connettere l’ontologia alla teologia razionale, cioè la problematizzazione radicale del mondo dell’esperienza, considerata non solo nella dimensione linguistica, cioè quale riferimento del nostro linguaggio, ma anche nella dimensione, per così dire, reale, cioè più propriamente ontologica10. In sintesi l’ontologia analitica (descrittiva in Strawson) non problematizza radicalmente l’esperienza, mentre questa problematizzazione la troviamo, invece, nella filosofia della religione analitica, che riprende in qualche misura la scolastica medioevale. Riguardo al tema della relazione fra etica da un lato e metafisica, ontologia, dall’altro, storicamente v’è convergenza fra queste dimensioni nel platonismo e nelle sue riprese, v’è distinzione anche se non separazione nell’aristotelismo (ma più moderatamente in Tommaso d’Aquino per l’influsso del Cristianesimo e del platonismo stesso). 8 Micheletti M., La rinascita della teologia naturale nella filosofia analitica, cit., p. 53. Un’altra questione centrale messa a tema in ambito analitico negli ultimi anni è quella del rapporto tra moralità e religione. A partire dalla celebre domanda platonica se ciò che è moralmente apprezzabile lo sia in quanto comandato dalla bontà di Dio oppure se Dio comandi di agire secondo ciò che è morale, molti filosofi analitici si interrogano sul ruolo che la filosofia della religione può ricoprire per fondare l’etica. Si tratta di una domanda di meta-etica, a cui i diversi autori rispondono in modo contrastante, ma con una tendenza ad evitare il sorgere della domanda stessa, imputato ad una sostanzializzazione ingiustificata della legge morale. Prima delle proposizioni che formano le leggi morali infatti esisterebbe una moralità intrinseca alla natura umana, che la costituisce in quanto tale e alla quale sarebbe insensato attribuire una precedenza su di essa. (Tra la vasta bibliografia in proposito, mi limito a segnalare tre saggi utili a determinare lo status quaestionis sull’argomento: Nowell-Smith Patrick, Morality: Religious and Secular; Adams Robert, Divine Command Metaethics Modified Again e Kretzmann Normann, Abraham, Isaac, and Euthyphro: God and the Basis of Morality tutti in Stump E.-Murray M. J. (eds.), Philosophy of Religion. The Big Questions, Blackwell, Oxford 1999, pp. 399-427. 9 Cfr. Pouivet R., Introduction, «Revue Internationale de Philosophie», 57 (2003), p. 222. 10 Berti E., La metafisica nella filosofia del novecento, cit., p. 289 e Id., La prospettiva metafisica tra analitici ed ermeneutici, cit., pp. 47-53. 4 La separazione fra etica, da un lato, e ontologia e metafisica dall’altro è accentuata fortemente dopo la nuova scienza, in Hume e in Kant e nella filosofia contemporanea, soprattutto dopo Moore, con il tema della fallacia naturalistica nel filone dominante non cognitivista della filosofia analitica. Il problema dell’etica filosofica è innanzitutto quello di cogliere l’estrema ricchezza e complessità dell’esperienza morale, inquadrandola nell’insieme della vita e della razionalità umane. Questo compito non è facile. Stevenson, per esempio, suggerisce Clavell, “scrive di filosofia come se egli avesse dimenticato tutto ciò che sapeva a proposito del pensiero e della riflessione morale – come se avesse perso la nozione stessa di moralità. Il fatto non è però che egli l’ha persa, quanto piuttosto che egli non può (o non vuole) riconoscere o accettare ciò che sa” (p. 59). Questo rischio di semplificare eccessivamente attraversa la filosofia morale moderna e, in particolare, la metaetica e l’etica analitica. 1) Etica ed ontologia analitica a partire da Moore A partire da una certa interpretazione del primo Wittgenstein e soprattutto da autori come George Moore si sviluppano il neoempirismo e una certa filosofia analitica, tradendo le stesse intenzioni del filosofo austriaco, il quale pure valorizzava la dimensione morale e religiosa nell’ambito de il “mistico”, dell’indicibile (cfr. I. Murdoch, Metaphysics as a Guide to Morals). Barrett C., Wittgenstein on Ethics and Religious Belief, Blackwell, Oxford 1991. Il passo classico di Wittgenstein stesso che propone l’interpretazione etica del Tractatus è la lettera all’editore Ludwig von Ficker, il cui passo centrale è il seguente: Forse Le sarà di aiuto se Le scrivo un paio di parole sul mio libro: dalla lettura di questo libro, infatti, Lei -e questa è la mia esatta opinione- non ne tirerà fuori un granché. Difatti Lei non lo capirà; l’argomento Le apparirà del tutto estraneo. In realtà però, esso non Le è estraneo, poiché il senso del libro è un senso etico. Una volta volevo includere nella prefazione una proposizione, che ora di fatto lì non c’è, ma che io ora scriverò per Lei, poiché essa sarà forse per Lei una chiave per capire il libro. In effetti, io volevo scrivere che il mio lavoro consiste di due parti: di quello che ho scritto ed inoltre di tutto quello che non ho scritto. E proprio questa seconda parte è quella importante. Ad opera del mio libro l’etico viene delimitato, per così dire, dall’interno; e sono convinto che l’etico è da delimitare rigorosamente solo in questo modo11. Sul piano speculativo della concezione della realtà si sviluppa, così, in ambito analitico una concezione empiristica, atomistica, scientista o “naturalista” che si oppone all’esperienza comune e, 11 Wittgenstein L., Lettere a Ludwig von Ficker, Armando, Roma 1974, p. 72 (ed. or. Brief an Ludwig von Ficker, Otto Muller Verlag, Salzburg 1969). 5 d’altro lato, sul piano della riflessione etica, una visione della centralità della metaetica intesa come analisi del discorso morale. In effetti il discorso morale fa problema in quanto tale perché considerato dal punto di vista del primato della prospettiva scientifica. L’approccio scientifico esaurirebbe la nostra conoscenza della realtà. Per salvare i valori nella loro purezza, s’isolano dai fatti. Moore concepisce il valore come qualcosa che è esterno alle cose nel mondo, ma che è connesso ad esse in un modo che non le altera, mentre Wittgenstein sembra rigettare proprio la nozione di valore di Moore quando scrive che il valore incide sul mondo in un modo che altera il nostro modo di assumere le cose. Egli usa una serie di nozioni come “il mondo come un tutto”, la “cosa vista con l’intero mondo come background” nella sua discussione del solipsismo. Come nota la Murdoch, Wittgenstein con un logica più stringente dei suoi colleghi “ci dice che, se separiamo in modo assoluto fatti e valori, non possiamo dire nulla di questi ultimi” (MM40). Da Moore si sviluppa una concezione etica non cognitivista, emotivista (Ayer, Stevenson) che riduce la morale a reazione emotiva, e prescrittivista. Hare aveva concepito lo studio degli usi linguistici come analisi delle regole formali caratteristiche del linguaggio morale. Egli poteva dare una traduzione linguistica della visione formalistica kantiana e in particolare della tesi dell’universalizzabilità. Nel linguaggio morale vi sono simboli particolari, non cognitivi, che non descrivono niente ma hanno una forza imperativa: sono dei comandi. Lo studio del fenomeno della morale consiste nell’esaminare il linguaggio morale come se fosse un oggetto indipendente dal fatto d’essere espressione della vita interiore, personale degli individui. Quello morale è considerato da Hare essenzialmente come un “discorso breve”12. Secondo il modello non cognitivista le persone sono semplici comparse; appaiono al momento dell’esecuzione dell’atto e scompaiono con il concludersi dell’azione. Non ci sono agenti, ma solo sequenze di atti discreti della volontà. Per i non cognitivisti non ci sono limiti logici a ciò che può essere chiamato buono. Mentre l’elemento conativo-espressivo rimane costante, quello cognitivo, che è il veicolo della descrizione, varia secondo il dominio di applicazione. In sintesi: in questi autori del filone dominante dell’etica analitica l’influsso della scienza riguarda sia la visione del mondo, sia la concezione dell’etica intesa come distaccata dal soggetto e dalla sua visione del mondo. Questo ultimo aspetto vale anche per altri filoni dell’etica anglosassone, per l’intuizionismo di Ross, così come per l’utilitarismo. L’attività morale viene La posizione di Hare ne Il linguaggio della morale: “…la moralità di una persona emerge dal suo comportamento: un’asserzione morale è una prescrizione o regola, emanata per guidare la scelta; il significato descrittivo della parola morale in essa contenuta è so specifico mediante il riferimento a criteri fattuali di applicazione. Ossia, in un’asserzione morale noi quasi-ordiniamo che sia fatta una cosa particolare e siamo pronti a dire in virtù di quali fatti dovrebbe essere fatta. Siamo anche pronti, se la nostra asserzione morale è sincera, a metterla in pratica nelle circostanze adatte” (EM p. 91). 12 6 ridotta alla sfera dell’agire pubblicamente osservabile (modello comportamentista). Dell’azione si parla in termini di scelta e di movimento. Ha luogo un isolamento della morale dalla metafisica e dalla psicologia. La riscoperta della vita interiore è trascurata dai non cognitivisti. 2) Etica e ontologia analitica a partire da Wittgenstein Dal “secondo Wittgenstein” (che autori come Diamond leggono in continuità con il primo)13 discende una concezione dei diversi “giochi linguistici”, in cui il contesto, inteso in senso ampio anche come “modo di vita”, assume un’importanza determinante. La morale è uno di questi giochi. Qui ha spazio una ripresa dell’etica e della virtù e un “discorso lungo” in morale che ne accentua la dimensione narrativa. Questo aspetto, finora non molto valorizzato, soprattutto in Italia, mi pare particolarmente interessante. In filosofia morale si tratta di rispondere alla domanda: come il nostro comportamento è plasmato dal nostro modo di vedere e di parlare del mondo? L’individuo, in questa prospettiva, è da sempre in rapporto con il mondo e ha sempre una visione del mondo che incide sul suo comportamento concreto. La concezione della filosofia morale che si rifà ad una certa interpretazione del primo Wittgenstein, a Moore, ad Ayer, a Stevenson, ai cognitivisti, soprattutto alla formulazione del primo Hare è stata criticata in ambito analitico da Bernard Williams, Philippa Foot, John Mac Dowell, Harry Frankfurt ecc. e, in particolare, da Iris Murdoch anche sulla scia dell’amica e collega di Oxford Elizabeth Anscombe (allieva di Wittgenstein e critica dell’etica moderna del dovere in “Modern Moral Philosophy”) e, più recentemente, da una studiosa statunitense di Wittgenstein, Cora Diamond. Sul pensiero di queste due studiose, Murdoch e Diamond, mi soffermerò in particolare, ma senza trascurare gli altri contributi. Già per la Anscombe, se vogliamo comprendere che cosa significhi esprimere una raccomandazione a proposito di un certo corso di azione o una valutazione su uno stato di cose, dobbiamo considerare il contesto in modo diverso da come faceva Hare14. Anche Williams ha criticato il carattere “moralistico” di molta filosofia morale contemporanea, cioè la sua 13 Oltre al libro di Barrett, altra letteratura secondaria che sottolinea la continuità tra il “primo” e il “secondo” Wittgenstein è: Cfr. Kenny A., La filosofia della mente nel primo Wittgenstein, e Williams B., Wittgenstein e l’idealismo, entrambi in Andronico – Marconi – Penco (a cura di), Capire Wittgenstein, cit., rispettivamente pp. 121 e 277-9. Più ampiamente la tesi è argomentata in Kenny A., Wittgenstein, Boringhieri, Torino 1984 (ed. or. Wittgenstein, Penguin, London 1973); a p. 252 egli esplicita questo suo intento programmatico e alle pp. 264-7 elenca una serie di proposizioni a cui Wittgenstein si attenne in ogni fase del suo pensiero. Sulla continuità di Wittgenstein insiste anche von Wright G. H., Wittgenstein e il Novecento, in Egidi R. (a cura di), Wittgenstein e il novecento, Universale Donzelli, Roma 2002, pp. 29-30: questo autore punta sul costante atteggiamento di Wittgenstein nei confronti della vita.) 14 Cfr. Anscombe G. E. M., Intenzione, Università della Santa Croce, Roma 2004 (ed. or. Intention, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 2000 (2)) 7 concentrazione su un certo tipo di considerazioni (il dovere per il dovere ad esempio) a discapito di altre e cioè dei molti modi in cui le situazioni possono colpire, interessare, risultare gradevoli o dolorose. Cercherò di cogliere alcuni aspetti presenti nel pensiero di Iris Murdoch e comuni a molti degli autori citati. Un breve cenno però va fatto prima alla figura e alla biografia della Murdoch. Si tratta di un raro caso di romanziera di successo e di filosofo di valore, capace di scrivere bene utilizzando i due registri letterario e filosofico-analitico. Amica e collega della Anscombe e della Foot a Oxford, dove ha insegnato per anni filosofia, influenzata da Wittgenstein, dal pensiero esistenzialista della Weil, dal punto di vista filosofico è difficile inserirla in qualche filone, a rigore neppure nell’etica delle virtù, alla quale per tanti aspetti si avvicina. 3-1 Etica e metafisica in Iris Murdoch In primo luogo, come sottolinea particolarmente la Murdoch, la dimensione pratica dell’agire è un modo di guardare tutta la realtà e non solo una parte, è uno sguardo su tutta la realtà, una prospettiva in termini classici trascendentale, in cui la dimensione del bene ha il primato. La dimensione morale abbraccia tutta la nostra vita, non solo alcuni aspetti di essa: “ è perfettamente ovvio che la bontà sia connessa alla conoscenza non però ad una conoscenza impersonale, quasi-scientifica del mondo ordinario, qualunque essa possa essere, bensì ad una percezione affinata e onesta di come realmente stanno le cose, un paziente e giusto discernimento ed un’esplorazione di ciò che ci sta davanti, che non sono il risultato di un puro e semplice aprire gli occhi bensì di un genere di disciplina morale che ci è, certo, del tutto familiare”(SB 92). Oggi “ciò che mi sembra al di là di ogni dubbio è che la filosofia morale sia scoraggiata e confusa, privata di credito e d’importanza in molti ambiti. Il dissolversi dell’io filosofico, unitamente al fiducioso riempirsi dell’io scientifico, ha prodotto nell’etica una concezione ampollosa benché vuota della volontà ed è quest’ultima che ho inteso soprattutto attaccare” (SB133). In questa prospettiva si sottolinea l’importanza della visione e dell’immaginazione, dell’attenzione nell’esperienza morale: “La direzione dell’attenzione, contrariamente all’istinto, è rivolta all’esterno, lontano dall’io che riduce tutto ad una falsa unità, verso la grande, sorprendente varietà del mondo; la capacità di dirigere l’attenzione in questo modo è l’amore” (SB 122). 8 Una parola può modificare il nostro modo di pensare, ritagliare la realtà in modo nuovo. Di qui l’importanza della letteratura, di un vocabolario morale: “Un cambiamento morale emerge dal nostro vocabolario: anche il modo in cui vediamo e descriviamo il mondo, e il rapporto tra questa visione e il nostro comportamento può essere molto complesso…. Abbiamo trascurato vocaboli morali come vero, coraggioso, libero, sincero” (EM100). In una battuta potremmo dire che così come il conoscere è sempre un “conoscere come”, cioè un atto intenzionale e non un mero stato mentale, così il volere è sempre un “volere come”, diretto verso una realtà conosciuta e situata. Per la scrittrice inglese l’etica non si riduce al problema della scelta nella sua puntualità, ma concerne soprattutto un problema di sguardo sulla realtà: “La libertà intesa in senso stretto non consiste nell’esercizio della volontà, ma piuttosto nell’esperienza di una visione accurata che, quando è il momento adatto, causa l’azione. È ciò che sta dietro e negli interstizi tra le azioni, sollecitandole, che è importante, ed è quest’area che andrebbe purificata. Quando il momento della scelta è arrivato, la qualità dell’attenzione ha probabilmente già determinato la natura dell’atto…La sincerità e la conoscenza di sé, generalmente riconosciute come pregi, appaiono meno importanti. Ciò che libera è un attaccamento a ciò che si trova fuori dal congegno della fantasia, non un esame del congegno stesso” (SB 123). Non si tratta innanzitutto di attenzione a sé, alle proprie scelte, ma di apertura, attenzione alla realtà. Qui emerge l’influsso di Simone Weil e del suo tema dell’ attenzione sulla Murdoch). L’egocentrismo ci distoglie dalla realtà (a parte la difficoltà di conoscersi veramente come sottolineato anche da Harry Frankfurt - Charles Larmore). Se studio il russo, “il mio lavoro è la rivelazione progressiva di qualcosa che esiste indipendentemente da me. L’attenzione è remunerata da una conoscenza della realtà. L’amore per il russo mi conduce fuori da me stesso verso qualcosa che mi è estraneo, qualcosa di cui la mia coscienza non può assumere il controllo, né esaurirlo, negarlo o renderlo irreale” (SB 148). In realtà “proprio perché il linguaggio morale è assertivo (anziché espressivo e prescrittivo come dicono i non cognitivisti), può essere veicolo di rappresentazioni più o meno appropriate della realtà “(SB 51). Le metafore per la loro ricchezza e flessibilità sono i modi linguistici migliori per esplorare la fenomenologia morale e dare dei resoconti accurati della vita morale. Sono modi di forzare le categorie del linguaggio morale ordinario per introdurne o recuperarne. Il rinnovamento morale richiede un mutamento del linguaggio. Pensiamo, per esempio, come il significato della parola amore sia oggi troppo vago e richieda di essere continuamente precisato. Il valore per la Murdoch è una proprietà genuina della realtà, ma non è indipendente dalla nostra natura di agenti. L’interpretazione della realtà è un’attività allo stesso tempo cognitiva e valutativa 9 in cui siamo costantemente impegnati. Per questo non si passa dal descrittivo al valutativo violando la cosiddetta “legge di Hume” (come suggeriva Moore). Sono sempre possibili nuovi modi di vedere il mondo e le persone come la nuora da parte della suocera, lo straniero da parte del nativo ecc. in base a conversioni dello sguardo. Scopo della morale: guardare meglio la realtà. Come se si dicesse: guarda meglio la realtà e, in particolare, le persone che hai di fronte! Il progresso morale consiste nell’acquisire con sforzo e pazienza, una visione chiara dell’altro, frutto di atti particolari e continui di attenzione (crescita virtuosa): “…un’analogia estetica è d’aiuto alla morale. M potrebbe essere aiutata da qualcuno che ha conosciuto D e il cui schema concettuale M potrebbe comprendere o cominciare a comprendere in quel contesto. Un progresso nella comprensione di uno schema concettuale spesso ha luogo quando ascoltiamo un discorso normativo-descrittivo, in presenza di un oggetto comune” (SB85-86). Il cambiamento può essere in meglio, ma anche in peggio: “La conversazione quotidiana non è necessariamente un’attività moralmente neutrale, inoltre certi modi di descrivere le persone possono corrompere ed essere sbagliati…” Per Murdoch occorre pensare la moralità come qualcosa che va avanti continuamente e non come qualcosa che sia possibile spegnere tra una scelta morale esplicita e un’altra. La morale ha un aspetto complessivo, una visione ramificata delle cose che appare in tanti aspetti, nelle più diverse reazioni, nelle parole e nei silenzi, in ciò che si trova divertente o interessante o ammirevole, nelle scelte, certo, e soprattutto nei concetti che si hanno. L’attività mentale di ciascun individuo possiede un’unità narrativa. Il processo attraverso il quale i concetti acquisiscono concretezza è lento, consiste in atti continui d’immaginazione, e mostra un senso e una direzione che diventano intelligibili quando l’agente offre una spiegazione narrativa, cioè quando racconta la sua storia dal suo punto di vista. Da questa prospettiva le attività mentali più importanti non sono tanto il pensare, quanto il ripensare, non il descrivere, quanto il ridescrivere, non l’esaminare, ma il riesaminare, non il definire, ma il ridefinire. Quindi, in opposizione al prescrittivismo universalista di Hare, contraddistinto dal “trattamento comportamentistico della “vita interiore”, la visione dei concetti morali come specificazioni fattuali più esortazioni, la universalizzabilità del giudizio morale e la conseguente raffigurazione della libertà morale…” (EM105), Murdoch sottolinea che non tutti i comportamenti sono universalizzabili (cfr. EM111). In generale, a differenza dell’universalismo rigido, “ai fini dell’analisi la filosofia morale dovrebbe rimanere al livello delle differenze, prendendo come date le forme morali di vita e non cercare di trovare una forma unica” (EM 120). Di fronte alla particolarità delle singole situazioni morali “queste narrazioni offrono proprio per via della loro 10 concretezza e dunque della loro ambiguità, fonti di ispirazione morale che regole estremamente definite non potrebbero offrire” (EM115). Ricercando le radici del prescrittivismo di Hare si afferma che “quando Kant tentò d’individuare qualcosa di pulito e nitido al di là della confusione della psiche egoista ed empirica, seguiva un sano istinto, ma, a mio parere, cercava in un posto sbagliato. La sua ricerca lo riportò all’interno del soggetto, ora dipinto come angelico, e i suoi successori non si sono più scostati da questo ioangelo” (EM 364). Ma allora, “Perché non annettere moralità alla sostanza del mondo?…risposta morale “Se fai questo rischi di trasformare la tua moralità in un dogma, rischi di diventare intollerante verso i valori degli altri, e di smettere di riflettere sui tuoi valori, considerandoli troppo come dati… il filosofo morale contemporaneo ha prodotto un modello. Solo che non si tratta di un modello qualsiasi. Si tratta di un modello della sua propria moralità” (EM 94-95). Osserva a questo proposito la Murdoch: “Il liberale [a differenza del naturalista] vuole continuamente portare l’attenzione sul punto di discontinuità tra l’agente che sceglie e il mondo. Credo non sia semplicemente un gioco verbale sostenere che cui si dovrebbe aspirare è la bontà e non la libertà o l’azione giusta, anche se l’azione giusta e la libertà, intesa come umiltà, sono i prodotti naturali dell’attenzione al bene” (EM 119). In realtà “non occorre per garantire la morale, che la libertà equivalga alla completa indipendenza dalle attitudini concettuali profonde” (EM109). “I grandi filosofi coniano nuovi concetti morali e comunicano nuove visioni della morale e nuovi modi di comprensione” (EM109). “Se i concetti morali fossero considerati profonde configurazioni morali del mondo piuttosto che confini tracciati per separare aree fattuali, allora non ci sarebbero fatti “dietro di essi” in base ai quali essere erroneamente definiti in quanto tali. Non c’è niente di sinistro in questa idea, la libertà consisterà non nell’essere capace di eliminare il concetto dai fatti che restano inalterati e si trovano altrove, ma nell’essere capaci di ‘approfondire’ e ‘riorganizzare’ il concetto o di sostituirlo con un altro. Da questo punto di vista si deve notare che la libertà morale sembra più una modalità di riflessione che dobbiamo portare a compimento, e meno una capacità di modificare le nostre scelte che ci appartiene per definizione. Non mi pare affatto uno svantaggio” (EM 118). In Metaphysics as a Guide to Moral, la sua ultima opera filosofica, la Murdoch cerca di salvare la nozione di dovere in una forma ridimensionata rispetto a quella propria del prescrittivismo. Ella nota: “Qualcuno potrebbe notare che un’etica non del dovere potrebbe scadere nell’estetismo” (MM 301). E in seguito : “Il concetto di dovere è sui generis, la sua separatezza è un aspetto della sua efficacia. Non è il tutto della morale, ma ne costituisce un essenziale nocciolo duro”…” Dio non ha 11 doveri. Un essere imperfetto spesso riconosce e sente la domanda morale come esterna, opposta all’istinto e all’abito, contraria ai modi usuali di pensiero” (MM 302-3). 3-2 Analogia-sinergia fra filosofia e arte-letteratura La Murdoch individua importanti analogie fra l’esperienza morale e l’esperienza artistica e letteraria interpretate in una prospettiva metafisica realistica. Di più: l’esperienza artistica e letteraria esercita un ruolo formativo sull’esperienza morale, esercitando l’uomo ad aprirsi alla realtà nei suoi molteplici aspetti. Elenco di seguito alcuni passi significativi sul tema: - “E importante ricordare che il linguaggio stesso è un mezzo morale, che praticamente tutti gli usi del linguaggio implicano giudizi di valore. Questa è una delle ragioni per cui siamo quasi sempre moralmente attivi. La vita è impregnata di morale, così come lo è la letteratura” (EM59). - “Ai fini della salvezza collettiva e individuale della razza umana, l’arte è senza dubbio più importante della filosofia, e la letteratura la più importante fra tutte le arti” (SB 133). - “La tolleranza è legata alla capacità di immaginare nuclei di realtà distinti e lontani…Il grande artista vede l’insieme vasto e interessante di ciò che è altro da sé e non riduce il mondo ad un’immagine di se stesso. Credo che questo particolare tipo di oggettività comprensiva sia una virtù, ed è proprio questo che lo Stato totalitario cerca di distruggere quando perseguita l’arte” (EM61). - L’arte e la morale “ La loro essenza è la stessa. L’essenza di entrambe è l’amore, e l’amore è la capacità di cogliere l’individuale. Amore significa comprendere, ed è molto difficile, che qualcosa di altro da sé è reale” (EM 212). - “ è a partire da queste due sfere, arte ed etica, che possiamo sperare di riuscire a formulare concetti validi che siano in grado di guidare e controllare il crescente potere della scienza” (EM 356). “Il realismo del grande artista non è un realismo fotografico, è essenzialmente pietà e giustizia” (EM367). Ma Murdoch precisa significativamente: “I buoni artisti possono essere pessimi uomini; la loro virtù, come ho già detto, può interamente risiedere nel lavoro, la giusta visione può essere raggiunta solo lì” (EM 448). 3-3 Affettività/ragione 12 Per Murdoch sussiste un intimo nesso fra affettività e razionalità pratica. La dimensione affettiva non si aggiunge a questa “dall’esterno”. Come ella nota “Gli esseri umani sono naturalmente affettivi e quando un affetto risulta doloroso o negativo, viene prontamente sostituito da un altro affetto, che può essere incoraggiato da uno sforzo di attenzione” (EM 343). E in EM 371: “Agiamo nel modo giusto “quando viene il momento” non grazie alla nostra forza di volontà, ma grazie alla qualità dei nostri legami affettivi e all’energia e al discernimento di cui disponiamo. Per questo motivo l’intera attività della nostra coscienza è rilevante”. 3-4 Opposizione fantasia/immaginazione, egocentrismo/ eterocentrismo, Gli errori morali su cui Murdoch insiste sono errori di distrazione, di mancanza di partecipazione, mancanza di immaginazione, negligenza, apatia, sconsideratezza. L’immaginazione, infatti, è un modo dell’attenzione; esercitare l’immaginazione significa focalizzare l’attenzione sulla realtà. Mentre la fantasia è un modo di allontanarsi dalla realtà, l’immaginazione è un modo di prestarvi attenzione ed esserne partecipi. Il discernimento morale è “l’idea di un rispetto paziente e affettuoso verso una persona, una cosa, una situazione, presenta la volontà non come un movimento ostacolato ma qualcosa di più simile all’obbedienza” (EM 331). L’alternativa fondamentale dell’etica è quella fra egocentrismo ed eterocentrismo. Nota a questo proposito la Murdoch: “Una fede ingenua nella scienza, insieme al presupposto che ogni individuo sia razionale e assolutamente libero, porta a una pericolosa mancanza di curiosità nei confronti del mondo reale ed è responsabile del fatto che non si apprezzino le difficoltà incontrate nel tentativo di conoscerlo. Dobbiamo abbandonare il concetto egocentrico [self-centered] di sincerità e tornare al concetto eterocentrico [other centered] di verità. Non siamo individui sovrani isolati e liberi di scegliere, ma creature ottenebrate, sprofondate in una realtà che siamo costantemente tentate di deformare per mezzo della fantasia. La nostra attuale immagine di libertà incoraggia la fuga dalla realtà [ a dream-like facility]” (EM17-18). E si precisa in seguito: “La visione giusta, perfino nel caso dei problemi che riguardano più strettamente l’intelletto, e in particolare quando si tratta di percepire sofferenza e malvagità, è una questione morale: le stesse virtù, e alla fine un’unica virtù [l’amore], sono continuamente richieste e la fantasia [l’io può impedirci di vedere un filo d’erba così come un’altra persona. Una crescente consapevolezza di ciò che è bene e il tentativo [di solito solo parzialmente riuscito] di attenervisi in modo puro, senza intromissione dell’io, porta con sé una crescente consapevolezza dell’unità e interdipendenza del mondo morale. Un’intelligenza che ha un unico scopo è l’immagine della 13 “fede”. Pensiamo a cosa significa far crescere in qualcuno la comprensione per una grande opera d’arte” (EM 354). Qui la Murdoch s’ispira esplicitamente a Simone Weil. Secondo la Weil, “il cambiamento morale proviene da un’attenzione per il mondo il cui naturale risultato è un decremento dell’egoismo attraverso un accresciuto senso della realtà in primo luogo certamente delle altre persone, ma anche delle cose” (MM 52) . Ella rimanda a Lettera ai Filippesi 4, 8: “Tutto ciò che è buono…sia oggetto dei vostri pensieri”. 3-5 Apertura agli altri Apertura alla realtà (eterocentrismo) significa soprattutto apertura alle altre persone: “Alla fine forse non c’è pace tra coloro che pensano che gli altri siano di solito difficili da comprendere e coloro che pensano invece che gli altri siano facili da comprendere”(EM 120). E si precisa: “Possiamo non vedere l’individuo a causa della totalità di Hegel, a causa del nostro stesso essere immersi in una totalità sociale a cui permettiamo in modo acritico di determinare le nostre reazioni, o perché ci consideriamo a vicenda solo come determinati in quel modo. Oppure possiamo non essere in grado di cogliere l’individuo perché viviamo completamente rinchiusi in un mondo fantastico da noi stessi creato e in cui cerchiamo di far entrare le cose dall’esterno senza comprenderne la realtà e l’indipendenza e trasformandole in oggetti del nostro sogno. La fantasia, nemica dell’arte, è la nemica dell’autentica immaginazione. L’amore è un esercizio dell’immaginazione. Ecco cosa intendeva Shelley quando affermava che l’egoismo è il più grande nemico della poesia” (EM 225). Ciò non significa, tuttavia, che l’arte debba avere uno scopo didattico. In questa prospettiva “la persona reale distrugge il mito, la contingenza distrugge la fantasia e apre la strada all’immaginazione” (EM 297). In realtà “non siamo liberi di cambiare noi stessi all’improvviso” (EM 331). 3-6 Proposta: la morale come tendenza al bene (Platonismo) La proposta etica e metafisica della Murdoch s’ispira al Platonismo, anche se potrebbe legittimamente essere condivisa da altre prospettive di pensiero, in particolare dalla linea aristotelica. Ella afferma ne La sovranità del Bene: “‘Il Bene è una realtà trascendente’ significa che la virtù è il tentativo di squarciare il velo della coscienza egoistica per congiungersi al mondo come esso realmente è. Che questo tentativo non possa essere interamente coronato dal successo è un 14 fatto empirico, che riguarda la natura umana” 152. Più cresce nell’uomo l’affermazione del Bene, più l’uomo egli si apre alla realtà, più diventa capace di cogliere il limite del finito e più diventa, agostinianamente, capace di vera libertà. Conclusioni: acquisizioni e problemi aperti Gli autori cui abbiamo sinteticamente accennato (in particolare, Murdoch e Diamond, in certa misura Mc Dowell e Frankfurt) sono accomunati dai seguenti temi: 1) Attenzione al linguaggio. Il linguaggio come per il secondo Wittgenstein, ma secondo alcuni come Diamond anche per il primo, è un organismo vivo, espressione della vita delle persone e non qualcosa “là fuori”, completo senza il contributo individuale, né un mero strumento (un insieme di segni che aspetta il contributo degli uomini per essere rimesso in vita). Il linguaggio è fondamentale nell’esperienza morale, la quale si nutre di nuovi termini che ritagliano continuamente l’esperienza, rinnovandola. 2) Il carattere onnicomprensivo della dimensione morale che comporta sempre una conoscenza della realtà. Il valore per Wittgenstein incide sulla nostra visione del mondo. La conoscenza della realtà è già impregnata di valore, di moralità. Per questo non si deducono norme da fatti. A differenza di una razionalità pratica d’impronta humeana o kantiana, emotivista o prescrittivista che è tendenzialmente cieca. Si potrebbe parlare d’intelletto [da intus-legere secondo l’etimologia di Tommaso] e non di emotività isolata e di ragione in morale. La razionalità pratica moderna in genere sente, esige, postula, ma in quanto tale “non ha occhi”. 3) La conoscenza della realtà non si riduce a conoscenza scientifica. Solo quando vediamo l’esperienza umana non con gli occhi della scienza, ma con quelli valutativi e concettuali possiamo selezionare alcune aree come irrinunciabili (per es. la libertà)15. 4) L’intimo nesso razionalità-affettività. L’affettività non si aggiunge dall’esterno alla razionalità pratica (Mc Dowell). 5) Il nesso morale- arte-letteratura. La vera arte come la vera esperienza morale è conoscenza della realtà e degli altri e non proiezione dell’io, eterocentrismo, cui corrisponde l’immaginazione e non egocentrismo cui corrisponde la fantasia. 6) La morale non è un discorso breve che si riduce al problema della scelta e al tema del dovere da parte di un soggetto atomistico, anche se questo tema conserva una sua 15 Cfr. M. Nussbaum, Non relative Virtues: An Aristotelian Approach in The Quallity of Life, Oxford 1993, pp. 242269. 15 importanza. La morale riguarda in primo luogo la vita interiore, il modo di guardare la realtà e gli altri che si traduce nelle scelte. 7) La concezione atomistica dell’individuo che sceglie, la quale si ribella al naturalismo [religioso o marxista] ovvero alla metafisica, non è neutra e oggettiva, ma è espressione di una determinata cultura, dell’empirismo e del liberalismo, di chi pure pretende di non essere condizionato. 8) A differenza delle posizioni di Moore, Ross e Hare, la cui visione in ultima analisi scientista e atomistica non mette in relazione i concetti morali con il soggetto (non c’è mai l’idea che vi sia qualcosa come il punto di vista dell’individuo virtuoso sulle cose), il problema morale riguarda il soggetto, la sua persona, il suo carattere, le sue virtù. Queste influenzano la sua visione della realtà e la sua capacità di cogliere la pertinenza morale di certe situazioni. 9) Contro l’astoricità del filone dominante della filosofia analitica. Importanza del confronto fra diverse prospettive morali che si sono succedute lungo la storia al fine di arricchire il nostro vocabolario morale, di affinare la nostra prospettiva sulla realtà e di rendere più ponderate le nostre scelte. 10) Importanza della testimonianza viva di altri per imparare a guardare in modo nuovo e, quindi, a scegliere diversamente. Si tratta d’imparare a guardare come altri guardano. Può essere utile, infine, un confronto con una prospettiva ricca dell’esperienza morale, precedente la scissione moderna di speculativo e pratico. In effetti, dal momento che viviamo da tempo nella scissione di affettività e razionalità, razionalità pratica e razionalità speculativa, è opportuno guardare a momenti storici e a figure che questa scissione precedono. Consideriamo un passo di Tommaso: “quinque pertinent ad prudentiam secundum id quod est cognoscitiva, scilicet memoria, ratio, intellectus, docilitas et solertia, tria vero alia pertinent ad eam secundum quod est praeceptiva, applicando cognitionem ad opus, scilicet providentia, circumspectio et cautio. Quorum diversitatis ratio patet ex hoc quod circa cognitionem tria sunt consideranda. Primo quidem, ipsa cognitio. Quae si sit praeteritorum, est memoria, si autem praesentium, sive contingentium sive necessariorum, vocatur intellectus sive intelligentia” (In Eth. VI). Per Tommaso d’Aquino, che riprende Aristotele, la razionalità pratica è anche sempre speculativa, aperta alla realtà. Si tratta di una razionalità che vede e guarda, che “avendo degli occhi”, può sempre guardare con occhi nuovi. Il problema morale è innanzi tutto un problema di sguardo, a 16 partire da una memoria di eventi significativi vissuti in prima persona e anche testimoniati da altri: “Ratio pratica considerando ordinem facit (pone ordine)”. Ma, significativamente, considerare significa guardare con attenzione. Come si desume dal passo del Commento all’Etica nicomachea la dimensione speculativaintuitiva è intrinseca alla prudentia, la quale ordina “qui ed ora” [dimensione precettiva]. La dimensione conoscitiva della realtà riguarda non solo i principi primi speculativi e pratici, ma anche la realtà concreta in cui l’azione ha luogo (“sive contingentium sive necessariorum”). Così pure la docilitas come capacità d’imparare a guardare gli altri virtuosi è intrinseca alla prudentia. Aristotele sottolinea anche il ruolo della synesis come capacità di riconoscere il comportamento virtuoso altrui e, quindi, coloro da cui imparare. Si deve notare, in questa prospettiva, che non si può leggere l’etica antica e medioevale, accentuando troppo il ruolo della scelta rispetto a quello della conoscenza pratica. In sintesi: Tommaso sottolinea il ruolo centrale dell’intelligenza nell’esperienza morale e non solo della ragione pratica in senso moderno [Kant-Hare] o del sentimento [emotivismo] e il ruolo del desiderio come unificante l’ambito della tendenza. Questo non si riduce, infatti, ad un insieme di bisogni scoordinati. Si può parlare di circolo interpretativo tra intellectus dei principi e intellectus del particolare, che si condizionano a vicenda. Problemi aperti: Le differenze di visione morale e le differenze nell’impostare le scelte concrete non si basano solo sulla diversità dei principi morali che si adottano, ma moltissimo sulla diversa sensibilità nei confronti della realtà quotidiana (intellectus del particolare). La sensibilità è plasmata dalla cultura, dall’esperienza, dalla formazione del carattere (virtù), dall’attenzione al comportamento e alla testimonianza altrui e oggi dalla lettura della stampa e dai mezzi di comunicazione in genere. Ruolo fondamentale della memoria e dell’attenzione nell’educazione morale: Che cosa ricordi, che cosa ti colpisce, quale memoria alimenta il tuo agire? Scopo della morale è innanzi tutto guardare meglio la realtà: guarda meglio la realtà e, in particolare, le persone che hai di fronte! Oggi queste conversioni di sguardo possono anche essere suggerite dai mass media. Ma come discriminare fra conversioni dello sguardo migliori e peggiori? Come liberarsi dagli schemi ideologici? Può essere importante, platonicamente, la direzione verso il Bene (Murdoch)? Il fatto di tener presenti tutti fattori di una situazione (fine, oggetto, circostanze) secondo una nozione d’integralità tommasiana [bonum ex integra causa]? Come coniugare questo sguardo sul mondo con alcuni principi assoluti (di derivazione kantiana, ma anche tommasiana), i 17 quali però da soli non sono sufficienti (problema della fondazione dell’etica)? Come superare, infine, il rischio di un’incomunicabilità fra diverse prospettive morali (relativismo), rischio insito nella prospettiva del secondo Wittgenstein, pur degna di essere valorizzata, come fanno la Murdoch e, soprattutto, la Diamond? Occorre notare, infine, che nella prospettiva della Murdoch, per tanti aspetti condivisibile, si può scorgere talora il rischio socratico-platonico di ridurre la dimensione morale alla conoscenza giusta, trascurando o minimizzando il ruolo delle virtù etiche nel motivare all’azione. 3) Bibliografia Iris Murdoch. Vision and Choice in Morality in “Proceedings of the Aristotelian Society”, 30 (Suppl), 1956, pp. 32-58. Iris Murdoch, The Sovereignity of Good, Routledge & Kegan, London 1970, trad. it. di L De Biase, La sovranità del bene, R. Carabba, Lanciano 2005 (SB) Iris Murdoch, Metaphysics as a Guide to Morals, Penguin Books, London 1992 (MM) Iris Murdoch, Esistenzialisti e mistici, Il Saggiatore, Milano 2005 (EM). Bernard Williams, L’etica e i limiti della filosofia, Laterza, Roma-Bari 1987. Harry Frankfurt, The Importance of what we care about. Philosophical Essays, CUP, Cambridge 1988. John McDowell, Mind, Value & Reality, Harvard University Press, Harvard 1998. Cora Diamond, L’immaginazione e la vita morale a c. di P.G. Donatelli, Carocci, Roma 2006 Appendice Cora Diamond Cora Diamond riprende oggi in gran parte la concezione della Murdoch. Non è facile, secondo Diamond, scrivere sulla vita morale. Ella condivide con Mc Dowell l’idea che il padroneggiare concetti è qualcosa che coinvolge la vita intima della persona e che il cambiamento morale ha a che fare con il guadagnare per sé una certa prospettiva concettuale. Per Diamond la vita morale è sia carica di emozioni e di affettività, sia (a differenza di quanto afferma l’emotivismo) propriamente concettuale. Una parola può spalancare un orizzonte nuovo all’esperienza morale. In un concetto 18 c’è una certa storia culturale, ma anche qualcosa che possiamo modificare con la nostra riflessione e cioè con la trasformazione della nostra sensibilità. Mentre per Hare il sentimento colora un pensiero cognitivo già compiuto, Diamond vede la vita di un pensiero morale e la sua dimensione affettiva come un intero mondo in cui si deve entrare, un mondo in cui vari aspetti si tengono insieme, una visione complessiva (come osservava Murdoch) che si deve fare propria. Ciò che non va in Rawls, secondo Diamond, e il fatto che egli propone una spiegazione troppo limitata del tipo di esperienza che può riempire di significato la sua affermazione della separatezza delle persone. Non basta il senso del rispetto nei riguardi delle persone. Diamond vuole conservare l’interpretazione kantiana della forza con cui si impongono le considerazioni morali come una forza autenticamente concettuale, cioè il tipo di forza che è all’opera quando vediamo ciò che si tiene assieme concettualmente, ma rifiuta di accettare la lettura kantiana circa l’origine di tale forza. Ella critica il modo in cui Kant si concentra sulla sola razionalità ad esclusione della sfera delle passioni. Soprattutto sottolinea l’importanza di non semplificare, di non cercare una formula universale che tralasci la varietà di cose di cui è nutrito il nostro interesse morale verso il mondo. Per D. le considerazioni morali fanno parte (concettualmente) della nozione di essere umano. Ella sostiene, per es., che trattare con rispetto i cadaveri fa parte del nostro avere il concetto di essere umano. Affermare che la vita dei nostri interessi morali è concettuale comporta un’attenzione alla varietà di distanze che si possono porre tra le persone e le epoche, e apre quindi anche a una varietà di possibilità di critica. Secondo Murdoch e Diamond la tradizione analitica ha trascurato questo bene concettuale (Diamond p. 256: “Imparare a usare un termine significa introdursi nella vita con quel termine, le cui possibilità sono in larga misura ancora da determinare”. Invece si è pensato erroneamente che Wittgenstein sostenesse un’idea di linguaggio governato da regole date16. Da C. Diamond, L’immaginazione e la vita morale 170 “dobbiamo rifiutare l’idea che il pensiero morale sia un reparto del pensiero e il discorso morale un reparto del discorso. Ma è questa concezione della moralità come suddivisa in reparti che caratterizza la filosofia morale contemporanea”. 16 Sull’interpretazione di Wittgenstein da parte della Diamond cfr. Donatelli Piergiorgio (Università di Roma La Sapienza), The Problem of “The Higher” in Wittgenstein’s Tractatus e Conant James, What “Ethics” in the Tractatus is Not, entrambi in Phillips D. Z. – von der Ruhr M. (eds.), Religion and Wittgenstein’s Legacy, Ashgate, Aldershot 2005, pp. 11-88). 19 172: “La concezione che Murdoch ha della consapevolezza cognitiva è che essa sia dappertutto carica di valore”. 173: “ …se l’etica è onnipresente i suoi non sono fatti”. 222 Per Murdoch l’insistenza sulla scelta non è neutra e innocente, ma si deve in origine alla combinazione di liberalismo e protestantesimo. 226 Secondo Murdoch è da condannarsi la volontà di semplificare eccessivamente in etica e in religione.