ANNO 2, NUMERO 2
FEBBRAIO 2016
www.igeia.it
LE BUONE NOTIZIE
ASSOCIAZIONE CULTURALE IGEIA
È stato scoperto un nuovo pianeta nel sistema solare?
Mercoledì 20 gennaio alcuni astronomi del California Institute of Technology (Caltech) hanno
annunciato di aver trovato nuove prove dell’esistenza di un enorme pianeta ghiacciato che si
nasconde nell’oscurità del nostro sistema solare, oltre l’orbita di Plutone. Lo hanno chiamato
“Pianeta Nove”.La loro ricerca – pubblicata
dalla rivista Astronomical Journal – descrive
la massa del pianeta come dieci volte superiore a quella della Terra. Gli autori – gli
astronomi Michael Brown e Konstantin Batygin – non hanno però osservato il pianeta
direttamente. Ne hanno dedotto l’esistenza
grazie al moto di alcuni pianeti nani di recente scoperta e altri piccoli corpi nel sistema solare esterno. L’orbita di questi piccoli
corpi sembra essere influenzata dalla gravità di un pianeta nascosto, un “enorme
corpo perturbatore”, che secondo gli astronomi potrebbe essere stato scagliato nelle profondità dello Spazio dalla forza gravitazionale di Giove o Saturno molto tempo fa. Telescopi in
almeno due continenti stanno cercando il pianeta, che è in media venti volte più lontano da
noi rispetto all’ottavo pianeta, Nettuno. Se il Pianeta Nove esiste, deve essere grande. La sua
dimensione stimata sarebbe dalle due alle quattro volte superiore al diametro della Terra, il
che lo renderebbe il quinto pianeta più grande dopo Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Ma vista la notevole distanza, il pianeta rifletterebbe così poca luce da poter sfuggire anche ai telescopi più potenti.
La conferma dell’esistenza del pianeta porterebbe alla riconfigurazione dei modelli del sistema solare. Plutone – scoperto nel 1930 – ha mantenuto per 75 anni la fama di nono pianeta,
prima di subire un controverso declassamento dieci anni fa, soprattutto a causa di Brown. Le
sue osservazioni del sistema solare esterno avevano portato alla scoperta di diversi pianeti
minori – alcuni della dimensione di Plutone – spingendo l’International Astronomical Union
(IAU, l’ente che riunisce le società astronomiche del mondo) a rivedere la definizione di pianeta. Lo IAU ha votato per modificare la classificazione di Plutone in “pianeta nano”, una decisione che è stata diverse volte oggetto di derisione l’anno scorso, quando la sonda della NASA New Horizons ha oltrepassato Plutone, rivelando un pianeta con un’atmosfera, clima e una
superficie volatile e dinamica. Brown – presente su Twitter con lo username @plutokiller
(killer di Plutone) e autore del libro “How I killed Pluto and Why It Had It Coming” (“Come ho
ucciso Plutone e perché se l’è cercata”) – ha detto che potrebbe essere arrivato di nuovo il
momento di riscrivere i libri. «Mia figlia ce l’ha ancora con me per il declassamento di Plutone, anche se all’epoca era appena nata», ha raccontato Brown, «Qualche anno fa mi ha detto
che se avessi trovato un nuovo pianeta, mi avrebbe perdonato. Quindi, credo di averci lavo1
rato per lei».
Mercoledì scorso, il direttore di scienze planetarie della NASA Jim Green ha detto che potrebbero esserci altre spiegazioni per il moto osservato nei piccoli corpi nel sistema solare esterno, citando la famosa massima di Carl Sagan, secondo cui «un’affermazione straordinaria richiede prove straordinarie». «La regola di Sagan è valida. Se esiste, vi sfido: trovatelo. Qualcuno là fuori dovrà trovarlo», ha detto Green, aggiungendo però di essere
personalmente entusiasta per la nuova ricerca: «In che epoca viviamo! Stiamo scoprendo
cose nuove sul nostro sistema solare, che fino a pochi anni fa non avremmo creduto possibili».
Brown e Batygin erano inizialmente intenzionati a dimostrare che il Pianeta Nove non esistesse. La loro ricerca si basa su studi precedenti di altri due astronomi, che avevano rivelato l’esistenza di uno strano raggruppamento di piccoli corpi ghiacciati, scoperti negli
ultimi 10 anni circa nelle regioni più remote del sistema solare. Nel 2014, Scott Sheppard
del Carnegie Institution of Science di Washington e Chad Trujillo del Gemini Observatory
delle Hawaii avevano pubblicato una ricerca sulla rivista Nature, in cui si discuteva della
possibile esistenza di un pianeta gigante che influenzava le orbite dei pianeti nani. Sheppard e Trujillo avevano notato che quei corpi avevano un moto simile nel punto di maggiore prossimità al Sole. «Credevamo che la loro idea fosse assurda» ha detto Brown, spiegando che la scoperta di nuovi pianeti è sempre la prima cosa a cui pensano gli astronomi
in presenza di movimenti orbitali che non riescono a spiegare. Ma Brown e Batygin si sono
impegnati per smentire l’ipotesi dell’esistenza di un nono pianeta. Hanno usato equazioni
e successivamente modelli computerizzati, arrivando infine alla conclusione che la spiegazione più convincente per quel raggruppamento di piccoli corpi fossero gli effetti gravitazionali prodotti da qualcosa di decisamente più grande. Un raggruppamento di questo tipo è simile a quello degli asteroidi equidistanti da Sole e Terra, che hanno orbite stabili
che li tengono lontani della Terra e al sicuro da ogni interferenza significativa da parte
della gravità terrestre.
«Fino ad allora, neanche noi credevamo davvero ai nostri risultati. Non avevano senso», ha
detto Brown. Ma i loro modelli dimostravano che un pianeta con una massa superiore di
dieci volte a quella della Terra avrebbe esercitato un’influenza sulle orbite dei corpi minori, impedendo loro di avvicinarsi al Sole come avrebbero dovuto. Il pianeta, inoltre, modificherebbe le orbite di novanta gradi, ponendole periodicamente in posizione perpendicolare rispetto al livello del sistema solare. «Da qualche parte nel cervello, avevo questo
ricordo assillante di questi corpi modulabili, che qualcuno aveva scoperto senza sapere
cosa farne», ha raccontato Brown. «Di sicuro questi corpi esistono. E si trovavano esattamente dove ipotizzato dalla nostra teoria». È stato allora che i ricercatori del Caltech hanno iniziato a prendere il Pianeta Nove sul serio. «Quello è stato davvero il momento più incredibile, quando siamo passati da una piccola idea suggestiva a qualcosa che poteva esistere sul serio», ha detto Brown.
Sheppard – co-autore della ricerca che Brown e Batygin volevano inizialmente smentire –
dice che l’esistenza di un pianeta nascosto rappresenta ancora un grande punto di domanda. «Fino a che non lo vedremo davvero, la sua esistenza sarà sempre in dubbio», ha detto
Sheppard, sottolineando come gli ultimi calcoli siano basati su un numero di corpi conosciuti relativamente piccolo, e che ulteriori osservazioni e rilevazioni di corpi perturbati
rafforzerebbero l’ipotesi. Ad ogni modo, secondo Sheppard le probabilità di scoprire il
nuovo pianeta sono aumentate sensibilmente, dal quaranta al sessanta per cento. «C’è chi
le ha prese sul serio, ma molti non lo hanno fatto», ha detto in merito alle scoperte del suo
studio. «Con questo nuovo lavoro, lo studio è molto più rigoroso, e ora verrà preso più seriamente». Secondo Brown, le possibilità che il Pianeta Nove esista davvero sono «forse al
novanta per cento».
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Dall’Osservatorio della Costa Azzurra di Nizza, il planetologo Alessandro Morbidelli concorda sul fatto che le prove siano più evidenti, questa volta. «Ho pensato immediatamente
che questo studio, per la prima volta, fornisse prove convincenti sull’esistenza di un nuovo
pianeta nel sistema solare», ha detto Morbidelli, esperto di questo tipo di movimenti orbitali che non è stato coinvolto in nessuno dei due studi. «Non vedo nessuna spiegazione alternativa a quella proposta da Brown e Batygin», ha aggiunto, «Lo troveremo prima o poi.
Il punto è quando».
Negli ultimi vent’anni c’è stato un aumento di scoperte, con gli astronomi che hanno studiato la luce proveniente da stelle distanti e cercato segni di pianeti in orbita. Oltre mille
pianeti fuori dal sistema solare di questo tipo sono stati rilevati grazie all’analisi dei lunghi
viaggi della luce stellare. Brown e Batygin, però, hanno cercato più vicino a casa, alla ricerca di corpi che orbitassero intorno al Sole senza essere notati, a causa della grande
oscurità nelle regioni esterne del sistema solare. L’esistenza di un pianeta nascosto più
grande della Terra è affascinante, ma è ancora troppo presto per pronunciarsi sulle sue
ipotetiche condizioni. Secondo Brown, si tratterebbe di un piccolo pianeta ghiacciato e
roccioso, circondato da un sottile strato di gas, che sarebbe potuto essere il nucleo di un
gigante gassoso, se non fosse finito all’interno di un’orbita instabile e molto ellittica. Potrebbe raggiungere il punto di maggior vicinanza al Sole solo ogni diecimila anni, e pure
in quel frangente si troverebbe comunque ben al di là dei pianeti conosciuti.
La situazione sembra ricalcare quanto successo nel diciannovesimo secolo, quando un’attenta osservazione del settimo pianeta, Urano, segnalò la presenza di un altro corpo nello
spazio remoto che ne influenzava l’orbita. Quel lavoro portò alla scoperta di Nettuno.
Sarebbe difficile capire se il nono pianeta si trovi o sia prossimo a raggiungere il punto
più vicino al sole. Brown sostiene che non sia ancora così, perché altrimenti sarebbe già
stato avvistato. Ma ritiene che i telescopi più potenti del pianeta sarebbero in grado di individuarlo anche nel punto più distante dal Sole, se puntati nella direzione esatta. «Lo stiamo cercando da un po’ di tempo, ma il cielo è piuttosto grande», ha detto Brown.
«Conosciamo il suo percorso, ma non sappiamo a che punto del percorso si trovi».
Brown e Batygin sperano che la pubblicazione del loro studio infonda nuova energia alla
ricerca. «Se altre persone – astronomi più capaci – si entusiasmeranno all’idea di scovare
il Pianeta Nove, potremmo trovarlo nel giro di un paio di anni», ha detto Brown. I due
scienziati sanno che potrebbero non prendersi il merito della scoperta. Fino a che il pianeta non sarà avvistato direttamente con un telescopio, gli studi sull’argomento rimangono teorici. Brown, Batygin e gli altri scienziati che perorano la causa dell’esistenza del Pianeta Nove stanno mettendo a disposizione le mappe del tesoro e gli indizi, ma qualcun altro potrebbe trovare l’oro prima di loro.
Se e quando verrà trovato, il Pianeta Nove sarà sottoposto agli stessi criteri che hanno decretato il declassamento di Plutone, e Brown ne è preoccupato. «È fuori discussione: si
tratta sicuramente di un pianeta», ha detto. Uno dei criteri più delicati per ottenere lo status di pianeta, secondo gli standard dell’International Astronomical Union, è la
“dominanza orbitale”: il pianeta deve avere la capacità gravitazionale di modificare l’orbita di altri corpi. «Il Pianeta Nove spinge tutti i corpi intercettati all’interno della sua orbita a disallinearsi. Soddisfa perfettamente questo criterio», ha detto Brown. «Per non parlare del fatto che ha un massa superiore di cinquemila volte a quella di Plutone», ha aggiunto il killer di Plutone.
© The Washington Post 2016
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Cosa dice la Scienza dello Spirito sui
Pianeti del Sistema Solare
Si dà poca importanza alle energie che affluiscono di continuo sul nostro pianeta da altre
costellazioni o dai molti pianeti “nascosti”. Di questi ultimi la Saggezza Senza Tempo ne
conta una settantina solo nel nostro sistema solare. (Astrologia Esoterica)
Alcune energie astrali emananti da forme planetarie che
ancora non esistono sotto forma di pianeti fisici, né nella
sfera eterica, ma che sono comprese entro l’anello invalicabile del nostro sistema solare. In senso planetario
esse rappresentano due gruppi di vite: il primo composto dei gusci astrali di pianeti in decomposizione e disintegrazione che l’iniziato vede ancora ruotare attorno
al sole, ma che stanno rapidamente scomparendo. La
nostra luna ne farà parte anch’essa quando la totale disintegrazione della sua forma esterna avrà avuto luogo.
Il secondo, composto dalle forme astrali delle vite solari
minori sull’arco evolutivo che stanno lentamente prendendo forma, ma non hanno ancora
assunto un corpo eterico e non assumeranno un corpo fisico in questo periodo mondiale.
Questi due gruppi sono le corrispondenze fisiche degli uomini che si reincarnano e di
quelli che sono trapassati e stanno lentamente perdendo i loro corpi prima di un’altra reincarnazione, o che hanno completamente abbandonato i loro gusci. Due di queste forme
astrali in stato di rapida “decomposizione” si trovano in prossimità della nostra Terra sulla
quale esercitano ancora un influsso molto potente. A causa di questa stretta relazione esse
producono due tipi di desiderio o tendenza astrale fra gli uomini. L’una produce gran parte
della tendenza istintiva alla crudeltà che si riscontra nei bambini e in certi tipi di uomini,
mentre l’altra ha un effetto sulla vita sessuale e produce alcune di quelle tendenze al pervertimento, attualmente causa di molte difficoltà. Tendenze al sadismo e perversioni sessuali sono molto rafforzate da queste emanazioni astrali agonizzanti. Nei tempi antichi questi influssi furono ancora più potenti, data la maggiore vicinanza di quelle forme alla Terra,
ciò che spiega la crudeltà dei riti e gli orrori, ad esempio di Sodoma e Gomorra.
Il loro potere declina rapidamente e si tenga presente che esse non avrebbero alcun potere sull’umanità se in essa non esistessero degli istinti sui quali queste energie possono agire. Si ricordi pure che all’epoca Lemuriana i loro influssi erano costruttivi, poiché a quei
tempi la lezione del sesso e della registrazione intelligente del dolore avevano il loro posto negli schemi di coloro che cercavano di condurre l’uomo animale alla coscienza umana
(non alla coscienza dell’anima e nemPianeti invisibili: “Non tutti i pianeti intrameno all’autocoscienza). Vicino alla
Terra, sulla via della rinascita, vi è una mercuriali e neanche quelli nell’orbita di Netgrande Vita che sta assumendo forma tuno sono ancora scoperti, sebbene siano foreterica. Questa Vita, essendo sull’arco temente sospettati. Noi sappiamo che esistono
evolutivo e non un guscio in disfaci- e dove sono, e che vi sono innumerevoli piamento, esercita un duplice effetto reale neti “bruciati”essi dicono – in oscuramento,
nell’avvento della nuova era. (Trattato diciamo noi – pianeti in formazione e ancora
non luminosi ecc.”...
d i
M a g i a
B i a n c a )
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Cop21 e non solo: ecco come i media
possono cambiare il mondo
A Parigi, in questi giorni, non si tiene solo Cop21 ma anche il Transformational Media Summit: l’incontro annuale di quelle realtà – giornalisti, videomaker, startupper e quant’altro
– che portano avanti il loro lavoro nell’ottica del giornalismo costruttivo.
Il meeting di quest’anno ha avuto una valenza diversa
rispetto a quella degli anni precedenti: in parte perché si è tenuto a Parigi, quindi in un luogo e in un
momento in cui parlare di giornalismo costruttivo ha
un valore doppio. E in parte perché l’incontro si è
svolto in parallelo con Cop21, tanto che il tema del
cambiamento climatico ha influenzato le discussioni
facendole ruotare intorno alla domanda: come possono i media affrontare le problematiche ecologiche ispirando nel lettore un approccio orientato
all’azione e al cambiamento?
Tante voci, tanti sviluppi: quella che emersa, è stata una rosa di proposte talmente ricche e
diversificate che sembra difficile fare il punto della situazione. Una cosa è chiara, però: l’approccio vincente, quello dotato di maggior incisività, è quello che nasce da due elementi
chiave, qualità di contenuti e creatività espressiva. Le storie da raccontare ci sono, basta
trovarle o farsi trovare da loro. E’ il caso, per esempio, di Morgan Curtis e Garret Brad, cicloattivisti che fanno storytelling su due ruote. Con l’iniziativa the Climate Journey,
Morgan & Garret hanno pedalato per 6 mesi dal New England a Parigi raccogliendo le storie (tante, tantissime) di chi con le proprie armi si oppone a suo modo ai contraccolpi del
cambiamento climatico. Una logica simile (senza il piatto forte del viaggio, però) è quella
che ha ispirato Max Riché a creare una sorta di grande database di storie: The Climate Heroes, un nome, un programma. Quelle raccolte dal documentarista francese sono centinaia
di storie provenienti da tutto il mondo. Come quella di Isatou Ceesay, che nel ’97 ha creato the Women’s Initiative Gambia: unione sinergica di donne africane che lavorano per
ridurre l’annoso problema delle discariche di rifiuti e al tempo stesso lottano per la propria
emancipazione.
Isabelle Antunès, invece, ha prodotto un documentario – ‘Happy rain. Pioggia fertile in
Bangladesh’ – in uscita nei prossimi giorni, in cui racconta la storia di una comunità di contadini del Bangladesh che ha deciso di convertire i campi soggetti a inondazioni in riserve
di pesca, cambiando d’emblée l’economia di sussistenza della zona. Chiamasi resilienza di
gruppo. Una due giorni interessantissima e gravida di sviluppi, quella che si è svolta a Parigi. Un summit che mira a produrre un nuovo tipo di informazione e che si basa sostanzialmente su un approccio diverso e complementare rispetto a quello di Cop21. Se la Conferenza sul Clima, infatti, parte dagli Stati e lavora sui grandi sistemi, il Trasformational Media
Summit mira a un cambiamento che ha nell’individuo le sue radici più profonde. Perché, come sostiene a conclusione dell’incontro Laurent de Cherisey, “salveremo il pianeta solo
se riusciremo a salvare l’uomo”. (Buonenotizie.it)
Contatti:
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La nota del Plenilunio dell’Acquario
“Sono acqua di vita
versata agli assetati”
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1.
Servizio altruistico. Questo non è il servizio che rendiamo poiché ci viene
detto che il servizio è una via verso la liberazione, ma perché la nostra coscienza non è più accentrata in noi stessi. Noi non siamo più interessati a noi
stessi poiché, essendo la nostra coscienza universale, non abbiamo più nulla da fare se non assimilare i problemi dei nostri fratelli ed aiutarli. Per il vero maestro acquariano non vi è alcuno sforzo nel far ciò.
2. Lavoro di gruppo. Questo è un argomento di
cui per il momento conosciamo ancora ben poco.
Il mondo è pieno di organizzazioni e di società, di
fratellanze che non sono altro che un fertile e felice terreno di allenamento per persone ambiziose. Non voglio essere scortese, ma la mia esperienza con gruppi di media levatura è che questi
sono dei focolai di gelosie ove le persone cercano di impressionare gli altri, esibendo la mole
della loro conoscenza e la meraviglia dell’autosacrificio delle loro vite. Questo non è lavoro di gruppo. Il lavoro di gruppo consiste nel rimanere soli spiritualmente nel gestire i propri affari, dimenticando
questi ed il proprio sé a vantaggio delle persone o del particolare settore umanitario cui siamo associati. In tutto ciò non vi è ambizione, né desiderio di emergere in posizione di comando nell’organizzazione o nella loggia. Non credo che
i nuovi gruppi avranno dei dirigenti, credo che opereranno invece automaticamente in virtù dell’interazione intuitiva e spirituale tra le menti delle unità facenti parte del gruppo. Ma non si vede ancora nulla di tutto ciò. Riuscite ad immaginare un gruppo così unito sui livelli spirituali da fare in modo che lettere,
opuscoli, libri ecc., non siano più necessari, essendo perfetta la reciproca comunicazione fra le
menti dei membri? Questo è il gruppo acquariano
che
ancora
non
esiste
fra
noi.
3. Autosacrificio. Lo scopo dell’autosacrificio è di
santificare il proprio sé. Ciò vale sia per il sé del
gruppo che per il sé dell’individuo; questo è il lav o r o
d e l l ’ i n i z i a t o .
Dalla vetta della montagna in Capricorno Ercole,
deve letteralmente discendere nella sporcizia materiale e ripulire le stalle d’Augia. Vorrei darvi
un’idea della sua psicologia. Egli ha raggiunto la
vetta della montagna, ha superato tutte le grandi
prove, passando dal Capricorno nel regno spirituale, ha conosciuto qualcosa sul significato
dell’estasi mistica, ed in questo stato altamente
spirituale ha ricevuto l’ordine di discendere e di
ripulire le stalle. Che contrasto! Non un grande lavoro mondiale, solo pulire le stalle!
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