AEROSOLTERAPIA
a cura di Maria Carla Guenza, Centro Fibrosi Cistica di Genova
INTRODUZIONE
Il termine “nebulizzazione” deriva dal latino “nebula” che significa nebbia ed è stato usato
per la prima volta nel 1872. Nel 1874 viene data la definizione di nebulizzatore: “uno
strumento per trasformare un liquido in uno spray fine, con finalità principalmente
terapeutiche”.
L’intento di produrre vapore o aerosol per il trattamento delle patologie polmonari risale
alla storia più antica della medicina. Circa 4000 anni fa la tradizione ayurvedica della
medicina indiana utilizzava l’inalazione di sostanze medicamentose per la cura dell’asma.
Nonostante già nel diciannovesimo secolo venissero descritti apparecchi per
l’aerosolterapia, solo nel ‘900, intorno agli anni ’30, viene introdotto il primo
“atomizzatore” di vetro per il trattamento dell’asma. Negli anni ‘40 fu prodotto il
nebulizzatore Collison che, per la presenza di un deflettore per filtrare le particelle di
misura più grande, portò alla distinzione tra “atomizzazione” e “nebulizzazione”. Il
nebulizzatore Wright che comparve negli anni ’50, in ebanite e perspex, era più compatto e
più simile ai nebulizzatori meccanici attualmente in commercio.
Nel 1956 fu progettato nei Laboratori Riker il primo Inalatore Pressurizzato Predosato
(pMPI) che ha rappresentato una rivoluzione nella terapia aerosolica dando il via a studi
scientifici di enorme importanza.
I primi nebulizzatori ad ultrasuoni vennero prodotti negli anni ’60 ed infine negli anni ’70
nascono gli inalatori a polvere secca (PDI).
DEFINIZIONE E MODALITÀ D’AZIONE DEGLI AEROSOL
Con il termine di aerosol si definisce una sospensione di particelle solide e/o liquide
veicolate da un gas che può essere l’aria stessa o un propellente.
La terapia aerosolica viene usata in maniera sempre più estesa anche in caso di patologie
non polmonari con la finalità di somministrare sostanze (farmaci, vaccini, ormoni ecc.)
direttamente nelle vie aeree.
Per quello che riguarda in maniera più specifica la patologia respiratoria, la via inalatoria è
utilizzata sia nell’emergenza quando si verificano episodi acuti ad esempio negli attacchi
d’asma, sia nella terapia domiciliare a lungo termine in caso di malattie croniche di tipo
ostruttivo.
L’aerosolterapia sfrutta le proprietà dei tessuti del sistema respiratorio per consentire un
rapido ingresso nel circolo ematico delle sostanze medicinali: tale processo avviene in
maniera molto rapida data l’enorme estensione delle vie respiratorie e dell’epitelio
polmonare.
A differenza di quello che avviene nelle terapie sistemiche, nella terapia inalatoria viene
evitato il primo passaggio epatico che riduce notevolmente la percentuale di farmaco
assorbito.
Comunque anche nel caso dell’aerosol, soltanto una piccola frazione di farmaco raggiunge
i polmoni (tra il 2 e il 10%): la restante parte si deposita a livello dell’orofaringe e viene poi
degluttita, assorbita a livello intestinale e infine inattivata dal fegato.
Ciò significa che, nel caso di utilizzo della via inalatoria, per ridurre comunque gli effetti
sistemici negativi di un farmaco, questo dovrebbe essere scarsamente assorbito a livello
intestinale o rapidamente inattivato dal fegato. Inoltre per migliorarne l’effetto terapeutico
è necessario che una percentuale maggiore di farmaco raggiunga i polmoni e una minor
percentuale venga ingerita.
Da tutto questo deriva che l’efficacia della terapia aerosolica richiede da parte degli
operatori sanitari una conoscenza approfondita dei presupposti fisiologici su cui si basa,
dei meccanismi di deposizione delle particelle aerosolizzate, dell’azione dei farmaci, della
corretta modalità di somministrazione e del funzionamento dei vari apparecchi.
DEPOSIZIONE DELLE PARTICELLE
Col termine di deposizione si intende la quantità di sostanza che alla fine dell’erogazione
raggiunge le vie aeree. Strettamente collegato al concetto di deposizione è quello della
ritenzione, termine col quale si intende la frazione di aerosol che si trova ancora
nell’apparato respiratorio dopo un determinato periodo di tempo che può essere a breve
termine (entro 24 ore) o a lungo termine (1-3 mesi).
Sia la deposizione sia la ritenzione dipendono dalla depurazione ossia quell’ insieme di
meccanismi di difesa messi in atto dall’organismo per eliminare le sostanze estranee
inalate.
I meccanismi depurativi sono di tre tipi:
• meccanismi di tipo fisico: starnuto e tosse che rivestono grande importanza nelle alte e
medie vie respiratorie.
• meccanismi di tipo biofisico:
▪ la clearance mucociliare che si verifica a livello delle vie aeree dalla laringe ai
bronchioli terminali
▪ il gradiente statico e dinamico del tensioattivo alveolare, un meccanismo che agisce in
sinergia coi macrofagi a livello delle vie aeree non ciliate più distali fino a livello
parenchimale.
• meccanismi di tipo biologico ed enzimatico: fago e pinocitosi macrofagica alveolare.
MECCANISMI DI DEPOSIZIONE DEGLI AEROSOL
I meccanismi di deposizione delle particelle inalate nell’apparato respiratorio sono di
quattro tipi: per impatto inerziale, per sedimentazione o precipitazione, per diffusione e
per intercettazione
• Deposizione per impatto inerziale.
L’inerzia è la proprietà della materia di resistere ai tentativi di cambiamento del suo
moto. A causa dell’inerzia un corpo, non sottoposto all’azione di forze esterne,
mantiene il suo stato di quiete o, se è in moto, continua a muoversi in linea retta e con
velocità costante.
•
•
•
Nelle vie aeree il flusso dell’aria subisce continue variazioni di moto dovute non solo
alla progressiva decelerazione dalla bocca alle zone centrali ma anche ai continui
cambiamenti di direzione che si verificano a livello delle biforcazioni delle vie
respiratorie.
Questo fenomeno dipende in maniera proporzionale da:
ƒ le dimensioni delle particelle (superiori a 5 µm)
ƒ la densità delle particelle
ƒ la velocità del flusso d’aria che trasporta le particelle
ƒ l’ampiezza dell’angolo descritto dal flusso d’aria a livello delle biforcazioni
bronchiali.
Ne deriva che le deposizioni inerziali avvengono soprattutto nelle vie aeree prossimali
dove sono presenti grandi velocità lineari di flusso ed ampi angoli di variazione nel
loro decorso.
Deposizione per sedimentazione (particella solida) o per precipitazione (particella
liquida).
Questo meccanismo che non è influenzato dalle variazioni di moto del flusso aereo ma
dipende dalla forza di gravità; riguarda particelle di dimensioni e densità inferiori (tra
1 e 5 µm) e quindi circa l’80% delle particelle aerosolizzate. Tenderà inoltre a verificarsi
in vie respiratorie più distali (vie aeree medie)
Deposizione per diffusione.
Essa avviene a livello delle vie aeree più periferiche dove il flusso è nullo e le particelle
si muovono in tutte le direzioni per effetto di un movimento casuale definito
“browniano”. Dato che lo spazio percorso per diffusione è direttamente proporzionale
al coefficiente di diffusione che a sua volta è inversamente proporzionale al diametro
delle particelle, questo meccanismo di deposizione interessa le particelle di dimensioni
inferiori a 1 µm, mentre non è influenzato dalla loro densità.
Deposizione per intercettazione.
Si verifica quando le dimensioni delle particelle sono tali che la loro progressione è
impedita dal diametro delle vie aeree ed esse impattano sulle pareti dell’albero
bronchiale per incompatibilità spaziale.
FATTORI CHE CONDIZIONANO LA DEPOSIZIONE DEGLI AEROSOL
NELLE VIE AEREE
La deposizione degli aerosol, oltre ad essere influenzata da principi fisici (meccanismi di
deposizione) dipende anche da altri fattori.
• PAZIENTE
Nella scelta della miglior combinazione farmaco-strumento per ciascun paziente, si
deve tener conto di numerosi fattori, comprese l’età, la situazione clinica, le capacità
cognitive, la compliance ai trattamenti e le preferenze del paziente stesso. Tutti questi
elementi hanno un peso notevole sull’efficacia dell’aerosolterapia.
°
MORFOLOGIA DELLE VIE AEREE.
All’altezza della carena la trachea si divide nei due bronchi principali che si
suddividono a loro volta dicotonicamente dando origine ad ulteriori successive
generazioni di vie aeree di calibro sempre minore fino a giungere alle strutture
alveolari. E’ importante ricordare che, mentre il diametro di bronchi e bronchioli
diminuisce progredendo verso gli alveoli, la somma dell’area delle sezioni trasverse
delle vie aeree di pari generazione ha dimensioni sempre maggiori e questo
provoca una riduzione progressiva della velocità del flusso aereo.
Le particelle aerosolizzate a livello delle biforcazioni bronchiali devono cambiare
rapidamente la loro direzione secondo due angolazioni asimmetriche, una di 45° e
una di 70°. La forza centrifuga tenderà a far proseguire le particelle secondo la loro
traiettoria iniziale favorendone la deposizione per impatto e questo fenomeno avrà
maggior rilevanza nel bronco con minor angolazione (45°), mentre nel bronco
controlaterale che presenta un’angolazione maggiore e meno brusca, prevale
l’azione della forza di gravità e perciò la deposizione avverrà per sedimentazione
soprattutto per le particelle di dimensioni maggiori.
Riassumendo: nella porzione della via aerea più vicina alla biforcazione, dove la
velocità del flusso è elevata, la deposizione avverrà principalmente per impatto,
mentre la forza di gravità avrà maggior influenza nelle parti più distali dove
abbiamo una progressiva riduzione della velocità dei flussi. La massa delle
particelle ha comunque un ruolo rilevante.
°
PATTERN RESPIRATORIO E FLUSSI AEREI.
L’alta velocità del flusso erogato dagli apparecchi per l’aerosolterapia e le
caratteristiche del flusso inspiratorio che a livello del naso, faringe, trachea e
bronchi di diametro maggiore è di tipo turbolento, favoriscono la deposizione per
impatto della maggior parte delle particelle.
La velocità del flusso aereo però, diminuisce notevolmente durante il percorso
nell’albero bronchiale dalla trachea agli alveoli in quanto è inversamente
proporzionale all’area totale di sezione delle vie aeree.
Nella sua progressione lungo le vie aeree, il flusso diventa di tipo laminare e questo
favorisce una maggior penetrazione delle particelle prima che si depositino sulle
pareti bronchiali (sedimentazione)
Le caratteristiche dei flussi d’aria sono inoltre influenzate dalla frequenza
respiratoria e dal volume corrente: a bassa frequenza respiratoria e basso volume
corrente, le particelle mantengono una velocità abbastanza uniforme lungo tutto
l’albero bronchiale e la loro deposizione avviene principalmente per
sedimentazione. Quando questi parametri respiratori aumentano, avremo
un’accelerazione del flusso con una maggior deposizione per impatto (ad esempio
nel pianto).
Generalmente i flussi inspiratori di 0.5 l/sec. favoriscono un’otttimale deposizione
dei farmaci, mentre flussi maggiori sono necessari per generare aerosol a polvere
secca.
°
ETA’
Per quello che riguarda in particolare il periodo neonatale e quello
infanzia, esistono condizioni particolari che interferiscono con
esecuzione dell’aerosolterapia compresi una minor diametro delle
mancanza di coordinazione, un’elevata frequenza respiratoria,
inspiratorio breve e l’incapacità di trattenere il respiro.
°
della prima
un’ottimale
vie aree, la
un tempo
STATO DI MALATTIA RESPIRATORIA
La patologia dell’apparato respiratorio interferisce in maniera notevole sulla
deposizione dell’aerosol nelle vie aeree. Nelle malattie ostruttive abbiamo una
maggior deposizione per impatto inerziale a livello delle vie aeree più centrali
mentre si riduce la percentuale di farmaco che riesce a raggiungere le vie aeree
periferiche. Questo è dovuto principalmente alla riduzione del calibro delle vie
aeree responsabile di un aumento del flusso turbolento e un incremento della
frequenza respiratoria.
• CARATTERISTICHE DELLE PARTICELLE
1. Dimensioni. Le particelle aerosolizzate possono avere diametro o dimensioni
uguali e allora si parla di aerosol monodispersi, altrimenti si definiscono aerosol
eterodispersi. Generalmente gli apparecchi, nebulizzatori o aerosol dosati, generano
aerosol eterodispersi.
La misura più semplice, diffusa ed utile per determinare le dimensioni delle
particelle è il Diametro Aerodinamico Mediano di Massa (Mass Median
Aerodynamic Diameter, MMAD). L’MMAD è il diametro che divide la massa totale
dell’aerosol in due parti uguali di cui una composta da particelle con diametro
inferiore e l’altra con diametro superiore, riferito ad una particella sferica di densità
unitaria (1g/cm3) con la stessa velocità di sedimentazione o precipitazione. Questa
misurazione permette di confrontare, dal punto di vista fisico, particelle tra loro
differenti per forma e per densità in quest’ultimo caso quando si tratti di sostanze
differenti.
E’ utile anche misurare la deviazione standard (GSD) dell’MMAD perché ci dà
l’idea della varietà di misura delle particelle prodotte. Per avere un aerosol efficace,
le dimensioni delle particelle devono avere dimensioni il più possibile vicino
all’MMAD e quindi un GSD inferiore a 2.
Le particelle di dimensioni maggiori si depositeranno per impatto inerziale a livello
delle biforcazioni bronchiali, mentre quelle più piccole per sedimentazione e
diffusione nelle vie aeree più piccole e negli alveoli.
Le particelle con dimensioni maggiori di 10 µm, si depositano soprattutto a livello
oro-faringe mentre quelle che raggiungono le vie aeree inferiori hanno un MMAD
inferiore a 5µm.
Per particelle con diametro compreso tra 1 e 5 µm, la deposizione avverrà per
sedimentazione e quanto più si riducono le dimensioni, tanto più viene sfruttata la
diffusione browniana con una maggiore possibilità di raggiungere le vie bronchiali
più periferiche.
Infine le particelle inferiori a 0,5 µm raggiungono gli alveoli ma vengono poi
espirate senza depositarsi nei polmoni.
Un problema nella misurazione dell’MMAD deriva dal fatto che esistono metodi
diversi e questo crea difficoltà nell’interpretazione dei risultati anche da parte degli
esperti. Per ovviare a questo inconveniente, le linee guida dell’European
Respiratory Society raccomandano l’uso delle metodiche stabilite dallo Standard
Europeo (pnER13544-1).
2. Igroscopicità. La deposizione delle particelle deriva anche dalla loro capacità di
aumentare la dimensione in un ambiente saturo d’umidità come può essere
l’apparato respiratorio. Ciò fa sì che la deposizione avvenga in sedi completamente
diverse e più prossimali rispetto a quelle previste in base alle dimensioni originarie.
3. Interazione elettrostatica. L’effetto delle cariche elettrostatiche sulle particelle è
notevole e tende ad impedirne la coesione evitando un aumento di dimensioni che
favorirebbe la loro deposizione per inerzia e per gravità. Quando però le particelle
giungono a breve distanza dalla parete, si genera tra loro e la parete un dipolo
elettrico (sistema costituito da due cariche elettriche d’uguale intensità, ma di segno
opposto, separate da una piccola distanza) che ne provoca la deposizione.
• CARATTERISTICHE FISICO-CHIMICHE DEL FARMACO.
Due sono le caratteristiche fisico-chimiche della maggior parte di farmaci per aerosol:
▪ soluzione: il farmaco è disciolto in soluzione fisiologica o altri liquidi e formano un
insieme omogeneo di solvente (liquido) e soluto (farmaco)
▪ sospensione: il farmaco non è solubile in acqua o liquidi respirabili e si presenta
come un insieme di piccolissime particelle disperse in un liquido. Queste particelle
possono essere o meno presenti nelle goccioline prodotte dall’aerosol, mentre nella
soluzione il farmaco è presente omogeneamente in tutte le goccioline. E’ importante
sapere che in caso di particelle in sospensione, esse sono rivestite di un film di
liquido che ne aumenta significativamente il diametro.
• STRUMENTI
Bagaglio indispensabile per chiunque si occupi di fisioterapia respiratoria, non solo medici
ma anche tutti gli operatori che si prendono carico del paziente, è quello di conoscere le
caratteristiche dei diversi tipi di apparecchi usati più comunemente per l’aerosolterapia e i
loro principi di funzionamento. Tutto questo per essere in grado di insegnare l’uso
appropriato degli apparecchi ai pazienti. Numerosi studi hanno riportato una scarsa
conoscenza delle tecniche inalatorie sia da parte dei pazienti sia da parte del personale
sanitario.
E’ stato inoltre dimostrato che anche quando ai pazienti è stato insegnato l’uso corretto
dell’apparecchio per l’aerosolterapia, spesso lo utilizzano in maniera scorretta non
riuscendo così ad ottenere il massimo del beneficio dalla terapia.
Classificazione dei generatori di aerosol
Riguardo la somministrazione della terapia inalatoria, tre sono i tipi di apparecchi
attualmente disponibili:
• sistemi che erogano dosi prestabilite di farmaco attraverso un gas propellente (pMDI –
pressurized Metered Dose Inhaler)
• sistemi che erogano dosi prestabilite di farmaco come polvere secca (DPI – Dry
Powder Inhaler)
• sistemi che nebulizzano il farmaco (nebulizzatori)
In seguito vi sarà la descrizione approfondita dei vari tipi di strumenti, il loro utilizzo, i
vantaggi e gli svantaggi
DEFINIZIONI
Da tutte queste premesse derivano alcuni concetti essenziali utili per poter valutare
l’efficacia dell’aerosolterapia:
• Dose nominale: quantità di farmaco che viene erogata
• Frazione respirabile: quantità di farmaco che raggiunge potenzialmente le vie aeree in
base alle dimensioni delle particelle
• Dose polmonare: quantità di farmaco che raggiunge realmente le vie aeree periferiche
• Volume residuo: quantità di farmaco che rimane o nel distanziatore o nell’ampolla e
che non viene inalato.
• Concentrazione: che dipende dalla sorgente del gas che può essere secca come
l’ossigeno erogato a parete negli ospedali e che fa evaporare più velocemente l’acqua
della soluzione e quindi aumenta la concentrazione del farmaco, oppure umido come
l’aria ambiente utilizzata dal compressore.
PRESSURIZED METERED-DOSE INHALER (pMDI)
Nati alla metà degli anni ’50, gli erogatori di aerosol pressurizzato predosato, noti più
comunemente come pMDI, rappresentano il sistema più diffuso di erogazione dei farmaci
per via inalatoria.
Descrizione.
Gli apparecchi pMDI sono costituiti da una bomboletta pressurizzata che contiene il
principio attivo che può essere in soluzione o, più frequentemente, in sospensione con
surfactante che ne facilita la dispersione. Sono presenti poi propellenti gassosi che qualche
volta sono anche aromatizzati.
La bomboletta rivolta verso il basso è contenuta in un guscio di plastica. Se si esercita una
pressione sul fondo della bomboletta, viene erogata una quantità predeterminata di
farmaco sottoforma di aerosol eterodisperso.
Il diametro delle particelle, l’angolatura e la velocità di emissione caratterizzano la piuma
di aerosol generata le cui caratteristiche sono estremamente importanti nella deposizione
del farmaco a livello delle vie aeree inferiori.
Vantaggi.
Il pMDI è piccolo, facilmente trasportabile ed è veloce da usare. Proprio per queste
caratteristiche è lo strumento preferito per la terapia dell’asma e delle BPCO in molti paesi.
Inoltre spesso il farmaco per pMDI è meno costoso e le più recenti soluzioni di
idrofluoroalcani hanno una frazione di deposizione polmonare molto alta (≥ 50%).
Svantaggi.
Tra tutti gli strumenti per l’ aerosolterapia il pMDI richiede una tecnica di utilizzo che è la
più difficile soprattutto per i pazienti pediatrici o comunque poco collaboranti.
Inoltre per l’elevata velocità di erogazione si ha una alta percentuale di farmaco che si
deposita a livello dell’orofaringe.
Negli apparecchi pMDI non è previsto un contadose e questo non permette al paziente di
sapere quanto farmaco vi sia nella bomboletta o se questa sia vuota.
NB. E’ comunque possibile controllare quanto farmaco sia rimasto nella bomboletta. Basta
immergerla in un recipiente con dell’acqua: più la bomboletta galleggia, più è vuota.
I pMDI richiedono l’uso di propellenti: fino a poco tempo fa quelli utilizzati erano i
clorofluorocarburi (CFC) in quanto possiedono molte caratteristiche ideali per l’uso
medico dato che sono atossici, non infiammabili, chimicamente inerti, inodori, insapori e
molto stabili. Negli anni ’70 è stato segnalato il loro effetto dannoso sull’ozono e nel 1979 il
protocollo di Montreal ne ha sancito la progressiva sostituzione con altre sostanze che non
abbiano attività sull’ozono. La scelta è caduta sugli idrofluoroalcani (HFA), molecole
formate da atomi di carbonio, idrogeno e fluoro che hanno molti requisiti indispensabili
per l’uso dei pMDI: sono inerti, non infiammabili e non interagiscono con i principi attivi
dei farmaci. Tutto questo ha reso necessario adattare il pMDI ai nuovi propellenti:
sostituire i surfattanti (acido oleico o lecitina), insolubili negli HFA, con cosolventi quali
l’etanolo per solubilizzare i farmaci e rendere stabile e riproducibile la dose erogata. E’
stato pertanto necessario riprogettare le varie componenti con alcune conseguenze: il
volume del farmaco emesso è minore, meno veloce (miglior deposizione periferica) e a
temperatura più elevata (14°C rispetto ai -2°C degli pMDI-CFC) evitando il cold freon effect
tipico degli apparecchi precedenti.
Deposizione delle particelle aerosolizzate a livello delle vie aeree.
Negli spray predosati, la frazione respirabile di un aerosol dipende dal tempo di
evaporazione del propellente e dalla distanza di erogazione. Appena erogato, l’aerosol
presenta una velocità di 50m/sec circa, con un MMAD delle particelle di 30-40 µm e quindi
non ha le caratteristiche per essere respirato. In un secondo momento, con l’evaporazione
del propellente, la velocità diminuisce rapidamente ed arriva, ad una distanza di circa 10
cm. dalla valvola, a 10m/sec Con questa velocità e un MMAD delle particelle di 2 - 3 µm ,
l’aerosol acquista le caratteristiche ottimali per una soddisfacente deposizione nelle vie
aeree inferiori.
Fattori che possono modificare la piuma di aerosol erogata
Alcuni fattori possono modificare la piuma di aerosol emessa alterando la quantità di
farmaco erogata dal pMDI :
•
•
•
•
Il mancato utilizzo dello spray per qualche giorno può diminuire la dose erogata; per
ovviare a questo è sufficiente un’attivazione “a vuoto”: le dosi seguenti avranno le
giuste caratteristiche.
L’utilizzo dello spray oltre alle dosi stabilite provoca una diminuzione della
percentuale di farmaco erogato.
Una conservazione non adeguata influisce sulla dose alla prima erogazione, questo non
si verifica sempre e dipende dall’interazione farmaco-contenitore-valvola.
La mancata pulizia del boccaglio e dell’orifizio di erogazione può essere responsabile
di un’inadeguata erogazione del farmaco.
Tecnica corretta di inalazione
E’ essenziale che il paziente sia educato alla tecnica corretta perché questa garantisce
l’assunzione della dose terapeutica del farmaco ed influenza la presenza di effetti
collaterali locali e/o sistemici.
Con l’utilizzo dell’pMDI la deposizione del farmaco è circa del 10-15% della dose erogata
mentre l’80% si deposita nell’orofaringe e il 10% restante rimane nell’apparecchio.
La dose polmonare è inoltre condizionata dal flusso inspiratorio a parità di tecnica
corretta: bassi flussi inspiratori permettono alle particelle di raggiungere le vie aeree più
periferiche.
Riassumendo, la tecnica corretta di inalazione con pMDI è:
• Togliere il coperchio di protezione ed agitare bene la bomboletta
• Tenere la bomboletta verticale con il boccaglio in basso
• Espirare profondamente e lentamente
• Tenere il boccaglio a 3-4 cm. dalla bocca aperta
• Iniziare ad inspirare lentamente. Ad inspirazione appena iniziata attivare l’erogatore
senza interrompere l’inspirazione
• Trattenere per alcuni secondi il respiro
• Espirare lentamente
• Attendere 1 minuto prima di erogare una seconda dose.
AUTOINALATORI
Per ovviare alle difficoltà di coordinazione tra l’attivazione dello strumento e
l’inspirazione, sono stati introdotti gli autoinalatori. Essi sono costituiti da uno spray
pressurizzato con un meccanismo a molla che, una volta caricato, è in grado di erogare con
un’inspirazione a bassi flussi inspiratori (<30 l/min)una dose predeterminata di farmaco.
pMDI PIU’ SPAZIATORE
Le maggiori difficoltà nell’utilizzo corretto del pMDI riguardano la coordinazione
necessaria tra l’attivazione dell’apparecchio e l’inspirazione. Molte persone e soprattutto
gli anziani e i bambini, incontrano grandi difficoltà nell’uso degli spray dosati perché non
riescono a coordinare l’inspirazione con la pressione manuale sulla bomboletta
(coordinazione mano-polmone). Generalmente azionano il meccanismo durante
l’espirazione prima dell’inizio dell’inspirazione. Qualche volta il paziente, quando avverte
la sensazione di freddo sul palato, inspira dal naso invece che dalla bocca cosa che avviene
spesso nel bambino piccolo. Altri pazienti effettuano più erogazioni durante la singola
inspirazione perché temono che il farmaco non sia stato erogato.
Per rendere più semplice l’impiego dei pMDI e per aumentarne l’efficacia riducendo gli
effetti indesiderati derivanti della deposizione del farmaco sulla mucosa oro-faringea,
sono stati realizzati gli spaziatori.
Gli spaziatori sono in pratica dei serbatoi temporanei di aerosol nei quali le particelle
rallentano la loro velocità e diminuiscono il loro volume. In questo modo aumentano il
tempo disponibile per l’inalazione con un aumento della frazione respirabile della dose
erogata.
Gli spaziatori utilizzati con il pMDI sono di due tipi: i distanziatori (spacers) e le camere di
espansione ( Valved Holding Cambers – VHC).
•
I DISTANZIATORI.
Aumentano la distanza che il farmaco deve percorrere prima di essere inalato,
rallentando così la velocità dell’aerosol e consentendo al propellente di evaporare, in
questo modo si riducono le dimensioni delle particelle. Quelle di maggiori dimensioni
vengono trattenute all’interno dello spacer e così viene ridotta la percentuale di farmaco
che si deposita a livello oro-faringeo.
I distanziatori non hanno valvole e perciò richiedono una buona coordinazione e
quindi non sono adatti ai bambini più piccoli o pazienti che comunque hanno difficoltà
di coordinazione.
•
LE CAMERE DI ESPANSIONE.
Al loro interno si costituisce una riserva di farmaco che viene “prelevata “ dal paziente
respirando normalmente dalla bocca. Hanno gli stessi vantaggi del distanziatore, ma
sono anche in grado di ridurre la necessità di coordinare l’attivazione dello spray e
l’inspirazione e sono più facili da usare per i bambini, i pazienti più anziani o deboli
soprattutto quelli non in grado di collaborare e quelli gravemente dispnoici. In
particolare le camere dotate di valvola permettono al paziente di inspirare il farmaco
dal serbatoio in base alla propria frequenza respiratoria. La possibilità di utilizzare
maschere facciali invece dei boccagli permette il trattamento anche nel caso di bambini
molto piccoli. Alcuni modelli (es. Aerochamber©) sono dotati di un sistema acustico
che entra in funzione quando le inspirazioni sono troppo veloci in modo da migliorare
la compliance del paziente attraverso il feedback uditivo.
Questi dispositivi, riducendo la deposizione delle particelle a livello dell’orofaringe
diminuiscono l’effetto locale dei corticosteroidi inalati, come la candidosi orofaringea, e
riducono la quantità di farmaco che viene degluttita e assorbita a livello gastrointestinale
limitando così gli effetti sistemici.
Gli spaziatori a disposizione in commercio hanno diverse caratteristiche fisiche come il
volume (da 80 a 750 ml), la lunghezza (da 10 a 30 cm), la forma (cilindrica, sferica, a pera)
il materiale di costruzione (plastica, metallo, Terlux), la rigidità (rigidi o collassabili),
presenza di valvole (più o meno presenti, ad una valvola per l’inspirazione o a due valvole
sia per l’inspirazione sia per l’espirazione) ed infine l’interfaccia (boccaglio, maschera,
raccordo per le canule tracheostomiche o i circuiti del ventilatore).
FATTORI CHE INFLUENZANO LA QUANTITÀ DI FARMACO INALATA CON I
DISTANZIATORI.
Gli spaziatori rappresentano un notevole aiuto nella terapia con pMDI facilitando la
manovra in soggetti poco collaboranti, aumentando la quantità di farmaco che raggiunge
gli alveoli e diminuendo la deposizione oro-faringea del farmaco. D’altra parte le
caratteristiche degli spaziatori, le caratteristiche dei farmaci e l’età e il pattern respiratorio
del paziente hanno una notevole ricaduta sulla quantità di farmaco che raggiunge i
polmoni.
•
VOLUME
I risultati degli studi non sono sempre concordanti. Sembrerebbe dimostrato che gli
spaziatori di grosso volume rendano disponibile una quantità maggiore di farmaco
rispetto a quelli piccoli soprattutto per quello che riguarda alcuni farmaci (salbutamolo
e cromoglicati) rispetto ad altri (budesonide).
Nella scelta del volume bisogna comunque tener conto di alcuni fattori.
▪ Collaborazione del paziente.
Soprattutto nel bambino dipende dalla capacità di eseguire una inspirazione
prolungata a partire dal volume residuo: in tal caso è bene utilizzare un unico o al
massimo due atti inspiratori. Altrimenti, se il bambino respira a volume corrente, il
numero totale di atti deve essere sufficiente a vuotare completamente il
distanziatore. Nel caso di un bambino molto piccolo aumenterà il numero di atti
respiratori necessari, bisogna quindi tener conto che il volume corrente nel lattante
è di 9-10 ml/kg mentre nel bambino è di 7 ml/kg circa.
▪ Tempo in cui il farmaco è a disposizione nello spaziatore (residential time).
Il tempo a disposizione è breve, circa 10 secondi. Perciò se il bambino non è
collaborante, e quindi non è in grado di eseguire un’inspirazione profonda, si dovrà
tener conto non solo del volume corrente ma anche della frequenza respiratoria in
quell’arco di tempo. In questo caso sono da preferire i distanziatori di piccolo
volume.
•
TECNICA DI INALAZIONE
Nei soggetti collaboranti la tecnica migliore è quella di inalare lentamente (con un
flusso < 30 l/min) ed eseguire una pausa di apnea tele-inspiratoria di circa 10 sec. I
pazienti non collaboranti devono eseguire 3-5 atti respiratori attraverso la maschera o il
boccaglio.
•
CARICA ELETTROSTATICA
Sulle pareti della maggior parte di spaziatori, che sono realizzati in plastica o
policarbonato, si accumula una carica elettrostatica che attrae le particelle
aerosolizzate: questo fenomeno riduce la quantità di farmaco disponibile per
l’inalazione.
E’ possibile ovviare a questo inconveniente lavandolo con acqua e detergente ionico
(es. detersivo per i piatti) lasciandolo asciugare all’aria senza sciacquarlo o strofinarlo:
questo trattamento antistatico dura per almeno quattro settimane.
In alterntiva, quando l’apparecchio è nuovo o è stato pulito e disinfettato, si può
seguire un pre-trattamento, definito “priming” per saturare le cariche elettrostatiche
della plastica e che consiste nello spruzzare a vuoto dieci volte nello spaziatore prima
dell’utilizzo.
Esistono spaziatori in metallo o in Terlux che riducono o eliminano il fenomeno.
L’annullamento o la riduzione della carica elettrostatica è molto importante perché
aumenta il tempo di residenza del farmaco all’interno dello spaziatore da 10 a 30
secondi circa.
•
NUMERO DELLE DOSI SPRUZZATE
I farmaci vanno vaporizzati all’interno dello spaziatore eseguendo un puff per volta
senza lasciar passare più di dieci secondi tra l’erogazione e l’inizio dell’inspirazione
altrimenti le particelle si depositano sulle pareti dell’apparecchio.
Se si fanno più puff contemporaneamente, le particelle erogate urtano le une con le
altre, aumentano di peso e si depositano all’interno dell’apparecchio riducendo la
percentuale totale di dose inalabile: è quindi necessario frapporre un intervallo di un
minuto circa tra un puff e l’altro, ripetendo l’operazione fino a quando non siano state
erogate tutte le dosi prescritte.
•
DISEGNO DELLE VALVOLE
Determina il così detto “spazio morto” (DSV Dead Space Volume): tanto maggiore è lo
spazio morto, tanto maggiore è la perdita di farmaco ad ogni atto inspiratorio.
Naturalmente la sua importanza è maggiore quando si utilizzano spaziatori di piccolo
volume e quando si respira a basso volume corrente.
Al di sotto dei tre anni bisogna utilizzare uno spaziatore con maschera e due valvole in
modo che il bambino utilizzi tutta la forza inspiratoria sulla valvola di entrata e possa
eseguire più respiri senza dover staccare la maschera dal volto.
Inoltre durante l’utilizzo dello spaziatore occorre sempre verificare che la valvola si
apra e si chiuda ad ogni atto respiratorio e non si blocchi.
•
FORMA DELLA MASCHERA FACCIALE
Nei bambini sotto i tre anni per i quali è indicato l’utilizzo di una maschera facciale, è
indispensabile che questa abbia un’ottima aderenza. E’ quindi importante assicurarsi
che i genitori abbiano ricevuto informazioni ed un’educazione adeguata riguardo
all’importanza che ha l’aderenza della mascherina durante la terapia aerosolica anche
in caso di utilizzo del nebulizzatore.
•
TIPO DI SPAZIATORE
La dose respirabile erogata da uno stesso spray varia in base al tipo di spaziatore
utilizzato. Ciò sembra dipendere dalla combinazione tra la geometria interna
dell’apparecchio e la piuma aerosolica erogata dallo spray.
EROGATORI DI POLVERE SECCA (Dry-Powder Inhalers – DPI)
Gli erogatori di polvere sono i più recenti apparecchi per aerosolterapia e sono di
differenti tipi. Esistono erogatori monodose ed erogatori multidose. Generalmente essi
sono di più facile utilizzo rispetto ai pMDI e non contengono propellente.
Le particelle erogate dal DPI, proprio per la mancanza del propellente, non sono cariche
elettrostaticamente e quindi sono stabili dal punto di vista aerodinamico.
La presenza di un eccipiente (carrier) che rende il farmaco meno coesivo, ha una ricaduta
determinante sulla dispersione delle particelle nell’aria inspirata per l’azione della forza di
coesione tra particelle e della forza di adesione tra carrier e principio attivo.
Descrizione
Questi apparecchi sono costituiti da un serbatoio o contenitore, un corpo ed un boccaglio.
Nel serbatoio o nelle unità delle singole dosi sono contenute le particelle del principio
attivo sotto forma di aggregati di dimensioni fino a 60 µm.
All’interno del corpo dell’erogatore vi sono i “canali di aspirazione” attraverso i quali
vengono trascinate le dosi di farmaco fino al boccaglio.
La conformazione interna di questi erogatori permette la produzione di particelle
aerosolizzate nel momento in cui il paziente compie una manovra inspiratoria forzata
attraverso l’apparecchio. Infatti l’energia necessaria per micronizzare la polvere e renderla
respirabile è fornita dal paziente stesso grazie al suo flusso inspiratorio: in questa maniera
oltre a non essere più necessaria la presenza di propellente non è neanche necessaria
alcuna coordinazione tra l’inalazione e l’erogazione del farmaco (coordinazione manopolmone).
La struttura interna dell’erogatore condiziona la deposizione delle particelle: la lunghezza
e la tortuosità dei canali determina la turbolenza necessaria alla disgregazione del farmaco
ma può aumentare la resistenza al flusso inspiratorio con conseguente deposizione
all’interno dell’erogatore stesso o in oro-faringe.
Quindi i picchi di flusso inspiratorio prodotti dipendono non solo dalla capacità del
paziente ma anche dalla resistenza al flusso prodotta dall’inalatore.
Esistono due diversi tipi di erogatori: monodose e multidose.
Erogatori monodose
Un esempio è lo Spinhaler © , il primo ed è anche il più conosciuto. In questi apparecchi il
farmaco in singola dose è contenuto in capsule di gelatina mescolata con una polvere
inerte (glucosio o lattosio).
Essi sono costituiti da:
▪ corpo centrale contenente la dose di farmaco
▪ sistema di rottura o perforazione della capsula
▪ canale di aspirazione.
Essi devono essere ricaricati ogni volta.
Il flusso inspiratorio necessario per ottenere un’erogazione ottimale del farmaco con questi
dispositivi deve essere superiore a 60 l/min, flussi inferiori non sono sufficienti a svuotare
completamente la capsula anche con tempi inspiratori prolungati (3 - 6 sec).Ultimamente
sono stati prodotti inalatori con caratteristiche strutturali leggermente diverse che hanno
una resistenza al flusso minore e quindi possono essere usati anche in bambini in età
scolare.
Inoltre gli erogatori monodose di prima generazione data l’elevata quota di deposizione
del farmaco in oro-faringe (70-80% della dose erogata) e la bassa deposizione polmonare
(6-12% della dose nominale), ne sconsigliano l’uso in età pediatrica.
Erogatori multidose
Esempi sono il Turbohaler© e il Diskus©. Nel primo il farmaco è all’interno del serbatoio
(reservoir) e viene raccolto ad ogni erogazione in cellette a forma di cono. Nel secondo
invece il farmaco è contenuto in singole dosi all’interno di alveoli disposti lungo un blister.
Vantaggi
Il principale dei vantaggi è sicuramente la facilità di impiego anche se richiedono un flusso
inspiratorio elevato (60 l/min) che ne limita l’uso nei bambini molto piccoli e nei soggetti
non collaboranti. Comunque generalmente sono più semplici da usare rispetto ai pMDI
dato che sono attivati dall’inspirazione e non richiedono alcuna coordinazione tra
attivazione e respirazione.
Altro vantaggio è l’assenza di propellente.
Svantaggi
Nei DPI, come nei pMDI senza distanziatore, vi è una notevole deposizione di particelle in
oro-faringe.
Come abbiamo visto la tecnica richiede un’inspirazione rapida e profonda in quanto è
necessario un flusso inspiratorio molto alto e questo ne limita l’uso nei bambini sotto i 5
anni e nei soggetti non collaboranti. E’ inoltre necessario un buon volume polmonare per
garantire la deposizione delle particelle nelle vie aeree inferiori. Comunque è stato
dimostrato che la deposizione polmonare del farmaco dipende anche dal dispositivo
utilizzato.
E’ necessaria una buona istruzione all’uso di questi dispositivi soprattutto nei bambini
perché la non corretta assunzione del farmaco a causa di una inadeguata tecnica
rappresenta una problematica rilevante soprattutto in età pediatrica.
Infine questo tipo di erogatore non può essere utilizzato in caso di pazienti in ventilazione
meccanica.
NEBULIZZATORI
I nebulizzatori utilizzati per l’aerosolterapia, sono apparecchi che producono un aerosol
eterodisperso nel quale la maggior parte del farmaco è contenuta in particelle con MMAD
tra 1 e 5 µm.
Esistono due tipi di nebulizzatore: nebulizzatori a ultrasuoni che utilizzano la vibrazione
di un cristallo piezoelettrico per atomizzare le particelle, e nebulizzatori meccanici (jet
nebulizer) che utilizzano invece aria compressa.
Nella scelta del nebulizzatore, che è fondamentale per ottenere un trattamento ottimale, si
deve tener conto di alcuni fattori importanti: il farmaco che si vuole nebulizzare, le
caratteristiche del paziente (età, grado di collaborazione, durata del trattamento, soggetto
in respiro spontaneo o in ventilazione meccanica), la sua patologia e l’ambiente in cui si
svolge la terapia (ospedale o domicilio).
NEBULIZZATORI AD ULTRASUONI
Questi apparecchi producono aerosol attraverso la vibrazione di un cristallo piezoelettrico.
L’effetto piezoelettrico è una caratteristica di alcuni materiali di trasformare o “trasdurre”
l’energia meccanica in energia elettrica e viceversa.
Le vibrazioni del cristallo si trasmettono al farmaco in soluzione sulla cui superficie si
formano delle onde. Dalla cresta delle onde le goccioline vengono liberate come nebbia. Il
volume delle goccioline è inversamente proporzionale ai due terzi della frequenza acustica
del cristallo. Le vibrazioni possono essere trasmesse direttamente alla soluzione da
nebulizzare (a camera singola) oppure attraverso un liquido di accoppiamento che
generalmente è l’acqua ( a camera doppia).
La maggior parte di questi apparecchi hanno un’elevata emissione aerosolica che li rende
particolarmente utili per umidificare le vie aeree o per indurre l’espettorazione soprattutto
in ambiente ospedaliero.
Vantaggi
I nebulizzatori ad ultrasuoni richiedono un pattern respiratorio normale, sono molto
veloci nel nebulizzare con una riduzione del tempo necessario per la terapia aerosolica.
Svantaggi.
Le vibrazioni ad alte frequenze prodotte dal nebulizzatore possono alterare la stabilità del
farmaco.
Le proteine tremolabili posono essere degradate dal calore prodotto da questi strumenti
fino ad essere addirittura inattivate.
D’altra parte le proprietà chimico-fisiche dei farmaci possono rendere meno efficienti gli
apparecchi: è stato dimostrato che la misura delle goccioline di aerosol è proporzionale
alla viscosità e non alla frequenza delle vibrazione: maggiore è la viscosità e la tensione
superficiale della soluzione, maggiore sarà il tempo necessario per nebulizzarla.
Esistono prove scientifiche riguardo il fatto che i farmaci in sospensione a differenza delle
soluzioni, non vengono nebulizzati in maniera ottimale.
Il volume residuo è relativamente alto, intendendo con volume residuo la quantità di
soluzione che rimane all’interno della camera alla fine della nebulizzazione.
Infine dato che le vibrazioni prodotte da questi apparecchi agiscono sulla superficie del
liquido da nebulizzare, le particelle che sono sospese al di sotto della superficie possono
depositarsi riducendo così la concentrazione del farmaco aerosolizzato.
NEBULIZZATORI MECCANICI
Struttura
Il principio fisico su cui si basa il funzionamento dei nebulizzatori meccanici è il principio
di Bernulli secondo il quale all'aumentare della velocità di un fluido si crea
necessariamente una diminuzione della pressione interna al fluido stesso.
Durante il processo di atomizzazione, il liquido da nebulizzare è spinto dal gas compresso
attraverso un piccolissimo canale dove si verifica l’effetto Venturi determinato dalla legge
fisica della portata secondo la quale la velocità di un fluido aumenta in corrispondenza
delle strozzature. L’aria, a valle del canale, espandendosi determina una pressione
negativa che richiama il liquido da nebulizzare e nello stesso tempo lo frantuma
atomizzandolo (MMAD di 15-500 µm). Le particelle prodotte non hanno ancora un
MMAD che permetta la loro penetrazione nelle vie respiratorie inferiori: in
corrispondenza dell’orifizio si trova un deflettore (baffle) che ha lo scopo di trattenere le
particelle più grosse facendole ricadere nell’ampolla per essere nuovamente nebulizzate e
di far passare invece quelle che possono raggiungere le vie aeree. La forma del deflettore è
essenziale nella produzione di particelle respirabili.
L’ampolla ha quindi un’importanza determinante nell’efficacia dell’aerosolterapia
effettuata con nebulizzatori meccanici.
In questo tipo di nebulizzatore vi è un unico flusso in entrata ed un unico flusso in uscita
che “trascina” con sé le particelle aerosolizzate. L’ampolla è connessa ad un tubo a T e ad
un boccaglio o ad una maschera per i bambini molto piccoli che non sono in grado di
utilizzare il boccaglio. Il flusso in uscita è indipendente da ogni attività respiratoria del
paziente e si mantiene costante sia durante l’inspirazione sia durante l’espirazione così che
una parte di farmaco viene persa nell’ambiente.
Per diminuire la perdita di farmaco sono stati studiati nuovi apparecchi.
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•
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Open vent nebulizer
Per esempio Medic-Aid© o Sidetream©.
Questi apparecchi che sfruttano un doppio effetto Venturi per cui l’aria entra
nell’ampolla non solo dal basso (aria compressa) ma anche dall’alto generando un
maggior flusso d’aria nell’ampolla che consente alle particelle di essere aerosolizzate
più velocemente, a parità di compressore, e quindi di ridurre il tempo di erogazione.
Questo tipo di apparecchio non sembra essere indicato per bambini molto piccoli con
un basso flusso inspiratorio che non sono in grado di inspirare tutto l’aerosol prodotto
dall’apparecchio e quindi ricevono meno farmaco di quello prodotto.
Breath assisted, open vent nebulizer
Per esempio Pari LC Plus©.
Questo tipo di nebulizzatore utilizza un’ampolla che viene attivata dall’inspirazione
del paziente sfruttando il principio del trascinamento aggiuntivo di aria durante
l’inspirazione tramite una valvola sulla sommità dell’ampolla che si chiude durante
l’espirazione riducendo così la dispersione di aerosol.
Nebulizzatori “intermittenti”
Dato che con nebulizzatori a flusso continuo vi è comunque una perdita di almeno il
50% di aerosol durante l’espirazione, sono stati introdotti i nebulizzatori intermittenti
che erogano il flusso solamente durante la fase inspiratoria. Questi apparecchi
richiedono però o complicati sensori (es. Halolite©, Medic-Air Ltd©) oppure devono
essere azionati tramite un pulsante dal paziente stesso ( es. PARI LL©) e richiedono una
notevole coordinazione per cui sono difficilmente utilizzabili in pazienti molto piccoli o
molto anziani. Oltretutto il tempo necessario per erogare l’aerosl è notevolmente
aumentato rendendo meno accettabile la terapia.
OUTPUT, VOLUME RESIDUO E CONCENTRAZIONE DEL FARMACO
Gli apparecchi per aerosol hanno una resa scarsa: solo il 10% dell’aerosol è disponibile per
il paziente (output) e questo dipende dall’apparecchio utilizzato, dalle caratteristiche del
paziente stesso e del farmaco.
L’output totale di un aerosol è rappresentato dalla differenza tra la dose iniziale di
farmaco introdotta nell’ampolla e quello che rimane alla fine della nebulizzazione
(Volume residuo – Vd). Parte di questo volume residuo rimane alla base dell’ampolla,
mentre la maggior parte si deposita come goccioline sulle pareti dell’ampolla stessa.
Durante il processo di aerosolizzazione, a causa dell’elevata superficie totale delle
particelle, soprattutto se si utilizzano gas secchi (dry), si avrà una rapida evaporazione
della soluzione e un altrettanto rapido raffreddamento dell’aerosol prodotto: in pochi
minuti si arriva a 10° al di sotto della temperatura ambiente.
A causa di questa continua evaporizzazione si ha un aumento della concentrazione del
farmaco rispetto a quella iniziale.
Quindi per quantificare esattamente l’output di un aerosol sarà indispensabile misurare
non solo il Vd, ma anche la concentrazione del farmaco residuo.
Anche l’umidità relativa del flusso gassoso ha una ricaduta sull’output. Ad esempio la
maggior parte dei compressori per uso domiciliare sono considerati “wet” dato che
utilizzano aria ambiente compressa. Mentre in ambiente ospedaliero vengono utilizzati
aria compressa o ossigeno “a muro” che sono sorgenti di gas secchi. In caso di una
sorgente umida vi sarà minor evaporazione e minor concentrazione di farmaco nel volume
residuo.
Altri fattori influenzano l’output di un nebulizzatore.
Una bassa tensione superficiale delle particelle diminuirà la loro deposizione sulle pareti
dell’ampolla così come la forma dell’ampolla stessa.
Tutti gli apparecchi hanno un volume residuo (circa 1ml) che può essere ridotto dando dei
colpetti “tapping” sulle pareti dell’ampolla durante la nebulizzazione.
Dato che la quantità di farmaco nebulizzato è inversamente proporzionale alla
concentrazione del farmaco presente nel volume residuo è possibile aumentare l’output
diluendo il farmaco anche se questo aumenta la durata della terapia. Per molti apparecchi
4ml sono l’ideale dato che per quantità ≤ 3ml sono insufficienti e più dipendenti
dall’apparecchio.
TECNICA DI INALAZIONE
Il pattern respiratorio durante l’inalazione con i nebulizzatori non influenza l’emissione
aerosolica, ma ha una notevole importanza sulla deposizione polmonare del farmaco.
La tecnica migliore da utilizzare durante l’aerosol consiste nel respirare a volume corrente
non troppo rapidamente e senza pause.
Le variabili più importanti sono: il volume respiratorio, il flusso inspiratorio e il rapporto
tra il tempo inspiratorio rispetto a quello totale (Ti/Ttot).
Teoricamente maggiore è il volume inspirato e la durata della pausa teleinspiratoria,
maggiore sarà la deposizione per sedimentazione nelle vie aeree inferiori, ma alcuni studi
hanno dimostrato come l’influenza di queste variabili sia molto modesta. Invece una
inspirazione brusca (>1 l/sec) riduce drasticamente la deposizione più profonda e favorisce
quella per impatto nelle prime vie aeree.
Il rapporto Ti/Ttot è particolarmente importante con l’utilizzo delle ampolle a
nebulizzazione continua mentre ha scarsa importanza con quelle breath-enhance dove ha
maggior influenza il flusso inspiratorio.
VANTAGGI
I nebulizzatori possono essere utilizzati a qualsiasi età e in qualsiasi grado di malattia
respiratoria sia severa sia acuta.
In alcuni casi sono possibili combinazioni di farmaci quando compatibili (attenzione alle
combinazioni di fantasia!!) e questo può ridurre la durata della terapia aerosolica.
Inoltre soprattutto nella terapia delle BPCO e dell’asma, con i nebulizzatori è possibile
aerosolizzare anche alte dosi di farmaco, cosa che non è possibile né con i pMDI né con i
DPI.
Infine i nebulizzatori non contengono propellenti e richiedono un addestramento dei
pazienti o dei genitori molto breve.
SVANTAGGI
Numerosi sono gli svantaggi dei nebulizzatori.
Richiedono molto tempo per effettuare la terapia aerosolica.
Hanno necessità di una sorgente di aria compressa e di una fonte di energia elettrica, non
sono portatili e richiedono manutenzione.
Inoltre è indispensabile una continua ed attenta pulizia e disinfezione dell’apparecchio per
il controllo delle infezioni e per evitare contaminazioni.
DISCUSSIONE
ETA’ PEDIATRICA
Esistono notevoli differenze tra adulto e bambino sia dal punto di vista anatomico e
fisiologico, sia dal punto di vista della compliance.
Per quello che riguarda la deposizione dell’aerosol utilizzando un nebulizzatore, è stato
dimostrato come l’età abbia un’importanza notevole sulla quantità di aerosol inalato.
Nel caso di un aerosol che eroghi un flusso di 8l/min, il paziente respirerà circa 3l/min
(rapporto in-espirazione di 2 : 3). Se il flusso inspiratorio del paziente è maggiore del
flusso erogato dall’apparecchio, inspirerà anche aria ambiente diluendo l’aerosol.
Il bambino molto piccolo inspirerà aerosol puro autolimitandone però la dose totale a
causa del basso volume corrente. Il bambino più grande invece diluirà l’aerosol come
l’adulto ma in percentuale minore con il rischio di inalare una dose pro chilo più grande
rispetto all’adulto.
A differenza di quello che avviene per l’adulto, l’uso della maschera facciale non sembra
creare problemi particolari nel bambino, perché le vie aeree superiori sono più larghe
rispetto alla grandezza totale del corpo e anche il fatto che la respirazione nei primissimi
anni sia essenzialmente nasale non interferisce sulla dose di aerosol inspirato a causa della
mancanza di peli che quando sono presenti trattengono le particelle.
E’ stato dimostrato che se un bambino piange durante la somministrazione dell’aerosol, la
maggior parte di farmaco si deposita in oro-farimge e poi viene degluttita: quindi la dose
che raggiunge i polmoni è molto ridotta. Per diminuire il tempo dell’inalazione e le
probabilità che il bambino si metta a piangere, soprattutto nella terapia dell’asma, viene
utilizzatio il pMDI con maschera.
Va però ricordato che nell’utilizzo della maschera è essenziale che questa sia ben aderente
al viso ed è quindi importantissimo addestrare in questo senso i genitori.
L’aderenza della maschera è un elemento indispensabile: è stato infatti dimostrato che se
questa è tenuta a soli 2 cm. dal viso vi è una riduzione della dose inalata dell’85%. Per
questo è sconsigliata la tecnica utilizzata da alcuni genitori e definita ”blow-up tecnique”
che consiste nel dirigere il flusso dell’aerosol verso il naso e la bocca del bambino per
evitare che pianga.
Uno studio recente però condotto con modelli simulando le vie respiratorie e il pattern
respiratorio di un neonato, ha dimostrato che l’utilizzo di un tubo corrugato che trattiene il
flusso dell’aerosol e lo concentra, fa sì che la dose inalata con la blow-up technique sia
sovrapponibile a quella con la maschera aderente al viso.
Appena possibile è bene comunque passare al boccaglio anche se questo richiede una
maggior istruzione del paziente che deve essere allenato a non usare il naso, a non mettere
la lingua davanti al boccaglio, alla respirazione corretta e appena possibile a trattenere il
fiato per qualche secondo ad ogni inspirazione.
Dato che una grande percentuale di bambini molto piccoli si agitano durante la
somministrazione dell’aerosol una soluzione per evitare le perdite dalla maschera e
aumentare l’efficacia dell’aerosol, è quella di eseguire la terapia mentre dormono.
Uno studio recentissimo ha però dimostrato che comunque in molti bambini è preferibile
la somministrazione mentre sono svegli in quanto la deposizione polmonare è di circa un
terzo in più rispetto a quando dormono.
Indicazioni per il corretto utilizzo degli apparecchi aerosolici in base all’età:
STRUMENTI
Nebulizzatore
pMDI
pMDI con spaziatore
pMDI con spaziatore e maschera
pMDI con tubo endotracheale
DPI
ETÀ
≤ 2 anni
> 5 anni
> 4 anni
≤ 4 anni
neonato
≥ 5 anni
AEROSOLTERAPIA NEI PAZIENTI VENTILATI MECCANICAMENTE
La deposizione polmonare dell’aerosol in un paziente intubato è ridotta.
Nel caso di un paziente ventilato meccanicamente, sono indicati sia i nebulizzatori sia i
pMDI mentre il DPI non può essere utilizzato.
L’aerosol deve essere erogato o direttamente nel circuito o attraverso un distanziatore il
più vicino possibile al tubo endotracheale.
COMPLIANCE E ADHERENCE
Il termine “compliance” sta ad indicare l’aderenza da parte del paziente alle terapie
prescritte, mentre “adherence” implica una partecipazione attiva da parte del paziente.
Generalmente si distingue un atteggiamento “non intenzionale” dovuto alla mancanza di
comprensione dell’importanza delle cure ed un atteggiamento invece “intenzionale” nel
caso il paziente abbia capito ma non voglia seguire i programmi terapeutici.
Nel caso della terapia aerosolica, numerose sono le cause di questa scarsa aderenza tra cui
la complessità dei regimi terapeutici (frequenza, numero dei farmaci), la tipologia del
farmaco, la consapevolezza dell’entità della malattia da parte del paziente, le sue
convinzioni e infine fattori socioculturali e psicologici.
Anche la mancanza di un uso corretto degli strumenti rappresenta un tipo particolare di
non aderenza alle cure. E’ stato dimostrato che una delle cause principali sia da ricercare
anche nella scarsa conoscenza delle corrette procedure terapeutiche da parte di una
grande parte degli operatori stessi.
Numerosi sono gli studi riguardo le difficoltà da parte dei pazienti nell’uso degli
apparecchi e gli errori più comuni nel loro utilizzo soprattutto per quello che riguarda i
pMDI (coordinazione tra attivazione ed inspirazione).
Abbiamo visto che l’uso dei DPI elimina le difficoltà di coordinazione necessarie con i
pMDI, ma uno studio recente di Melani ha trovato una percentuale simile di scarso
utilizzo confrontando i due strumenti.
Per evitare difficoltà nei pazienti è preferibile indicare e addestrare all’uso di un solo tipo
di apparecchio se possibile, così come nei bambini che sono abituati ad effettuare l’aerosol
con pMDI a volume corrente, non conviene modificare la tecnica modificando il pattern
respiratorio (un’unica inspirazione prolungata seguita dalla pausa tele-inspiratoria) anche
se più corretto.
Secondo Lewis e Fink per migliorare l’”adherence” dei pazienti è essenziale che nella
preparazione degli operatori sia enfatizzato il concetto di relazione col paziente.
L’educazione del paziente è indispensabile nel creare questo rapporto: l’operatore deve
aiutare il paziente a comprendere la malattia ed imparare a gestirla autonomamente. Con
una buona comunicazione l’operatore può essere in grado di identificare quale sia il
problema alla base di una scarsa aderenza e cercare, insieme col paziente una soluzione
appropriata.
PULIZIA E DISINFEZIONE DEGLI APPARECCHI
Tutti gli apparecchi utilizzati per l’aerosolterapia possono essere contaminati da patogeni
ed è quindi fondamentale adottare rigorose misure di pulizia e disinfezione.
In merito a questo argomento si rimanda alle “RACCOMANDAZIONI PER LA
PREVENZIONE ED IL CONTROLLO DELLE INFEZIONI DA PATOGENI RESPIRATORI
IN FIBROSI CISTICA” ad opera del Gruppo di lavoro della Società Italiana per lo Studio
della Fibrosi Cistica.
LA TERAPIA INALATORIA DELLE ALTE VIE
RESPIRATORIE
L’incidenza sempre maggiore delle patologie delle vie aeree superiori (V.A.S.) sia su base
allergica sia infettiva, ha portato a studi riguardanti trattamenti topici per ridurre gli
effetti collaterali della via sistemica.
L’efficacia di questa terapia è legata sia a fattori dipendenti dal paziente (compliance,
pattern respiratorio, caratteristiche della mucosa nasale e del suo sistema vascolare) sia a
fattori tecnici (tipo di apparecchio, caratteristiche chimico-fisiche del farmaco).
I nuovi dispositivi meccanici sono in grado di produrre un aerosol con una granulometria
che favorisca la deposizione a livello del naso e dell’oro-faringe (MMAD ≥ 18-20 µm).
Le vie aeree superiori costituiscono un distretto anatomo-funzionale di enorme
importanza per quello che riguarda la fisiopatologia dell’apparato respiratorio.
La flogosi delle vie aeree superiori nonostante una eziopatologia varia e differenti
alterazioni anatomo-patologiche, si accompagna quasi sempre ad una sintomatologia
caratterizzata da ostruzione nasale, iperemia mucosa, alterazioni chimico-fisiche delle
secrezioni. Soprattutto in età pediatrica questi processi flogistici coinvolgono poi tutto
l’apparato respiratorio in quanto il bambino non è in grado di effettuare una corretta
toilette nasale e il muco discende verso le vie aeree inferiori per effetto della gravità dove il
ristagno di secrezioni provoca un’alterazione della clearance muco-ciliare.
Bisogna anche prendere in considerazione le differenze anatomiche e funzionali (ipertrofia
del tessuto linfatico, caratteristiche dell’unità rino-faringe-tubo-timpanica) del bambino
che favoriscono l’instaurarsi di processi infettivi.
Alla nascita il naso si presenta maggiormente accresciuto nella porzione antero-posteriore
o etmoidale, che corrisponde al meato medio. Dai due anni l’accrescimento avviene
soprattutto in senso trasversale sino ai sei anni, quando raggiunge l’assetto definitivo con
lo sviluppo del meato inferiore.
Le cavità nasali sono collegate direttamente con i seni paranasali (mascellari, etmoidali,
sferoidali e frontali) attraverso i meati superiore e medio. Il processo di pneumatizzazione
dei seni mascellari inizia nel secondo anno di vita. Gli altri seni paranasali raggiungono la
maturazione completa (sviluppo definitiva delle terminazioni nervose, del letto vascolare
e della mucosa) solo dopo il decimo anno.
I seni paranasali svolgono un ruolo importante nella ventilazione e nel trasporto
mucociliare. La ventilazione dei seni è determinata per il 20% dal gradiente pressorio tra
fosse nasali e cavità sinusali, per il restante 80% ad un processo passivo di diffusione
gassosa tra la mucosa e il circolo ematico. Le cilia presenti nei seni paranasali spingono il
muco verso l’ostio di comunicazione con la cavità nasale.
I seni mascellari ed etmoidali si aprono nel complesso osteo-meatale che costituisce la
cosìdetta “zona trigger”. La sua particolare conformazione favorisce la confluenza del 90%
del flusso aereo nasale con il suo carico di particelle, allergeni, virus e batteri.
Nel rinofaringe del bambino sono presenti la tonsilla faringea e le adenoidi che hanno il
compito di regolare la risposta immunitaria.
Nel neonato il laringe si trova nella parte alta del collo, l’epiglottide è più stretta e
verticalizzata e la sottomucosa è meno adesa alla mucosa rispetto all’adulto. Tutte queste
caratteristiche favoriscono una predisposizione all’edema. Inoltre nel bambino la
componente cartilaginea
collabire più facilmente.
ha minore consistenza e quindi durante l’inspirazione può
TERAPIA INALATORIA
E’ stato ampiamente dimostrato che la fisiopatologia delle vie aeree superiori dipende
essenzialmente dalla pervietà di questo sistema. La loro ostruzione infatti è il punto di
partenza dei processi flogistici a cui seguono in successione il ristagno di muco, l’infezione
batterica, l’edema della mucosa e le alterazioni della clearance muco-ciliare.
La terapia inalatoria possiede tutti i requisiti per ripristinare le condizioni fisiologiche di
pervietà e di drenaggio.
La corretta terapia inalatoria per questo distretto si basa su tecniche endonasali di cui le
principali sono:
▪ Gocce nasali
Hanno scarsissime se non nulle indicazioni terapeutiche data la loro mancanza di
potere di dispersione: rimangono per pochi secondi sul pavimento delle fosse nasali
e poi vengono degluttite
▪ Inalazioni caldo-umide
Prodotte dal vapore liberato dall’acqua in ebollizione (fumigazioni), la loro azione è
legata ai farmaci o all’effetto del calore che inducendo iperemia locale, favorisce il
trofismo delle mucose e la fluidificazione del muco.
▪ Spray nasali
Sono indicati soprattutto per le patologie del complesso osteo-meatale (situato nella
parete laterale del naso, sede del drenaggio dell’etmoide anteriore, del seno
macsellare e di quello frontale). Producono particelle con un elevato impatto
inerziale sulle regioni anteriori delle cavità nasali. Sono da preferire agli aerosol
pre-dosati perché non contengono propellenti e alle polveri secche in quanto non
irritano meccanicamente la mucosa nasale.
▪ Irrigazioni o lavaggi nasali
Per la detersione delle cavità nasali negli ultimi anni, vengono utilizzati presidi a
base di soluzione fisiologica isotonica, soluzioni ipertoniche, oppure acqua di mare
sterile semplice o associata a determinati elementi con finalità terapeutica
aggiuntiva.
A seconda dell’età si utilizzano: flaconcini monouso per i lattanti, flaconi con
nebulizzatore (getto micronizzato) fino ai 5 anni e flaconi con getto forte dopo i sei
anni. Per evitare riflessi nasali o rino-bronchiali è bene che la soluzione sia ad una
temperatura di 36°C ca.
E’ indispensabile istruire il paziente a mettersi nella posizione corretta per la
somministrazione: per raggiungere le aree etmoidali e meatali la posizione è quella
a testa in giù.
La frequenza dei lavaggi nasali è in base all’entità delle secrezioni, l’unica
precauzione è quella di evitare getti troppo violenti che possono danneggiare
l’orecchio medio in quanto l’ostio tubarico è pervio soprattutto nel bambino nel
quale la tuba uditiva è più breve e più pervia rispetto all’adulto e la comunicazione
rino-faringe e orecchio medio più diretta.
Non si deve piegare la testa di lato per evitare che la soluzione passi nell’orecchio
medio portandosi dietro secrezioni che possano provocare infezione dell’orecchio
medio.
▪
Aerosolterapia
E’ la tecnica inalatoria più utilizzata soprattutto in età pediatrica.
Il nebulizzatore meccanico è lo strumento migliore in quanto quello ad ultrasuoni
non è in grado di produrre particelle di diametro adatto alla deposizione nelle alte
vie respiratorie.
La scelta dello strumento va fatto in base alla zona che si vuole raggiungere con
l’aerosol: per le alte vie respiratorie il MMAD deve avere superiore a 10 µm:
maggiore è il diametro più prossimale sarà la loro deposizione.
L’ampolla Rinowash© garantisce una ottimale deposizione delle particelle
aerosolozzate nelle vie aeree superiori (MMAD >18 µm): un diametro così elevato
ha un tempo di nebulizzazione molto breve (1 ml in 10 sec.), ottimizzando così la
compliance dei pazienti soprattutto in età pediatrica.
Inoltre il sistema a doccia micronizzata ha anche la capacità di rimuovere
meccanicamente le secrezioni mucose garantendo una buona toilette nasale anche
nei pazienti non collaboranti.
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