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IL TUMORE DEL COLON
A cura del Dott. Claudio Mattana
Chirurgia Generale 1, Policlinico Universitario A. Gemelli - Roma
Anatomia
Il grosso intestino è la parte terminale dell’apparato digerente; inizia dopo il piccolo intestino a livello della
valvola ileo-cecale e termina con l’ano. E’ diviso in due porzioni: una prossimale chiamata colon lunga circa
90 centimetri ed una terminale chiamata retto lunga circa 15 centimetri. Il colon viene a sua volta diviso in
colon destro o ascendente, trasverso, sinistro o discendente e sigma. Il grosso intestino è deputato
principalmente al riassorbimento dell’acqua dagli alimenti e consente l’accumulo delle feci (funzione di
serbatoio del retto) al fine di poter defecare normalmente solo 1 o 2 volte al giorno.
La malattia
Il tumore del colon (quasi sempre un adenocarcinoma) è il secondo cancro come frequenza negli Stati
Uniti; colpisce annualmente 140.000 nuovi soggetti ed è causa la morte di circa 60.000 persone ogni anno. In
Italia l’incidenza annuale di questa neoplasia è progressivamente aumentata negli ultimi 40 anni, fino a
raggiungere il tasso di 70 nuovi casi ogni 100.000 abitanti all’anno. La neoplasia è potenzialmente curabile
se diagnosticata precocemente. In genere il tumore si sviluppa dalla mucosa colica (che è la parte più interna
del colon) con la comparsa di un polipo (piccolo tumore benigno) che è facilmente asportabile con la
colonscopia se diagnosticato precocemente. Nel giro di 2-3 anni tale polipo si ingrandisce e diventa una
neoplasia maligna (Figura). I polipi si trovano con maggior frequenza nel sigma e nel retto (circa il 60% dei
casi)
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Quali sono i soggetti a rischio?
Il rischio aumenta con l’età dell’individuo: il 90% dei tumori colpisce individui di età superiore a 50 anni ed
il rischio si raddoppia ogni 10 anni. Alcune malattie come la colite ulcerosa, il morbo di Crohn, la poliposi
del colon e la pregressa presenza di cancri in altri organi (in particolare mammella e utero) sono spesso
associati alle neoplasie del colon. Un fattore di rischio è sicuramente la familiarità. Fermo restando che la
familiarità per neoplasie coliche e per i polipi del colon costituisce di per se un rischio per lo sviluppo di
questo tipo di tumori, esistono due reali forme ereditarie: a) una forma familiare (incidenza del 30-40%) in
cui i consanguinei di primo grado hanno un rischio due volte superiore di avere la neoplasia specie se il
primo soggetto è stato colpito in età inferiore a 50 anni; b) una forma legata ad anormalità genetiche
specifiche (4-6%) come ad esempio la Poliposi Familiare, la sindrome di Lynch ed altre sindromi.
Come e chi deve fare lo screening per le neoplasie del colon?
La ricerca del sangue occulto nelle feci è il mezzo più semplice e meno costoso per lo screening delle
neoplasie del grosso intestino; purtroppo la possibilità di trovare una neoplasia con tale metodica non supera
il 50%. Soggetti senza fattori di rischio dovrebbero sottoporsi ad una colonscopia (un esame ambulatoriale
che consente la visualizzazione all’interno di tutto il colon) dopo i 50 anni di età. Tale esame deve essere
anticipato a 40 anni qualora vi sia una familiarità per neoplasia colorettale. In presenza di soggetti nelle cui
famiglie vi siano molti casi di neoplasia colica o di altre neoplasie, oltre alla colonscopia, è consigliato uno
studio genetico dei familiari.
Quali sono i sintomi del tumore del colon?
Il sintomo più frequente della neoplasia colica è l’emissione di sangue con le feci. Un altro sintomo in genere
precoce è l’alterazione delle abitudini defecatorie, sia in senso diarroico, sia con la comparsa di stipsi a
seconda di dove è localizzato il tumore. Altri sintomi possono essere il dimagrimento e l’astenia. Purtroppo i
polipi e le piccole neoplasie non danno alcun sintomo precoce. Di qui la necessità della colonscopia
preventiva a 50 anni e la diffusione di adeguati programmi di screening.
Come si cura il tumore del colon?
Nella grande maggioranza dei casi la terapia dei tumori del colon è chirurgica e prevede l’asportazione del
tratto di intestino con il tumore e delle linfoghiandole che drenano la linfa dal tratto interessato dal tumore.
La tecnica, a differenza dei tumori del retto, prevede sempre la restaurazione della continuità intestinale,
consentendo perciò all’individuo operato una normale funzionalità defecatoria. Solo in rari casi come in
interventi eseguiti in urgenza o in seguito a complicanze post operatorie è possibile che vi sia la necessità di
confezionare una stomia per deviare le feci all’esterno dell’addome; tale stomia è in genere provvisoria e nei
mesi successivi la continuità intestinale viene restaurata. Nel caso in cui l’esame istologico del pezzo
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operatorio asportato dimostri la presenza di tumore nei linfonodi, sarà necessario sottoporsi a chemioterapie
di completamento. Tale trattamento, sempre a giudizio dello specialista oncologo, potrà essere riservato
anche ai casi in cui il grado di malignità della neoplasia sia elevato.
In Italia tale chirurgia viene eseguita dai chirurghi generali; in Europa e negli Stati Uniti esiste una figura
specializzata che si chiama chirurgo colo-rettale. Le più recenti pubblicazioni a riguardo confermano come
nei paesi dove esista il chirurgo dedicato, i risultati in termini di sopravvivenza e ridotto numero di
complicanze siano migliori.
Riferimenti bibliografici:
Labianca R, Beretta GD, Basem K et all. Colon Cancer. Critical Reviewes in Oncology/Hematology
2010;74: 106-33.