Il tipo fuggifuggi

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Anna M. Thornton
Il tipo fuggifuggi∗
In italiano esistono alcuni nomi di azione, quali parapiglia e fuggifuggi, formati da una
sequenza di due verbi, che compaiono in forma omofona all’imperativo singolare. I nomi di
azione – o più generalmente di evento – formati da una sequenza di due verbi diversi sono
pochi, creati sporadicamente tra il XIV e il XVIII secolo: giravolta (1310, OVI), battisoffia
(av. 1400), parapiglia (av. 1601), stacciaburatta (av. 1665), andirivieni (av. 1742),
dormiveglia (av. 1745), vinciperdi (av. 1800). A partire dal XIX secolo, nomi d’azione
basati su due diversi verbi compaiono solo con le forme verbali unite dalla congiunzione e:
tira e molla (1889, Diacoris), va e vieni (1891).1 La formazione di nomi d’azione per
reduplicazione di uno stesso verbo, le cui prime attestazioni risalgono al XVI secolo (bolli
bolli av. 1565, corri corri av. 1587), diviene invece produttiva nel corso del XIX secolo, e
lo è tuttora, come mostrano i dati in (1), dove ogni tipo è seguito dalla sua data di prima
attestazione:
(1) tira tira 1827, serra serra av. 1828, pigia pigia 1865, fuggifuggi 1880, piglia piglia 1881,
mangia mangia 1935, ruba ruba, scappa scappa (Tollemache 1945: 211), arraffa arraffa 1951,
battibatti 1955, copia copia 1994 (Thornton 1996: 100), ciappa ciappa, compra compra, firmafirma, parla-parla, piangi piangi, sgozza-sgozza, spara spara, spendi spendi, spingi spingi,
stringi stringi, vendi vendi (corpus la Repubblica 1985-2000)
Questo tipo di nomi d’azione sembra essere caratteristico dell’italiano: in altre lingue
romanze, i composti ottenuti per reduplicazione di uno stesso elemento verbale hanno
semantica varia e un sottogruppo di nomi d’azione non è segnalato come produttivo nella
letteratura specialistica (Guilbert 1971: LVIIIb; Rainer 1993: 263).
L’origine del tipo in italiano è a mio avviso delocutiva. I sostantivi si sono formati per
lessicalizzazione di citazioni di discorso diretto, usate in origine nella funzione che è stata
denominata da Spitzer (1918; 1951-52) «imperativo descrittivo». Si è avuta cioè
sostantivazione di enunciati comunemente pronunciati o pronunciabili nelle circostanze cui
si riferisce il nome poi lessicalizzato.
Folena (1958) ha individuato «la preistoria formale e semantica» di alcuni «composti
derivati dalla giustapposizione di imperativi come parapiglia» in alcuni loci di prosatori
–––––––
∗
1
Questa ricerca è stata condotta nell’ambito del progetto PRIN 2005 CompoNet.
Le datazioni sono quelle ricavabili dai dizionari, a meno che non sia indicato un corpus che ha
permesso una retrodatazione. Sul tipo tira e molla cf. Masini / Thornton (2007).
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napoletani di metà Quattrocento, quali Loise de Rosa e Masuccio Salernitano. I brani sui
quali ha attirato l’attenzione Folena sono riportati in (2) e (3):
(2) Loise de Rosa: Ricordi (si cita dall’edizione a cura di Vittorio Formentin, Roma, Salerno
editrice, 1998):
a. Como lo re fo a lo Capo, esseno ly catalane colle valestre / parate, cala cala, et foro pigliate
tutty (66v.2)
b. Co//mo foro passate le bandere, et passavano ly fante, isso esse, dà sop/re ly fante et
amaccza amaccza (70v.19-21)
c. le gente che erano trasute e / ly napoletane stavano alle Co(r)ree: piglia piglia, para para,
tutty foro prise (70v.23-24)
(3) Masuccio Guardati (Masuccio Salernitano): Il novellino (si cita dall’edizione a cura di
Giorgio Petrocchi, Firenze, Sansoni, 1957):
La calca grande andava di continuo costoro seguendo con gridi, cifolare e urlare; e in ogne
luoco gridandosi: «Para! Piglia!», e cui loro sassi traendo, e quali con bastoni lo stallone
percoteano, e ciascuno da la impresa separarli se ingegnava… (I.47)
I passi di Loise mostrano le sequenze di due imperativi (sempre ripetizione di uno stesso
verbo) in contesti che possiamo classificare come «discorso diretto libero»: si tratta della
citazione di parole riportate come pronunciate nella situazione che si sta descrivendo, senza
che nel co-testo vi siano segnalatori espliciti del cambio di locutore (dall’autore della
narrazione a un personaggio). In Masuccio invece si ha discorso diretto vero e proprio,
citazione di parole testuali, introdotta da verbum dicendi (gridandose) e segnalata
dall’editore con virgolette.
Queste due citazioni «preistoriche» contengono già tutti gli elementi necessari a
comprendere l’origine dei nomi d’azione costituiti da una sequenza di due verbi in forma
imperativa.
Spitzer, nel caratterizzare il tipo sintattico che egli denomina «imperativo descrittivo»,
richiama l’attenzione sul fatto che si tratta spesso di comandi militari o marinareschi
(Spitzer 1952: 19, 41). E i brani di Loise ci testimoniano proprio queste circostanze: è un
comando marinaresco, e enunciato in situazione di battaglia, il cala cala (cioè ‹ammaina le
vele›) di (2a); le altre sequenze di due imperativi ripetuti non costituiscono invece enunciati
cristallizzati, corrispondenti a comandi riferiti a manovre militari o marinaresche
specifiche, ma senz’altro corrispondono a enunciati di carattere esortativo detti o dicibili in
situazioni di battaglia come quelle descritte.
Nel testo di Masuccio, la situazione non è invece di carattere militare o marinaresco, ma
presenta un altro carattere peculiare a mio parere molto significativo, e finora trascurato
dagli studiosi che si sono occupati del tipo: il fatto che gli enunciati siano pronunciati in
situazioni di affollamento e di confusione, più volte e da più persone. In Masuccio chi
pronuncia «Para! Piglia!» è «la calca», e lo fa «in ogne luoco».
I dizionari datano il sostantivo parapiglia all’inizio del XVII secolo, mentre la sequenza
dei due imperativi «Para! Piglia!» in contesti di discorso riportato, come si è visto, è
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attestata almeno un secolo e mezzo prima (altre attestazioni se ne hanno nell’Orlando
innamorato, II.5.42.6). Anche per altri casi (corri corri, fuggi fuggi, piglia piglia, scappa
scappa, serra serra, tira tira) si hanno attestazioni degli imperativi ripetuti come citazioni
di discorso diretto antecedenti l’attestazione del nome d’azione. Tuttavia, non tutti i nomi
d’azione in (1) sono preceduti da attestazioni dei corrispondenti imperativi ripetuti in
contesti di discorso diretto. A partire dai primi casi di lessicalizzazione, si è stabilito un
modello in base al quale sono stati formati altri sostantivi, anche a partire da verbi dei quali
non è attestato un uso come imperativi descrittivi ripetuti. Nel seguito descriveremo le
principali caratteristiche della regola di formazione dei lessemi che permette di produrre
questi sostantivi.
Caratteristiche dell’input
Restrizioni fonologiche: disillabismo della base
I verbi selezionabili come basi per la formazione di nomi d’azione reduplicativi hanno
praticamente tutti base bisillabica.2 La tendenza al bisillabismo delle basi verbali utilizzate
in composizione è stata osservata anche per altri tipi di composti italiani, quali i composti
verbo-nome (cf. Dardano 1978: 149; Thornton 2007: 254-259) e il tipo tira e molla (Masini
/ Thornton 2007), ma nel tipo qui in esame è più forte: si ha base bisillabica nell’82,3% dei
primi membri verbali di composti lemmatizzati nel GRADIT (elaborazione sui dati di
Ricca 2005), nell’84% delle basi «più comuni» di composti verbo-nome elencate da
Dardano (1978: 149, elaborazione mia), nell’84,8% dei secondi membri e nel 90,9% dei
primi membri delle formazioni del tipo tira e molla (Masini / Thornton 2007), e ben nel
95,7% dei casi del nostro tipo. Naturalmente, per poter affermare che si tratti di
un’autentica restrizione prosodica sull’input (come ipotizzato già in Thornton 1996: 100), è
necessario verificare la distribuzione delle basi bisillabiche nell’insieme dei verbi italiani.
Nel GRADIT i verbi con base bisillabica sono solo il 15,3% del totale, e anche nel
Vocabolario di base dell’italiano giungono solo al 30% del totale (elaborazione basata su
Thornton / Iacobini / Burani 1997): dunque nel tipo in esame l’incidenza di basi
bisillabiche appare frutto di una restrizione, dato che si discosta molto significativamente
dalla distribuzione delle basi bisillabiche tra i verbi italiani considerati nel loro insieme.
Restrizioni morfologiche
Tra le basi non si hanno verbi suffissati, ma è probabile che si tratti di una conseguenza
della restrizione fonologica che limita l’input a verbi con base bisillabica, più che di una
–––––––
2
La sola eccezione è data da arraffa arraffa, che può essere spiegato ricorrendo al principio
dell’«extramétricité des voyelles initiales» illustrato da Plénat (1994); per un’applicazione
all’italiano di questo principio cf. anche Thornton (2007).
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restrizione morfologica indipendente. Questa ipotesi è avvalorata dall’osservazione che
verbi prefissati, se compatibili con la restrizione sul bisillabismo, sono utilizzabili come
basi del tipo (cf. sgozza-sgozza, arraffa arraffa).
Restrizioni sintattico-semantiche
La maggior parte delle basi è costituita da verbi transitivi (che costituiscono la
maggioranza dei verbi anche nell’insieme del lessico italiano), ma si hanno anche tre basi
di tipo inergativo (parlare, sparare, piangere) e tre di tipo inaccusativo (fuggire, scappare,
correre), tra le quali la base del tipo di gran lunga più frequente, fuggifuggi. Non si hanno
tra le basi verbi stativi. Tutte le basi selezionano soggetti che si collocano molto in alto su
una scala di agentività: sono esclusi verbi con soggetto Esperiente, e anche i tre verbi
inaccusativi hanno soggetti con alto grado di controllo sull’azione.3
Caratteristiche dell’output
Fonologia e grafia
I due membri costituiscono due parole fonologiche distinte, in base ai test proposti da
Nespor (1993: 173-174): occorrenza nel primo membro di /E/ e /ɔ/ in serra serra, spendi
spendi, copia copia, allungamento della vocale tonica in penultima sillaba aperta in copia
copia, pigia pigia, ruba ruba e tira tira, mancata sonorizzazione di /s/ intervocalica in
serra[s]erra.
L’analisi dei dati tratti dal corpus di Repubblica permette qualche osservazione anche sul
piano della grafia. Un’indicazione normativa era stata proposta da Salvioni (1899: 234):
Imperativi reduplicati sono fuggi fuggi, serra serra, bolli bolli, che scrivonsi di solito staccati
(un fuggi fuggi generale, un gran serra serra), ma che realmente andrebbero scritti uniti, non
avendosi fuggi e serra come sostantivi isolati.
Alle due possibilità esaminate da Salvioni ne va aggiunta una terza, quella della grafia
che separa / unisce le due basi con un trattino. L’auspicio di Salvioni si è realizzato in
infima parte, e solo per il lessema fuggifuggi, che nel corpus di Repubblica occorre 6 volte
scritto unito, ma ben 200 volte scritto staccato e 75 volte con trattino. Nessun altro tipo è
attestato scritto unito nel corpus di Repubblica, dove si alternano la grafia con trattino e
–––––––
3
Un’eccezione solo apparente è rappresentata da bolli bolli. Va osservato che in questo sostantivo,
attestato con il significato di ‹tumulto›, il verbo bollire ha significato metaforico: il soggetto del
bollire è una folla di esseri umani, non una massa liquida. Inoltre, bolli bolli sembra uscito d’uso
nell’italiano contemporaneo: non è attestato nel corpus di Repubblica, ed è stato oggetto di
intervento da parte di Manzoni, che ha sostituito un bolli bolli della ventisettana con tumulto nella
quarantana.
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quella staccata: escludendo le occorrenze di fuggifuggi già illustrate, si hanno 62
occorrenze scritte separate e 64 scritte con trattino.4
Morfologia
Accenniamo solo brevemente alla forma dell’elemento verbale. Si tratta di una forma
omofona dell’imperativo singolare, uguale anche alla forma che compare nei ben più
numerosi composti verbo-nome dell’italiano. La forma dell’elemento verbale nei composti
verbo-nome è stata oggetto di un ampio dibattito, che ha visto confrontarsi tre posizioni:
fautori dell’imperativo, fautori della terza persona singolare del presente indicativo (Merlo,
Tollemache) e fautori di un puro tema verbale (innanzitutto Pagliaro). Anche i fautori
dell’imperativo, però, hanno riconosciuto che se «Formalmente, si tratta d’imperativi;
concettualmente, oggi questo carattere è molto meno avvertito» (Migliorini 1935: 42 =
1957: 82), e che «la valutazione sincronico-semantica va […] distinta da quella diacronicoetimologica» (Folena 1958: 104). In un quadro teorico più recente, si può sostenere che la
forma verbale che appare nei nomi d’azione reduplicativi, così come nei composti verbonome dell’italiano, è un morfoma usato in composizione (cf. Rainer 2001; Thornton 2005:
157-160), omofono dell’imperativo ma che non si identifica con esso, in quanto si tratta di
una pura «sound form» (Aronoff 1994) e non di una forma verbale dotata di specifici tratti
flessivi.
Sintassi e semantica
Dal punto di vista semantico, i nomi d’azione reduplicativi si raggruppano in parte in
due frames specifici, quello dell’accalcarsi disordinato e confuso di una folla in movimento
(bolli bolli, pigia pigia, serra serra, spingi spingi, stringi stringi, fuggifuggi, scappa
scappa) e quello dell’appropriazione, per lo più indebita (ruba ruba, mangia mangia,
arraffa arraffa, copia copia, piglia piglia, ciappa ciappa, compra compra, tira tira); non
mancano però nomi semanticamente isolati, quali batti batti, corri corri, firma firma, parla
parla, piangi piangi, sgozza sgozza, spara spara, spendi spendi, vendi vendi.
L’esame dei contesti sintattici e testuali nei quali occorrono i nomi d’azione reduplicativi
permette di concludere che una loro peculiarità semantica è quella di richiedere un soggetto
plurale. Che le azioni indicate da questi nomi siano svolte da una molteplicità di agenti
traspare già bene dalle definizioni lessicografiche dei (pochi) sostantivi di questo tipo
elencati nei dizionari. Ad esempio, il GRADIT definisce arraffa arraffa come «l’arraffare,
l’impadronirsi in modo violento di qcs., gener. da parte di più persone; estens., ruberia
generalizzata»; corri corri come «un correre rapido e disordinato di persone», fuggi fuggi
come «fuga disordinata e precipitosa di più persone».
–––––––
4
Qualche occorrenza di scrittura unita si ha anche per leccalecca, attestato in italiano dal 1959, che
nel corpus di Repubblica compare 11 volte scritto unito, 30 staccato e 37 con trattino. Escludiamo
questa voce dal nostro esame perché non è un nome d’azione (la voce ha un parallelo nello
spagnolo chupa-chupa, attestato dal 1891 (CORDE)).
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Anche nei contesti di occorrenza nel corpus di Repubblica, quando il soggetto è
sintatticamente espresso, si tratta sempre di un plurale:
(4) una privatizzazione che […] i russi chiamano «l’arraffa arraffa» dei più forti
(5) un problema che riguarda i partiti romani e il loro «mangia mangia»
(6) Si vuole evitare che il 97, anno di elezioni amministrative, si trasformi in una corsa allo
spendi-spendi di sindaci e giunte regionali
(7) C’è il corri corri di tutti gli opportunisti
(8) in un pigia pigia di sedicenni, trentenni, quarantenni, cinquantenni / tra il pigia pigia dei
banchieri in uscita / nel pigia-pigia dei giornalisti / un pigia pigia di armati / c’era un gran
pigia pigia di ragazzi / nel pigia-pigia ronzante di fotografi e curiosi / un pigia-pigia
indescrivibile, di centinaia di persone / Natta è sorpreso del pigia pigia di folla / il pigia pigia
della gente per arrivare nell’arena ha provocato la disgrazia / il nuovo sistema diventerà un
pigia-pigia di progettoni e progettini in coda davanti a uno sportello
(9) un fuggi fuggi di personaggi, da Carraro a Nebiolo, da Pescante a Sordillo, da Gattai a
Vinci / il sorridente e silenzioso fuggi fuggi dei commissari / tra il fuggi fuggi dei medici e
degli infermieri / il terremoto ha suscitato un fuggi fuggi di giudici, giurati, avvocati / [...]
Spessissimo il soggetto plurale è espresso tramite l’aggettivo generale (e più raramente
generalizzato). Nel corpus di Repubblica, ben il 46,6% delle occorrenze di fuggifuggi
(131/281) è seguito immediatamente dall’aggettivo generale, come in (10), e in altri casi
l’aggettivo occorre in funzione predicativa, come in (11):
(10) C’è stato un fuggifuggi generale per evitare i resti dell’aereo, proiettili infuocati che
arrivavano dal cielo.
(11) la grande volta ha fatto da moltiplicatore dell’effetto terremoto e il fuggi fuggi è stato
generale.
(12) Ma la trama si presta a una presa in giro del mondo letterario, quello degli scrittori (un
«copia copia generale»), degli editori («prima di tutto vendere, non importa che cosa») e dei
critici […].
(13) Sono tornato a Pompei con grandi speranze, anzi con la certezza, indotta da un parla-parla
generale che molto per quelle rovine nel frattempo era stato fatto.
(14) il pogo, danza grunge, nata come un salto a destra ed uno a sinistra per urtare il vicino,
diventa ben presto uno spingi-spingi generale, che impone indumenti e scarpe comode.
(15) Penso che stiamo dando l’impressione di raschiare il fondo del barile. Sembra un arraffa,
arraffa generale. Che ne dice, verrebbe quasi voglia di votare per le Leghe.
(16) È un vendi-vendi generalizzato. Nelle sale cambi delle banche milanesi, che hanno vissuto
giornate febbrili – […] – si inizia a tirare il fiato.
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In molti casi, il soggetto non è espresso nel contesto sintattico immediato, ma è
ricavabile dall’esame del contesto testuale, e anche in questi casi il riferimento è sempre a
una pluralità di agenti. Basti solo il seguente esempio:
(17) Oltre cinquecento persone, le autorità, prefetto e sindaco in testa accompagnati dalla
giunta, fotoreporters nella solita sgomitante ressa, giornalisti cineoperatori, familiari, amici,
semplici curiosi hanno atteso tra spingi-spingi […] l’uscita dal cunicolo dello speleologo
La caratteristica di richiedere un soggetto che si riferisca a una pluralità di individui
accomuna i nomi d’azione reduplicativi al fenomeno noto come «numero verbale». Il
numero verbale è una categoria presente nella morfologia derivazionale di diverse lingue,
localizzate soprattutto in Africa e Nord-America (Corbett 2000: 245; Mithun 1988): in
queste lingue, alcuni verbi presentano due temi diversi, l’uno derivato dall’altro o in
relazione suppletiva tra loro, a seconda che l’azione cui il verbo si riferisce sia compiuta da
una o più persone, o abbia uno o più oggetti. Corbett osserva che valori semantici
paragonabili, nelle lingue indoeuropee, sono normalmente espressi con mezzi lessicali: ad
esempio, la differenza tra due verbi inglesi come run e stampede, o come kill e massacre,
sta nel numero di agenti o di pazienti implicati: il secondo verbo di ciascuna coppia implica
necessariamente rispettivamente agenti e pazienti molteplici (Corbett 2000: 253). Corbett
osserva anche che «Verbal number operates on an ergative basis: if the number of
participants is relevant it will be that of the most directly affected argument of the verb (the
absolutive)» (Corbett 2000: 253). A prima vista, i dati italiani che abbiamo appena
esaminato risultano anomali rispetto a questa generalizzazione: infatti nei nostri dati anche
nel caso di nomi formati a partire da verbi transitivi l’argomento plurale è il soggetto, che
ha il ruolo semantico di Agente (cioè l’argomento che andrebbe all’ergativo, non quello che
andrebbe all’assolutivo). Nei dati ricavabili dal corpus di Repubblica, l’oggetto è molto
raramente espresso come argomento del nome d’azione: la sua espressione si limita ai due
esempi seguenti5, dove comunque è plurale in entrambi i casi:
(18) l’arraffa arraffa dei miliardi stanziati per i restauri
(19) Alla fine è tutto un firma-firma di dediche
Un altro caso pertinente è rappresentato da pigia pigia: a causa del significato del nome
sia il soggetto che l’oggetto si riferiscono agli stessi individui, come si vede bene in (20):
(20) Il pigia pigia di persone con i vestiti e i capelli in fiamme che uscivano dal treno e
cercavano di precipitarsi fuori, calpestandosi, camminandosi addosso
Tra i nostri dati, una base verbale che si presterebbe molto bene a discriminare se il
requisito di pluralità vale per il soggetto o per l’oggetto è sgozzare, dove decisamente «the
most directly affected argument» è l’oggetto e non il soggetto. Il nome sgozza-sgozza è un
–––––––
5
La rarità dell’espressione sintattica dell’oggetto con i nomi d’azione reduplicativi contrasta con
quanto osservato da Fiorentino (2008) per infiniti nominali e nomi d’azione suffissati derivati da
verbi transitivi, con i quali, nel suo corpus, se un solo argomento è espresso nel contesto sintattico
si tratta sempre dell’oggetto.
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hapax nel corpus di Repubblica, e nessuno dei suoi argomenti occorre nel contesto
sintattico immediato (21):
(21) Qualcuno con una buona dose di fatalismo racconta che lui, «in mezzo a tutto questo
sgozza-sgozza» – dice proprio così –, non si è mai perso una partita della squadra della capitale
algerina per la quale tifa.
Il contesto testuale permette però di verificare che sia gli agenti che i pazienti dello
sgozzare sono concepiti come molteplici: si riferiscono agli agenti i due sintagmi «gruppi
islamici armati» e «le bande che fanno del Corano un pretesto di morte», e ai pazienti il
sintagma «la popolazione civile algerina».
Nell’insieme, i nostri dati sembrano mostrare che i nomi d’azione reduplicativi
richiedono un soggetto che si riferisca a una pluralità di individui; l’esistenza di un’analoga
restrizione sull’oggetto è possibile, ma meno certa, dato che la maggior parte delle
occorrenze dei nomi deriva da verbi intransitivi, e che anche nei derivati da verbi transitivi
l’oggetto è rarissimamente espresso nel contesto sintattico immediato; tuttavia, quando
l’oggetto è espresso o ricavabile dal contesto, è anch’esso rappresentato da un sintagma che
si riferisce a un gruppo di individui. La generalizzazione più forte rimane comunque quella
relativa al soggetto. La sua anomalia tipologica è forse solo apparente, se si considera
quanto osservato da Durie (1986) sul numero verbale:
Verb stem suppletion appears to invariably select for the number of the absolutive argument.
However more productive morphologies show considerable variation in their semantic linking.
[…] Many imply group activity, and select the number of the Agent or Actor […]. (Durie 1986:
363)
Secondo l’analisi di Durie, l’osservazione che l’argomento plurale è quello che andrebbe
all’assolutivo vale solo per un certo tipo di espressione del numero verbale, quello che
formalmente si presenta con un’alternanza suppletiva di temi verbali. Nel nostro caso, il
numero verbale sembra esprimersi in modo diverso (l’italiano rientra forse tra i casi di
«more productive morphologies» ricordati da Durie): la categoria del numero verbale in
italiano si esprime in un processo di formazione di lessemi che cambia la categoria della
base, creando nomi deverbali, con un procedimento spesso classificato come iconico
rispetto alla categoria di pluralità, quello della reduplicazione.
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