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Cass. pen., sez. V, 03.10.2012, n. 38388, Pres. Ferrua, Est. Bevere
La condotta di chi contagia il proprio partner tacendogli di essere affetto da sindrome da Hiv
integra il reato di lesioni personali gravissime con dolo eventuale; sussiste infatti l'elemento
psicologico del dolo eventuale quando l'agente, pur non avendo di mira il fatto a rischio, ne accetti
- nella proiezione della propria azione verso la realizzazione di un fatto primario - la concreta
possibilità del suo verificarsi, in un necessario rapporto eziologico con l'azione medesima. (Nel
caso di specie il marito, pur consapevole di essere affetto da HIV, intratteneva rapporti sessuali
con la moglie senza alcuna precauzione, cagionandole una malattia, probabilmente insanabile, con
pericolo di vita).
FATTO E DIRITTO
Con sentenza 1.10.09, il tribunale di Velletri ha condannato A.L. alla pena di 6 anni e 6 mesi di
reclusione, all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, all’interdizione legale e alla sospensione
dell'esercizio della potestà genitoriale durante l'esecuzione della pena, al risarcimento dei danni e
alla rifusione delle spese in favore della parte civile, perché ritenuto responsabile del reato ex artt.
577 u.c., 582, 583 co. 2 n. 1, 585 c.p.,per aver trasmesso alla moglie M.P. - il virus della
immunodeficienza -,a mezzo di rapporti sessuali consumati senza precauzione - nella
consapevolezza di essere affetto di malattia da HIV, cagionandole una malattia, probabilmente
insanabile, con pericolo di vita.
Con sentenza 19.10.2010, la corte di appello di Roma, in riforma della sentenza 1.10.09 del
tribunale di Velletri, ha assolto l'A. perché il fatto non costituisce reato.
La procura generale presso la corte di appello di Roma ha presentato ricorso per vizio di
motivazione : secondo la corte - in base alla relazione del perito di ufficio non vi è prova che il
contagio sia stato cagionato con rapporti in epoca immediatamente prossima al (omissis) , data di
dimissione dallo (omissis) , in cui risulta documentalmente comunicata la diagnosi finale:
polmonite da pneumocistis Carinii in paziente HIV positivo. Risulta infatti che per entrambi i
coniugi l'insorgenza dell'infezione da HIV risale ad epoca precedente all'anno (…).
La sentenza rileva che non vi è prova che l'imputato nutrisse motivi di ragionevole sospetto che la
sintomatologia manifestatasi prima del ricovero dipendesse da infezione HIV e che quindi, quale
portatore dell’infezione, potesse contagiare altri soggetti: secondo la perizia, le manifestazioni
dell’infezione in sintomatologie di allarmante significatività si verificano con ampio ritardo, rispetto
all'insorgenza dell'infezione medesima.
Secondo la procura generale, all'A. è stato contestato non solo di aver omesso di informare la
moglie, ma anche di averle impedito di curarsi adeguatamente, in quanto:
a) durante il proprio ricovero in ospedale aveva fatto credere alla moglie che i medici
comunicavano solo con i pazienti e non con i familiari, impedendo alla moglie di conoscere la
verità e di intraprendere tempestive ed adeguate iniziative terapeutiche;
b) dopo le dimissioni dall'ospedale, l'imputato, per nascondere l'infezione, assumeva farmaci in
confezioni prive di etichetta, dicendo che si trattava di cortisone;
c) ai primi sintomi della moglie, oltre ad opporsi al ricovero in ospedale, l'accompagnava al medico
di famiglia, riferendo che la donna era depressa e fece così prescriverle farmaci antidepressivi.
L'intervento di altro medico, richiesto dalla madre della donna, ha consentito il ricovero all'ospedale
di (…) dove veniva diagnosticato il virus HIV.
Le menzogne, gli artifici, le simulazioni e il complessivo silenzio nella sentenza sono stati
considerati non rilevanti perché successivi al contagio; in tal modo, la corte ha omesso però di
considerare che all’evento/contagio, causato dall'iniziale condotta omissiva dell'imputato, è seguito
- in danno della moglie - l'evento/peggioramento delle condizioni di salute e del pericolo di vita accertato all'atto del suo ricovero all'ospedale (omissis) -, causato dall'inscindibile complesso di
condotte omissive e fraudolente sopra descritte.
Questi eventi lesivi non possono che ricondursi alla condotta dell'A. , non essendo possibile
frapporre uno iato con il contagio, che costituisce una tappa intermedia del processo causativo della
malattia, del suo insanabile aggravamento, del pericolo di vita in danno della moglie Questa
problematica è stata trattata in maniera marginale dalla sentenza impugnata, che non ha motivato
sul punto più rilevante per l'individuazione della responsabilità dell'imputato.
Il ricorso merita accoglimento, in quanto la corte di appello, nella motivazione della sentenza
impugnata, ha effettivamente ignorato la parte essenziale e decisiva - ai fini della risoluzione del
thema decidendum - della complessa condotta dell'A. , che si è articolata:
a) in una componente omissiva, sotto il profilo conoscitivo, in relazione alla mancata
comunicazione alla donna della propria malattia e del rischio del contagio;
b) in una componente ostativa sotto il profilo operativo, in relazione all'impedimento - con
menzogne, artifici, simulazioni - di tempestiva predisposizione, da parte della moglie, di interventi
idonei a intralciare, neutralizzare, impedire il radicarsi e il peggioramento della malattia, nonché il
verificarsi del pericolo di vita.
La corte di appello ha cioè esaminato e valutato parzialmente la illecita condotta, dando rilievo
esclusivo al comportamento dell'A. che, pur consapevole di essere affetto da AIDS, intrattenendo
rapporti sessuali con la donna senza alcuna precauzione e senza informarla dei rischi cui poteva
andare incontro, ha causato l'evento/contagio. Omettendo di rilevare gli ulteriori sviluppi storici, si
configura l'ipotesi di lesioni colpose aggravate dalla previsione dell'evento. Secondo un
condivisibile orientamento interpretativo della dottrina e della giurisprudenza, la colpa cosciente
sarebbe ravvisabile nel soggetto, che, nel caso di specie, pur rappresentandosi l’evento a rischio
come possibile risultato della sua condotta, ha agito confidando che il contagio avrebbe potuto
anche non avvenire ed escludendo che la salute della moglie potesse subire dei danni. Ciò, in
quanto l'attuale imputato, anche in base al modesto livello culturale e nonostante le informazioni
avute dai medici nelle occasioni nelle quali è razionalmente da ritenere che egli li abbia consultati
nel corso della degenza e nel corso della terapia, potrebbe aver maturato la convinzione, poggiante
sulla considerazione che il proprio stato di salute era sotto controllo terapeutico, che niente di male
sarebbe successo alla moglie.
La corte però ha omesso di considerare che a questa componente strettamente omissiva e reticente
della condotta dell'imputato se ne è intrecciata un'altra: al di là della consapevole e persistente
volontà di mantenere questa disinformazione della vittima, con il silenzio, con condotta in negativo,
è subentrata una condotta operativa, in positivo, costituita:
a) dall'iniziativa di accompagnarla al medico di famiglia e di riferire la falsa diagnosi che la donna
era depressa, facendole così prescrivere farmaci antidepressivi;
b) dalla sua opposizione al ricovero della moglie in ospedale (avvenuto solo a seguito di intervento
di un medico, sollecitato dalla madre della M. ).
Da questa condotta è derivata, secondo il tribunale, il successivo evento del ritardo della necessaria
terapia, dell’aggravamento, dell'irreversibilità della malattia, del pericolo di morte diagnosticato dai
periti.
Questo evento dell'aggravamento e dell'irreversibilità della malattia non è stato voluto, al pari del
primo (il contagio), essendo altro l'obiettivo dell'imputato (complessivamente, mantenere inalterato
il rapporto coniugale ed evitare conseguenze per sé dannose o comunque procrastinare al massimo
la conoscenza di una diagnosi che, per la sua tardività, inevitabilmente si sarebbe rivelata a suo
danno, sul piano della libertà e del suo patrimonio). Questo complesso obiettivo di conservazione
dello status di coniuge nonostante la propria malattia. e di impunità o, quanto meno di autotutela a
fronte delle conseguenze della sua iniziale omissione,è dimostrato dalle risultanze processuali : la
consapevolezza del rischio e la volontà di correrlo a spese del coniuge, nell’intrattenere rapporti
sessuali non protetti, è confermata dalla testimonianza del medico dell'ospedale (omissis) , a cui
l'imputato confidò di aver taciuto alla moglie il proprio stato di sieropositività, dopo averne avuto
diagnosi, 'per non perderla'; nel suo esame, la M. ha riferito che suo marito non si è fatto più vedere,
neppure per mantenere i contatti con le figlie e ha anche omesso di corrisponderle l'assegno di
mantenimento).
La giurisprudenza specifica che sussiste l'elemento psicologico del dolo eventuale quando l'agente,
pur non avendo di mira il fatto a rischio, ne abbia accettato - nella proiezione della propria azione
verso la realizzazione di un fatto primario - la concreta possibilità del suo verificarsi, in un
necessario rapporto eziologico con l'azione medesima. L'autore non respinge quindi il rischio, e non
adegua la propria condotta in maniera coerente e funzionale a manifestare una controvolontà verso
l'evento diverso, rispetto a quello primariamente voluto ( sez. IV, n. 28231 del 24,6,09, rv 244693;
sez. V, n. 44712 del 17.9.08, rv 242610, sez. I, n. 832 dell'8.1 1995; sez. IV n 11024 del
10.10.1996, rv 207333 ; sez. V, n. 18568 del 21.1.2011).
Si deve quindi concludere che A. , pur essendo in grado di rappresentarsi la concreta possibilità che
la sua azione reticente e depistante potesse causare un evento diverso da quello per cui
materialmente agiva (continuare indisturbato il menage familiare, lasciando in clandestinità il
contagio di HIV alla moglie e ostacolando tempestivi interventi terapeutici), non ha escluso la
possibilità di cagionare l'evento a rischio (l'aggravamento irreversibile della già cagionata lesione
della salute della moglie): gli è mancata quindi la controvolontà verso l'evento altro, con
accettazione del rischio e quindi con la volizione dell'evento medesimo. È quindi del tutto errata la
motivazione della decisione della corte di appello di assoluzione dell’A. per mancanza
dell'elemento psicologico del dolo eventuale, in quanto la motivazione è impostata sulla
ricostruzione e sulla valutazione della iniziale frazione della condotta dell'A. e sulla correlata
omissione di ricostruzione e valutazione della parte maggiormente significativa di tale condotta,
costituente ineludibile chiave di lettura di tutta la vicenda in esame. Ne deriva la declaratoria di
nullità dell'impugnata sentenza. Il tempo trascorso dalla data di consumazione del reato, così come
indicata nel capo di imputazione, ha determinato il maturare del termine di prescrizione, tenuto
anche conto della durata delle sospensioni, il giorno 3.1.2009, antecedentemente alla data di
emissione della sentenza di primo grado (1.10.2009), sentenza che, per questa causa, va parimenti
annullata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nonché quella di primo grado,perché il reato è estinto,in data
3.1.2009, per prescrizione.
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