Il caso ‹‹Lidl››: come valutare la liceità di una pubblicità comparativa di prodotti alimentari Fabio Gencarelli 1.- Introduzione La sentenza della Corte di giustizia del 18 novembre 2010 qui commentata 1 , è conforme all’indirizzo giurisprudenziale ben consolidato 2 relativo alle condizioni di liceità di una pubblicità comparativa, condizioni interpretate nel senso più favorevole a questa tecnica di marketing, che consente di mettere in evidenza in modo oggettivo le caratteristiche dei vari prodotti paragonabili e quindi di stimolare la concorrenza tra i fornitori di tali beni nell’interesse dei consumatori. La sentenza in questione si segnala tuttavia alla nostra attenzione in quanto, oltre ad escludere ormai qualsiasi dubbio sull’applicabilità ai prodotti alimentari della normativa europea in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, ossia la direttiva 84/450/CEE come modificata dalla direttiva 97/55/CE 3 (in prosieguo: la ‹‹direttiva 84/450››), fornisce al giudice nazionale elementi interpretativi particolarmente utili in merito ai criteri da prendere in considerazione nel valutare la liceità di una pubblicità comparativa di tali prodotti. (1) Corte giust. 18 novembre 2010, in causa C-159/09, Lidl c. Vierzon Distribution, non ancora pubblicata in Raccolta. Per un primo commento, si veda C. Binet, Arrêt ‹‹Lidl››: les critères pris en compte pour examiner la licéité d’une publicité comparative, in Journal de droit européen, 2/2011, p.34, e E. Adobati, Possibilità di utilizzo della pubblicità comparativa, in Dir. Com. Sca. Int., 1/2011, p.87. (2) Si veda in particolare Corte giust. 15 ottobre 2001, in causa C-112/99, Toshiba Europe, in Racc., p. I7945; 8 aprile 2003, in causa C-44/01, Pippig Augenoptik, in Racc., p. I-3095; 19 settembre 2006, in causa C-356/04, Lidl Belgium, in Racc., p.I-8501 e 19 aprile 2007, in causa C-381/05, De Landtsheer Emmanuel, in Racc., p.I-3115. (3) Direttiva 84/450/CEE del Consiglio, del 10 settembre 1984, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa (GU L 250 del 19.9.1984, p.17) e direttiva 97/55/CE del Parlamento e del Consiglio, del 6 ottobre 1997, che modifica la direttiva 84/450/CEE relativa alla pubblicità ingannevole per includervi la pubblicità comparativa (GU L 290 del 23.10.1997, p.18). Ai sensi dell’art. 2 bis della direttiva 84/450, la pubblicità comparativa è ‹‹qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o i beni o servizi offerti da un concorrente››. 1 2.- I Fatti e la questione pregiudiziale Allo scopo di meglio comprendere la portata di tale pronuncia, sembra anzitutto opportuno riepilogare i fatti all’origine della causa principale. La controversia dinanzi al giudice nazionale riguarda due società che gestiscono supermercati, e cioè rispettivamente la società Lidl e la società Vierzon Distribution che opera con l’insegna Leclerc. Quest’ultima ha realizzato nel 2006 una campagna pubblicitaria che metteva a confronto gli scontrini di cassa relativi ad una spesa effettuata in vari supermercati, tra cui Lidl e Leclerc. Gli elenchi dei prodotti acquistati, accompagnati dai rispettivi prezzi, comprendevano prodotti di uso quotidiano, principalmente alimentari: il prezzo totale di ciascun “carrello di spesa” mostrava che il supermercato Leclerc era il meno caro. A seguito di tale campagna pubblicitaria , Lidl ha citato in giudizio la società Vierzon dinanzi al Tribunal de commerce di Bourges (Francia), ritenendo violate le norme nazionali sulla pubblicità comparativa. Dato che la legislazione nazionale di settore riprendeva quasi testualmente la direttiva 84/450, il giudice del rinvio ha ritenuto necessaria, per risolvere la controversia, l’interpretazione della normativa europea in materia di pubblicità comparativa. Il Tribunal de commerce di Bourges ha quindi sospeso il giudizio, sottoponendo alla Corte un quesito pregiudiziale volto a determinare se le condizioni di ammissibilità della pubblicità comparativa, stabilite all’art. 3 bis della direttiva 84/450, possono applicarsi a un paniere di prodotti alimentari o, se al contrario, le differenze sussistenti tra i prodotti confrontati per quanto riguarda le condizioni e il luogo di produzione, gli ingredienti utilizzati e l’esperienza del produttore implichino variazioni sotto il profilo della commestibilità e del piacere derivante dal loro consumo, tali da opporsi ad una pubblicità comparativa fondata sui prezzi dei prodotti in questione. In altri termini, il quesito posto dal giudice del rinvio riguarda la possibilità di applicare in via generale ai prodotti alimentari le norme sulla pubblicità comparativa, nonostante le particolari caratteristiche di tali prodotti. 3.- La sentenza Alla luce della formulazione della domanda di pronuncia pregiudiziale, la Corte ha anzitutto rilevato che tale quesito poneva essenzialmente l’accento sulla condizione stabilita all’art. 3 bis, n.1, lett. b) della citata direttiva , secondo cui, per essere lecita, la pubblicità deve confrontare prodotti che ‹‹soddisfano gli stessi bisogni o si propongono 2 gli stessi obiettivi››. Seguendo una giurisprudenza ormai consolidata 4 , il giudice di Lussemburgo evita un’interpretazione troppo restrittiva di tale condizione, ricordando che, per soddisfarla, i beni messi a confronto devono semplicemente presentare ‹‹un grado d’intercambiabilità sufficiente per il consumatore›› 5 . Malgrado le suindicate specificità dei prodotti alimentari, la Corte rifiuta di escludere qualsiasi comparabilità tra questi, esclusione che avrebbe come conseguenza di limitare la pubblicità comparativa a prodotti alimentari identici. Infatti, come rileva nelle proprie conclusioni l’avvocato generale Mengozzi, anche se i prodotti in questione presentano caratteristiche gustative differenti, ciò non impedisce che possano soddisfare bisogni simili ed essere quindi considerati come sostituibili 6 . Per giustificare l’applicabilità della direttiva a prodotti alimentari non identici, il giudice europeo richiama anzitutto la giurisprudenza De Landtsheer Emmanuel, secondo cui la ragione per la quale l’art. 3, n. 1, lett. b) della direttiva pone come condizione di liceità che la pubblicità comparativa confronti beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi ‹‹è segnatamente riconducibile alla circostanza che, ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis, della direttiva in parola, l’elemento specifico della nozione di pubblicità comparativa è costituito dall’identificazione di un “concorrente” dell’operatore pubblicitario o dei beni e servizi da lui offerti e che, per definizione, le imprese sono “concorrenti” se offrono sul mercato prodotti o servizi intercambiabili›› 7 . Orbene, la Corte ne deduce che, se i prodotti soddisfano, in una certa misura, bisogni identici, si deve ammettere un qualche grado di sostituibilità reciproca, sostituibilità che deve essere accertata, caso per caso, dal giudice nazionale in base a una valutazione concreta e specifica dei prodotti confrontati nel messaggio pubblicitario. In secondo luogo, la Corte respinge il divieto di pubblicità comparativa per prodotti alimentari non identici, basandosi sull’effetto utile della normativa in questione. Premesso che un divieto di tale pubblicità non risulta in alcun modo dalla formulazione (4) Vedi sentenza Lidl Belgium cit., punto 26 e sentenza De Landtsheer cit, punto 44. (5) Sentenza Lidl cit., punto 25. Secondo la Corte (sentenza De Landtsheer Emmanuel cit., punti 33 - 37), la valutazione concreta del grado di sostituibilità dei beni confrontati compete al giudice nazionale che deve svolgerla alla luce degli obiettivi della direttiva e dei principi fissati dalla giurisprudenza, tenendo conto sia dello stato attuale del mercato che delle possibili evoluzioni dello stesso, senza limitarsi alle abitudini di consumo esistenti in un solo Stato membro. (6) V. conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi del 7 settembre 2010, in causa C-159/09, non ancora pubblicate in Raccolta, punto 48. L’avvocato generale sottolinea al riguardo che nella sentenza De Landtsheer Emmanuel cit, punto 66, ‹‹ la Corte si è posta nello medesimo ordine di idee quando ha affermato la liceità di una pubblicità comparativa che metta a confronto un prodotto senza denominazione di origine ad un prodotto che ne è provvisto››. (7) Sentenza De Landtsheer Emmanuel, cit., punti 27-29. 3 della disposizione in causa, il giudice di Lussemburgo ritiene che siffatto divieto comporterebbe una notevole limitazione della portata di questa tecnica di marketing, ciò che ‹‹equivarrebbe ad escludere qualsiasi possibilità effettiva di pubblicità comparativa in ordine ad una categoria particolarmente importante di beni di consumo, e ciò a prescindere dal profilo comparativo prescelto››. Il risultato sarebbe quindi, conclude la Corte, in netto contrasto con l’orientamento giurisprudenziale costante secondo cui le condizioni imposte alla pubblicità comparativa devono interpretarsi nel senso più favorevole a questa 8 . Giova peraltro osservare che, sebbene soltanto la questione dell’applicabilità della direttiva ai prodotti alimentari sia stata sottoposta alla Corte, questa ha ritenuto opportuno soffermarsi su due altri requisiti di liceità della pubblicità comparativa: da un lato, il divieto di pubblicità ingannevole 9 sancito dall’art. 3 bis, n. 1, lett. a), della direttiva 84/450 e, dall’altro, la necessità, stabilita dall’art. 3 bis, n. 1, lett. c), della stessa, di confrontare obiettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, dei beni o servizi menzionati nel messaggio pubblicitario. Per quanto attiene al carattere ingannevole di una campagna pubblicitaria, suscettibile di indurre in errore il consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, la sentenza in epigrafe fornisce al giudice nazionale alcune linee direttrici sugli elementi pertinenti da prendere in considerazione per valutare l’esistenza o meno di tale carattere ingannevole. Il giudice europeo ha anzitutto precisato che talune indicazioni o omissioni che accompagnano la pubblicità possono renderla ingannevole, se influenzano il comportamento dei consumatori cui è rivolta, facendo credere erroneamente che i prodotti selezionati dall’operatore pubblicitario siano rappresentativi del livello generale dei prezzi di quest’ultimi rispetto a quelli praticati dal concorrente e che quindi tali consumatori realizzeranno risparmi uguali a quelli vantati dalla pubblicità effettuando i propri acquisti presso l’operatore pubblicitario piuttosto che presso il concorrente 10 . Parimenti, una pubblicità comparativa basata esclusivamente sul prezzo, potrebbe rivelarsi ingannevole se i prodotti selezionati presentassero differenze obiettive tali da condizionare sensibilmente la scelta del consumatore, senza che tali differenze (8) Sentenza Lidl cit., punto 38. (9) Ai sensi dell’art. 2, par. 2, della direttiva 84/450, la pubblicità ingannevole è ‹‹qualsiasi pubblicità che, in qualsiasi modo, compresa la sua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, dato il suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il comportamento economico di dette persone o che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente››. (10) Sentenza Lidl cit., punto 50. 4 emergano dalla pubblicità in questione. Infatti, se l’omissione del marchio dei prodotti confrontati non dà luogo, di per sé, ad una pubblicità ingannevole, è chiaro che nei casi in cui l’indicazione del marchio può influenzare sensibilmente la scelta del consumatore – trattandosi di un confronto tra prodotti i cui marchi rispettivi sono molto diversi in termini di notorietà – l’omissione del marchio più rinomato potrebbe configurare un caso di pubblicità ingannevole ai sensi della direttiva 11 . La Corte precisa infine che, oltre al marchio, altre caratteristiche dei prodotti confrontati, quali la loro composizione o il loro modo e luogo di produzione, possono condizionare sensibilmente la scelta dell’acquirente. Pertanto, tali caratteristiche, considerate non essenziali ai fini dell’applicazione dell’art. 3 bis, n. 1, lett. b), in quanto non escludono necessariamente un grado d’intercambiabilità sufficiente tra i prodotti in questione, devono tuttavia essere prese in considerazione,ai sensi dell’art. 3 bis, par. 1, lett. a), al fine di verificare il carattere non ingannevole della pubblicità comparativa. Infatti, gli ingredienti utilizzati nella fabbricazione di un alimento o il ricorso ad un metodo particolare di produzione possono svolgere un ruolo importante nella scelta dell’acquirente, sicché la mancata informazione del consumatore su tali differenze esistenti tra i prodotti, comparati solo sul piano del prezzo, può indurlo in errore 12 . Per quanto concerne la terza condizione di liceità di cui all’art. 3 bis, par. 1, lett. c), la Corte si è limitata a pronunciarsi sull’esigenza di verificabilità dei prezzi indicati nella pubblicità comparativa. Richiamando la giurisprudenza Lidl Belgium 13 , essa rileva che tale condizione può essere soddisfatta solo se i beni i cui prezzi sono messi a confronto possono essere individualmente e concretamente identificati in base alle informazioni contenute nel messaggio pubblicitario. La verificabilità dei prezzi dei beni è sempre condizionata alla possibilità d’individuare quest’ultimi. Infatti, come rilevato d'all'avvocato generale Tizzano nelle sue conclusioni nella causa Lidl Belgium, la condizione in esame sarebbe privata di ogni effetto utile ove i soggetti potenzialmente interessati a controllare la veridicità e correttezza delle informazioni dell'inserzionista non fossero messi in grado di effettuare tale controllo, essendo evidentemente impossibile procedere a un confronto se i termini dello stesso non sono né conosciuti né conoscibili. D’altra parte, una pubblicità comparativa che non permettesse l’identificazione dei beni o delle caratteristiche a confronto non sarebbe neppure in linea con la finalità informativa perseguita dalla direttiva in quanto, per la sua (11) Sentenza Lidl cit., punto 53. Vedi anche sentenza Pippig Augenoptik cit., punto 53 (12) Sentenza Lidl cit., punto 55. (13) V. sentenza Lidl Belgium, cit., punto 61. 5 indeterminatezza e vaghezza, tale messaggio non consentirebbe di orientare correttamente il consumatore nelle sue scelte di acquisto 14 . Come per le condizioni di liceità precedenti, spetta al giudice del rinvio verificare se la suddetta esigenza di individuazione precisa dei prodotti oggetto del confronto è stata rispettata. 4.- Conclusioni Come si è detto, la sentenza Lidl ha confermato un orientamento giurisprudenziale nettamente favorevole alla pubblicità comparativa, da cui discende l’ammissibilità di tale tecnica di marketing per i prodotti alimentari anche se non identici. Tale pronuncia presenta tuttavia un evidente interesse, in quanto la Corte è andata oltre la questione pregiudiziale posta dal giudice del rinvio, fornendo a tale giudice elementi interpretativi utili in merito all’applicazione di altri criteri di liceità di una pubblicità comparativa. Se le condizioni e i luoghi di produzione degli alimenti, gli ingredienti utilizzati e l’esperienza del produttore sono elementi suscettibili di modificare la loro commestibilità o il piacere procurato dal loro consumo, tutto ciò non incide in linea generale sul carattere intercambiabile di tali prodotti. Un messaggio pubblicitario che confronti questo tipo di beni di consumo può quindi soddisfare le esigenze della direttiva 84/450/CEE. La Corte sottolinea tuttavia che tali caratteristiche relative alla produzione di derrate alimentari sono elementi di particolare rilevanza nella valutazione del carattere eventualmente ingannevole del messaggio pubblicitario. In definitiva, pure se conferma la sua interpretazione favorevole alla pubblicità comparativa, il giudice europeo stabilisce al contempo, operando in tal modo un delicato bilanciamento tra diverse esigenze, alcuni punti fermi al fine di evitare prassi pubblicitarie che possano provocare distorsioni di concorrenza o avere un’incidenza negativa sulla scelta dei consumatori. ABSTRACT La sentenza Lidl del 18 novembre 2010, seguendo un indirizzo giurisprudenziale consolidato, interpreta le condizioni di liceità della pubblicità comparativa nel senso più (14) V. conclusioni dell'avvocato generale Tizzano del 29 marzo 2006 in causa Lidl Belgium, cit., punti 48 e 49. 6 favorevole all’uso di tale tecnica di marketing, che mette in evidenza le caratteristiche dei vari prodotti e stimola la concorrenza nell’interesse dei consumatori. La sentenza è particolarmente interessante in quanto, oltre ad eliminare qualsiasi dubbio sull’applicabilità della direttiva 84/450 ai prodotti alimentari, anche se non identici, fornisce al giudice nazionale elementi interpretativi utili sull’applicazione dei criteri di liceità della pubblicità comparativa. La Corte stabilisce in tal modo alcuni punti fermi al fine di evitare messaggi pubblicitari che possono comportare una distorsione di concorrenza e avere una incidenza negativa sulla scelta dei consumatori. In particolare, la Corte precisa che, se la composizione o il modo e il luogo di produzione degli alimenti comparati non incidono in linea generale sul carattere intercambiabile di tali prodotti, queste caratteristiche rappresentano fattori particolarmente rilevanti ai fini della valutazione della natura eventualmente ingannevole del messaggio pubblicitario. Infatti, una pubblicità comparativa basata unicamente sul prezzo potrebbe rivelarsi ingannevole, se i prodotti selezionati presentano differenze obiettive (ad es. quanto agli ingredienti o anche alla notorietà del marchio)tali da condizionare fortemente la scelta del consumatore, senza che queste differenze emergano dalla pubblicità in questione. In accordance with well-established case law, the ECJ judgment of 18 November 2010 in case C-159/09 Lidl interprets the provisions of Directive 84/450 on misleading advertising, as amended by Directive 97/55, in a sense favourable to the use of comparative advertising as a marketing tool which promotes competition in the interest of consumers. In addition to expressly confirming that the requirements laid down in the Directive apply also to food products, including where the compared food products are not identical, the judgment provides some useful guidelines as to what constitutes lawful comparative advertising. In particular, the Court specified that, on one hand, the fact alone that the compared food products differ in terms of ingredients, conditions or place of production etc. does not exclude in itself that they present a sufficient degree of interchangeability as required by the provisions of the Directive applying to comparative advertising. On the other hand, these same features represent relevant factors for the purpose of establishing whether an advertisement is misleading. Hence, a comparative advertising campaign based solely on the price of products could mislead consumers if the compared products are objectively different (for ex. in terms of ingredients or reputation of brand names) and these differences are not disclosed although they may have a significant effect on the buyer’s choice. 7