GESÙ CRISTO, LA SALVEZZA E IL REGNO DI DIO
Per una discussione sull’unità tematica dell’opera lucana
L. D. Chrupcała
La ricerca è da tempo impegnata a mostrare le note peculiari dei due scritti
attribuiti comunemente a Luca (III Vangelo e Atti degli apostoli), cercando
insieme di mettere in luce alcune costanti letterarie e/o tematiche che confermino il loro carattere unitario1. L’interesse settoriale non deve tuttavia
far perdere di vista l’importanza di un quadro generale, in grado di fornire
le premesse per comprendere campi e concetti specifici. Individuare una
struttura tematica di base che regge l’opera lucana diventa quindi un compito necessario ma di non facile attuazione, date la complessità e la ricchezza del pensiero teologico di Luca.
In alcuni punti nodali sembra che ci sia una convergenza fra gli studiosi. Un vasto consenso riscuote il tema della storia della salvezza o del
compimento del piano salvifico di Dio, intorno al quale si possono riunire
altri elementi della narrazione. E poiché la soteriologia implica o segue da
vicino la cristologia, è del tutto naturale assegnare a Gesù Cristo centralità
teologico-narrativa in Lc-At. Questi due ambiti rappresentano il filo conduttore dell’opera lucana. Di conseguenza la definizione di altri campi
tematici, adatti ad esprimere l’unità dei due scritti di Luca, deve tener conto del suo discorso soteriologico-cristologico. A questa esigenza corrisponde, a nostro avviso, anche il tema del regno di Dio, il quale, per il fatto
1. Rinuncio a presentare una bibliografia completa, ormai abbondante. Ai fini del nostro stu-
dio sarà sufficiente indicare alcuni titoli: P.-H. Menoud, «Jésus et ses témoins. Remarques sur
l’unité de l’oeuvre de Luc», ÉgTh 23 (1960) 7-20; C.H. Talbert, Literary Patterns.
Theological Theme and the Genre of Luke-Acts (SBL MS 20), Missoula 1974; W. Radl,
Paulus und Jesus im lukanischen Doppelwerk. Untersuchungen zu Parallelmotiven im
Lukasevangelium und in der Apostelgeschichte (EH XXIII,49), Bern - Frankfurt 1975; R.F.
O’Toole, The Unity of Luke’s Theology. An Analysis of Luke-Acts (GNS 9), Wilmington DE
1984; G.C. Bottini, Introduzione all’opera di Luca. Aspetti teologici (SBF Analecta 35),
Jerusalem 1992, 39-75; M.C. Parsons - R.I. Pervo, Rethinking the Unity of Luke and Acts,
Minneapolis 1993; O. Mainville, «Le péché contre l’Esprit annoncé en Lc 12.10, commis en
Ac 4.16-18: une illustration de l’unité de Luc et Actes», NTS 45 (1999) 38-50. Al tema dell’unità di Lc-At è stata consacrata la 47 sessione del Colloquium Biblicum Lovaniense
(Lovanio: 29-31 luglio 1998). Nell’attesa di vederne pubblicati gli atti, si può consultare un
riassunto dei contributi presentato da J. Verheyden in ETL 74 (1998) 516-526.
LA 48 (1998) 143-178
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dei suoi stretti legami con il motivo principale dell’opera lucana (la salvezza universale in Cristo), va inserito nella discussione sulla compattezza del
progetto letterario-teologico di Lc-At.
1. Gesù Cristo
Lasciando da parte la maniera in cui il terzo evangelista descrive la persona e l’opera di Gesù Cristo2, rivolgiamo l’attenzione al ruolo narrativo che
Luca assegna a Gesù, soprattutto alla luce del prologo evangelico3.
Il cristocentrismo di Luca
Il protagonista indiscusso dell’opera lucana è Gesù Cristo. Questa affermazione non richiede conferme per quanto concerne il III Vangelo, nel quale
la persona di Gesù occupa interamente lo spazio narrativo4. Un problema,
2. Sulla questione cristologica in Luca cf. F. Bovon, Luc le théologien. Vingt-cinq ans de
recherches (1950-1975), Neuchâtel - Paris 1978, 119-210; e le varie «teologie» o «introduzioni» di Lc-At. Per la cristologia lucana resta ancora basilare la monografia di G. Voss, Die
Christologie der lukanischen Schriften in Grundzügen (StN 2), Paris - Brügge 1965; l’argomento è stato affrontato in parte anche da B. Papa, La cristologia dei Sinottici e degli Atti degli
Apostoli, Bari 1972; e H.D. Buckwalter, The Caracter and Purpose of Luke’s Christology
(SNTS 89), Cambridge 1996. E’ auspicabile quindi un nuovo tentativo di sintesi che tenga
conto dei risultati di recenti studi sui vari campi della cristologia di Luca.
3. Come scrive J.J. du Plessis, «Applying the results of social-historical research to narrative
exegesis: Luke as case study», Neotest 30 (1996) 335-358 (qui 343): il prologo «is a key to
the way he [Luke] comunicates with his audience». Sulle intenzioni letterarie di Luca vedi ad
es. R.J. Dillon, «Previewing Luke’s Project from His Prologue (Luke 1:1-4)», CBQ 43 (1981)
205-227.
4. Vorrei precisare che non intendo entrare qui ex professo nel campo specifico della
narratologia. Anche questa nuova tendenza offre, tra l’altro, una solida conferma del carattere unitario dell’opera lucana. Cf. ad es. J.M. Dawsey, «The Literary Unity of Luke-Acts.
Questions of Style – A Task for Literary Critics», NTS 35 (1989) 48-66; R.C. Tannehill, The
Narrative Unity of Luke-Acts. A Literary Interpretation. I: The Gospel according to Luke; II:
The Acts of Apostles, Philadelphia 1986/1990; S.M. Sheeley, Narrative Asides in Luke-Acts
(JSNT SS 72), Sheffield 1992; M. Coleridge, The Birth of the Lukan Narrative. Narrative as
Christology in Luke 1-2 (JSNT SS 88), Sheffield 1993; W.S. Kurz, Reading Luke-Acts.
Dynamics of Biblical Narrative, Louisville KY 1993.
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semmai, potrebbe sorgere per gli Atti, dove la missione congiunta della
chiesa e dello Spirito santo diventa l’argomento principale del racconto. Si
tratta comunque di un cambio di prospettiva solo apparente. In realtà, anche negli Atti la persona di Gesù mantiene il ruolo di protagonista. E’ nuovo il modo in cui Gesù esercita questo ruolo, ma egli non viene di certo
sostituito o messo nell’ombra.
Vediamo ora se queste asserzioni corrispondono propriamente alle intenzioni di Luca. Nel prologo (Lc 1,1-4) egli informa Teofilo d’aver steso
un resoconto ordinato degli avvenimenti in base ad accurate ricerche, come
ben dimostra il campo dell’indagine (pa◊sin) e i suoi confini (a‡nwqen).
«Fin dall’origine» rinvia qui all’aÓp∆aÓrchvß (v. 2), ossia al punto iniziale
della testimonianza oculare, diventata in seguito il fondamento della tradizione. Come tanti altri prima di lui, anche Luca si è proposto di scrivere un
racconto che cominciasse «fin da principio»; ma egli è andato ben oltre
l’apertura del ministero pubblico di Gesù in Galilea dopo il battesimo di
Giovanni (aÓrxa¿menoß: Lc 23,5; At 1,22; 10,37; cf. Lc 3,23; 4,21): ha premesso una descrizione delle origini terrene del Cristo Signore (Lc 1-2)5. Si
noti tuttavia che lo scrittore, mentre definisce a chiare lettere l’inizio e il
contenuto della sua dih/ghsiß, non ne indica affatto il punto finale. La «lacuna» sembra intenzionale e fa implicitamente intendere che il racconto
evangelico richiede un seguito.
Nel prologo del vangelo non viene annunciato chi sarà il protagonista
dei pra¿gmata. Il lettore non ha comunque alcuna difficoltà a scoprirlo. A
scanso di equivoci, nell’introduzione degli Atti l’autore ricorda a Teofilo
d’aver trattato nel primo discorso «di tutto ciò che Gesù incominciò a fare e
a insegnare» (At 1,1: w—n h¡rxato oJ ∆Ihsouvß poiei√n te kai« dida¿skein) fino
alla sua assunzione in cielo. La frase, oltre ad indicare il confine del racconto evangelico, rimasto indefinito nel prologo, ribadisce che il protagonista
del vangelo è proprio Gesù, le cui opere e parole costituiscono l’oggetto del
«primo discorso» (prw◊ton lo/gon). Allora gli Atti vogliono essere nell’intenzione dello scrittore il «secondo discorso», una continuazione del racconto intrapreso nel vangelo. Un nuovo inizio (cf. At 11,15: aÓrch/) non significa
tuttavia che il protagonista sia cambiato. In effetti, dicendo che il vangelo
5. Cf. J.B. Green, «The Problem of a Beginning: Israel’s Scriptures in Luke 1-2», BBRes 4
(1994) 61-86. Non solo, ma Luca individua inoltre un «cominciare fin dall’inizio»
(aÓrxa¿menoß) teologico della vicenda storica di Gesù Cristo nella profezia biblica (Lc 24,27;
At 8,35). Per ulteriori informazioni vedi É. Sémain, «La notion de aÓrch/ dans l’oeuvre
lucanienne», in F. Neirynck (ed.), L’Évangile de Luc. Problèmes littéraires et théologiques.
Mémorial L. Cerfaux (BETL 32), Gembloux 1973, 299-328.
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parlava di quanto Gesù «incominciò» (h¡rxato) a compiere, Luca fa indirettamente capire che gli Atti offriranno un racconto sul proseguimento della
sua attività salvifica6.
Il lettore vorrebbe sapere a questo punto come agirà Gesù nella storia,
dato che dopo la risurrezione e l’ascensione in cielo la sua presenza fisica
nel mondo cesserà. Venendo probabilmente incontro a simili obiezioni, lo
scrittore premette agli Atti una singolare introduzione. Non si tratta, a differenza del vangelo, di un prologo nel vero senso della parola. Infatti, i
versetti iniziali (At 1,1-2) formano sintatticamente la protasi di un lungo
periodo; sarebbe da aspettarsi un’apodosi con la funzione di definire il contenuto del racconto e la materia da trattare, invece la frase termina bruscamente. A quanto sembra, il compito di apodosi viene assolto dai versetti
successivi (vv. 3-8), dove si parla della venuta escatologica dello Spirito e
della missione universale di testimonianza a Cristo affidata agli apostoli7.
Proprio questi due temi, lo Spirito e la missione della chiesa, occupano tutta la trama narrativa degli Atti. Pertanto, è legittimo affermare che nel «secondo discorso a Teofilo» Gesù, ora il Signore glorificato, continua ad agire
nel mondo direttamente (cf. At 9,4-6.15-16.34; 18,9-10; 22,8.17-21; 23,11;
26,14-18) oppure tramite i suoi rappresentanti qualificati: lo Spirito santo
(cf. 2,33; 8,29; 10,19; 11,12a; 13,2; 16,7.9), l’angelo del Signore (cf. 5,1920; 8,26; 10,3-6.30-32; 11,13-14; 12,7-10) e la comunità dei credenti (cf.
ad es. 1,8; 13,47)8.
Queste riflessioni hanno un diretto impatto sul complesso dell’opera
lucana. La vicenda evangelica di Gesù – che in senso oggettivo costituisce il «centro del tempo», in quanto divide tutta la storia in due tempi:
attesa e compimento – non si riduce ad una tappa passata di un percorso
lineare della storia profana. Al contrario, la missione storica di Gesù, in6. E’ sempre attuale lo studio di W.C. Van Unnik, «“The Book of Acts”, the Confirmation of
the Gospel», NovT 4 (1960) 26-59.
7. Per essere esatti, il brano di At 1,3-14 è strutturato in cinque piccole unità letterarie (vv.
3.4-5.6-8.9-11.12-14) in cui si riflettono vari temi presenti in Lc 24,36-53. Un ruolo particolare assume il v. 3: una sorte di sommario introduttivo delle due «scene di addio» (vv.
4-5.6-8). Per l’analisi vedi R. Pesch, Der Anfang der Apostelgeschichte: Apg 1,1-11.
Kommentarstudie (EKK V/3), Zürich - Neukirchen 1971. Lo sdoppiamento del racconto
lucano fornisce quindi un’altra conferma alla tesi della continuità letterario-narrativa di LcAt; cf. ad es. M.C. Parsons, The Departure of Jesus in Luke-Acts. The Ascension Narration
in Context (JSNT SS 21), Sheffield 1987, il quale esamina la finale di Lc 24,50-53 e l’inizio
di At 1,6-11.
8. Cf. R.F. O’Toole, «Activity of the Risen Jesus in Luke-Acts», Bib 62 (1981) 471-498.
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sieme a quella della chiesa, forma un unico tempo escatologico della salvezza. Il vangelo descrive la manifestazione di questa salvezza, mentre
gli Atti raccontano la permanente presenza dell’opera di Gesù che porta
la salvezza a tutti9.
Mancando un prologo di Atti, il prologo del vangelo vale per tutta
l’opera in due volumi10. Del resto, Luca intende scrivere una relazione
«riguardo agli avvenimenti compiutisi tra di noi» (Lc 1,1: peri« tw◊n
peplhroforhme÷nwn e˙n hJmi√n pragma¿twn). In questa frase si intuisce il
proposito dello scrittore di accentuare il senso teologico della storia. In
effetti, mentre la parola «avvenimenti / fatti concreti» presuppone una
dimensione storica del messaggio narrato, viceversa il «compimento» si
riferisce a qualcosa che elude il lato profano della storia; negli eventi
storici Dio ha compiuto (alla lettera: «ha riempito di compimento») e
continua a compiere (peplhroforhme÷nwn è perfetto al passivo), la sua
volontà salvifica, adombrata nelle antiche promesse. E se questo è vero,
allora «gli avvenimenti di compimento» non sono soltanto quelli descritti
nel vangelo (Lc 24,44: plhrwqhvnai) ma anche quelli compresi negli Atti
(soprattutto l’effusione dello Spirito santo e la missione tra le genti). Ma
c’è di più. Il lettore, al termine della lettura del «secondo discorso»
lucano, avrà conosciuto non solo gli eventi degli inizi, di Gesù e della
chiesa, ma si renderà ugualmente conto che l’attività del Signore Gesù è
una realtà ancora in corso (la missione universale «nel suo nome» continua) e insieme costituisce l’oggetto della speranza (la parusia gloriosa
del Signore).
9. E’ l’assunto centrale della monografia di M. Korn, Die Geschichte Jesu in veränderter Zeit.
Studien zur bleibenden Bedeutung Jesu im lukanischen Doppelwerk (WUNT 51), Tübingen
1993. L’autore scardina la celebre tesi di Conzelmann: «Abzulehnen ist die von Conzelmann
begründete Auffassung, die bis heute fast allgemein die Lukasinterpretation beherrscht, daß
Jesu Geschichte im Sinne der Mitte eines linearen Geschichtsablaufs aufzufassen ist, die
durch die Apg überholte Vergangenheit wird» (p. 272). Ma ridimensiona anche il cosiddetto
tempo dello Spirito: «Der Heilige Geist ist nicht Ersatz für die Gegenwart Jesu, wie allgemein
behauptet wird, sondern er ist auch in der Apg Kennzeichen der in Jesu angebrochenen
messianischen Heilszeit» (p. 273).
10. Per la discussione vedi S. Brown, «The Role of the Prologues in Determining the Purpose
of Luke-Acts», in C.H. Talbert (ed.), Perspectives on Luke-Acts, Edinburgh 1978, 99-111; F.
Ó Fearghail, The Introduction to Luke-Acts. A Study of the Role of Lk 1,1-4,14 in the
Composition of Luke’s Two-Volume Work (AnBib 126), Roma 1991, spec. 85-116; L.C.A.
Alexander, The Preface to Luke’s Gospel. Literary Convention and Social Context in Luke
1.1-4 and Acts 1.1 (SNTS 78), Cambridge 1993.
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Il disegno di Dio e l’evento Cristo: promessa e compimento
Il racconto su Gesù Cristo, primo soggetto di Lc-At, sarebbe incomprensibile se non si tenesse conto della prospettiva teologica con cui Luca
legge e interpreta gli eventi della storia. Da quanto detto sopra non ci
possono essere dubbi che il suo progetto narrativo non è circoscritto al
puro quadro storico; egli però non intende rifugiarsi nei confini della
teologia speculativa sradicata dal contesto storico. Luca è l’unico tra gli
evangelisti a definire la sua opera letteraria una dih/ghsiß (Lc 1,1), termine che indica una narrazione estesa e complessa, ma che implica
anche la nozione di annuncio in quanto il racconto dell’agire salvifico
di Dio nella storia è inseparabile dalla fede (cf. Lc 8,39: dihgouv «racconta / annuncia»). Il terzo evangelista è un attento storico e insieme
un teologo raffinato, un uomo di fede capace di scorgere nella storia di
Gesù e della chiesa apostolica un significato che trascende la materialità
dei fatti11.
Luca, chiamato giustamente il «teologo del disegno di Dio»12, manifesta una profonda convinzione che nelle vicende di Gesù Cristo e
della comunità da lui fondata hanno trovato compimento le profezie
bibliche. Questo indirizzo è ben confermato da abbondanti citazioni e
richiami scritturistici che scandiscono il racconto compreso tra Lc 1 e
At 2813. Non sarà difficile quindi capire che per il terzo evangelista
11. Sarà utile consultare I.H. Marshall, Luke. Historian and Theologian, Grand Rapids MI
1989; V. Fusco, «Progetto storiografico e progetto teologico nell’opera lucana», in La
storiografia nella Bibbia. Atti della XXVIII Settimana Biblica, Bologna 1986, 123-152.
12. Così X. Léon-Dufour, Résurrection de Jésus et message pascal, Paris 1971, 202. Per
maggiori dettagli cf. gli studi ormai classici di E. Lohse, «Lukas als Theologe der
Heilsgeschichte», EvTh 14 (1954) 256-276; K. Löning, «Lukas – Theologe der von Gott
geführten Heilsgeschichte (Lk, Apg)», in J. Schreiner - G. Dautzenberg (ed.), Gestalt und
Anspruch des Neuen Testaments, Würzburg 1969, 200-228.
13. All’uso dell’AT da parte di Luca e in particolare alla sua rilettura cristologica sono
stati dedicati vari studi. Si veda ad es. T. Holtz, Untersuchungen über die alttestamentlichen Zitate bei Lukas (TU 104), Berlin 1968; M. Rese, Alttestamentliche Motive in der
Christologie des Lukas (StN 1), Gütersloh 1969; D.L. Bock, Proclamation from Prophecy
and Pattern. Lucan Old Testament Christology (JSOT SS 12), Sheffield 1987; C.A.
Kimball, Jesus’ Exposition of the Old Testament in Luke’s Gospel (JSNT SS 94), Sheffield
1994; B.T. Arnold, «Luke’s Characterizing Use of the Old Testament in the Book of
Acts», in Ben Witherington, III (ed.), History, Literature and Society in the Book of Acts,
Cambridge 1996, 300-323.
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l’AT presenta un valore inestimabile per l’interpretazione teologica della
storia14.
Quando il disegno divino, preannunciato nella Scrittura, comincia a
realizzarsi nel mondo, la storia diventa una «storia della salvezza», appunto perché gli accadimenti storici non sono mai accidentali ma esprimono la
volontà di Dio predetta negli oracoli biblici15. Anche per Luca, come del
resto in varia misura per tutti gli autori del NT, lo schema promessa-compimento, chiamato talvolta la «prova dalla profezia», offre un’appropriata
chiave di lettura teologica della storia. Con questo mezzo ermeneutico, il
piano di Dio centrato su Cristo può essere esplicitato in modo coerente e
logico16.
L’esistenza di un disegno divino di salvezza, di cui Luca narra il compimento secondo le promesse bibliche, non lascia dubbi che nell’opera
lucana la figura di Dio assume un posto di grande rilievo17. Ciò vuol dire
14. Va notata tuttavia una certa ambivalenza nel ricorso lucano alla Scrittura, soprattutto in
quelle parti in cui Luca presenta il rapporto di Gesù o dei gentili con la Torah. Gli studiosi,
tentando di spiegare il fenomeno, giungono a varie conclusioni. Cf. S.G. Wilson, Luke and
the Law (SNTS 50), Cambridge 1983; M. Klinghardt, Gesetz und Volk Gottes. Das lukanische
Verständnis des Gesetzes nach Herkunft, Funktion und seinem Ort in der Geschichte des
Urchristentums (WUNT 32), Tübingen 1988; K. Salo, Luke’s Treatment of the Law. A
Redactional-Critical Investigation (AASF 57), Helsinki 1991.
15. Cf. J.T. Squires, The Plan of God in Luke-Acts (SNTS 76), Cambridge 1993. Si tenga
presente la terminologia specifica di Luca, in particolare l’uso del verbo dei√; cf. C.H.
Cosgrove, «The divine dei√ in Luke-Acts. Investigations into Lukan Understanding of God’s
Providence», NovT 26 (1984) 168-190.
16. L’interesse per questo aspetto della teologia lucana è cresciuto negli ultimi tempi: C.H.
Talbert, «Promise and Fulfillment in Lucan Theology», in Id. (ed.), Luke-Acts. New
Perspectives from the SBL Seminar (1979-1983), New York 1984, 91-103; D. Peterson, «The
Motif of Fulfilment and the Purpose of Luke-Acts», in B.W. Winter - A.D. Clarke (ed.), The
Book of Acts in Its First Century Setting. I: Ancient Literary Setting, Grand Rapids MI 1993,
83-104; B.C. Frein, «Narrative Predictions, Old Testament Prophecies and Luke’s Sense of
Fulfilment», NTS 40 (1994) 22-37; M.L. Strauss, The Davidic Messiah in Luke-Acts. The
Promise and Its Fulfillment in Lukan Christology (NT SS 87), Sheffield 1995; R.I. Denova,
The Things Accomplished Among Us. Prophetic Tradition in the Structural Pattern of LukeActs (JSNT SS 141), Sheffield 1997.
17. La statistica è molto eloquente: qeo/ß appare 122 volte in Lc e 166 volte in At, contro 48
ricorrenze in Mc e 51 in Mt. Sul tema di Dio in Luca si può vedere: F. Bovon, L’oeuvre de
Luc. Études d’exégèse et du théologie (LD 130), Paris 1987, 221-242; A. Barbi, «Il Dio di
Gesù nell’opera lucana», ScCatt 117 (1989) 167-195; R.L. Mowery, «God the Father in LukeActs», in R. Richard (ed.), New Views on Luke and Acts, Collegeville MN 1990, 124-132;
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che il racconto della persona e dell’opera di Gesù Cristo, il primo attore
letterario di Lc-At, non è indipendente o concorrente ma al contrario è strettamente legato con il discorso su Dio, l’artefice del piano salvifico. Ad una
lettura più attenta, anzi, si osserva che l’opera di Luca (il vangelo in particolare) si concentra proprio sull’agire di Dio e sul compimento del suo disegno; solo in un secondo tempo è una relazione sulla «vita» di Gesù18. La
cristologia lucana (e parimenti la sua soteriologia), essendo nel fondo
teocentrica, diventa principalmente una rivelazione del mistero di Dio. Ma
Luca, come si è detto, non è un teologo che ami speculare; egli parla di
Dio e del suo piano salvifico in termini concreti. La vicenda di Gesù Cristo manifesta l’amore di Dio; e nel compimento storico delle promesse si
esprime la sua fedeltà e la sua bontà universale. Il cristocentrismo lucano
si coniuga così con preciso intento teologico: Dio ha predisposto un piano
e lo ha realizzato in Cristo, per cui la storia di Gesù Signore è insieme compimento della salvezza e rivelazione di Dio.
2. La salvezza
La «salvezza» è il motivo dominante e la chiave della teologia lucana19. Un
ricco vocabolario conferma la predilezione di Luca per questo concetto che
esprime il contenuto del piano di Dio, predetto nella Scrittura e giunto a
«Lord, God, and Father: Theological Language in Luke-Acts», in E.H. Lovering, Jr. (ed.),
SBL 1995 Seminar Papers, Atlanta GA 1996, 82-101; L.M. Maloney, “All That God Had
Done with Them”. The Narration of the Works of God in the Early Christian Community as
Described in the Acts of the Apostles (AUS 7), New York 1991; K. Löning, «Gottesbild der
Apostelgeschichte», in H.-J. Klauck (ed.), Monotheismus und Christologie, Freiburg 1992,
88-117; D. Marguerat, «Le Dieu du livre des Actes», in A. Marchadour (ed.), L’évangile
exploré. Mélanges offerts à S. Légasse (LD 166), Paris 1996, 301-331.
18. Come scrive J.B. Green, The Gospel of Luke (NICNT), Grand Rapids MI - Cambridge
U.K. 1997, 22: «Luke’s narrative is theological in substance and focus; that is, it is centered
on God» (cf. 5.50.160 e passim). Simile P. Pokorný, Theologie der lukanischen Schriften
(FRLANT 174), Göttingen 1998, 68: «Wenn auch Christus in den Vordergrund tritt, ist die
Theologie des Lukas doch im Grunde theozentrisch». Ma già G. Lohfink, Die Sammlung
Israels. Eine Untersuchung zur lukanischen Ekklesiologie (StANT 39), München 1975, 85,
parlava in riferimento a Luca di una «theozentrisch strukturierte Christologie».
19. «Il tema della salvezza ovviamente non è esclusivo di Luca, ma è centrale nella sua teo-
logia» (S. Zedda, Teologia della salvezza nel vangelo di Luca [Stbi 18], Bologna 1991, 8).
Questa affermazione incontra un vasto consenso degli studiosi. Per una visione panoramica e
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compimento con Cristo. Ma il genio letterario-teologico di Luca si riconosce non tanto nella scelta del tema e neppure nell’aver saputo collegare la
salvezza con la persona di Gesù salvatore. Esso risiede propriamente nell’universalità della salvezza. A questa istanza teologica risponde anche la
struttura dell’opera lucana, basata su uno schema geografico, con al centro
Gerusalemme, luogo della salvezza attuata da Cristo e punto di partenza
del suo annuncio alle genti20.
La salvezza non è per Luca una parola astratta, bensì una persona concreta: Gesù di Nazaret, salvatore degli uomini e donatore unico della salvezza (Lc 2,11; At 4,12; 15,11). Questa salvezza, apparsa in un tempo e spazio
determinati, ha iniziato ad espandersi progressivamente nel mondo ed è pervenuta alla comunità di Luca21. Ma qui sorge il problema: questa comunità,
formata in prevalenza dai pagani convertiti22, ha veramente il diritto di sentirsi erede delle promesse fatte ad Israele? Tutto lascia pensare che proprio
una simile crisi d’identità abbia indotto Luca ad offrire alla sua chiesa solide
basi storico-teologiche (Lc 1,4: hJ aÓsfa¿leia) dell’annuncio universale della
salvezza23. Per farlo, egli non poteva limitarsi al vangelo, i cui «insegna-
la bibliografia cf. Bovon, Luc le théologien, 255-284; J. Delorme, «Salut. V: La théologie du
salut dans le NT. IV: Luc et Actes des Apôtres», DBSup XI (1988) 619-689; Bottini, Introduzione, 97-112; J.B. Green, «“Salvation to the End of the Earth” (Acts 13:47): God as the
Saviour in the Acts of the Apostles», in I.H. Marshall - D. Peterson (ed.), Witness to the
Gospel. The Theology of Acts, Grand Rapids MI - Cambridge U.K. 1998, 83-106.
20. Cf. P. Nolland, «L’organisation du Livre des Actes et de l’ensemble de l’oeuvre de Luc»,
Bib 65 (1984) 81-86.
21. La «comunità (o la chiesa) di Luca» è quella a cui lo scrittore indirizza la sua opera; sa-
rebbe più corretto chiamarla la «comunità di Teofilo», come suggerisce E. Arens, «El
destinatario del Evangelio de Lucas», RevBíb (Buenos Aires) 60 (1998) 225-243 (qui 228);
secondo lui, Luca scrisse a Roma alla comunità di origine paolina, localizzata nell’Asia Minore e precisamente a Efeso. Ma anche se il luogo della composizione non fosse identico a
quello dei destinatari (altre identificazioni proposte: Cesarea, Antiochia), ciò non vuol dire
che Luca non abbia vissuto per un certo tempo nella «comunità di Teofilo», la quale perciò
era anche la sua.
22. Pace K.P. Donfried, «Attempts at Understanding the Purpose of Luke-Acts: Christology
and the Salvation of the Gentiles», in R.F. Berkey - S.A. Edwards (ed.), Christological
Perspectives. Essays in Honor of Harvey K. McArthur, New York 1982, 112-122, secondo cui
Luca cerca di legittimare la missione ai gentili ad un auditorio in prevalenza giudeo-cristiano.
23. Il rapporto Israele-gentili-chiesa, che per Luca costituisce una questione di fondamentale
importanza, viene inteso dagli autori in modo differente. Si veda la rassegna di G. Betori,
«Chiesa e Israele nel libro degli Atti», RivBib 36 (1988) 81-97. Cf. inoltre Bovon, L’oeuvre
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L. D. CHRUPCAŁA
menti» erano già noti alla sua chiesa. La «solidità» dell’annuncio aveva bisogno di stabilire un legame di continuità tra l’evento Cristo e la comunità
lucana. D’altra parte, un racconto circoscritto alla nascita ed espansione della chiesa sarebbe stato interessante dal punto di vista storico ma teologicamente insufficiente. Per raggiungere il suo obiettivo, il progetto di Luca
doveva narrare «per ordine» (Lc 1,3: kaqexhvß), ossia alla luce del piano di
Dio annunciato nella Scrittura24, il modo in cui il dono della salvezza è giunto mediante Gesù Cristo ad Israele (il «primo discorso») e poi ha intrapreso
il suo viaggio in tutto il mondo (il «secondo discorso»)25.
La salvezza destinata a tutti. Il vangelo
Il concetto della salvezza universale compare nei punti estremi dell’opera
lucana (Lc 3,6; 24,47; At 1,8; 28,28). Questo procedimento letterario, tutt’altro che casuale, ha lo scopo di far emergere la tematica portante della
narrazione26. La nota universalistica è dominante negli Atti che narrano
de Luc, 243-263; e una raccolta di studi a cura di J.B. Tyson, Luke-Acts and the Jewish
People. Eight Critical Perspectives, Minneapolis 1988. Bisogna comunque precisare che l’intento di Luca non è di carattere apologetico ma pastorale. «A growing number of scholars
propose that the book of Acts is a work of edification for Christian, rather than an apology
for outsiders or for dissident groups such as Judaisers» (D. Peterson, «Luke’s theological
Enterprise: Integration and Intent», in Marshall - Peterson [ed.], Witness, 534).
24. Cf. D.P. Moessner, «The Meaning of kaqexhvß in the Lukan Prologue as a Key to the
Distinctive Contributions of Luke’s Narrative among the “Many”», in F. Van Segbroeck et
al. (ed.), The Four Gospels 1992. Festschrift Frans Neirynck, II (BETL 100), Leuven 1992,
1513-1528.
25. Questo scopo o intento generale dell’opera lucana (degli Atti in particolar modo) trova
sostanzialmente d’accordo molti autori, anche se con diverse sfumature; vedi sulla questione
R. Maddox, The Purpose of Luke-Acts (FRLANT 126), Göttingen 1982. F. Mußner, «Die
Erzählintentionen des Lukas in der Apostelgeschichte», in C. Bußmann - W. Radl (ed.), Der
Treue Gottes trauen. Beiträge zum Werk des Lukas. Für Gerhard Schneider, Freiburg etc.
1991, 29-41, distingue tra lo scopo principale («Hauptzweck»), che per lui è il processo di
separazione della chiesa da Israele, e gli scopi secondari («Nebenzwecke»), tra cui la diffusione del vangelo, la missione ad opera dello Spirito, l’inclusione dei pagani nella salvezza
messianica, ecc.
26. Su questi testi e il loro legame con il resto di Lc-At sono tuttora un valido punto di riferi-
mento gli studi magistrali del compianto dom J. Dupont, in particolare: «Le salut des Gentils
et la signification théologique du Livre des Actes», in Id., Études sur les Actes des Apôtres
GESÙ CRISTO, LA SALVEZZA E IL REGNO DI DIO
153
l’evolversi della missione rivolta sia ai giudei che ai pagani. Questa missione non è fortuita e neppure la si può attribuire all’iniziativa della chiesa. Essa è parte integrante del piano di Dio ed è radicata nella missione
di Gesù Cristo27. Il racconto evangelico costituisce, da questo punto di
vista, una premessa indispensabile per la diffusione universale della salvezza, sia perché descrive la sua attuazione storica (la venuta e l’opera
del Messia), sia perché fa presagire la cerchia dei futuri beneficiari del
dono di Dio.
Benché il III Vangelo non contenga le accentuazioni presenti negli Atti,
tuttavia l’universalismo lo attraversa tutto in varia misura. I testi espliciti
sono significativamente collocati all’inizio e alla fine del racconto. Prima
ancora che Gesù incominci il ministero pubblico, si proclama che Dio ha
preparato la salvezza «davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e
gloria del suo popolo Israele» (Lc 2,30-32), perciò «ogni uomo vedrà la
salvezza di Dio» (3,6). Dopo la risurrezione Gesù affida ai discepoli la
missione di predicare la conversione e la remissione dei peccati «a tutte le
genti» (24,47).
Luca annota con cura che Gesù è ben disposto nei confronti dei pagani
(6,17-18; 7,1-10; 8,26-29) e preconizza loro un avvenire di misericordia e
grazia (4,25-27; 10,13-14; 13,24-30). Proprio in quest’ultima pericope ricorrono parole esplicite sulla venuta universale alla salvezza da parte dei
pagani: «Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio» (v. 29). I giudei infedeli, «i
primi» (prw◊toi) in ordine di chiamata, dovranno quindi cedere il posto
«agli ultimi» (e¶scatoi) arrivati, ossia ai pagani che risponderanno con fede
all’annuncio evangelico (v. 30; cf. inoltre 3,7-9). Sta qui, a mio avviso, il
motivo principale per cui Luca ha preferito tralasciare la notizia sul viaggio di Gesù nella regione di Tiro e Sidone (Mc 7,24-30; Mt 15,21-28), e il
detto di Mt 10,5 in cui Gesù proibisce ai discepoli di andare fra i pagani.
Testi del genere avrebbero urtato la sensibilità dei lettori greci; ma soprattutto Luca li omette perché è convinto che la missione universale (eºwß
(LD 45), Paris 1967, 393-419; «La portée christologique de l’évangelisation des nations
d’après Luc 24,47», in Id., Nouvelles études sur les Actes des Apôtres (LD 118), Paris 1984,
37-57; «La conclusion des Actes et son rapport à l’ensemble de l’ouvrage de Luc», in
Nouvelles études, 457-511. Per una monografia specifica sul tema cf. S.G. Wilson, The
Gentiles and the Gentile Mission in Luke-Acts (SNTS 23), Cambridge 1973.
27. «Si può dire che nella vita stessa di Gesù si riscontra il fondamento “storico-salvifico”
della missione e della salvezza universale» (Bottini, Introduzione, 62).
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L. D. CHRUPCAŁA
e˙sca¿tou thvß ghvß: At 1,8; 13,47)28, compresa nel piano di Dio (cf. Lc
21,24b), è subordinata dal punto di vista teologico (e quindi anche temporale) alla missione ad Israele (prw◊ton: At 3,26; 13,46; 26,20).
La missione universale, di cui Luca parlerà negli Atti, si fonda sul ministero messianico di Gesù. Come è noto, il terzo evangelista ama più degli altri presentare Gesù in compagnia di varie categorie di persone. Egli si
incontra e accetta gli inviti a pranzo29 da parte dei farisei ma riserva lo stesso trattamento, giustificato e spiegato da lui nelle parabole (cf. soprattutto
Lc 15), anche e principalmente a coloro che sono emarginati a livello religioso, morale, etnico o sociale: peccatori, pubblicani, samaritani, donne,
bambini. In questo tratto distintivo di Luca – in buona parte dovuto certamente alla personalità dell’autore o alle esigenze del suo uditorio – traspare un’intenzione teologica di fondo: se Gesù è davvero «un corno di
salvezza / il Messia» suscitato da Dio nella casa di Davide (Lc 1,69) e l’atteso salvatore d’Israele (Lc 2,11; At 5,31; 13,23), vuol dire che tutti i membri del popolo eletto, i più bisognosi anzitutto, hanno il diritto di conseguire
la promessa di Dio30.
28. Il contesto universalistico di Is 8,9; 48,20; 49,6; 62,11, da cui dipendono le frasi degli Atti,
rende improbabile che Luca abbia qui in mente i confini della terra di Israele, come ritiene
D.R. Schwartz, «The End of the GH (Acts 1:8): Beginning or End of the Christian Vision?»,
JBL 105 (1986) 669-676, oppure la Spagna, come suggerisce invece E.E. Ellis, «“The End of
the Earth” (Acts 1:8)», BBRes 1 (1991) 123-132. Oltre a quello geografico non si può accettare neppure il senso puramente etnico (pagani-greci), come vorrebbe R.L. Brawley, LukeActs and the Jews. Conflict, Apology, and Conciliation (SBL MS 33), Atlanta 1987, 32-33;
cf. anche T.S. Moore, «“To the End of the Earth”: The Geographical and Ethnic Universalism
of Acts 1:8 in Light of Isaianic Influence on Luke», JEvThS 40 (1997) 389-399. «L’estremità
della terra» ha piuttosto un senso religioso-soteriologico e indica l’espansione universale della
salvezza, destinata a «tutte le genti» (Lc 24,47), giudei e pagani, che ha negli Atti un punto di
partenza; si veda P. Pokorný, «“… bis an das Ende der Erde”. Ein Beitrag zum Thema
Sammlung Israels und christliche Mission bei Lukas», in P. Pokorný - J.B. Souøek,
Bibelauslegung als Theologie (WUNT 100), Tübingen 1997, 315-325, spec. 319-323.
29. Il tema del banchetto, tipico per Luca, esprime tra l’altro la bontà di Gesù e la destinazio-
ne universale del suo messaggio. Sulle scene lucane del pasto si può vedere D.E. Smith,
«Table Fellowship as a Literary Motif in the Gospel of Luke», JBL 106 (1987) 613-638; J.H.
Neyrey, «Ceremonies in Luke-Acts. The Case of Meals and Table Fellowship», in Id. (ed.),
The Social World of Luke-Acts. Models for Interpretation, Peabody MA 1991, 361-387; R.L.
Kelley, «Meals with Jesus in Luke’s Gospel», HorBT 17 (1995) 123-131. Per una visione
complessiva cf. J. Bolyki, Jesu Tischgemeinschaften (WUNT 96), Tübingen 1998.
30. L’interesse di Luca per la missione ai gentili nel vangelo «is made not by explicit
statements but by the inclusion of material that emphasized Jesus’ ministry to those
GESÙ CRISTO, LA SALVEZZA E IL REGNO DI DIO
155
Il racconto evangelico di Luca contiene quindi già «allo stato
embrionale»31 ed esprime in forma narrativa quella verità che gli Atti manifesteranno nella sua compiutezza: Gesù, «figlio di Abramo» e «figlio di
Adamo» (Lc 3,34.38), è il promesso salvatore dei figli di Abramo (Lc
13,16; 19,9b) e di tutti gli uomini. E il rifiuto dei giudei di fronte all’annuncio di salvezza per tutti i «bisognosi» e i «lontani» d’Israele è un preludio del grande rifiuto che, di fronte all’annuncio universale della salvezza,
si consumerà dopo la pasqua.
La diffusione universale della salvezza. Gli Atti
A dire il vero, gli Atti, più che parlare della «diffusione» universale della salvezza, intendono illustrare e insieme motivare teologicamente le origini del
fenomeno di cui la chiesa ha preso progressivamente coscienza e che viene
ormai vissuto dai lettori di Luca come un dato di fatto. La profezia con cui
Luca ha iniziato la sua opera (Lc 2,30; 3,6) si realizza alla fine degli Atti: «Sia
dunque noto a voi che questa salvezza di Dio è stata inviata ai pagani» (28,28).
L’attività romana di Paolo raffigura così la missione della chiesa: d’ora in poi
essa accoglie «tutti quelli che vengono» e annuncia apertamente e con coraggio il regno di Dio e le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo.
La dimensione universale della salvezza è onnipresente negli Agli, sia
nella trama narrativa sia nei discorsi nei quali trapela il pensiero dell’autore. La teologia dei discorsi si rende concreta nei racconti che descrivono le
successive fasi della missione, rivolta dapprima ai giudei e poi con crescente intensità anche ai pagani32. In alcuni episodi in particolare, ai quali Luca
considered marginal in Palestinian society» (B.S. Rosner, «The Progress of the Word», in
Marshall - Peterson [ed.], Witness, 220, il quale si basa sullo studio di H.A. Dollar, A BiblicalMissiological Exploration of the Cross-Cultural Dimensions in Luke-Acts, San Francisco
1993, cap. 2).
31. Per questa insolita immagine cf. M. Tolbert, «Die Hauptinteressen des Evangelisten
Lukas», in G. Braumann (ed.), Das Lukas-Evangelium. Die redaktions- und kompositionsgeschichtliche Forschung (WdF 280), Darmstadt 1974, 339.
32. Il successo dell’annuncio evangelico si traduce nell’espansione della chiesa, come rivela
la frase-ritornello sulla «crescita della parola»: At 6,7; 12,24; 19,20; cf. W. Reinhardt, Das
Wachstum des Gottesvolkes. Untersuchungen zum Gemeindewachstum im lukanischen
Doppelwerk auf dem Hintergrund des Alten Testaments, Göttingen 1995, 192-199.219220.263-278.
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L. D. CHRUPCAŁA
attribuisce grande importanza, è chiaramente espressa la nota universalistica e il diritto dei pagani alla salvezza: la teofania della pentecoste (At
2,1-11), la conversione di Cornelio (10,1–11,18), il primo annuncio del
vangelo ai greci di Antiochia (11,19-26), la conversione-vocazione di Paolo all’apostolato tra i gentili (9,1-19; 22,3-21; 26,1-18).
Il concetto della salvezza destinata a tutti torna in parecchi discorsi degli
Atti, diventando sempre più esplicito. Luca non si accontenta di evocare la
sua evoluzione; cerca anzitutto di collocarlo all’interno del disegno di Dio
testimoniato nella Scrittura33. Nel primo discorso Pietro proclama sia il compimento della profezia di Gl 3,1-4 sull’effusione escatologica dello Spirito
«sopra ogni persona», sia la possibilità di accedere alla salvezza per tutti:
«chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo» (Gl 3,5 = At 2,21). Il
motivo, spiega più avanti Pietro, risiede nella volontà di Dio: «perché la
promessa è per voi e per i vostri figli, e per tutti quelli che stanno lontano,
quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro» (v. 39). Anche ai «lontani», come
vengono chiamati nella Bibbia i popoli pagani (Is 49,1; 57,19; Zc 6,15), è
stato promesso un futuro di salvezza da Colui che «non è lontano da nessuno» (At 17,27; 22,21; cf. Lc 15,13.20). La stessa idea ritorna all’inizio del
discorso di Pietro nella casa di Cornelio, dove viene ricordato che Dio è
imparziale e «in ogni nazione» gli è gradito chiunque lo teme e opera la
giustizia (At 10,34-35). Nel discorso pronunciato all’assemblea di
Gerusalemme l’apostolo ribadisce ancora che Dio non ha fatto differenza
tra i giudei e i pagani (At 15,9). Lo riconferma in seguito Giacomo, il quale
interpreta l’intervento di Dio in favore dei pagani come compimento dell’annuncio profetico di Am 9,11-12 (At 15,14-18). Non è diversa l’opinione
di Paolo che spiega la salvezza offerta ai gentili alla luce dell’agire sapiente
e provvidente di Dio nella storia (At 14,16-17; 17,26-27); per cui come già
nel passato tutti gli uomini potevano in varia misura conoscere Dio, così
anche ora «ognuno che crede viene giustificato» (At13,39).
Questo insieme di testi autorizza questa conclusione: dato che l’estensione della salvezza ai pagani è testimoniata nella Scrittura, di conseguen-
33. Cf. E. Richard, «The Divine Purpose: The Jews and the Gentile Mission (Acts 15)», in P.
Achtemeier (ed.), SBL 1980 Seminar Papers, Atlanta 1980, 267-282; J.B. Tyson, «The Gentile Mission and the Authority of Scripture in Acts», NTS 33 (1987) 619-631; C.H. Talbert,
«Once Again: The Gentile Mission in Luke-Acts», in Bußmann - Radl (ed.), Der Treue Gottes
trauen, 99-109; C.A. Evans, «The Prophetic Setting of the Pentecost Sermon», in C.A. Evans
- J.A. Sanders, Luke and the Scripture. The Function of Sacred Tradition in Luke-Acts,
Minneapolis MN 1993, 212-224.
GESÙ CRISTO, LA SALVEZZA E IL REGNO DI DIO
157
za la sua giustificazione non va ricercata nel fallimento (oppure in un parziale successo) della missione ai giudei ma nella fedeltà di Dio alle promesse fatte ad Israele34.
La rievocazione delle testimonianze bibliche sulla salvezza destinata ai
pagani non è tuttavia la fine della riflessione di Luca. La messa in atto del
piano di Dio doveva avvenire, secondo la speranza ebraica, ad opera del
Messia. Luca mostra perciò il legame che esiste tra Gesù di Nazaret e l’annuncio universale della salvezza. Le profezie messianiche annunciavano in
sostanza tre cose: la passione, la risurrezione e la missione salvifica del
Messia alle genti (Lc 24,46-47; At 26,22b-23). La passione e la risurrezione di Gesù, di cui narrava la finale del vangelo e su cui si ritornerà spesso
negli Atti, sono segni che permettono di riconoscere in Gesù l’atteso Messia. Ma senza il terzo segno, l’evangelizzazione delle nazioni pagane ad
opera del Messia, il compimento degli oracoli messianici da parte di Gesù
sarebbe discutibile. Proprio per questo motivo Luca intende la missione alle
genti non soltanto come l’espressione della volontà salvifica di Dio ma
anche come un mezzo indispensabile per provare la dignità messianica di
Gesù35.
La missione universale affidata dal Risorto agli apostoli unisce i due
«discorsi» di Luca. Gesù affida ai suoi il compito di testimoniare (Lc
24,47-48) non solo i fatti della vita di Cristo (passione, morte, missione alle
34. Cf. Dupont, «La conclusion», 510; «Je t’ai établi lumière des nations (Ac 13,14.43-52)»,
in Nouvelles études, 345-347. L’indurimento dei giudei, come anche le nuove esperienze
postpasquali di tipo carismatico (il dono dello Spirito, le rivelazioni profetiche, la glossolalia,
i miracoli) hanno aiutato la chiesa primitiva a capire meglio che l’evangelizzazione dei pagani era voluta da Dio. Cf. C.M. Martini, «La Chiesa primitiva di fronte alla conversione dei
pagani: legittimazione di un nuovo metodo missionario», in Z. Alszeghy (ed.), Ortodossia e
revisionismo. Studio interdisciplinare sui processi di legittimazione, Roma 1974, 59-71 =
Martini, La Parola di Dio alle origini della Chiesa (AnBib 93), Roma 1980, 295-304.
35. Cf. Dupont, «La portée christologique», 48.57. L’universalismo cristologico di Luca spie-
ga, secondo Dupont, la nascita degli Atti come un necessario proseguimento del vangelo: «en
ajoutant au récit évangélique traditionnel l’histoire des premières missions rapportée dans les
Actes des Apôtres, c’est encore de l’oeuvre du Christ que l’auteur veut parler. L’extension
du message du salut aux nations païennes fait partie de la tâche assignée à Jésus; elle constitue
un signe indispensable de sa royauté messianique» (p. 37). Tra le due tendenze che oggi si
fronteggiano tra di loro, quella cioè che vede negli Atti un seguito previsto fin dall’inizio (ad
es. Maddox) e quella invece che li considera una continuazione del racconto evangelico ormai completo (ad es. Parsons - Pervo), mi sembra che la prima sia decisamente da preferire
in quanto riflette meglio le intenzioni di Luca.
158
L. D. CHRUPCAŁA
genti) ma anche la loro interpretazionie come compimento delle predizioni
messianiche della Scrittura (vv. 46-47)36. Le ultime parole di Gesù nel vangelo vengono riprese, benché con una formulazione diversa, in At 1,8: «mi
sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli
estremi confini della terra». Anche in questo caso il dovere missionario è
in funzione della testimonianza cristologica37.
Gli apostoli hanno adempiuto il loro incarico operando «in nome di
Gesù» (At 2,38; 3,6.16; 4,10.12.18.30 ecc.)38; ma secondo Luca è stato soprattutto Paolo a porre in atto la missione salvifica di Cristo a tutte le genti. Gesù ha così preannunciato l’attività di Paolo: «egli è per me uno
strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli
d’Israele» (At 9,15). A somiglianza degli apostoli, anche Paolo diventa «testimone [del Giusto] davanti a tutti gli uomini», e viene mandato «lontano,
tra i pagani» (At 22,15.21). Nella sua ultima apologia l’apostolo ricorderà
le parole con cui Gesù, costituendolo «ministro e testimone», gli aveva indicato lo scopo del suo ministero: «aprire loro [ai pagani] gli occhi, perché
passino dalle tenebre alla luce…» (At 26,16-18). Come già prima in At
13,47 (= Is 49,6 LXX), la missione di Paolo è assimilata qui a quella del
Servo di Dio (cf. Is 42,6-7.16). Paolo sapeva tuttavia molto bene che gli
oracoli profetici non parlavano di lui (né dell’Israele fedele39) ma del Mes36. Cf. R.J. Dillon, «Easter Revelation and Mission Program in Luke 24:46-48», in D. Durken
(ed.), Sin, Salvation and the Spirit, Collegeville MN 1979, 240-270, spec. 251-256; G. Betori,
«Luke 24:47: Jerusalem and the Beginning of the Preaching to the Pagans in the Acts of the
Apostles», in G. O’Collins - G. Marconi (ed.), Luke and the Acts, New York - Mahwah NJ
1991, 103-120.
37. Sta qui soprattutto il motivo per cui Luca ha tralasciato il detto di Mc 13,10: «ma prima è
necessario che il vangelo sia proclamato a tutte le genti». L’eco di questo passo si fa sentire
in Lc 24,47//At 1,8 e ciò dimostra che anche Luca rilegge l’evangelizzazione universale,
seppure svincolata dal quadro apocalittico di Marco, alla luce del piano divino. Ma egli va
oltre e ricollega la «necessità» della missione al compimento degli annunci messianici.
38. Negli Atti o¡noma è riferito 32 volte a Gesù e implica, come nell’AT, la presenza e azione
di Dio fra gli uomini; per cui il nome e la persona divina di Gesù coincidono. «What believers
do in Jesus’ name, or what is done to theme on account of Jesus’ name, is in essence being
done by or to Jesus himself» (H.D. Buckwalter, «The divine Saviour», in Marshall - Peterson
[ed.], Witness, 119).
39. Così ad es. J. Jervell, Die Apostelgeschichte (KEK 3), Göttingen 1998, 364, secondo il
quale la missione ai gentili sarebbe un compito di Israele a cui Dio ha fatto le promesse; solo
grazie alla conversione di una parte del popolo eletto (il vero Israele) la salvezza avrebbe
dovuto giungere alle nazioni pagane.
GESÙ CRISTO, LA SALVEZZA E IL REGNO DI DIO
159
sia che doveva realizzare la speranza d’Israele. Proprio su questa «speranza nella promessa fatta da Dio ai padri» verteva la testimonianza
scritturistica di Paolo: «che cioè il Cristo sarebbe morto e che, primo tra i
risorti da morte, avrebbe annunziato la luce al popolo e ai pagani» (At
26,23; cf. vv. 6-8). Con la risurrezione di Gesù si è compiuta quindi la salvezza promessa ad Israele, al quale Dio ha mandato per prima il Risorto
(At 3,26), e ora, secondo il suo disegno, si compie la stessa salvezza-luce
per tutte le genti40.
Recando l’annuncio della salvezza a tutte le nazioni e rendendo testimonianza a Cristo fino agli estremi confini della terra, gli apostoli e Paolo
hanno adempiuto il programma missionario del «secondo discorso» di
Luca. Ma insieme essi hanno contribuito a realizzare le profezie bibliche
sul Messia che illumina le genti. Da questo punto di vista è evidente la
necessità teologica (oltre alla funzione narrativa) degli Atti che risultano
parte essenziale della Buona Novella. Diversamente dagli altri evangelisti,
la pasqua di Gesù non costituisce per Luca il coronamento del vangelo. Il
coronamento avrà luogo solo nel momento in cui il Cristo risorto, acclamato fin dalla nascita «luce per illuminare le genti» (Lc 2,32), sarà riconosciuto come il vero Messia che porta la salvezza a tutti gli uomini.
Il motivo dell’invio-venuta di Cristo
Lc 19,10 riporta un detto di Gesù sulla «venuta» che potrebbe racchiudere
tutto il senso della soteriologia lucana41. L’arrivo di Gesù nella casa di
Zaccheo cambia radicalmente la vita e il comportamento del ricco pubblicano. La sua repentina conversione suscita un commento da parte di Gesù:
«Oggi la salvezza (swthri÷a) è entrata in questa casa… il Figlio dell’uomo
40. Cf. W. Stegemann, «“Licht der Völker” bei Lukas», in Bußmann - Radl (ed.), Der Treue
Gottes trauen, 81-97; l’espressione fw◊ß e˙qnw◊n non concerne direttamente Gesù ma la pro-
messa «salvezza» che si è manifestata nella risurrezione del Messia Gesù dai morti; questa
«luce» del Risorto viene ora annunciata a tutti quale offerta della vita eterna (la risurrezione
universale).
41. G. Schneider, Das Evangelium nach Lukas, II (ÖTK 3/2), Gütersloh - Würzburg 19842,
376, preceduto e seguito da altri autori, definisce la storia di Zaccheo e in particolare il v. 10
«eine Zusammenfassung der lukanischen Soteriologie». Per i detti sulla «venuta» cf. la monografia di E. Arens, The HLQON-Sayings in the Synoptic Tradition. A Historico-Critical
Investigation (OBO 10), Freiburg - Göttingen 1976.
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L. D. CHRUPCAŁA
infatti è venuto per cercare e salvare (sw◊sai) ciò che era perduto»42. Luca
esprime qui lo scopo della venuta di Gesù mediante i concetti di servizio e
di salvezza, traducendoli in concreto nella «ricerca dei perduti».
Anche il terzo evangelista attribuisce alla croce di Gesù il valore
soteriologico o espiatorio43. Per lui tuttavia la redenzione degli uomini, resa
in termini di servizio e di salvezza, è fondata sull’intera esistenza di Gesù44.
In questo modo, non solo la passione-morte, ma tutta la storia umana di
Cristo si presenta come un evento redentivo. Se in seguito alla glorificazione Gesù riceve il titolo esclusivo di salvatore universale (At 4,12; 5,31),
tale dignità gli spetta fin dalla sua nascita terrena (Lc 2,11; cf. v. 30). Gesù
è salvatore perché nella sua vita si è reso visibile l’agire salvifico di Dio,
«perché Dio era con lui» (At 10,38). In lui Dio ha «visitato» il suo popolo
(Lc 1,68.78-79; 7,16; 19,44). L’invio di Gesù rappresenta perciò il compimento dell’annuncio profetico su Dio che viene per cercare e visitare le
pecore perdute di Israele (Ez 34,11-12.16 LXX)45.
42. Il detto appartiene al patrimonio lucano; si discute se derivi da una fonte propria o sia frutto
dell’attività redazionale di Luca nei confronti di Marco. La seconda ipotesi sembra più plausibile. E’ vero che in Luca non si legge il detto sul servizio e sul riscatto di Mc 10,45, ma il terzo
evangelista conosce questa tradizione (Lc 22,27) e la interpreta secondo il suo punto di vista
teologico, tralasciando le parole sul riscatto e mettendo l’accento sull’idea del servizio.
43. E’ una vexata quaestio. Per la storia del problema e tentativi di soluzione cf. V. Fusco,
«Il valore salvifico della croce nell’opera lucana», in Testimonium Christi. Scritti in onore di
Jacques Dupont, Brescia 1985, 205-236. Vedi inoltre la recente monografia di P. Tremolada,
“E fu annoverato fra iniqui”. Prospettive di lettura della Passione secondo Luca alla luce di
Lc 22,37 (Is 53,12d) (AnBib 137), Roma 1997; quest’opera viene discussa da G.C. Bottini,
«Is 52,13–53,12 nel racconto della passione di Lc 22–23», LA 47 (1997) 57-78. Per una rassegna di studi cf. F. Morell Baldarón, «El relato de la pasión según san Lucas. De Streeter a
Brown: 70 años de investigación de la composición de Lc 22-23», EstBíb 54 (1996) 79-114;
225-260.
44. «Cristologia e soteriologia sono due aspetti della teologia di Luca. Nella sua opera infatti
si parla sia della persona e dell’evento Gesù Cristo in sé, sia degli effetti salvifici che da lui
derivano, secondo il piano di salvezza voluto da Dio e preannunciato nelle Scritture» (Bottini, Introduzione, 134).
45. E’ il medesimo concetto racchiuso nel detto: «non sono stato inviato che alle pecore perdu-
te della casa d’Israele» (Mt 15,24; cf. 10,6). Luca tralascia questa frase, non perché voglia negare il diritto prioritario di Israele alla salvezza nel giorno della visita messianica di Dio; egli
infatti ne è convinto più degli altri evangelisti, come dimostra anche il suo silenzio sul viaggio
di Gesù nelle terre pagane. Il motivo è che per Luca, nell’invio di Gesù, storicamente circoscritto ad Israele, è già teologicamente incluso l’invio alle genti, ai «perduti» di tutto il mondo.
GESÙ CRISTO, LA SALVEZZA E IL REGNO DI DIO
161
I perduti, nell’ottica di Luca, sono tutti coloro ai quali è legalmente
impossibile raggiungere la salvezza: i peccatori e i pubblicani in primo luogo, ma anche le varie categorie di gente emarginata. Proprio ad essi è rivolto l’annuncio escatologico di Gesù46. In un altro detto sulla «venuta»,
parimenti del patrimonio lucano, Gesù dirà: «io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi» (Lc 5,32). La chiamata alla conversione significa qui l’offerta della salvezza per i perduti, equiparati ai malati
che attendono la guarigione dal medico. Venuto per essere «amico dei
pubblicani e dei peccatori» (Lc 7,34), Gesù illustra concretamente nel suo
agire la misericordia universale di Dio (Lc 15), di cui rivela il volto paterno e compie la volontà salvifica. Ma il «fuoco», ossia la parola profetica
(cf. Ger 5,14) che Gesù è «venuto a portare sulla terra» (Lc 12,49), provoca scandalo, rifiuto, opposizione. La proclamazione della pace di Dio o
della salvezza offerta a tutti, connessa con la venuta del Salvatore (Lc
2,14), si accompagna ad una (prevista) divisione (Lc 2,34; 12,51). La morte di Gesù sarà conseguenza di questo annuncio, ma anche conferma
inequivocabile del fatto che egli ha dedicato la sua attività messianica interamente alla pacificazione dei fratelli (cf. At 7,26). La divisione a motivo
dell’universalismo della salvezza proclamato da Gesù all’interno del popolo d’Israele anticipa così la grande divisione dinanzi all’annuncio universale della Parola ai «perduti» o ai «lontani» del mondo intero, di cui si
parlerà ampiamente negli Atti.
Per il nostro tema sarà utile richiamare alcuni passi del terzo discorso
di Pietro in At 10,34-43. Ricollegandosi all’episodio avvenuto nella casa
del pagano Cornelio, l’apostolo inizia attestando che Dio non usa parzialità e «in ogni nazione» gradisce chiunque lo teme e pratica la giustizia (vv.
34-35). Questa affermazione viene poi giustificata nel corpo del discorso
in cui Pietro, spostando l’attenzione da Dio alla persona e all’opera del suo
Inviato, presenta in sintesi la storia evangelica di Gesù, dal battesimo di
Giovanni fino alla missione affidata ai testimoni prescelti (vv. 36.37-42).
Quasi in parallelo con quanto detto nell’esordio, Pietro proclama quindi
46. Secondo S.J. Roth, The Blind, the Lame, and the Poor. Character Types in Luke-Acts
(JSNT SS 144), Sheffield 1997, con la presenza massiccia di poveri, ciechi, lebbrosi, sordi
nel III Vangelo (e non invece negli Atti) Luca ha voluto mettere in evidenza che Gesù è l’unico agente divino della salvezza. Ma della categoria dei «poveri», ai quali Gesù è stato inviato
per proclamare la buona novella (Lc 4,18), fanno parte anche i pubblicani e i peccatori, che
Roth vorrebbe escludere; cf. D.A. Neale, None but the Sinners. Religious Categories in the
Gospel of Luke (JSNT SS 58), Sheffield 1991, 130-131.
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L. D. CHRUPCAŁA
nell’epilogo che «chiunque crede in lui [Gesù]» ottiene il perdono dei peccati (v. 43b). L’universalità della salvezza in Cristo costituisce il compimento degli oracoli messianici a cui l’apostolo si appella in modo
complessivo e generico (v. 43a: «tutti i profeti gli rendono questa testimonianza»), data la presenza di un uditorio pagano. Lo stesso contenuto sembra trasparire nel v. 36 che riprende l’idea espressa in apertura del
discorso47. La sintassi contorta e la tradizione manoscritta di questo passo
non rendono facile la sua interpretazione. Pietro afferma che Dio «ha inviato la parola (to\n lo/gon aÓpe÷steilen) ai figli d’Israele». Si può presumere che «la parola» in questione, posta enfaticamente all’inizio della frase,
sia da collegare proprio con i vv. 34-35. Tale parola, ossia il messaggio
sulla benevolenza di Dio verso tutti gli uomini, è stata trasmessa ad Israele
nella Scrittura, come fanno intendere i richiami biblici (Dt 10,17; Sal
107,20); ora Dio l’ha inviata di nuovo «dando un lieto annuncio della pace
(eujaggelizo/menoß ei˙rh/nhn) per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore
di tutti». La proposizione participiale ha la funzione di specificare ulteriormente il significato della «parola». Il messaggio dell’apertura universale di
Dio (vv. 34-35) si rende manifesto nel lieto annuncio della pace che Dio
proclama e realizza mediante Gesù Cristo, nell’attività salvifica di questi a
beneficio di tutti (il passato) e nel suo potere di concedere il perdono a
chiunque crede (il presente)48. L’annuncio della pace, centrato secondo le
profezie sul ristabilimento della signoria di Dio ad opera del Messia (Is
52,7; 61,1), diventa concreto e viene attualizzato nell’agire salvifico di Dio
in Cristo, il quale perciò viene designato con il titolo divino: «il Signore di
tutti»; la signoria universale che Gesù esercita a partire dalla risurrezione
conferma e assicura che la salvezza annunciata è destinata a quanti credono in lui, sia giudei che pagani49. Ne consegue che l’avvento della «pace»
messianica (Lc 2,14.29), più che il risultato della salvezza, denota l’offerta
47. Molti autori legano il v. 36 con quelli precedenti; cf. F. Neirynck, «Acts 10,36a to\n lo/gon o§n», ETL 60 (1984) 118-123; di altro parere J. Dupont, «Dieu l’a oint d’Esprit Saint (Ac
10,34-38)», in Nouvelles études, 319-328 (qui 324).
48. Secondo R.F. O’Toole, «Ei˙rh/nh, an Underlying Theme in Acts 10,34-43», Bib 77 (1996)
461-476, tutto il discorso di Pietro è pervaso dal concetto lucano della «pace», presente nelle
sue varie sfumature come «parola» (v. 36: to\n lo/gon), «evento» (v. 37: to\ rhvma), «Gesù di
Nazaret» (v. 38: ∆Ihsouvn aÓpo\ Nazare÷q).
49. Nel secondo discorso agli abitanti di Gerusalemme, l’apostolo dichiara che «Dio, risuscitando il suo servo, ha inviato (aÓpe÷steilen) ad essi la benedizione» (At 3,26). Nella di-
scendenza di Abramo, ossia nel Cristo risorto, si è avverata quindi, secondo la promessa
genesiaca (v. 25), la salvezza destinata dapprima ai «figli dei profeti e dell’alleanza». In un
GESÙ CRISTO, LA SALVEZZA E IL REGNO DI DIO
163
universale della stessa salvezza che si è manifestata nel ministero terreno
di Cristo. In tal senso va letta la frase con cui Pietro sintetizza l’azione
salvifica di Gesù di Nazaret: «egli passò beneficando e risanando tutti
(pa¿ntaß) coloro che stavano sotto il potere del diavolo» (v. 38). Anche se
storicamente Gesù non ha esorcizzato proprio «tutti» gli indemoniati in
Israele, tuttavia la sua opera di liberazione aveva questa portata universale.
A maggior ragione ora, quando il Risorto è stato costituito «il giudice dei
vivi e dei morti» (v. 42), vale a dire di tutti gli uomini, egli assume in pieno il ruolo e la dignità di pa¿ntwn ku/rioß.
Mentre in At 10,36 l’invio di Gesù è finalizzato all’«annuncio della
pace» o della salvezza aperta a tutti, in Lc 4,43 Gesù stesso interpreta la
sua attività nell’ottica dell’«annuncio del regno di Dio»50. Alle folle, desiderose di trattenerlo, egli ribadisce la sua missione: «Bisogna che io annunci il regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato inviato».
Modificando il marciano e˙xhvlqon «sono venuto» (Mc 1,38) nel passivo
divino aÓpesta¿lhn «sono stato inviato», e ricollegandosi a Is 61,1 che ha
citato in Lc 4,18 (aÓpe÷stalke÷n me «mi aveva inviato»), Luca intende sottolineare un forte legame tra l’invio di Gesù e il suo annuncio messianico.
Un’altra modifica concerne l’oggetto dell’annuncio. In contrasto con la
generica notizia di Marco («affinché anche là io predichi / khru/xw»),
Luca specifica il contenuto della predicazione di Gesù con una informazione supplementare: hJ basilei÷a touv qeouv, un termine con cui il terzo
evangelista riassume l’intero annuncio di Gesù. Infine, anche in questo
caso l’invio di Gesù, finalizzato all’«annuncio del regno di Dio», è
l’espressione del disegno di Dio (dei√). Esso è insieme l’incarico divino e
il compimento della Scrittura, come dimostra il riferimento alla citazione
isaiana in Lc 4,18-19.
Lc 4,43 e 19,10, collocati rispettivamente all’inizio e al termine della
missione pubblica di Gesù, si completano a vicenda nel tentativo di definire l’attività salvifica di Cristo, inviato da Dio per dare la buona novella
altro discorso, quello di Paolo nella sinagoga di Antiochia di Pisidia, si legge: «a noi è stata
inviata (e˙xapesta¿lh) questa parola di salvezza» (At 13,26). La «parola di salvezza» indica
qui l’opera salvifica di Gesù quale compimento delle promesse. Lo stesso senso trapela nella
denuncia dell’incredulità dei giudei fatta da Paolo nell’epilogo degli Atti: «vi sia noto dunque che ai gentili è stata inviata (aÓpesta¿lh) questa salvezza di Dio ed essi ascolteranno»
(At 28,28). Quello che Dio ha inviato è la sua salvezza realizzata in Gesù Cristo e offerta
ora (anche) ai pagani. In entrambi i casi, il dono divino viene conferito nell’annuncio (di
Gesù e della chiesa) e richiede l’adesione di fede.
50. O’Toole, «Ei˙rh/nh», 469, vede in Lc 4,43 il parallelo più vicino di At 10,36.
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L. D. CHRUPCAŁA
della pace (At 10,36). Se Luca mette l’accento sull’annuncio del regno di
Dio quale tratto caratteristico della missione di Gesù e se, dall’altro canto,
intende l’invio di Gesù come un servizio di ricerca dei perduti, vuol dire
che il fondamento del cercare e del salvare i perduti sta proprio nell’annuncio del regno di Dio. Tale annuncio, a sua volta, non si riduce ad un
discorso astratto perché, trattandosi di un annuncio della pace messianica,
esso veicola e porta a tutti gli uomini alienati o lontani da Dio una reale
offerta di salvezza in Cristo.
3. Il regno di Dio
Il numero delle ricorrenze di basilei÷a touv qeouv nell’opera lucana (Lc: 42
volte; At 8: volte) non lascia dubbi sull’importanza di questo tema nella
teologia di Luca51. E’ vero che si nota subito una sproporzione nell’impiego del termine tra le due parti dell’opera, ma questo fatto non deve essere
interpretato come una perdita di interesse. Uno sguardo più attento al posto e alla funzione dei passi sul regno negli Atti, smentisce facilmente le
conclusioni che potrebbero sorgere in base alla statistica52.
La prima menzione di basilei÷a touv qeouv compare relativamente tardi
nel III Vangelo in confronto con gli altri sinottici. In ogni caso, i sommari
tradizionali sul contenuto della predicazione di Gesù (Mc 1,15; Mt 4,17) si
riflettono nel passo di Lc 4,43 sul regno di Dio con il quale l’evangelista
termina la descrizione degli inizi della missione pubblica di Gesù (Lc 4,1444)53. Il brano, in particolare la prima parte del dittico (ossia l’episodio di
Nazaret: vv. 14-30 seguito dall’episodio di Cafarnao: vv. 31-44), costitui-
51. Per una bibliografia generale sul regno di Dio e per quella lucana in particolare cf. L.D.
Chrupcała, Il regno opera della Trinità nel vangelo di Luca (SBF Analecta 45), Jerusalem
1998, 235-242.
52. Come ha ben mostrato A. Weiser, «“Reich Gottes” in der Apostelgeschichte», in
Bußmann - Radl (ed.), Der Treue Gottes trauen, 127-135, il regno di Dio è un rilevante concetto della teologia missionaria di Luca e dell’annuncio ecclesiale non a motivo della sua frequenza ma del ruolo che svolge nella composizione letteraria (pp. 128 e 132).
53. Per quanto segue vedi diffusamente A. Prieur, Die Verkündigung der Gottesherrschaft.
Exegetische Studien zum lukanischen Verständnis von basilei÷a touv qeouv (WUNT 89),
Tübingen 1996, 167-181. Cf. inoltre A. Del Agua Pérez, «El cumplimiento del Reino de Dios
en la misión de Jesús: Programa del Evangelio de Lucas (Lc. 4,14-44)», EstBíb 38 (19791980) 269-293.
GESÙ CRISTO, LA SALVEZZA E IL REGNO DI DIO
165
sce una specie di programma o manifesto teologico54. Non dovrebbe perciò sorprendere la cura con cui il terzo evangelista rielabora le sue fonti
per esprimere «meglio che in qualsiasi altro luogo» il senso della missione
e del messaggio di Gesù55. La mano redazionale di Luca è visibile anche in
4,43, un passo che fa parte del patrimonio lucano ma che ha evidenti radici
nella tradizione. Marco chiude la prima giornata missionaria di Gesù con
un sommario sulla sua attività (Mc 1,39//Lc 4,44). Luca invece premette il
detto sul regno, apportando notevoli modifiche alla sua fonte (Mc 1,38).
Abbiamo già rilevato sopra che l’invio di Gesù finalizzato all’annuncio del
regno diventa per Luca espressione del disegno divino. Per completare il
quadro, presentiamo ora altri tratti del suo lavoro redazionale.
Desta alquanto meraviglia che Luca, così attento a porre in risalto la
preghiera di Gesù, abbia tralasciato l’inciso di Mc 1,35: «e là (nel luogo
deserto) pregava». L’omissione si deve verosimilmente al fatto che per
Luca la preghiera è connessa sempre con momenti importanti della storia
salvifica e segna la comparsa di nuovi eventi o rivelazioni (3,21; 9,18.28;
11,1; 20,40.46; 22,31; 23,34.46). Tale non era però il caso di Lc 4,43; infatti, lo scopo dell’«annunciare il regno di Dio» è noto a Gesù fin dall’inizio della sua missione.
Cambiando il verbo di Marco khru/ssein in eujaggeli÷zomai, Luca rimanda con ciò di nuovo (cf. la sostituzione del marciano e˙xhvlqon con il
passivo divino aÓpesta¿lhn) alla citazione di Is 61,1 contenuta in Lc 4,18.
Luca impiega spesso entrambi i verbi, ma mostra una predilezione per il
secondo (eujaggeli÷zomai compare 25 volte nell’opera lucana e altrove nei
sinottici solo in Mt 11,5)56. Il riferimento al passo profetico serve, tra l’altro, ad indicare la differenza tra l’annuncio della buona novella del regno
di Dio da parte di Gesù e quello fatto da Giovanni Battista (Lc 3,18); per
54. Tale caratteristica vale anche per il tema del regno di Dio; «diesem Abschnitt kommt für
das lukanische Verständnis von “Reich Gottes” grundlegende Bedeutung zu» (Weiser, «Reich
Gottes», 129). Cf. anche M. Völkel, «Zur Deutung des “Reiches Gottes” bei Lukas», ZNW 65
(1974) 63-67; O. Merk, «Das Reich Gottes in der lukanischen Schriften», in E.E. Ellis - E.
Grässer (ed.), Jesus und Paulus. Festschrift für W.G. Kümmel, Göttingen 1975, 208-209.
55. Questo acuto giudizio di F. Bovon, L’Évangile selon saint Luc (1,1-9,50) (Commentaire
du NT 3a), Genève 1991, 220, non è da lui applicato adeguatamente nel commento.
56. Eujaggeli÷zomai è un verbo di annuncio e ha per oggetto anche il regno di Dio (oltre a Lc
4,43 cf. 8,1; 16,16; At 8,12). La connessione tra il regno di Dio e i verba dicendi è la nota principale dello stile di Luca: khru/ssein (Lc 8,1; 9,2; At 20,25; 28,31), diagge÷llein (Lc 9,60),
lalei√n (Lc 9,11), le÷gein (At 1,3), diale÷gein e pei÷qein (At 19,8), diamartu/resqai (At28,23).
166
L. D. CHRUPCAŁA
Luca infatti, diversamente da Mt 3,2, soltanto Gesù può proclamare per
primo il compimento della promessa divina (cf. Lc 16,16).
Un’altra sostituzione da non trascurare riguarda lo spazio della missione di Gesù. Al posto dei «villaggi vicini» e della «Galilea» di Mc 1,38.39,
Luca mette le «altre città» e la «Giudea». In questo modo il terzo evangelista allarga il campo della missione di Gesù. Il suo annuncio del regno risuonava sia nelle cittadine rurali, sia nei grandi centri urbani. E non solo la
Galilea ma tutta la regione palestinese (che Luca chiama qui Giudea, avendo di mira gli abitanti della Palestina: il popolo giudaico) costituiva l’ambito dell’attività di Gesù, inviato da Dio all’intero Israele.
L’invio di Gesù è finalizzato all’annuncio del regno di Dio. Dicendo
«anche» (la particella rafforzativa kai÷) alle altre città, Luca fa capire che
l’annuncio del regno era il tema dominante della precedente predicazione
di Gesù a Nazaret e Cafarnao. Dato però che a Cafarnao non viene indicato il contenuto di tale annuncio, per saperne di più bisogna ricorrere alla
pericope di Lc 4,16-30, soprattutto ai vv. 18-19.21.
Il punto centrale del discorso di Gesù nella sinagoga di Nazaret è rappresentato senz’altro dal v. 21: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura…»,
con cui Luca sintetizza il commento di Gesù dopo la lettura del brano di Is
61,1-2 (vv. 18-19). Gli ascoltatori, stupiti o sdegnati, intuiscono subito la
pretesa messianica del loro compaesano, il quale stabilisce un rapporto di
promessa-compimento tra l’annuncio profetico della Scrittura e la sua attualizzazione storica. Così l’evento di Gesù Messia, in cui comincia a realizzarsi il piano di Dio, segna l’inizio dell’atteso tempo della salvezza57.
L’adempimento della Scrittura di cui parla Lc 4,21 corrisponde dal punto di vista formale al passo di Mc 1,15. Anche qui una frase relativa al compimento segna l’inizio della missione pubblica di Gesù. Il contenuto dei due
passi non è tuttavia uguale. Mentre Marco afferma che «il tempo è compiuto
e il regno di Dio è vicino», Luca dichiara che «la Scrittura si è adempiuta» e
si sta tuttora compiendo, come indica il verbo al perfetto peplh/rwtai. Per
Marco la «vicinanza» del regno di Dio è il contenuto del vangelo proclamato, mentre per Luca l’oggetto dell’annuncio è la realizzazione stessa del piano di Dio. Di conseguenza, il regno di Dio si profila in Marco come un
evento decisamente futuro, benché ormai prossimo; per Luca invece il re57. Proprio perché è compimento, l’evento Cristo diventa per Luca l’oggetto dell’annuncio
del regno di Dio. «Die Verwirklichung des Heilsplanes im Christusgeschehen ist Kennzeichen der Heilszeit und kommt als Erfüllunsgeschehen in der Verkündigung der basilei÷a
touv qeouv zur Sprache. Insofern ist auf Grund ihres Inhalts diese Verkündigung nach Lukas
ein Signum der Heilszeit» (Prieur, Die Verkündigung, 176-177).
GESÙ CRISTO, LA SALVEZZA E IL REGNO DI DIO
167
gno è già arrivato nel momento in cui gli annunci biblici sul Messia sono
giunti a compimento e ciononostante esso cresce di continuo (13,18-21),
anzi dovrà ancora venire (11,2) in un futuro prossimo (9,27: il mistero pasquale di Gesù) o lontano (21,28.31: la parusia), quando finalmente tutte le
promesse raggiungeranno il definitivo compimento58.
Nella scena della sinagoga l’annuncio del regno di Dio non coincide
quindi semplicemente con il contenuto di Is 61,1-2 = Lc 4,18-19 (la liberazione ai prigionieri, la vista ai ciechi, la libertà agli oppressi), ma indica
piuttosto il messaggio sul compimento delle promesse. Nel presente caso
l’annuncio del regno vuol dire: oggi si è compiuta la parola della Scrittura
che prometteva la venuta del Messia. Gesù, mandato da Dio per una missione di liberazione e unto con la forza dello Spirito del Signore, dichiara
l’avvento dell’era messianica. La sua persona è il segno del tempo della
salvezza, perché il suo evento realizza la promessa.
La predicazione iniziale di Gesù non si esaurisce nella sinagoga di
Nazaret. Il suo autorevole insegnamento è messo in luce anche nel brano
successivo (4,31-41), dove Luca dimostra come nell’attività di Gesù
esorcista e taumaturgo si compia effettivamente l’oracolo isaiano. Proprio
ora il regno diventa realtà, si rende presente in modo concreto. Va ricordato tuttavia che gli atti di potenza (esorcismi e guarigioni) in quanto tali non
«annunciano» ancora la venuta del regno; è necessario che vengano compresi e creduti quali eventi di compimento (cf. 11,20; 17,21)59. Ne segue
58. Con il caratteristico «annuncio del regno di Dio» – spiega Prieur nella conclusione della
sua ricerca (Die Verkündigung, 281) – «wird die christliche Botschaft thematisiert. Diese
Botschaft beeinhaltet für Lukas den Heilsplan Gottes und seine teilweise Realisierung». Secondo Luca, gli eventi più importanti del piano salvifico di Dio sono: il ministero terreno, la
morte-risurrezione-ascensione di Gesù e la sua attività da Risorto, l’effusione dello Spirito
santo, la restaurazione di Israele, l’indurimento dei giudei, la distruzione di Gerusalemme, la
missione universale e infine la parusia del Signore.
59. «Se io scaccio i demoni con il dito [Mt 12,28: lo Spirito] di Dio, di conseguenza è giunto
a voi il regno di Dio» (Lc 11,20) è il detto con cui Gesù difende l’origine divina della sua
attività esorcistica. Non solo, ma proprio nelle sue opere, simili nella forma a quelle di altri
esorcisti giudei (v. 19), si manifesta il regno di Dio, perché sono le opere del Messia (e˙gw¿).
La stessa accentuazione cristologica traspare nel detto di Lc 17,21 in cui la presenza del regno (e˙nto/ß e˙stin) coincide con la persona e l’attività salvifica di Gesù (vv. 11-19). Senza riconoscere Gesù come l’inviato messianico (la fede), è preclusa quindi la possibilità di
percepire nelle sue opere l’intervento escatologico di Dio. Per un’analisi completa di questi
due importanti passi e il loro posto nella teologia di Luca si può vedere il nostro Il regno opera della Trinità, 65-171.
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L. D. CHRUPCAŁA
allora che l’annuncio del regno di Dio, ossia il messaggio del compimento
delle profezie bibliche, ha bisogno delle manifestazioni della signoria
salvifica di Dio; e queste, a loro volta, si fondono sull’annuncio del regno,
affinché come tali possano essere riconosciute e accolte.
Il carattere programmatico di Lc 4,43 consente di caratterizzare brevemente il senso lucano del regno di Dio. L’evangelista vede anzitutto
uno stretto legame tra l’invio di Gesù e la sua missione di araldo del regno. Egli accentua inoltre la correlazione tra la presenza del regno e l’opera di Gesù: con la venuta del Messia iniziano a realizzarsi le promesse di
Dio. L’annuncio del regno consiste pertanto nel rivelare il compimento
del piano salvifico che Dio ha predisposto nella Scrittura. Questo piano
ha il suo centro in Cristo e si concretizza storicamente in una serie di
eventi escatologici che accompagnano o seguono la venuta del Messia.
Annunciare il regno vuol dire allora proclamare la fedeltà di Dio che nella
persona del suo Inviato ha dato inizio al compimento delle promesse
salvifiche.
4. Il regno di Dio come evento cristologico-soteriologico
Stando al detto di 4,43, risulta evidente che Luca ha condensato con grande abilità il tema centrale della predicazione di Gesù, unificando in un solo
quadro vari aspetti del regno di Dio. Preservandone il carattere escatologico, senza però staccarlo dalla sua cornice storica60, egli vi ha impresso
un forte timbro teologico, cristologico, soteriologico. Bisogna aggiungere
che questa esplicitazione non è fortuita ma è dettata dalle finalità iscritte
nel progetto narrativo di Luca, il quale cercava così di rispondere alle necessità dei suoi lettori. Il tema del regno di Dio si è rivelato particolarmente utile per esprimere la venuta della salvezza di Dio in Cristo e la sua
espansione universale.
60. E’ infondata l’accusa rivolta a Luca d’aver perso di vista l’impronta escatologica del
regno di Dio; cf. W.G. Kümmel, «Luc en accusation dans la théologie contemporaine»,
ETL 46 (1970) 265-281 (qui 273). E’ bene ricordare che per Luca l’escatologia, saldamente connessa con la storia della salvezza, non indica il punto finale del mondo ma
un’epoca che incomincia col ministero messianico di Gesù e si articola in una serie di
eventi fino alla parusia del Signore. Sulla questione escatologica in Luca cf. Bovon, Luc
le théologien, 11-84.
GESÙ CRISTO, LA SALVEZZA E IL REGNO DI DIO
169
Dall’invio di Gesù all’invio dei discepoli (il vangelo)
Luca ha tratto da Mc 3,14 la notizia che Gesù «mandò [i Dodici] ad annunziare», ma a differenza della sua fonte, ha specificato il contenuto dell’annuncio: «il regno di Dio». In chiaro parallelo con Lc 4,43 e 8,1, dove
si parlava rispettivamente dell’invio di Gesù e dell’esercizio della sua missione, l’evangelista presenta l’invio dei Dodici (9,2) e l’esercizio del loro
mandato missionario (9,6). L’invio di Gesù trova quindi nell’invio dei Dodici la sua continuazione. E ciò vale non solo per l’annuncio ma anche per
la pratica degli esorcismi e delle guarigioni61.
Dato che il sommario di Lc 9,6 richiama 9,2, è indubbio che gli apostoli, «annunziando dovunque la buona novella (eujaggelizo/menoi)», proclamavano il messaggio sul regno di Dio. Ma di che si trattava in concreto?
La risposta viene dal contesto. Nel v. 7a si dice che Erode era perplesso
sentendo parlare «di tutti questi avvenimenti» (ta» gino/mena pa¿nta), di
quanto cioè gli apostoli annunciavano e facevano per ordine di Gesù. Dal
v. 9b risulta invece che l’inquietudine del re è causata da «tali cose»
(toiauvta), ossia quelle riguardanti Gesù. In entrambi i casi il riferimento è
alla persona di Gesù; per questo Erode voleva conoscere l’identità di «costui». Ne segue che i Dodici, predicando la buona novella del regno di Dio,
hanno parlato della persona e dell’attività di Gesù. Essi hanno sperimentato nelle opere e nelle parole dell’inviato messianico di Dio l’inizio del tempo della salvezza, predetto dai profeti.
La missione di annunciare il regno non è limitata però ai Dodici. Anche agli altri discepoli di Gesù e a quanti intendono seguirlo viene affidato
lo stesso incarico-dovere. La conoscenza dei «misteri del regno di Dio» (Lc
8,10), vale a dire la comprensione del piano salvifico, è infatti un dono che
deve essere diffuso ovunque e partecipato a tutti (vv. 16-17). Ad un adepto
senza nome che poneva condizioni alla chiamata di Gesù, questi spiega il
vero senso del discepolato: «andato, proclama il regno di Dio» (Lc 9,60).
61. L’intenzione di Luca di allineare l’attività dei discepoli (annuncio e guarigioni) a quella
di Gesù è ben visibile paragonando 9,2 con 9,11. Quando Gesù accolse le folle, «prese a parlar loro del regno di Dio e a guarire i malati». Poco prima Gesù diede ai Dodici il mandato di
«annunziare il regno di Dio e di guarire gli infermi». Come nel caso di Gesù, dei Dodici e di
altri discepoli (cf. 10,9.17.20), anche la predicazione post-pasquale di Filippo sul regno di Dio
e quella di Paolo sarà accompagnata da miracoli (cf. At 8,6-7.12.13b; 19,8.11-12); le opere
prodigiose, comprese da Luca come azioni di Dio (2,22; 15,12; 19,11) e del Cristo risorto
(4,30; 13,3), hanno lo scopo di confermare la verità dell’annuncio e la sua integrità.
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L. D. CHRUPCAŁA
Ad un altro che indugiava a seguirlo, dice: «Nessuno che ha messo mano
all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio» (v. 62). Alla
luce del contesto precedente, anche questo detto, esclusivo di Luca, contiene un riferimento alla missione di annunciare il regno. «Chi ha messo mano
all’aratro», ossia colui che si è deciso a seguire Gesù, e «guarda indietro»,
non adempie cioè il dovere missionario, non «è adatto per il regno di Dio».
Al positivo ciò vuol dire che il discepolo eu¡qeto/ß e˙stin thˆv basilei÷aØ touv
qeouv, quando annuncia il regno.
In questi testi, oltre al loro valore storico, è presente un altro significato:
l’incarico affidato ai discepoli prefigura l’attività della chiesa che sarà chiamata a proseguire la missione di Gesù in tutto il mondo. In questa ottica si
colloca anche il brano lucano sull’invio dei «settanta(due) discepoli» (10,120)62. Anch’essi ricevono il compito di annunciare il regno di Dio (vv. 9.11).
La «vicinanza» che devono annunciare alla gente non indica l’arrivo imminente di Gesù e neppure un discorso relativo alla parusia. Come prima faceva
Gesù, ora spetta ad essi far sapere a tutti che il regno di Dio «si è fatto vicino
e continua sempre di più a rendersi tale» (h¡ggiken, perfetto), ossia che gli
annunci salvifici contenuti nella Scrittura hanno iniziato a realizzarsi con la
venuta del Messia Gesù e sono tuttora in fase di compimento fino alla parusia
del Signore (cf. Lc 21,28.31). Pertanto, se l’epoca della Legge e dei Profeti
era quella della promessa, a cominciare da Gesù che ha dato avvio al compimento delle promesse e all’annuncio del regno, «viene annunciata la buona
novella del regno di Dio e ognuno si sforza di entrarvi» (Lc 16,16).
E’ interessante notare che in quest’ultimo detto, l’unico caso in cui il
verbo dell’annuncio compare al passivo (eujaggeli÷zetai), Luca ha riunito
insieme i due aspetti del regno di Dio. Accanto a quello tipico della sua
teologia (l’annuncio del regno o del compimento delle promesse), si incontra il senso tradizionale: basilei÷a come un futuro regno escatologico nel
quale si «entra» attraversando molte tribolazioni (At 14,22)63. I due aspetti
62. E’ evidente che Luca ha attribuito al numero degli inviati (qualunque esso fosse) un si-
gnificato che trascende il lato puramente storico; per cui l’ipotesi che in questo testo l’evangelista abbia voluto anticipare la missione della chiesa alle genti deve essere seriamente
considerata. Per una discussione sul testo e sulla simbologia del numero 70/72 cf. B. Metzger,
«Seventy or Seventy-two Disciples?», NTS 5 (1958-1959) 299-306; S. Jellicoe, «St. Luke and
the Seventy (-two)», NTS 6 (1959-1960) 319-321; Prieur, Die Verkündigung, 212-220.
63. Sulle caratteristiche dei detti sull’«entrata nel regno di Dio» vedi P. Wolff, Die frühe
nachösterliche Verkündigung des Reiches Gottes (FRLANT 171), Göttingen 1999, 35-56.
Anche il banchetto escatologico, un’altra immagine tradizionale del regno di Dio utilizzata
da Luca, esprime l’idea della salvezza definitiva (cf. 13,28-29; 14,15; 22,16.18.30).
GESÙ CRISTO, LA SALVEZZA E IL REGNO DI DIO
171
non si oppongono fra di loro ma neppure vanno identificati. L’avveramento
del piano salvifico, oggetto dell’annuncio di Gesù, dei suoi discepoli e della chiesa, è la premessa perché nel futuro giunga la salvezza definitiva.
Quando il giovane ricco non si sente in grado di abbandonare i propri
beni per seguire Gesù, questi afferma con amarezza: «Quant’è difficile per
coloro che possiedono le ricchezze entrare nel regno di Dio! E’ più facile
per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel
regno di Dio» (Lc 18,24-25). Tale constatazione provoca l’immediata domanda degli ascoltatori: «Allora chi potrà essere salvato (swqhvnai)?» (v.
26). Risulta netta la corrispondenza fra l’entrare nel regno di Dio e l’essere
salvati. Lo stesso va detto di un susseguente breve dialogo fra Gesù e Pietro. Gesù assicura all’apostolo che «non c’è nessuno che abbia lasciato casa
o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva
molto di più nel tempo presente e la vita eterna (zwh\n ai˙w¿nion) nel tempo
che verrà» (vv. 29-30). La vita eterna, che era poi il punto cruciale della
domanda posta a Gesù dal giovane ricco (v. 18), non è altro qui che la salvezza finale del regno di Dio, per il quale sin d’ora occorre decidersi in
modo fermo e radicale; così come ha fatto «il buon ladrone».
Nell’episodio degli insulti (23,39-43) soltanto Luca riferisce che uno
dei due compagni di pena insultava Gesù: «Non sei tu il Cristo? Salva te
stesso e anche noi!» (v. 39). L’impenitente criminale riconosce, benché con
derisione, la dignità messianica e il potere salvifico di Gesù. Nelle sue parole si sente l’eco delle beffe fatte in precedenza dai capi del popolo: «Ha
salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto» (v. 35), e
dai soldati: «Se tu sei il re dei giudei, salva te stesso» (v. 37). Gli insulti
traevano ispirazione dall’iscrizione appesa sopra il capo di Gesù: «Questi
è il re dei giudei» (v. 38).
Diverso l’atteggiamento del secondo malfattore, il quale rimprovera il
suo compagno di supplizio, ammette le proprie colpe e dichiara l’innocenza di Gesù. Il suo pentimento non lascia dubbi circa la sincerità della sua
supplica: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (v. 42)64.
Nella richiesta, anch’essa ispirata all’iscrizione della condanna, il ladrone
confessa implicitamente la sua fede nella regalità di Gesù e gli chiede di
poterla condividere.
La risposta di Gesù è il vertice del racconto: «In verità ti dico, oggi
sarai con me nel paradiso» (v. 43). A differenza dell’incerto «quando» della domanda, la risposta indica il tempo esatto dell’ingresso (sh/meron) e il
64. Sulla basilei÷a di Gesù cf. anche Lc 1,33; 19,12.15; 22,29-30.
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L. D. CHRUPCAŁA
luogo nel quale il buon ladrone prenderà parte al destino messianico-regale di Gesù. E’ difficile stabilire cosa intenda Luca con il concetto biblicogiudaico del «paradiso»65. In ogni caso, la sorte del ladrone dopo la morte
viene legata con quella di Gesù che entrerà «nella sua gloria» (Lc 24,26)
di Risorto esaltato66. Alla luce del contesto, incentrato sul tema della «salvezza» (vv. 35bis.37.39: swØ/zw), l’entrare con Gesù «nel suo regno» / «nel
paradiso» indica per il ladrone un effetto salvifico; dopo la morte egli varcherà la soglia della beatitudine dei giusti67.
Nella scena dei due ladroni Luca manifesta per l’ultima volta la misericordia salvifica di Gesù verso i «perduti». In un racconto drammatico, egli
esprime in forma concreta il significato dell’evento della croce, la sua portata cristologica e soteriologica. La dignità regale acquisita da Gesù con la
morte ha un effetto universale per ogni uomo, anche per un criminale che
rappresenta il bassofondo dell’umanità. Questo diventa possibile perché
Gesù è davvero il re messianico, capace di donare accesso al suo regno e
quindi è in grado di salvare.
Dall’annuncio pre-pasquale alla missione universale (gli Atti)
La metà delle ricorrenze dell’espressione «regno di Dio» negli Atti si concentra all’inizio e alla fine del libro (At 1,3.6; 28,23.31). Con questa inclusione letteraria Luca sembra voler abbracciare il contenuto del «secondo
discorso» e la predicazione apostolica che si ricollega all’annuncio evangelico di Gesù (Lc 4,43)68.
Fino all’ascensione il Risorto parlava con gli apostoli «sulle cose riguardanti il regno di Dio» (At 1,3: ta» peri« thvß basilei÷aß touv qeouv). Le
65. Si veda al riguardo P. Grelot, «“Aujourd’hui tu serai avec moi dans le paradis” (Luc, xxiii,
43)», RB 74 (1967) 194-214, spec. 197-205.
66. Secondo J.A. Fitzmyer, «“Today You Shall Be with Me in Paradise” (Luke 23:43)», in
Id., Luke the Theologian. Aspects of His Teaching, New York - Mahwah NJ 1989, 203-233,
spec. 214-222, «nel paradiso» è la parafrasi lucana della condizione post mortem di Gesù.
67. Il senso della promessa di Gesù è colto bene da s. Ambrogio: «Vita est enim esse cum
Christo; quia ubi Christus, ibi regnum» (Exp. Ev. secundum Lucam 10,121: CCL 14,379).
68. «Der Inhalt der Apg ist nun eben die basilei÷a… das ist der Inhalt der Verkündigung» (Jervell,
Die Apostelgeschichte, 111). In riferimento a tutta l’opera lucana, scrive Weiser, «Reich Gottes»,
132: «Lukas hat den Ausdruck von der “Verkündigung des Reiches Gottes”, der Gesamtkomposition seines Doppelwerkes entsprechend, gezielt eingesetzt» (corsivo nel testo).
GESÙ CRISTO, LA SALVEZZA E IL REGNO DI DIO
173
istruzioni non si riferivano tanto al ministero terreno di Gesù, dato che Luca
ha già scritto peri« pa¿ntwn (v. 1) nel «primo discorso», quanto invece al
futuro ormai vicino, a «questo tempo» in cui con la venuta dello Spirito
inizierà la restaurazione di Israele (v. 6). Come appare dalla domanda degli
apostoli, questo evento costituisce l’opera del Messia («Signore… tu ricostituisci») e concerne la redenzione di Israele69. Ignota rimane solo la data
del suo compimento. Se l’effusione dello Spirito santo apre il tempo
escatologico, tuttavia la chiusura del periodo finale della storia (la parusia),
nota soltanto a Dio (v. 7), sarà preceduta da altri eventi previsti nel disegno
divino, tra i quali primeggia la missione di testimoniare il Cristo (v. 8:
e¶sesqe÷ mou ma¿rtureß)70. La salvezza di Israele è una delle promesse legate all’avvento del regno di Dio; essa si realizzerà, secondo il piano di Dio,
mediante la diffusione universale dell’evento Cristo.
Il legame tra il regno di Dio, Gesù Cristo e la salvezza destinata a
tutti è presente anche nella predicazione romana di Paolo, descritta in At
28,16-3171. Nel corso del secondo incontro con gli ebrei di Roma l’apostolo espone con cura la sua dottrina, «rendendo testimonianza sul regno
di Dio e cercando di convincerli riguardo a Gesù» (v. 23). Per essere
comprensibili e credibili, la testimonianza di Paolo sul regno e il suo sforzo di persuadere i connazionali circa la dignità messianica di Gesù (peri«
touv ∆Ihsouv)72 dovevano ovviamente basarsi sulla Scrittura. L’esposizione
divide tuttavia l’assemblea e Paolo, citando il passo di Is 6,9-10 sulla
69. La restaurazione del regno per Israele si realizza già, secondo Luca, nella risurrezione e
intronizzazione regale del Messia Gesù (At 2,30-36; 5,30-31). La ricomposizione del popolo
di Dio è significata inoltre dal rinnovo del collegio dei dodici apostoli (At 1,15-25), destinati
ad essere reggenti e giudici delle dodici tribù (Lc 22,29-30).
70. In Lc 24,48 ricorre una frase parallela: uJmei√ß ma¿rtureß tou/twn. Il pronome si riferisce
qui a quanto precede (vv. 44-47), dove si parla della necessità di capire il valore messianico
delle promesse bibliche. Illuminati da Gesù, gli apostoli dovranno trasmettere a tutto il mondo che la morte e la risurrezione di Cristo e l’annuncio missionario fatto nel suo nome fanno
parte del piano salvifico di Dio.
71. Cf. L.D. Chrupcała, «Il disegno di Dio e l’annuncio del regno alla luce di At 28,17-31»,
LA 47 (1997) 79-96; per la bibliografia relativa a questo importante brano vedi inoltre Jervell,
Die Apostelgeschichte, 622-623.
72. Poco prima Paolo ha detto che la causa dei suoi guai giudiziari era dovuta all’e˙lpi÷ß touv
∆Israh/l (v. 20). L’espressione, riferita alla risurrezione di Gesù (At 23,6; 24,14-15.21; 26,6-
8), comprende in senso lato tutte le attese escatologiche d’Israele connesse con l’avvento del
Messia (cf. Lc 2,25.38; 23,51; 24,21).
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L. D. CHRUPCAŁA
mancata accoglienza della parola di Dio, è costretto a dichiarare: «Sia
dunque noto a voi che ai pagani è stata inviata questa salvezza di Dio
(touvto to\ swth/rion touv qeouv) ed essi, sì, ascolteranno!» (v. 28). L’inviare di cui parla Paolo designa l’iniziativa di Dio e il suo piano salvifico
verso i pagani, promesso nella Scrittura (Lc 2,30-32; 3,6; 4,25-27; 24,47;
At 3,25-26; 13,47 ecc.) e giunto a compimento nell’opera di Gesù prolungata nell’attività dei suoi testimoni. Il messaggio sul regno di Dio e su
Gesù Cristo (v. 23) è appunto «questa salvezza di Dio» che viene ora trasmessa nell’annuncio cristiano73.
La riaffermazione dell’ammissione dei pagani alla salvezza lascia pensare che Paolo abbia cambiato in modo radicale il suo indirizzo missionario. Luca dice tuttavia che l’apostolo accoglieva «tutti quelli che venivano
da lui» (v. 30). L’aggettivo pa¿ntaß, da un lato sottolinea l’inclusione dei
pagani, dall’altro non esclude i giudei74. Così si comprende anche la funzione specifica della frase conclusiva degli Atti che ripete in pratica il
contenuto del v. 23: Paolo annunciava th\n basilei÷an touv qeouv e insegnava ta» peri« touv kuri÷ou ∆Ihsouv Cristouv (v. 31). Questo sommario sulla
predicazione di Paolo a Roma costituisce quindi il vertice del racconto: la
stessa dottrina sulla salvezza di Dio, regolarmente rivolta per prima ai
giudei, d’ora in poi è aperta a tutti senza distinzione75.
Il carattere cristologico-soteriologico, nonché l’orientamento universale dell’annuncio del regno, rappresentano una costante nel ministero di
73. «The “salvation of God” from the context can only be the kingdom of God and Jesus»
(O’Toole, The Unity, 39). Come ha fatto notare Dupont, «La conclusion», 469.472-473, la
solenne dichiarazione di Paolo su touvto to\ swth/rion touv qeouv (v. 28) risponde alla parallela
richiesta dei giudei di essere informati sul conto dell’ai˚re÷sewß tau/thß (v. 22); per cui la «setta-dottrina» contestata dai giudei, nella quale Paolo vede invece il compimento della «speranza d’Israele» (v. 20), viene mostrata come sorgente universale della salvezza.
74. Pace J.T. Sanders, «The Salvation of the Jews in Luke-Acts», in Talbert (ed.), Luke-Acts,
104-128, per il quale alla fine degli Atti si assisterebbe ad un rigetto decisivo della missione
ai giudei (p. 116).
75. Secondo M. Wolter, «“Reich Gottes” bei Lukas», NTS 41 (1995) 541-563, il più signifi-
cativo cambiamento che Luca ha apportato nel concetto biblico del regno di Dio consiste nel
sostituire la centralità di Israele e di Sion-Gerusalemme con l’universalità della salvezza che
si ottiene mediante la fede in Gesù Cristo. Per una discussione specifica sul nesso tra il regno
di Dio e la salvezza cf. G. Dautzenberg, «Reich Gottes und Erlösung», in I. von Broer - J.
Werbick (ed.), “Auf Hoffnung hin sind wir erlöst” (Röm 8,24). Biblische und systematische
Beiträge zum Erlösungsverständnis heute (SBS 128), Stuttgart 1987, 43-66.
GESÙ CRISTO, LA SALVEZZA E IL REGNO DI DIO
175
Paolo. Ne fanno fede i passi di At 19,8 e 20,25 nei quali Luca, pur menzionando un solo oggetto della predicazione (il regno di Dio), non perde tuttavia mai di vista l’evento salvifico Gesù Cristo.
Entrambi i testi concernono la missione paolina nella provincia
d’Asia e soprattutto in Efeso, che si presenta come il vertice dell’attività
missionaria di Paolo e punto di transizione verso l’ultima tappa della sua
testimonianza. In questa città l’apostolo ha iniziato per primo una breve
opera missionaria (At 18,19-21), proseguita poi da Apollo (vv. 24-28).
L’insegnamento di questo fervoroso giudeo-cristiano alessandrino era
però incompleto: egli conosceva soltanto «la via del Signore» e parlava
ta» peri« touv ∆Ihsouv (v. 25). Dopo un’accurata istruzione da parte di
Aquila e Priscilla, Apollo apprese «la via di Dio» (v. 26) e «dimostrava
attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo» (v. 28). Il suo insegnamento
cristologico era diventato quindi solido (cf. Lc 1,4) e conforme a quello
di Paolo (At 18,5; cf. 9,22) e degli apostoli (2,36; 5,42), in quanto interpretava anch’egli la vicenda di Gesù alla luce degli annunci biblici e nel
contesto del piano salvifico centrato su Cristo. «La via di Dio» (hJ oJdo/ß
touv qeouv) esposta ad Apollo dai collaboratori di Paolo era la medesima
«via» insegnata dall’apostolo stesso, ripudiata e chiamata invece dai
giudei aiºresiß (cf. At 19,9.23; 24,14; 28,22), e aveva per oggetto il regno di Dio e Gesù Cristo76. Nella sua seconda attività ad Efeso, Paolo
dovette correggere per ben due anni i difetti della prassi e della dottrina
di Apollo (At 19,1-12). Per cui, quando Luca riferisce che Paolo parlava
nella sinagoga «discutendo e cercando di persuadere gli ascoltatori circa
il regno di Dio» (v. 8), si tratta di una formulazione, abbreviata rispetto
ad At 28,23.31, che include anche un discorso sulla dignità messianica
di Gesù (cf. v. 13)77.
Più tardi, nel discorso di addio pronunciato a Mileto agli anziani
della comunità efesina, Paolo dirà: «Ecco, ora so che non vedrete più
il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunziando il regno» (At
20,25). In questo sommario l’apostolo fa una sintesi del suo annuncio
76. Oltre al significato cristologico-teologico (il «cammino» di Dio nel compiere il suo piano salvifico in Cristo), hJ oJdo/ß può assumere anche un senso ecclesiologico-morale indicando
il cristianesimo o la dottrina cristiana e il comportamento etico dei cristiani: B. Papa, «Il cristianesimo come via», PSV 2 (1980) 154-170; S. Lyonnet, «La “voie” dans les Actes des
Apôtres», RechSR 69 (1981) 149-164.
77. Aveva quindi ragione Dupont, «La conclusion», 490, nel dire che il passo di At 19,8 «en
moins explicite, c’est le correspondant de 28,23».
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L. D. CHRUPCAŁA
missionario78. Ma nel medesimo discorso si trovano altri sommari che
servono a definire la predicazione di Paolo. Pur impiegando un frasario
diverso, essi ribadiscono l’integrità dottrinale e insieme l’universalismo
dell’annuncio paolino. L’apostolo ha cercato sempre di insegnare a tutti, «scongiurando giudei e greci di convertirsi a Dio e di credere nel
Signore nostro Gesù» (v. 21), ha reso «testimonianza al messaggio della grazia di Dio» (v. 24) e ha annunciato «tutta la volontà di Dio» (v.
27), la parola della grazia del Signore «che ha il potere di edificare e
di concedere l’eredità con tutti i santificati» (v. 32). Tutte queste frasi
richiamano il piano salvifico e il suo compimento in Gesù Cristo. In
quanto riassuntive, esse costituiscono un parallelo al v. 25 e permettono di conoscere meglio l’oggetto e la natura dell’annuncio paolino del
regno.
Gli Atti narrano di un altro personaggio il quale, come Paolo, «recava la buona novella del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo» (At
8,12). Si tratta di Filippo che dette inizio alla missione cristiana in Samaria e lungo la costa (At 8,4-40). La sua predicazione, centrata sul regno
e su Gesù Cristo, viene chiarita da altre espressioni complementari; il
diacono giudeo-ellenista di Gerusalemme fu uno degli evangelizzatori
della parola di Dio (v. 4), predicava il Cristo (v. 5) e annunciava Gesù (v.
35). In base all’ultimo riferimento, potrebbe sembrare che anche Filippo,
a somiglianza di Apollo, si fermasse al livello pre-pasquale della conoscenza di Gesù. In realtà però egli interpretava la storia di Gesù alla luce
degli annunci messianici della Scrittura. Spiegando all’eunuco la profezia
di Is 53,7-8, egli la considera infatti compiuta nella vicenda di Gesù
Messia (cf. la glossa del v. 37). L’annuncio cristologico non può quindi
prescindere dall’annuncio del regno di Dio, il quale permette di comprendere l’evento Cristo come parte essenziale del piano salvifico, preannunciato nella Scrittura.
La missione di Filippo costituisce un punto di congiunzione tra la
predicazione degli apostoli e l’attività missionaria di Paolo. Non è casuale
che in ogni fase dell’esecuzione del mandato missionario di Gesù (At 1,8)
si faccia menzione della basilei÷a. La testimonianza cristologica degli apo-
78. Per i dettagli cf. J. Lambrecht, «Paul’s Farewell-Address at Miletus (Acts 20,17-38)», in
J. Kremer (ed.), Les Actes des Apôtres. Tradition, rédaction, théologie (BETL 38), Gembloux
- Leuven [1979], 306-337, spec. 328-334; F. Pereira, Ephesus: Climax of Universalism in
Luke-Acts. A Redactional-Critical Study of Paul’s Ephesian Ministry (Acts 18:23-20:1),
Anand 1983, 118-127.
GESÙ CRISTO, LA SALVEZZA E IL REGNO DI DIO
177
stoli a Gerusalemme era fondata sui discorsi e sulle spiegazioni di Gesù
sul regno di Dio (At 1,3.6). Filippo ha attinto dagli apostoli e ha trasmesso
in Samaria lo stesso insegnamento sul regno di Dio e sul nome di Gesù
Cristo (At 8,12). Così farà anche Paolo, testimone prescelto di una retta
diffusione della dottrina cristiana in Asia (At 19,8; 20,25) e fino alle estremità della terra (At 28,23.31). L’annuncio del regno di Dio era entrato dunque a far parte della missione universale, non solo perché condensava
l’oggetto della predicazione ma anche perché rendeva sicura la trasmissione del messaggio ricollegandosi all’annuncio pre-pasquale di Gesù e dei
suoi discepoli79.
Conclusione
Il cristocentrismo teologico e l’universalismo cristologico di Luca si potrebbero paragonare ad una specie di binario su cui viaggia l’opera lucana.
In questi due ambiti dipendenti tra di loro è da ricercare l’unità tematica
dei due «discorsi» lucani e insieme il motivo di fondo che governa la riflessione dell’evangelista: Dio dona in Gesù Cristo la salvezza a tutti gli
uomini. Se la persona di Cristo e la salvezza universale formano la struttura di base di Lc-At, gli altri temi, essendo subordinati, rispecchieranno in
varia misura il motivo centrale.
Il regno di Dio offre un ottimo esempio del modo in cui Luca inserisce
un tema nella trama teologica del suo racconto. Egli non si è limitato a far
rivivere, in ossequio alla tradizione, questo concetto tipico della
predicazione di Gesù e ripresentarlo poi nella predicazione della chiesa; ha
anche rielaborato il contenuto tradizionale del messaggio sul regno di Dio
in funzione del suo progetto narrativo. Il regno, che nella speranza
giudaico-biblica veicolava la salvezza messianica, è diventato nel pensiero
di Luca un termine assai qualificato per esprimere il piano salvifico nei
confronti dell’umanità, promesso nella Scrittura e giunto a compimento in
Gesù Cristo. L’espansione universale della salvezza, che Luca presenta a
livello narrativo, si fonda così e viene compresa a partire dall’«annuncio
del regno di Dio».
79. Per questa funzione dei sommari sul regno di Dio negli Atti cf. lo studio di Prieur, Die
Verkündigung.
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L. D. CHRUPCAŁA
Il regno di Dio, e in particolare il tema dell’«annuncio» di esso, conferma il carattere unitario di Lc-At. Possiamo definirlo un importante elemento della narrazione, non solo perché il regno di Dio costituisce una
costante letteraria che attraversa il racconto, segnando la continuità tra la
missione di Gesù e la missione della chiesa, ma anche e soprattutto perché
a livello teologico aiuta a capire meglio il motivo principale dell’opera
lucana.
Lesław D. Chrupcała
Studium Theologicum Jerosolymitanum