USA
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L
Elezioni presidenziali
a fede nell’urna
Il voto dei credenti: le elezioni americane 2008
Boston, settembre 2008.
e elezioni presidenziali
americane del 2008 saranno decise su una
«questione di fede»?
Questo è il titolo – A
Matter of Faith – del più accurato studio sul ruolo della religione nelle elezioni presidenziali del 2004, che il
Brookings Institute (think-tank con base a Washington, vicino al Partito democratico e guidato dalla vecchia
guardia dell’amministrazione Clinton)
aveva pubblicato alla vigilia dell’inizio
della corsa delle elezioni primarie per
la scelta dei candidati per la Casa
Bianca.1
Questa ricerca sul comportamento
elettorale nel 2004 dei cattolici e dei
non cattolici, e specialmente degli
evangelical, in confronto alle elezioni
del 1960 (che avevano portato il primo
cattolico alla presidenza, J.F. Kennedy)
mostrava che il voto alle ultime presidenziali si era incanalato non tanto
per linee confessionali, quanto secondo gli «stili devozionali»: a dimostrazione, ancora una volta, che la religione degli statunitensi (a qualunque confessione appartenenti) si riconosce in
buona parte nello stile evangelical, e
che gli evangelical sono cosa ben diversa da una confessione cristiana storica, anche per quanto riguarda i comportamenti politici.
La ricerca
del voto dei cat tolici
Il voto dei cattolici ha costituito
uno dei pacchetti elettorali più importanti nelle elezioni più recenti. I repubblicani avevano iniziato la ricerca del
voto cattolico ben prima dei democratici: Karl Rove (lo stratega di G.W. Bush) stava convincendo l’allora governatore del Texas a correre per la presidenza, quando nell’autunno del 1998
notò sulla rivista Crisis (diretta da Deal
Hudson,2 un cattolico battezzato da
adulto nella convinzione che il Vaticano II avesse gettato la Chiesa in uno
stato confusionale) uno studio intitolato «The Catholic Voter Project».3 Secondo questo studio l’elettore cattolico
era identificabile come patriottico, anti-abortista e sensibile ai valori della famiglia: il Partito repubblicano doveva
andare a caccia di questi elettori, trovatisi senza un partito a partire dalla
metà degli anni settanta, cioè dall’inizio di quella frattura prodottasi nella
società americana tra le pulsioni liberal e la «maggioranza silenziosa» conservatrice.4
La caccia al voto cattolico ricompensò i repubblicani, nel 2000 come
nel 2004. Specialmente le elezioni del
2004 avevano visto i vescovi cattolici
prima e l’elettorato cattolico poi allinearsi allo schieramento pro-life dei repubblicani. Con lo stesso orientamento del voto degli evangelical e nonostante la guerra in Iraq, il voto dei cattolici era andato in maggioranza (e negli stati più importanti per l’elezione) a
G.W. Bush, anche grazie all’effetto suscitato dalle prese di posizione di alcuni vescovi, che durante la campagna
elettorale avevano minacciato di non
dare la comunione al candidato democratico, il cattolico e pro-choice John
Kerry. Le elezioni che avevano fatto
guadagnare il secondo mandato a
G.W. Bush segnavano così il punto più
estremo della fuga dei cattolici dal Partito democratico.5
Il Par tito democratico di
Obama e l’America religios a
Quest’anno elettorale ha visto il
fiorire di un dibattito sul ruolo della religione nella vita politica americana:6 a
partire dal gennaio 2008, l’inizio della
corsa delle primarie aveva aperto la discussione sull’accettabilità per la base
evangelical del Partito repubblicano
dei due candidati più accreditati, il liberal John McCain e il mormone Mitt
Romney.7 In casa democratica, dalle
colonne di Commonweal, Robert Bellah (autore di fondamentali studi sulla
«religione civile» americana) evidenziava le virtù teologiche presenti nel
candidato Obama,8 grazie al quale il
Partito democratico ha tentato di avviarsi sulla strada della riconquista del
voto religioso. Abbandonata la rincorsa dei repubblicani sui temi patriottici
(per cui John Kerry era stato il candidato ideale) e messa a tacere l’anima
più laicista (la convention di Boston del
2004 aveva platealmente escluso dal
podio gli speakers del partito più sensibili alla questione religiosa), la convention democratica del 2008 a Denver
ha riservato uno spazio ben maggiore
a gruppi tematici su fede e politica.
Se nel discorso del 28 agosto di accettazione della nomination Obama
ha puntato l’attenzione sui temi di politica interna, la «fede di Obama» non
è tema che sia stato lasciato in ombra
dalla narrativa che il candidato democratico e la sua campagna hanno ali-
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mentato nel corso delle elezioni primarie. Durante una conferenza stampa,
nel marzo 2008, Obama aveva abbandonato la United Trinity Church del
South Side di Chicago, in seguito alle
incendiarie dichiarazioni antipatriottiche del pastore emerito e fondatore
della Chiesa, rev. Jeremiah Wright Jr. Il
pastore Wright, artefice degli sforzi di
rinascita di quel South Side che aveva
visto Obama muovere i suoi primi passi di community organizer prima e di
politico poi, era stato al centro del cammino di fede del giovane Obama, aveva unito in matrimonio Obama e la
moglie, aveva battezzato le loro figlie.
Nel suo discorso di Philadelphia del 18
marzo 2008 il candidato (allora ancora
in corsa nelle primarie contro Hillary
Clinton) aveva risposto al suo ex pastore e alle sue prese di posizione potenzialmente letali per la propria campagna, ricordando a lui e all’America, in
una citazione implicita di Martin
Luther King, che nell’America cristiana il momento in cui è più visibile la separazione tra bianchi e afroamericani
– «the most segregated hour of Christian America» – è la domenica mattina, il momento di andare in chiesa.
Anche se la campagna è stata accompagnata dalla creazione di un
Catholic National Advisory Council
(Consiglio consultivo cattolico nazionale) per la campagna di Obama,9 la capacità del candidato democratico di fare
appello all’elettorato religioso non è
frutto di una pura tattica elettorale. Già
in un discorso tenuto a Washington nel
giugno 2006 di fronte a un gruppo di
cristiani di sinistra, «Call to Renewal», il
giovane senatore dell’Illinois aveva ricordato che i bianchi americani differenziano la loro affiliazione al Partito repubblicano o a quello democratico a seconda che vadano o no in Chiesa, ovvero siano Churchgoers (Partito repubblicano) o non Churchgoers (democratico).
Per questo Obama aveva criticato quanti (in gran parte democratici) chiedono
ai credenti di lasciare la religione fuori
dalla porta della scena pubblica, e aveva
suggerito che «un senso delle proporzioni dovrebbe guidare coloro che sorvegliano il confine tra stato e Chiesa».
L’indubitabile capacità oratoria di
Obama di presentarsi come accettabile
alla sensibilità religiosa dell’America
cristiana non risolve immediatamente
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Il candidato democratico alla presidenza degli USA, Barack Obama.
la questione della sua accettabilità per
l’elettorato cattolico (nonostante la presenza nel ticket democratico del senatore del Delaware, il cattolico Joe Biden),
né per quello evangelical e bianco (in
gran parte collocato nel profondo Sud):
non solo per una questione razziale
(che ha un suo peso in stati con la forte
presenza di una classe lavoratrice a basso reddito, cattolica e bianca, come
Pennsylvania, Michigan, West Virginia,
Ohio), ma per il peso della questione
pro-life. Già prima dell’arrivo nel ticket
repubblicano di Sarah Palin come candidata alla vicepresidenza, la campagna
elettorale aveva visto i cattolici interrogarsi sulla reale posizione di Obama
sull’aborto.
L’agenda cat tolica
e l’agenda evangelical
La rivista dei gesuiti America ha
ospitato contributi diversi e contrastanti sull’accettabilità della posizione di
Obama sull’aborto,10 mentre Commonweal ha apprezzato la posizione più
sfumata di Obama rispetto alla classica
difesa militante della sentenza della
Corte suprema sull’aborto del 22 gennaio 1973 (adottata con una maggioranza di 7 contro 2), la cosiddetta «Roe
versus Wade».11 Gli ambienti conservatori di Catholic News Agency non nutrono dubbi sulla posizione abortista del
candidato democratico e del suo partito, incoraggiati in questo dalla marcatura stretta dei vescovi cattolici sulle dichiarazioni del ticket democratico Obama-Biden. Ma una divisione all’interno
del mondo cattolico è visibile, nonostante le ripetute e incalzanti prese di
posizione dei vescovi.12
L’episcopato, infatti, sembra aver
imboccato una strada analoga a quella
del 2004, quando al ticket democratico
guidato dal cattolico pro-choice John
Kerry preferirono il presidente in carica
George W. Bush, responsabile dell’invasione dell’Iraq, ma stabilmente schierato sulle posizioni pro-life. A fine agosto
2008, infatti, la commissione della Conferenza episcopale americana (USCBB)
La candidata repubblicana alla vicepresidenza degli USA, Sarah Palin.
sulle «attività a favore della vita» rilasciava una dichiarazione sulla continuità dell’insegnamento della Chiesa
sul rispetto della vita non ancora nata,13
in risposta alle dichiarazioni rilasciate
pochi giorni prima in un’intervista da
Nancy Pelosi, cattolica e speaker della
Camera dei rappresentanti (la terza carica dello stato per la Costituzione americana, dopo il presidente e il vicepresidente). Due settimane dopo, il 9 settembre 2008, il card. Justin F. Rigali (presidente della stessa Commissione per l’attività pro-life) e il vescovo William E.
Lori (presidente della Commissione
dottrinale della USCCB) pubblicavano
una dichiarazione che correggeva, quasi in tempo reale, le affermazioni alla
stampa del candidato alla vicepresidenza per il ticket democratico, il cattolico
Joe Biden, che aveva dichiarato la sua
convinzione che la vita inizia al momento del concepimento, ma che questa visione non può essere «imposta».14
Il mondo cattolico americano pare
aver tralasciato le questioni di politica
internazionale (la gestione delle guerre
in Iraq e Afghanistan, le crescenti tensioni con il Pakistan, i rapporti con
Russia e Cina) e di politica sociale (come la legge sull’immigrazione), e ha
esaminato i due candidati in modo particolare sulla questione dell’aborto.
McCain ha abbandonato le posizioni
liberal di un tempo (che nel 2000 gli
erano costate l’appoggio della base religiosa repubblicana), affermando in
ogni occasione recente che la vita inizia
al momento del concepimento e che la
sua promette di essere una presidenza
decisamente pro-life.
Obama ha scelto una linea più articolata, sensibile alle istanze del femminismo storico pro-choice da un lato e alla cultura right-to-life dall’altra: ha affermato che non è compito dei politici dare risposte teologiche alla domanda sul
momento d’inizio della vita umana, ma
ha riconosciuto nella questione dell’aborto una «questione morale grave»,
muovendo la tradizionale linea prochoice del Partito democratico verso
una posizione pro-choice, not pro-abortion e sostenendo azioni educative tendenti a diminuire l’enorme numero di
gravidanze indesiderate nelle adolescenti negli Stati Uniti (fenomeno che
colpisce in modo particolare la comunità afroamericana).
A giudicare dalle prese di posizione
dei vescovi, l’attenzione della gerarchia
cattolica concentrata sulla questione
dell’aborto sembra essere in ritardo rispetto all’evoluzione interna al mondo
evangelical americano, che ha ancora
al centro la questione della protezione
della vita non nata, ma si è avviato sulla strada della riformulazione della sua
agenda pro-life in termini più
articolati.15 Il dibattito sulla legge circa
il volontariato gestito dalle organizzazioni religiose (le faith-based initiatives),
sul loro ruolo nella gestione del welfare
degli Stati Uniti e sui riflessi sulla separazione tra Chiesa e stato sancita dalla
Costituzione americana tocca il cuore
delle Chiese non meno dell’agenda antiabortista.
Del diversificarsi dell’agenda evangelical aveva parlato anche il pastore
Rick Warren16 al «Saddleback Civil
Forum on the Presidency» di metà
agosto, convocato dal pastore e tenuto
negli spazi della sua megachurch battista nella California del Sud, nel distretto elettorale con le dichiarazioni
dei redditi più cospicue di tutti gli
USA. A McCain e Obama, sottopostisi, a mezz’ora di distanza l’uno dall’altro, a un’inedita intervista-confessioneesame di ortodossia cristologica e di
morale cristiana (trasmessa in prime time, in diretta, da molti canali televisivi
pubblici, privati e a pagamento) Warren aveva ricordato che l’aborto è solo
una delle questioni che stanno a cuore
ai cristiani americani. Tuttavia il pastore Warren non aveva mancato di
sottoporre entrambi alla domandashibboleth sull’aborto, test-chiave per i
candidati alla presidenza che sperino
di avere i voti di questo elettorato, con
le sue roccaforti nel Sud e in maggioranza bianco, ma interclassista dal
punto di vista sociale e in via di espansione su tutto il territorio americano.
L’esame di McCain al «Saddleback
Forum», di fronte alla platea evangelical – che nel 2008 gli è stata favorevole
come nel 2000 gli era stata ostile – ha
segnalato l’inizio della rincorsa della
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campagna del candidato repubblicano
al voto religioso (anche grazie alla nuova pattuglia di consiglieri provenienti
dalla scuola di Karl Rove, il quale nel
2000 lo aveva eliminato dalle primarie
repubblicane diffondendo sul suo conto
false accuse).
A fine agosto la svolta era compiuta,
con la scelta di Sarah Palin come candidata alla vicepresidenza: ex reginetta di
bellezza, 44 anni, dal 2006 governatore
repubblicano dell’Alaska, battezzata
cattolica, ma da tempo appartenente a
una Chiesa cristiana non denominazionale, militante antiabortista e allo stesso
tempo strenuo avvocato della libera circolazione delle armi e dell’insegnamento nelle scuole pubbliche del creazionismo «accanto» all’evoluzionismo. Sarah Palin, moglie e madre esemplare
per l’elettorato repubblicano e pro-life
(un marito conosciuto al liceo e cinque
figli: il maggiore in partenza per l’Iraq e
l’ultimo partorito pochi mesi fa, dopo
aver saputo che era affetto da sindrome
di Down), la Palin incarna il tentativo
della campagna di McCain di sottrarre
ai democratici una parte del voto femminile (dopo l’eliminazione dalla corsa
di Hillary Clinton) e di fare appello al
voto della base religiosa, facendo leva
sulla questione dell’aborto e della difesa
della famiglia: come ha sottolineato la
rivista dei gesuiti America, «l’ascesa di
Sarah Palin è la prova che il termine
“femminista anti-abortista” non è un
ossimoro».17
La rincors a al voto religioso
L’aborto sarà quindi uno degli elementi per la scelta tra Obama e McCain da parte di quella ampia porzione
di elettorato americano che si definisce
religioso: promette di esserlo anche per
i cattolici americani, che sulla gestione
politica e sociale della questione dell’aborto sono divisi come è diviso tutto l’elettorato statunitense. Sembrano passate molto più di tre decadi da quando,
negli anni settanta, sia il Partito democratico sia quello repubblicano si dichiaravano pro-choice: la difesa oppure
la messa in discussione della sentenza
«Roe versus Wade» gioca invece un
ruolo primario nella campagna elettorale del 2008.
Se Obama e Biden hanno parlato
dell’aborto in termini sempre più vicini
a un compromesso con la cultura pro-li-
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fe, la base del Partito democratico sembra essere ancora legata alla posizione
classica abortista, che recentemente
tende a eliminare l’aggettivo «raro»
dalla difesa di una legge per l’aborto
«legale, sicuro e raro» – posizione che
era stata quella di Bill Clinton. In ogni
caso, da parte democratica il ticket
composto da un churchgoer afroamericano come Obama e da un cattolico
come Biden rappresenta il maggiore
avvicinamento del partito alle istanze di
quella cultura statunitense più attenta
alla protezione della vita non nata. Resta da vedere il peso che gli elettori cattolici daranno alla novità della posizione democratica su tale questione, che
ha una forza evocativa e mobilitante
non inferiore ai temi dell’economia, ma
sicuramente superiore alle sfide di politica estera.
Da questo punto di vista, il tour europeo di Obama nel mese di luglio ha
rappresentato un contrappeso mediatico al fatto che come senatore dell’Illinois non ha mai riunito il comitato del
Senato sulle questioni europee di cui è
presidente. McCain – che con l’ostensione politica del suo corpo torturato ri-
propone il credo nixoniano di un’America ferita, ma non piegata dal Vietnam
– sembra invece promettere una politica estera forte in linea con l’unilateralismo e con la dottrina Bush: ha parlato
della guerra in Iraq sempre in termini
di «vittoria» e di «onore» per le truppe
americane, ha minacciato la Russia di
espulsione dal G8, ha evocato una nuova guerra fredda, ha fatto dell’ironia sui
possibili futuri bombardamenti dell’Iran. Anche dal punto di vista della politica estera, la svolta «cristianista» di
McCain e la sua scelta della Palin come
candidata alla vicepresidenza restituisce
la campagna repubblicana agli slogan e
ai toni del 2000 e del 2004, quando la
scelta tra democratici e repubblicani
aveva assunto i toni di una «guerra tra
culture»: quella lotta aveva visto la
maggioranza dei cristiani, cattolici e
non, radunarsi sotto le bandiere del
candidato repubblicano. Resta da vedere quanto somigli all’America che si era
affidata a G.W. Bush l’America del
2008, angosciata dai segnali di un declino economico e sociale più che dal «terrore globale».
Massimo Faggioli
1
D.E. CAMPBELL (a cura di), A Matter of
Faith. Religion in the 2004 Presidential Election,
Brookings Institution Press, Washington DC
2007.
2
Cf. D.W. HUDSON, Onward, Christian Soldiers. The Growing Political Power of Catholics
and Evangelicals in the United States, Threshold
Editions, New York 2008.
3
Cf. P.J. BOYER, «Party Faithful», in The
New Yorker, 8.9.2008.
4
Cf. R. PERLSTEIN, Nixonland: The Rise of
a President and the Fracturing of America, Scribner, New York 2008.
5
Cf. M.S. WINTERS, Left at the Altar. How
the Democrats Lost the Catholics and How the
Catholics Can Save the Democrats, Basic Books,
New York 2008.
6
Cf. E.J. DIONNE JR., Souled Out. Reclaiming Faith and Politics After the Religious Right,
Princeton University Press, Princeton 2008; C.J.
CHAPUT (arcivescovo di Denver), Render Unto
Caesar: Serving the Nation by Living our Catholic Beliefs in Political Life, Doubleday, New York
2008; C.E. COCHRAN, D.C. COCHRAN, The
Catholic Vote. A Guide for the Perplexed, Orbis
Books, Maryknoll, New York 2008.
7
Cf. G. WILLS, «Romney and JFK: The
Difference», in The New York Review of Books,
17.1.2008.
8
Cf. R.N. BELLAH, «Yes He Can. The Case for Obama», in Commonweal, 85(2008)5. Di
R.N. BELLAH ricordiamo qui soltanto: Beyond
belief: essays on religion in a post-traditional
world, Harper and Row, New York 1970 (trad.
it. Al di là delle fedi. Le religioni in un mondo post-tradizionale, Morcelliana, Brescia 1975).
9
Composto da 3 governatori, 6 senatori, 16
deputati, oltre a intellettuali (tra cui l’associate
editor di Commonweal) e docenti universitari, alcuni dei quali provenienti dalle maggiori università cattoliche degli USA (tra cui Georgetown University, University of Notre Dame,
Boston College).
10
Cf. J.F. KAVANAUGH, «Dear Senator
Obama», in America, 199(2008)4,9; D.W.
KMIEC, Barack Obama and Abortion. A response to John Kavanaugh, in www.americamagazine.org.
11
Vedi gli editoriali della direzione di Commonweal: «Winds of Change», in Commonweal,
85(2008)14, e «Into the Home Stretch», in Commonweal, 85(2008)15.
12
Due visioni diametralmente opposte, da
parte cattolica, sulla posizione democratica circa l’aborto in N. BELDEN, «On Solid Ground»,
in Conscience, 36(2008)1, 27-29 e P. KENGOR,
«The Gospel According to Nancy Pelosi», in
The Catholic World Report, (2008)8, 39s.
13
Cf. USCCB COMMITTEE ON PRO-LIFE
ACTIVITIES, Respect for Unborn Human Life: The
Church’s Constant Teaching, www.usccb.org,
29.8.2008.
14
Cf. ID., Bishops Respond To Senator Biden’s Statements Regarding Church Teaching On
Abortion, www.usccb.org, 9.9.2008.
15
Cf. E.J. DIONNE JR., «The New Evangelical Politics», in The Washington Post, 19.8.2008.
16
L’ultimo libro del pastore Warren, The
Purpose Driven Life (Miniature Editions, Philadelphia 2003) ha venduto alcuni milioni di copie.
17
«Current comment», in America,
199(2008)7, 5.