FARMACI
Economia sanitaria
Farmaco, ma
quanto mi costi?
La spesa farmaceutica costituisce
la più importante uscita del Sistema
sanitario nazionale.
Vediamo chi e come
stabilisce quanto
deve costare
un prodotto
che non è come
tutti gli altri
a cura di DANIELA OVADIA
uando, nel luglio del 2013,
per la prima volta due farmaci oncologici innovativi
sono stati inseriti nella fascia
C, quella a totale carico del
cittadino, il pubblico ha cominciato a
preoccuparsi e chiedersi che cosa determina il prezzo di una cura e perché le molecole più innovative raggiungono quotazioni da capogiro, tali da rendere sempre
più difficile per lo Stato fornire gratuitamente queste medicine a tutti i cittadini.
I farmaci sono prodotti speciali, perché sono essenziali per curare le malattie;
d'altro canto sono anche prodotti commerciali e devono creare, per chi investe
nella loro messa a punto, produzione e
distribuzione (cioè le case farmaceutiche),
un giusto profitto. Raggiungere un equilibrio tra queste due “anime” non è affatto
semplice, e infatti diversi elementi e organi di controllo contribuiscono a determinare il prezzo finale.
Q
Molti anni
di investimenti
“Fare un farmaco nuovo è costoso, sia
in termini di denaro sia di tempo” spiega
Livio Garattini, economista presso il Centro di economia sanitaria A. Valenti
(CESAV) dell'Istituto Mario Negri di Milano. Per arrivare dal laboratorio alla farmacia servono infatti
oltre dieci anni, con
quattro fasi sperimentali già prestabilite,
che vanno dai test in
vitro a quelli sul modello animale, fino
alle prime sperimentazioni sull'uomo
sano e poi infine sui pazienti. Un lasso di
tempo che non tiene conto delle fasi di
ideazione e di individuazione del meccanismo su cui agire, cioè della ricerca di
base, che le precede anche di molti anni, i
cui costi possono essere sia a carico del-
l'industria (ma ciò accade sempre meno)
sia a carico dello Stato (in caso di ricerche
svolte con fondi pubblici) o delle non profit che sostengono la ricerca come AIRC.
Si comprende facilmente come, dal
momento in cui uno scienziato attiva
una ricerca per esplorare la validità di
un’idea ed eventualmente trova la chiave
con la quale iniziare a produrre il farmaco, fino al momento della sua distribuzione nelle case e negli
ospedali, possono passare 15 o 20 anni, e
questo ovviamente incide sui costi.
“Uno dei classici errori che si fanno in
questi casi è pensare che stiamo pagando
la scatoletta che compriamo per quello
che vale, cioè per il puro costo delle materie prime e della fabbricazione. Ovviamente non è così” spiega Garattini.
Un medicinale è quindi più simile a
un capo firmato, ma il sovrapprezzo non
Dall’idea
di un farmaco
alla pastiglia
passano 20 anni
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FARMACI
Economia sanitaria
è dato dalla pubblicità o dalla notorietà
del marchio, quanto dal peso economico
degli anni di ricerca: le quattro fasi canoniche costano in media circa 500 milioni
di dollari. A questi si sommano i costi sostenuti dalle aziende per fare ricerca su
tutte quelle molecole che si rivelano, durante la sperimentazione, non adatte per
via della scarsa efficacia o della tossicità:
su 20 nuove medicine che raggiungono
almeno la fase di sperimentazione su colture cellulari, solo tre arriveranno al paziente, e su quelle tre grava anche l'investimento fatto sulle restanti 17.
Registrazioni
e contrattazioni
Dopo aver testato la nuova molecola
su colture cellulari, su modelli animali e
sulle persone, la casa produttrice deve affrontare nuove spese: quelle di registrazione e approvazione della sostanza per de-
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terminate indicazioni. Esistono infatti
due grandi agenzie regolatorie che autorizzano a commercializzare una medicina: la Food and Drug Administration
(FDA) negli Stati Uniti e la European Medicines Agency (EMA). A loro vanno mandati tutti i risultati degli studi condotti
per ciascuna indicazione: in sostanza, se
un farmaco funziona sia per il mal di testa
sia per il mal di denti, il produttore dovrà
dimostrarlo con studi separati e fornire
alle agenzie le prove di ambedue le affermazioni. In caso contrario, il farmaco
verrà ufficialmente registrato solo per la
cura di quanto provato.
Questo può costituire un problema,
perché le aziende produttrici, anche per
risparmiare sui costi, a volte presentano
richiesta di registrazione solo per alcune
patologie e non per altre sulle quali però
si sa che la medicina è efficace. “Le ragioni per cui ciò avviene possono essere
molte: una scelta di marketing (magari
perché contro un certo disturbo c'è già
sul mercato una cura
ugualmente o più efficace prodotta da altri)
oppure di
ampiezza del mercato (per
una certa patologia ci sono
troppo pochi pazienti per
cui non conviene chiedere
la registrazione)” continua
Garattini.
Nel caso della cura dei tumori, soprattutto riguardo ai
nuovi farmaci biologici (spesso anticorpi monoclonali prodotti contro un bersaglio specifico
espresso dalla cellula), questo accade
sempre più spesso e costringe i medici
alle cosiddette prescrizioni off label (cioè
al di fuori di una indicazione riconosciuta): una pratica che andrebbe riservata
solo a casi eccezionali, ma che invece sta
dilagando, con preoccupazione dei medici stessi e dei Sistemi sanitari nazionali
(SSN), che vedono lievitare i costi per la
spesa farmaceutica.
L'Italia, per fortuna, ha ancora un SSN
efficiente e in grado di curare tutti i cittadini senza discriminazioni. Medici, farmaci e ospedali costituiscono però, come
tutti sanno, uno dei maggiori capitoli di
spesa dello Stato, che assorbe da solo
circa il 16 per cento del Prodotto interno
lordo, secondo un rapporto pubblicato
nel settembre 2013 dall'Università Tor
Vergata di Roma. Il costo dei farmaci incide non poco sul totale ed è per questo che
lo Stato ha deciso di contrattare con le
aziende il prezzo sulla base del quale possono vendere il loro prodotto.
“”
QUALCHE
DATO
La spesa farmaceutica a carico
del Sistema sanitario nazionale
(SSN) ha fatto registrare, nel 2011
(ultimo anno per il quale abbiamo i
dati a disposizione), una diminuzione
dell'8,6 per cento rispetto al 2010, a
In questo articolo:
costi sanitari
farmaci
ricerca
Una lunga trattativa
Come è ben noto, esistono tre classi di
farmaci sulla base di chi paga per il loro
acquisto: i farmaci di fascia A sono a totale carico dello Stato, se prescritti da un
medico, con l'eccezione del versamento
del ticket; i farmaci in fascia C sono a totale carico del cittadino e quelli di fascia
H, o ospedalieri, sono pagati per intero
dal SSN e distribuiti solo alle farmacie
ospedaliere, perché si tratta di sostanze
di uso complesso, che vanno monitorate
da medici specialisti. Il principio alla
base di questa suddivisione è infatti quello per cui lo Stato paga solo per i farmaci
davvero indispensabili ed efficaci, mentre tutto il resto (i cosiddetti farmaci di
conforto) è pagato direttamente dal cittadino. Ciò non significa che le aziende
produttrici possano fare come vogliono:
anche per la fascia C esiste un prezzo
concordato con l'Agenzia italiana per il
farmaco (AIFA), che è l'organismo deputato a trattare. Solo i cosiddetti farmaci
SOP (senza obbligo di prescrizione) possono essere messi in commercio con un
prezzo stabilito
esclusivamente dalla
casa farmaceutica,
perché si ritiene che
siano utili solo in situazioni limitate.
“Chi produce un
farmaco, per aprire la trattativa sui costi
deve mandare all'AIFA tutti i documenti
sugli studi che ha effettuato, dai quali
deve emergere che la sostanza ha rapporto costo-efficacia positivo, cioè è utile per
curare malattie per le quali non c'è un'altra cura disponibile oppure deve essere
più efficace (o avere meno effetti collate-
rali) di una medicina già in
uso. Può anche avere altri
elementi positivi, per esempio
può essere più facile da assumere, magari
perché si tratta di una medicina che si
prende per bocca e che fino a quel
momento esisteva solo in forma
iniettabile. In quel
caso deve avere
un'efficacia pari a
quella delle altre specialità già in commercio” spiega Garattini.
Fatto ciò si attiva il Comitato
prezzi e rimborso dell'AIFA stessa che
esamina la richiesta e fa una
stima di quanto potrebbe costare al SSN la
rimborsabilità totale, oppure decide per
l'inserimento in fascia C a carico del cittadino. Ovviamente ciò non accade praticamente mai nel caso dei farmaci oncologici, tranne quando, come nel luglio scorso,
per ragioni burocratiche la nuova medicina fu approvata per una certa indicazione
prima che fosse
stata completata la
trattativa sul prezzo. E infatti, nel
caso specifico, data
l'importanza e la
delicatezza delle
cure coinvolte, dopo la denuncia dei giornali è stata avviata una procedura urgente
che ha permesso di inserire le nuove sostanze tra quelle pagate dallo Stato in
tempi più brevi del solito.
C'è anche un altro elemento importante che concorre a formare il prezzo
della scatoletta che portiamo a casa: il
fronte di un aumento del numero
delle ricette dello 0,6 per cento. Nel
2011 le ricette sono state oltre 590
milioni, pari a quasi 10 ricette per
ciascun cittadino. Le confezioni di
medicinali erogate a carico del SSN
sono state oltre un miliardo e 80
milioni.
Ogni cittadino italiano ha ritirato in
farmacia in media 18 confezioni di
medicinali a carico del SSN. È calato
però il valore medio delle ricette
stesse (circa del 9 per cento): si
prescrivono più farmaci, ma di prezzo
mediamente più basso. Al calo della
spesa farmaceutica hanno contribuito
sia i maggiori controlli sui medici che
prescrivono (con regole più stringenti
per quanto riguarda le indicazioni) sia
le trattative fatte dall'AIFA con le case
farmaceutiche per ottenere sconti sul
prezzo stabilito.
Il prezzo
non corrisponde
al valore materiale
del prodotto
suo impatto sulla salute e
sulle spese generali del SSN. Ecco
un esempio: una casa farmaceutica scopre che un vecchio farmaco, ormai quasi
in disuso e di basso costo, è molto efficace
per curare un certo tumore o un'altra malattia grave e invalidante. Nel metterlo
sul mercato avrà diritto a farlo pagare
molto più di quanto costava prima, in
parte per coprire le spese delle nuove ricerche che ha dovuto condurre per certificarne l’idoneità al nuovo uso, in parte
perché va a riempire un vuoto terapeutico, evitando al SSN spese molto più impegnative come quelle per sostenere un
invalido o un malato molto grave. Infine,
elemento non secondario, il produttore
avrà bisogno di ottenere dalla vendita un
profitto, sia per avere soldi da reinvestire
in nuove ricerche sia perché è pur sempre un'impresa commerciale e deve rendere conto ai suoi azionisti.
“Una medicina è un prodotto commerciale, ma non è come tutti gli altri” conclude Garattini. “Il suo valore non è dato
da ciò che contiene ma da un insieme
complesso di elementi che solo lo Stato
può valutare”.