Imparare dalla nostra storia: un’unità nella diversità di Giovanni Cherubini Professore ordinario di Storia medievale, Università degli Studi di Firenze Sono nato in tempo per sperimentare la follia e la ferocia dell’ultima guerra ed esserne, in qualche modo, segnato dall’odio. A otto anni, nel 1944, fui infatti chiuso nella piccola chiesa del mio paese insieme ai miei familiari e a tutti i parrocchiani e intesi chiaramente dal pievano che ci informava dall’altare che i tedeschi avevano intenzione di minare l’edificio con tutti noi dentro. Non andò poi così, ma in altro modo furono messe a morte una ventina di persone nel corso di quella giornata. Come è facile capire, quella storia, per quanto ormai lontana, lasciò molti dolori e risentimenti. Il che non esclude che anche in direzione opposta, passata la guerra, siano state perpetrate nell’immediato uccisioni e vendette. Ricordo tuttavia che, sia pure con qualche riflessione, l’idea che il continente o meglio la sua parte occidentale – non essendo io comunista per quanto molto interessato alle vicende storiche di quel grande Paese che è la Russia – cercasse finalmente la via per non ripetere le guerre del passato mi conquistò. E in questa direzione operarono spesso e fecero sentire la loro voce anche grandi studiosi come Lucien Febvre, che fece del ricordo di Marc Bloch combattente contro la Germania nazista e ucciso per questo motivo, un impegno civile che fece sentire i suoi effetti ben al di là dei confini francesi. A spingermi verso questa convinzione contribuirono anche le conoscenze via via acquisite con gli studi e le parole della nostra Costituzione, tese a limitare, di fatto, la guerra da parte nostra soltanto a una guerra di autodifesa o di difesa della libertà dei popoli. In più, attraverso gli studi e l’approfondimento delle conoscenze, mi resi sempre meglio conto di quanto osservava il grande medievista Roberto Sabatino Lopez, emigrato negli Stati Uniti per fuggire il fascismo, che l’Europa era stata cioè, almeno nel Medioevo, una splendida unità nella diversità, cioè una unità fra Paesi diversi. Si tratta di una verità anche oggi palese a chi guardi le cose con un minimo di acume. Basta infatti soffermarsi a riflettere su quali forme e attraverso quali vie i singoli Stati si siano formati e si siano poi organizzati (netta prevalenza di monarchie su repubbliche per molti secoli, ma oggi pochi regni ancora in piedi fra una quasi totalità di repubbliche, ma l’una diversa dall’altra). Ma anche pensare alla storia molto differenziata delle nostre città, che è andata nei secoli dalle città-Stato italiane (cioè città che si autogovernano dall’ammini- 21 Imparare dalla nostra storia: un’unità nella diversità 22 strazione della giustizia all’economia e alla politica estera) alle città dell’impero germanico, differenziate nella loro condizione, ma anche con la vicenda tutta particolare e mercantile delle città hanseatiche, sino alla splendida fioritura delle città russe prima dell’emersione dell’impero moscovita. Non a caso sono slittato al di fuori dei confini della Comunità europea accennando alla Russia. Un elemento che infatti contrassegna l’Europa è la presenza generalizzata, sia pure più o meno condivisa da un luogo all’altro, della tradizione cristiana, per quanto frazionata fra cattolici, greco-ortodossi, anglicani, protestanti delle diverse confessioni. Senza eguali nel mondo Una variegata e unitaria realtà, che potremmo molto facilmente arricchire con un minimo di osservazioni relative, ai prodotti dello spirito – letteratura, arti, filosofia, scienze, nascita e sviluppo delle università –, e rendere più completa e complessa prendendo in esame altri aspetti, senza nessun volgare determinismo, ma almeno con la voglia di capire quanto il continente europeo abbia offerto nei secoli un’immagine di sé che non trova l’eguale in nessun altro angolo della terra. Mi riferisco, ad esempio, alla prevalenza di un clima temperato, che mostra tuttavia qualche eccesso in direzione opposta dalla pianura russa al nord del continente; una interessante articolazione tra montagne, colline e pianure, e una maggiore e potremmo dire straordinaria varietà tra l’articolazione delle coste, la storica presenza di porti diversi verso il Mediterraneo o verso l’Atlantico, la presenza e la portata di grandi fiumi, la presenza, ancora, di estese aree coperte di foreste. E in Europa sono anche nati la crescita e lo sviluppo dell’economia, che si portarono dietro, insieme alla ricchezza, all’affermazione della borghesia, alle prime manifestazioni del capitalismo, anche l’impoverimento e le difficoltà di tanti nuovi poveri alle prese con questi nuovi sviluppi raramente temperati dalla solidarietà tra gli uomini e dalla carità. Mutate oggi l’economia, le divisioni tra le classi sociali e molti aspetti del vivere sociale, il problema resta vivo in tutta la sua drammaticità e interpella uomini animati dalla tradizione cristiana, ancora presente entro i confini dell’Europa e ben al di là dell’Europa, e uomini che ancora credono e sognano e vorrebbero operare per un mondo migliore e più giusto che consideri l’altro non qualcuno da disprezzare o, soltanto con più ipocrisia, un altro da prendere in qualche modo in considerazione, ma invece un altro degno almeno di una vita dignitosa e libera nelle sue scelte di base. Il sogno lontano dei nostri predecessori Per quale motivo dunque, ci si potrebbe chiedere, in decenni così felici come quelli che l’Europa ha vissuto dopo la Seconda guerra mondiale, si sono messi in moto organismi tanto solenni e dispendiosissimi, cominciando dallo stesso parlamento europeo, si è tanto discusso di moneta, di euro, di banca, si sono chiamati a mostrare la loro inutile sapienza tanti ex-uomini di Stato, si è pensato a una Costituzione e non si è invece mai immaginato che l’Europa, per funzionare, anzi per esistere in modo decente, non potrebbe che essere una Confederazione fra Stati. Credo infatti che nessuno degli Stati esistenti sia realmente disposto a cedere una parte effettiva e importante della propria identità. Da questo in là diventerebbe fondamentale e appassionante immaginare un governo centrale con ampi poteri, eletto su scala europea o comunque messo in carica con un solido meccanismo, che fosse anche messo in grado di far sentire a tutti gli europei che l’Europa esce in questo modo dalla sua minorità. Su un progetto di questa natura tutti, forse, potrebbero continuare a credere nel grande sogno dei lontani predecessori. Tutta la storia del nostro continente è stata una lunga storia di civiltà alla quale ha portato e continua a portare il suo contributo il ricordo della saggezza di Roma e la presenza della Chiesa. Tutta la storia del nostro continente, se è stata anche una storia di violenze, di guerre, di conquiste, è stata tuttavia una lunga storia di civiltà alla quale, in qualche modo, ha portato e continua a portare il suo contributo il ricordo della saggezza di Roma e la presenza della Chiesa, che ha fatto di Roma la sua storica sede. Del resto, con l’imporsi del mondo moderno, la Chiesa cattolica è riuscita non soltanto ad abbandonare, ma anche a criticare in modo a tutti palese più d’uno dei suoi passati comportamenti, come l’impegno per le crociate e la responsabilità dell’Inquisizione. D’altra parte, su un terreno diverso, quello del rapporto con gli altri, già entro il Medioevo gli europei, e gli italiani non certo meno delle altre nazioni, si sono aperti alla conoscenza degli altri attraverso i commerci e i rapporti pacifici che garantissero a tutti, senza uso delle armi, guadagni e conoscenze per rendere la vita collettiva migliore e più serena. La stessa scoperta dell’America porta impressi i tratti essenziali venuti dall’Europa e l’America, al di là delle sue molteplici specificità, è un’immagine dell’Europa, anche quando dal vecchio continente ha derivato qualche tratto non positivo quale la schiavitù. Tuttavia anche quando questi aspetti negativi sollevano i nostri sensi di colpa, non si deve tuttavia dimenticare che anche altri sono stati a lungo «mercanti di schiavi» e neppure dimenticare, certo con il precedente storico degli Stati Uniti, che i Paesi europei hanno ormai un faro che li guida nelle regole della democrazia politica e nella libertà dell’individuo. 23