Geni di suscettibilità agli stress biotici e metodiche innovative per la

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Review n. - Italus Hortus ( ), 2011: 3-12
Geni di suscettibilità agli stress biotici e metodiche innovative per la loro
valorizzazione nel miglioramento genetico vegetale
Stefano Pavan1*, Concetta Lotti2, Paolo Resta1 e Luigi Ricciardi1
1 Dipartimento di Biologia e Chimica Agro-Forestale ed Ambientale, Sezione di Genetica e
Miglioramento Genetico, Università di Bari
2Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Università di Foggia
Ricezione:
Accettazione: 16 dicembre 2010
Biotic stresses susceptibility genes
and innovative methods for their
valorization in plant breeding
Abstract. Plant breeding for resistance to disease is
mainly focused on dominant plant genes, known as
resistance or R-genes, which enable the recognition
of would-be pathogens and the activation of opportune defense pathway s. However, resistance mediated by R-genes is frequently rapidly overcome in the
field by the onset of new pathogen genetic variants.
Furthermore, the loss of genetic biodiversity often
hampers the identification of new R-genes to be used
for breeding of species of agronomic importance. In
this review, an alternative breeding strategy is proposed by looking at resistance as a condition originated by the lack of plant genes necessary for pathogenesis, here referred to as susceptibility genes or Sgenes. In the last few years, several S-genes have
been identified, following both classic phenotypic
screenings in natural germplasm and reverse genetic
approaches, such as targeted mutagenesis or gene
silencing/overexpression. Their molecular characterization revealed for most of them a role as: 1) virulence targets, which are used by pathogen effector
molecules to alter cell metabolism and promote disease; 2) negative regulators of defense responses
activated by the plant immune system. Although they
are necessary for pathogenesis, S-genes have not
been excluded by evolution, thus indicating that they
are likely important for plant evolutionary fitness.
However, resistance due to the loss of S-genes is
sometimes devoid of pleiotropic effects undesirable
for agricultural purposes, and thus could be conveniently exploited in plant breeding. Indeed, some Sgene loss-of-function mutations, the most famous
being mlo in barley, have been successfully introduced in commercial cultivars. In contrast with R-gene
mediated resistance and similarly to non-host resistance (i.e. the immunity of a plant species towards
pathogens evolved to cause disease in other plant
species), resistance due to the loss of S-genes is
race-non-specific and durable. Likely, these two kind
*
[email protected]
of immunity are originated by similar molecular mechanisms, as suggested by a series of genetic, biochemical, histological evidence reported in the last
few years. In addition, both of them are referable to
the lack of interaction between pathogen effectors and
their cognate plant virulence targets. The availability
of large genomic database can allow the detection of
S-genes orthologues across species, whose inactivation could be fulfilled in order to identify new resistant
sources. Advances in genomics and in reverse genetics techniques, such as targeted mutagenesis and
silencing, together with a better understanding of molecular mechanisms underlying plant-pathogen interactions are likely to increase the importance of susceptibility genes in future plant breeding.
Key words: plant-pathogen interactions; plant
immune system; disease resistance; loss of susceptibility; virulence targets.
Introduzione
Cenni sullo stato dell’arte del miglioramento genetico
per resistenza a stress biotici
Oltre cinquanta anni fa, Harold Henry Flor (1955)
dimostrò che l’esito dell’interazione tra pianta e patogeno poteva essere riconducibile alla situazione allelica che caratterizzava due loci. In particolare, egli fornì
evidenze che mostravano come la resistenza in lino
alla malattia della ruggine fosse subordinata alla
simultanea presenza di un particolare allele della pianta (gene di resistenza o R) e un particolare allele del
patogeno (gene di avirulenza o Avr). Nel corso degli
anni, interazioni “gene per gene” simili a quella studiata da Flor sono state documentate in moltissimi
casi che coinvolgono specie di interesse orto-florofrutticolo e diversi patogeni biotrofi, siano essi virus,
batteri, oomiceti, funghi e persino piante parassite.
La costituzione di cultivar resistenti alle principali
malattie è un presupposto fondamentale per la conduzione di forme di agricoltura sostenibile, in grado di
garantire elevati standard quali-quantitativi della pro3
Pavan et al.
duzione attraverso pratiche a basso impatto ambientale. A distanza di numerosi anni, l’attività di miglioramento genetico per resistenza a stress biotici è ancora
in larga parte riferibile agli studi pioneristici di Flor.
Nuovi geni R sono continuamente identificati all’interno del germoplasma delle specie coltivate o selvatiche e utilizzati, attraverso approcci tradizionali o
propri delle biotecnologie genetiche avanzate, per il
miglioramento varietale. Ciò avviene nonostante le
resistenze mediate da geni R siano generalmente non
durevoli, in quanto superate dalla comparsa di varianti genetiche del patogeno caratterizzate da nuovi alleli
al locus Avr. Inoltre, è bene evidenziare come il fenomeno sempre più attuale della perdita di biodiversità
vegetale (erosione genetica) renda molto difficile, per
alcune specie agrarie, il reperimento di nuovi geni R.
Da quanto detto discende che, attualmente, una
priorità fondamentale per il miglioramento genetico
per resistenza alle malattie debba essere l’elaborazione di strategie nuove ed alternative all’uso di geni R,
basate sull’identificazione e valorizzazione di fonti di
resistenza per quanto possibile durature. A tal proposito, diversi Autori hanno evidenziato come la resistenza genetica ideale dovrebbe sfruttare meccanismi
molecolari propri della resistenza non ospite, ovvero
l’immunità esibita dalle specie vegetali collocate al di
fuori dello spettro d’azione di un determinato patogeno (Thordal-Christensen, 2003; Lipka et al., 2008). In
effetti, oltre ad essere il tipo di immunità più diffuso
in natura, la resistenza non ospite è estremamente stabile, come testimoniato dall’eccezionalità dei casi in
cui i patogeni acquisiscono nuove specializzazioni
d’ospite (Heath, 2000; Lipka et al., 2008).
Base immunitaria delle resistenze non ospite e gene
per gene
Numerosi lavori hanno chiarito che le piante sono
dotate di un vero e proprio sistema immunitario che,
analogamente a quello animale, è in grado di riconoscere organismi patogeni e attivare opportune risposte
di difesa (Jones e Dangl, 2006). E’ stato ormai dimostrato che la resistenza non ospite, quando non dipende da barriere preformate (come ad esempio strati
spessi di cuticola, cere, enzimi o composti costitutivi
ad azione antimicrobica), è di natura immunitaria
(Thordal-Christensen, 2003; Lipka et al., 2005) e
diversi Autori sono concordi nel ritenere che l’evento
di riconoscimento in grado di attivare risposte di difesa coinvolga recettori di membrana della pianta e
motivi molecolari conservati caratterizzanti il patogeno (Pathogen Associate Molecular Patterns o
PAMPs). Esempi di PAMPs molto studiati in letteratura sono la flagellina nei batteri e la chitina nei fun4
ghi (Nürnberger et al., 2004; Schweizer, 2007).
Anche la resistenza gene per gene, precedentemente descritta in termini prettamente genetici, dal punto
di vista fisiologico è ascrivibile ad una risposta immunitaria originata, questa volta, dal riconoscimento tra i
prodotti dei geni R e Avr. L’isolamento di numerosi
geni R ha provato che essi codificano in larga parte
proteine aventi un dominio N-terminale di legame per
i nucleotidi (Nucleotide Binding o NB) e un dominio
C-terminale, che presenta sequenze ripetute ricche di
leucina (Leucine Rich Repeats o LRRs) (Takken et
al., 2006). D’altra parte, i geni Avr del patogeno codificano proteine dette effettori che, se non riconosciute,
promuovono la patogenesi attraverso l’interazione con
specifici bersagli di virulenza della pianta (Jones e
Dangl, 2006; Chisholm et al., 2006). Negli ultimi anni
è stato dimostrato che la maggior parte degli effettori
agiscono sui bersagli di virulenza per sopprimere
risposte di difesa della pianta che, altrimenti, deriverebbero dal riconoscimento di PAMPs o altri effettori
(Nomura et al., 2005; Chisholm et al., 2006).
La maggior parte delle proteine R riconosce gli
effettori in maniera indiretta, secondo un modello per
cui le proteine R “sorvegliano” il bersaglio di virulenza e, dunque, riconoscono le modifiche in esso indotte
dall’effettore (van der Hoorn et al., 2002). Il riconoscimento tra proteina R ed effettore attiva un complesso sistema di risposte di difesa, regolato da diversi
modulatori positivi e negativi, in cui gli ormoni vegetali acido salicilico, acido jasmonico ed etilene giocano un ruolo fondamentale (Hammond-Kosack e
Parker, 2003; Chisholm et al., 2006).
Miglioramento genetico: geni R o geni S?
Come esposto precedentemente, il miglioramento
genetico per resistenza alle malattie ha per lungo
tempo focalizzato la propria attenzione sullo sviluppo
di cultivar in cui fossero presenti fattori di resistenza,
in particolare geni R. Obiettivo principale della presente review è quello di evidenziare come fenomeni di
resistenza alle malattie possano essere perseguiti
anche in assenza di geni necessari per l’insorgere
della patogenesi, di seguito denominati geni di suscettibilità o geni S, offrendo, quindi, al breeder un’utile
alternativa per l’ottenimento di cultivar migliorate.
Infatti, numerose resistenze riferibili a mutazioni non
funzionali o silenziamento di geni S sono state identificate nella specie modello Arabidopsis thaliana o in
specie di interesse agrario. Inoltre, saranno fornite
evidenze che suggeriscono come una strategia di breeding basata sull’inattivazione di geni S possa condurre
all’ottenimento di resistenze durature e, in generale,
con caratteristiche simili alle resistenze non ospite.
Caratterizzazione di geni di suscettibilità
La caratterizzazione molecolare dei geni S, in gran
parte operata in tempi recentissimi, è servita ad evidenziare il loro ruolo nel sistema immunitario della
pianta, basato, essenzialmente, nel determinare azioni
regolatrici negative su specifiche risposte di difesa.
Inoltre, diversi geni S codificano proteine che fungono
da bersagli di virulenza, la cui perdita impedisce agli
effettori di alterare la biologia cellulare a favore del
patogeno.
Di seguito e nella tabella 1 è riportata la descrizione di diversi geni S, identificati all’interno di variabilità genetica naturale o artificialmente indotta di
Arabidopsis o di specie di interesse agrario, e delle
resistenze associate alla loro perdita di funzione.
Geni S identificati in germoplasma naturale
Numerose fonti di resistenza a virus fitopatogeni
sono di natura recessiva (Diaz-Pendon et al., 2004;
Kang et al., 2005b). In tutti i casi finora caratterizzati,
tali resistenze derivano da mutazioni di isoforme di
due componenti del complesso eucariotico di inizio
della traduzione: eIF4E ed eIF4G (Albar et al., 2006;
Robaglia e Caranta, 2006), e il meccanismo che conduce alla resistenza è probabilmente riferibile alla
mancanza di interazione tra la proteina virale effettrice
VPg e il complesso d’inizio della traduzione
(Robaglia e Caranta, 2006).
In riso, gli alleli recessivi xa5 e xa13 conferiscono
resistenza al batterio Xanthomonas oryzae pv. oryzae,
agente eziologico della maculatura batterica. L’allele
selvatico Xa5 codifica la subunità TFIIA? del fattore
di trascrizione IIA. La mutazione xa5, che comporta
una singola sostituzione amminoacidica (acido glutammico al posto della valina), probabilmente impedisce che effettori batterici attivino geni essenziali per la
disponibilità di nutrienti (Iyer-Pascuzzi e McCouch,
2007). L’allele selvatico Xa13 codifica invece una
proteina localizzata a livello della membrana plasmatica che, tra l’altro, ha un ruolo fondamentale nello
sviluppo del polline (Chu et al., 2006). L’effettore batterico PthXo1, attraverso un meccanismo molecolare
ancora ignoto, induce la patogenesi aumentando la trascrizione di Xa13 (Yang et al., 2006; Sugio et al.,
2007). La resistenza xa13 è ascrivibile ad una mutazione nella regione del promotore che non permette a
PthXo1 di incrementarne la trascrizione (Yang et al.,
2006; Sugio et al., 2007).
L’allele non funzionale mlo di orzo impedisce l’insorgere dell’oidio causato da Blumeria graminis f. sp.
hordei, ostacolandone la penetrazione all’interno delle
cellule epidermiche (Büschges et al., 1997; Piffanelli
et al., 2004). La proteina wild-type MLO si accumula
nei siti di penetrazione fungina, in microdomini a
livello della membrana plasmatica, probabilmente
regolando negativamente risposte di difesa alla periferia cellulare (Bhat et al., 2005; Jones e Dangl, 2006).
E’ stato anche ipotizzato che MLO possa essere la
proteina bersaglio con cui effettori fungini interagiscono per abbassare il livello delle risposte di difesa
della pianta (Panstruga, 2005).
Considerando alcune specie orticole, la resistenza
ol-2 di pomodoro, lungamente studiata dal gruppo di
ricerca proponente il presente lavoro, costituisce un
altro importante caso di immunità reperita nel germoplasma naturale e dovuta alla mancanza di un gene di
suscettibilità. L’allele recessivo ol-2, identificato in
un’accessione centro-americana di S. lycopersicum
var. cerasiforme e mappato sul cromosoma 4 di
pomodoro, conferisce resistenza pre-penetrativa nei
confronti di Oidium neolycopersici, un nuovo oidio
che si rivela particolarmente dannoso in coltura protetta (Figg. 1 e 2) (Ciccarese et al., 1998; De Giovanni
et al., 2004; Ricciardi et al., 2007). Recentemente è
stato dimostrato che l’allele ol-2 è riferibile ad una
mutazione con conseguente perdita di funzione dell’ortologo di MLO in pomodoro, SlMLO1 (Bai et al.,
2008; Lotti et al., 2008; Pavan et al., 2008).
Infine, recenti studi ad opera degli Autori della
presente review hanno associato la resistenza all’oidio
di pisello er-1 ad una mutazione con relativa perdita
di funzione di un altro ortologo di MLO, PsMLO1.
Geni S identificati all’interno di variabilità indotta
Numerosi geni di suscettibilità sono stati anche
individuati seguendo approcci sperimentali come la
mutagenesi indotta o il silenziamento genico. Di
seguito, per alcuni di essi, tutti identificati in A. thaliana, sono descritte le caratteristiche biochimiche, il
ruolo assunto nell’interazione pianta-patogeno e lo
spettro della resistenza derivante dalla loro perdita.
Di particolare interesse appaiono le proteine chinasi della famiglia MAPK, molte delle quali regolano
negativamente pathway di difesa della pianta (Frye et
al., 2001; Asai et al., 2002). Una mutazione nulla del
gene che codifica la MAPK EDR1 (mutazione edr1)
determina resistenza nei confronti del batterio
Pseudomonas syringae e dell’oidio causato da
Golovinomyces cichoracearum (Frye et al., 2001).
Analisi con doppi mutanti hanno dimostrato che, in
presenza di edr1, mutazioni nulle di geni chiave del
pathway di segnale dell’acido salicilico ristabiliscono
la suscettibilità, indicando che EDR1 agisce da regolatore negativo di difese mediate dall’acido salicilico
(Frye et al., 2001). Esperimenti analoghi hanno dimo5
Pavan et al.
strato che la MAPK codificata dal gene di suscettibilità MAPK4 regola negativamente il pathway dell’acido salicilico attivo nei confronti di P. syringae e
dell’oomicete Hyaloperonospora parasitica (Petersen
et al., 2000).
Un terzo gene di suscettibilità di Arabidopsis, che
regola negativamente il pathway dell’acido salicilico,
è PMR4, codificante una callosio sintasi responsabile
dell’accumulo post-infezionale di callosio. In questo
caso, la perdita di funzionalità risulta nella resistenza
nei confronti di due specie responsabili della comparsa dell’oidio (Golovinomyces orontii e G. cichoracearum) e di H. parasitica (Nishimura et al., 2003).
Altri geni di suscettibilità sono stati associati a
risposte di difesa diverse da quelle mediate dall’acido
salicilico. Tra questi, la cellulosa sintasi CEV1 risulta
coinvolta nei pathway di difesa dell’acido jasmonico
ed etilene (Ellis et al., 2002). Ancora, il gene DMR1
codifica una omoserina chinasi che regola negativamente l’accumulo di omoserina, mentre mutazioni di
DMR1 sono state associate a resistenza verso H.
parasitica. Pertanto, è stato proposto che l’accumulo
di omoserina costituisca una risposta di difesa tossica
per il patogeno, oppure che DMR1 regoli negativamente un ignoto pathway di difesa omoserina-dipendente (van Damme, 2007).
Il gene TOM1 e il suo omologo TOM3 codificano
proteine transmembrana che sono verosimilmente
bersagli di virulenza per fattori di replicazione del
virus del mosaico del tabacco in Arabidopsis
(Tsujimoto et al., 2003). Mutazioni “loss of function”
di questi geni, così come quella di TOM2A (codificante un’altra proteina transmembrana che interagisce
con la proteina TOM1), impediscono la moltiplicazione virale (Tsujimoto et al., 2003).
I geni di suscettibilità PMR5, con funzione ignota
(Vogel et al., 2004), e PMR6, che codifica una pectina liasi (Vogel et al., 2002), sono molto interessanti
in quanto sembra non siano né regolatori negativi di
pathway di difesa né bersagli di virulenza. In questi
casi, la resistenza verso G. orontii e G. cichoracearum, associata alle loro mutazioni, sembra derivare da
una struttura alterata della parete cellulare responsabile di una minore disponibilità di nutrienti nella matrice extra-austoriale.
più di un fattore di virulenza (Belkhadir et al., 2004);
2) la manipolazione del bersaglio di virulenza da parte
dell’effettore non ha come scopo quello di rendere
compatibile un’interazione, ma, piuttosto, di rendere
altri vantaggi al patogeno. Questa ultima ipotesi è
stata proposta per l’effettore di Xanthomonas campestris pv. vesicatoria AvrBs3, che è presumibile agisca
sul bersaglio di virulenza di peperone upa20 per
indurre ipertrofia fogliare e, quindi, favorire la disseminazione del patogeno (Kay et al., 2007); 3) l’obiettivo dell’effettore è l’inattivazione di un bersaglio di
virulenza che ricopre un ruolo positivo nelle risposte
di difesa della pianta. Di fatto, in questo ultimo caso,
la perdita del bersaglio di virulenza simulerebbe l’azione dell’effettore. Un simile scenario è stato predetto nel caso dei bersagli di virulenza di Arabidopsis
RIN4 e PBS1, scissi rispettivamente dagli effettori di
P. syringae AvrRpt2 e AvrPphB (Mackey et al.,
2003; Shao et al., 2003) e del bersaglio di virulenza
del pomodoro Rcr3, inibito dall’effettore Avr2 di
Cladosporium fulvum (Rooney et al., 2005).
Geni di suscettibilità e fitness
E’ bene evidenziare come i geni di suscettibilità,
nonostante siano necessari per la proliferazione dei
patogeni e l’insorgere delle malattie, non siano stati
esclusi nel corso dell’evoluzione. Al contrario, essi
appaiono prevalenti in natura sulle corrispondenti
mutazioni non funzionali, indicando il loro ruolo
determinante sulla fitness riproduttiva delle specie
vegetali.
Geni della pianta che regolano negativamente
Geni di suscettibilità e bersagli di virulenza
Alcuni geni codificanti bersagli di virulenza non si
comportano da geni S, visto che la loro perdita non è
risultata associata a resistenza verso patogeni. Ciò
può essere spiegato da tre modelli non esclusivi tra
loro: 1) lo stesso effettore agisce simultaneamente su
6
Fig. 1 - Sintomi della malattia dell’oidio del pomodoro causato dal
fungo Oidium neolycopersici.
Fig. 1 - Tomato powdery mildew disease symptoms caused by the
fungus Oidium neolycopersici.
Tab.1 - Geni di suscettibilità e caratteristiche delle resistenze associate alla loro mutazione e/o silenziamento.
Tab.1 - Susceptibility genes and characteristic of resistance associated to their mutation and/or silencing.
Gene
Specie
Proteina codificata
Spettro di
resistenza
Fenotipi pleiotropici riportati
P.syringae
G. orontii
G. cichoracearum
O. neolycopersici
H. parasitica
P. syringae
Alterato sviluppo radicale
Taglia ridotta, colore
delle foglie più scuro,
accumulo di antocianine
Sviluppo ridotto; lesioni
clorotiche
Solo per alcuni alleli
dmr1, taglia leggermente
ridotta
Foglie leggermente
arrotondate
BIK1
Arabidopsis
Proteina chinasi
CEV1
Arabidopsis
Cellulosa sintasi
CPR5
Arabidopsis
Proteina transmembrana
DMR1
Arabidopsis
Omoserina chinasi
H. parasitica
DMR6
Arabidopsis
2-oxoglutarato-Fe(II)
ossigenasi
DND1
Arabidopsis
Canale ionico attivato da
nucleotidi ciclici
H. parasitica
C. higginsianum
P. syringae
X. campestris
TRSV
G. orontii
DND2
Arabidopsis
EDR1
Arabidopsis
Ortologhi eIF4E
e eIF4G
Diverse specie
LSD1
Arabidopsis
Proteina a dito di zinco
Ortologhi
MLO
Arabidopsis
Orzo
Pomodoro
Proteina transmembrana
MPK4
Arabidopsis
Proteina chinasi
mitogeno-attivata
PMR4
Arabidopsis
Callosio sintasi
PMR5
Arabidopsis
Funzione sconosciuta
PMR6
Arabidopsis
Simile a pectato liasi
SNI1
Arabidopsis
Proteina ricca in leucina
SON1
Arabidopsis
Proteina F-box
SSI2
Arabidopsis
TOM1 TOM3
TOM2A
Arabidopsis
Xa5
Riso
Xa13
Riso
Canale ionico attivato da
nucleotidi ciclici
Proteina chinasi chinasi
chinasi mitogeno-attivata
Fattori di inizio della traduzione
P. syringae
Bibliografia
Veronese et al. (2006)
Ellis e Turner (2001)
Bowling et al. (1997)
Kirik et al. (2001)
Van Damme et al. (2005)
Van Damme (2007)
Van Damme et al. (2005)
Van Damme et al. (2008)
Nanismo
Yu et al. (1998)
Clough et al. (2000)
Nanismo
Jurkowski et al. (2004)
P. syringae
G. cichoracearum
Frye et al. (2001)
Diaz-Pendon et al. (2004)
Robaglia e Caranta (2006)
H. parasitica
Dietrich et al. (1994)
Formazione di lesioni
P. syringae
Kaminaka et al. (2006)
G .orontii
Senescenza leggermente Büschges et al. (1997)
G. cichoracearum anticipate e morte cellula- Consonni et al. (2006)
B. graminis
re in condizioni axeniche Pavan et al. (2008)
O. neolycopersici Nanismo, ridotta fertilità Bai et al. (2008)
H. parasitica
Petersen et al. (2000)
P. syringae
G. orontii
Vogel e Somerville
Potyviridae
-
Steaoril-acil desaturasi di
proteine carrier
G. cichoracearum
H. parasitica
G. orontii
G. cichoracearum
G. orontii
G. cichoracearum
H. parasitica
P. syringae
H. parasitica
P. syringae
H. parasitica
P. syringae
Proteine transmembrana
TMV
(2000)
Sviluppo ridotto,
Nishimura et al. (2003)
microlesioni
Vogel et al (2004)
Sviluppo ridotto,
microlesioni
Vogel et al (2002)
Sviluppo e fertilità ridotte
Li et al. (1999)
Mosher et al. (2006)
Taglia ridotta, foglie
Kim e Delaney (2002)
incurvate, lesioni
Kachroo et al. (2001)
Shah et al. (2001)
Diaz-Pendon et al. (2004)
Tsujimoto et al. (2003)
Iyer-Pascuzzi e McCouch
(2007)
Chu et al. (2006)
Fattore di
trascrizione IIA-γ
Proteina di membrane
X. oryzae
X. oryzae
7
Pavan et al.
pathway di difesa contro i patogeni conferiscono presumibilmente un vantaggio selettivo, ottimizzando la
distribuzione delle risorse energetiche evidentemente
necessarie anche per altri processi fisiologici. Infatti,
le mutazioni di questo tipo di geni sono a volte
accompagnate da effetti pleiotropici deleteri per gli
individui quali crescita stentata e/o formazione di
lesioni più o meno estese delle foglie (tab.1). Ancora,
è presumibile che alcuni geni che codificano bersagli
di virulenza, oltre ad essere necessari per la suscettibilità alle malattie, rivestano anche un ruolo chiave
per altri aspetti della biologia cellulare.
D’altra parte, è altrettanto chiaro come geni con
effetto negativo sulla fitness in ecosistemi naturali
possano essere invece desiderabili per scopi agricoli.
Infatti, tantissimi successi ottenuti dal miglioramento
genetico sono legati a varianti alleliche rare o addirittura assenti in natura. Pertanto, non deve sorprendere
se resistenze dovute a mutazioni di geni di suscettibilità siano state in alcuni casi impiegate con successo
per la costituzione varietale. La resistenza mlo, per
esempio, è presente nella maggior parte delle cultivar
di orzo primaverile ad oggi coltivate in Europa
(Lyngkjaer et al., 2000), così come la resistenza er-1,
fondamentale nel miglioramento genetico per resistenza all’oidio del pisello. Analogamente, le resistenze associate a mutazioni Xa5, Xa13 e eIF4G in riso,
ed eIF4E in orzo, peperone, lattuga, melone e pisello
sono largamente sfruttate per la costituzione varietale
in tali specie (Candresse et al., 2002; Nicaise et al.,
Fig. 2 - La perdita del gene di suscettibilità di pomodoro SlMLO1
previene la penetrazione di Oidium neolycopersici all’interno
delle cellule epidermiche. L’arresto della patogenesi avviene in
corrispondenza di apposizioni a livello della parete cellulare
(papillae), visibili per colorazione con 3,3’-diaminobenzidina
tetraidrocloruro.
Fig. 2 - The loss of the tomato susceptibility gene SlMLO1
prevents Oidium neolycopersici penetration in epidermal cells.
The arrest of pathogenesis takes place in correspondence of cell
wall appositions (papillae), visible by using 3,3-diaminobenzidine
tetrahydrochloride staining.
8
2003; Gao et al., 2004a e 2004b; Kang et al., 2005a;
Morales et al., 2005; Nieto et al., 2006; Iyer-Pascuzzi
e McCouch, 2007; Rakotomalala et al., 2008; Tyrka
et al., 2008).
Similarità tra resistenza ascrivibile a loci S e resistenza non ospite
La resistenza dovuta alla perdita di geni S che
codificano bersagli di virulenza, in modo del tutto
analogo alla resistenza non ospite, è ascrivibile all’assenza di interazione tra un effettore funzionale e un
bersaglio di virulenza della pianta. Ciò è in contrasto
con la resistenza mediata da geni R che, invece, è
dovuta al riconoscimento di tale interazione.
La similarità tra resistenza mlo e resistenza non
ospite verso l’oidio è stata più volte evidenziata
(Trujillo et al., 2004; Ellis, 2006), fino ad affermare
che i due tipi di immunità sono “due facce della stessa
moneta” (Humpry et al., 2006). Punti in comune tra
dette resistenze comprendono: 1) l’istologia del meccanismo difensivo, di tipo pre-penetrativo e associato
all’accumulo di callosio e altre sostanze a livello della
parete cellulare; 2) l’indipendenza da pathway di
difesa comunemente implicati nella resistenza mediata da geni R, quali quelli dell’acido salicilico, dell’acido jasmonico ed etilene; 3) la dipendenza da pathway
di difesa in cui rientrano particolari tipi di sintaxine,
glicosil idrolasi e trasportatori di tipo ABC.
Anche per quanto concerne lo spettro di azione e la
stabilità, i dati presenti in letteratura evidenziano
similarità tra la resistenza ascrivibile a loci S e quella
non ospite. Come riportato in tabella 1, la resistenza
dovuta alla mancanza di un gene S è spesso efficace
nei confronti di più patogeni, siano essi virus, batteri,
oomiceti o funghi. Inoltre, quando testata nei confronti di diverse varianti genetiche di un patogeno, essa è
risultata di tipo razza-aspecifico (Stein e Somerville,
2002; Bai et al., 2005; Kang et al., 2005a).
Per quanto riguarda la stabilità delle resistenze
dovute alla perdita di geni S, appare utile ricordare
come le resistenze conferite dalla mutazione di MLO
in orzo e pisello e del gene eIF4E in peperone siano
eccezionalmente durevoli poichè ancora oggi, a
distanza di diversi decenni dall’inizio del loro impiego nella costituzione varietale, mantengono intatta la
loro efficacia in condizioni di campo (Lyngkjaer et
al., 2000; Fondevilla et al., 2006; Kang et al., 2005a).
Comunque, informazioni maggiormente esaustive inerenti la stabilità di resistenze riferibili a geni S potranno derivare dal futuro sfruttamento delle stesse nel
miglioramento genetico per resistenza delle principali
specie coltivate.
Per quanto detto, si ritiene che l’assenza di geni di
suscettibilità potrebbe essere una valida ed efficace
strategia per la costituzione di varietà a immunità stabile, basata su meccanismi di difesa propri della resistenza non ospite.
Prospettive future per il miglioramento genetico
delle specie agrarie per resistenza a stress biotici
Come illustrato, i geni S sono stati caratterizzati
nella specie modello Arabidopsis e in un ristretto
numero di specie coltivate. Importanti prospettive
d’indagine per il miglioramento genetico, operate
soprattutto in base all’individuazione di omologie di
sequenza, riguardano quindi l’identificazione di nuovi
geni S nelle principali specie di interesse agrario e la
loro successiva inattivazione. Ad esempio, in relazione alle evidenze sperimentali precedentemente riportate, è ormai chiaro che la resistenza genetica all’oidio,
peraltro molto diffusa tra le specie orto-floro-frutticole, potrebbe essere raggiunta attraverso la perdita di
funzione di omologhi appartenenti alla famiglia genica MLO. Analoghe considerazioni possono essere
fatte per la resistenza a virus appartenenti alla famiglia
Potyviridae e geni codificanti i fattori di inizio della
traduzione eIF4E e eIF4G. Ancora, come evidenziato
dalla tabella 1, i fenotipi di Arabidopsis associati alla
perdita di funzione di alcuni geni di suscettibilità (es.
EDR1, PMR4 e DMR1) sembrano non presentare
effetti pleiotropici rilevanti, per cui l’inattivazione di
geni ad essi omologhi in specie coltivate potrebbe
rivelarsi un’importante metodologia per lo sviluppo di
varietà resistenti.
Al fine di perseguire efficacemente la strategia di
breeding illustrata potrebbero rivelarsi fondamentali e
determinanti sia il continuo sviluppo di ampi database
di sequenza, peraltro già disponibili per alcune specie
agrarie, sia la conduzione di approcci di genetica
inversa quali piani di mutagenesi o di silenziamento
genico. In particolare, analisi funzionali su geni S candidati potrebbero essere condotte in maniera rapida e
relativamente economica attraverso il silenziamento
transiente ottenibile con la tecnica VIGS (Virus
Induced Gene Silencing), ormai messa a punto per
molte specie di interesse agrario (Ratcliff et al., 2001;
Liu et al., 2002; Hileman et al., 2005; Burch-Smith et
al., 2006). Il silenziamento stabile di geni di interesse
potrebbe invece realizzarsi utilizzando altre tecnologie
basate sul fenomeno dell’interferenza dell’RNA, ad
esempio lo shRNAi (Short Hairpin RNA Interference)
(Waterhouse e Helliwell, 2003), mentre mutazioni
mirate di geni di suscettibilità potrebbero essere assicurate da approcci quali la mutagenesi inserzionale e
il TILLING (Targeting Induced Local Lesions IN
Genomes) (Krysan et al., 1999; Parinov et al., 1999;
Speulman et al., 1999; Colbert et al., 2001).
L’applicazione di questa ultima tecnica appare particolarmente promettente in quanto combina un’alta
efficienza nell’identificazione di mutazioni di interesse e il vantaggio di essere una tecnologia non transgenica e, dunque, di facile accettazione da parte dell’opinione pubblica.
Si ritiene che la futura caratterizzazione di numerose combinazioni effettore/bersaglio di virulenza
possa consentire l’identificazione di nuovi geni di
suscettibilità o, magari, la definizione di strategie di
miglioramento genetico basate sulla simultanea perdita di diversi bersagli di virulenza. In ultimo, l’identificazione all’interno dei bersagli di virulenza di particolari regioni responsabili dell’interazione molecolare
con gli effettori potrebbe permettere l’isolamento di
particolari varianti alleliche che sfuggano al riconoscimento da parte del patogeno, mantenendo comunque
il loro ruolo fondamentale nei processi fisiologici utili
alla pianta.
Riassunto
Nella presente review si illustra ed esamina un
approccio alternativo di miglioramento genetico per
resistenza agli stress biotici basato sull’inattivazione
di geni di suscettibilità e conseguente ottenimento di
una dimostrata immunità ad ampio spettro di azione e
temporalmente stabile verso i patogeni.
Generalmente, detti geni codificano bersagli su cui
agiscono i patogeni, determinando l’insorgere della
malattia, oppure regolatori negativi di risposte di difesa. Nella review sono anche evidenziate metodologie
innovative che si ritiene possano favorire l’utilizzo dei
geni di suscettibilità nella selezione per resistenza a
malattie.
Parole chiave: interazione pianta-patogeno; sistema
immunitario vegetale; resistenza alle malattie; perdita
di suscettibilità; bersagli di virulenza.
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