Misure di fondo cielo e ottimizzazione dell`elettronica

Università degli studi di Milano
Facoltà di scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea in Fisica
Misure di fondo cielo e ottimizzazione
dell’elettronica di Front End per il Rivelatore
di Fluorescenza dell’esperimento Auger
Relatore: Prof. Daniel Camin
Correlatore: Dott. Giuseppe Battistoni
Tesi di Laurea di:
Marco Lapolla
Matr. N° 500827
Codice P.A.C.S. 84.30
Anno Accademico 1999-2000
Riassunto dell’attività di tesi.
L’obiettivo dell’osservatorio di raggi cosmici Pierre Auger è quello di dare una risposta alla
problematica dell’origine dei raggi cosmici di energia ultra elevata. Il progetto mobilita una
collaborazione internazionale di scienziati e ingegneri provenienti da 18 paesi tra cui l’Italia che vi
partecipa con cinque gruppi di ricerca: Torino, Pavia, Milano Roma e Catania. Lo scopo primario
della costruzione di questo rivelatore è aumentare sensibilmente la scarsa statistica esistente oggi di
raggi cosmici con energia superiore a 1019 eV. Con i dati prodotti da questo esperimento dovrebbe
essere possibile la determinazione dello spettro di energia, la composizione, la direzione di
provenienza nonché i meccanismi alla base della loro accelerazione e propagazione. Il progetto
prevede la costruzione di due osservatori quasi identici con un’estensione di 3000 Km2 circa, il
primo nell’emisfero sud nella provincia di Mendoza (Argentina), il secondo nell’emisfero nord
nello stato dello Utah (USA). Entrambi gli osservatori consistono in una matrice di rivelatori di
superficie Èerenkov ad acqua, sensibili all’arrivo delle particelle dello sciame al suolo e da 3/4
telescopi per la luce di fluorescenza dell’azoto, prodotta dal passaggio delle stesse particelle
attraverso l’atmosfera. L’utilizzo di due tecniche indipendenti, permetterà di realizzare una
calibrazione incrociata dei sistemi di rivelazione riducendo così gli errori dovuti all’ancora scarsa
comprensione dei meccanismi di interazione adronica ad altissima energia.
Attualmente è in corso l’installazione di alcuni prototipi dei rivelatori di superficie mentre per la
fine dell’anno sarà avviata l’installazione del prototipo del rivelatore di fluorescenza che sarà
operativo nei primi mesi del 2001.
Il ruolo italiano nella collaborazione è incentrato sulla progettazione e realizzazione del rivelatore di
fluorescenza in collaborazione con il gruppo di Karlsruhe. Ogni telescopio di questo rivelatore
consiste in un cluster di sei specchi da 2m di apertura, ciascuno dei quali focalizza l’immagine su di
una matrice di 440 fototubi. Il segnale viene poi processato dall’elettronica analogica, quindi
digitalizzato ed inviato al sistema centrale di acquisizione dati attraverso una sofisticata rete locale
che connette tutte le stazioni dell’osservatorio.
Il gruppo di Milano diretto dal prof. Camin si occupa della realizzazione dell’elettronica analogica
del rivelatore di fluorescenza in stretta collaborazione con gli altri gruppi italiani.
Il lavoro svolto nell’ambito di questa tesi ha seguito tre direzioni principali:
•
•
•
la simulazione dell’elettronica analogica e successiva verifica sperimentale ha portato
all’ottimizzazione della configurazione del filtro anti-aliasing per consentire la corretta
acquisizione di impulsi di fluorescenza di breve durata, corrispondenti a sciami che
transitano in vicinanza del rivelatore. Questo studio è partito dall’esame delle simulazioni
disponibili riguardanti le caratteristiche degli impulsi visti dal rivelatore.
E’ stata affrontata la problematica della ricostruzione degli impulsi di fluorescenza a partire
dai segnali processati dall’elettronica. In particolare è stato proposto un criterio per
ricostruire con precisione (±10ns) la posizione temporale dell’impulso del fotomoltiplicatore
a partire dal segnale in uscita dall’elettronica.
L’elettronica di front end dispone di un innovativo sistema di misura diretta della corrente
anodica dei fotomoltiplicatori, questa corrente è proporzionale alla luminosità della zona di
cielo inquadrata dal pixel e varierà fortemente con la presenza di stelle brillanti.
Nell’intento di valutare le prestazioni del sistema e le sue applicazioni al monitoraggio della
luminosità del fondocielo, è stato realizzato un setup per il suo uti lizzo in combinazione con
due fotomoltiplicatori. Questo setup è stato realizzato con strumenti facilmente trasportabili
interfacciati con un PC laptop e può operare in esterni: il suo impiego prevede il montaggio
di un PMT al fuoco di un telescopio ottico convenzionale per la misura della luminosità di
background e delle stelle. Le prime misure sono state svolte in Italia nelle colline del
monferrato e presso l’Osservatorio Astronomico di Torino. Queste misure sono servite a
verificare la sensibilità del s istema e a valutare l’influenza sul rivelatore di stelle di
differente luminosità e classe spettrale. Altre misure sono state fatte dal sito scelto per il
rivelatore di fluorescenza (Los Leones, Argentina) ed hanno confermato i valori previsti per
la luminosità di fondo.
Queste attività hanno comportato l’uso degli strumenti di simulazione circuitale SPICE e lo
sviluppo di software in ambiente Labview per il controllo della strumentazione e l’acquisizione dati.
Sempre con Labview è stato sviluppato altro software per contribuire alla realizzazione di test
inerenti alla produzione delle unità Head Electronics che equipaggeranno i fototubi.
A mia madre.
3
4
Indice
1
La fisica dei raggi cosmici................................................................................................ 8
1.1
Introduzione................................................................................................................ 8
1.2
Produzione e accelerazione ...................................................................................... 10
Modelli “bottom up”......................................................................................................... 12
Modelli “top down”.......................................................................................................... 14
1.3
Propagazione dei RC: GZK cutoff e campi magnetici............................................. 14
1.4
La situazione sperimentale ....................................................................................... 18
La distribuzione spettrale ................................................................................................. 19
La direzione di arrivo ....................................................................................................... 21
La composizione chimica................................................................................................. 22
Bibliografia........................................................................................................................... 24
Siti Internet ........................................................................................................................... 25
2
L’esperimento Auger ..................................................................................................... 26
2.1
Introduzione.............................................................................................................. 26
2.2
I siti di Pampa Amarilla e Millard County ............................................................... 28
2.3
Il rivelatore di superficie .......................................................................................... 30
2.4
Il rivelatore di fluorescenza ...................................................................................... 31
L’ottica ............................................................................................................................. 33
2.5
Struttura dello sciame atmosferico........................................................................... 38
Le componenti elettromagnetica e muonica..................................................................... 38
Struttura spaziale .............................................................................................................. 40
Struttura temporale........................................................................................................... 42
2.6
Calcolo della direzione d’arrivo di un raggio cosmico mediante il rivelatore di
fluorescenza .......................................................................................................................... 42
Bibliografia........................................................................................................................... 45
3
L’elettronica analogica di front end ............................................................................. 46
3.1
Introduzione.............................................................................................................. 46
3.2
L’unità Head Electronics.......................................................................................... 47
Base di polarizzazione e signal driver.............................................................................. 48
Current Monitor................................................................................................................ 49
3.3
L’Analog Board........................................................................................................ 50
La compressione del segnale............................................................................................ 50
La lettura del Current Monitor ......................................................................................... 51
3.4
Studio della risposta dell’elettronica analogica........................................................ 52
3.5
Considerazioni sul filtro anti aliasing....................................................................... 58
Bibliografia........................................................................................................................... 63
4
Timing di precisione per i segnali di fluorescenza....................................................... 64
4.1
Introduzione.............................................................................................................. 64
4.2
La ricostruzione del segnale ..................................................................................... 64
4.3
Timing ...................................................................................................................... 67
4.4
La costante di tempo ottimale .................................................................................. 75
Bibliografia........................................................................................................................... 78
5
5
Applicazione del Current Monitor alla misura della luminosità di fondocielo. ....... 79
5.1
Introduzione.............................................................................................................. 79
5.2
La luminosità di fondo del cielo notturno ................................................................ 80
5.3
Introduzione alle misure........................................................................................... 81
5.4
L’ottica ..................................................................................................................... 83
Filtri UV ........................................................................................................................... 85
5.5
Il sistema di misura ed acquisizione dati .................................................................. 87
HP34970A Data acquisition/switch unit .......................................................................... 89
Il software......................................................................................................................... 90
5.6
Risultati sperimentali................................................................................................ 94
Pino Torinese.................................................................................................................... 99
San Rafael – Los Leones. ............................................................................................... 106
Bibliografia......................................................................................................................... 110
Ringraziamenti ..................................................................................................................... 111
6
7
1
La fisica dei raggi cosmici
1.1 Introduzione
Lo studio dei raggi cosmici comincia nel 1912 con la scoperta da parte di Victor Hesse.
L’esistenza di radiazione naturale era già nota, ma egli scoprì, durante una serie di
esperimenti realizzati in mongolfiera, che il nostro pianeta è immerso in un mare di
radiazioni ionizzanti di origine cosmica. Durante le sue ascensioni in mongolfiera con una
camera a ionizzazione, Hesse notò che la ionizzazione diminuiva fino alla quota di circa
2000 metri. La gran parte di essa è infatti dovuta alla radioattività naturale della terra. Ma
salendo ancora, la ionizzazione cominciava a crescere; Hesse interpretò correttamente che
questo aumento era dovuto a radiazione che entrava nell’atmosfera dallo spazio. Nel 1929,
con l’invenzione della camera a nebbia, si poterono osservare le prime tracce di un raggio
cosmico. La prima interpretazione sulla natura dei raggi cosmici primari fu data nel 1932
da Robert Millikam che ipotizzò si trattasse di raggi gamma, più tardi si capì invece che
erano nucleoni. L’osservazione delle tracce lasciate dai raggi cosmici portò a grandi passi
avanti nella fisica delle particelle con la scoperta del positrone (1933) e del muone (1937).
Pierre Auger portò il suo contributo allo studio di questo fenomeno osservando per la
prima volta sulla superficie terrestre gli sciami secondari, prodotti dall’interazione di
singole particelle di altissima energia negli strati alti dell’atmosfera [1]. Auger dedusse, a
partire dall’estensione di questi sciami, che lo spettro di energia dei primari raggiungeva
1015eV.
Nel 1963 John Lisley osservò raggi cosmici di energia 1020eV grazie ad una matrice di
contatori a scintillazione disposti su di un’area di 10 km2 [2].
Grazie a molteplici osservazioni condotte da palloni stratosferici e satelliti, si è misurata
l’energia e la composizione in massa dei raggi cosmici fino a 1012eV; esperimenti basati a
terra hanno indagato invece ad energie più alte. La figura 1 ne mostra la distibuzione di
energia. Recentemente gli esperimenti AGASA (Giappone) [3], Fly’s Eye (USA) [4] e
HiRes (High Resolution Fly’s Eye), hanno osservato un totale di 16 eventi di energia
8
maggiore di 1020eV. Tutt’oggi non è ancora chiaro quale sia il meccanismo che permette a
queste particelle di raggiungere tali energie. I risultati sperimentali mostrano infatti
un’inconsistenza crescente tra le osservazioni e i modelli recentemente sviluppati per
spiegare l’origine dei raggi cosmici. È importante sottolineare che noi possiamo studiare i
raggi cosmici di energia elevata solo indirettamente, attraverso l’osservazione della loro
interazione con l’atmosfera. L’affidabilità della nostra interpretazione è legata quindi alla
bontà dei modelli di interazione tra particelle cosmiche e nuclei dell’atmosfera.
Figura 1. Spettro dell’energia dei ragi cosmici.
9
1.2 Produzione e accelerazione
Lo studio dell’origine dei raggi cosmici è stato un argomento di primaria importanza a
partire dalla loro scoperta. In base alle osservazioni, si può affermare con sicurezza che le
particelle di origine solare costituiscono una parte trascurabile del flusso totale: l’isotropia
nella direzione d’arrivo, la non dipendenza dal ciclo solare e le osservazioni durante le
eclissi ne sono una prova. L’origine è quindi esterna al sistema solare. La distribuzione
delle energie di figura 1 può essere approssimata con una legge di potenza E-á dove
l’indice spettrale á ~ 2.7. L’osservazione attenta, rivela la presenza di un ginocchio “knee”
attorno a 1015eV dove l’indice spettrale cambia da ~2.7 a ~3. Più avanti, nella regione dei
1019eV, esso torna ad assumere un valore attorno a 2.7, “ankle”. La densità della loro
energia nella galassia è stimata circa 1eV/cm3, paragonabile alla densità di energia del
campo magnetico galattico e quella dovuta ai fotoni; i raggi cosmici rappresentano quindi
una parte importante dell’energia presente nella galassia.
Per quanto riguarda le particelle di energie inferiori a 1015eV, i dati sperimentali sulla
composizione chimica sembrano confermare l’ipotesi che essi siano originati nelle
supernovae. Incerta invece l’origine di quelli di energia ultra elevata (UHECR e EHECR).
La questione dell’accelerazione dei raggi cosmici è una questione tutt’ora aperta,
l’individuazione dei siti ove essa sia possibile e dei meccanismi che vi sono alla base, è un
problema di grandissimo interesse non solo astrofisico. Attualmente la descrizione più
soddisfacente per l’accelerazione della gran parte delle particelle (fino ad energie di
1014eV) si basa sulle onde d’urto di plasma magnetizzato generate dall’esplosione delle
supernovae. In questo modello, parte dell’enorme energia cinetica di queste onde d’urto si
trasferisce a corpi microscopici presenti nel mezzo interstellare accelerandoli a grandi
energie [5]. Il processo avviene attraverso tanti piccoli incrementi di energia successivi. Il
modello di accelerazione descritto viene chiamato modello di Fermi al primo ordine [6] [7]
[8] [9]. Consideriamo un esempio pratico; le interazioni della particella con le nubi di
plasma portano mediamente ad un incremento dell’energia ÄE = áE. Dopo k interazioni,
la particella avrà un’energia
E = E 0 (1 + α)k .
(1)
10
Se Pout è la probabilità che dopo un urto la particella esca dalla zona di confinamento, il
numero di particelle che sopravvivono ai k urti necessari a raggiungere l’energia E è
N (> E ) ∝ E −γ
(2)
dove γ ≅ Pout α .
Si può assumere come ordine di grandezza per la velocità delle onde d’urto di 5· 108cm/s da
cui si può dimostrare che á ~ v/c =1.7· 10-2. Anche per Pout si può assumere un valore di
1.7· 10-2. Dalle formule si ottiene N(>E) ~ E-1 (una stima più accurata dà come esponente
-1.1).
Questo modello non è però pienemente soddisfacente: per esempio esso assume l’esistenza
nel plasma magnetizzato di particelle con energie già relativistiche, ponendo il problema
della loro iniezione. C’è poi un’altra considerazione importante. L’energia massima
raggiungibile dipende dal tempo passato dalla particella in interazione con il plasma. Se
queste regioni sono prodotte dalle onde d’urto di una supernova, fenomeno che ha una vita
breve, esse si dissolveranno mediamente dopo 103 anni, impedendo che le particelle
raggiungano energie estremamente alte. All’opposto, se le regioni hanno vita lunga,
l’elevata energia raggiunta dalle particelle fa sì che esse sfuggano dal confinamento
magnetico. In pratica secondo una semplice stima, l’energia massima raggiungibile da una
particella di carica Z nel caso di una supernova di 10 masse solari in un campo B=3ìG è:
Emax (eV ) ≅ 3 ⋅1013 ⋅ Z
(3)
Questa stima è piuttosto conservativa: è verosimile che in presenza di campi magnetici
particolarmente intensi si possano raggiungere energie anche maggiori. Si potrebbero
spiegare energie fino al ginocchio dello spettro (1015eV) in particolare per nuclei pesanti
come il ferro. Una eventuale conferma potrebbe venire dall’osservazione di un
arricchimento di questi elementi nella regione del ginocchio.
11
Per quanto riguarda i meccanismi che possono spiegare energie maggiori (fino a 1017eV),
possiamo elencare brevemente alcune possibili ipotesi.
•
Brevi urti in regioni ad elevati c.m.
•
Urti di durata maggiore ma in regioni con c.m. debole (ipotesi di venti galattici).
•
Caduta di materia verso oggetti compatti come avviene in sistemi binari
cataclismatici.
•
Stelle della classe Wolf-Rayet1.
Tutto ciò non è però sufficiente per spiegare le energie da 1018 a 1020eV (EHECR). Le
ipotesi qui sono più speculative e seguono sostanzialmente due strade: modelli “bottom up”
e modelli “top down”. I modelli “bottom up” ricercano negli oggetti astrofisici già noti le
sorgenti e i meccanismi di accelerazione che spieghino le energie di tali particelle. Il loro
nome deriva dal fatto che le particelle, inizialmente a bassa energia, vengono poi accelerate
(da agenti esterni). I modelli “top down” invocano invece l’esistenza di oggetti mai
osservati ma solo teorizzati: particelle supermassive preesistenti che nel loro decadimento
produrrebbero dei raggi cosmici di energia elevatissima.
Modelli “bottom up”
In figura 2 sono riportati diversi oggetti astronomici candidati, in un diagramma
dell’intensità del campo magnetico rispetto alla dimensione (diagramma di Hillas) [10]. Gli
oggetti astronomici di grandi dimensioni, hanno tipicamente campi magnetici deboli
mentre per trovare campi molto intensi bisogna considerare oggetti compatti come ad
esempio stelle di neutroni. Per raggiungere energie elevate sarebbe necessario invece avere
sia campi che dimensioni elevate. Allo stesso tempo bisogna considerare la perdita di
energia delle particelle che si muovono in questi oggetti; dove il campo magnetico è
estremamente intenso, la radiazione di sincrotrone diventa importante poiché la perdita di
energia è proporzionale a B2. In oggetti di grandi dimensioni invece, il tempo richiesto per
l’accelerazione è molto lungo e bisogna considerare l’interazione con la radiazione
cosmica di fondo attraverso la fotoproduzione di pioni (vedi più avanti).
1
Le stele Wolf-Rayet sono stelle molto calde (25-50.000 K) e massive (20+ masse solari) con un’
abbondante e continua perdita di massa attraverso getti di materia.
12
Figura 2. Oggetti astronomici candidati ad essere sorgenti per i raggi cosmici. Le linee indicano le
richieste minime per le sorgenti al fine di poter accelerare particelle all’energia indicata in presenza di
onde d’urto con velocità â (v/c).
Con queste argomentazioni, si tendono a scartare dal diagramma di Hillas candidati come
stelle di neutroni ed ammassi di galassie. Rimangono i nuclei galattici attivi (AGN), i
gamma ray burst (GRB) [11] e i lobi delle radiogalassie. I GRB pur essendo i fenomeni
meno conosciuti, sembrano i più promettenti [12]. AGN e lobi di radiogalassie si
posizionano sul limite inferiore della linea del diagramma e, per ora, non si è potuto
identificare alcun oggetto di questo tipo nella direzione di arrivo delle particelle. L’ipotesi
dei GRB risolve invece il problema della ricerca di controparti lungo la direzione d’arrivo.
D’altra parte anche seguendo questa ipotesi ci si aspetterebbe di trovare comunque delle
direzioni d’arrivo preferenziali:
le previsioni sulla frequenza dei GRB infatti,
indicherebbero in massimo 5-10 le sorgenti possibili per gli EHECR osservati finora.
Osservando allora almeno un centinaio di eventi, ci si aspetterebbe di individuare delle
direzioni preferenziali.
13
In conclusione, se da un lato questi modelli si basano su conoscenze solide di astrofisica e
su oggetti osservati realmente, dall’altro aspettano ancora una conferma sperimentale.
Modelli “top down”
Le particelle supermassive (particelle X) ipotizzate nei modelli “top down”, potrebbero
essere originate dal decadimento di “stringhe cosmiche” o monopoli magnetici. Esse
decadrebbero in quark e leptoni ed i quark darebbero luogo a jet adronici. In ognuno di
questi casi ci si aspetterebbe la presenza di raggi gamma e un abbondante flusso di
neutrini. Il vantaggio di queste ipotesi è quello di poter giustificare energie fino oltre
1020eV e di non richiedere la presenza di sorgenti visibili. L’aspetto negativo è che questi
modelli fanno affidamento su nozioni di fisica delle alte energie ben lontane dall’essere
provate.
1.3 Propagazione dei RC: GZK cutoff e campi magnetici
La scoperta della radiazione cosmica di fondo da parte di A. Penzias e R. Wilson nel 1966
consentì a K. Greisen, G. Zatsepin e V. Kuz’min di calcolare la perdita di energia dei raggi
cosmici a causa dell’interazione con la radiazione di fondo. L’interazione avviene
principalmente attraverso la fotoproduzione di pioni. Secondo questa teoria, le particelle
che percorrono distanze intergalattiche prima di arrivare sulla terra, non possono avere
energie superiori a ~6*1019. In figura 3 è riportata l’evoluzione dell’energia di una
particella durante il suo tragitto attraverso lo spazio (e quindi attraverso la radiazione di
fondo). In altri termini per osservare energie superiori a 1020eV le sorgenti devono essere
entro 50Mpc [11]. Oltre i 200Mpc qualsiasi protone ultra energetico converge al valore di
energia di ~7*1019eV.
14
Figura 3. Effetto dell’interazione di un raggio cosmico,
durante il suo tragitto, con la radiazione di fondo a 2.7K
La direzione di provenienza dei raggi cosmici di energia ultra elevata è utile alla
determinazione di eventuali sorgenti, quindi una caratteristica molto importante della loro
propagazione è l’interazione con il campo magnetico della nostra galassia e con quello
intergalattico. La conoscenza di questi campi magnetici è generalmente limitata,
soprattutto per quanto riguarda quello intergalattico. La misura del campo magnetico
galattico viene fatta con i radiotelescopi, attraverso la misura di rotazione dei segnali radio
polarizzati linearmente (effetto Faraday), oppure con la misura di dispersione dei segnali
delle pulsar. Si stima che questo campo sia ~2ìG. Attorno a 1nG invece nel vuoto che
separa le galassie. La deviazione angolare è della traiettoria di una particella di energia E20
(espressa in unità di 1020eV) emessa da una sorgente posta ad una distanza L in un campo
uniforme B è:
ϑ ≅ 0.3° ⋅
LkpcZB µG
E 20
(4)
Alle energie più alte, la deflessione dovuta a questi campi è molto ridotta (figura 5). In
figura 4 a sinistra è mostrato l’effetto della deflessione, in funzione dell’energia, nello
15
spazio intergalattico (B=1nG, L=30Mpc) e nella nostra galassia (B=2ìG, L=0.5Mpc) [14].
Per i tragitti più lunghi si incontrano diverse regioni con campi orientati casualmente, il
calcolo prevede un percorso medio di 1Mpc tra due deviazioni successive, la deflessione
media è allora
L Mpc volte quella di un tragitto di 1Mpc all’interno di una regione
uniforme.
La figura 4 a destra mostra invece il ritardo nel tempo di propagazione di un protone
rispetto al tempo impiegato dalla luce.
Da quanto appena visto si può concludere che, per gli eventi di energia estremamente
elevata, potrebbe essere possibile risalire al luogo di provenienza della particella in base
alla direzione di arrivo.
Figura 4. Deflessione magnetica dei protoni. A sinistra si osserva la deflessione in funzione dell’energia
nel caso in cui attraversino il disco galattico oppure 30Mpc di spazio extragalattico. A destra, il tempo
di ritardo nell’arrivo rispetto alla luce.
16
Figura 5. Tracciamento delle traiettorie di un protone che attraversa la nostra galassia partendo dalla
terra [19]. A 1018eV la particella interagisce fortemente con il c ampo magnetico galattico, ad energie
più alte le traiettorie diventano invece più lineari.
17
Figura 6. Uno dei due “occhi” del rivelatore di fluorescenza dell’esperimento Fly’s Eye, il primo a fare
uso di questa tecnica.
1.4 La situazione sperimentale
Le attuali conoscenze riguardo ai raggi cosmoci di elevatissima energia sono basate
sull’osservazione di pochi eventi da parte degli esperimenti condotti finora:
•
Volcano Ranch (New Mexico, USA). È stato il primo ad avere osservato un
evento di 1020eV nel 1962. La sua apertura era di 8km2 e faceva uso di contatori a
scintillazione.
•
Haverah Park (GB). In attività dal 1968 al 1987, registrò 4 eventi ultraenergetici.
Utilizzava un’array di rivelatori Cerenkov ad acqua in una superficie di 12km2.
•
Fly’s Eye (Utah, USA). Il primo esperimento a far uso della tecnica di
fluorescenza, costituito da due osservatori distinti per poter funzionare in modalità
binoculare (figura 6). Registrò l’evento più energetico mai osservato (~320EeV).
Attualmente è in fase di smantellamento per essere sostituito, sullo stesso sito, da
HiRes sempre a fluorescenza ma di nuova generazione. HiRes è già in parte
operativo ed ha rilevato 7 EHECR (luglio 2000).
18
•
AGASA (Akeno, Giappone). È il più grande rivelatore di superficie ed è ancora
operativo. Copre un’area di 100km2 con 111 contatori a scintillazione da 2m2
spaziati di 1km. Vi sono anche 27 contatori per muoni. Dal 1990 ha rilevato 7
eventi.
La distribuzione spettrale
Gli eventi di energia maggiore di 1020eV sono oggetto di un’analisi molto attenta e molti
esperimenti sono stati proposti per studiare questa regione di energie. Il loro flusso è
estremamente basso (figura 1); la figura 7 mostra un particolare delle altissime energie [3].
Qui lo spettro è stato moltiplicato per E3 cosicchè la parte che ubbidisce alla legge di
potenza diventa piatta. La variazione di pendenza (ankle) a 1019eV è ben visibile. La linea
tratteggiata rappresenta lo spettro che ci si aspetterebbe per delle sorgenti uniformemente
distribuite su distanze cosmologiche, in presenza del GZK cutoff. Nonostante la grande
incertezza dovuta alla scarsa statistica, si può intuire una variazione di pendenza sopra al
GZK cutoff come se sopravvenisse un nuovo fenomeno dove la previsione indica un forte
calo. La figura 8 riporta la stessa regione dello spettro della figura precedente ma riassume
tutte le osservazioni recenti di AGASA, Fly’s Eye e HiRes (per quest’ultimo si tratta di
dati preliminari). I tre gruppi di dati sono consistenti tra loro entro l’errore statistico per
energie superiori a 1019eV, ad energie inferiori vi è una discodanza che riflette la differente
risoluzione dei rivelatori e la presenza di sistematici nella determinazione dell’energia. È
evidente comunque la violazione del GZK cutoff.
Il flusso di questi raggi cosmici (E>1020eV) non può essere dedotto con precisione dai dati
appena visti, non è infatti possibile fare alcun fit affidabile della forma dello spettro in
questa regione. Si può però fare una stima di massima del flusso basandosi
sull’esposizione 2 complessiva dei diversi rivelatori e sul numero totale di eventi osservati.
Il flusso stimato è di 1 particella per km2 in un secolo [15].
2
Parametro che definisce la capacità osservativa del rivelatore. L’esposizione di AGASA, Haverah Park e
Fly’s Eye insieme è dell’ordine di 2000km2 sr yr.
19
Figura 7. Lo spettro energetico osservato da AGASA per energi superiori a 1018eV. Lo spettro è stato
moltiplicato per E3 per evidenziare le deviazioni dalla legge di potenza. La linea tratteggiata
rappresenta lo spettro che ci si aspetterebbe nel caso di sorgenti uniformemente distribuite su distanze
cosmologiche, in presenza del GZK cutoff.
Figura 8. Confronto tra i risultati dei tre esperimenti: AGASA, Fly’s Eye e HiRes.
20
La direzione di arrivo
Alla luce dei dati finora a disposizione è sicuramente presto per poter fare un analisi sulla
direzione d’arrivo; vengono esposti ora, a titolo di esempio, alcuni dati relativi
all’esperimento AGASA.
La distribuzione delle direzioni di arrivo per E>4·1019eV (AGASA) è riportata in figura 9
in coordinate celesti [16]. I quadrati indicano energie superiori a 1020eV. La distribuzione
appare uniforme anche se sono stati individuati un tripletto e tre coppie di punti vicini
(entro 2.5°), indicati dalle aree ombreggiate. Nessuna sorgente rilevante però è stata
individuata nella loro direzione. Per cercare eventuali anisotropie nella distribuzione, sono
stati fatti anche dei test (analisi armoniche e statistiche) che non hanno però evidenziato
alcuna struttura a grande scala [17].
Figura 9. Direzioni di arrivo delle particelle più energetiche osservate dall’esperimento AGASA. Le
aree ombreggiate indicano le zone di cielo dove si sono registrati più di un evento entro 2.5°.
21
La composizione chimica
La composizione dei raggi cosmici costituisce un fattore primario di discriminazione tra le
diverse teorie sull’origine e la propagazione.
Protoni e nuclei leggeri deporrebbero a favore dei modelli “bottom up” (oggetti
astronomici). I nuclei con Z elevato sono più facili da accelerare dei singoli protoni, ma
sono anche suscettibili di fotodisintegrazione durante il loro tragitto. Si ritiene che oltre i
1015eV la composizione dei primari si appesantisca, ma poco si sa sulla composizione dei
raggi cosmici di energia ultra elevata. La loro presenza anche alle energie superiori ne
confermerebbe l’origine galattica, mentre un graduale spostamento verso nuclei leggeri
sarebbe interpretato come il passaggio tra una componente galattica ad una extragalattica.
Raggi gamma e neutrini invece, costituirebbero una conferma delle teorie più esotiche sul
decadimento di particelle supermassive.
La conoscenza della composizione chimica in funzione dell’energia sarebbe di grande
aiuto, soprattutto per energie superiori al GZK cutoff (che subentra a differenti energie per
protoni e nuclei pesanti). Per discriminare i diversi fenomeni, sarebbe sufficiente poter
distinguere tra nuclei primordiali (protoni, elio), atomi leggeri prodotti dalla nucleosintesi
stellare (carbonio, ossigeno …) e fotoni (figura 10).
Un’array di superficie fa uso di due tecniche principali per il riconoscimento della
composizione chimica del primario[15]: la proporzione dei muoni rispetto alla componente
elettromagnetica dello sciame e il tempo di salita del segnale rivelato. Entrambi i parametri
dipendono dal modo in cui i muoni sono prodotti durante lo sviluppo dello sciame. Il
rivelatore di fluorescenza si basa invece sull’esame del profilo longitudinale dello sciame.
Purtroppo l’interpretazione dei risultati ottenuti con questa tecnica dipende pesantemente
dal modello utilizzato e dagli strumenti di simulazione. Ciò è dovuto all’assenza di un
metodo affidabile per modellare numericamente le interazioni adroniche e nucleari in
regime non perturbativo. Solo con una vasta statistica e con il confronto incrociato tra
differenti metodi
di determinazione, sarà forse possibile dare una risposta a questo
interrogativo.
22
Figura 10. Composizione dei raggi cosmici primari: confronto tra i valori misurati di Xmax e la
previsione delle teorie. I risultati delle simulazioni sono indicati dalle linee continue, quelle superiori si
riferiscono ai protoni mentre quelle inferiori sono i valori che ci si aspetta per i nuclei di Fe. È evidente
che i dati sperimentali attualmente disponibili non sono sufficienti a chiarire la natura delle particelle
di energia più elevata.
23
Bibliografia
[1]
P.Auger et al., Comptes Rendus 206, p.1721 (1938), P.Auger, Rev. Mod. Phys.
11, p.288 (1939)
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[7]
Un’eccellente presentazione su: ‘accelerazione e propagazione dei raggi cosmici’
di R.J.Protheroe, pre-stampa astro-ph/9612212, apparso al “10° course of Int’l
School of Cosmic Ray Astrophysics”, Erice, Sicilia (World Scientific, 1997).
[8]
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Particles, Strings and Cosmology. Astro-ph/0004102
[12] G.Pelletier, E.Kersalé, “Acceleration of UHE Cosmic Rays In Gamma-Ray
Bursts” astro-ph/0007096
[13] K.Greisen, “GZK“ Phys. Rev. Lett. 16, p. 748 (1966), G. T. Zatsepin, e
V.A.Kuz’min: JETP Letters 4, p. 78 (1966).
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[15] X.Bertou, M.Boratav, A.Letessier-Selvon “Physics of extremely high energy
cosmic rays”, astro-ph/0001516
[16] M.Takeda et al., Astrophys. J. 522, 225 (1999).
[17] N.Hayasliida et al., in Proceedings of the 26th International Cosmic Ray
Conference, Salt Lake City, 1999, Vol. 3, p.256. astro-ph/9906056; N.Hayashida
et al., Astrop. Phys. 10, 303 (1999).
Si veda anche:
[18] The Pierre Auger Project, Design Report, 1997 (http://www.auger.org/admin/)
[19] The Telescope Array Project, Design Report, 19 July 2000
24
Siti Internet
Progetto Auger, sito ufficiale:
http://www.auger.org/admin/
Le note tecniche GAP sono reperibili al seguente indirizzo:
http://www.auger.org/admin-cgi-bin/woda/gap_notes.pl
Rivelatore di fluorescenza:
http://www.physics.utah.edu/~sommers/hybrid/index.html
25
2 L’esperimento Auger
2.1 Introduzione
L’esperimento Pierre Auger [1] è nato da una serie di workshop organizzati da James
Cronin (Università di Chicago) e Alan Watson (Università di Leeds) a Parigi, Adelaide ed
al Fermilab a partire dal 1992. Nel 1995 fu pronto il progetto per il più grande rivelatore di
raggi cosmici al mondo. Attualmente più di 50 istituti di 18 paesi collaborano alla sua
realizzazione.
Lo scopo dell’esperimento è quello di studiare con sufficiente statistica i raggi cosmici di
energie
da 1019 a 1021eV mediante la copertura di tutto il cielo. Per questo saranno
costruiti due rivelatori di sciami atmosferici identici nei due emisferi, con un’apertura tale
da garantire un rate di eventi sufficientemente elevato (~30 all’anno con E>1020eV). Ogni
osservatorio combinerà un rivelatore Cherenkov di superficie per le particelle secondarie e
la tecnica della fluorescenza atmosferica per seguire l’evoluzione dello sciame. I due siti
che ospiteranno gli osservatori sono stati scelti, il primo nell’emisfero sud nella provincia
di Mendoza (Argentina) ed il secondo nell’emisfero nord nello Utah (USA).
Figura 11. I siti scelti per l’installazione dei due osservatori.
26
Ogni sito avrà un’estensione di 3000km2 su cui saranno distribuite 1600 stazioni di
rilevamento di superficie (Cherenkov) distanziate di circa 1.5km una dall’altra. Ogni
stazione avrà un serbatoio di 11.000 litri di acqua purificata e funzionerà autonomamente
grazie all’energia solare. Il rivelatore di fluorescenza, puntato verso le stazioni di
superficie, sarà costituito da 4 telescopi, tre dei quali avranno un campo visivo di 180° in
azimut per 30° in altezza , uno di 360° x 30°. Questo rivelatore potrà funzionare solo
durante le notti buie e serene al contrario di quello di superficie che sarà sempre attivo.
Durante il funzionamento congiunto (figura 12), il rivelatore di fluorescenza osserverà in
atmosfera lo sviluppo dello sciame che sarà poi rivelato a terra da quello di superficie
(tecnica ibrida). Il vantaggio della tecnica ibrida è che ogni rivelatore può fare misure
indipendenti sull’energia, la direzione d’arrivo e la composizione chimica. Si potranno così
controllare gli errori sistematici legati alle singole tecniche in una sorta di calibrazione
incrociata.
Figura 12. Funzionamento del rivelatore ibrido: lo sciame atmosferico (EAS) viene rivelato tramite la
fluorescenza durante il suo sviluppo, mentre il rivelatore di superficie, registra l’arrivo delle particelle
al suolo.
27
Grazie alla grande apertura, l’esposizione di un solo sito di Auger per due mesi, supera
l’attuale esposizione totale di tutti i rivelatori di raggi cosmici sopra i 1019eV. Il primo sito
ad essere realizzato sarà quello di Pampa Amarilla nell’emisfero sud. Attualmente è in
costruzione una prima porzione del rivelatore che servirà per la valutazione delle
prestazioni dell’intero osservatorio.
2.2 I siti di Pampa Amarilla e Millard County
La collocazione dei due siti è stata scelta in funzione della copertura totale della volta
celeste così da poter individuare l’eventuale direzione di provenienza, sia essa galattica o
extragalattica. Entrambi i siti si trovano ad una latitudine compresa tra 35° e 40°. I requisiti
climatici ed ambientali a cui essi devono rispondere sono:
•
Suolo pianeggiante con un’inclinazione totale non superiore al 6% .
•
Altitudine attorno a 1300m s.l.m.
•
Clima secco e stabile. In questo modo il comportamento dell’atmosfera è più
prevedibile ed omogeneo.
•
Alto numero di notti serene, per il funzionamento del rivelatore di fluorescenza.
•
Assenza di inquinamento luminso, sempre per garantire l’efficienza della tecnica di
fluorescenza.
•
Facile accessibilità e presenza di infrastrutture di supporto come strade e linee
elettriche.
Il layout definitivo del perimetro dei due siti non è stato ancora deciso. Per il sito di Pampa
Amarilla si è vicini ad una decisione definitiva, una delle due possibili opzioni è illustrata
in figura 13, quella definitiva sarà comunque simile a ques’ultima. Nella figura è indicata
anche la collocazione dell’Engeneering Array (EA) che è attualmente in costruzione.
L’EA è una sorta di prototipo del rivelatore ibrido, essa comprende 38 rivelatori di
superficie e un occhio per la fluorescenza, il suo scopo è quello di sviluppare i metodi
migliori per la fabbricazione e soprattutto dimostrare che il rivelatore soddisfa le specifiche
del progetto.
28
Figura 13. Uno dei layout proposti per il sito sud: i cerchi verdi rappresentano i telescopi per la
fluorescenza, l’area esagonale ombreggiata mostra la collocazione dell’EA che funzionerà in
combinazione con il telescopio ad e ssa più vicino (Los Leones). Ogni telescopio perimetrale coprirà
180° mentre l’occhio centrale è doppio coprendo 360°.
29
2.3 Il rivelatore di superficie
I rivelatori di particelle posti in superficie (WCT, water Cherenkov tank) sono ispirati a
quelli utilizzati per oltre vent’anni nell’esperimento di Heverah Park [2] che si sono
dimostrati estremamente affidabili. Ogni WCT è un contenitore cilindrico di 3.7m di
diametro e alto 1.2m in materiale plastico, riempito con 11.000 litri di acqua deionizzata
(figura 14). Tre grandi fototubi da 8 pollici di diametro osservano l’acqua da sopra e, per
ogni evento rivelato, sarà campionata la forma d’onda grazie ad un FADC. I WCT sono
sensibili ai muoni, fotoni ed elettroni con qualunque direzioni d’arrivo, anche quasi
orizzontale. Dei pannelli solari provvedono alla richiesta di energia dell’elettronica e alla
ricarica delle batterie che garantiscono un’autonomia di circa 10 giorni. Un trasmettitore
radio invia i dati registrati alla centrale di raccolta dati attraverso un sistema GSM. La
sincronizzazione temporale tra tutte le stazioni del sito, è garantita entro 10ns (relativa) e
50ns (assoluta) sfruttando il sistema satellitare GPS.
Figura 14. Prototipo artigianale di WCT. I primi 4 esemplari della versione definitiva sono già stati
realizzati industrialmente, con uno stampo per materie plastiche.
30
Un impulso ampio e allungato nel tempo in uno di questi rivelatori è il segno dell’arrivo a
terra di uno sciame. La stazione allora avvisa la centrale di raccolta dati la quale controlla
la presenza di segnali simili nelle altre stazioni vicine. Un segnale di trigger proveniente da
almeno cinque stazioni vicine viene interpretato come uno sciame e parte così
l’acquisizione.
Gli scopi dell’array di superficie sono:
•
Registrare il momento dell’arrivo del fronte dello sciame alle differenti stazioni per
consentire il calcolo dell’angolo di incidenza dello sciame e quindi la direzione
d’arrivo.
•
Calcolare la densità di particelle e la loro composizione nonché il tempo di salita
del segnale per calcolare l’energia e la composizione del primario.
•
Misurare le caratteristiche trasversali dello sciame.
Questi calcoli vengono eseguiti dal computer centrale dopo aver raccolto i dati da tutte le
stazioni interessate dallo sciame.
2.4 Il rivelatore di fluorescenza
Nel 1960 Greisen [3] e negli anni 80 indipendentemente Sokolsky e Baltrusaitas [4] [5],
introdussero l’idea innovativa di studiare lo sviluppo longitudinale dello sciame di
particelle tramite il fenomeno della fluorescenza. Lo sciame, durante il processo di discesa
attraverso l’atmosfera, produce eccitazioni nella banda 2P della molecola d’azoto N2 e
nella banda 1N dello ione N2+. La diseccitazione spontanea che ne segue, produce il
fenomeno della fluorescenza. Il flusso luminoso che ne deriva è di 4-5 fotoni per ogni
metro percorso da un elettrone [6] e lo spettro è localizzato nella regione del vicino UV
(figura 15).
31
Figura 15. Spettro dell’emissione di fluorescenza delle bande 2P e 1N dell’azoto.
Circa l’82% della luce è emessa tra 300 e 450nm.
Per rilevare tali impulsi luminosi, deboli e di breve durata, è necessario un telescopio di
grande luminosità e dei dispositivi molto veloci e sensibili al vicino UV come i tubi
fotomoltiplicatori. Inoltre occorre che il telescopio abbia un’apertura angolare tale da
abbrecciare tutta la zona ove sono disposti i rivelatori di superficie. L’apertura richiesta è
di 180° x 30° per i siti perimetrali e 360° x 30° per quello centrale. Ogni “occhio” da 180°
è realizzato affiancando sei telescopi da 30° x 30° di apertura (figura 16). Quello da 180°
ne utilizza 12.
32
Figura 16. Disposizione dei sei telescopi che costituiscono un’occhio da180° del rivelatore di
fluorescenza.
L’ottica
I parametri primari nel disegno del telescopio sono il diametro dello specchio e la
copertura angolare di un pixel. Questi parametri condizionano il rapporto segnale-rumore:
S /N ~
diametro specchio
diametro angolare pixel
(5)
e il rapporto S/N deve essere sufficiente per rivelare la trccia di fluorescenza. Un limite
superiore per il diametro del pixel è di 1.5°, con diametri maggiori non ci sarebbe
sufficiente risoluzione per la ricostruzione del profilo longitudinale. Il valore adottato è
proprio di 1.5°. Ci sono precisi motivi per scegliere la massima apertura angolare utile per
la ricostruzione geometrica. Il primo è il costo: per aumentare il valore S/N è più
economico costruire uno specchio più grande che aumentare il numero dei pixel. Inoltre se
da una parte dei pixel di piccole dimensioni migliorano la risoluzione geometrica, dall’altra
33
rendono più laboriosa la misura del flusso luminoso in funzione del tempo a causa dei tanti
confini tra pixel e pixel.
Lo schema ottico adottato per i telescopi è di tipo Schmidt [7]. Esso garantisce un campo
totalmente esente da coma, astigmatismo e distorsione anche con configurazioni ad elevata
luminosità. La versione astronomica di questo schema (figura17) prevede uno specchio
sferico diaframmato nel centro di curvatura, dove è posta anche una lastra correttrice per
eliminare l’aberrazione sferica dovuta alla forma dello specchio. Questa lastra, che per
svolgere la sua funzione deve avere un profilo asferico, presenta alti costi di realizzazione.
Figura 17. Schema ottico Schmidt. Si noti che lo specchio ha un diametro maggiore dell’apertura
effettiva del telescopio e il piano focale giace su una superficie curva. La lastra correttrice, di profilo
asferico, è collocata nel centro di curvatura.
Per la realizzazione del telescopio di Auger sono state proposte due varianti della
configurazione Schmidt (figura 18) [8]: una senza lastra correttrice e l’altra con un anello
in vetro concentrico all’asse ottico che sostanzialmente approssima il profilo della lastra
correttrice solo nella parte esterna, dove la sua necessità è maggiore [9]. Le due soluzioni
seppur semplificate permettono di mantenere l’aberrazione sferica entro un limite
accettabile per gli scopi di Auger (0.5°). Con la seconda soluzione si ottiene una maggiore
correzione a parità di rapporto focale (f=F/D), quindi è possibile raggiungere una
luminosità maggiore (f piccolo) pur rimanendo nei limiti con l’aberrazione sferica.
Lo specchio è di forma quadrata con lato di 3.4m, focale 1.7m, suddiviso in 36 tasselli
quadrati. Il diaframma, e quindi l’apertura effettiva del telescopio, è di 170cm (f=1) senza
corrector ring e 220cm (f=0.77) con il corrector ring (tabella 1 ).
34
Le due soluzioni sono compatibili tra loro, nel senso che sarà possibile (in fase di
prototipo) passare da una configurazione all’altra sostituendo il diaframma semplice, con
l’anello correttore.
Figura 18. Varianti adottate per il telescopio di Auger. (a) Senza lastra correttrice: per ottenere
un’immagine accettabile è necessario diaframmare pesantemente, riducendo l’apertura libera a 1.7m;
(b) con il corrector ring invece si può ridurre la diaframmatura portando l’apertura libera a 2m.
Senza corrector ring
3.5m*3.5m
Con corrector ring
3.75m*3.75m
Raggio di curvatura
3.4 m
3.4 m
Diametro diaframma
1.7 m
Dimensioni minime specchio
2.2 m
Area diaframma
2.27 m
2
3.8 m2
Area apertura libera
1.47 m2
3.0 m2
0.8m2
35% (centro) 20% (bordi)
0.8m2
21% (centro)
1.743 m
1.743 m
0.5°
0.5°
Ostruzione:
superficie
% superficie
Raggio di curvatura della
superficie focale
Aberrazione sferica
Nota: le dimensioni minime dello specchio sono calcolate per ottenere un campo perfettamente
illuminato su tutta la camera.
Tabella 1
35
Figura 19. Rappresentazione tridimensionale della disposizione degli elementi principali dell’ottica. La
configurazione riportata è quella senza corrector ring.
Un inconveniente del sistema ottico Schmidt è che l’immagine si forma su una superficie
sferica anziché su un piano, questo crea maggiori difficoltà nella costruzione della camera,
difficoltà che sono state superate costruendo la camera mostrata in figura 20, che fa uso di
un supporto ricavato da un blocco di alluminio lavorato con macchine a controllo
numerico [10]. La camera alloggia una matrice di 440 tubi fotomoltiplicatori con finestra
di forma esagonale disposti su 10 colonne.
36
Figura 20. Fotografia della camera in alluminio con quattro fototubi montati.
È visibile la forma sferica della superficie
Per evitare che parte della luce di fluorescenza venga persa a causa delle zone vuote
comprese tra pixel adiacenti, saranno montati dei bordi riflettenti chiamati “mercedes star”
come indicato nella figura 21.
Figura 21. Schema della disposizione delle mercedes attorno al PMT.
Sull’apertura del telescopio sarà posto un filtro UV con lo scopo di lasciar passare
solamente la banda centrata sull’emissione dell’azoto. In questo modo si elimina circa il
90% della luminosità del fondocielo e si attenua quella delle stelle, incrementando così il
rapporto S/N per la debole luce di fluorescenza [11].
L’aspetto finale dei telescopi sarà come indicato in figura .
37
Figura 22. Schema finale di uno dei sei telescopi di fluorescenza che costituiscono un occhio.
2.5 Struttura dello sciame atmosferico
Le componenti elettromagnetica e muonica
Uno sciame atmosferico (extended air shower EAS) è una pioggia di particelle originata
dall’interazione di un raggio cosmico primario di alta energia con l’atmosfera. Se il
primario è un protone o un nucleo, la cascata comincia con un’interazione adronica. Con le
successive interazioni il numero di adroni aumenta ma, in ogni interazione, circa il 30%
dell’energia viene trasferita ad uno sciame elettromagnetico parallelo, a causa del rapido
decadimento dei mesoni ð0. In totale, circa il 90% dell’energia della particella primaria
viene dissipata attraverso la ionizzazione. Il rimanente 10% va a costituire la componente
elettromagnetica generata dal decadimento dei pioni carichi. Lo schema di figura 23
illustra lo sviluppo di uno sciame atmosferico.
L’energia dissipata dalla componente elettromagnetica dello sciame è proporzionale, con
ottima approssimazione, all’energia del primario. Il numero totale dei muoni che
raggiungono il suolo invece, cresce lentamente con l’energia del primario a causa del
meccanismo con cui l’energia viene trasferita dalla componente adronica a quella
38
elettromagnetica. Questo effetto è importante al fine di distinguere il tipo di particella
primaria tra nuclei pesanti, leggeri e protoni. Secondo le simulazioni, in uno sciame
originato da un protone, il numero totale di muoni che raggiungono il suolo aumenta con
l’energia del primario come E0.85. Per comprendere invece cosa accade quando lo sciame è
composto da un nucleo con numero atomico A, si può fare un’approssimazione: lo si può
vedere come uno sciame generato da A protoni ciascuno di energia E/A (principio di
sovrapposizione 3). Il numero di muoni osservati in questo caso è legato a quello osservato
nel caso di un protone (della stessa energia totale) dall’espressione:
N µA = A 0.15 N µp
(6)
Così, ad esempio, in uno sciame generato da un nucleo di ferro (A=56) si osserverà l’80%
in più di muoni rispetto ad uno sciame della stessa energia ma generato da un protone.
Poiché la tecnica della fluorescenza è essenzialmente una tecnica calorimetrica, essa è
sensibile soprattutto alla componente elettromagnetica, mentre i rivelatori di superficie
sono ugualmente sensibili alle due componenti.
3
Questo semplice modello è utile per la descrizione di alcuni aspetti del fenomeno, non per una trattazione
rigorosa.
39
Figura 23. Struttura di uno sciame atmosferico (EAS)
Struttura spaziale
Un EAS è un disco di particelle largo e sottile che si muove attraverso l’atmosfera alla
velocità della luce. Da lontano, il rivelatore di fluorescenza vede lo sciame come una
macchia di luce con un’intensità che ne riflette l’evoluzione longitudinale. L’integrale del
flusso luminoso è proporzionale all’energia depositata nell’atmosfera. Una caratteristica
fondamentale dello sciame atmosferico è la profondità atmosferica (Xmax g/cm3) a cui si
verifica il massimo dell’emissione luminosa. Xmax dipende sia dall’energia della particella
primaria che dalla sua massa (figura 24). A parità di energia, uno sciame generato da un
nucleo pesante si evolve più velocemente. Il valore di Xmax per un protone aumenta di
55g/cm3 per decade di energia. Un nucleo di ferro dovrebbe avere un Xmax situato circa
100g/cm3 prima di quello di un protone della stessa energia.
Per quanto riguarda la distribuzione laterale, essa presenta una simmetria assiale; la
massima densità è nel centro e decresce rapidamente in una scala di distanza determinata
40
dal raggio di Moliere (~80m al livelo del suolo). Al di fuori del nucleo (raggio di Moliere)
la distribuzione mantiene la simmetria assiale (figura 25).
Figura 24. Profilo longitudinale di sciami prodotti da fotoni, protoni e nuclei di ferro con energie
prossime a 1020eV. Per ogni particella primaria sono stati simulati 10 eventi. La fascia ombreggiata
rappresenta eventi per i quali si è tenuto conto del campo magnetico terrestre e dell’effetto PLM, un
effetto quantistico che produce un’alterazione degli sciami di più alta energia [12].
Figura 25. Simulazione della distribuzione laterale per le tre principali componenti di uno sciame di
1019eV al livello del suolo.
41
Struttura temporale
Durante il suo sviluppo, lo sciame si allarga trasversalmente rispetto al suo asse, a causa
delle ripetute interazioni delle particelle che lo compongono. Facendo ciò, il piano del
fronte dello sciame si incurva, diventando convesso nella direzione di avanzamento per
una questione geometrica facilmente intuibile. Infatti le particelle più esterne devono
percorrere una distanza maggiore e arriveranno a terra più tardi.
Le particelle che si trovano lontane dal nucleo presentano una dispersione temporale
approssimativamente proporzionale alla distanza dall’asse. Questa dispersione temporale
può aiutare a distinguere grandi sciami lontani da quelli piccoli ma più vicini. Inoltre
quedta dispersione aumenta con l’aumentare di Xmax.
I muoni arriveranno in media prima degli elettroni e dei fotoni, poiché sono meno soggetti
allo scattering e percorrono dei tragitti più diretti. Gli sciami originati da nuclei di ferro
sono più ricchi in muoni di quelli protonici e si sviluppano più in alto nell’atmosfera; il
loro segnale arriva allora con minore dispersione temporale. La misura del rise-time
dell’impulso del rivelatore di superficie è uno strumento molto affidabile per discriminare
la composizione dei primari.
2.6 Calcolo della direzione d’arrivo di un raggio cosmico
mediante il rivelatore di fluorescenza
L’evoluzione dello sciame nell’atmosfera procede seguendo la stessa direzione della
particella primaria. Ha senso allora cercare di calcolare questa direzione utilizzando i dati
forniti dal rivelatore. Il duty-cycle di utilizzo del rivelatore di superficie sarà di quasi
100%, mentre quello della fluorescenza si stima intorno a 10% (notti senza luna piena,
cielo sereno…). In molte situazioni si dovrà quindi eseguire il calcolo solo con i dati della
superficie. Quando il fronte dello sciame arriva a terra, colpisce i rivelatori in istanti di
tempo diversi e, se il numero di rivelatori interessati è maggiore di tre, si può calcolare
42
l’inclinazione più probabile dello sciame mediante il metodo dei minimi quadrati. Se poi si
dispone anche delle informazioni della fluorescenza, si potrà ridurre l’incertezza della
stima.
Figura 26. Geometria dello sciame e del rivelatore.
Consideriamo ora il calcolo ristretto al caso del rivelatore di fluorescenza. Per ridurre il
problema in due dimensioni si consideri il piano che contiene l’asse dello sciame ed il
rivelatore di fluorescenza (SDP shower-detector plane), come mostrato in figura 26. Il
piano si determina facendo un fit tra le direzioni dei pixel interessati in cui ogni pixel è
pesato per l’ampiezza del segnale rilevato. In questo modo si può raggiungere una
precisione di 0.2°.
Poi si determina l’asse dello sciame mediante i parametri Rp e ÷0 rispettivamente, la
distanza minima tra il rivelatore e lo sciame, e l’angolo tra lo sciame e il terreno nel piano
SDP. Nella figura 26, il pixel i-esimo punta in una direzione che forma, nel piano SDP, un
angolo ÷i con il terreno. Sia T0 l’istante in cui lo sciame passa alla minima distanza Rp dal
rivelatore. Allora l’istante ti in cui esso viene visto dal pixel i-esimo è dato dalla seguente
formula:
43
t i = T0 +
t i = T0 +
Rp
c
⋅ tan (χ0 − χi − 90°) +
Rp
c
⋅
1
cos(χ0 − χi − 90°)
Rp
 χ − χi 
⋅ tan  0

c
 2 
(7)
(8)
Per trovare i parametri Rp e ÷0 si minimizza la funzione ÷2:
N
χ =∑
2
i =1
(t
− ti ,osservato)
σi2
2
i
(9)
con ói parametro che stima l’incertezza nella misura dell’istante ti, in cui il PMT viene
colpito.
44
Bibliografia
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45
3 L’elettronica analogica di front end
3.1 Introduzione
L’elettronica di front end comprende tutti i dispositivi attraversati dal segnale a partire
dall’uscita del fototubo fino al sistema di acquisizione del segnale in forma digitale. In
particolare: la rete di polarizzazione del PMT con il sistema di monitoraggio della corrente
anodica, il preamplificatore (signal driver), il sistema a canale virtuale con filtro anti
aliasing, il convertitore A/D ed il sistema di acquisizione (figura 27). I primi tre blocchi
citati sono localizzati in prossimità del fototubo nell’unità Head Electronic (figura 28). La
scheda Analog Board contenente 22 canali più due virtuali con i rispettivi filtri anti aliasing
è una daughter board della Front End Board, quest’ultima è collocata ai piedi della camera
e contiene il sistema di acquisizione dati ed il trigger di primo livello.
L’elettronica di front end svolge le funzioni: legge il segnale di fluorescenza con alta
linearità e basso rumore in un range di 15 bit con una velocità di campionamento di 10
MHz. Un’altra funzione è quella di monitorare la corrente anodica di fondo con un’alta
risoluzione ogni 5 secondi, questa corrente è dovuta alla luminosità del fondocielo e delle
stelle che si trovassero eventualmente nel campo del fototubo. Infine vi è il sistema di
iniezione per un impulso di test, elettronico e non ottico, destinato a controllare le
performance dell’elettronica in qualunque momento fosse necessario.
46
FEB #22
PMT
DB
tw pair
HE
CH1
…
…
tw pair
Analog Board
ADC
CH 22
FPGA
FEB #1
Figura 27. Schema a blocchi dell’elettronica di front end.
3.2 L’unità Head Electronics
L’unità Head Electronics (HE) è realizzata su due PCB del diametro di 32mm
interconnesse mediante tre connettori a due pin (figura 28): la base di polarizzazione attiva
(ABN) per il fototubo XP3062 ed il Signal Driver che legge il segnale del PMT e lo invia
in modo differenziale alla Analog Board attraverso un cavo twistato. Sono già state
prodotte 500 unità HE in due lotti di 150 e 350 di cui il primo è già stato testato [1].
Figura 28. L’unità HE connessa al PMT.
47
Base di polarizzazione e signal driver.
La base di polarizzazione attiva include tre transistor bipolari ad alta tensione per
stabilizzare il potenziale degli ultimi tre dinodi, questa configurazione consente di ridurre
drasticamente il consumo di energia (fattore importante in presenza di un così alto numero
di canali) e di aumentare notevolmente la linearità in presenza di un’elevata corrente di
fondo.
Il signal driver presenta un layout altamente simmetrico al fine di minimizzare il rumore in
modo comune. Il MAXIM 4147 ESD riceve il segnale dal PMT e produce un’uscita
differenziale con un guadagno di 1.5x per il piedino non invertente e 0.5x per quello
invertente: in questo modo un segnale negativo di 1V dal PMT, lo si ritrova con una
ampiezza di 1.5V negativi all’uscita non invertente e 0.5V positivi a quella invertente, il
segnale che viaggia in modo differenziale attraverso il twisted pair è complessivamente di
ampiezza doppia rispetto all’impulso originale. Per ottimizzarne il range dinamico, il
signal driver è stato polarizzato ad un livello DC di 1.9V. Ciò consente uno sweep negativo
più ampio all’uscita con guadagno 1.5 rispetto a quella con guadagno 0.5 (figura 29).
Nello stesso punto un cui giunge il segnale del fototubo, è possibile anche iniettare un
impulso di test [2]della forma desiderata per controllare la risposta di tutto il sistema di
acquisizione anche nel caso in cui l’alta tensione sia disattivata.
driver
in
driver
out+
driver
out-
tw pair
Figura 29. Segnali in ingresso ed uscita del MAX4147ESD riferiti a massa. Le linee tratteggiate
mostrano che anche con il massimo impulso previsto all’ingresso (2.5V) vi è un ampio margine nella
dinamica del driver.
48
Current Monitor.
Sullo stesso PCB del signal driver trova posto anche il Current Monitor ovvero sistema di
monitoraggio della corrente anodica. Fino ad oggi il monitoraggio della corrente anodica di
un fototubo con catodo a massa era fatto indirettamente, misurando le fluttuazioni della
linea di base, le quali sono proporzionali alla radice quadrata della corrente media. La
sensibilità di questo sistema è però bassa, inoltre un rumore di origine esterna, cioè non
generato dalla luminosità del cielo, potrebbe inficiare la misura. Una conoscenza accurata
della corrente di fondo è estremamente utile per valutare le condizioni del cielo nel
momento in cui si verifica l’evento di fluorescenza ed anche per altri scopi che satano
illustrati in seguito. Per permettere una tale misura è stato implementato un sistema di
nuova concezione che fa uso di uno specchio di corrente accoppiato otticamente al fine di
isolare il circuito di misura dall’alta tensione (figura 30). L’anello di feedback, in cui sia
l’azione che la reazione sono accoppiati otticamente, è formato dalla combinazione di un
fotoaccoppiatore lineare che illumina due fotodiodi e di un fotoaccoppiatore normale
seguito da uno stadio ad alto guadagno di corrente. Questo stadio fa sì che praticamente
tutta la corrente I che dev’essere misurata circoli attraverso il primo fotodiodo e dia quindi
specchiata al livello di massa attraverso il secondo fotodiodo.
Figura 30. Principio di funzionamento del current monitor.
49
L’uscita del dispositivo di misura viene poi utilizzata per spostare il livello di
polarizzazione in DC del signal driver illustrato in precedenza. Questo livello può essere
variato da 1.9V in assenza di corrente anodica, fino a 0V nella misura di 60mV per ogni
ìA di corrente.
3.3 L’Analog Board
A valle delle unità HE è situata la Distribution Board (DB) che ha il solo scopo di smistare
i segnali provenienti dalle HE (singoli pixel) verso le Analog Board (AB) che hanno una
modularità di 22canali.
Ogni AB riceve 22 canali via twisted pair e per prima cosa, li converte in single ended
attraverso un trasformatore (vecchia soluzione) oppure utilizzando un reciever MAXIM
4145 (nuova soluzione). La soluzione a trasformatore ha il vantaggio di non aggiungere
ulteriore rumore e di garantire il disaccoppiamento galvanico ma presenta alcuni svantaggi
tipici dei trasformatori come l’aggiunta di una costante di tempo di ~250ìs. La nuova
soluzione si è resa competitiva solo recentemente, quando le richieste sul range dinamico
sono state rilassate da 16 a 15 bit il che è compatibile con l’aumento del rumore dovuto al
reciever. Il secondo passo è quello di applicare al segnale un guadagno variabile da canale
a canale e compreso tra 3 e 23 in modo da compensare la dispersione di guadagno esistente
tra i diversi tubi fotomoltiplicatori. Questo guadagno viene determinato utilizzando dei
potenziometri digitali il cui valore è impostato via software. L’impulso così condizionato
viene poi filtrato da un filtro passa basso a tre poli (filtro anti aliasing)[3] così da rendere il
suo contenuto spettrale compatibile con il campionamento a 10MHz.
La compressione del segnale
Il sistema di acquisizione era stato disegnato per una risoluzione di 16 bit, poi scesa a 15,
mentre gli FADC usati hanno una risoluzione di 12 bit, ciò richiede allora la compressione
del range dinamico del segnale analogico prima del campionamento. Le soluzioni proposte
per il prototipo sono due: l’adozione di un circuito dalla caratteristica bilineare 4 oppure
l’uso del virtual channel. Quest’ultimo consiste nel’uso di canali ad alto guadagno con cui
50
è possibile avere un’alta risoluzione sui segnali più piccoli ma vengono persi quelli più
grandi. Ogni 11 canali “reali” non adiacenti vi è un canale “virtuale” a basso guadagno che
fa la somma (OR) di tutti gli 11 “reali” in modo da registrare i rari segnali di grande
ampiezza (figura 31). Questa soluzione sfrutta le caratteristiche dei segnali di fluorescenza:
essi appaiono in diversi pixel sequenzialmente, inoltre i più intensi non occupano più di un
pixel su 11 non adiacenti in ogni intervallo di campionamento (100nS). In sede di analisi
sarà poi possibile utilizzare le informazioni del canale virtuale nel caso in cui un segnale
dovesse eccedere la dinamica di uno degli 11 canali reali.
Anti aliasing
filter
x16
ch1
FADC
Channel 1 to 11
Ch2
Anti aliasing
filter
ch11
FADC
virtual channel
Figura 31. Schema funzionale della soluzione a canale virtuale. In alto si vede un canale ad alto
guadagno, più sotto, le resistenze del sommatore, in basso il canale virtuale.
La lettura del Current Monitor
Sulla AB si trovano anche i convertitori per la lettura del livello di uscita del Current
Monitor, questi sono degli AD73360, ogni chip contiene sei convertitori sigma-delta a
16bit. Un filtro RC limita la banda a circa 9Hz, i convertitori vengono letti ogni 5 secondi
e i dati immagazzinati in 22 registri nella FPGA sulla scheda digitale. La risoluzione del
sistema è di 0.4nA di corrente anodica ovvero circa 0.2% della minima luminosità di
fondocielo che ci si aspetti (2.7phel/100ns).
51
3.4 Studio della risposta dell’elettronica analogica
Per verificare il comportamento dell’elettronica in presenza di differenti tipi di impulso,
sono state eseguite alcune simulazioni impiegando un modello SPICE del signal driver +
analog board. Il circuito è mostrato in figura 32, si noti che al momento dell’esecuzione di
queste prove la configurazione prevedeva ancora l’uso del trasformatore. Gli impulsi in
corrente vengono applicati alla resistenza di carico del driver per emulare la presenza del
fototubo.
Vout3
v6
out+U2
4.7nf
649
649
pmtanode
in+U2
0
in-U2 1
I1
201
4.7nf
R17
C13
C11
330k
501
2p
330k
C14
R15
R10
2p
402
402
340
1200
40
1000
4
5
6
7
4.99
R13
R120.001
in-
4.99
3
10p
in+
R4 0.001
50
C10
R16
I1 = 0
I2 = 1u
TD = 50n
TR = 100n
TF = 100ns
PW = 400n
PER =
R8
MAX4147
99
C12
R27
2
U1
R26
out-U2
v-6
0
V7
0
900V
0
0
C2
TX2
in-
3
Vin
Vdif1
R3
R1
+
1
U1
R6 100
4
in+
+
R2
Out
U2
R1
Out
C1
+
-
U3
Vout
Out
Rb
C3
2
-
Ra
0
0
0
Figura 32. Schema del circuito dell’HE e filtro anti aliasing utilizzato per le simulazioni.
Due tipi di impulso sono stati simulati:
-
impulso deltiforme per evidenziare le caratteristiche di risposta in frequenza del
sistema
-
impulso trapezoidale con durate diverse ma con rapporto tr/FWHM = 1/3 costante
per simulare un impulso di fluorescenza.
In quest’ultimo caso, se si vuole simulare un particolare segnale di fluorescenza, è
possibile determinare i parametri dell’impulso noto il numero di fotoelettroni contenuti nel
segnale e la sua durata. La carica Q contenuta nell’impulso è determinata dalla sua area,
52
poiché la forma dell’impulso è fissata, la carica dipende dalla durata (FWHM) e
dall’ampiezza dell’impulso (I0):
Q = ∫ I (t )dt =Aimpulso
Aimpulso = FWHM ⋅ I 0
Dato un numero di fotoelettroni Nphel estratti dal catodo, la carica raccolta dall’anodo sarà
Q = N phel ⋅ e ⋅ G
con G guadagno del fototubo ed e la carica dell’elettrone. Volendo allora un segnale di
durata FWHM e numero di fotoelettroni Nphel, la sua ampiezza è determinata dalla
relazione
I0 =
N phel ⋅ e ⋅ G
FWHM
Per scegliere i valori più significativi di durata e contenuto in fotoelettroni, si è ricorso alle
simulazioni del rivelatore (figura 33).
53
Figura 33. Statistiche delle durate degli impulsi e della carica raccolta da un pixel per eventi di energia
pari a 1020eV 5.
I risultati delle simulazioni sono stati poi confrontati con la risposta reale dell’elettronica.
L’impulso in questo caso è stato iniettato con un impulsatore attraverso il sistema di test
pulse delle HE. Un filtro anti aliasing con guadagno ~13 è stato realizzato appositamente.
Il setup è illustrato in figura 34.
I risultati di questo test hanno rivelato un ottimo accordo tra simulazioni e misure, nelle
figure da 35 a 38 sono riportati i confronti per un impulso deltiforme ed un impulso di
fluorescenza da 104 phel e 350ns FWHM.
54
Digital Oscilloscope Tek TDS724A
Pulse Generator HP81110A
TP driver
IN
HE
LOW PASS
Figura 34. Setup per la verifica delle simulazioni dell’elettronica analogica.
55
V
2.5
V out
I in
2
7 mA
6
1.5
5
1
4
0.5
3
0
2
-0.5
1
-1
0
1000
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
nS
Figura 35. Risposta dell’elettronica analogica ad un impulso deltiforme (simulazione). La scala
in volt si riferisce all’uscita (traccia blu), quella in mA si riferisce all’impulso in ingresso
Figura 36. Risposta dell’elettronica analogica ad un impulso deltiforme (misura).
X: 100ns/div, Y: 500mV/div.
56
V1
V out
I in
0.8
500 uA
450
400
0.6
350
0.4
300
0.2
250
0
200
150
-0.2
100
-0.4
50
-0.6
0
100
200
300
400
500
600
700
800
0
900 1000
nS
Figura 37. Impulso tipo fluorescenza, 104 phel FWHM 350nS (simulazione)
Figura 38. Misura diretta. X: 100ns/div, Y: Vout 200mV/div, Vin 50mV/div.
57
3.5 Considerazioni sul filtro anti aliasing
La figura 39 riporta la prima versione del filtro anti aliasing. Esso è costituito da uno stadio
di guadagno non invertente, seguito da un filtro Bessel del secondo ordine in
configurazione Sallen-Key a guadagno unitario, il terzo polo è una rete passiva RC posta
prima dell’ultimo operazionale. U1, U2, U3 sono degli operazionali AD829.
0
C2
Vin
R3
R1
+
U1
Out
+
R2
R1
Out
C1
-
U2
+
-
U3
Vout
Out
Rb
C3
-
Ra
0
0
Figura 39. Schema del filtro anti aliasing.
C1 = 216 pF
C 2 = 113 pF
C 3 = 171 pF
R1 = R2 = R3 = 470Ω
Ra = 500 K
1K < Rb < 10 K
Il resistore variabile Rb è realizzato mediante un potenziometro digitale (vedi §3.3)
La funzione di trasferimento è il prodotto delle funzioni di trasferimento dei tre blocchi:
 R 
1
 1 
H (s ) = 1 + b  2


 Ra  as + bs + 1  1 + cs 
58
dove
a = C1C 2 R1 R2
b = C 2 R1 + C 2 R2
c = C 3 R3
Sostituendo i valori dei componenti si ottengono 3 poli di cui uno reale e 2 complessi
coniugati:
f1 = 1.98MHz
f 2 / 3 = 1.56MHz
I diagrammi della risposta in frequenza e della risposta in fase sono riportati in figura 40.
20
dB
10
-3dB
dB
0
-10
-20
-30
deg
0
phi
-90
-180
-270
1.E+02
1.E+03
1.E+04
1.E+05
1.E+06
1.E+07
Hz
Figura 40. Risposta in frequenza e in fase del filtro anti aliasing.
59
Dopo un attento studio della risposta a diverse tipologie di impulsi di fluorescenza, è stato
evidenziato un limite di questa configurazione. Il range del Flash ADC è impostato a 4V,
questo valore è molto vicino a quello del range degli operazionali (~4.20V). Questo
significa che quando il segnale satura il FADC esso è anche vicino al limite del range
lineare del filtro. Per impulsi più brevi di ~450ns 4 lo stadio di guadagno può arrivare alla
saturazione mentre l’effetto di integrazione degli stadi successivi genera in uscita un
segnale più lento e meno ampio che non raggiunge i 4V (figura 41). In questo caso il
segnale è all’interno del range dell’ADC ma non è più nella zona di funzionamento lineare
del filtro, cioè ha perso buona parte del significato fisico a causa del clipping avvenuto nel
primo stadio.
Un altro problema relativo al processing di impulsi brevi è causato dal loro fronte di salita
molto rapido, che viene distorto nello stadio di guadagno poiché l’operazionale AD829
non dispone di uno slew rate sufficiente. Il segnale in uscita risulta nel suo complesso
ritardato e questo ritardo è dipendente dall’ampiezza, creando un errore nella
determinazione della posizione temporale dell’impulso di fluorescenza.
in
Bessel
x16
RC
out
4.2V
Figura 41. Per segnali brevi il primo stadio satura mentre l’uscita del filtro è ancora nel r ange lineare.
La soluzione proposta per questo problema è quella di spostare il polo della rete RC
all’ingresso del filtro, prima dello stadio di guadagno, in modo da evitare che segnali molto
veloci raggiungano l’operazionale. Inoltre è stato ridotto il range del convertitore A/D da
4V a 2V, questo implica un dimezzamento del guadagno al primo stadio scongiurando
definitivamente il pericolo di saturazione.
4
L’impulso corrispondente ad un evento che transita in prossimità del rivelatore sarà molto breve e di
conseguenza ampio poiché, a parità di area e cioè di carica, un impulso breve raggiungerà un picco molto
elevato.
60
La nuova configurazione del filtro, riportata in figura 42, prevede l’uso di soli due
operazionali anziché tre. Questi operazionali sono disponibili anche in chip contenenti due
dispositivi
realizzando così un notevole risparmio sia economico che di spazio. La
funzione di trasferimento non ha subito alcuna modifica poiché la nuova configurazione
prevede solo la modifica della disposizione dei blocchi.
0
C3
Vin
R3
R1
+
U1
Out
C1
+
R2
-
U2
Vout
Out
C2
-
Rb
0
Ra
0
Figura 42.Nuovo schema per il filtro anti aliasing.
Nell’intento di verificare l’effetto di questa modifica, sono stati misurati i segnali in uscita
dal primo stadio al variare dei parametri dell’impulso d’ingresso. Per collocarsi nelle
condizioni più sfavorevoli per il filtro (worst case) sono stati utilizzati impulsi molto veloci
e di ampiezza tale da portare l’uscita del filtro a 2V ovvero al limite del range dinamico
dell’ADC. In tabella 2 sono riportati i valori misurati: come si può notare il primo stadio
non raggiunge mai il valore di saturazione dell’operazionale (~4.20V) nemmeno per
impulsi <50ns, già oltre le necessità del rivelatore di fluorescenza. È stata fatta anche una
misura per stabilire quando il primo stadio arriva a saturazione (tabella 3): a questi livelli
di uscita il Flash ADC ha già ampiamente superato il conteggio massimo ed il sistema di
acquisizione è passato alla lettura del canale virtuale.
Nella realizzazione della nuova versione dell’Analog Board da parte del gruppo di Torino,
è stata implementata la nuova configurazione del filtro con rete RC all’ingresso che per ora
utilizza ancora i tre AD829 per evitare modifiche profonde nel layout del PCB.
61
INPUT
Width
6
15
30
50
75
100
200
400
800
Amplitude (V)
4.55
2.44
1.17
.710
.496
.374
.212
.156
.156
OUTPUT
1st stage (V)
3.88
3.84
3.72
3.52
3.38
3.18
2.4
2
2
Out (V)
2
2
2
2
2
2
2
2
2
Tabella 2. Comportamento del primo stadio del filtro anti aliasing in presenza di
impulsi estremamente veloci. L’ampiezza degli impulsi in ingresso è stata scelta
in modo da ottenere un valore di 2Vpp al convertitore A/D.
INPUT
Width
50ns
100ns
200ns
400ns
600ns
800ns
Amplitude
888 mV
530 mV
396 mV
342 mV
342 mV
242 mV
OUTPUT
1st stage
4.18 V
4.20 V
4.20 V
4.20 V
4.20 V
4.20 V
2nd stage
2.40 V
2.78 V
3.34 V
3.76 V
3.92 V
3.92 V
Tabella 3. Come la precedente, ma ora l’ampiezza in ingresso è stata scelta in modo da raggiungere la
saturazione del primo stadio. In questa situazione l’uscita del filtro è sempre oltre i 2V.
62
Bibliografia
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the acceptance tests”, GAP-99-043,
2. D.V. Camin et al., “Analog processing signals from the Auger Fluorescence
Detector”, GAP-99-019
3. P.W.Cattaneo, L.Ratti, “The anti-aliasing requirements for the FD channel readout”
GAP-99-005
4. P.F.Manfredi et al., "A bilinear analog compressor to adapt the signal dynamic
range in the AUGER uorescence detector", presented at 8th Pisa Meeting on
Advanced Detectors, Isola d'Elba, May 21- 27, 2000 to be published on
Nucl.Instrum.Meth.
5. B.Dawson, “Amplitude dynamic range in Auger Fluorescence Electronics: update
for the four eye system at Nihuil” GAP-99-03
63
4 Timing di precisione per i segnali di fluorescenza
4.1 Introduzione
In questo capitolo si descrivono i problemi relativi all’estrazione dei parametri di interesse
fisico dal segnale elaborato dall’elettronica analogica e campionato. La ricostruzione del
segnale analogico a partire dai campioni digitali è la prima operazione da effettuare. Si
analizza poi la possibilità di recuperare la forma d’onda originale (prima del filtro antialiasing): qui vengono descritte le motivazioni per cui tale operazione non è realizzabile.
L’alternativa consiste nel ricavare i parametri di interesse, ognuno con una tecnica
appropriata. In particolare si propone un metodo per individuare l’istante di tempo in cui lo
spot luminoso di fluorescenza attraversa il pixel. La risoluzione ottenibile in questo modo
soddisfa le necessità di ricostruzione dello sciame.
4.2 La ricostruzione del segnale
Il sistema di acquisizione del segnale è un apparato digitale e come tale effettua un
campionamento del segnale analogico fornito dall’elettronica di front end per poterlo
immagazzinare ed analizzare. Nel momento in cui si esegue un campionamento, si
impongono dei limiti sia alla risoluzione di ampiezza che a quella temporale. La
risoluzione in ampiezza è determinata dal numero di bit del convertitore utilizzato; nel caso
di Auger, è 12bit effettivi ovvero 1/4096 che aumenta a 15bit (1/32768) considerando il
sistema di compressione. La risoluzione temporale invece è determinata dalla frequenza di
campionamento, che nel nostro caso è f s =10MHz (100nS). Il teorema sul campionamento 5
afferma che è possibile acquisire delle forme d’onda e ricostruirle a partire dai campioni,
mediante un’interpolazione con la funzione sinc(x) senza alcuna distorsione. Perché ciò sia
64
valido, il contenuto spettrale della forma d’onda non si deve estendere oltre la frequenza
í = fs /2. Se questa frequenza limite viene superata, la ricostruzione del segnale subisce delle
distorsioni (fenomeno dell’aliasing). Nel nostro caso specifico il segnale di fluorescenza
deve essere filtrato ad una frequenza di 5Mhz. Poiché un filtro reale non può produrre un
taglio netto, in pratica si utilizza una frequenza di taglio inferiore.
La figura 43 mostra come sia possibile ricostruire il segnale a partire dai campioni. Due
segnali filtrati dall’elettronica di front end, sono stati campionati ad una frequenza di
10MHz, è stata poi eseguita l’interpolazione con la funzione sinc(x) per recuperare la
forma iniziale.
1.0
2.5
Forma d'onda
Forma d'onda
0.8
2.0
0.6
1.5
0.4
1.0
0.2
0.5
0.0
0.0
-0.2
-0.5
0
50
100
150
200
250
300
350
400
450
500
1.0
0
50
100
150
200
250
300
350
400
450
500
15
20
25
30
35
40
45
50
150
200
250
300
350
400
450
500
2.5
100nS Sampling
100nS Sampling
0.8
2.0
0.6
1.5
0.4
1.0
0.2
0.5
0.0
0.0
-0.2
-0.5
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
1.0
0
5
10
2.5
Interpolazione
Interpolazione
0.8
2.0
0.6
1.5
0.4
1.0
0.2
0.5
0.0
0.0
-0.2
-0.5
0
50
100
150
200
250
300
350
400
450
500
0
50
100
Figura 43. Ricostruzione della forma d’onda iniziale mediante interpolazione con la funzione sinc(x).
Gli impulsi utilizzati sono prelevati all’uscita dal filtro anti aliasing per un impulso trapezoidale di
350ns FWHM (sinistra) e 3ìs (destra).
Una volta eseguita questa operazione, si ottiene la forma d’onda così come era all’uscita
dal filtro anti aliasing, essa però differisce dall’impulso fornito dal fototubo a causa
dell’azione del filtro. Un filtro integratore di guadagno unitario ha infatti la proprietà di
65
conservare l’area dell’impulso in ingresso (cioè la carica) mentre vengono attenuate parte
delle frequenze dello spettro, con la conseguenza di modificarne la forma. Nel caso
specifico c’è anche un guadagno G, quindi la carica in uscita è Qout = G ⋅ Qin . Per impulsi
della durata di alcuni microsecondi, l’effetto del filtro è minimo, mentre per impulsi più
brevi esso diventa importante in quanto lo spettro di questi impulsi è più spostato verso le
alte frequenze dove l’attenuazione è maggiore.
Se oltre alla carica depositata si vogliono estrarre altre informazioni per l’analisi e la
ricostruzione dell’evento di fluorescenza, si presenta il problema di recuperare l’impulso di
fluorescenza originale. Dal punto di vista matematico questa operazione è possibile,
tramite la deconvoluzione del segnale con la risposta alla delta del filtro [1]. Bisogna però
tenere in considerazione che recuperare il segnale originale significa ricostruire le
componenti ad alta frequenza che erano state soppresse precedentemente dal filtro. Per
queste frequenze, fortemente attenuate, il rapporto S/N è molto sfavorevole. Se poi si
considera che il segnale è stato campionato a 10MHz, risulta evidente che le frequenze
superiori a 5MHz (già attenuate dal filtro) vengono definitivamente perse. Per queste
motivazioni, la deconvoluzione del segnale non è una soluzione praticabile. Alcune prove
fatte per valutare la possibilità di deconvolvere il segnale, hanno ribadito quanto appena
affermato. La figura 44 mostra il confronto tra l’applicazione della deconvoluzione in un
caso ideale e l’applicazione ad una situazione reale. A sinistra, in una simulazione, un
impulso rettangolare è stato processato da un filtro bessel passa basso del secondo ordine,
la forma d’onda risultante è stata poi deconvoluta con la risposta alla delta del filtro. In
questo modo è stato possibile ricostruire l’impulso rettangolare di origine. A destra è
riportato un test simile ma effettuato realmente sul segnale in uscita dal filtro anti aliasing:
qui non è stato possibile ricostruire alcun impulso. Da notare che nella prova reale
l’impulso è di 3ìs contro i 200ns di quello a sinistra, quindi dovrebbe presentare meno
problemi per sua ricostruzione. In questo test inoltre non è stato applicato il
campionamento a 10MHz, che avrebbe reso ancora più ardua la ricostruzione.
Per ricavare i parametri dell’impulso utili alla sua analisi è necessario quindi procedere in
modo alternativo. A questo proposito nel prossimo paragrafo viene esposto un metodo per
ricavare un parametro temporale molto utile al fine della ricostruzione dello sciame.
66
1.5
2.5
Forma d'onda
Forma d'onda
2.0
1.0
1.5
1.0
0.5
0.5
0.0
0.0
-0.5
-0.5
0
50
100
150
200
250
300
350
400
450
0
500
0.04
0.16
Delta response
1000
2000
3000
4000
5000
2000
3000
4000
5000
2000
3000
4000
5000
Delta response
0.14
0.03
0.12
0.02
0.10
0.01
0.08
0.06
0.00
0.04
-0.01
0.02
0.00
-0.02
0
50
100
150
200
250
300
350
400
450
0
500
2.0
20
Deconvoluzione
1000
Deconvoluzione
1.5
10
1.0
0
0.5
0.0
-10
-0.5
-20
-1.0
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
1000
0
1000
Figura 44. Confronto tra l’applicazione della procedura di deconvoluzione ad una situazione ideale e
reale. A sinistra il caso ideale, a destra quello reale in cui l’impulso da deconvolvere proviene dal filtro
anti aliasing.
4.3 Timing
Un aspetto cruciale nella ricostruzione degli eventi in un rivelatore ibrido come Auger, è
quello della sincronizzazione temporale dei segnali di fluorescenza con quelli provenienti
dal rivelatore di superficie. È importante ad esempio poter determinare l’istante in cui lo
spot di fluorescenza entra nei vari pixel per poter confrontare l’osservazione della
fluorescenza con l’arrivo a terra dello sciame. La tecnica di temporizzazione adottata per
l’intero rivelatore si basa sul sistema di satelliti GPS e può garantire una sincronizzazione
temporale di circa 10ns; sarebbe quindi utile poter determinare la posizione temporale
degli impulsi di fluorescenza prodotti dai pixel con una precisione comparabile. I fattori
che determinano la precisione con cui è possibile questa determinazione temporale sono
sostanzialmente le caratteristiche dell’elettronica analogica [2] e la frequenza di
campionamento.
67
Analizziamo i componenti dell’elettronica per poter determinare come essi condizionino
questa informazione temporale.
Il primo elemento dell’elettronica, il fototubo con relativa elettronica HE, è un dispositivo
con una risposta molto veloce (banda passante ~30Mhz). Il tratto della catena elettronica
che più influenza la forma del segnale originale prodotto dal fototubo è senza dubbio il
filtro anti aliasing che attualmente ha una banda di 1.5MHz.
Dalla figura 45 si nota subito che a causa dell’integrazione del filtro, il segnale di uscita è
ritardato rispetto alla forma d’onda originale di circa 200ns, a questo ritardo va poi
sommato l’eventuale tempo di propagazione dovuto ai cavi che sarà comunque minore di
200ns. Questo discorso qualitativo può essere riformulato in modo più rigoroso. Per prima
cosa è necessario definire cosa si intende per posizione temporale dell’impulso, in quanto
un impulso come quello in figura si sviluppa su diverse centinaia di nanosecondi ed ha una
forma asimmetrica che nella realtà sarà distorta dalla presenza di rumore. Una volta
individuati gli istanti t0 in cui si verifica l’impulso di fluorescenza e t1 in cui si ottiene la
risposta dell’elettronica, si può valutare il ritardo. La determinazione della posizione
dell’impulso tramite l’individuazione del picco è una soluzione semplice ma poco adatta
in questo caso, per due principali ragioni: 1) la presenza di rumore o di spikes che possono
distorcere il segnale 2) nel caso di un impulso più lungo (figura 46) il raggiungimento del
flat top renderebbe questa tecnica priva di senso.
X: 100ns/div
Y: 500mV/div
Figura 45
68
X: 200ns/div
Y: 500mV/div
Figura 46
La soluzione proposta è quella di identificare come punto di riferimento il centroide
dell’impulso, ovvero il punto che divide l’impulso in due parti di uguale area. In questo
modo l’effetto del rumore o di spikes verrebbe attenuato dall’operazione di integrazione e
anche il problema del flat top sarebbe risolto. Il ritardo tra l’ingresso e l’uscita è definito
come nella figura 47
IN
Output signal
Integral of the
output signal
1 /2
Delay
Time
Figura 47. Determinazione del delay prodotto dal filtro anti aliasing.
Se questo ritardo Ät fosse una caratteristica indipendente dalla forma dell’impulso
d’ingresso (almeno per gli impulsi di interesse della fluorescenza), sarebbe possibile
risalire direttamente all’istante t0= t1–Ät.
69
Il filtro passa basso impiegato come anti aliasing è di tipo bessel (vedi capitolo 3), il bessel
ha la caratteristica di presentare una risposta in fase piatta all’interno della banda passante.
Questo vuol dire che tutte le componenti dello spettro del segnale in uscita hanno subito lo
stesso sfasamento. Ciò depone a favore di un indagine sulla validità del metodo proposto.
A questo proposito sono state fatte diverse simulazioni del filtro per verificare
l’accuratezza raggiungibile. In particolare è stato misurato il ritardo per impulsi
rettangolari ad ampiezza e ad area costante di durata compresa tra 100ns e 5ìs. I risultati
illustrati in figura 48, 49 e 50 indicano che Ät è 200ns ±5ns.
Delay: SPICE simulation,
rectangular pulses constant area
250
240
230
DELAY (ns)
220
210
200
190
180
170
160
150
0.0
1.0
2.0
3.0
4.0
5.0
6.0
Pulse Width (us)
Figura 48. Delay: simulazione SPICE, impulsi rettangolari ad area costante.
70
Delay:
SPICE simulation, rectangular pulses 50 to 500ns
250
240
230
DELAY (ns)
220
210
200
190
180
170
160
150
0
200
400
600
800
1000
1200
Pulse Width (ns)
Figura 49. Delay: simulazione SPICE, impulsi rettangolari 100ns - 1ìs ad ampiezza costante.
Delay:
SPICE simulation, rectangular pulses 0.5 to 5us
250
240
230
DELAY (ns)
220
210
200
190
180
170
160
150
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
Pulse Width (ns)
Figura 50. Delay: simulazione SPICE, impulsi rettangolari 500ns - 5ìs ad ampiezza costante.
71
Le simulazioni sono state seguite poi da misure sperimentali.
Il filtro anti aliasing utilizzato rispecchia la configurazione con polo al primo stadio (vedi
par. 3.5). E’ stato necessario eseguire le misure con questo schema circuitale per evitare
distorsioni causate dallo stadio di guadagno (figura 51). Infatti, come già accennato nel
paragrafo 3.5, lo slew rate dell’operazionale AD829 non è sufficiente per seguire con
precisione il fronte di salita dell’impulso, se quest’ultimo giunge all’amplificatore senza
alcuna integrazione. Come conseguenza il ritardo tra l’impulso originale e quello filtrato
aumenta di una quantità che dipende dall’ampiezza dell’impulso e dalla sua forma,
degradando la linearità del sistema. Le misure effettuate con il vecchio schema del filtro
hanno dato risultati non soddisfacenti.
Fronte di salita
ideale
AD829 out
Figura 51. Il fronte di salita del segnale in ingresso al filtro (linea tratteggiata) non viene
riprodotto correttamente dall’operazionale, che taglia così parte del segnale (area
ombreggiata). Il sistema non lavora più ad area costante, inoltre viene introdotto un
ritardo che dipende dall’entità di questa distorsione.
Il setup richiesto per questa misura è riportato in figura 52.
Per determinare il centroide dell’impulso e misurare quindi il ritardo, è stato usato un
oscilloscopio digitale Tektronics TDS724A che permette di applicare degli operatori
matematici alle tracce acquisite. Così è possibile visualizzare la funzione integrale della
traccia in esame e procedere alla determinazione di Ät come spiegato in figura 47.
72
Digital Oscilloscope Tektronics TDS724A
Pulse Generator HP81104A
trigger
Input pulse
a.a. filter
a.a. filter
in
out
Figura 52. Setup per le misure del delay.
Come si può vedere nelle figure 53 e 54, per impulsi rettangolari e trapezoidali di durata
compresa tra 100ns e 1ìs, i risultati sono in ottimo accordo con le simulazioni. Qui il
ritardo è di 210nS ±5ns.
73
Delay: experimental results,
rect. pulses pole at 1st stage
250
240
230
Delay (nS)
220
210
200
190
180
170
160
150
0
200
400
600
800
1000
1200
Pulse width (nS)
Figura 53. Delay: simulazione SPICE, impulsi rettangolari 100ns - 1ìs ad ampiezza costante.
Delay (nS)
Delay:
Experimental results, trapezioid pulses
250
240
230
220
210
200
190
180
170
160
150
0
200
400
600
800
1000
1200
Pulse width (nS)
Figura 54. Delay: simulazione SPICE, impulsi trapezoidali 100ns - 1ìs ad ampiezza costante.
74
4.4 La costante di tempo ottimale
Da quanto appena esposto, risulta evidente che i campioni forniti dall’ADC sono
sufficienti per determinare con precisione l’impulso analogico che esce dal filtro anti
aliasing, e che il suo centroide ha un ritardo fisso rispetto all’impulso luminoso in ingresso.
In questo modo sarà possibile determinare con precisione sia la carica integrale che la
posizione dell’impulso.
Tutte le misure e le simulazioni esposte finora si basano sul filtro anti aliasing illustrato nel
capitolo 3, la cui frequenza di taglio è di circa 1.5MHz sia nella configurazione con polo
all’ultimo che al primo stadio. Nel corso di alcuni incontri tra i gruppi coinvolti nella
realizzazione del rivelatore di fluorescenza, è emersa la necessità di ottenere una risposta
più veloce da parte del filtro, per migliorare l’analisi degli impulsi brevi. In previsione di
un nuovo sviluppo dell’architettura del filtro, sono state eseguite delle simulazioni per
determinare la migliore configurazione in base alle esigenze di ricostruzione del segnale
[3]. In particolare è stato simulato un filtro Bessel ideale in versione a 3, 4, 5 e 6 poli, con
diverse frequenze di taglio fc<fN dove fN è la frequenza di Nyquist (10MHz nel nostro
caso). Il segnale in uscita dal filtro è stato poi campionato ad una frequenza fs =2fN . Si è
potuto così valutare l’errore che si commette nella ricostruzione dell’area dell’impulso di
fluorescenza a partire dai campioni dell’ADC (figura 55). È stata fatta anche un’analisi
dell’accuratezza con la quale si può risalire al centroide dell’impulso in uscita dal filtro,
sempre partendo dai campioni (tabella 4).
In base ai risultati esposti e a considerazioni pratiche, si è orientati ad adottare un filtro anti
aliasing a 4 poli, con una frequenza di taglio pari a 3.6MHz. In figura 56 è riportata la
risposta alla delta dell’intera catena elettronica per questa nuova configurazione; la
simulazione è stata fatta impiegando i modelli SPICE dei componenti elettronici.
75
Figura 55. Ricostruzione dell’area dell’impulso di fluorescenza. Errore in funzione
della frequenza di taglio per alcuni ordini del filtro.
í
n
0.30
3
Bessel 0.80
0.60
4
5
6
3
4
5
6
0.54
0.83
1.05
2.05
1.00
0.40
0.42
Tabella 4. Errore nella ricostruzione del centroide per due frequenze di taglio í= fc/ fN . I valori sono
espressi in % del periodo di campionamento, nel nostro caso (T=100ns) corrispondono a ns.
76
Figura 56. Simulazione SPICE della risposta alla delta dell’elettronica di front end con filtro anti
aliasing nella configurazionw a 4 poli e f c=3.6MHz. Le tre curve rappresentano le uscite dei tre stadi da
cui è costituito il filtro.
77
Bibliografia
[1] Oppenheim, Alan V. “Digital signal processing”, Prentice-Hall 1975
[2] D.V. Camin et al., “Analog processing signals from the Auger Fluorescence
Detector”, GAP-99-019.
[3] P.W.Cattaneo, “The anti aliasing requirements for the FD read out channel”
http://www.pv.infn.it/~cattaneo/auger.html
78
5 Applicazione del Current Monitor alla misura della
luminosità di fondocielo.
5.1 Introduzione
La tecnica della fluorescenza atmosferica si avvale di ottiche di elevatissima luminosità,
questo implica la presenza nel campo del rivelatore di una luce diffusa dovuta a diverse
sorgenti: luci artificiali, luminescenza atmosferica, luce zodiacale, chiarore lunare diffuso
dall’atmosfera. Inoltre a causa della grande copertura angolare del rivelatore, saranno
presenti contemporaneamente nel campo visvo diverse stelle luminose; ciò può tornare
utile per i seguenti scopi:
•
L’osservazione del passaggio delle stelle più luminose nel campo del rivelatore
consente di determinare in modo assoluto il puntamento dei pixel.
•
Il tempo d’ingresso e di uscita dell’immagine stellare permette di conoscere la
dimensione della macchia di aberrazione prodotta sul piano focale.
•
La luminosità relativa di una stella vista da un particolare pixel in notti successive,
può essere utile come misura diretta dell’assorbimento atmosferico.
Il sistema di monitoraggio della corrente anodica illustrato nel capitolo 3 può essere
utilizzato per questi scopi. Altri impieghi sono già stati proposti, ad esempio la
registrazione continua della corrente che scorre in ogni pixel. Essa fornisce nel lungo
periodo
un’indicazione
della
carica
totale
accumulata
all’anodo.
Questo
dato
sull’invecchiamento potrebbe essere aggiunto nel database delle caratteristiche dei
fototubi.
In questo capitolo si considerano le applicazioni del sistema di monitoraggio della corrente
anodica alla rilevazione della luminosità del fondocielo e delle stelle, in seguito si
espongono i risultati delle prime misure “sul campo” con il sistema completo di fototubo
ed elettronica di front end.
79
5.2 La luminosità di fondo del cielo notturno
La luminosità del fondo cielo è dovuta all’effetto combinato di numerose sorgenti. Le più
importanti sono:
1. Luce zodiacale
2. stelle
3. luminescenza e Aurore
4. Luce galattica diffusa
5. Inquinamento luminoso dovuto all’uomo
La luce integrata di tutte le stelle, per esempio, corrisponde alla luce di 105 stele di decima
magnitudine per grado quadrato. In figura 57 sono confrontati i contributi delle varie
sorgenti.
Figura 57. Contributo relativo alla luminosità di fondo. Z: l uce zodiacale,
S: luce stellare integrata, G:luminosità galattica diffusa, A: airglow, T: totale.
La luce zodiacale è anch’essa una componente importante della luce di fondo; essa è
generata dalla diffusione della luce solare da parte delle polveri interplanetarie, per questo
motivo non è uniforme ma si osserva soprattutto in prossimità del piano dell’eclittica. La
80
luce integrata di origine stellare, varia anch’essa durante la notte in funzione della
posizione della Via Lattea e del numero di stelle brillanti presenti nel campo considerato.
Le aurore sono un fenomeno che si verifica tipicamente ad alte latitudini e dovrebbe essere
piuttosto raro nei siti scelti per il rivelatore di fluorescenza, mentre la luminescenza
(airglow) è dovuta processi fotochimici che si svolgono nell’alta atmosfera e può variare di
intensità significativamente ma in tempi lunghi. L’inquinamento luminoso è un fattore in
rapida crescita in molte parti del mondo. Nonostante il sito di Auger sud (Pampa Amarilla)
sia molto distante dai grandi insediamenti umani, il fenomeno è da tenere sotto controllo,
dato che il rivelatore rimarrà in funzione per circa vent’anni. Sarebbe sufficiente usare
lampade al sodio a bassa pressione, esse hanno infatti un’emissione che non rientra nella
banda del filtro UV del rivelatore.
5.3 Introduzione alle misure
Il primo obiettivo delle misure è stato quello di testare il dispositivo di monitoraggio della
corrente in condizioni operative, in seguito verificare la possibilità di registrare il transito
delle stelle attraverso il campo del pixel, in fine misurare il livello di illuminazione del
cielo notturno nel sito sud di Auger.
È possibile calcolare la risoluzione del sistema di misura della corrente anodica (current
monitor) nel misurare la luminosità del fondocielo. La tabella 9 mostra la luminosità del
cielo notturno nel sito di fluorescenza di Los Leones (in condizioni ottimali). In queste
condizioni, ogni pixel vedrà 7 phel/100ns, che corrispondono ad una corrente di 11pA al
fotocatodo ovvero 550nA all’anodo (G=50K). Il current monitor ha una sensibilità di
60mV/ìA ed un range dinamico di ~2V con risoluzione di 16bit, questo significa che la
risoluzione teorica in corrente anodica è:
1
60
mV
⋅
µA
2V
= 510 pA
216
(10)
all’anodo che corrispondono a 10fA (catodo) = 0.007phel/100ns.
81
Un test sperimentale (figura 58) è stato realizzato illuminando il fototubo con una luce
debolissima e intermittente, proveniente da un led alimentato da un’onda quadra con un
periodo di alcuni secondi. La risoluzione apprezzabile dal grafico è sicuramente migliore
Vout [V] 0.5mV/div
di 0.035phel/100ns.
1.6350
1.6345
1.6340
0.035 phel/100ns=56fA
1.6335
1.6330
400
450
500
550
600
Time [sec]
Figura 58. Test sperimentale sulla risoluzione del current monitor. Un led intermittente illumina il
fototubo con una luce molto debole.
A causa della rotazione terrestre, durante la notte diverse stelle molto luminose
attraverseranno lentamente i pixel del rivelatore. Il campo di un pixel è di 1.5°, per
attraversarlo lungo il diametro, una stella impiegherà un tempo t che dipende dalla
declinazione ä della stella:
t = 1.5° ⋅
240 s/ °
cos δ
(11)
Questa formula vale nell’approssimazione che il movimento della stella all’interno del
pixel sia un segmento diritto. Questo non è vero per declinazioni prossime al polo celeste
per le quali la stella vista dal pixel si muoverebbe lungo una linea curva impiegando più
tempo.
82
L’ingresso e l’uscita delle stelle dal campo dei pixel può essere sfruttato per verificare il
puntamento del telescopio, in modo totalmente indipendente da sistemi tipo GPS, livelle
elettroniche , ecc.
Non essendoci misure precedenti relative alla luminosità di fondo del cielo per il sito di
Auger, il primo rilevamento è stato effettuato con il sistema descritto in questo capitolo. I
valori così ottenuti sono stati confrontati poi con quelli riscontrati dall’esperimento
Fly’s Eye nello Utah [1].
5.4 L’ottica
L’idea di base di questi test è di quantificare la risposta del singolo pixel di Auger quando
viene esposto al cielo notturno; per questo motivo il sistema di misura deve avvicinarsi il
più possibile a quello del rivelatore. Le parti principali da cui è costituito sono: l’ottica, il
filtro UV, il PMT, l’unità HE ed il convertitore A/D sigma-delta per la sua lettura, situato
sulla Front End Board.
Per i test “sul campo” non è stato possibile reperire un’ottica delle caratteristiche del
telescopio di Auger (220 cm f/0.77), sono quindi stati usati diversi telescopi a seconda
della disponibilità (tabella 5).
Per alcune misure di luminosità di fondo è stata utilizzata anche una configurazione priva
di ottica che sarà illustrata più avanti.
Telescopio
Oss. privato S. Candido di
Murisengo (AT)
Riflettore R.E.O.S.C.
Oss. Astr. Di Torino
Ass. Astr. Buenos Aires
Ass. Astr. San Rafael
Configurazione
ottica
Catadiottrico
(Schmidt-Cassegrain)
Riflettore
astrometrico
Riflettore
Newton
Riflettore
Newton
Diametro
Rapporto
obiettivo (cm) focale (f/ )
28
10 (ridotto
a 5.5)
105
10
Scala immagine
( "/mm)
134
15
8
166
15
8
166
20.7
Tabella 5. Telescopi utilizzati.
I risultati delle misure condotte con questi strumenti possono essere facilmente riscalati,
come illustrato di seguito, per le caratteristiche del telescopio di Auger.
La luce proveniente dalle stelle (sorgenti puntiformi) che incide sul fototubo è
proporzionale solamente all’area dell’apertura libera del telescopio (A):
83
I * = αA fν
(12)
dove á è un coefficiente adimensionale che tiene conto di eventuali perdite dell’ottica e fí
(erg · cm-2 · s-1 · Hz-1) è il flusso luminoso della stella. Sia ora Afd l’apertura libera del
rivelatore di fluorescenza e At quella del telescopio usato per il test. Assumendo per
approssimazione á uguale per i due sistemi alle lunghezze d’onda di interesse, il rapporto
tra l’intensità che ci si aspetta per il rivelatore di Auger e lo strumento usato per il test su
oggetti stellari è dunque
*
I fd
I
*
=
A fd
(13)
At
Al contrario, l’intensità luminosa I dovuta al fondocielo (sorgente estesa) dipende sia
dall’area dell’obiettivo, cioè dalla capacità dello strumento di raccogliere luce, che
dall’angolo solido di visuale del pixel.
I = α A ω Lν
(14)
dove Lí (erg · cm-2 · sr-1 · s-1 · Hz-1) è la luminosità del fondocielo per unità di angolo solido e
ù l’angolo solido sotteso dal pixel.
In questo caso si ottiene come fattore di scala
I fd
I
=
A fd ωfd
At ωt
.
(15)
I fattori di scala calcolati per i vari telescopi utilizzati sono riportati nela tabella 6.
84
Telescopio
Oss. privato S. Candido di
Murisengo (AT)
Riflettore R.E.O.S.C.
Oss. Astr. Di Torino
Ass. Astr. Buenos Aires
Luminosità fondocielo
stelle
43
50
Museo de Ciencias
Naturales de San Rafael
4.2
194
138
143
138
143
Tabella 6 Fattori di scala.
Una configurazione alternativa, unicamente per la misura del fondocielo, consiste
nell’esporre direttamente il fototubo alla luminosità del cielo senza utilizzare alcuna ottica
ma solamente una sorta di paraluce per limitare l’angolo solido visto dal fototubo
(figura 59). Se si assume una luminosità del cielo uniforme su tutto il campo del fototubo,
la luce vista dal fototubo è data ancora dalla (13) dove questa volta A è l’area del
fotocatodo e ù è l’angolo di apertura determinato dal paraluce. L’area del fotocatodo è
molto più piccola dell’area dello specchio di Auger, scegliendo allora l’angolo ù
sufficientemente grande, si potrà ottenere un fattore di scala pari a 1.
Poiché in pratica la luminosità del cielo non è uniforme su angoli così ampi, quello che si
ottiene è un valore medio integrato su tutto il campo di vista.
PMT+HE
103 deg
Figura 59. Fototubo esposto direttamente al cielo con un
paraluce per limitare l’angolo visuale.
Filtri UV
Il filtro ideale per questi test sarebbe quello designato per il rivelatore di fluorescenza;
questo però non è stato ancora completamente definito [2], e saranno solo i test eseguiti sul
prototipo che determineranno il filtro più adatto.
85
I filtri a nostra disposizione sono stati tre: un filtro per fotometria stellare tipo U (sistema di
Johnson) per le misure condotte all’osservatorio di Torino, un filtro M-UG2 e uno HiRes
per le misure in Argentina.
Il filtro M-UG2 (figura 60) ci è stato fornito dal gruppo di Torino ed è il più simile al tipo
che sarà adottato per il prototipo. Il filtro HiRes è il filtro utilizzato nell’omonimo
esperimento, è stato scelto come termine di confronto poiché i dati disponibili riguardo la
luminosità del fondocielo risalgono appunto a quell’esperimento [1]. Il filtro U appartiene
al sistema di filtri del telescopio REOSC che permette di inserire e disinserire i filtri dalla
sala di controllo del telescopio; la mancata disponibilità di un campione di filtro “tipo
Auger” ci ha spinti ad adottare questa soluzione. Questo filtro U è costituito da tre filtri
Schott sovrapposti:
UG1 da 1 mm + BG18 da 3 mm + WG225 da 1 mm [4]
ha però una bassa trasmissione ed una banda differente rispetto ai filtri proposti per il
rivelatore di Auger. La curva di trasmissione è riportata in figura 61.
Figura 60. Curva di trasmissione dei filtri MUG2 e UG11.
86
U filter
UG1
BG18
WG225
Total
1
0.9
0.8
trasmission
0.7
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0
200
300
400
500
nm
600
700
800
Figura 61 Curva di trasmissione per il filtro U.
5.5 Il sistema di misura ed acquisizione dati
Data la disponibilità di più fototubi equipaggiati con unità HE, si è optato per un sistema a
due canali, tale da consentire, se necessario, la misura contemporanea al fuoco del
telescopio e con fototubo senza ottica. Il sistema di misura e acquisizione deve poter
funzionare in esterni, deve essere trasportato al sito delle osservazioni e montato in
condizioni di scarsa illuminazione. La progettazione ha seguito quindi un criterio di
semplicità e robustezza.
Le funzioni fondamentali richieste al sistema sono:
•
fornire la tensione di alimentazione alle due unità Head Electronic (+6V, -6V)
•
fornire l’alta tensione ai PMT (915V)
•
misurare il livello di uscita del Current Monitor sul connettore di uscita delle HE
con un intervallo non superiore ad alcuni secondi
•
monitorare il valore di HV e la temperatura ambiente
87
•
visualizzare questi parametri sotto forma di grafici
•
registrarli su file
Il setup utilizzato per queste misure è costituito da
•
Due tubi fotomoltiplicatori Philips XP3062 (figura 62) [3], del tipo previsto per il
prototipo di Auger, equipaggiati con unità HE per la polarizzazione del PMT e la
misura della corrente anodica.
•
Un crate NIM con un modulo HV CAEN e un modulo di servizio autocostruito per
l’alimentazione delle HE.
•
Data logger HP34970A equipaggiato con un modulo HP34901A multiplexer a 20ch
differenziali, per la misura della tensione di uscita del Current Monitor sui due
canali disponibili e per il monitoraggio dei valori di alta tensione e della
temperatura ambiente.
•
PC portatile con interfaccia GPIB-USB per il controllo della strumentazione e
software LABVIEW.
Figura 62. Dimensioni del fotomoltiplicatore XP3062.
88
HP34970A Data acquisition/switch unit
Questa unità multifunzione (figura 63) è costituita dallo strumento HP34970A in cui
possono essere inseriti fino a tre moduli che svolgono il compito di selezionare i canali su
cui si vuole effettuare la misura o di controllare attuatori e relay.
L’unità principale contiene un DMM (Digital Multi Meter) a 22bit ed una logica avanzata
con real-time-clock che permette di programmare e temporizzare le operazioni svolte dai
moduli installati, mantenere in memoria fino a 50.000 misurazioni e interfacciarsi con un
calcolatore via porta RS-232 o bus GPIB. Una caratteristica utile di questo strumento è
quella di poter eseguire il programma di misura anche in modo autonomo (senza
connessione al PC), grazie alla sua memoria interna non volatile.
I moduli interni multiplexer a relay possono essere letti alla velocità di 60ch/sec, possono
essere single ended con una massa in comune o differenziali.
Figura 63. HP34970A con il modulo multiplexer 20ch differenziali, utilizzato per i test.
89
In figura 64 è visibile lo schema del sistema di misura ed acquisizione dati. Per i test svolti
in Argentina è stata realizzata una variante del sistema appena illustrato in cui il data
logger, non disponibile in loco, è stato sostituito da due multimetri HP34401A ed il
software è stato modificato. In questa configurazione non è possibile però acquisire i valori
di HV e temperatura ambiente.
Il software
Per l’acquisizione dati è stato sviluppato un nuovo v.i. con LABVIEW che permette di
visualizzare sotto forma di grafico e registrare: l’andamento della tensione del CM per i
due canali, la temperatura e la tensione di polarizzazione. Il PMT collegato al fuoco del
telescopio è connesso al canale 1, che gode di una priorità maggiore; questo canale infatti
viene monitorato in tempo reale (funzione “monitor” disponibile sull’HP34970A), mentre
la scansione degli altri canali è temporizzata (tipicamente 5-10 secondi). In questo modo è
possibile verificare prontamente l’effetto dell’ingresso o dell’uscita delle stelle dal campo
del telescopio.
Quando l’operatore ritiene opportuno iniziare a registrare i valori di un canale, preme il
tasto “REC” sul pannello frontale del v.i., viene così creato un nuovo file progressivamente
numerato contenente i dati in questione corredati dai parametri: HV e temperatura, il tutto
in un formato direttamente leggibile da Excel.
90
V
GPIB
HP34970A
LV + segnale
SHV
BNC
BNC
HV
PMT 1
PMT 2
Figura 64. Setup per le misure di fondocielo.
91
Figura 65. Pannello frontale del programma di acquisizione, si notino i pulsanti che permettono di
avviare la registrazione dei dati su disco in modo manuale e indipendente per i due canali, mentre la
visualizzazione e l’aggiornamento dei grafici è sempre attiva.
92
Una tipica sessione di misurazione si svolge procedendo come segue:
-
Accensione del sistema, avvio del programma di acquisizione e polarizzazione dei
PMT in condizioni di buio completo..
-
Durante il periodo di riscaldamento (30-40 min.) è possibile controllare la tensione
di piedestallo del CM per verificarne l’assestamento.
-
Si espone il PMT del canale 2 (quello senza ottica) e si avvia la registrazione dei
dati per questo canale.
-
Si punta il telescopio in vicinanza della prima stella del test in modo tale che
quest’ultima si trovi ad Est del campo inquadrato dal fototubo.
-
Si avvia la registrazione dei dati provenienti dal canale 1 e si lascia transitare la
stella attraverso il campo del PMT.
-
Si ferma la registraione e si procede alla stella successiva, la cui luminosità sarà
registrata automaticamente nel file successivo.
Il v.i. principale è articolato in più sub v.i. (subroutine) creati appositamente per
razionalizzare la scrittura del codice (figura 66).
Figura 66 Gerarchia dei sub v.i. creati appositamente per il programma “Current Monitor”
93
5.6 Risultati sperimentali.
Nel nostro Paese purtroppo è pressochè impossibile trovare un sito con una qualità del
cielo paragonabile a quella del sito di Pampa Amarilla in Argentina, per questo le misure
realizzate in Italia devono considerarsi prima di tutto come un test di funzionalità del
sistema; i dati ottenuti sono solo in parte significativi.
Il primo test si è svolto il 5 aprile 2000 a S. Candido di Murisengo (AT) in un’osservatorio
privato. Il telescopio a disposizione (vedi tab.5) è stato equipaggiato con il PMT ed un
riduttore di focale che ne ha portato la lunghezza a 155 cm circa. In queste condizioni, il
campo del PMT è di circa 1.4° molto simile a quello di riferimento (1.5°). Il secondo PMT
si trovava all’esterno dell’osservatorio. Le cattive condizioni metereologiche hanno
limitato il tempo a disposizione, ma l’obiettivo di testare il funzionamento del sistema è
stato raggiunto.
Figura 67 Osservatorio privato di S.Candido di Murisengo.
Il grafico di figura 68 si riferisce a Dubhe, una stella dell’Orsa Maggiore di classe spettrale
K0 (arancio) e magnitudine 1.8. Questa misura che non prevede il transito della stella
attraverso il campo, è stata svolta nel seguente modo:
94
1. Il telescopio è stato puntato su una zona di cielo vicina alla stella da misurare, il
moto in ascensione retta rimarrà attivo durante tutto il periodo di misura.
2. L’acquisizione è cominciata con l’obiettivo completamente chiuso (cap on) per
determinare il piedestallo del CM.
3. Il tappo copriottica è stato poi rimosso, lasciando entrare così la luce di fondo del
cielo.
4. Il telescopio è stato spostato in modo tale da inquadrare la stella in questione.
5. si sono misurati ancora, in sequenza, fondo, piedestallo, fondo, stella, fondo.
Il drift della linea di base che si può osservare in figura è dovuto al fatto che il sistema era
stato appena acceso e stava raggiungendo la temperatura operativa.
Nella figura 70 la stessa stella transita attraverso il campo del PMT, il moto orario del
telescopio è spento. La stella è stata sfocata per simulare la macchia di aberrazione sferica
di circa 0.5° dell’ottica del rivelatore.
L’effetto della sfocatura dell’immagine stellare dovrebbe essere visibile durante l’ingresso
e l’uscita della stella dal campo del PMT: essi saranno infatti più lenti, durando circa 1/3
del tempo di attraversamento del pixel. Nelle figure 69 e 70 si possono confrontare i dati
per la stessa stella a fuoco o fuori fuoco: si nota con evidenza che esiste un altro fenomeno
che impedisce di osservare l’effetto della sfocatura, questo comportamento è da attribuire
ad una forte ‘vignettatura’ del campo. La vignettatura è una diminuzione della luminosità
dell’ottica spostandosi dal centro del campo verso i bordi, essa affligge maggiormente le
ottiche molto luminose (basso valore
f/ ) in questo caso è probabilmente dovuta
all’adozione di una lente riduttrice di focale per portare quest’ultima da 2800mm a
1400mm.
In figura 71 in fine è riportato il grafico relativo al transito di Vega (alfa Lyr), una stella
estremamente brillante (mag. 0) di spettro A0 (colore bianco).
95
2.010
C.M. readout (2mV/div)
cap on
cap on
2.008
sky backgr.
2.006
2.004
2.002
2.000
Star in field
1.998
0
200
400
time (s)
600
Figura 68. Dubhe (á Ursae Maioris) magnitudine 1.8 spettro K0. E’ visibile il drift del valore di
piedestallo del CM, ancora in fase di stabilizzazione termica.
96
2.008
Dubhe Mag.1.8 Type K0
C.M. readout (2mV/div)
2.006
in focus
2.004
2.002
2.000
1.998
1.996
1.994
0
500
1000
1500
time (s)
Figura 69 La stessa stella ora transita attraverso il campo del PMT, il moto orario del telescopio è
spento.
2.008
Dubhe Mag.1.8 Type K0
C.M. readout (2mV/div)
2.006
cap on
out of focus
2.004
2.002
2.000
1.998
sky backgr.
1.996
1.994
0
200
400
600
time (s)
800
1000
1200
Figura 70. L’effetto della sfocatura è nascosto dalla notevole vignettatura.
97
2.004
Vega Mag.0 Type A0
C.M. readout (2mV/div)
2.002
2.000
1.998
1.996
1.994
1.992
1.990
1.988
1.986
1.984
0
200
400
time (s)
600
800
Figura 71
98
Pino Torinese
Il secondo test si è svolto nei giorni 28, 29, 30 giugno 2000 presso l'Osservatorio
Astronomico di Torino6 in località Pino Torinese. Questo osservatorio è trà i maggiori
d'Italia e si occupa principalmente di astrometria e fotometria, dispone di diversi strumenti
tra cui un riflettore astrometrico da 1.05 m usato per il test (figura 72).
Figura 72. Il riflettore REOSC da 1.05m dell’Osservatorio Astronomico
di Torino usato per il test.
Il campione di stelle misurato è stato estratto da un elenco di 266 stelle adatte per il test
preparato appositamente con le specifiche seguenti:
-
Coprire il più uniformemente possibile il range di magnitudini dalla 0 alla 5.
-
Per ogni luminosità includere almeno una stella rossa (K-M), e una blu (O-B).
-
Privilegiare stelle alte sull’orizzonte e vicine al meridiano, in modo da minimizzare
gli effetti di assorbimento dell’atmosfera.
Le misure sono state ripetute sia con il filtro U (descritto in precedenza) che senza filtro.
Per il montaggio del PMT al telescopio è stata realizzata al tornio una flangia apposita in
nylon, presso l’officina dell’INFN (figura 73).
6
http://www.to.astro.it
99
Figura 73. Il tubo fotomoltiplicatore montato al fuoco del telescopio
mediante un’apposita flangia.
Le caratteristiche del telescopio REOSC permettono di avere un campo perfettamente
illuminato e quindi esente da vignettatura su tutta la superficie del PMT, in questo modo
l’ingresso della stella nel campo è estremamente definito quando la stella è a fuoco, mentre
si osserva facilmente l’effetto della sua sfocatura. Si confronti a tal proposito la figura 74
con le figure 69 e 70.
1.900
1.900
1.800
1.800
V
2.000
V
2.000
1.700
1.700
1.600
1.600
1.500
1.500
0
50
100
s
150
200
20
70
120
s
170
220
Figura 74. Confronto tra il transito di un’immagine stellare a fuoco (sinistra) e fuori fuoco (destra)
A partire dai dati di tensione d’uscita del Current Monitor sono stati calcolati i flussi
luminosi corrispondenti alle diverse stelle sotto forma sia di corrente anodica che di
fotoelettroni ogni 100ns (phel/100ns). Tutti i valori sono poi stati riscalati per il telescopio
del rivelatore di Auger. Le relazioni che legano questi valori sono:
per convertire Vcm in corrente anodica
100
I a = ∆V ⋅ s
(16)
dove s è la sensibilità del current monitor. Per ottenere invece il numero di fotoelettroni
ogni 100ns al catodo:
N phel/ 100ns =
Ia
⋅ 10 −7 [s / 100 ns ]
G⋅e
(17)
dove G è il guadagno del fototubo, e è la carica dell’elettrone. Sostituendo i valori
numerici si ottiene
 1

I a = ∆V ⋅  uA mV 
 60

N phel/ 100ns = ∆V ⋅
10 −7 [s / 100 ns ]
5 ⋅ 10 4 ⋅ 6 ⋅ 10 4 [V / A]⋅1.6 ⋅ 10 −19 [C ]
(18)
(19)
Le tabelle 7 e 8 riassumono i risultati di questo test. Negli istogrammi di figura 75 e 76
sono esposti i dati delle tabelle precedenti. Si può notare, tra le misure effettuate con il
filtro U, che alcune stelle sono state talmente attenuate dal filtro al punto di non poter
essere rivelate.
Per evidenziare l’effetto selettivo sulla sensibilità spettrale del sisema, operato già dal
fotocatodo del PMT ma ancora di più dal filtro ultravioletto, è stato fatto un confronto tra
le diverse stelle. Per prima cosa il flusso registrato nelle varie misure è stato espresso in
scala logaritmica allo stesso modo in cui vengono calcolate le magnitudini:
m = −2.5 ⋅ log10 (I I 0 )
(20)
dove il flusso di riferimento I0 è il flusso di Vega, una stella ottima come riferimento in
quanto la sua magnitudine è esattamente zero ed il colore bianco (spettro A0).
101
I valori ottenuti sono stati poi confrontati con le magnitudini visuali (cioè riferite ad una
lunghezza d’onda 480nm < ë < 680nm, ëeff = 550nm) ottenendo il grafico in figura .. per
le misure senza filtro e in figura .. per quelle ottenute con il filtro U. In questi grafici una
stella di classe A0 si troverà in teoria sempre sulla retta indicata in figura, una stella con
spettro più spostato verso il rosso si troverà al di sotto, mentre per una stella blu accadrà
l’opposto. La non linearità che si osserva in figura, evidenziata con una linea tratteggiata, è
probabilmente da attribuirsi alla presenza della luminosità di fondo che diventa rilevante
nella misura delle stelle più deboli.
102
stella
Vega (á Cyg)
Vega (á Cyg)
Vega (á Cyg)
Vega (á Cyg)
Vega (á Cyg)
Vega (á Cyg)
Vega (á Cyg)
Deneb (â Cyg)
â Dra
æ Dra
ã Lyr
ê Oph
ð Her
é Her
ï Her
ä Sgt
68 Her
29 Cyg
sp mv
ora Z ang.
A0
A0
A0
A0
A0
A0
A0
A2
K5
B5
A0
K0
K5
B3
A0
M0
B3
A0
0.08
2.12
0.00
0.25
0.02
0.04
0.04
0.09
0.07
0.49
1.26
1.08
1.16
1.39
1.32
1.52
0.06
1.56
0
0
0
0
0
0
0
1.3
2.2
3.2
3.2
3.2
3.2
3.8
3.8
3.8
4.6
5
7.84
9.62
18.35
14.10
14.92
8.68
9.48
16.20
9.74
21.95
13.58
38.78
14.75
11.92
17.27
28.60
18.39
16.25
I anodo phel/100ns
(nA)
6882.5
86.03
5578.8
69.73
5060.7
63.26
4864.4
60.81
4801.4
60.02
4113.7
51.42
2491.7
31.15
2166.7
27.08
416.9
5.21
426.7
5.33
372.5
4.66
233.7
2.92
215.8
2.70
311.7
3.90
260.5
3.26
161.1
2.01
186.8
2.33
139.2
1.74
sigma
1.2E+00
8.8E-01
3.1E+00
3.3E+00
2.6E-01
5.6E+00
6.3E+00
5.4E-01
8.3E-02
7.1E-02
4.1E-02
1.7E-01
1.2E-01
4.5E-02
5.7E-02
6.0E-02
1.9E-01
5.4E-02
phel/100ns
Auger
465
377
342
328
324
278
168
146
28
29
25
16
15
21
18
11
13
9
Tabella 7. Flussi luminosi rilevati a Pino Torinese senza filtro. Nell’ultima colonna sono riportati i
valori riscalati per Auger. (1) Classe spettrale, (2) magnitudine visuale, (3) angolo zenitale al momento
dell’osservazione.
stella
sp
mv
Vega (á Cyg)
Vega (á Cyg)
æ Dra
ê Oph
ã Lyr
ï Her
é Her
ä Sgr
69 Her
30 Cyg
A0
A0
B5
K0
A0
A0
B3
M0
B3
A0
0.0
0.0
3.2
3.2
3.2
3.8
3.8
3.8
4.6
5.0
I anodo
(nA)
31
43
4.75
3.10
1.86
3.59
phel/100ns
sigma
phel/100ns
Auger
0.3
2.1
0.1
2.9
0.03
0.3
0.4
0.5
0.06
non misurabile
0.04
0.03
0.02
0.02
0.04
0.03
non misurabile
non misurabile
non misurabile
0.2
0.1
0.2
Tabella 8. Flussi luminosi rilevati a Pino Torinese con filtro U. Nell’ultima colonna sono riportati i
valori riscalati per Auger.
103
clouds
clouds
40000
35000
25000
15000
0
250
200
150
2.00
100
1.50
1.00
0.50
0
0.00
Figura 76. Flussi misurati con filtro U.
104
phel/100ns
29 Cyg (A0)
68 Her (B3)
del Sgt (M0)
Omi Her (A0)
iot Her (B3)
P Her (K5)
kap Oph (K0)
gam Lyr (A0)
Z=15°
Z=14°
Pino Torinese
No Filter
30 Cyg (A0)
69 Her (B3)
del Sgr (M0)
iot Her (B3)
Omi Her (A0)
zeta Dra (B5)
gam Dra (K5)
Deneb (A2)
Vega (A0)
Vega (A0)
Vega (A0)
Vega (A0)
Z=18°
Z=9.6°
10000
gam Lyr (A0)
Z=8°
Vega (A0)
Vega (A0)
Z=7.8°
20000
kap Oph (K0)
zeta Dra (B5)
Vega (A0)
50
Z=11°
Vega (A0)
5000
Vega (A0)
Anode Current (nA)
Anode Current
nA
phel/100ns
500
450
30000
400
350
300
250
200
150
100
50
0
Figura 75. Flussi misurati senza filtro, per i diversi valori di Vega sono riportate le condizioni
d’osservazione: angolo zenitale o presenza di nubi.
Pino Torinese
UG1 Filter
3.00
2.50
magnitudine misurata (relativa a Vega)
-1.0
0.0
1.0
Spettri stellari:
2.0
B
A
K
M
3.0
4.0
5.0
6.0
6.0
5.0
4.0
3.0
2.0
1.0
0.0
-1.0
magnitudine visuale
Figura 78. Confronto tra la luminosità visuale (~550nm) ed il segnale rilevato dal PMT senza filtro
magnitudine misurata (relativa a Vega)
UV, le frecce colorate corrispondono al colore delle stelle.
-1.00
A0
0.00
1.00
2.00
B3
B5
A0
3.00
A0
4.00
5.00
5.0
4.0
3.0
2.0
1.0
magnitudine visuale
0.0
-1.0
Figura 77. Come la figura precedente ma con filtro U, sono riportate solo le stelle per le quali è s tato
possibile rilevare un segnale.
105
San Rafael – Los Leones.
I test qui illustrati sono stati eseguiti dalla cittadina di San Rafael ed in particolare a Los
Leones (10 Km circa da Malargüe), esattamente dal sito dove è in costruzione il prototipo.
Alcune parti della strumentazione usata differiscono da quelle originali, per venire in
contro alla disponibilità di strumentazione in loco. I due fototubi XP3062 sono stati
sostituiti da due XP2012 [3] per non dover inviare in Argentina gli unici due XP3062
presenti a Milano; gli XP2012 hanno lo stesso tipo di fotocatodo ma di forma rotonda e
presentano 10 dinodi anziché 8. Gli ultimi due dinodi sono stati allora cortocircuitati per
adattarsi alle basi di polarizzazione attive ed è stata fatta una misura del guadagno di
corrente in questa nuova configurazione. Questa misura è stata fatta in modo diretto, cioè
misurando direttamente la corrente di catodo e confrontandola con quella anodica. Una
misura così delicata, ha richiesto uno strumento estremamente sensibile: l’elettrometro
KEITHLEY che può misurare correnti dell’ordine dei fA. Basandosi sulla nuova curva di
guadagno per i due esemplari (figura 79), si deduce che per ottenere il guadagno di
riferimento di 50K bisogna operare alla tensione di 1240/1280 V.
PMT 2012 Gain S/N 88236
PMT 2012 Gain S/N 88241
105
105
6.02
104
103
800
y = 1E-14x
1E-14x6.02
R2 = 0.9998
G
G
y = 2E-15x6.28
R2 = 0.9996
104
103
1000
1200
1400
1600
800
1000
HV (V)
1200
1400
1600
HV (V)
Figura 79. Misura di retta del guadagno dei due esemplari modificati del fototubo
XP2012 inviati in Argentina per i test.
106
I soggetti scelti questi test sono stati:
•
La stella á del Centauro, che è in realtà un sistema triplo (magnitudine 0 e 1.2 le
due componenti principali, di colore giallo).
•
Il fondo del cielo allo zenit da Buenos Aires, San Rafael e Los Leones ripreso sia al
telescopio che dal PMT senz’ottica.
•
Il fondo del cielo in vicinanza di á del Centauro dalle tre località.
•
Il fondo del cielo in direzione nordovest a Los Leones (direzione dell’array di
superficie).
L’ultima misura dell’elenco è molto significativa poiché costituisce un valore di
riferimento per il rivelatore di fluorescenza. La figura 80 mostra un confronto diretto dei
segnali provenienti dal fondocielo e dalla stella, nelle diverse località d’osservazione. Il
segnale di fondo è ovviamente molto intenso nella grande città a causa dell’inquinamento
luminoso, mentre è estremamente ridotto sul sito; il segnale in presenza della stella è il
risultato della somma fondo+stella e ciò si vede chiaramente dal grafico. Se si considera
invece il contributo della sola luminosità stellare (valori in tabella 9), questo varia
debolmente con la località: ciò è dovuto al diverso assorbimento atmosferico, considerato
che Los Leones si trova a circa 1400m s.l.m., San Raphael a 1000m mentre Buenos Aires è
al livello del mare.
La tabella 10 espone i risultati riguardanti il fondocielo in ph/ìs/m2/deg2: in questo modo è
possibile un confronto diretto con i dati dell’esperimento Hi-Res che danno un valore
medio pari a 40. I valori in tabella confermano così anche per il sito di Pampa Amarilla un
valore pari al sito dello Utah se non addirittura inferiore.
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Vout [V],0.58 phel/100 ns/ div
Los Leones
San Rafael
Buenos Aires
1.895
1.890
1.885
stella
1.880
-100
fondo
0
100
200
300
400
500
Time [sec]
Figura 80. Segnale proveniente dal fondocielo e da alfa Centauri nei tre siti di osservazione
(filtro MUG2).
(phel/100ns)
á Cen–fondo
fondo
Media
Sigma
Media
Sigma
Buenos Aires
31
3
200
10
San Rafael
37
4
26
2
Los Leones
34
3
7.1
0.8
Tabella 9. Nella prima colonna è riportato il segnale della sola stella una volta sottratto
il fondo che è riportato invece nella seconda colonna. I dati sono riscalati per Auger.
108
(ph/ìs/m2/deg2)
Senza filtro
Filtro MUG2
Filtro HiRes
Media
Sigma
Media
Sigma
Media
Sigma
Buenos Aires
8800
264
1200
60
-
-
San Rafael
Los Leones:
712
72
200
20
208
21
- vicino ad
á-Centauro
208
14
42
5
38
1.5
- Zenit
544
54
22
2.5
26
2.5
-
-
41
4
38
2.5
696
24
50
3
-
-
- NO, alt.30°
- Zenit, PMT senza
ottica
Tabella 10. Fondocielo: risultati riscalati per il prototipo Auger FD, valori in [ph/ìs/m2/deg2]
(efficienza quantica 25% come da specifiche Philips).
109
Bibliografia
[1] P.Sokolsky, “Sky background and atmospheric Trasmission” (1993)
[2] R.Cester, D.Maurizio, E.Menichetti, N.Pastrone “Evaluation of commercial UV
glass filters for the Auger Prototype Fluorescence Detector”, Auger Technical Note
GAP-99-031.
[3] Philips Photomultiplier Tubes Data Book, 1990
[4] Catalogo filtri Schott
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Ringraziamenti
Ringrazio in primo luogo il Professor Daniel Camin che, durante lo svolgimento di questa
attività di tesi, mi ha dato la possibilità di lavorare in grande autonomia, incoraggiandomi a
sviluppare argomenti di mio particolare interesse; di ulteriore aiuto è stata la possibilità di
inserirmi attivamente in una vasta collaborazione internazionale come quella del progetto
Auger.
Inoltre ringrazio il Dottor Giuseppe Battistoni, mio correlatore, per il paziente aiuto
datomi durante la fase di revisione della tesi e per avermi aiutato a comprendere alcuni
punti di un argomento controverso come quello dei raggi cosmici.
Un ringraziamento particolare a Sergio Parmeggiano che ha collaborato con grande
disponibilità alla realizzazione delle parti meccaniche utili allo sviluppo dei test.
Ai miei compagni di laboratorio: Valerio Grassi, Carlo Colombo, Moises Cuautle,
Riccardo Gariboldi, Viviana Scherini, un grazie, per il valido appoggio e la simpatica
collaborazione.
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