Quali prospettive per la finanza di impresa

QUALI PROSPETTIVE PER LA FINANZA D'IMPRESA IN
EURO ?
Il pensionamento della lira è l'ultimo stadio di un lungo processo
che, nel corso degli anni novanta, ha progressivamente interessato la
finanza delle imprese italiane. All'inizio degli anni novanta sono
definitivamente cadute barriere normative che, storicamente, hanno tenuto
separato il nostro sistema finanziario generando ritardi evolutivi ed il
perdurare di specificità ed anomalie sia nel quadro istituzionale, sia nei
comportamenti degli investitori, degli intermediari, delle imprese. Lungo il
percorso dell'unificazione monetaria, e' progressivamente scomparsa, dal
livello dei tassi di interesse in lire, la maggiorazione a copertura del rischio
di cambio. I tassi sulla lira sono progressivamente diminuiti livellandosi a
quelli delle altre monete europee. E' tramontata l'epoca di una finanza
d'impresa imperniata su di una valuta strutturalmente debole e con tassi di
interesse nominali più alti di quelli pagati dai concorrenti di altri paesi.
La caduta delle barriere ai movimenti di capitali, la fissità dei cambi,
il livellamento dei tassi hanno dato vita a fenomeni di "comunicazione dei
vasi" con l'ambiente finanziario internazionale che hanno accelerato
l'ammodernamento del quadro istituzionale ed hanno promosso una
maggiore razionalità dei comportamenti finanziari. Sembrano lontani i
tempi in cui vigeva una normativa valutaria molto restrittiva (portare
capitali all'estero comportava sanzioni penali equivalenti a quelle
comminate per rapina a mano armata); i cambi tra le monete europee
erano fluttuanti; le banche italiane avevano prevalentemente la struttura di
enti pubblici e la loro gestione era strettamente amministrata dagli organi
centrali attraverso provvedimenti che erano parte sostanziale della politica
di governo della moneta, del credito e del cambio. Le banche sono
diventate imprese a tutti gli effetti e sempre più operano in una logica di
mercato. Gli investitori hanno progressivamente lasciato i titoli di stato,
hanno scoperto il mercato azionario ed hanno adottato logiche di
investimento complesse e caratterizzate da livelli elevati di rischio e di
rendimento.
Questi fenomeni avranno un'ulteriore accelerazione con il definitivo
accantonamento della lira. Cadranno altre barriere e si accentuerà il
processo di convergenza verso quelle che nel linguaggio della finanza
sono definite le best practices, i comportamenti finanziari più efficienti.
Non dovremo più fare confronti complessi tra prezzi espressi in monete
diverse e tra tassi di interesse riferiti a monete diverse. Confronti
complessi perché implicavano un'aspettativa sul cambio a scadenza,
riferito cioè al momento di effettivo pagamento della fornitura e di rimborso
del prestito.
L'unità di misura comune in un territorio di oltre trecento milioni di
persone renderà direttamente comparabili le offerte nei mercati dei beni e
dei servizi e nei mercati finanziari. Cadranno segmentazioni geografiche,
effettive od anche soltanto psicologiche, ed aumenterà la dimensione dei
mercati di riferimento per le imprese. Potranno verificarsi riassestamenti
delle quote di mercato. Si apriranno nuove opportunità di crescita per chi è
in grado di far valere vantaggi competitivi sostenibili e, per contro, si
prospetteranno minacce di emarginazione a carico di imprese meno
competitive e meno dinamiche. Anche l'impostazione della gestione
finanziaria e la qualità delle relazioni con il sistema finanziario, sempre più,
diventeranno parte integrante della competitività delle imprese ed
eserciteranno un ruolo più decisivo nel determinarne il successo o
l'insuccesso.
Come sono messe le imprese italiane? Sono attrezzate per questo
nuovo confronto? Avranno la possibilità di beneficiare di un incremento di
qualità nei rapporti con le banche? E' ovvio che a queste domande si
dovrebbe rispondere ragionando su singoli casi aziendali. Tuttavia
qualche riflessione può essere sviluppata anche ragionando in termini
generali.
L'idea di fondo che mi sono fatto è che le prospettive appaiono
diverse per due categorie di imprese. Le imprese più radicate sugli attuali
modelli di comportamento per quanto riguarda gli intrecci tra proprietà e
finanza potranno avere serie preoccupazioni e forse rimpiangeranno le
logiche vecchie di rapporti bancari "a distanza di braccio", poco esigenti e
poco intrusivi sulle vicende aziendali (come avviene tipicamente in Italia).
Gli imprenditori più ambiziosi, con piani di sviluppo interessanti, disponibili
all'apertura della proprietà verso apporti esterni, ad una maggiore
trasparenza, al confronto con il mercato finanziario, potranno trarre
notevole giovamento da logiche bancarie nuove, più attente e rigorose in
rapporto ai programmi delle imprese, orientate ai cash flow prospettici e
non solo alle garanzie, interessate ad esercitare forme di controllo sulle
decisioni di fondo in ordine all'utilizzo dei finanziamenti. Potranno anche
più agevolmente sperimentare nuove forme di intermediazione del capitale
di rischio e potranno apprezzare formule finanziarie di mercato mobiliare
(come avviene tipicamente nei paesi finanziariamente più evoluti).
In Italia è elevatissimo il numero delle imprese che nascono piccole
per restare piccole, nei limiti di una proprietà familiare chiusa sia ad
apporti esterni di capitale di rischio, sia ad apporti di professionalità
manageriali specialistiche. Secondo indagini recenti (The Economist
4.3.2000), il 70% degli occupati nell'industria italiana lavora in imprese con
meno di 100 addetti, contro il 30% in Francia, il 20% in Germania e negli
Stati Uniti. Per la massima parte delle piccole e medie imprese italiane, la
dimensione minore non è uno stato transitorio, una fase evolutiva
temporanea nel quadro di un ciclo di crescita, ma rappresenta una
condizione stazionaria molto spesso definitiva.
Succede molto spesso che gli imprenditori contengono lo sviluppo
dell'impresa nei limiti dettati da formule finanziarie che garantiscono
autonomia e pieno controllo sulla gestione. La crescita non è quella resa
possibile dal tasso di sviluppo del mercato, da una strategia competitiva a
supporto dell'ampliamento della quota di mercato e da una finanza
pianificata in coerenza che, allargando la proprietà, assicura un equilibrio
strutturale tra debiti e mezzi propri. Molto spesso la priorità attribuita al
controllo familiare assoluto sull'impresa porta ad orientare le scelte di
posizionamento competitivo verso specializzazioni di tipo tradizionale su
limitati segmenti di mercato. Gli investimenti realizzati non sono quelli che
massimizzano il potenziale dell'impresa, ma sono quelli resi possibili
dall'autofinanziamento, dal patrimonio familiare che si intende mettere a
rischio e dalle garanzie costituibili a supporto del debito bancario.
Gli imprenditori ambiziosi che saranno disposti ad uscire da questi
schemi avranno l'opportunità di confrontarsi con un'offerta finanziaria più
ampia, più articolata, più evoluta verso la quale stanno convergendo le
banche italiane più dinamiche. Chi sarà in grado di dimostrare la propria
capacità di creare valore incontrerà minori vincoli finanziari nel sostegno
del proprio sviluppo.
Chi continuerà a seguire vecchi modelli dovrà fare i conti con due
problemi. Restare piccoli in mercati sempre più grandi richiede
un'accentuata capacità di differenziazione dell'offerta, difficilmente
sostenibile in carenza di investimenti in ricerca e in tecnologia,
investimenti che richiedono una finanza qualificata. D'altra parte, dovrà
anche fare i conti con la tendenza dei sistemi finanziari ad esercitare, con
maggiore intensità, una funzione di controllo sulle imprese e di sanzione a
carico delle imprese incapaci di cogliere le opportunità di creazione di
valore.
Mi aspetto che gli imprenditori più conservatori, fra qualche anno,
arriveranno a rimpiangere i modelli di relazioni bancarie <<all'italiana>>,
da loro stessi oggi vituperati. Guardando al passato, rimpiangeranno
l'attuale propensione delle banche italiane a sostenere le imprese
accollandosi livelli d'indebitamento e relativi rischi impensabili in qualsiasi
altro paese, senza intromettersi nelle scelte gestionali e con tassi di
interesse che, ponderati per il rischio, appaiono meno elevati di quanto
comunemente si pensi, come i confronti internazionali a cambi fissi
cominciano a mostrare.
Eugenio Pavarani
Dipartimento di Economia - Università di Parma
novembre 2001