L’unità dei sacramenti dell’iniziazione
Rinaldo Falsini, Vita pastorale, 4/2003, 50-51
Ritorniamo sull’unità dei tre sacramenti dell’iniziazione cristiana come dato acquisito per le due
categorie degli adulti e dei ragazzi non battezzati da sei anni in avanti - già in atto nella Chiesa
italiana che ha pubblicato le relative dote pastorali, nel 1997 e nel 1999 - mentre tutto rimane
immutato per i bambini battezzati nei primi mesi di vita: dopo il battesimo segue la prima
confessione e la messa di prima comunione, infine la cresima (fra i 12 e i 18 anni). Nella
precedente rubrica abbiamo affrontato la questione del battesimo dei bambini nella prospettiva
dell’iniziazione (cf. VF 3, 2003, pp. 54-5 5) lasciando da parte la sequenza dei successivi
sacramenti. Anche se il pedobattesimo può essere celebrato, per i motivi menzionati, in un
contesto di fede e con il dichiarato obiettivo (nei riti conclusivi) dell’eucaristia, lo sconvolgimento
successivo non è senza conseguenze. Non tanto per la negazione pratica dell’unità dell’iniziazione
- e quindi per la sconfessione del modello “tipico” dell’iniziazione - quanto per il significato che
viene attribuito agli altri due, anzi tre, sacramenti.
Supposto che la celebrazione non venga manomessa, la catechesi sicuramente non corrisponde a
quella del modello tipico: continua a parlare delle solite bugie per la confessione; dell’incontro con
Gesù per la comunione; della testimonianza per la cresima. Una cosa è certa, che le rispettive
celebrazioni non ci offrono questo contenuto dottrinale e il ricorso alla teologia addomesticata è
doppiamente scorretto.
Il problema di una seria formazione alla fede nei suoi vari aspetti è stato abbozzato con grande
lucidità da Luigi Girardi in un intervento al seminario della Cei per la prassi ordinaria dell’iniziazione
cristiana (10-12 aprile 2002). Scrive Girardi: «Tenuto conto della frantumazione,
dell’indebolimento, dell’inefficacia del periodo dedicato all’educazione cristiana emerge il rischio di
lasciare “isolato” il sacramento del battesimo e di caricare di un’enfasi eccessiva il sacramento
della confermazione. Su questa si fanno ricadere tutte le attese che riguardano l’iniziazione
stessa». Se a questa viene attribuito un ruolo improprio, per non dire falso e negativo, il danno
maggiore ricade sulla posizione culminante dell’iniziazione che spetta all’eucaristia, centro della
vita della Chiesa e quindi di ogni cristiano. «Certo», scrive ancora Girardi, «questo valore
riconosciuto all’eucaristia chiederebbe di rivedere la prassi della “messa di prima comunione” in
favore di un reale ingresso nella comunità adulta che celebra l’eucaristia. Il passaggio dall’una
all’altra comporterebbe, anche dal punto di vista della sequenza celebrativa, una piena
valorizzazione dell’eucaristia come ultimo sacramento dell’iniziazione. Aldilà delle intenzioni
l’eucaristia recepita come “prima comunione” vede ridursi il suo aspetto ecclesiale e il suo
dinamismo per la vita cristiana». Ho voluto dare spazio alla coraggiosa presa di posizione di
Girardi per la ponderatezza del linguaggio e la forza delle convinzioni, espressa al termine di una
relazione di tipo culturale.
Vorrei suggerire alcune riflessioni e qualche correttivo, accantonando la proposta “illusoria” del
passaggio dall’una all’altra prassi, che poi magari si verificherà, come dopotutto si è verificato nel
primo millennio e si verifica attualmente nei riti cattolico-orientali.
La prima riflessione, o convinzione, riguarda la fondatezza e l’esigenza dell’unità dei tre sacramenti
con la relativa sequenza, per il semplice fatto che sono questi tre sacramenti che introducono un
credente (magari in fieri) nel mistero di Cristo e della Chiesa, suo corpo. Si entra attraverso i tre
sacramenti, anzi si è accolti da Cristo e dalla Chiesa; di più: è Cristo stesso che ci inizia, ci
introduce nel rapporto con sé stesso e con il proprio corpo ecclesiale (P. Caspani). Questa
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giustificazione, della priorità e gratuità dell’iniziativa di Dio, utilizzata per il pedobattesimo, vale
ugualmente per tutti e tre i sacramenti. E del resto a questo principio si appella anche oggi la
teologia orientale: Dio dona tutta, e subito, la pienezza della vita divina, della partecipazione alla
Pasqua di Cristo, in analogia con la vita umana. Sarà compito dei genitori e della comunità
cristiana impegnarsi per lo sviluppo e la crescita. Questa valorizzazione dell’atto sacramentale di
Cristo, nella triplice forma rituale, non vuole affatto sminuire il processo catecumenale, ove si
esplicita la risposta dell’uomo in piena responsabilità, anche perché la stessa risposta avviene per
la grazia divina e il frutto dell’iniziazione si qualifica sempre come dono di Dio, non conquista
dell’uomo. Infatti l’unità dei tre sacramenti (due per la Riforma protestante e per l’Oriente, l’unzione
crismale o myron non è dissociabile) è radicata nell’unico mistero pasquale, di cui diventiamo
partecipi in triplice forma sacramentale: il battesimo è la prima Pasqua del cristiano o la prima
partecipazione alla Pasqua di Cristo, la cresima è la partecipazione al dono pasquale/pentecostale
(per Giovanni il dono dello Spirito avvenne la sera di Pasqua, per Luca il giorno di Pentecoste) cioè
lo Spirito Santo, la vita nuova; l’eucaristia è la celebrazione plenaria della Pasqua (quindi anche
della Pentecoste) da parte della Chiesa o comunità dei credenti, per cui ognuno rivive il dono
battesimale e cresimale (si pensi al Padre nostro e all’epiclesi).
La connessione, oltre all’azione unitaria dello Spirito, risiede nel fatto che battesimo e cresima
partecipano ai singoli in modo incoativo ma effettivo e irripetibile quanto viene celebrato
nell’eucaristia; a essa conducono come a loro compimento e piena realizzazione.
L’eucaristia viene cosi ad assumere il ruolo effettivo di compimento, di vertice dell’iniziazione e i
sacramenti del battesimo e della cresima immettono nell’eucaristia che fa la Chiesa, rendono
partecipi del corpo e sangue di Cristo per diventare corpo di Gesù e vivere in piena comunione con
lui e come lui donarsi. Il battesimo opera la rinascita nell’acqua e nello spirito mentre la cresima
sottolinea e precisa l’azione dello Spirito Santo. La celebrazione dell’eucaristia al termine
dell’iniziazione diventa culmine e in pari tempo sorgente di tutta la vita della Chiesa, che qui si
ritrova e da qui riparte; se i primi due sacramenti sono orientati e hanno lo scopo di abilitare
all’eucaristia, gli altri derivano e dipendono, e attuano il mistero della comunione della Chiesa con
Cristo.
A noi interessa far percepire questi aspetti di raccordo e di orientamento che non sono accessori
ma sostanziali, pena lo stravolgimento del loro significato. Obiettivo tutt’altro che facile data la loro
distanza nel tempo tra l’uno e l’altro e, quel che è peggio, con il sopraggiungere d’un terzo (la
penitenza) e con la cresima collocata al termine. Purtroppo la teologia in parte si è piegata a
questa situazione proponendo aspetti dottrinali in appoggio, fatti propri dalla catechesi senza
scrupoli (per la cresima è diventata prioritaria la testimonianza o la maturità), ma come è possibile
proseguire su questa strada, quando a lato si trova un percorso unitario di iniziazione per ragazzi?
Nell’impossibilità di una prassi diversa, nemmeno per eccezione, non resta che ricorrere a qualche
correttivo, ovvero provvedere a creare nuove convinzioni. Solo una profonda convinzione
dell’intimo legame che intercorre tra battesimo e cresima e la precisazione dell’effetto proprio di
quest’ultimo potrà aiutare a ridonargli il posto che gli compete per origine e per natura, come
l’attuale rito suggerisce. Il richiamo all’unità è raccomandato dalla costituzione liturgica
(Sacrosanctum concilium 71) e dalla costituzione apostolica di Paolo VI del 1971 sul Rito della
confermazione (praenot., 1: «con il sacramento della confermazione i battezzati proseguono il
cammino dell’iniziazione cristiana») nonché dal documento che sigla l’accordo tra cattolici e
ortodossi nel convegno di Bari del 1987. Il rito inizia con il ricordo del battesimo mediante la
professione di fede e il suo effetto proprio è espresso nella nuova formula, ereditata dall’antica
liturgia bizantina, che suona: «N. ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono». Proprio il
dono “personale” dello Spirito è il compimento del battesimo che sottolinea il rapporto con Cristo
“unto di Spirito” (quindi: cristiano) e con la Chiesa, comunità di credenti animata dallo Spirito effuso
a Pentecoste. Tutte le spiegazioni circa gli effetti della cresima sono marginali o estranei al
sacramento, comunque non giustificano lo spostamento. Solo chi ha ricevuto lo Spirito di Cristo
può partecipare al suo mistero pasquale. Il fatto che secondo le due note pastorali il sacerdote
celebrante in assenza del vescovo possa conferire il sacramento è una chiara conferma
dell’importanza dell’unità dei due sacramenti, Il motivo di una preparazione catechetica non è
affatto sufficiente per rompere l’unità dei due sacramenti anche se distanziati. Il cresimato rivivrà
poi nell’eucaristia il dono ricevuto dallo Spirito.
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Perciò è una anomalia l’attuale prassi della comunione eucaristica del battezzato non cresimato (in
Italia è dovuta alla concessione di Paolo VI di spostare la cresima dall’età della fanciullezza per
motivi pastorali) perché oltre tutto valorizza la festa della prima comunione come fatto individuale
(per gli ortodossi si tratta di sacrilegio). Inoltre l’attuale prassi oscura totalmente l’eucaristia come
culmine dell’iniziazione al mistero pasquale di Cristo assieme all’assemblea ecclesiale dei figli dì
Dio diventati tali mediante i due sacramenti. Pertanto, almeno nella catechesi non si trascuri
l’embolismo della preghiera eucaristica per i neo comunicandi, nel quale si parla esplicitamente
della comunione al corpo e al sangue di Cristo e al popolo santo. Una catechesi rinnovata è
sempre poca cosa ma nell’attuale situazione è una piccola soluzione non del tutto inutile
specialmente se accompagnata da una riduzione o dalla sostituzione delle vecchie formule di
comodo.
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