L`energia elettrica e le altre grandezze elettriche

L'energia elettrica e le altre grandezze elettriche
1. Circuito elettrico elementare
Cominciamo ad analizzare i fenomeni elettrici con una descrizione dei componenti
fondamentali di un circuito elettrico, che sono:
o l’elemento che produce energia elettrica mediante una trasformazione energetica
o l’elemento che la trasporta
o l’elemento che la utilizza.
Il più elementare circuito elettrico è quindi costituito da un generatore di tensione (pila o
batteria), due conduttori (cavetti), un utilizzatore (lampadina).
Se tutti i collegamenti sono corretti la lampadina si accende: si dice che passa corrente
elettrica e il circuito è chiuso.
Si può interpretare ciò, immaginando che in un circuito elettrico chiuso esista qualcosa che
circola senza mai perdersi, qualcosa che già è presente nel circuito ed è pronto a mettersi
in movimento appena il circuito viene chiuso, proprio come l'acqua in un condotto.
A questo qualcosa diamo il nome di carica elettrica e diciamo che la corrente elettrica è la
conseguenza del movimento di carica elettrica.
Se si stacca uno dei morsetti o si rompe uno dei conduttori o si svita la lampadina o si
rompe il suo filamento, la lampadina, che fa da rivelatore del passaggio di corrente, si
spegne. Diciamo che il circuito è aperto e non passa corrente elettrica.
Un altro elemento caratteristico è l’interruttore che serve ad aprire o chiudere un circuito.
Per rappresentare i circuiti elettrici si impiegano simboli che rappresentano i vari
componenti: pila (il tratto più lungo indica il polo positivo, il tratto più corto il polo negativo),
lampadina, filo, interruttore. Si può quindi sostituire al disegno una rappresentazione
grafica che utilizza i simboli convenzionali.
2. Conduttori e isolanti elettrici
Il circuito elettrico elementare con una lampadina collegata ad un generatore può essere usato per verificare se un
materiale permette il passaggio della corrente elettrica.
Interrompiamo il collegamento ed inseriamo materiali diversi lungo il circuito. Se il materiale esaminato lascia passare
la corrente anche la lampadina si accenderà. Osserviamo che abbiamo trovato un’altra possibile utilizzazione per la
lampadina: essa non ci serve solo per rivelare il passaggio di una corrente elettrica ma, attraverso l’esame della sua
luminosità, ci permette anche di decidere se una corrente è più o meno intensa di un’altra.
Definiamo conduttori elettrici i materiali che lasciano passare la corrente elettrica, isolanti elettrici quelli che non
lasciano passare la corrente elettrica.
In laboratorio:
Provando nel circuito elementare metalli diversi, si vede che la lampadina si accende con maggiore o minore intensità.
Puoi quindi costruire una scala qualitativa di alcuni materiali conduttori (costantana, rame, ferro) ordinandoli dal
migliore al peggiore.
Prova a inserire nel circuito un filo di plastica o un pezzo di legno o altro per verificare se la lampadina si accende.
Anche i liquidi possono comportarsi da conduttori o da isolanti?
Per verificarlo anzitutto si deve trovare un modo per stabilire un collegamento tra il liquido e il circuito: si usano due
conduttori metallici, detti elettrodi, da inserire nel liquido.
Ora puoi chiudere il circuito attraverso un bicchiere contenente acqua distillata: la lampadina non si accende.
Aggiungi a poco a poco del sale da cucina badando che si sciolga bene; osserverai che ad un certo punto la
lampadina comincia a illuminarsi. Osserva anche cosa succede sugli elettrodi.
Il sale ha quindi reso l’acqua conduttrice. Sei passato gradualmente da una situazione in cui il liquido si comporta da
isolante ad una situazione in cui si comporta da conduttore.
Anche se per comodità dal punto di vista elettrico le varie sostanze vengono classificate conduttori e isolanti, in realtà
esistono conduttori più o meno buoni e isolanti più o meno buoni: il confine tra le due categorie non è netto, ma
graduale e sfumato.
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Fino a questo punto ci siamo limitati ad una descrizione qualitativa di alcuni aspetti della conduzione elettrica. Ora
introdurremo le grandezze fisiche, cioè misurabili, relative ai fenomeni descritti.
3. La misura delle correnti elettriche
Lo strumento per misurare le correnti elettriche si chiama amperometro.
L’amperometro deve essere inserito in serie nel circuito in modo che il polo positivo del
generatore sia collegato al morsetto positivo dell’amperometro.
Attenzione che l’inserimento scorretto (in parallelo) può danneggiare lo strumento stesso.
L’amperometro collocato in diversi punti del circuito elementare segna sempre la stessa
intensità di corrente e quindi è attraversato dalla stessa corrente che attraversa tutti gli
altri elementi del circuito.
Questo suggerisce che attraverso tutte le sezioni di un circuito elementare la corrente è
sempre la stessa, non si ha cioè accumulo di cariche in alcun punto, né scomparsa di
cariche elettriche.
È una conseguenza del principio di conservazione della carica elettrica.
In laboratorio:
Ripeti le prove con vari materiali (misure di conducibilità) con l’amperometro. In qualche caso l’amperometro indica il
passaggio di corrente anche se la lampadina non si accende: che cosa ne deduci?
4. Conduttori in serie e in parallelo: la corrente elettrica
Disegna lo schema di un circuito con due conduttori
(lampadine o altro) in serie, compresi gli strumenti per
misurare la corrente in diversi punti del circuito. Poi
costruiscilo in laboratorio, tenendo conto che hai a
disposizione un solo strumento di misura che dovrai
successivamente spostare nei vari punti del circuito
per misurare le grandezze richieste. Attenzione all’uso
dello strumento. Puoi indicare direttamente sul tuo
schema le letture degli strumenti.
Ripeti le stesse operazioni per un circuito con due
conduttori in parallelo.
Le misure dovrebbero permetterti di verificare che
- in un circuito in serie, l'intensità della corrente
elettrica è la stessa in tutti i punti del circuito;
- in un circuito in parallelo, la corrente che attraversa il
generatore è uguale alla somma delle correnti che
attraversano ciascuno dei rami in parallelo del circuito.
5. Definizione di intensità di corrente elettrica
Definiamo intensità di corrente il rapporto tra la quantità di carica elettrica
che fluisce attraverso la sezione di un conduttore in un certo intervallo di
tempo e l’intervallo di tempo stesso.
intensità di corrente=
quantità di carica
∆q
, in simboli i=
intervallo di tempo
∆t
L’unità di misura dell’intensità di corrente è l’ampère (A), quella della carica
elettrica si chiama Coulomb (C).
Sono legate dalla relazione: 1 ampère = 1 coulomb / 1 secondo.
L’ampère è quindi l’intensità di una corrente che trasporta attraverso la sezione di un conduttore la carica di un
coulomb in un secondo. Da segnalare che l’ampère è una delle grandezze fondamentali del Sistema Internazionale,
mentre il coulomb è una grandezza derivata.
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La carica elettrica è una proprietà naturale della materia, che può essere positiva o negativa. Alla scala atomica o a
quella nucleare la più piccola quantità di carica (carica elettrica elementare) è posseduta dall’elettrone (che ha carica
negativa), come fu dimostrato sperimentalmente da Millikan nel 1910 in un celebre esperimento. Tutte le cariche
esistenti (negative e positive) in natura sono multiple della carica elementare, in altre parole la carica non può
assumere un qualsiasi valore arbitrario, ma solo valori discreti.
Il valore della carica elementare è stato misurato, a partire da Millikan, varie volte nel corso degli anni sempre con
maggiore precisione e vale attualmente 1,6021892 · 10-19 C.
Come si vede si tratta di un valore molto piccolo: prova a calcolare l’ordine di grandezza del numero di elettroni che
passa ogni secondo attraverso il filamento incandescente di una lampadina nei circuiti che hai costruito.
6. Effetto termico della corrente elettrica
Anche se la corrente elettrica si può misurare con un amperometro, non è direttamente visibile; invece sono facilmente
osservabili i suoi effetti. Abbiamo visto, per esempio, che in un circuito chiuso il passaggio della corrente può essere
rivelato dall’accendersi di una lampadina. In casa abbiamo moltissimi apparecchi elettrici il cui funzionamento si basa
sull’effetto termico (produzione di calore) delle correnti elettriche: ferro da stiro, scaldabagno elettrico, lavatrice,
lavastoviglie, stufa elettrica… anche il filamento di una lampadina brilla perché portato all’incandescenza. Possiamo
constatare quindi che la corrente elettrica può fornire energia termica.
Più precisamente, la trasformazione di energia elettrica in calore viene detta effetto termico della corrente o effetto
Joule. Molti apparecchi utilizzano questo effetto per riscaldare l’acqua. In essi un avvolgimento metallico (detto
resistenza) immerso nell’acqua, ma isolato elettricamente da essa, è percorso dalla corrente elettrica. Il calore che si
sviluppa per effetto Joule nella resistenza fa aumentare la temperatura dell’acqua.
Laboratorio: trasformazione di energia elettrica in termica.
Osserviamo quindi che quando un elemento di un circuito (lampadina, riscaldatore) è in funzione esso trasferisce
energia (luminosa, termica) all’esterno. Per il principio di conservazione dell’energia, deve allora esistere un
meccanismo che fornisca in continuazione all’elemento del circuito l’energia che perde.
È il passaggio della corrente a fornire questa energia: l’elemento infatti emette energia quando, e solo quando, esso è
attraversato dalle cariche elettriche in moto. Si possono trarre le seguenti conclusioni:
o le cariche possiedono energia
o le correnti elettriche (ovvero le cariche in movimento) si comportano da trasportatori dell'energia
o quando una carica attraversa un elemento di circuito, essa cede una parte della sua energia
o l’energia ceduta dalla carica viene successivamente riversata nell’ambiente esterno dall’elemento del circuito.
Se ne deduce che una carica possiede energia diversa in diversi punti del circuito: si dice che la carica possiede
un’energia potenziale elettrica.
L’emissione di energia da parte di un elemento può allora essere interpretata in questo modo: man mano che la carica
fluisce da un estremo all’altro di un elemento di un circuito, l’energia potenziale della carica diminuisce e l’energia da
essa perduta in quell’elemento viene riversata nell’ambiente esterno.
Il rapporto ∆E/q, che esprime l’energia perduta dall’unità di carica nell’attraversare l’elemento circuitale, definisce una
nuova grandezza fisica che si chiama differenza di potenziale ai capi dell’elemento circuitale considerato.
Da dove proviene l'energia trasportata dalla corrente elettrica?
7. Il ruolo del generatore in un circuito elettrico
L’energia elettrica riversata verso l’esterno dai vari elementi utilizzatori di un circuito elettrico può presentarsi sotto
forme diverse: calore, luce, lavoro…
Sappiamo che l’energia è una grandezza fisica che si conserva, quindi il fatto che da un circuito elettrico esca
continuamente energia implica che nel circuito esista almeno un elemento che ripristini continuamente l’energia delle
cariche a spese di altre fonti di energia. Questo elemento è il generatore.
In altri termini, le cariche elettriche nel percorrere il circuito perdono progressivamente energia perché la cedono agli
utilizzatori che attraversano; affinché esse possano riguadagnare nuova energia potenziale, prima di cominciare a
ripercorrere il circuito occorre che almeno un elemento del circuito (il generatore) le rifornisca di energia.
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Il termine generatore è improprio: un generatore non produce energia ma piuttosto trasforma in energia elettrica altre
forme di energia. Esso quindi costituisce un convertitore di energia.
Esistono diversi convertitori di questo tipo.
L’energia elettrica che arriva alle abitazioni, agli uffici, alle fabbriche, è prodotta utilizzando dinamo e alternatori ai quali
viene fornita energia meccanica sfruttando la caduta di acqua da serbatoi naturali o artificiali (centrali idroelettriche)
oppure facendo in modo che l’alternatore venga azionato dall’energia termica di vapori molto caldi che espandendosi
ad alte pressioni possono far ruotare una turbina.
Per riscaldare il vapore si può bruciare carbone, gas o petrolio (centrali termiche) oppure ricavare calore da una
reazione nucleare (centrali nucleari) o utilizzare il calore che proviene dall’interno della Terra (centrali geotermiche) o il
calore che proviene dal Sole (centrali solari).
Anche l’energia del vento può essere utilizzata per far ruotare una turbina (centrali eoliche).
L’energia solare inoltre può essere convertita in energia elettrica anche direttamente mediante dispositivi, detti celle
fotovoltaiche, che si comportano come generatori elettrici quando sono colpiti dalla luce.
Le pile e gli accumulatori (batterie di un’automobile) convertono invece energia chimica in energia elettrica.
Si può ottenere un convertitore diretto di energia termica in elettrica utilizzando due fili di diversi metalli, collegati tra
loro in due giunzioni a temperature diverse e tenendole a contatto con sorgenti di calore a temperatura diversa (pila
termoelettrica). Il rendimento è piuttosto basso, per cui questi dispositivi (coppia termoelettrica) trovano applicazione
come misuratori di differenza di temperatura.
I microfoni sono convertitori di energia acustica in energia elettrica. In natura esistono anche convertitori biologici di
energia chimica in energia elettrica: per esempio i pesci torpedine sono in grado di generare notevoli scosse elettriche
di cui si servono per paralizzare le prede.
8. Modello idraulico della corrente elettrica
Si può paragonare la corrente elettrica al flusso dell’acqua attraverso dei
tubi. In questa analogia la batteria è la pompa che spinge l’acqua, i fili
conduttori corrispondono ai tubi nei quali scorre l’acqua e l’interruttore
funziona in modo analogo al rubinetto.
La pompa idraulica che solleva l’acqua fino a un certo livello, nel circuito
elettrico è rappresentata da un generatore di dislivello elettrico, ad esempio
una pila. Il dislivello elettrico è la grandezza che si misura in volt (a
definiremo con precisione tra poco).
La portata, cioè quanta acqua passa nel tubo ogni secondo, nel circuito
elettrico rappresenta intensità di corrente elettrica e si misura in ampère.
Misurare l’intensità della corrente elettrica equivale quindi a contare quante
cariche elettriche passano nel filo ogni secondo!
Consideriamo questa analogia anche dal punto di vista dell’energia.
La pompa solleva acqua dal livello inferiore al livello superiore. Ogni
chilogrammo di acqua, superando il dislivello, acquista una certa energia
potenziale gravitazionale e nel ridiscendere al livello inferiore può restituirla
compiendo un lavoro utile (per esempio può muovere una turbina).
Se le perdite di energia del sistema sono trascurabili, l’energia trasferita
alla turbina è uguale all’energia potenziale persa dall’acqua, la quale a sua
volta è uguale all’energia trasferita dalla pompa: in questo dispositivo
l’acqua, circolando in continuazione, costituisce il tramite attraverso cui si
ottiene, come risultato finale il trasferimento di energia dalla pompa alla
turbina. Nei circuiti elettrici invece è il flusso delle cariche elettriche che
permette di trasferire energia dal generatore all’utilizzatore.
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9. Interpretazione microscopica della corrente elettrica
Interpretiamo i fenomeni di conduzione elettrica servendoci del modello atomico.
Nei metalli gli atomi (o meglio gli ioni) sono posti nei vertici della struttura cristallina (e oscillano per agitazione termica
attorno alle posizioni di equilibrio), mentre alcuni elettroni (qualche elettrone per atomo) è libero di muoversi in tutto il
metallo (elettroni liberi o elettroni di conduzione).
In un circuito aperto gli elettroni di conduzione dei cavetti si muovono
disordinatamente all’interno per effetto degli urti tra elettroni e ioni del reticolo. Se
si pensa al cavo come ad un cilindretto di sezione costante, il numero medio di
elettroni che attraversano la sezione del cilindro nell’unità di tempo è uguale a
zero.
In un circuito chiuso il moto medio degli elettroni si orienta nel conduttore dal polo
negativo al polo positivo del generatore. Possiamo considerare il generatore come
un dispositivo capace di orientare il moto medio degli elettroni rifornendo
continuamente di energia le cariche che circolano nel circuito.
Occorre chiarire che il moto degli elettroni avviene dal polo negativo a quello
positivo, mentre il verso convenzionale della corrente si assume positivo dal polo
positivo a quello negativo, come se i portatori di carica fossero positivi. Questo non
comporta nessuna differenza per quanto riguarda i circuiti elettrici.
Possiamo interpretare anche l'effetto termico dal punto di vista microscopico. Consideriamo per esempio il caso di un
conduttore metallico, come il filamento di una lampadina. Nell'attraversarlo gli elettroni di conduzione interagiscono con
gli atomi del reticolo cristallino. Come risultato gli atomi acquistano energia a spese dell'energia degli elettroni ed il loro
moto disordinato di oscillazione intorno alle posizioni di equilibrio aumenta di ampiezza. Dall'esterno ciò viene
percepito come aumento della temperatura del conduttore (effetto termico).
10. Definizione di forza elettromotrice di un generatore
Per caratterizzare i generatori (pile, batterie, dinamo, pannelli fotovoltaici, alternatori) introduciamo una nuova
grandezza detta forza elettromotrice (f.e.m.):
la f.e.m. è uguale al lavoro che il generatore compie su una carica unitaria per trasportarla da un punto a potenziale
minore a un punto a potenziale maggiore:
f.e.m.=
L
.
q
In altri termini la forza elettromotrice di un generatore è l’energia fornita dal generatore all’unità di carica che lo
attraversa. La denominazione f.e.m., che deriva dalla tradizione, è impropria in quanto non si riferisce ad una
grandezza espressa in newton (forza), ma ad una grandezza espressa in volt.
11. Definizione di differenza di potenziale
In generale, si definisce differenza di potenziale (d.d.p.) o tensione tra i punti A e B e si indica con ∆VAB il rapporto tra
l’energia trasformata nel tratto AB del circuito e la carica che ha attraversato il circuito:
∆V AB=
∆E
.
q
Si ricava ∆E=q∆V, che si può interpretare come una relazione di proporzionalità diretta tra energia elettrica e carica
che attraversa il circuito, oppure tra energia elettrica e tensione ai capi del circuito.
L’unità di misura della d.d.p. si chiama volt (V).
Un volt è la d.d.p. tra due punti di un circuito in cui una corrente di un ampère sviluppa l’energia di un joule in un
secondo,
volt =
joule
joule
=
.
coulomb ampere · secondo
Lo strumento che misura la d.d.p. è il voltmetro, che deve essere collegato in parallelo tra i due punti del circuito tra cui
si vuole misurare la differenza di potenziale.
Nota che anche la tensione è una grandezza fisica con segno, perché scambiando le connessioni cambia il senso
delle indicazioni del voltmetro.
Confrontando le definizioni delle due grandezze, d.d.p. e f.e.m., si deduce che entrambe si esprimono in volt.
L’uso della stessa unità di misura non deve però indurre a confondere due grandezze fisiche differenti. Infatti la f.e.m. è
l’energia, di origine non elettrica, che il generatore fornisce all’unità di carica (indicata per esempio sulle pile e
misurabile a circuito aperto ai morsetti del generatore), mentre la d.d.p., misurabile a circuito chiuso tra due punti di un
circuito elettrico percorso da corrente, è l’energia elettrica ceduta da una carica unitaria agli elementi di circuito
compresi tra i due punti considerati. Il termine tensione (elettrica) si usa comunemente come sinonimo di entrambe.
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12. Conduttori in serie e in parallelo: la differenza di potenziale
Disegna lo schema di un circuito con due conduttori (lampadine o altro) in serie, compresi gli strumenti per misurare la
differenza di potenziale ai capi dei conduttori e del generatore. Poi costruiscilo in laboratorio, tenendo conto che hai a
disposizione un solo strumento di misura che dovrai successivamente spostare nei vari punti del circuito per misurare
le grandezze richieste. Puoi indicare direttamente sul tuo schema le letture degli strumenti. Ripeti le stesse operazioni
per un circuito con due conduttori in parallelo.
Le misure dovrebbero permetterti di verificare che
- in un circuito in serie, la d.d.p. esistente ai capi del generatore è uguale alla somma delle d.d.p. esistenti ai capi dei
singoli conduttori che compongono il circuito;
- in un circuito in parallelo, la d.d.p. esistente ai capi del generatore è uguale a quella esistente ai capi di ciascun
conduttore presente nel circuito.
13. Potenza elettrica
In generale, la potenza è il rapporto tra energia trasformata e tempo impiegato per la trasformazione,
P=
∆E
.
∆t
La potenza misura quindi la velocità con cui l’energia di un sistema si trasforma, ovvero caratterizza la rapidità con cui
un sistema assorbe o produce lavoro.
La potenza elettrica è la quantità di energia elettrica trasformata in un circuito nell’unità di tempo.
Dalle definizioni di corrente e d.d.p. si trova
P=
∆E q · ∆V i · ∆t · ∆V
=
=
=i · ∆V , quindi la potenza elettrica
∆t
∆t
∆t
trasformata in un dispositivo elettrico è data dal prodotto dell’intensità di corrente che lo attraversa per la tensione ai
suoi capi. Per quanto riguarda le unità di misura si deduce che watt= ampère⋅volt.
Ogni apparecchio elettrico riporta, oltre al valore nominale della tensione che può sopportare, il valore della potenza. Il
valore della potenza riportato sull’apparecchio è quello effettivo solo quando l’apparecchio ha ai suoi capi la tensione
nominale.
14. Rendimento elettrico
In generale, in una trasformazione energetica si definisce rendimento η il rapporto tra l’energia trasformata nella forma
utilizzabile e l’energia disponibile η=
energia utilizzata
.
energia disponibile
Il rendimento elettrico è dato quindi dal rapporto tra l’energia trasformata dall’utilizzatore e l’energia elettrica erogata
dal generatore.
Si tratta di un numero puro (senza unità di misura) in quanto risulta dal rapporto di due grandezze omogenee. Il
rendimento spesso si esprime in forma percentuale, che si ottiene moltiplicando per 100 il rapporto precedente. Il
rendimento è in genere minore di uno (ovvero minore del 100%) perché l’energia trasformata nella forma utile è minore
dell’energia disponibile.
L’energia in apparenza “mancante” (ricordiamo che vale il principio di conservazione dell’energia) in effetti viene
trasformata in altre forme (spesso calore) non utilizzate nel particolare apparecchio considerato (e quindi constatiamo
che esso si scalda). Per esempio in una comune lampadina a incandescenza gran parte dell’energia viene trasformata
in calore e non in energia luminosa: non è un dispositivo efficiente per l’illuminazione!
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15. Resistenza elettrica.
Abbiamo visto che in un circuito la f.e.m. del generatore è la causa del movimento delle cariche elettriche nel circuito e
che aumentando la tensione fornita dal generatore, aumenta la luminosità della lampadina ossia la corrente nel circuito
(misurata dall’amperometro): ciò indica che c’è una relazione tra d.d.p. e corrente.
Si definisce resistenza elettrica di un conduttore (o di un utilizzatore) il rapporto tra la differenza di potenziale ai capi
del conduttore e l’intensità della corrente che lo percorre:
R=
∆V
i
Poiché la tensione e l'intensità di corrente non sono due grandezze omogenee, il loro rapporto, la resistenza, è una
nuova grandezza fisica la cui unità di misura è detta ohm (Ω): 1 Ω rappresenta la resistenza di un conduttore che viene
percorso da una corrente di 1 ampere quando ai suoi capi si applica la tensione di 1 volt.
In termini qualitativi la resistenza elettrica di un conduttore esprime la sua capacità di opporsi al passaggio di corrente:
a parità di tensione applicata, maggiore è la resistenza, minore è l’intensità di corrente che circola in esso.
Il simbolo convenzionale di un conduttore di resistenza non trascurabile (resistore) è
.
Quando un conduttore è disegnato con un segmento rettilineo esso è considerato di resistenza trascurabile; se invece
si intende prendere in considerazione la sua resistenza esso si rappresenta con il simbolo convenzionale della
resistenza. In genere, si considera trascurabile la resistenza dei cavi conduttori e degli amperometri presenti in un
circuito e si assume che la resistenza sia tutta concentrata negli utilizzatori.
16. La curva caratteristica corrente-tensione. La prima legge di Ohm.
La rappresentazione grafica della relazione tra la tensione (variabile indipendente) ai
capi di un componente elettrico e la corrente (variabile dipendente) che vi scorre è
chiamata curva caratteristica corrente-tensione del componente.
Se la curva caratteristica è una retta passante per l'origine delle coordinate, la
relazione è nota come prima legge di Ohm, scoperta nel 1826, che quindi si può
enunciare nel seguente modo:
"L’intensità di corrente che attraversa un conduttore (utilizzatore) è direttamente
proporzionale alla tensione applicata ai suoi estremi”.
Il reciproco della pendenza della curva caratteristica rappresenta la resistenza che in
questo caso è costante. Nel caso in cui la curva caratteristica non sia una retta, si
deduce quindi che la resistenza dell’elemento circuitale non è costante.
I conduttori che seguono la legge di Ohm si chiamano ohmici (la curva caratteristica
corrente tensione è una retta), mentre gli altri vengono detti conduttori non ohmici.
Nota 1: quando la resistenza non è costante si definisce la resistenza differenziale (o incrementale): essa è il
reciproco della pendenza della (retta tangente alla) curva caratteristica corrente-tensione nel particolare punto che
interessa. Talvolta, quella appena definita viene chiamata semplicemente resistenza, benché le due definizioni siano
equivalenti solo per un conduttore ohmico la cui curva caratteristica è una retta.
Nota 2: L’inverso della resistenza è chiamata conduttanza, si misura in Ω-1, una nuova unità di misura nota come
siemens (S). La pendenza della curva caratteristica rappresenta quindi la conduttanza.
17. Metodo voltamperometrico.
Per determinare sperimentalmente la relazione tra la d.d.p. ai capi di un utilizzatore
(o di un conduttore) elettrico e la corrente che circola in esso, ovvero tracciarne la
curva caratteristica riportando le misure in un grafico corrente-tensione, il metodo più
immediato consiste nel costruire un circuito elementare, inserendo un generatore
variabile, l’utilizzatore di cui vogliamo studiare il comportamento e i due strumenti
(voltmetro e amperometro, inseriti correttamente!) per misurare le due grandezze
(tensione e corrente). Tale metodo si chiama metodo voltamperometrico.
Laboratorio: curva caratteristica di alcuni conduttori.
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18. La seconda legge di Ohm. Resistività.
Riprendendo il modello idraulico, intuitivamente la resistenza che offre un tubo al passaggio dell’acqua è tanto
maggiore quanto più il tubo è lungo e stretto, mentre è minore se il tubo presenta una grande sezione trasversale. Lo
stesso si verifica per la dipendenza della resistenza elettrica dalla forma di un conduttore ohmico.
A seguito di una serie di esperimenti, Ohm stabilì che la resistenza di un conduttore a sezione costante è direttamente
proporzionale alla sua lunghezza l e inversamente proporzionale alla sua sezione trasversale S:
R= ρ
l
S
(seconda legge di Ohm).
La costante ρ (leggi “rho”) si chiama resistività (o resistenza specifica) e dipende dal materiale di cui è fatto il
conduttore. La resistività rappresenta la resistenza che un filo di lunghezza e sezione unitaria offre al passaggio della
corrente. Come si può dedurre dalla formula, la resistività si misura in ohm·metro (Ω·m), sebbene spesso, per facilitare
i calcoli pratici, si utilizzi l’unità Ω·mm2/m (il valore numerico della resistività di un metallo in tale unità rappresenta
infatti la resistenza in ohm di un filo di quel metallo lungo 1 m con sezione di 1 mm2).
La tabella sottostante riporta la resistività elettrica ed il coefficiente di temperatura di alcuni materiali riferiti alla
temperatura di 0°C.
Osservazioni:
o L’introduzione della resistività consente di porre in termini quantitativi la distinzione fra conduttori (molti dei quali
presentano un comportamento approssimativamente ohmico) e isolanti elettrici: fra i migliori conduttori e i migliori
isolanti la resistività varia di circa 25 ordini di grandezza!
o La resistenza è una caratteristica del conduttore, la resistività è invece una proprietà del materiale di cui il
conduttore è fatto.
o La resistività di conduttori, isolanti e semiconduttori dipende dalla temperatura a volte in modo complesso. Per i
conduttori metallici, la resistività in prima approssimazione cresce linearmente con la temperatura secondo una
legge del tipo ρ= ρ0 1α ° t  , dove ρ0 è la resistività alla temperatura di 0°C, °t è la temperatura in gradi
Celsius e α è una nuova grandezza caratteristica dei vari materiali, detta coefficiente resistivo di temperatura.
Questa legge empirica permette di determinare la resistività, che nelle tabelle è riferita a 0°C, ad altre temperature.
o La costantana (60% Cu, 40% Ni) è una lega, la cui resistività dipende pochissimo dalla temperatura.
o La dipendenza della resistenza dalla temperatura permette di costruire termometri a resistenza, strumenti che
sfruttano questa proprietà, anziché la dilatazione termica, per misurare la temperatura.
materiale
Argento
Rame
Oro
Alluminio
Tungsteno (Wolframio)
Stagno
Ferro dolce
Piombo
Conduttori
Manganina (Cu, Mn, Ni)
Costantana (Cu, Ni)
Ferro-Nichel
Mercurio
Carbone
Semiconduttori Germanio purissimo
Silicio purissimo
Olio minerale
Porcellana
Isolanti
Mica
Polistirolo
Buoni
conduttori
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resistività elettrica ρ0
[Ω·mm2/m]
0,015
0,016
0,021
0,026
0,05
0,115
0,13
0,2
0,4
0,5
0,85
0,951
30
5·105
25·108
~ 1017
~ 1018
~ 1020
~ 1022
coeff. di temperatura α
[1/°C]
4·10-3
4,2·10-3
3,9·10-3
4,3·10-3
4,5·10-3
4,3·10-3
4,8·10-3
4,2·10-3
0,01·10-3
~0
0,6·10-3
0,9·10-3
negativo
negativo
negativo
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