Le altre religioni: Buddismo

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Buddismo
Fra il 6° e il 5° secolo a.C. visse in India settentrionale un giovane di nobile casata,
Siddharta Gautama. Fu dal suo 'risveglio' (da cui l'epiteto di Buddha, ossia "il
Risvegliato") che ebbe inizio la tradizione spirituale nota come buddismo. Il punto di
partenza della dottrina buddista consisteva nella presa di coscienza della sofferenza
diffusa nel mondo e soprattutto delle cause che la producono; Buddha intese fornire la
cura spirituale per sfuggire alla catena senza fine del dolore. Dopo la sua morte, il
buddismo diede luogo a numerose e differenti scuole di pensiero e si diffuse in tutta
l'Asia orientale. Ancora oggi, esso è seguito da centinaia di milioni di persone
Una religione o una filosofia?
Il buddismo può essere considerato una tradizione spirituale che ha avuto un ruolo
fondamentale nella storia dell'umanità. Nel corso dei secoli, esso ha assunto varie
forme, producendo una raffinata letteratura filosofica, ma anche un profondo culto
popolare, di tipo religioso. Il buddismo è al tempo stesso una religione e una filosofia.
Del resto, a pensarci bene, il cristianesimo stesso è certo una religione, ma ha anche
dato luogo a opere filosofiche di altissimo livello: basti ricordare i testi di s. Agostino
o di s. Tommaso d'Aquino. Inoltre, nel paese dove il buddismo è sorto (l'India), la
religione e la filosofia non si sono mai affermate separatamente.
Il Buddha è un personaggio storico?
Buddha in sanscrito significa "il Risvegliato": oggi, gli studiosi hanno ormai
riconosciuto che questo nome si riferisce a un personaggio realmente esistito, Siddharta
Gautama, vissuto tra il 560 e il 480 a.C. circa. Siddharta era il giovane figlio della
famiglia nobiliare dei Sakya; è per questo che egli è chiamato nei testi buddisti anche
Sakyamuni, "l'asceta dei Sakya". Nacque a Kapilavastu, nei pressi dell'attuale confine
fra India e Nepal.
Dunque è indubbio che questo giovane principe sia esistito; possediamo però scarsi
dati sulla sua vita. Le fonti che la descrivono sono infatti piene di particolari leggendari.
Sappiamo che il padre si chiamava Suddhodana e la madre Maya e che in giovane età
egli si sposò ed ebbe un figlio. Secondo una profezia nota a suo padre, la vita dorata e
priva di affanni di Siddharta avrebbe avuto fine quando egli si fosse trovato di fronte
alla sofferenza e alla morte. Nonostante gli ostacoli posti da Suddhodana, un giorno il
principe riuscì a uscire dal palazzo e incontrò un vecchio, un malato, un cadavere e un
monaco. Da quel momento, egli fu consapevole dell'esistenza della vecchiaia, della
malattia e della morte, ma anche della serenità di chi si è staccato dal mondo, come il
monaco da lui veduto.
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Come Siddharta divenne il Buddha
Dopo il suo incontro con la sofferenza, Siddharta lasciò di notte il suo palazzo e la sua
famiglia, e si liberò (come s. Francesco) dei suoi abiti nobiliari per vestirsi
poveramente. Egli intraprese una serie di esperienze per giungere a comprendere il
significato dell'esistenza: seguì l'insegnamento dei bramini, i sacerdoti indù, ma ne fu
insoddisfatto; si ritirò poi nella foresta come un asceta (ascetismo), un uomo che vive
solitario e lontano dal mondo. Infine, ai piedi di un grande albero di ficus, dopo aver
superato le tentazioni di Mara, il sovrano infernale della Morte, Siddharta ebbe il
'Risveglio': la consapevolezza della causa del male, della sofferenza e della morte che
sono presenti nel mondo.
Secondo la tradizione, dopo un primo momento di esitazione il Buddha decise di
trasmettere questa conoscenza al mondo. Si recò a Benares, dove nel Parco delle
Gazzelle pronunciò il suo famoso primo discorso: era l'inizio di una vita di
insegnamento, che vide numerosi discepoli riunirsi attorno a lui per formare le prime
comunità di monaci e di monache. Alla fine, superati gli ottanta anni di età, il Buddha
si spense a Kushinagara. Ma la dottrina buddista continuò a vivere e a diffondersi.
La dottrina del Buddha: la presenza della sofferenza
I discorsi del Buddha sono stati trasmessi oralmente per alcuni secoli dopo la sua morte;
solo verso il 1° secolo a.C. sono stati trascritti in lingua pali. Ma qual è lo scopo della
dottrina buddista? Liberare l'essere vivente dalla sofferenza. La vita umana non può
evitare la presenza del dolore e della morte, per un motivo molto semplice: tutto ciò
che ha un principio deve avere una fine. Ogni esistenza è passeggera; l'uomo e la sua
vita sono composti da una serie di fenomeni in continuo mutamento: nulla è
permanente. Questa situazione riguarda non solo l'individuo, ma tutto ciò che è
nell'Universo. Perfino gli dei un giorno cesseranno di esistere. La sofferenza è dunque
connaturata all'essere umano, cioè fa parte della sua vita sin dal primo giorno. La non
consapevolezza di questa verità da parte dell'uomo è definita 'ignoranza' (in
sanscrito avidya): dunque, l'ignoranza non consiste semplicemente nel non essere colti,
ma nel non rendersi conto del significato del mondo e della nostra stessa esistenza. È
qui la radice del dolore e della sofferenza che spesso proviamo.
La cura per vincere la sofferenza
Nella dottrina del Buddha, l'Universo è visto come il frutto di una catena ininterrotta
di fenomeni, ognuno legato all'altro: è il concetto di karma. Giungendo al Risveglio, il
Buddha ha per primo spezzato questa catena, che rende prigionieri tutti gli esseri. Per
il Buddha l'ignoranza, cioè la non conoscenza della vera natura transitoria (passeggera)
di tutte le cose, fa vivere l'uomo in una 'illusione'. Le passioni umane, i vizi e i desideri
(anche quelli che sembrano buoni) sono altrettante catene che rendono l'uomo
prigioniero di questa illusione. Anche il dolore, la sofferenza sono il prodotto di tale
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illusione. Ma come vincerla? Il Buddha ricorre alle 'Quattro nobili verità' per definire
le cause della sofferenza e la cura per superarla. La prima è la constatazione che ogni
esistenza, poiché non è eterna, è dolorosa; la seconda è che la causa del dolore è la
'sete', cioè il desiderio, l'attaccamento per qualcosa: una persona, un oggetto, un'idea.
Anche odiare una persona, un oggetto, un'idea è una forma di attaccamento, perché chi
odia non è distaccato dall'oggetto del suo odio. La terza verità propone la soluzione:
sopprimendo questa 'sete', si sopprimerà il dolore. La quarta verità, infine, fornisce il
metodo, la strada per annullare l'ignoranza, e quindi il dolore. Si tratta degli 'Otto
sentieri', otto virtù da praticare: la retta opinione, il retto proposito, la retta parola, la
retta azione, il retto comportamento di vita, la retta aspirazione, la retta meditazione e
la retta concentrazione mentale. Dunque, una vita virtuosa, oltre alla meditazione, è un
valido aiuto per superare l'ignoranza.
Ma esiste qualcosa che non abbia fine?
Dunque per il Buddha ogni essere al mondo è destinato a estinguersi. Persino la nostra
coscienza ‒ quella che ci fa dire "Io penso", "Io sono" ‒ esiste solo momentaneamente.
In un certo senso, quindi, tutto ciò che è al mondo è illusorio, cioè è privo di verità
profonda: l'Universo è considerato il 'regno di maya', parola che significa "illusione".
La consapevolezza di ciò porta a squarciare il 'velo di maya', mettendo fine
all'ignoranza: l'essere così 'liberato' può raggiungere quello che il buddismo
chiama nirvana: uno stato paragonato a una fiamma che si spegne. Potremmo allora
domandarci: a che serve raggiungere l'obiettivo della 'Liberazione' dal ciclo
dell'esistenza, quello che il Buddha chiama nirvana, se dopo la vita non c'è nulla? Se
di noi non resta nulla, allora a che serve la meditazione, la pratica delle virtù? Solo a
vivere più serenamente questa vita? In realtà, non siamo sicuri se il Buddha ammettesse
o meno l'esistenza di un principio eterno come fondamento di tutte le cose; sembra che
egli non considerasse il parlare di ciò necessario ai fini del suo insegnamento. Il
disaccordo su questo punto fu uno degli elementi che portarono alla nascita di diverse
scuole buddiste.
Il Piccolo veicolo e il Grande veicolo
Dopo la morte del Buddha, ci furono diversi 'concili' (riunioni dei discepoli) che
raccolsero gli insegnamenti del Maestro. Nacque così il 'Canone buddista' (in
sanscrito Tripitaka, le "Tre ceste" È chiamato tre panieri perché i manoscritti furono
conservati in tre ceste. I libri sacri dei Buddisti sono 45, divisi in tre sezioni chiamate
Pitaka o Canestri: il Canestro della disciplina, il Canestro dell’istruzione, il Canestro
del grande insegnamento.): l'insieme delle opere buddiste, che riportano le parole del
Buddha, le regole monastiche e i trattati e i commentari sulla dottrina. Il buddismo ebbe
grande diffusione sotto il regno dell'imperatore Ashoka (3° secolo a.C.), quando
esistevano già varie scuole che interpretavano diversamente il messaggio del Buddha.
Una delle più importanti fu quella dei Theravadin. Il buddismo da essi predicato, noto
come Hinayana ("Piccolo veicolo"), si diffuse ed è ancora oggi popolare a Ceylon e
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nel Sud-Est asiatico. Secondo la maggioranza degli studiosi, questa forma di buddismo,
essenzialmente di tipo monastico, rappresenta ciò che c'è di più vicino alla dottrina dei
primi tempi. Secondo gli esponenti dell'altra corrente buddista, il Mahayana ("Grande
veicolo"), formatasi forse nel 1° secolo, l'Hinayana è invece una forma minore,
riservata a chi ha un intelletto limitato e vuole ottenere la Liberazione soltanto per sé
stesso, senza interessarsi alla sorte degli altri esseri.
La dottrina del Grande veicolo
Punto fondamentale della dottrina del Grande veicolo è la 'vacuità' (in
sanscrito sunyata) di tutte le cose. Questo concetto indica che in nessuna cosa di questo
mondo possiamo trovare la Realtà suprema: l'Universo è infatti il regno di maya,
l'illusione. Ma, secondo il Grande veicolo, la 'buddità', cioè il perfetto stato del Buddha,
è in ognuno di noi come un embrione, un germe: bisogna squarciare il 'velo di maya'
per ritrovare dentro di noi l'eternità. Siddharta, il Buddha storico, fu visto come una
manifestazione di questa 'buddità' eterna. Nella dottrina del Grande veicolo, così,
apparve tutta una serie di Buddha del passato e del futuro, e si diffusero i jataka, i
racconti che descrivevano le passate incarnazioni del Buddha, di solito nella forma di
un animale. Proprio sulla base dell'uguaglianza profonda tra gli esseri, l'insegnamento
del Mahayana diede grande importanza alla compassione; su di essa si fondava il
concetto del bodhisattva ("essere del risveglio"): un essere che rinuncia al nirvana per
ridiscendere nel mondo e aiutare gli altri a percorrere la sua stessa via. Il culto
dei bodhisattva ebbe una enorme diffusione in Estremo Oriente, perfino superiore a
quello per i Buddha. I più famosi furono: Avalokitesvara, il salvatore per eccellenza
(in Cina e Giappone rappresentato a partire da una certa epoca in forma femminile);
Manjusri, protettore della conoscenza sacra; Maitreya, considerato anche come il
prossimo Buddha che apparirà sulla Terra. In epoca più tarda (8° secolo), il Grande
veicolo giunse in Tibet: la fusione con gli elementi della religione locale portò alla
nascita di una forma particolare, detta Vajrayana("Veicolo di diamante"), che è ancora
oggi tipica del buddismo in Tibet e in Mongolia.
La diffusione del Grande veicolo in Cina
Il Grande veicolo dall'India passò in Cina attraverso due strade. Una terrestre, dal
Pakistan settentrionale alla Cina attraverso il deserto del Taklamakan; e una marittima,
dal Golfo del Bengala fino alle coste della Cina meridionale. Il buddismo sarebbe
giunto in Cina nel 1° secolo; inizialmente, ci fu qualche difficoltà da parte dei Cinesi
nell'accettare il buddismo, una tradizione straniera che imponeva a chi voleva seguire
la via del Risveglio il monachesimo, cioè la rinuncia a sposarsi e formare una famiglia.
In Cina nacquero nuove scuole buddiste: così, quando il buddismo cessò di esistere in
India nel 13° secolo, esso continuò a fiorire fuori dai confini. Fra le scuole buddiste di
origine cinese, vanno ricordate il buddismo della Terra pura e il Chan. Il primo fu molto
popolare presso il popolo cinese, poiché bastava la semplice invocazione del Buddha
Amithaba per garantirsi il trasferimento dopo la morte nel suo paradiso; il secondo
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predicava la possibilità di un Risveglio immediato, senza passare attraverso lo studio
dei testi sacri. Il Chan fu molto importante per lo sviluppo del pensiero buddista fuori
dall'India, poiché si diffuse e fiorì anche in Giappone, dove fu chiamato Zen, e
influenzò la società, l'arte e la cultura. Il buddismo visse in Cina un'epoca d'oro fra il
7° e il 9° secolo; poi, nell'842, fu colpito da una persecuzione, ordinata da un imperatore
e dovuta anche all'eccessivo potere economico raggiunto dai centri buddisti, che
danneggiava lo Stato. Tuttavia, il buddismo rimase nei secoli successivi molto diffuso
e ancora oggi in Asia orientale esso è oggetto di un ampio culto popolare, con numerosi
monasteri in attività.
Chi è un monaco buddista?
Risposta: Un monaco è la persona che lascia la sua casa per andare a vivere, a seconda
delle diverse tradizioni, o nella foresta o in un monastero (da solo o in compagnia di
altri come lui). In origine monaco buddista era la persona che lasciava la sua casa per
seguire la via indicata da Buddha, vivendo di elemosina. Nel corso della storia si sono
poi formate delle scuole o tradizioni ciascuna delle quali ha stabilito le proprie regole.
A seconda dei paesi e delle diverse scuole buddista, la regola differisce: ci sono ancora
tradizioni in cui i monaci vanno a vivere nella foresta e si procurano il necessario solo
con l’elemosina (Sri Lanka, Thailandia, Myanmar…); altre in cui si riuniscono in
monasteri e lavorano la terra o altro (Tibet, Corea, Cina…); altre ancora in cui il
periodo in monastero non coincide con la durata della vita, ma è di alcuni anni di
formazione: in Giappone per esempio, almeno nel buddismo zen, solitamente la
permanenza in monastero è di alcuni anni (raramente oltre i dieci) e poi il monaco
rientra in un certo senso nel mondo: si può sposare e spesso si occupa di un piccolo
tempio in cui vive con la famiglia.
Fondamentalmente quello che distingue un monaco dalle altre persone non dovrebbe
essere qualcosa di esteriore, ma la sua scelta di vita, che rinnova giorno per giorno
vivendo secondo quelle indicazioni che ho cercato di indicare nella precedente risposta.
Il Sangha. Un altro concetto molto importante nel Buddhismo è la "comunità"
o sangha. Il sangha è l'ordine dei monaci buddhisti (bhikku). Il Buddhismo, pur sorto
in India, ha saputo adattarsi ai popoli e alle culture in cui si è diffuso. Il primo
Buddhismo era contrario ai riti e alle cerimonie, alle preghiere e alle osservanze.
Buddha stesso non designò alcun successore né diede direttive riguardo una forma
particolare di organizzazione. Col passare del tempo fu però necessario ricorrere a
qualche forma di organizzazione per tenere insieme la comunità (sangha). Essa è stata
così costretta a stabilire vari gradi all'interno della comunità. Vi è dunque il novizio;
quindi il monaco vero e proprio; poi l'anziano e in ultimo il grande anziano. Tra i
monaci non esistono comunque segni di distinzione. La disciplina è regolata da un
codice, Patimokkha, che contiene 227 precetti. È cosa relativamente semplice farsi
buddhista: buddhista è chi venera il Buddha come la guida o il maestro spirituale più
alto, e che si sforza di vivere in conformità ai suoi insegnamenti. Chiunque vuole
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diventare seguace di Buddha dichiara la propria intenzione usando la formula seguente,
detta Tirasana (i tre rifugi), recitata abitualmente in lingua pali, che si può tradurre
così: "Al Buddha come rifugio io vado; al Dharma come rifugio io vado; al Sangha
come rifugio io vado".
Le feste buddhiste.
Il giorno di riposo è il sabato. Le tre feste più importanti sono il Capodanno, il Giorno
del Buddha e la Quaresima. Il Capodanno cade in genere nel mese di aprile. La
celebrazione dei primi due giorni del nuovo anno comprende la Festa dell'acqua. La
gente offre recipienti di acqua fresca ai suoi anziani e regala loro dei doni utili in
segno di rispetto e per chiedere la loro benedizione; a loro volta gli anziani
rispondono elargendo quattro grazie, e cioè lunga vita, bell'aspetto, tranquillità ed
energia. Inoltre si getta per divertimento dell'acqua addosso ai passanti. Le due
pratiche sono interpretate come un lavaggio dalla "sporcizia" accumulata nel corso
dell'anno. L'acqua viene gettata addosso agli altri anche allo scopo di ottenere pioggia
più abbondante nella imminente stagione della semina del riso. Infine la festa serve
anche a farsi dei meriti andando a visitare i propri defunti. La gente, dopo aver offerto
del cibo ai monaci nei monasteri, affolla le pagode dove sono sepolte le ceneri e le
ossa cremate degli antenati.
Nel Giorno del Buddha si commemorano la nascita, l'illuminazione e la morte di
Buddha. Infatti in un giorno di luna piena del mese di maggio venne alla luce Siddharta
Gautama; in un giorno di luna piena di maggio egli ebbe l'illuminazione, e in un giorno
di maggio morì o, per meglio dire, entrò nel Parinirvana.
La Quaresima buddhista dura tre mesi, dalla luna piena di luglio alla luna piena di
ottobre. In questo periodo, i monaci non possono viaggiare e non possono passare la
notte fuori dal monastero se non in caso di gravi necessità. In tale epoca non si possono
celebrare matrimoni, non si possono svolgere giochi e altre forme di divertimento
pubblico, ed i devoti cercano di osservare il sabato più spesso che possono.
I COMANDAMENTI BUDDHISTI
Poiché conosceva la grande difficoltà che la gente comune avrebbe incontrato per
raggiungere il Nirvana, Buddha ha lasciato alcuni Comandamenti che possono guidare
i fedeli nella vita di ogni giorno.
Ecco i “Cinque Precetti” che somigliano molto ai 10 Comandamenti della Bibbia:
1) Essere compassionevole, solerte e benevole verso tutti gli esseri viventi, non fare
del male o uccidere (molti Buddhisti sono vegetariani);
2) Non rubare o sottrarre ciò che non è stato dato liberamente ed essere sempre
generosi con i poveri e le persone che si trovano in difficoltà;
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3) Non prendere di più di ciò che hai bisogno, qualunque cosa tu intenda fare;
4) Non dire menzogne o cattiverie sugli altri;
5) Non agire mai senza pensare o senza fare attenzione.
Il Buddhismo tibetano
Il Buddhismo tibetano pratica la forma del "Veicolo di diamante"(vajrayana). Il
buddhismo tibetano è chiamato lamaismo dal termine lama, cioè maestro. Il potere
teocratico del lamaismo si esercita attraverso una comunità fortemente gerarchizzata a
capo della quale sono due Lama: il Dalai Lama (=maestro che è oceano di saggezza) e
il Pan c'en-Lama. In ordine di dignità ai due grandi Lama, seguono 180 Hutuktu,
considerati incarnazioni di bodhisattva e di dèi. Ogni volta che un Lama muore, i
dignitari religiosi si pongono alla ricerca di un bambino nel quale si può avere la
certezza (in base ad eventi straordinari) che si è rifugiata l'anima del Lama defunto:
ove le prescritte prove di accertamento confermino la validità delle scelte, il
predestinato viene ad occupare di diritto il posto del Lama deceduto.
Tra i culti più notevoli praticati dai lamaisti vi è quello dei "Buddha viventi", ossia dei
grandi monaci i quali, durante le funzioni liturgiche, sono fatti oggetto di venerazione
come esseri divini. Il Lamaismo è oggi presente, oltre che in Tibet, in Mongolia, nella
Cina del Nord e dell'Ovest, in Turkestan, Nepal, Bhutan e Sikkim.
Il Buddhismo Zen
Lo Zen è una forma particolare di Buddhismo. La parola zen è un termine giapponese
derivato dal cinese ch'an o shan, a sua volta trascrizione del sanscrito dhyana, ossia
meditazione. È infatti una corrente del buddhismo che ebbe origine in Cina al principio
del 6° sec. d. C. Dalla Cina si diffuse in Giappone con il monaco Eisai verso il 1190.
Qui lo Zen ebbe grande fioritura e diede vita a numerose correnti (Rinzai, Soto ecc.),
molte delle quali ancora attive.
Lo Zen non conosce dèi, non ricerca l'immortalità e non ammette concetti come peccato
o anima. Non è né una religione né una filosofia in senso occidentale; è semmai un
sistema di vita. Che cosa fa una persona che segue lo Zen? Essa si educa gradualmente
a cogliere la realtà senza mediazioni intellettuali ma vivendola nella pienezza del
momento.
È la qualità dell'esperienza qui e ora, e non la precisione della ragione, che assume la
massima importanza per il seguace dello Zen. La pratica fondamentale dello Zen è
lo zazen, (Lo scopo è quello di sedersi come Buddha si è seduto e di vedere con gli
occhi di Buddha. Cioè non mettere nessun “tipo di occhiali” per vedere le cose, neppure
quelli dei miei pensieri: spesso i miei pensieri fanno da filtro e influenzano il mio modo
di vedere le cose facendomi prendere lucciole per lanterne. Stando semplicemente
seduto, a occhi aperti, mi metto nella condizione di essere sveglio, senza aggiungere a
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questo null’altro), che viene intrapresa al fine di ottenere le condizioni ottimali per
vedere direttamente in se stessi e scoprire nella purezza della propria esistenza la vera
natura dell'essere. Lo Zen crede che la persona comune sia presa in un groviglio di
idee, teorie, riflessioni, pregiudizi, sentimenti ed emozioni tali che non le permettono
di cogliere la verità e la realtà ma solo frammenti di essa. Lo scopo dello zazen è
dunque quello di liberare l'individuo e di consentirgli di entrare in modo pieno e diretto
nella realtà. Vi sono tre mete che lo zazen si propone. La prima consiste nell'aumentare
i poteri di concentrazione eliminando tutti i fattori di distrazione e tutti i dualismi
(soggetto e oggetto, realtà e apparenza, bene e male ecc.). La seconda mira al
conseguimento del satori, ossia di una sorta di illuminazione (essa presuppone un
intenso allenamento: per ottenere il satori, vengono in aiuto i koan, stratagemmi usati
dal maestro per far ottenere l'illuminazione al discepolo). La terza infine consiste nel
vivere l'illuminazione nella vita di tutti i giorni. In questo modo qualsiasi azione e
qualsiasi momento sono vissuti nella pienezza e nella profondità della verità.
CHE COSA PENSA LA CHIESA CATTOLICA DEI BUDDHISTI?
Nel documento del Concilio Ecumenico Vaticano II la Chiesa dice dei Buddisti: “La
Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in questa religione. Essa considera
con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere! che... non raramente riflettono un
raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini” (da Nostra Aetate 2).
Conclusione
I luoghi di preghiera dei buddhisti sono i templi, chiamati Pagode. I templi più grandi
includono parecchi santuarietti, sale di meditazione, di insegnamento e alloggi riservati
alla comunità religiosa.
In India ci sono i quattro luoghi sacri di pellegrinaggio buddisti: Lumbrini, Bodhgaya,
Sarnath, Kusinagara. Molti buddisti non pregano perché non esiste un dio a cui
rivolgersi. Un oggetto della preghiera buddhista è la ruota della preghiera che contiene
una preghiera o un inno che viene ripetuto più volte. La meditazione e lo yoga sono
indispensabili per raggiungere il paradiso, “Nirvana”, suppongono una grande
concentrazione che esige anni di allenamento.
Diverse tecniche permettono di arrivare più facilmente ad una posizione corretta, aiuta
anche una concreta focalizzazione su un’idea o un oggetto. Alcuni Buddhisti guardano
fissamente un Chanka, un dipinto religioso. Nei templi, una sala è riservata alla
meditazione dei fedeli Buddisti. I Buddhisti credono nel karma, che significa che chi
si comporta bene vivrà bene anche nella vita successiva.
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